i cantanti lirici - il portale di "rodoni.ch"
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Ho pensato, ma <strong>di</strong> sfuggita, anche al Trovatore, ma ne parleremo tra cinque anni perché la mia<br />
voce cambia, deve trovare un assestamento. È cambiata tra i ventisei e i vent’otto anni, quin<strong>di</strong> mi<br />
aspetto un altro cambiamento entro i trentaquattro».<br />
Una domanda d’obbligo verte sull’affinità tra Carreras e Di Stefano.<br />
«Ho ascoltato tutti i <strong>di</strong>schi <strong>di</strong> Di Stefano e l’ho visto due volte a Barcellona nel Ballo in<br />
maschera e successivamente in Fedora. Avrò avuto quin<strong>di</strong>ci anni e ricordo nel Ballo la sua uscita<br />
“Amici miei, soldati …” era una cosa elettrizzante, una roba che ti faceva tremare dall’emozione.<br />
Per me è stato <strong>il</strong> più grande tenore <strong>di</strong> tutti i tempi. Lui pensava prima <strong>di</strong> tutto all’interpretazione e<br />
poi pensava al suono. Dopo <strong>di</strong> lui è cambiato tutto; la gente va a teatro e non vuole sentire soltanto<br />
dei begli acuti. Le parole, le frasi devono essere quelle che sono come quando si parla e non<br />
storpiate per ottenere dei suoni, forse anche belli, ma ri<strong>di</strong>coli. Come la Callas ha cambiato la<br />
concezione del canto per i soprani, così Di Stefano ha fatto in campo tenor<strong>il</strong>e: c’è poco da fare, è<br />
stato grande per questo! Io non ho mai cercato o osato imitare Di Stefano, perché la bellezza della<br />
sua voce è unica: debbo <strong>di</strong>re che ascoltando i suoi <strong>di</strong>schi sono forse venute fuori in me cose che<br />
avevo dentro, cose che non sapevo, cose che ho sentito in lui e allora ho detto “ma certo è così”.<br />
Quello che fa questo signore qua è quello che vorrei fare io; lui ha svegliato in me quello che già<br />
avevo e che se non lo avessi sentito avrei tardato <strong>di</strong> più a fare certe cose, cioè trasmettere <strong>il</strong> più<br />
possib<strong>il</strong>e al pubblico quello che ho dentro. Di Stefano è stato grande perché appena apriva bocca<br />
rimanevi inchiodato alla poltrona e non riuscivi più a muoverti. Il canto <strong>di</strong> Di Stefano è fatto <strong>di</strong><br />
sensib<strong>il</strong>ità e <strong>di</strong> natura, una natura interiore che gli faceva fare giusto tutto quello che faceva. Era<br />
un canto spontaneo e questa spontaneità si trasforma automaticamente in generosità che … frega,<br />
nei riguar<strong>di</strong> della durata nel tempo. Io me ne accorgo e cerco <strong>di</strong> salvaguardarmi ma senza<br />
“immascherare” <strong>il</strong> canto. Non è che quando canti “ingrata donna” <strong>di</strong>venta “ingrota donna”. Se io<br />
per questa onestà con me stesso devo durare <strong>di</strong>eci anni in meno … pazienza, almeno con me<br />
stesso sarò contento. Io ho notato che <strong>il</strong> pubblico si è stufato <strong>di</strong> sentire i <strong>cantanti</strong> che non fanno<br />
capire le parole: perché bei suoni soltanto? Vale la pena <strong>di</strong> sacrificare un suono per <strong>di</strong>re qualcosa:<br />
almeno io la penso così. La mia impostazione tecnica è quella <strong>di</strong> sostenere sempre <strong>il</strong> suono sul<br />
fiato e non chiudere mai la gola che deve stare bassa e larga: questo è molto <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e. Con la gola<br />
bassa e larga cantando sul fiato <strong>il</strong> passaggio non esiste, <strong>il</strong> pubblico non lo sente. Cosa vuol <strong>di</strong>re che<br />
arriva un Fa e chiudo, che senso ha <strong>di</strong>re “l’anima ho m<strong>il</strong>ionoria”? ».<br />
Si continua a parlare in libertà toccando gli argomenti più vari: dalle note <strong>di</strong> passaggio ai gran<strong>di</strong><br />
tenori tra cui Lauri Volpi che partecipò, unitamente ad altri otto o nove tenori, ad un concerto in<br />
onore del sovrintendente del teatro <strong>di</strong> Barcellona. Qui <strong>il</strong> racconto <strong>di</strong> Carreras è particolarmente<br />
sentito quando descrive l’esecuzione <strong>di</strong> “Nessun dorma” da parte del Lauri Volpi settantanovenne:<br />
«Faceva dei La bemolle che sembravano delle case! Noi eravamo tutti inebetiti».<br />
Seduta allo stesso tavolo c’era Katia Ricciarelli (Rovigo, 16 gennaio 1946) che aveva<br />
ascoltato i nostri <strong>di</strong>scorsi. Mi rivolgo a lei che risponde così: «Anche per me Parma è stata la<br />
prima cosa importante. A parte <strong>il</strong> concorso che ho vinto, è stata la fiducia che <strong>il</strong> dott. Negri ci ha<br />
dato, a me e a Carreras. Ci ha aperto un po’ agli altri teatri, perché Parma è un teatro <strong>di</strong> prestigio e<br />
piuttosto movimentato. Lo conosciamo tutti, a parte i fischi, le battute, le polemiche. E per me è<br />
una cosa positiva, perché vuol <strong>di</strong>re che l’opera è viva.<br />
Come scelgo i programmi? Di solito fanno un’offerta e poi ci penso. Se vale la pena come<br />
repertorio, interesse artistico, ecc. Adesso posso scegliere, ma prima purtroppo, come succede a<br />
tutti a inizio <strong>di</strong> carriera, devi accettare tutto. Io ho fatto delle opere stranissime, stranissime nel<br />
senso che non si faranno quasi più. Ad esempio ho cantato <strong>il</strong> Lohengrin in italiano e l’ho dovuto<br />
fare. L’Anacreonte <strong>di</strong> Cherubini, Paride e Elena <strong>di</strong> Gluck, sono cose che non farò più, ma le ho<br />
dovute stu<strong>di</strong>are. Farò anche <strong>il</strong> Don Carlo in cinque atti. Insomma all’inizio <strong>di</strong> carriera devi