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SUONO n° 484

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si copriva il volto per non farsi riconoscere durante i furti; oppure,<br />

secondo altri, indicava colui che, sempre anticamente, mirava al<br />

fazzoletto, quando non vi erano portafogli e i soldi venivano riposti<br />

dentro un fazzoletto annodato.<br />

Il vostro lavoro di traduzione dei testi di De André nasce<br />

dall’idea di lavorare sul dialetto genovese: l’opera di De<br />

André, quindi, è solo l’inizio C’è già l’idea di un eventuale<br />

passo successivo<br />

Volevamo fare un lavoro sul dialetto<br />

che si discostasse dalla tradizione<br />

canora ligure e lavorare<br />

su testi più moderni, per cui iniziammo<br />

con i pezzi che Fabrizio<br />

De André aveva originariamente<br />

scritto in genovese. Da lì, venne<br />

poi l’idea di tradurre in genovese<br />

anche le canzoni in italiano e fare<br />

così un omaggio al grande cantautore<br />

in quello che era il suo dialetto.<br />

Quindi possiamo dire che tutto<br />

il progetto Mandillä verte intorno<br />

all’opera di Fabrizio De André<br />

con questo originale omaggio. Il<br />

passo successivo, al momento, è<br />

di continuare a lavorare sui suoi<br />

testi e sulle canzoni che periodicamente<br />

aggiungiamo al repertorio, aggiornando di conseguenza anche<br />

le nostre esibizioni dal vivo. Un’ulteriore idea su cui stiamo lavorando è<br />

quella di inserire la lettura di testi popolari o autori dialettali durante i<br />

concerti, alternandola alle canzoni, per avvicinare ulteriormente l’opera<br />

di Fabrizio De André alla cultura dialettale cui si è spesso ispirato.<br />

Sempre a questo riguardo, avete composizioni originali<br />

vostre<br />

Alcuni di noi ci stanno lavorando e abbiamo qualche pezzo, ma è un<br />

progetto ancora allo stato embrionale. Al momento tutta la nostra<br />

concentrazione è rivolta all’omaggio a Fabrizio De André.<br />

E Crêuza de mä<br />

Nel nostro repertorio abbiamo ovviamente inserito alcune canzoni<br />

di questo disco, canzoni da cui eravamo partiti all’inizio del progetto.<br />

Crêuza de mä rimane per noi un pilastro fondamentale all’interno della<br />

<br />

e degli arrangiamenti che per l’uso, appunto, del dialetto genovese, uso<br />

<br />

In relazione a questo abbiamo quindi lavorato sulla rivisitazione, il<br />

più possibile in chiave popolare, dei pezzi, con l’intento di mantenere<br />

<br />

Le canzoni non tradotte, come ad esempio , le<br />

cantate lo stesso oppure no<br />

No, preferiamo rimanere nell’ambito dialettale. Eseguire anche le<br />

canzoni non tradotte ci avvicinerebbe a una cover band, cosa che,<br />

con tutto il rispetto per chi lo fa,<br />

e ce ne sono di bravissimi in giro<br />

per l’Italia, non è la nostra idea.<br />

rien-<br />

<br />

intraducibili, perché non contestualizzabili<br />

in altro ambiente che<br />

non sia, in questo caso, quello<br />

di Napoli.<br />

Come potreste descrivere,<br />

raccontare l’evoluzione della<br />

voce e del cantato di De André<br />

che, abbracciando il dialetto,<br />

si è sentito in un certo<br />

<br />

della canzone e si è dedicato<br />

al “suono” delle parole Questo percorso sembra averlo iniziato<br />

con Crêuza de mä ma ha raggiunto il suo massimo con<br />

i canti sardi in cui, per sua ammissione, si è potuto dedicare<br />

alla bellezza del suono delle parole con ancor meno condizionamenti,<br />

usando un dialetto diverso da quello genovese.<br />

beramente<br />

fra le parole e le espressioni del linguaggio. La maggior<br />

parte dei dialetti, ricchi di accenti e parole tronche come nella lingua<br />

<br />

l’italiano, lingua per certi aspetti molto più musicale ma sicuramente<br />

meno malleabile. Se ripenso a quello che Fabrizio De André scrisse<br />

in Crêuza de mä e nei dischi successivi, sia in lingua sarda che in<br />

<br />

lo stesso impatto se fossero stati scritti in italiano.<br />

Al contrario, penso che i testi in italiano, con il lavoro di traduzione<br />

che abbiamo fatto, cercando di attenerci il più possibile alla traduzione<br />

letterale, non perdano né dal punto di vista poetico né dei contenuti.<br />

Mi viene in mente l’operazione che a suo tempo fece Nanni Svampa<br />

traducendo Brassens dal francese al milanese. Tutto questo riporta<br />

anche a una evoluzione del canto che Fabrizio De André ebbe nel<br />

corso degli ultimi anni.<br />

<br />

il cantare in italiano e il cantare in dialetto. Questa operazione portò<br />

<br />

e intensa, portandola a una completa maturazione, come pochi altri<br />

artisti del suo calibro sono riusciti a fare.<br />

Paola D’Ignazi - foto Enrico Rolandi<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio 2014 117

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