UN SOGNO D'AMORE Al Ritz - Edizioni Piemme
UN SOGNO D'AMORE Al Ritz - Edizioni Piemme
UN SOGNO D'AMORE Al Ritz - Edizioni Piemme
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
stéphanie des horts<br />
<strong>UN</strong> <strong>SOGNO</strong><br />
D’AMORE al ritz<br />
Traduzione di<br />
Paola Lanterna
Titolo originale: La panthère<br />
© Editions Jean-Claude Lattès, 2010<br />
Realizzazione editoriale: Conedit Libri Srl - Cormano (MI)<br />
I Edizione 2012<br />
© 2012 - <strong>Edizioni</strong> <strong>Piemme</strong> Spa, Milano<br />
www.edizpiemme.it<br />
Anno 2012-2013-2014 - Edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
1<br />
MAJESTIC<br />
Marcia o muori, era il mio motto.<br />
Parigi, 1941<br />
Chi sono Un uccello in gabbia, prezioso, raro. Non<br />
è forse questo che hanno desiderato che fossi gli uomini<br />
che ho amato e che non mi hanno sposata E nonostante<br />
questo, a dispetto di tutto, ho bisogno di loro<br />
qui, adesso, subito. Invece sono sola. Sola in questa cella<br />
senza finestre. Soffoco. Venite a liberarmi dalla Gestapo,<br />
perché non venite Se non voi, chi verrà a cercarmi,<br />
chi difenderà il mio nome, chi mi restituirà<br />
l’onore, chi Louis, Pierre, dove siete Non mi abbandonate!<br />
Non sono forte come credete. Vi prego... Cosa<br />
resta della mia fierezza Cinque file di perle dall’Oriente<br />
argentato. Lacrime degli dei. E la spilla, la spilla che<br />
hanno portato via! Lapislazzuli, corallo, zaffiro, rosette<br />
su platino. Un uccello in gabbia. Sì, rido tra me e me, li<br />
ho giocati. I crucchi. Razza spregevole!<br />
Fanno irruzione nel negozio. È mattino presto. Non<br />
è da molto che abbiamo aperto, ma l’atelier è operativo<br />
già da due ore. In questo momento, accessori, ciondoli<br />
9
e orecchini pendenti costituiscono il grosso della produzione.<br />
La moda impone il bestiario. Uccelli del paradiso,<br />
galli e coccinelle accendono l’immaginazione e<br />
conferiscono un tocco di leggerezza alle ore cupe che<br />
stiamo vivendo. Devo ammettere che i tedeschi hanno<br />
gusto, apprezzano anche l’argento. E di certo io non mi<br />
faccio scrupoli quando si tratta di farli spendere.<br />
Sono al mio terzo caffè, pensando che forse avrei dovuto<br />
restare a Ciboure. «A che serve ruggire, Jeanne»<br />
mi ha detto Louis prima di espatriare a New York.<br />
«Non possiamo fare niente contro di loro, e poi le circostanze<br />
lasciano poco spazio alla civetteria, stiamocene<br />
per un po’ in zona neutrale. Aspettiamo.» Louis,<br />
così saggio, così lontano. La Gestapo ha appena arrestato<br />
undici membri dell’atelier, tra i quali Lucien Lachassagne,<br />
il disegnatore che prediligo, e Rémy, il re<br />
dell’anello. Sì, sarei dovuta restare a Ciboure.<br />
Due Citroën si fermano davanti al civico 13, in un<br />
gran stridore di pneumatici. Le portiere sbattono, i soldati<br />
scendono dalle macchine, il suolo rimbomba sotto<br />
i loro stivali. Un frastuono pesante e sinistro. I passanti,<br />
incuriositi, attendono di vedere chi stavolta sarà portato<br />
via. È lui, Werner Best. Non so ancora il suo nome, ma<br />
non dovrò attendere a lungo per scoprirlo. Si dirigono<br />
nel primo salone, distinguo suoni duri, gutturali, bruschi.<br />
«Schnell, vernünftig, still.» Non parlo tedesco. Detesto<br />
i tedeschi. Con un gesto secco, Best si fa aprire le<br />
vetrine. Perfetto, bel ami, adesso so perché sei qui. Sei<br />
qui per me. Non ho paura. O almeno, non ancora. Uno<br />
dei soldati urla: «La Toussaint, andate a cercare la Toussaint».<br />
Finette, una giovane venditrice, trema, balbetta.<br />
La colpiscono. Lei cade. Schifosi! Quanto vi detesto!<br />
«Ebrea» bercia il militare. «La Toussaint è ebrea!»<br />
10
«Mademoiselle è belga, delle Fiandre» risponde Finette<br />
con un fil di voce.<br />
«La Toussaint, dov’è la Toussaint» sbraita l’uomo<br />
mentre schiaffeggia la poverina.<br />
«Qui, signore, sto scendendo la scala. La smetta di<br />
maltrattarla, la prego, non mi nascondo e sono pronta<br />
a rispondere alle vostre domande.»<br />
Credo che la mia apparizione sulla scala resterà negli<br />
annali della maison. Piantata sull’ultimo gradino, la<br />
mano tremante aggrappata al pomo di cristallo della<br />
ringhiera, guardo con sfida colui che ha tutta l’aria di<br />
essere il capo. Werner Best, appunto. Sono la pantera<br />
di Cartier. A quasi cinquantacinque anni non devo dimostrare<br />
più niente, perché non ho niente da perdere,<br />
e men che meno la mia dignità. Sì monsieur Best, soprattutto<br />
la mia dignità.<br />
«Perfetto, madame. Lei è ragionevole» dice l’inquietante<br />
personaggio. «Sento che ci intenderemo. Andiamo<br />
a fare un giro al nostro quartier generale. L’hotel<br />
Majestic. Lo conosce»<br />
«Avenue Kléber, se non erro...»<br />
«Portatela via!»<br />
Non uno sguardo per i miei impiegati. Rischierebbero<br />
di leggervi il mio disappunto. Forte, restare forte.<br />
Sempre. Per la leggenda, il ricordo, il personaggio che<br />
ho forgiato in questi lunghi anni. Una donna di ferro.<br />
La corazza impone il rispetto, la freddezza è la mia difesa,<br />
l’emozione è solo una crepa pericolosa nella mia<br />
convinzione. Resistere a ogni costo. Testa alta e dominio<br />
della paura. Contenere il panico. Niente lacrime,<br />
camminare eretta, come sempre.<br />
11
Intanto, una folla si è radunata in rue de la Paix. Stavolta,<br />
non è per vedere Edoardo VII o il maragià Kapurthala<br />
entrare da Cartier. No, si tratta di un arresto.<br />
Il mio. I soldati mi gettano senza troppi riguardi nella<br />
seconda macchina. Mettono in moto e risaliamo gli<br />
Champs-Élysées in una trepidazione infernale. È sotto<br />
buona scorta che giungiamo alla sede del governo militare<br />
tedesco. Il luogo è sinistro. Il Terzo Reich ha invaso<br />
ogni spazio. Bandiere naziste sventolano dalle finestre,<br />
svastiche tappezzano i muri, solo una gioielliera<br />
può ravvisarvi un simbolo dell’Art déco. Battere di stivali,<br />
tintinnii di mitra, braccia tese e saluti hitleriani.<br />
Heil! Ho il cuore in gola, i prigionieri hanno perso la<br />
loro dignità, e quella madre che supplica di riavere il<br />
figlio in tutta risposta ottiene il calcio dell’arma sul viso.<br />
Mio Dio, perché ci hai abbandonato<br />
Mi scortano in questa cella buia dove ho la sensazione<br />
che il tempo si sia fermato. Niente da bere, niente<br />
sigarette, solo l’attesa e l’incertezza dell’istante successivo.<br />
Capita che mi giungano gemiti lontani, o un improvviso<br />
frastuono assordante. Rumori di passi che si<br />
avvicinano e poi si allontanano, suoni felpati, rapidi<br />
schiocchi, sembrerebbe che il passato sia lì, pronto a<br />
balzare fuori, e sempre le stesse parole che come fantasmi<br />
riemergono dal nulla, «schnell, vernünftig, still».<br />
No, non mi lascerò impressionare. E poi, in fondo, che<br />
cosa sono i ricordi Nient’altro che scampoli di vita che<br />
realizzano o distruggono una donna. Ma no, non è ancora<br />
il momento, la porta si apre su alcuni uomini. Soldati.<br />
Capi. Torturatori. Tedeschi. Di nuovo i corridoi<br />
sotterranei dell’hotel fantasma; urla, deflagrazioni e poi<br />
12
il silenzio incerto, appena turbato dal martellamento<br />
degli stivali sul parquet lucido come uno specchio.<br />
Vengo scortata in un ufficio le cui pareti sono rivestite<br />
in legno. Odora di passato, di un’epoca in cui si viveva<br />
bene. Werner Best, circondato da due guardie e da un<br />
aiutante di campo mi fa segno di sedermi. I suoi fedeli si<br />
rivolgono a lui chiamandolo Obergruppenführer. Capisco<br />
più o meno che è il capo della polizia. Devo considerarlo<br />
un onore È più giovane di me. Ha il viso tagliato con<br />
l’accetta, sopracciglia nere e occhi scuri. Sostengo il suo<br />
sguardo, nel mio non si scorgono animosità o odio, tanto<br />
meno tracotanza, forse una leggera noia. So di non essere<br />
lì per caso. E se fosse tutta una farsa Ma l’Obergruppenfürher<br />
Best non possiede certo uno humour spiccato.<br />
«Come si chiama»<br />
«Mi chiamo Jeanne Toussaint.»<br />
«Precisi.»<br />
«Jeanne Rosine Toussaint.»<br />
«Ebrea»<br />
«No, belga e lorena.»<br />
«Sarà da provare. Recapito, nascita, continui.»<br />
«Sono nata il 13 gennaio 1887 a Charleroi da Marie-<br />
Louise Elegeer, fiamminga, e da Edouard Victor Toussaint,<br />
originario di Hauvettes nei pressi di Domrémy.<br />
Abito a Parigi nel xvi arrondissement in place d’Iéna 1.<br />
Ho doppia cittadinanza, francese e belga. Lavoro per la<br />
maison Cartier al 13 di rue de la Paix, dove dirigo l’alta<br />
gioielleria.»<br />
La mia voce mi suona estranea. È ferma e roca. La<br />
mia sicurezza è un traguardo conquistato in anni di du-<br />
13
a disciplina. Il capo della polizia mi impressiona, ma<br />
riesco a dominare la paura. E non sono di certo alla mia<br />
prima battaglia. Il giovane di guardia dietro Best mi osserva<br />
stranamente. È pallido, le sue mani stringono il<br />
mitra, ha l’aria di chi ha visto la morte in faccia. Sono<br />
così sconvolgente I ruoli non sono interscambiabili in<br />
periodo di guerra. I rapporti di forza nemmeno. Ed è la<br />
guardia a possedere un’arma. Ma perché quello sguardo<br />
implorante<br />
Non appena si appresta a riprendere l’interrogatorio,<br />
Werner Best è interrotto da un colpo secco alla<br />
porta. Viene annunciato il generale delle forze d’occupazione<br />
tedesche, Otto von Stülpnagel. Lo conosco, è<br />
un cliente di Cartier. Gli abbiamo venduto una pendola<br />
misteriosa. Un modello rettangolare con base in onice<br />
e la cassa in cristallo arcuato. Per ognuno dei nostri<br />
habitué disponiamo di una scheda che contiene i suoi<br />
dati personali, le sue preferenze, le sue “amiche” e tutte<br />
quelle piccole cose che fanno la differenza tra un rubino<br />
sfaccettato e un diamante citrino. Conosco a memoria<br />
la scheda di ogni dignitario nazista. Il generale von<br />
Stülpnagel è incaricato dell’operazione di seduzione<br />
voluto dall’alto commando, operazione che a quanto<br />
pare non funziona. «Popolazione abbandonata, affidati<br />
al soldato tedesco.» Non si rassicura un popolo imponendogli<br />
il giogo, denunciandolo e sottoponendolo a<br />
ogni tipo di nefandezza. Massacri, esecuzioni sommarie,<br />
ingiustizie, rappresaglie su ostaggi innocenti, negli<br />
ambienti ben informati si mormora che Otto von Stülpnagel<br />
cominci a dubitare seriamente della fondatezza<br />
della politica del Führer, e se non fosse per la sicurezza<br />
della sua famiglia rimasta a Berlino, avrebbe già da un<br />
pezzo presentato le dimissioni.<br />
14
«Ho saputo che riceveva madame Toussaint. Spero<br />
che la mia presenza non sia di troppo Obergruppenführer»<br />
fa il generale sedendosi senza attendere l’invito di<br />
Best.<br />
«La prego» risponde quest’ultimo, abbozzando un<br />
impercettibile sorriso.<br />
Werner Best fissa il suo sguardo nel mio. Uno squalo,<br />
mi sembra uno squalo e tremo nonostante il calore<br />
della stufa. Non sa che mi chiamano “la pantera” e che<br />
dalla mia ho la sorpresa del colpo d’artiglio. Finalmente<br />
si arriva al punto. Il capo della polizia tiene tra le<br />
mani una delle mie creazioni, una spilla chiamata “l’uccello<br />
in gabbia”, un usignolo muto dietro le sbarre di<br />
una prigione dorata, un gioiello che abbiamo esposto<br />
in ogni vetrina di rue de la Paix. Lo definirei il mio piccolo<br />
contributo alla resistenza.<br />
«Che cos’è» domanda Werner Best, gettando il<br />
gioiello sulla scrivania con gesto sprezzante.<br />
«Lapislazzulo, corallo, zaffiro, rose su platino e oro<br />
giallo per la gabbia» rispondo raccogliendo la spilla.<br />
L’accarezzo tra il pollice e l’indice. Il corpo in corallo<br />
dell’uccello, lo zaffiro cabochon scintillante e l’incastonatura<br />
quasi invisibile. Louis sarebbe fiero di me.<br />
«Un eccellente lavoro, signor ufficiale, glielo confermo,<br />
un eccellente lavoro. Forse per lei sarebbe stato<br />
più semplice passare dall’atelier. Glielo avrei fattoimpacchettare.»<br />
«Non mi prenda in giro, madame» interrompe Best<br />
che trattiene a stento la collera. «Mi spieghi perché<br />
questo uccello in gabbia è presente nelle otto vetrine di<br />
15
ue de la Paix. Forse è solo una mia idea, ma credo sia<br />
un oltraggio all’invasore. Non so cosa ne pensi lei, generale,<br />
ma dato che ci tiene tanto ad assistere all’interrogatorio,<br />
esprima la sua opinione.»<br />
Otto von Stülpnagel afferra la spilla e la fa girare fra<br />
le dita. Riconosco l’uomo che apprezza i gioielli. Mi<br />
guarda poi si gira verso Best.<br />
«Penso che questa piccola meraviglia, esposta in<br />
così tanti esemplari in rue de la Paix, sia una provocazione<br />
alla nostra attuale politica di confronto con<br />
la popolazione francese. Se si ha la prova che madame<br />
Toussaint l’ha progettata dopo la nostra vittoria,<br />
si può allora parlare di insulto e madame dovrà risponderne.<br />
Se invece questo gioiello è stato realizzato<br />
prima della guerra, direi che si tratta di un increscioso<br />
incidente e madame avrà l’obbligo di ritirarlo<br />
dalla vendita, in attesa di tempi migliori. Che ne<br />
pensa»<br />
«Madame» riprende l’Obergruppenfürher.<br />
«Il primo uccello è stato ideato nel 1933. L’ha disegnato<br />
Peter Lemarchand. Condividiamo la comune<br />
passione per gli uccelli e in generale per tutti gli animali.<br />
In origine era un ciondolo che ornava un bracciale<br />
realizzato per Yvonne Printemps su ordine di Pierre<br />
Fresnay. Di certo sa che il soprannome di mademoiselle<br />
Printemps era “l’usignolo”. L’idea è stata di un giornalista<br />
che aveva concluso il suo articolo così: “Un usignolo<br />
non fa primavera. In compenso Yvonne Printemps<br />
fa molto bene l’usignolo”.»<br />
«Intanto il suo usignolo in gabbia mi sembra muto<br />
come un pesce e piuttosto insolente» continua Best,<br />
sferzante.<br />
16
«È la sua interpretazione, signore, ne lascio a lei la<br />
responsabilità» dico, certa del mio buon diritto.<br />
«Generale, vuole continuare lei prima che perda la<br />
pazienza e la spedisca dritta in un campo di lavoro senza<br />
altri preamboli»<br />
E Best si alza, si accende una sigaretta e si appoggia<br />
alla cappa del camino chiuso. È innegabile, ha un portamento<br />
straordinario. La figura è imponente, l’uniforme<br />
impeccabile, gli stivali lucidi, il viso pare disegnato<br />
da Cocteau e lo sguardo emana una crudeltà raggelante.<br />
L’esatto opposto del generale von Stülpnagel, il quale<br />
sembra tormentato dagli eventi. Grandi occhi chiari<br />
che non credono più a niente. Dà l’impressione di non<br />
sapere bene da che parte stare. Non c’è posto in questo<br />
mondo per chi si mostra esitante. Marcia o muori, oggi<br />
più che mai si tratta di non esitare. Mi guarda con benevolenza.<br />
Generale, lei è fregato!<br />
«Madame, l’usignolo»<br />
«Una spilla come tante altre.»<br />
«E le altre»<br />
«Non ricordo bene. C’era una cicala, Yvonne Printemps<br />
aveva debuttato alla Cigale, e poi la Tour Eiffel<br />
ovviamente. Un mulino forse per il Moulin Rouge, mio<br />
Dio quanto tempo è passato. Ma è tutto archiviato in<br />
rue de la Paix. Basta verificare.»<br />
«Bene, è chiaro» conclude il generale von Stülpnagel.<br />
«<strong>Al</strong>tre due o tre domande, madame» precisa il capo<br />
della polizia, rimettendosi seduto di fronte a me. «Cosa<br />
sa di Etienne Bellanger e di John F. Hasey»<br />
«Sono collaboratori di Londra e di New York. Non<br />
saprei dirle altro.»<br />
17
«A quanto pare quei due signori sono in relazione<br />
con il generale de Gaulle a Londra. Immagino sappia<br />
che il generale de Gaulle si è insediato negli uffici di<br />
Cartier in New Bond Street. È là che ha stilato il famoso<br />
appello del 18 giugno.»<br />
«Non ho mai messo piede a Londra e non parlo inglese.<br />
La guerra soverchia le relazioni tra i diversi uffici,<br />
non potete rendermi responsabile di questo.»<br />
«I miei servizi hanno sentito una curiosa voce che<br />
parla di distintivi per la resistenza che sarebbero stati<br />
realizzati nei vostri atelier di Londra.»<br />
«Distintivi La maison Cartier non fa paccottiglia.<br />
Ma insomma, signore, per chi ci prende» grido, offesa.<br />
«Non lo so, madame, ancora non lo so. Ma procederemo<br />
a verificare le dichiarazioni riguardo le sue<br />
origini belghe e all’usignolo di madame Printemps.<br />
Nell’attesa, sarà nostra ospite, se la cosa non la contraria.»<br />
«Per quanto tempo»<br />
«Il tempo della verifica, non è vero generale»<br />
«È lei il capo della polizia, Obergruppenführer.»<br />
«Guardia, riconduca madame Toussaint in cella.<br />
Madame, noi ci rivedremo.»<br />
«Sono a sua disposizione» rispondo seguendo la<br />
guardia.<br />
Tremo ancora. È una strana sensazione. E ho freddo.<br />
La guardia mi sorride, perché Poco fa ostentava<br />
quell’aria atterrita e ora sembra quasi voglia dirmi qualcosa.<br />
Mi supera di due spanne, è vero che non sono<br />
alta. Lo precedo, sento il rumore della sua arma che<br />
batte contro il cinturone, sento i suoi occhi piantati sulla<br />
mia nuca, a volte mi giro e sempre quella tenerezza<br />
18
nello sguardo. Quando apre una porta, si inchina e mi<br />
lascia passare. No, non capisco. Cosa vuole È un bel<br />
ragazzo di circa trent’anni. Ha gli occhi azzurri e folte<br />
ciglia nere. Uno sguardo quasi femminile, sotto l’elmetto<br />
di ferro. Mi turba. Ho la strana sensazione di veder<br />
sfilare la mia vita in quegli occhi. Quando sorride la sua<br />
bocca è tenera, io provo un non so che di folle, come<br />
uno slancio che mi spinge verso di lui. Incomprensibile.<br />
Dev’essere la paura. Mi scorta nei corridoi sinistri del<br />
Majestic. Ogni tanto mi fermo, lui mi indica la strada<br />
con un gesto cortese. Ho come la sensazione che voglia<br />
parlarmi. Ma non so immaginare di cosa. Arriviamo a<br />
un cancello, dove una guardia ci fa entrare, uno strano<br />
saluto e riprendiamo il nostro viaggio nel sottosuolo<br />
del palazzo parigino. Arriviamo davanti alle celle. La<br />
guardia si inchina come se fossi una regina alla soglia<br />
della sua ultima dimora, Maria Antonietta ai gradini<br />
della ghigliottina, scortata dalle sue dame di compagnia<br />
ricoperte di cenci. Abbozza una smorfia sconsolata e<br />
mi dice, in un francese privo di accento.<br />
«È arrivata, madame, sono spiacente.»<br />
«Prego»<br />
«Mi chiamo Heinrich, madame.»<br />
«Io...perché...si direbbe, ci conosciamo Heinrich»<br />
«Madame sappia soloche tornerò, e farò tutto ciò<br />
che mi è possibile per rendere la sua detenzione più<br />
gradevole.»<br />
Si inchina di nuovo. La porta si chiude e la giovane<br />
guardia scompare, portando via con sé i suoi misteri e<br />
il suo sguardo chiaro. Mi sentivo bene con lui, al sicuro.<br />
Se ne è andato e si fa strada la paura, strisciante, silenziosa.<br />
La Conciergerie non ha nulla a che vedere con il<br />
19
Majestic, quanto alla collana della regina, oggi si tratta<br />
solo di una spilla. Ma che ne è stato del mio “uccello in<br />
gabbia” L’ha conservato Otto von Stülpnagel o è finito<br />
a Werner Best Heinrich, torni presto, Heinrich, la<br />
prego.<br />
Sola. Cosa vogliono da me questi tedeschi Spaventarmi<br />
Sì ho paura, avete vinto. Piangere, dovrei farlo,<br />
ma è passato tanto tempo dall’ultima volta. Quando è<br />
stato Non pensarci. Resisti, testa alta, mento eretto.<br />
Werner Best mi ha chiesto chi sono. Sono Jeanne Toussaint,<br />
la pantera di Cartier, uno dei simboli della Parigi<br />
degli anni folli, della passione e dell’eleganza. Il gusto<br />
più raffinato nasce in rue de la Paix, tra le colonne gialle<br />
e nere del suo tempio marmoreo e dorato.<br />
Lapislazzulo, corallo, zaffiro, rose su platino, l’uccello<br />
è in gabbia certo, ma può ancora cantare perché ha<br />
conservato la sua dignità. Chi avrebbe detto che un<br />
giorno le finestre dell’hotel Majestic sarebbero state<br />
sprangate Chi avrebbe immaginato che la mia vita sarebbe<br />
stata sconvolta I tedeschi, sempre i tedeschi,<br />
mio Dio, ti prego, aiutami.<br />
Tolgo le ballerine di vernice che André Perugia ha<br />
disegnato appositamente per me, poi levo la collana di<br />
perle, le faccio rotolare fra le dita e le poso delicatamente<br />
sul tavolino di legno. Mi distendo, raccolgo le<br />
ginocchia fin sotto il petto. A casa nessuno mi aspetta.<br />
Non so dove sia Pierre; è tra coloro che organizzano la<br />
resistenza. Non sa sicuramente del mio arresto. Louis è<br />
da tanto tempo che non mi aspetta più in nessun posto.<br />
Louis è a New York, Jacky e Claude lo hanno finalmente<br />
raggiunto. Anne-Marie ce l’ha ancora con i suoi,<br />
20
sempre a contraddire suo padre, per punirlo del suo<br />
nuovo matrimonio; ah, i Cartier e la loro suscettibilità!<br />
Stasera, tocca alla signorina Decharbogne, la vicedirettrice,<br />
abbassare le saracinesche in rue de la Paix. Questa<br />
sera, solo questa sera. Lo so bene, domani è un altro<br />
giorno.<br />
Il silenzio. Una persiana sbatte lontano. Una persiana<br />
sbatte ed ecco riaffiorare l’infanzia, con le sue lacrime.<br />
Sono trascorsi quarant’anni. Era prima, molto prima<br />
che tutto cambiasse, prima che la spensieratezza diventasse<br />
solo un ricordo, un rimpianto. Prima di Pierre,<br />
Louis e l’altro Pierre. Prima delle perle, delle ametiste<br />
e dei turchesi. Prima delle pendole misteriose, delle pantere<br />
e delle chimere. Prima ancora degli anni folli e della<br />
Belle Époque. Era in Belgio al tempo dell’infanzia,<br />
quando avevo quello che si definisce una famiglia.<br />
21