Impegno e Dialogo N. 14 - Diocesi di Nola
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IMPEGNO E DIALOGO / <strong>14</strong><br />
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2 –
BIBLIOTECA DIOCESANA S. PAOLINO<br />
SEMINARIO - NOLA<br />
IMPEGNO E DIALOGO<br />
<strong>14</strong><br />
INCONTRI CULTURALI 2000-2002<br />
Contributi <strong>di</strong>:<br />
Gianfranco Ravasi, Franco Pastore, Carlo Greco,<br />
Piero Casillo, Bruno Forte, Pino M. De Stefano, Antonino F. Lanza,<br />
Rachele Sibilla, Ciro Riccio, Giuseppe Mollo,<br />
Antonia Solpietro, AntonioV. Nazzaro, Giovanni Santaniello<br />
E<strong>di</strong>zioni LER<br />
– 3
© - Proprietà riservata<br />
Libreria E<strong>di</strong>trice Redenzione<br />
<strong>di</strong>rezione e ven<strong>di</strong>ta:<br />
MARIGLIANO (NA)<br />
Corso Umberto I, 70<br />
Tel. 081.885.42.06<br />
E-mail: ler@netgroup.it - Sito Web: www.netgroup.it/ler<br />
2003 Stampato nella<br />
Scuola Tipo-Litografica «Istituto Anselmi»<br />
<strong>di</strong> Marigliano (Napoli) - Tel. 081.841.11.76<br />
E-mail: tipografiaanselmi@libero.it<br />
4 –
INTRODUZIONE<br />
Questo XVI Volume degli Atti, frutto del <strong>di</strong>uturno impegno dei<br />
suoi nove settori, costituisce la testimonianza concreta dell’attività<br />
culturale che la nostra Biblioteca continua a svolgere a sostegno<br />
dell’azione pastorale della nostra chiesa locale. E per meglio contribuire<br />
all’opera <strong>di</strong> evangelizzazione della cultura del nostro popolo,<br />
dopo venticinque anni <strong>di</strong> attività, su richiesta del nostro Vescovo<br />
Beniamino Depalma, siamo usciti dalle vetuste mura del nostro Seminario:<br />
inten<strong>di</strong>amo avvicinarci <strong>di</strong> più, anzi “farci prossimi” alle<br />
tante associazioni e realtà culturali presenti ed operanti sul nostro<br />
territorio. E come primo approccio ci siamo portati a Pomigliano<br />
d’Arco, ospiti dell’associazione culturale “Giorgio La Pira”; quin<strong>di</strong><br />
ci siamo trasferiti a S. Giuseppe Vesuviano, presso le Suore <strong>di</strong><br />
Cristo Re, per presentarvi il Volume XIII degli Atti della Biblioteca.<br />
Un esperimento, questa sortita, che è risultato del tutto interessante<br />
e positivo e che inten<strong>di</strong>amo senz’altro continuare.<br />
Il presente Volume contiene numerosi interventi – non tutti, in<br />
verità – che i coor<strong>di</strong>natori dei <strong>di</strong>versi settori della Biblioteca hanno<br />
promosso in questo biennio 2000-2002. E così come sempre, anche<br />
adesso la nostra attività ha prestato particolare attenzione agli eventi<br />
della Grande e della Piccola Storia, cercando <strong>di</strong> sintonizzarsi il più<br />
possibile con essi. Pertanto, saldamente ra<strong>di</strong>cati nel nostro passato,<br />
noi ci siamo protesi verso il futuro. Ed anche in questo frammento <strong>di</strong><br />
tempo, che ha attraversato la nostra esistenza, noi abbiamo tenuto<br />
un occhio ancora rivolto al grande evento del Giubileo <strong>di</strong><br />
purificazione e <strong>di</strong> rinnovamento spirituale appena trascorso, mentre<br />
con l’altro ci siamo immersi nel futuro ormai fatto presente del Terzo<br />
Millennio. Con un siffatto atteggiamento interiore abbiamo potuto<br />
affrontare e seguire da vicino le tappe del percorso dell’uomo da<br />
sempre “pellegrino dell’Assoluto”.<br />
– 5
In questo arduo cammino <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazione e <strong>di</strong> chiarimento delle<br />
linee <strong>di</strong>rettrici e delle coor<strong>di</strong>nate della nostra storia, da una parte,<br />
abbiamo considerato ed osservato con crescente perplessità l’evolversi<br />
e la maturazione della convulsa situazione politica dell’Italia,<br />
alle prese con partiti <strong>di</strong> ispirazione cattolica militanti in or<strong>di</strong>ne sparso<br />
e completamente <strong>di</strong>sorientati. Dall’altra parte, invece, sono state <strong>di</strong><br />
notevole rilievo la riflessione del gesuita Carlo Greco sulla “cre<strong>di</strong>bilità<br />
della Rivelazione” e quella <strong>di</strong> Pino De Stefano sulla possibilità<br />
della “comunicazione, voce plurale della democrazia, in un mondo<br />
globalizzato”. Ma soprattutto la rivisitazione e la “lettura” <strong>di</strong><br />
due gran<strong>di</strong> poeti del Novecento, Clemente Rebora e Mario Luzi, hanno<br />
dato respiro e messo ali alla nostra attività. In modo particolare nell’intervento<br />
<strong>di</strong> alto profilo, compiuto dal teologo e poeta napoletano<br />
Bruno Forte su “la poesia metafora della verità in Mario Luzi”: un<br />
incontro, quest’ultimo, <strong>di</strong> palpitante e profondo significato storicoletterario,<br />
che ha entusiasmato l’u<strong>di</strong>torio presente nell’antica aula<br />
settecentesca della Biblioteca.<br />
Ma a questo punto ci corre l’obbligo <strong>di</strong> sottolineare per i nostri<br />
lettori che, come sempre, tanta parte del lavoro svolto non risulta<br />
presente in questi Atti: non sempre, infatti, è stato possibile ottenere<br />
i testi delle Relazioni svolte. Soprattutto manca qui la registrazione<br />
degli echi, a volte davvero interessanti, dei vivaci <strong>di</strong>battiti che per lo<br />
più si sono sviluppati a conclusione dei singoli incontri.<br />
Infine non possiamo passare sotto silenzio un avvenimento che<br />
ha riscosso notevole risonanza nella comunità degli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> storia<br />
locale e nell’ambito <strong>di</strong> tutta la Chiesa <strong>di</strong>ocesana. Infatti per iniziativa<br />
del Centro <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> e Documentazione su Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>,<br />
<strong>di</strong>retto dal Preside Prof. Antonio V. Nazzaro, e in collaborazione col<br />
settore <strong>di</strong> Storiapatria della stessa Biblioteca, il 19 Maggio 2001, è<br />
stato promosso e si è svolto un pubblico Convegno, presieduto del<br />
Prof. Emerito Boris Ulianich, dell’Università Federico II <strong>di</strong> Napoli,<br />
sulla figura e l’opera dello storico ecclesiastico Gianstefano<br />
Remon<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong> cui ricorreva il III Centenario della nascita (1700-<br />
2000). Con questa iniziativa scientifica la nostra Biblioteca ha inte-<br />
6 –
so contribuire alla celebrazione non solo dell’Autore Della <strong>Nola</strong>na<br />
Ecclesiastica Storia, ma soprattutto dell’appassionato Stu<strong>di</strong>oso e del<br />
dotto e solerte Traduttore dell’Opera Omnia del santo Vescovo <strong>di</strong><br />
<strong>Nola</strong>. Fu, quella del Remon<strong>di</strong>ni, la prima traduzione integrale “in<br />
italiana favella”, che nella metà del Settecento, il secolo dei Lumi,<br />
<strong>di</strong>ede impulso e vigore agli stu<strong>di</strong> paoliniani. Orbene gli Atti <strong>di</strong> quel<br />
Convegno sono in corso <strong>di</strong> pubblicazione a parte, nella Collana<br />
“Strenae <strong>Nola</strong>nae”.<br />
In attesa del lieto evento, affi<strong>di</strong>amo all’attenzione benevola dei<br />
nostri lettori questo quattor<strong>di</strong>cesimo Volume degli Atti della nostra<br />
Biblioteca.<br />
GIOVANNI SANTANIELLO<br />
PAOLO SCAFURO<br />
– 7
8 –
L’UOMO PELLEGRINO DELL’ASSOLUTO<br />
GIANFRANCO RAVASI *<br />
La vastità del tema comporta una fatica piuttosto notevole per<br />
metterlo a fuoco. Io vorrei, perciò, in maniera molto semplice, quasi<br />
<strong>di</strong>dascalica, proporre un itinerario in due momenti. Suggerirei una<br />
specie <strong>di</strong> percorso, che comprende una prima tappa che potrei intitolare:<br />
“Lontano dall’Assoluto”, vale a <strong>di</strong>re l’uomo che fa un pellegrinaggio<br />
all’inverso rispetto all’Assoluto. Naturalmente questo Assoluto<br />
per noi porta già il nome, e questo nome è Dio. Noi, cioè, cammineremo<br />
come se ci trovassimo idealmente su un crinale con due<br />
versanti: l’uno, illuminato e l’altro, in penombra. Il versante oscuro<br />
sarà la prima tappa del nostro itinerario. Naturalmente camminare<br />
nell’interno della oscurità richiede particolari accorgimenti. Vorrei<br />
perciò proporvi, in questo primo momento, l’analisi quasi <strong>di</strong> un<br />
antipellegrinaggio, cioè dell’allontanamento dall’Assoluto, dal mistero,<br />
dal trascendente, da Dio.<br />
Una regione in ombra<br />
Vorrei in<strong>di</strong>care due aree. La prima la rappresentiamo - sempre<br />
per stare all’immagine parabolica - come un’area in penombra o in<br />
ombra, una regione un po’ oscura, nella quale in<strong>di</strong>vidueremo due<br />
componenti che naturalmente tengono conto soprattutto della prospettiva<br />
del nostro sguardo, tendenzialmente <strong>di</strong> tipo spirituale, religioso,<br />
credente.<br />
Comincio subito con una considerazione che definisca un primo<br />
aspetto <strong>di</strong> questo orizzonte che ho definito intenzionalmente in penombra<br />
e ombra (ma non necessariamente nell’oscurità assoluta).<br />
Parto da un punto <strong>di</strong> riferimento capitale: il concetto e la presenza <strong>di</strong><br />
Dio nell’interno <strong>di</strong> questa regione. Il Dio che troviamo qui, nell’area<br />
dell’oscurità, è un Dio che può essere definito moribondo o anche<br />
morto. Faccio riferimento, usando queste metafore, a un’esperienza<br />
culturale che ormai sta estinguendosi, che però ha ancora qualche<br />
notevole riflusso.<br />
* Conferenza tenuta il 27 Gennaio 2001.<br />
– 9
Ci sono stati dei perio<strong>di</strong> storici in cui il senso profondo della<br />
morte <strong>di</strong> Dio costituiva persino una componente stimolante dal punto<br />
<strong>di</strong> vista teologico stesso. Vorrei, comunque ricordare alcune <strong>di</strong>chiarazioni<br />
che poi sono <strong>di</strong>ventate celebri. Penso a una frase poetica<br />
<strong>di</strong> Heine che riguarda un Dio al quale si sta praticando una specie <strong>di</strong><br />
dolce eutanasia: “Non sentite la campanella In ginocchio, si portino<br />
i sacramenti a un Dio che muore”. Su questa frase Nietzsche costruirà<br />
poi quella sua ben nota architettura <strong>di</strong> pensiero che avrà risultati<br />
anche a livello popolare.<br />
In reazione a questo Dio moribondo, accanto al suo capezzale, si<br />
sono accaniti i rianimatori, cioè una certa apologetica, qualche volta<br />
particolarmente feconda, altre volte con le caratteristiche, molto<br />
meccaniche, <strong>di</strong> un accanimento terapeutico. Andando un po’ oltre, ci<br />
si è sempre più accorti che questo Dio lentamente stava spegnendosi,<br />
si riduceva a cadavere. Basti qui soltanto ricordare quella famosa<br />
<strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> Nietzsche sul “lezzo della <strong>di</strong>vina putrefazione” che<br />
egli considerava sicuramente come una caratteristica della nuova èra<br />
che stava aprendosi.<br />
Questo tema della morte <strong>di</strong> Dio è oggi, a mio avviso, non particolarmente<br />
significativo, né incisivo. Ritengo che questo sia per certi<br />
versi un male. Sempre più i gran<strong>di</strong> atei stanno spegnendosi: ciò che<br />
si presenta è un’altra modalità <strong>di</strong> negazione, come vedremo subito<br />
dopo. Ebbene, la “morte <strong>di</strong> Dio”, se è vissuta in forma autentica,<br />
genuina, cioè veramente sperimentata, co<strong>di</strong>ficata, quasi toccata con<br />
mano, può avere effetti che io ritengo pure positivi. Anche se per noi<br />
credenti Dio non muore, la convinzione che siamo <strong>di</strong> fronte al “lezzo<br />
della <strong>di</strong>vina putrefazione” può dare risultati paradossalmente fecon<strong>di</strong><br />
sia per il mondo che sta al <strong>di</strong> là dello steccato sia per il credente<br />
stesso.<br />
Infatti è una morte, questa, che genera lutto, paura, solitu<strong>di</strong>ne.<br />
Tutto ciò alla fine segnala che l’uomo non può così facilmente liberarsi<br />
da quella ingombrante presenza che era Dio. Pensiamo a che<br />
cosa abbia significato la costatazione <strong>di</strong> questo fatto da parte <strong>di</strong> un<br />
Freud, da parte <strong>di</strong> Sartre, ma prima, già nell’Ottocento, da parte <strong>di</strong> un<br />
credente quale Dostoevskij; pensiamo a cosa abbia significato anche<br />
in Leopar<strong>di</strong>, in Camus, in Bloch e così via. La lista potrebbe allungarsi.<br />
Si tratta <strong>di</strong> pensatori che io ritengo molto fecon<strong>di</strong> e preziosi<br />
anche per noi credenti e non soltanto significativi per il pensiero<br />
umano che <strong>di</strong> fronte a questa esperienza della morte <strong>di</strong> Dio si è dovuto<br />
inesorabilmente interrogare.<br />
10 –
L’uomo <strong>di</strong> fronte al Dio “moribondo”<br />
I “senza Dio” sono persone sicuramente inquietate, tormentate,<br />
se sono autenticamente tali. E da questo punto <strong>di</strong> vista dobbiamo<br />
<strong>di</strong>re che forse le nostre stesse matrici cristiane ci inviterebbero qualche<br />
volta <strong>di</strong> più a stu<strong>di</strong>are questo fenomeno del Dio debole, del Dio<br />
che sta quasi nascondendosi e riducendosi nell’orizzonte della storia.<br />
Gli stimoli ci vengono proprio da ambiti teologici importanti.<br />
Il primo lo desumo dal mondo delle Scritture, ove abbiamo a più<br />
riprese la percezione <strong>di</strong> un Dio che sembra lentamente essere assente<br />
e come tale scomparire dall’orizzonte, ed essere eventualmente oggetto<br />
<strong>di</strong> un’interrogazione che tante volte sembra ripiegarsi e serpeggiare<br />
per terra, senza mai trasformarsi nell’esclamativo <strong>di</strong> una fede o<br />
<strong>di</strong> una lode. Pensiamo al Libro <strong>di</strong> Giobbe, tutto centrato - come ormai<br />
gli stu<strong>di</strong>osi asseriscono - non tanto sul problema del male quanto<br />
piuttosto sul problema del vero concetto <strong>di</strong> Dio. E’ il fatto che noi<br />
incrociamo spesso anche sulle nostre strade ove le immagini <strong>di</strong> Dio –<br />
ivi comprese alcune presentate dalla teologia - sembrano essere quelle<br />
degli dèi morti, degli idoli. Non <strong>di</strong>mentichiamo mai che i tre (più<br />
uno) amici <strong>di</strong> Giobbe rappresentano, attraverso la loro parola, nient’altro<br />
che le <strong>di</strong>scipline teologiche fondamentali <strong>di</strong> allora e sono coloro<br />
che alla fine si rivelano quali portatori <strong>di</strong> una vera e propria<br />
forma <strong>di</strong> ateismo, un ateismo paradossalmente religioso.<br />
Pensiamo a Qoèlet, una figura che chiama Dio prevalentemente<br />
con la formula ha-Elohim, “il Dio”, cioè “la <strong>di</strong>vinità”, neppure col<br />
nome suo specifico. Ebbene, la frase riassuntiva della sua ricerca <strong>di</strong><br />
Dio è in quell’espressione per molti versi gelida e terribile: “Dio è<br />
nei cieli, tu sei sulla terra; perciò poche parole” (5,1). Questo Dio è<br />
un Dio assente: sembrerebbe essere il Dio <strong>di</strong> coloro che lo negano,<br />
anche se naturalmente Qoèlet non è definibile come un ateo. Nell’interno<br />
delle Scritture, quin<strong>di</strong>, Dio stesso ci invita a cercare un Dio che<br />
parla attraverso la sua assenza, un Dio che si manifesta attraverso il<br />
suo silenzio. Per questo motivo io non potrò mai <strong>di</strong>re che l’ateo tormentato<br />
e autentico è del tutto irrilevante ai fini della mia ricerca <strong>di</strong><br />
credente, perché persino in lui potrebbe annidarsi il linguaggio <strong>di</strong><br />
Dio, la declinazione della sua Parola.<br />
Un altro esempio che vorrei citare è quella frase, a me particolarmente<br />
cara, del Primo Libro dei Re (19,12), in cui Elia, dopo aver<br />
ripetutamente conclamato la necessità <strong>di</strong> un Dio teofanico, cioè <strong>di</strong><br />
un Dio clamoroso, solare, <strong>di</strong> un Dio rivelatore esplicito, scopre che il<br />
Dio che si presenta a lui e che è il vero Dio, non è quello della folgo-<br />
– 11
e, non è quello del vento o del terremoto. L’originale ebraico è <strong>di</strong><br />
straor<strong>di</strong>naria fragranza poetica, ma soprattutto <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria grandezza<br />
teologica. Abbiamo infatti nel testo soltanto tre parole: qol<br />
demamah daqqah. Qol è “voce”, demamah è “silenzio”, daqqah, “sottile”:<br />
“una voce <strong>di</strong> silenzio sottile”. Nell’interno del silenzio <strong>di</strong> Dio<br />
c’è indubbiamente un suo misterioso svelarsi e rivelarsi. Non è il<br />
silenzio “nero” della nostra società, convinta che Dio non parli, bensì<br />
quello “bianco” che riassume in sé tutte le voci ma attraverso una<br />
via ardua.<br />
Vi sono due conseguenze riguardo al tema del Dio moribondo e<br />
del Dio morto. La prima l’abbiamo appena vista proprio nella Bibbia.<br />
Dio può parlare attraverso la sua morte, può essere vivo attraverso<br />
il suo apparente spegnersi. Ma vorrei anche fare riferimento ad un<br />
altro aspetto che è curiosamente e paradossalmente ripreso proprio<br />
dalla letteratura mistica: il Dio ferito dal male. Qui entriamo in un<br />
territorio dal punto <strong>di</strong> vista filosofico molto delicato, che ha sollecitato<br />
ripetutamente pensatori <strong>di</strong> grande rilievo fino ai nostri giorni.<br />
Pensiamo a Pareyson, che ha riflettuto sul tema del rapporto tra<br />
Dio e la creazione e tra Dio e il male. Questo tema affonda le sue<br />
ra<strong>di</strong>ci soprattutto all’interno dell’esperienza mistica. Cito qui tre figure:<br />
Meister Eckhart, Giovanni della Croce e Angelus Silesius.<br />
Questi tre personaggi, <strong>di</strong>versissimi tra loro, si avviano sulla strada<br />
del male e della tenebra come via quasi privilegiata per poter incontrare<br />
Dio, per contemplare il vero volto <strong>di</strong> Dio, il Dio ferito dal nulla.<br />
Vi sono delle frasi veramente sorprendenti <strong>di</strong> Eckhart e <strong>di</strong> Silesius.<br />
Dio crea e, per essere coerente con se stesso e lasciare spazio e consistenza<br />
alla creazione e soprattutto all’uomo libero, deve in qualche<br />
modo ritrarsi. Troviamo questa idea nella famosa teoria dello zimzum,<br />
propria della teologia me<strong>di</strong>evale giudaica cabbalistica: il termine<br />
significa letteralmente “il ritrarsi” <strong>di</strong> Dio. Hölderlin ha scritto che<br />
Dio creando si comporta come fanno gli oceani: essi si ritirano per<br />
lasciar spazio ai continenti. Questo ritrarsi è in qualche modo un<br />
ferirsi, è in qualche modo - e sempre parliamo per paradossi - un po’<br />
morire.<br />
Entrare nella figura <strong>di</strong> Cristo è forse la <strong>di</strong>mostrazione più visibile<br />
<strong>di</strong> questo dramma, della trage<strong>di</strong>a suprema del <strong>di</strong>vino: il Logos eterno<br />
e infinito si contrae nell’interno dell’umanità dell’uomo-sarx. Questa<br />
esperienza <strong>di</strong> Dio che sembrerebbe a prima vista così negativa<br />
viene considerata dalla stessa tra<strong>di</strong>zione mistica e poi da altre tra<strong>di</strong>zioni<br />
come la grande via per riuscire a scoprire Dio. Quin<strong>di</strong> anche<br />
nell’interno <strong>di</strong> un orizzonte come quello che è definito in penombra<br />
12 –
e in ombra, caratterizzato da un Dio trafitto dal male o trafitto dalla<br />
morte stessa, noi siamo invitati a essere in un atteggiamento <strong>di</strong> ascolto<br />
e contemplazione. Si tratta <strong>di</strong> un percorso in cui non soltanto noi<br />
credenti ci troviamo a camminare, ma in cui Dio stesso - se è vero<br />
quello che abbiamo detto a proposito delle Scritture - sta camminando<br />
e manifestandosi, soprattutto in Cristo.<br />
L’ateismo della in<strong>di</strong>fferenza<br />
Propongo qui una seconda considerazione, sempre a proposito <strong>di</strong><br />
questo orizzonte della penombra. C’è effettivamente un morire <strong>di</strong><br />
Dio, all’interno del cuore dell’uomo. C’è un ateismo che ai nostri<br />
giorni è negativo, non è produttivo e fecondo come quello che ho<br />
descritto prima. Questo nuovo modo <strong>di</strong> vedere la tenebra fine a se<br />
stessa è in un ambito che a prima vista sembrerebbe essere meno<br />
offensivo, meno tragico, meno drammatico dell’ateismo classico.<br />
Lo rappresento con un verso del poeta che ho appena citato e che<br />
ritengo anche un grande pensatore: non a caso ha entusiasmato anche<br />
molti filosofi, tra i quali Heidegger. Mi riferisco a Hölderlin, che<br />
nella sua celebre poesia Pane e vino - che tutti i tedeschi sanno quasi<br />
a memoria perché la imparano nelle scuole elementari - recita: Wozu<br />
Dichter…, “Perché i poeti nel tempo della povertà”. Questa domanda<br />
è stata così sviluppata da Heidegger nella sua opera Sentieri interrotti:<br />
“Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché<br />
<strong>di</strong>viene sempre più povero; è già <strong>di</strong>ventato tanto povero da non poter<br />
riconoscere la mancanza <strong>di</strong> Dio come mancanza”. Questa frase mi<br />
sembra particolarmente adatta a rappresentare lo status <strong>di</strong> un mondo<br />
ateo nel senso che stiamo considerando adesso, non nel senso tragico<br />
<strong>di</strong> prima.<br />
In tempo <strong>di</strong> povertà Dio continua a darci poeti, quin<strong>di</strong> ci salva: la<br />
poesia è anche il simbolo della fede. L’assenza dei poeti <strong>di</strong>venta, allora,<br />
segno <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio. Ora noi siamo in un tempo in cui i poeti non ci<br />
sono più, ma noi non ne sentiamo più la mancanza. Questo tempo è già<br />
<strong>di</strong>ventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza <strong>di</strong> Dio<br />
come mancanza. È questo ciò che sperimentiamo quando incontriamo<br />
un orizzonte culturale, ma che è anche quello comune, <strong>di</strong> solito definito<br />
con il termine “in<strong>di</strong>fferenza”, oppure con “superficialità”, “banalità”,<br />
“volgarità”, “vuoto”, “inconsistenza”. In questo mondo, che è dominante<br />
ai nostri giorni, noi ve<strong>di</strong>amo che Dio non è combattuto, non è<br />
più oggetto <strong>di</strong> una contestazione, non c’è bisogno <strong>di</strong> trafiggerlo, Dio<br />
può essere anche presente, ma è del tutto irrilevante.<br />
– 13
È del tutto irrilevante perciò anche la poesia, come pure l’arte<br />
nella sua forma più alta. Mi colpisce, ad esempio, nella rivista Flash<br />
art, che tratta <strong>di</strong> arte contemporanea, la continua celebrazione dello<br />
sfaldamento, della morte dei colori, della figura, dell’itinerario stesso<br />
<strong>di</strong> ricerca. Si continua sempre <strong>di</strong> più a celebrare la corruzione, lo<br />
stemperarsi della realtà, il suo <strong>di</strong>ssolversi. In questa luce naturalmente<br />
l’artista entra e si abbandona, trovandosi come nel suo grembo<br />
quieto.<br />
Kierkegaard scrive nel suo Diario: “La nave ormai è in mano al<br />
cuoco <strong>di</strong> bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non<br />
è più la rotta ma ciò che mangeremo domani”. In questa frase c’è la<br />
rappresentazione <strong>di</strong> questo mondo che non sente più la mancanza <strong>di</strong><br />
Dio. Noi abbiamo quel mezzo egemone della comunicazione che è<br />
la televisione che si accende nelle nostre case e che ci <strong>di</strong>ce tutto su<br />
come dobbiamo mangiare, come dobbiamo vestire, sulle mode e sui<br />
mo<strong>di</strong>, ma non ci <strong>di</strong>ce nulla sulla rotta da seguire. In<strong>di</strong>care la rotta è<br />
<strong>di</strong>venuto del tutto irrilevante.<br />
Noi viviamo in un orizzonte oscuro, nel quale è necessario sicuramente<br />
riuscire a reagire, a non lasciarci lentamente contaminare<br />
noi stessi. Questo mondo non è autenticamente tenebroso: è grigio.<br />
E il grigiore è nebbioso, e la nebbia è sicuramente più pericolosa<br />
della tenebra, perché questa almeno ti inquieta.<br />
Ho presentato due percorsi che costituiscono una specie <strong>di</strong> impasto<br />
del profilo in ombra rivelato dalla prima regione che abbiamo<br />
in<strong>di</strong>viduato al <strong>di</strong> là dello steccato. Tuttavia, sappiamo bene quanto le<br />
frontiere siano ai nostri giorni mobili, se non proprio del tutto cancellate.<br />
La regione della luce<br />
Gettiamo ora uno sguardo sul secondo territorio, quello in luce.<br />
Vi sono, però, <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> luce: una luce prealbare, oppure una<br />
luce solare, squillante, sontuosa, o anche una luce crepuscolare. Vorrei<br />
ora presentare solo due tipologie <strong>di</strong> luce, come prima ho fatto<br />
cenno solo a due tipi <strong>di</strong> oscurità. La prima è una luce “crepuscolare”,<br />
o “prealbare”. Ai nostri giorni Dio è risorto, è presente, non è così<br />
negativamente lontano e remoto: anche nell’ambito dell’in<strong>di</strong>fferenza<br />
può essere un testimone marginale ma presente. Il vero problema<br />
in molti ambiti <strong>di</strong> questo territorio in luce è la domanda su “quale<br />
Dio” scegliere. La religione non è del tutto accantonata in questa<br />
situazione <strong>di</strong> luce incerta. Nel 1799 Schleiermacher nel Discorso sulla<br />
<strong>14</strong> –
eligione - in pieno Illuminismo - scriveva: “Alle grida <strong>di</strong> aiuto dei<br />
più sulla fine della religione io non unisco la mia voce perché non mi<br />
risulta che alcuna epoca l’abbia trattata meglio <strong>di</strong> adesso”.<br />
Per certi versi, se noi guar<strong>di</strong>amo un po’ la nostra società, potremmo<br />
anche <strong>di</strong>re che la religione apparentemente sembra essere considerata<br />
come una componente che non è da espellere, anzi che potrebbe<br />
essere assunta. Ma qui scatta la domanda: quale Dio Mi sembrano<br />
significativi due esempi antitetici. Il primo Dio che emerge<br />
nella nostra società svela una luce crepuscolare: non siamo <strong>di</strong> fronte<br />
alla vera luce del Dio vivente. Pensiamo alle forme <strong>di</strong> sincretismo, <strong>di</strong><br />
magia, <strong>di</strong> devozionalismo, alla New Age e Next Age. Pensiamo a<br />
questa religiosità un po’ impalpabile, <strong>di</strong> un’inconsistenza assoluta,<br />
che è una specie <strong>di</strong> fitness dell’anima celebrato in templi che sono<br />
più simili a gran<strong>di</strong> e solenni saune. È una miscela tra messaggio e<br />
massaggio, tra yoga e yogurt, in modo tale che la pace del corpo<br />
viene intrecciata con una spiritualità molto evanescente.<br />
Queste forme sincretistiche costituiscono una religiosità<br />
liofilizzata; ma certamente evidenziano il bisogno <strong>di</strong> Dio. La società<br />
tecnologica, dopo aver fatto a meno <strong>di</strong> Dio, dopo essere stata nella<br />
regione oscura prima descritta, alla fine sente ancora un bisogno autentico<br />
<strong>di</strong> Dio. Ma ha ormai il palato guasto e ha bisogno <strong>di</strong> omogeneizzati<br />
spirituali. Le gran<strong>di</strong> religioni tra<strong>di</strong>zionali hanno un cibo solido<br />
molto impegnativo, <strong>di</strong>fficile da offrire a questi palati incapaci.<br />
Alcune Chiese hanno tentato allora <strong>di</strong> edulcorare il più possibile, <strong>di</strong><br />
annacquare la verità del Dio vivente, per cercare <strong>di</strong> far sì che questo<br />
uomo, passato attraverso la totale incapacità <strong>di</strong> assumere Dio, potesse<br />
assumerlo almeno in questa forma più semplice e adattata.<br />
L’altro esempio che vorrei fare a proposito del Dio culturalmente<br />
rilevante ma in una forma non del tutto autentica - anche se ci sono<br />
degli elementi <strong>di</strong> verità che possono essere accolti - è proprio<br />
l’antipodo. Lo definirei il Dio del vessillo apocalittico, il Dio<br />
fondamentalista. Siamo <strong>di</strong> fronte ad una cultura che se prima (nel<br />
sincretismo) era la cultura del duetto, è qui piuttosto quella del duello.<br />
Il vessillo del drago rosso è piantato nell’interno della società,<br />
delle nostre piazze. Perciò, c’è un tipo <strong>di</strong> credente che se ne sta remoto<br />
nel suo mondo, integralisticamente chiuso nel suo tempio.<br />
Vi è in Racine una battuta veramente emblematica <strong>di</strong> tutte le visioni<br />
rinchiuse in se stesse. In un’opera <strong>di</strong> quello scrittore francese,<br />
un sacerdote - non per nulla un sacerdote – <strong>di</strong>ce: Ce temple est mon<br />
pays: je n’en connais point d’autre, “Questo tempio è la mia nazione,<br />
io non ne conosco altri”. Trono e altare sono in sé uniti, e se c’è<br />
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qualcosa che è profano, bisogna in tutti i mo<strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> cancellarlo.<br />
Pensiamo a un movimento come i Testimoni <strong>di</strong> Geova che considerano<br />
sotto il segno del Maligno tutta la cultura che non sia nell’interno<br />
del loro perimetro e così pure la società stessa.<br />
Questo Dio ha una luce che non è autentica. Ci possono essere in<br />
questa concezione indubbiamente anche dei valori. Ci può essere da<br />
un lato, come nel primo esempio, il richiamo al fatto che, benché con<br />
il gusto ormai deformato, l’uomo d’oggi sente sempre la nostalgia<br />
del <strong>di</strong>vino, sente sempre il bisogno <strong>di</strong> abbeverarsi a quella sorgente.<br />
Egli però va, per usare l’immagine <strong>di</strong> Geremia (2, 13), alle cisterne<br />
screpolate che non possono contenere l’acqua. Nell’altro esempio<br />
abbiamo il bisogno <strong>di</strong> una identità, <strong>di</strong> ritrovare la propria matrice,<br />
impedendo che essa si stemperi in una genericità.<br />
Entrambe queste forme <strong>di</strong> loro natura hanno, però, in sé una debolezza<br />
<strong>di</strong> fondo perché non hanno il coraggio <strong>di</strong> guardare Dio e<br />
l’uomo in maniera compiuta e completa. Hume ha una battuta che ha<br />
il suo fondo <strong>di</strong> verità: “Gli errori della filosofia sono sempre ri<strong>di</strong>coli,<br />
gli errori della religione sono sempre pericolosi”.<br />
Dobbiamo quin<strong>di</strong> essere molto attenti perché sono errori che hanno<br />
un significato, hanno un’anima <strong>di</strong> verità, come tutte le eresie. Sappiamo<br />
anzi che possono essere l’esasperazione <strong>di</strong> una verità che non<br />
è più capace <strong>di</strong> essere sinfonica. Ma d’altra parte dobbiamo ricordare<br />
che sono anche degli or<strong>di</strong>gni capaci <strong>di</strong> deformare le culture e le società.<br />
Fede e religione<br />
Nel secondo territorio, quello illuminato, vorrei ancora presentare<br />
due altri esempi più luminosi volti a illustrare la fede che si<br />
intreccia autenticamente con la cultura, una fede capace <strong>di</strong> presentarsi<br />
come tale senza morire, senza amputarsi, però al tempo stesso<br />
capace anche <strong>di</strong> entrare in un connubio, in un <strong>di</strong>alogo. Il primo esempio<br />
si riferisce a quella delicata e persino criticabile <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong><br />
Barth tra fede e religione. È una <strong>di</strong>stinzione ormai superata dalla<br />
teologia, ma può essere uno strumento utile per la nostra riflessione.<br />
A Barth fu rivolta una domanda quando, dopo essere stato a lungo<br />
professore e aver scritto quel monumento che è la Dogmatica<br />
ecclesiale, ritornò al paese in cui era stato pastore da giovane, un<br />
villaggio <strong>di</strong> boscaioli, <strong>di</strong> taglialegna, <strong>di</strong> gente semplice, vicino a Berna.<br />
I giornalisti gli chiesero: “Se lei deve insegnare tutto quello che ha<br />
scritto a questa gente, che cosa può <strong>di</strong>re loro”. Rispose: “Ripeterei<br />
16 –
una preghiera che recito ogni giorno: O Signore, liberami dalla religione<br />
e dammi la fede”.<br />
Naturalmente noi qui inten<strong>di</strong>amo la “religione” non come manifestazione<br />
necessaria della fede esistenziale, altrimenti la fede resta<br />
intimismo, solitu<strong>di</strong>ne, solipsismo; ma come una spiritualità che è<br />
semplicemente quella coloritura spalmata su tutto l’Occidente, il quale<br />
non può non <strong>di</strong>rsi cristiano, come affermava Croce. Ora noi abbiamo,<br />
invece, la necessità <strong>di</strong> riconoscere certamente il valore della religione<br />
come capacità <strong>di</strong> essere struttura, ma soprattutto dobbiamo<br />
ritrovare il fermento, il lievito della fede. Nel 1999 è uscito da Giunti<br />
un libretto che raccoglieva un <strong>di</strong>alogo tra l’Arcivescovo <strong>di</strong> Firenze,<br />
il car<strong>di</strong>nale Piovanelli, e Vannino Chiti, presidente della Regione<br />
Toscana. Il car<strong>di</strong>nale Piovanelli <strong>di</strong>ceva: “È molto meglio un piccolo<br />
gregge <strong>di</strong> credenti che non una massa <strong>di</strong> appartenenti”.<br />
È necessario indubbiamente anche avere cura della massa, è necessario<br />
anche riconoscere che la cultura prosegue attraverso i gran<strong>di</strong><br />
fenomeni <strong>di</strong> base, e che quin<strong>di</strong> la religione è una componente da<br />
considerare positivamente. Guai però se alla fine noi non fossimo<br />
capaci <strong>di</strong> far balenare davanti alla cultura che ci circonda la straor<strong>di</strong>naria<br />
potenza e grandezza del credere. Pensiamo soltanto a ciò che ci<br />
potrebbero <strong>di</strong>re a questo riguardo, se ci dovessero parlare ora, un<br />
Agostino o un Pascal.<br />
Verità penultima e ultima<br />
La seconda considerazione che vorrei fare a proposito <strong>di</strong> questo<br />
ambito luminoso concerne una <strong>di</strong>stinzione parallela a quella <strong>di</strong> Barth<br />
tra fede e religione. Si tratta della <strong>di</strong>stinzione - anch’essa <strong>di</strong>scutibile,<br />
ma con un suo contenuto valido - tra le verità “penultime” e le verità<br />
“ultime”, elaborata da un altro teologo del Novecento: Dietrich<br />
Bonhoeffer. La presenza cristiana è indubbiamente quella che dovrebbe<br />
ininterrottamente unire in un nodo d’oro queste due tipologie<br />
<strong>di</strong> verità, perché il nodo d’oro fondamentale del cristianesimo è l’Incarnazione.<br />
Ora l’Incarnazione è Logos sarx eghéneto. Logos e sarx:<br />
proprio questo fa sì che, da un lato, ci debba essere un Dio legato (e<br />
quin<strong>di</strong> un credente) a tutta la polvere della storia, a tutto l’impegno<br />
continuo e quoti<strong>di</strong>ano, a tutta la realtà, alle coor<strong>di</strong>nate storico-spaziali<br />
nelle quali noi siamo immersi; ma, dall’altra parte, è assolutamente<br />
necessario che le verità penultime abbiano continuamente come loro<br />
approdo le verità ultime, il <strong>di</strong>vino, perché altrimenti avremmo una<br />
forma <strong>di</strong> storicismo perfino materialistico.<br />
– 17
Devo <strong>di</strong>re che la cultura contemporanea laica sente profondamente<br />
il bisogno - dopo averci visto camminare con essa nell’ambito<br />
delle verità penultime e sperimentare che cosa vuol <strong>di</strong>re il Dio debole<br />
e impotente - che alla fine ci siano quelle parole che sono le parole<br />
estreme, definitive. È necessario che più spesso noi an<strong>di</strong>amo a<br />
riproporre nel nostro annunzio vita e morte, anche se, come <strong>di</strong>cevo<br />
prima, il palato e le orecchie <strong>di</strong> chi ci ascolta, non sono in grado <strong>di</strong><br />
captare appieno questo tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso. Dobbiamo riproporre ancora<br />
bene e male, verità e falsità, menzogna, giustizia e ingiustizia nel<br />
senso alto, l’amore nelle <strong>di</strong>mensioni più alte, dobbiamo riproporre<br />
ancora la Parola <strong>di</strong>vina.<br />
Mai ho visto l’orizzonte anche più refrattario alla cultura <strong>di</strong> matrice<br />
religiosa uscire indenne dalla lettura <strong>di</strong> un testo biblico, sia pure<br />
quando la Bibbia venga considerata in partenza soltanto come la grande<br />
testimonianza della cultura dell’Occidente, il grande alfabeto colorato<br />
in cui tanti artisti hanno intinto il pennello. Per questo motivo<br />
sono le gran<strong>di</strong> verità ultime e la Parola, in tutta la loro forza e grandezza,<br />
ciò che i cristiani dovrebbero più spesso presentare all’umanità<br />
che sta al <strong>di</strong> là degli steccati.<br />
Questo tipo <strong>di</strong> presenza riuscirebbe a creare nell’interno del mondo<br />
che ci circonda almeno una reazione che io ritengo particolarmente<br />
significativa e che non si riesce più a trovare purtroppo ai nostri<br />
giorni. Ed è la reazione che io chiamerei della inquietu<strong>di</strong>ne: riuscire<br />
a stimolare ancora “un timore e tremore acuito dal trovarsi in un<br />
mondo perverso che crocifigge l’amore” (Kierkegaard). Questa inquietu<strong>di</strong>ne<br />
deve essere prima <strong>di</strong> tutto nostra, trovandoci in un mondo<br />
che crocifigge l’amore. Questa inquietu<strong>di</strong>ne, che è ricerca, noi dovremmo<br />
riuscire a trasmetterla e alla fine essa permetterebbe forse<br />
all’uomo <strong>di</strong> oggi <strong>di</strong> tendere verso quello che potremmo chiamare il<br />
nudo Essere, con la E maiuscola, un ultimo punto d’approdo decisivo<br />
e fondamentale.<br />
Ho citato il “nudo Essere” perché vorrei terminare con le parole<br />
<strong>di</strong> un poeta, che mi è stato amico negli ultimi anni della sua vita<br />
e che voi tutti avete conosciuto e che sul problema del rapporto col<br />
mondo della non credenza ha investito anche un po’ della sua libera,<br />
creativa, qualche volta anche <strong>di</strong>scutibile, testimonianza. Intendo<br />
riferirmi a padre David Maria Turoldo. Una poesia contenuta<br />
nei Canti Ultimi, la sua collezione poetica migliore, è in<strong>di</strong>rizzata al<br />
“fratello ateo nobilmente pensoso”, espressione ripresa da Paolo<br />
VI. Con questa poesia vorrei riassumere il mio <strong>di</strong>scorso. Essa invita<br />
a entrare in un pellegrinaggio nell’interno del mondo, <strong>di</strong> quel<br />
18 –
territorio nel quale – <strong>di</strong>ce Turoldo - ci sono le foreste lussureggianti<br />
delle fe<strong>di</strong>, delle religioni. Eppure esse non sono il punto d’approdo<br />
ultimo: noi dobbiamo andare oltre, noi siamo per la visione e la<br />
comunione con Dio, come <strong>di</strong>cono Paolo (1Corinzi 13, 12) e Giovanni<br />
(1Giovanni 3, 2). Dall’altra parte ci sono anche i deserti, quei<br />
deserti che abbiamo rappresentato sotto l’immagine dell’in<strong>di</strong>fferenza,<br />
del grigio e della nebbia.<br />
Alla fine, quando anche morirà la parola, ci sarà il “nudo Essere”,<br />
che è ovviamente l’esperienza del <strong>di</strong>vino e che altri <strong>di</strong>ranno del<br />
trascendente, o più semplicemente del desiderio <strong>di</strong> un oltre che va al<br />
<strong>di</strong> là della pelle, cioè della debolezza e della miseria del quoti<strong>di</strong>ano<br />
entro cui ci intristiamo e ci isteriliamo. Scrive il poeta: “Fratello ateo/<br />
nobilmente pensoso,/ alla ricerca <strong>di</strong> un Dio/ che io non so darti,/<br />
attraversiamo insieme il deserto,/ <strong>di</strong> deserto in deserto/ an<strong>di</strong>amo oltre/<br />
la foresta delle fe<strong>di</strong>,/ liberi e nu<strong>di</strong>,/ verso il nudo Essere./ E là<br />
dove/ la Parola muore/ abbia fine il nostro cammino”.<br />
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20 –
IL POTERE NELLA POLITICA:<br />
RISORSA O TENTAZIONE<br />
FRANCO PASTORE *<br />
Non ho una particolare competenza per parlare dell’argomento.<br />
Non sono un politico e non ho l’esperienza <strong>di</strong> chi si è misurato sul<br />
campo con questa tematica, né sono uno stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> politica o <strong>di</strong><br />
etica. Quin<strong>di</strong> le considerazioni che farò non hanno alcuna pretesa <strong>di</strong><br />
completezza o sistematicità. Possiamo considerarle semplicemente<br />
come l’introduzione alla <strong>di</strong>scussione che certamente sarà più ricca e<br />
significativa.<br />
Il tema, al <strong>di</strong> là delle specificazioni che assume in riferimento<br />
alla politica, pone interrogativi <strong>di</strong> natura etica sul rapporto con il<br />
potere <strong>di</strong> quanti, e sono tanti, occupano e gestiscono posizioni <strong>di</strong><br />
potere. Io stesso che faccio il magistrato, chiamato ad esercitare nel<br />
mio lavoro quoti<strong>di</strong>ano il potere giuris<strong>di</strong>zionale, dovrei chiedermi: il<br />
potere per me è risorsa o tentazione è strumento per affermare la<br />
giustizia nel caso concreto o è strumento <strong>di</strong> prevaricazione e mortificazione<br />
<strong>di</strong> chi è chiamato a subire il mio giu<strong>di</strong>zio o ancora è un<br />
trampolino <strong>di</strong> lancio per acquisire posizioni <strong>di</strong> prestigio e notorietà<br />
al <strong>di</strong> fuori dell’ambito professionale<br />
Ma il problema del rapporto con il potere riguarda tante altre<br />
persone che pure non sono investite <strong>di</strong> pubbliche funzioni.<br />
Pensiamo al rapporto me<strong>di</strong>co-paziente.<br />
Nell’ambito <strong>di</strong> una relazione che non ha alcun connotato<br />
pubblicistico, che vede i due soggetti in un rapporto <strong>di</strong> assoluta parità<br />
formale, uno dei due – il me<strong>di</strong>co – si trova in una posizione <strong>di</strong><br />
potere che gli deriva da due fattori:<br />
1) dal fatto <strong>di</strong> avere nelle proprie mani uno dei beni più importanti<br />
dell’altra persona: la salute; 2) dal fatto che l’altro, normalmente<br />
a <strong>di</strong>giuno <strong>di</strong> cognizioni <strong>di</strong> scienza me<strong>di</strong>ca, non ha alcun potere <strong>di</strong><br />
controllo sul suo operato: si deve fidare!<br />
E pensiamo al rapporto tra il maestro e l’alunno nel quale il secondo,<br />
in situazione <strong>di</strong> assoluta <strong>di</strong>pendenza, pone non solo la propria<br />
* Relazione tenuta il 15 Dicembre 2000.<br />
– 21
istruzione ma la sua stessa personalità in formazione nelle mani del<br />
primo.<br />
Venendo più specificamente al tema della riflessione, mi sembra<br />
<strong>di</strong> poter innanzitutto affermare che la prima caratteristica del potere<br />
è che esso si presenta come un dato necessario ed ineliminabile dell’agire<br />
politico: «la convivenza fra gli esseri umani non può essere<br />
or<strong>di</strong>nata e feconda se in essa non è presente un’autorità legittima che<br />
assicuri l’or<strong>di</strong>ne e contribuisca all’attuazione del bene comune in<br />
grado sufficiente» (Pacem in terris, 46).<br />
La seconda caratteristica del potere politico è quella <strong>di</strong> potersi<br />
imporre, in casi estremi, anche con l’uso o la minaccia della forza.<br />
Questo tratto <strong>di</strong>fferenzia profondamente il potere politico dalle forme<br />
<strong>di</strong> potere a cui ho fatto cenno prima. Si tratta perciò <strong>di</strong> un potere<br />
invasivo e potenzialmente in grado <strong>di</strong> interferire ed incidere profondamente<br />
sui <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> libertà della persona.<br />
L’interrogativo se il potere sia risorsa o tentazione si pone allora<br />
non solo sul piano soggettivo dell’agire politico in<strong>di</strong>viduale ma anche<br />
sul piano oggettivo dell’organizzazione del potere.<br />
A questo primo livello, credo che il potere sia risorsa quando la<br />
politica è orientata al bene comune inteso come «l’insieme <strong>di</strong> quelle<br />
con<strong>di</strong>zioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli<br />
membri, <strong>di</strong> raggiungere la propria perfezione più pienamente e<br />
più spe<strong>di</strong>tamente» (GS 26). In sostanza, il bene comune implica tre<br />
elementi essenziali: il rispetto della persona umana, il benessere sociale<br />
e la pace.<br />
Innanzitutto il rispetto della persona in quanto tale. In nome del<br />
bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i <strong>di</strong>ritti fondamentali<br />
ed inalienabili della persona umana. Ogni persona, in quanto<br />
tale, in<strong>di</strong>pendemente dal sesso, dalla razza, dall’età, dalla religione,<br />
dalla con<strong>di</strong>zione sociale, ecc..., è titolare <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong>ritti innati che<br />
non gli possono essere negati. Nel nostro or<strong>di</strong>namento, questa esigenza<br />
trova espresso riconoscimento nell’articolo 2 della Costituzione<br />
che afferma che «la Repubblica riconosce e garantisce i <strong>di</strong>ritti<br />
inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali<br />
ove si svolge la sua personalità». L’espressione “riconosce” sta a significare<br />
che lo Stato prende atto del fatto che la persona ha un nucleo<br />
fondamentale <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti che le derivano dal solo fatto <strong>di</strong> essere<br />
persona. Diritti che lo Stato può solo proteggere e promuovere ma<br />
non eliminare.<br />
In secondo luogo, il bene comune richiede il benessere sociale e<br />
lo sviluppo del gruppo stesso. La politica, pur nella necessaria opera<br />
22 –
<strong>di</strong> selezione e me<strong>di</strong>azione tra interessi particolari, deve rendere accessibile<br />
a tutti e a ciascuno ciò <strong>di</strong> cui ha bisogno per condurre una<br />
vita veramente umana: vitto, alloggio, vestito, salute, lavoro, educazione<br />
e cultura, informazione conveniente, <strong>di</strong>ritto a fondare una famiglia.<br />
Anche questa esigenza trova eco nella Carta costituzionale<br />
che, non solo riconosce espressamente il <strong>di</strong>ritto al lavoro e ad una<br />
retribuzione che sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla<br />
famiglia una esistenza libera e <strong>di</strong>gnitosa, il <strong>di</strong>ritto alla salute, all’istruzione,<br />
alla famiglia, al mantenimento e all’assistenza sociale, ma che<br />
impegna la Repubblica (quin<strong>di</strong>, non solo lo Stato, ma tutte le istituzioni<br />
anche locali) «a rimuovere gli ostacoli <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne economico e<br />
sociale che, limitando <strong>di</strong> fatto la libertà e l’uguaglianza dei citta<strong>di</strong>ni,<br />
impe<strong>di</strong>scono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione<br />
<strong>di</strong> tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica<br />
e sociale del Paese» (art. 3/2 Cost.), in<strong>di</strong>cando un programma <strong>di</strong><br />
promozione umana che dovrebbe costituire la cornice entro cui inserire<br />
le scelte politiche contingenti.<br />
Il bene comune, infine, implica la pace, cioè la stabilità e la sicurezza<br />
<strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne giusto. Suppone che l’autorità garantisca, con mezzi<br />
onesti, la sicurezza della società e quella dei suoi membri. Implica<br />
inoltre rapporti <strong>di</strong> pacifica convivenza con gli altri popoli e nazioni.<br />
Infatti, quando il benessere materiale e spirituale <strong>di</strong> un Paese è fondato<br />
sul bene comune, non tollera lo sfruttamento <strong>di</strong> popoli <strong>di</strong> altri<br />
Paesi.<br />
Il bene comune è naturalmente inclusivo e tende a farsi carico<br />
dei problemi dello sviluppo <strong>di</strong> aree del mondo più povere. In questo<br />
ambito si situano tutte le questioni legate al tema della remissione<br />
del debito internazionale da parte dei Paesi ricchi o dello sfruttamento<br />
del lavoro minorile ed in generale delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> miseria <strong>di</strong><br />
gran parte della nostra umanità.<br />
In definitiva si può <strong>di</strong>re che il potere è risorsa quando è strumentalmente<br />
orientato al perseguimento del bene comune. Ma affinché il<br />
potere sia orientato al bene comune, è necessario che non sia un potere<br />
tirannico e totalitario. Occorre invece che sia limitato, cioè regolamentato,<br />
controllato e controllabile. Che sia cioè un potere democratico.<br />
In questa prospettiva, la democrazia appare come una forma <strong>di</strong><br />
governo fondata non sulla negazione del potere ma sulla sua circoscrizione,<br />
limitazione e <strong>di</strong>ffusione, me<strong>di</strong>ante un delicato sistema <strong>di</strong><br />
pesi e contrappesi nel quale il potere politico, per un verso, si articola<br />
in una pluralità <strong>di</strong> se<strong>di</strong> e istituzioni, per altro verso, accetta esso<br />
– 23
stesso <strong>di</strong> assoggettarsi alla legge che ne ragolamenta le modalità <strong>di</strong><br />
esercizio e prevede gli strumenti <strong>di</strong> controllo: è il principio dello Stato<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto e della separazione dei poteri su cui si fondano le moderne<br />
democrazie che, al <strong>di</strong> là delle specifiche <strong>di</strong>fferenze, sono caratterizzate<br />
dal fatto che la sovranità appartiene al popolo e che i poteri che tra<strong>di</strong>zionalmente<br />
esprimono la sovranità stessa (esecutivo, legislativo e giu<strong>di</strong>ziario)<br />
mettono capo a organi tra loro in<strong>di</strong>pendenti.<br />
Altri profili del potere democratico sono costituiti dalla temporaneità<br />
delle cariche elettive, dalla partecipazione del popolo non solo<br />
me<strong>di</strong>ante libere elezioni ma anche attraverso istituti <strong>di</strong> democrazia <strong>di</strong>retta<br />
quali i referendum, dalla istituzione <strong>di</strong> un particolare organo giu<strong>di</strong>ziario,<br />
quale la Corte Costituzionale, chiamato a <strong>di</strong>rimere i conflitti<br />
tra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le altre comunità locali dotate <strong>di</strong><br />
larga sfera <strong>di</strong> autonomia rispetto allo Stato stesso (in Italia le Regioni),<br />
nonché a effettuare il controllo <strong>di</strong> legalità costituzionale sulle leggi, al<br />
fine <strong>di</strong> salvaguardare l’inviolabilità dei <strong>di</strong>ritti fondamentali della persona<br />
dalla possibile tirannia della maggioranza parlamentare.<br />
Di questa esigenza tennero conto i Padri costituenti allorché, dopo<br />
aver fissato i principi fondamentali della Costituzione, passarono ad<br />
occuparsi, nella sua seconda parte, dell’assetto istituzionale da dare<br />
al Paese. Si <strong>di</strong>sse che «è la struttura stessa dello Stato democratico<br />
che, con il riconoscimento della sovranità popolare, con la <strong>di</strong>visione<br />
dei poteri, con il primato del legislativo, la stabilità dell’esecutivo,<br />
l’in<strong>di</strong>pendenza del giu<strong>di</strong>ziario, nonché con il decentramento amministrativo,<br />
le autonomie locali ed il regionalismo, deve contribuire a<br />
garantirci l’esercizio sicuro e permanente delle libertà» (Gonella). Si<br />
osservò anche «che la struttura organizzativa <strong>di</strong> uno Stato orientato<br />
in senso liberistico non può, nella sua sostanza, non essere sostanzialmente<br />
<strong>di</strong>versa da quella propria <strong>di</strong> uno Stato che si proponga fini<br />
<strong>di</strong> intervento più o meno penetranti nella sfera dei rapporti sociali,<br />
onde correggere o attenuare gli effetti del gioco spontaneo dei medesimi»<br />
(Mortati).<br />
Come è noto il recente <strong>di</strong>battito sulle riforme istituzionali ha rimesso<br />
in gran parte in <strong>di</strong>scussione l’assetto dei poteri delineato nella<br />
seconda parte della Costituzione.<br />
Senza addentrarmi in questioni particolari, vorrei segnalare che<br />
le vicende degli ultimi anni hanno messo in rilievo due profili<br />
problematici che andrebbero affrontati e risolti per garantire quella<br />
precon<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne sociale necessaria all’equilibrio della vita<br />
politica e che riguardano rispettivamente il rapporto tra politica ed<br />
economia e politica ed informazione.<br />
24 –
Con riferimento al rapporto tra politica ed economia sembra avvertirsi<br />
la malcelata pretesa dell’economia <strong>di</strong> emanciparsi da ogni<br />
regola giuri<strong>di</strong>ca. La politica dovrebbe astenersi dall’interferire con i<br />
meccanismi del mercato e della concorrenza. Mentre il potere politico<br />
resta circoscritto all’ambito del territorio dello Stato, il potere<br />
economico si atteggia a potere sopranazionale che sfugge alla<br />
regolamentazione dei singoli Stati. La possibilità <strong>di</strong> spostare in poche<br />
ore ingenti capitali dalla Borsa <strong>di</strong> una nazione all’altra (con ciò<br />
influenzando pesantemente la ricchezza <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> e piccoli investitori),<br />
<strong>di</strong> allocare la produzione là dove il costo del lavoro è più basso<br />
(senza alcuna considerazione per i <strong>di</strong>ritti fondamentali dei lavoratori,<br />
spesso poco più che bambini), <strong>di</strong> influenzare le stesse politiche<br />
economiche dei governi nazionali (attraverso le pressioni più o meno<br />
occulte delle varie lobbies) ecc..., rivelano tutta la potenza del potere<br />
economico tanto che c’è chi in<strong>di</strong>vidua il tratto qualificante della<br />
globalizzazione, non nella intensificazione <strong>di</strong> relazioni sociali mon<strong>di</strong>ali<br />
che collegano tra loro località <strong>di</strong>stanti facendo sì che gli eventi<br />
locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia <strong>di</strong><br />
chilometri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, ma in un travaso <strong>di</strong> poteri dagli Stati verso le<br />
istituzioni economiche.<br />
Occorre invece che la politica riaffermi il proprio primato sul<br />
potere economico perché, se è vero che il fondamento ed il fine della<br />
politica è il bene comune, non è possibile sottrarre al suo governo un<br />
settore, come quello dell’economia, capace <strong>di</strong> incidere così profondamente<br />
sulle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita delle persone. Di qui l’esigenza <strong>di</strong><br />
assicurare, sul piano degli or<strong>di</strong>namenti nazionali, l’in<strong>di</strong>pendenza della<br />
politica dall’economia (c’è qui il tema del cd. conflitto <strong>di</strong> interessi <strong>di</strong><br />
chi aspira a governare un Paese), e <strong>di</strong> creare, sul piano degli or<strong>di</strong>namenti<br />
sopranazionali, delle istituzioni in grado <strong>di</strong> dettare regole vincolanti<br />
per il maggior numero possibile <strong>di</strong> Stati (c’è qui il tema delle<br />
costituzioni sopranazionali, del ruolo e del potere dell’ONU, della<br />
Comunità Europea e delle altre organizzazioni internazionali).<br />
In relazione al rapporto tra politica ed informazione, si è messo<br />
in evidenza il ruolo con<strong>di</strong>zionante che i mass-me<strong>di</strong>a hanno nella formazione<br />
(anche) del consenso politico. Di qui l’esigenza <strong>di</strong> assicurare<br />
l’accesso ai mezzi <strong>di</strong> informazione in modo paritario ai vari contendenti<br />
politici, nonché l’esigenza <strong>di</strong> evitare che chi abbia posizioni<br />
<strong>di</strong> potere nel campo dell’informazione possa avvantaggiarsene quando<br />
scende nel campo della politica. E questa esigenza, ancorché sembri<br />
riferita ad un ben in<strong>di</strong>viduato personaggio politico, in realtà è un’esigenza<br />
<strong>di</strong> carattere più generale che attiene alla fondamentale neces-<br />
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sità <strong>di</strong> evitare che una persona possa esercitare impropriamente, nella<br />
politica, il potere acquisito in un <strong>di</strong>verso ambito, oppure che si<br />
eserciti in modo strumentale un certo potere, per poter poi “scendere”<br />
in politica. Pensiamo, ad es., al magistrato che esercita in modo<br />
strumentale il potere giuris<strong>di</strong>zionale come trampolino <strong>di</strong> lancio per<br />
la futura carriera politica. Oppure all’ex magistrato che, sceso in politica,<br />
si avvale in questo ambito del potere giuris<strong>di</strong>zionale esercitato<br />
in precedenza (ad es. me<strong>di</strong>ante l’uso <strong>di</strong> conoscenze acquisite proprio<br />
in ambito professionale).<br />
In questi casi tutto il sistema corre seriamente il rischio <strong>di</strong> essere<br />
delegittimato e non cre<strong>di</strong>bile agli occhi dei citta<strong>di</strong>ni.<br />
Per chiudere sul punto, vorrei fare un cenno anche sul tormentato<br />
rapporto tra politica e magistratura che si arricchisce quasi quoti<strong>di</strong>anamente<br />
<strong>di</strong> nuove occasioni <strong>di</strong> polemica (da ultimo le <strong>di</strong>chiarazioni<br />
del Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati sulla legittimità<br />
a governare <strong>di</strong> un noto personaggio politico).<br />
Senza entrare nei dettagli, la vicenda mi pare sintomatica <strong>di</strong> una<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> crisi che andrebbe superata al più presto, perché, delle<br />
due l’una: se fossimo effettivamente <strong>di</strong> fronte al <strong>di</strong>segno politico <strong>di</strong><br />
una parte della magistratura <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re che una certa parte politica<br />
giunga al governo del Paese, saremmo in presenza <strong>di</strong> una grave, indebita<br />
e strumentale interferenza <strong>di</strong> un potere nel libero <strong>di</strong>spiegarsi<br />
della competizione politica. Se, invece, fossimo in presenza del <strong>di</strong>segno<br />
politico <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>mensionare i poteri della magistratura come ritorsione<br />
alle vicende giu<strong>di</strong>ziarie che hanno svelato il malaffare politico-amministrativo,<br />
saremmo in presenza <strong>di</strong> un altrettanto inaccettabile<br />
tentativo della politica <strong>di</strong> sottrarsi al controllo <strong>di</strong> legalità.<br />
Ho indugiato su questi profili, per sottolineare come la questione<br />
delle riforme istituzionali non sia una questione tecnica o <strong>di</strong> mera<br />
ingegneria costituzionale, perché l’assetto organizzativo del potere<br />
non è neutrale rispetto al suo essere funzionale al bene comune.<br />
Ma, per quanto sofisticato possa essere un sistema democratico<br />
nel quale il potere sia organizzato in termini <strong>di</strong> funzionalità al bene<br />
comune, resta decisiva la coscienza e la responsabilità dell’in<strong>di</strong>viduo<br />
che agisce in politica e che può usare in modo improprio e <strong>di</strong>storto<br />
il potere connesso alla politica, in <strong>di</strong>spregio <strong>di</strong> ogni buona norma<br />
giuri<strong>di</strong>ca. In definitiva, la realizzazione del bene comune passa<br />
attraverso l’azione concreta delle persone che fanno politica.<br />
In tal modo l’interrogativo si sposta al livello in<strong>di</strong>viduale: per me<br />
consigliere comunale, sindaco, ministro, parlamentare, ecc..., il potere<br />
è risorsa o tentazione<br />
26 –
Abbiamo tanti esempi <strong>di</strong> politici che hanno testimoniato, anche a<br />
caro prezzo, come il potere possa essere risorsa e non tentazione. C’è<br />
chi è morto per mano dei brigatisti e chi per mano dei mafiosi. Ci<br />
sono tantissimi politici sconosciuti all’opinione pubblica che, ad ogni<br />
livello (consiglieri comunali, sindaci, parlamentari...), de<strong>di</strong>cano all’attività<br />
politica con generosità il loro tempo, la loro intelligenza, la<br />
loro tenacia, la loro professionalità, sacrificando affetti, famiglia, sol<strong>di</strong><br />
ecc... lontano dalla notorietà <strong>di</strong> cui godono i (tutto sommato) pochi<br />
politici che hanno ruoli <strong>di</strong> preminenza nel governo e nei partiti.<br />
Ma ci sono stati e ci sono anche numerosi esempi <strong>di</strong> politici che<br />
hanno ceduto alla tentazione <strong>di</strong> potere lasciandosi corrompere, utilizzando<br />
in modo strumentale la funzione esercitata, favorendo amici<br />
e parenti e clienti quando c’era da <strong>di</strong>stribuire risorse, posti <strong>di</strong> lavoro,<br />
denaro pubblico ecc... In molti casi, la degenerazione ha assunto<br />
ad<strong>di</strong>rittura le caratteristiche del sistema. Di conseguenza, anche sul<br />
piano dell’agire politico in<strong>di</strong>viduale c’è da chiedersi a quali con<strong>di</strong>zioni<br />
il potere è risorsa e non tentazione.<br />
Senza pretesa <strong>di</strong> dare lezioni, credo che il politico debba innanzitutto<br />
conoscere ed essere competente. È necessaria una competenza<br />
che nasce da preparazione professionale qualificata, aggiornata,<br />
capace <strong>di</strong> invenzione continua e che sappia coniugarsi proficuamente<br />
anche con altre garanzie <strong>di</strong> moralità, <strong>di</strong> chiarezza <strong>di</strong> collaborazione.<br />
Non ci si può inserire adeguatamente nelle istituzioni tipiche della<br />
nostra vita sociale e non si può operare efficacemente in esse se<br />
non si è scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente<br />
esperti. La politica non può essere mera testimonianza o<br />
declamazione <strong>di</strong> principi e valori senza capacità <strong>di</strong> attuare le me<strong>di</strong>azioni<br />
necessarie per tradurli in leggi, riforme, provve<strong>di</strong>menti. Tante<br />
volte abbiamo avuto la sensazione che chi ha fatto una legge o un<br />
provve<strong>di</strong>mento non conoscesse ciò <strong>di</strong> cui si è occupato. La mancanza<br />
<strong>di</strong> conoscenza o, peggio, la decisione assunta sulla base <strong>di</strong> un pregiu<strong>di</strong>zio<br />
ideologico o religioso o del con<strong>di</strong>zionamento <strong>di</strong> interessi<br />
corporativi sta alla base del fallimento <strong>di</strong> tante riforme e dello<br />
scollamento tra paese legale e paese reale e della <strong>di</strong>saffezione della<br />
gente dalla politica che non appare capace <strong>di</strong> risolvere i problemi.<br />
Il politico poi deve scegliere. Spesso per non perdere consenso<br />
<strong>di</strong>ce sì a tutti e non sceglie. Io non credo che il consenso è lo strumento<br />
attraverso cui il politico afferma le sue idee e i suoi programmi.<br />
Il politico non può <strong>di</strong>re: datemi il voto e farò tutto ciò che volete.<br />
Deve <strong>di</strong>re cosa farà e cosa non farà, in<strong>di</strong>cando le priorità del suo<br />
agire.<br />
– 27
Ogni scelta comporta un progetto e un coinvolgimento personale:<br />
chi sceglie si compromette, non è al <strong>di</strong> fuori. Dunque ogni scelta<br />
richiede saggezza e coraggio.<br />
In politica la scelta, il saper decidere, comporta anche riconoscere<br />
una scala <strong>di</strong> valori e puntare ai più elevati <strong>di</strong> essi. Lo scegliere va<br />
evidentemente contro una delle caratteristiche più negative <strong>di</strong> un certo<br />
modo <strong>di</strong> fare politica: il trasformismo! Uomini buoni per ogni politica<br />
e per ogni stagione della politica. Ma l’abito virtuoso dello scegliere<br />
va anche contro un altro elemento negativo della politica: il<br />
corporativismo degli interessi.<br />
Scegliere significa andare contro qualcuno, o meglio optare per<br />
il bene che è superiore, che è comune, con sacrificio <strong>di</strong> qualcuno, <strong>di</strong><br />
qualche bene particolare che è egoistico, settoriale, corporativo. Scegliere<br />
è un valore altamente morale ed umano ed è il modo tipico <strong>di</strong><br />
essere e <strong>di</strong> agire <strong>di</strong> chi è capace <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are tra l’analisi della realtà e<br />
il progetto per il futuro, tenendo conto della gente che ha <strong>di</strong> fronte.<br />
Può sembrare poi banale richiamare l’esigenza che il politico sia<br />
uomo d’azione eppure spesso la politica si riduce a mere <strong>di</strong>chiarazioni<br />
<strong>di</strong> intento non seguite dai fatti concreti. Alle decisioni devono<br />
seguire i fatti. Pensiamo a tutto ciò che si è detto sulla necessità delle<br />
riforme istituzionali o <strong>di</strong> una nuova legge elettorale e alla situazione<br />
<strong>di</strong> impasse in cui ci troviamo. La incapacità <strong>di</strong> far seguire i fatti alle<br />
promesse è una delle cause più importanti della sfiducia della gente<br />
nella politica e fomenta un senso <strong>di</strong> rassegnazione e <strong>di</strong> impotenza<br />
nella possibilità <strong>di</strong> risolvere i problemi.<br />
Infine, la politica va fatta con rigore morale, spirito <strong>di</strong> servizio e<br />
stile <strong>di</strong> gratuità.<br />
Il politico deve essere persona onesta, <strong>di</strong>sinteressata, non legata<br />
alla carica e al potere. Deve essere rispettoso dell’altro e delle idee<br />
<strong>di</strong>verse dalle sue. Deve essere persona interiormente libera e aperta<br />
ad accogliere ogni contributo che concorre a realizzare il bene comune,<br />
nella consapevolezza che anche l’avversario politico può essere<br />
portatore <strong>di</strong> un pezzettino più o meno grande <strong>di</strong> verità. Ma deve<br />
anche saper essere intransigente quando vengono in gioco i <strong>di</strong>ritti<br />
fondamentali degli ultimi e dei deboli perché tra<strong>di</strong>rebbe la ragione<br />
stessa della politica se <strong>di</strong>sponesse dei <strong>di</strong>ritti degli ultimi a vantaggio<br />
degli interessi forti. Egli non deve porsi alcun fine <strong>di</strong> tornaconto personale<br />
nell’agire politico. E non dovrà mai pretendere una ricompensa<br />
per ciò che fa. Inten<strong>di</strong>amoci: non metto in <strong>di</strong>scussione il <strong>di</strong>ritto<br />
a percepire stipen<strong>di</strong> e/o indennità per l’attività svolta. Voglio però<br />
<strong>di</strong>re che il politico deve mettere in conto una sproporzione tra ciò<br />
28 –
che dà con il suo servizio e ciò che riceve, sia in termini economici<br />
che in termini <strong>di</strong> gratificazione umana. Anzi dovrà mettere nel conto<br />
anche l’offesa, la mal<strong>di</strong>cenza, l’ingratitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> quanti vorranno colpirlo<br />
e scre<strong>di</strong>tarlo, magari, proprio a ragione della sua onestà e del<br />
suo rigore morale. Se spesso nel concreto dell’agire politico gli atteggiamenti<br />
che ho descritto sono sembrati perdenti è perché in tanti<br />
ci siamo limitati a denunciare che la politica è una “cosa sporca” e,<br />
per non sporcarci le mani, abbiamo lasciato il campo libero a chi<br />
vive il potere della politica come tentazione. Ma questo atteggiamento<br />
non è più consentito. Di fronte alle gran<strong>di</strong> e piccole ingiustizie<br />
che ogni giorno si commettono nei nostri paesi, così come nel<br />
mondo intero, <strong>di</strong> fronte alle violenze, alle guerre, alle <strong>di</strong>scriminazioni...<br />
nessuno <strong>di</strong> noi può <strong>di</strong>re: io non sapevo, io non immaginavo,<br />
perché i giornali, la TV, internet portano nelle nostre case tutte le<br />
miserie del mondo contemporaneo. L’assenza è oggettivamente una<br />
complicità con chi cede alle tentazioni del potere e trasforma la politica<br />
da strumento <strong>di</strong> promozione umana a strumento <strong>di</strong> oppressione.<br />
E, se per tutti l’assenza è complicità, per il cristiano l’assenza è anche<br />
peccato <strong>di</strong> omissione: «Allora il Re <strong>di</strong>rà a quelli che stanno alla<br />
sua destra: Venite benedetti dal Padre mio, prendete possesso del<br />
Regno preparato per voi sin dall’origine del mondo. Poiché ebbi fame<br />
e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, ero pellegrino e<br />
mi ospitaste, nudo e mi copriste, infermo e mi visitaste, ero in carcere<br />
e veniste a trovarmi. Allora i giusti <strong>di</strong>ranno: Signore quando ti<br />
vedemmo affamato e ti demmo da mangiare, assetato e ti demmo da<br />
bere Quando ti vedemmo pellegrino e ti ospitammo Nudo e ricoprimmo<br />
Quando ti vedemmo infermo o in carcere e venimmo a<br />
trovarti E il Re risponderà loro: in verità vi <strong>di</strong>co: tutto quello che<br />
avete fatto a uno dei più piccoli <strong>di</strong> questi miei fratelli, l’avete fatto a<br />
me» (Mt. 25, 34-40).<br />
A me piace pensare al potere come a una risorsa della politica<br />
per scrivere questa pagina <strong>di</strong> Vangelo nella storia degli uomini <strong>di</strong><br />
oggi.<br />
– 29
30 –
LE FATICHE DI SISIFO DEI CATTOLICI IN POLITICA<br />
PIERO CASILLO*<br />
Premessa<br />
Voglio preliminarmente evidenziare il solco in cui mi muovo con<br />
le riflessioni che vengo a proporvi, anche per segnarne il limite.<br />
Quando si parla <strong>di</strong> politica, infatti, si pensa subito ai partiti e alle<br />
istituzioni, al governo e al potere. E <strong>di</strong>co subito che è alla politica in<br />
tale accezione comune che si intendono riferire le presenti riflessioni.<br />
Non bisogna <strong>di</strong>menticare, però, che vi sono due concetti <strong>di</strong>versi,<br />
<strong>di</strong>stinti <strong>di</strong> politica.<br />
Il primo attiene alla politica nel suo significato più ampio (la politica<br />
c.d. con la P maiuscola) nel senso cioè <strong>di</strong> cultura politica: “Ad<br />
essa, in effetti, spetta precisare i valori fondamentali <strong>di</strong> ogni comunità,<br />
conciliando l’uguaglianza con la libertà, l’autorità pubblica con la legittima<br />
autonomia e partecipazione delle persone e dei gruppi, la sovranità<br />
nazionale con la convivenza e la solidarietà internazionale. Essa<br />
definisce anche i mezzi e l’etica dei rapporti sociali” 1 .<br />
Dunque, nel contesto <strong>di</strong> questa prima più ampia accezione, rientrano<br />
nel concetto <strong>di</strong> Politica pure le attività sociali, quelle assistenziali,<br />
<strong>di</strong> volontariato, <strong>di</strong> ispirazione religiosa e culturale, non elaborate<br />
<strong>di</strong>rettamente dai partiti e dalle istituzioni dello Stato,ma nate<br />
spontaneamente dall’impegno sociale dei mon<strong>di</strong> vitali. Naturalmente,<br />
in tale senso ampio la politica interessa anche la chiesa e pertanto<br />
i suoi pastori, ministri dell’unità. La chiesa, in questo senso, fa politica<br />
contribuendo a promuovere i valori che devono ispirare la prassi<br />
politica.<br />
La seconda accezione <strong>di</strong> politica, come accennavo, è quella usata<br />
più comunemente: ci si riferisce, cioè, alla prassi dei partiti, dei sindacati,<br />
del governo, delle istituzioni, al loro programma <strong>di</strong> cose da<br />
fare, alla traduzione tecnica dei valori, dei bisogni e delle aspirazioni<br />
della società civile, da coor<strong>di</strong>nare in vista del bene comune.<br />
* Conferenza tenuta il 30 Aprile 2002.<br />
1<br />
Puebla Comunione e partecipazione AVE, Roma, 1979, n. 521 (documento<br />
finale della terza Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano).<br />
– 31
E’ la politica con la p minuscola. E’ la prassi politica che viene<br />
dopo la cultura politica, nel senso che la suppone e la traduce in<br />
pratica operativa.<br />
Questa politica partitica è il campo proprio dei laici.<br />
Quin<strong>di</strong>, Politica (con la P maiuscola) e politica (con la p minuscola)<br />
sono due aspetti <strong>di</strong>stinti ma tra <strong>di</strong> loro inseparabili della stessa<br />
realtà. A tal punto che la rottura tra cultura politica e prassi politica<br />
porta alla crisi della politica in sé. Di conseguenza, quando i protagonisti<br />
della politica (i partiti in particolare) perdono il collegamento<br />
con il proprio retroterra sociale e culturale, sono destinati a morire.<br />
Tali precisazioni aiutano a “comprendere che cosa si deve precisamente<br />
intendere quando i documenti della chiesa parlano dei <strong>di</strong>versi<br />
mo<strong>di</strong> della presenza sociale (e politica) dei fedeli laici e della<br />
comunità cristiana; quando parlano cioè <strong>di</strong> scelta sociopolitica dei<br />
primi e <strong>di</strong> scelta religiosa della seconda; oppure quando parlano <strong>di</strong><br />
possibile o anche <strong>di</strong> necessaria supplenza politica da parte della chiesa<br />
in determinate situazioni <strong>di</strong> emergenza; quando parlano, infine, dell’urgenza<br />
d’investire uomini e mezzi nell’opera <strong>di</strong> formazione dei<br />
fedeli laici sia all’impegno sociale e politico, sia allo stile cristiano<br />
<strong>di</strong> fare politica, istituendo luoghi d’incontro e <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo per quanti<br />
desiderano confrontarsi e prepararsi a <strong>di</strong>venire costruttori e protagonisti<br />
della civiltà dell’amore” 2 .<br />
1. BREVE EXCURSUS STORICO DELLA PRESENZA DEI CATTOLICI NELLA POLITI-<br />
CA ITALIANA<br />
Riprendo da un libro del 1991 <strong>di</strong> Bartolomeo Sorge 3 il profilo<br />
storico sino agli inizi degli anni ottanta.<br />
La nascita nel 1944 della DC <strong>di</strong> De Gasperi si lega strettamente<br />
all’esperienza del PPI (soppresso da Mussolini nel 1926). Secondo<br />
l’intuizione <strong>di</strong> Sturzo il primo elemento essenziale <strong>di</strong> una presenza<br />
politica dei cattolici doveva essere quello <strong>di</strong> una chiara ispirazione<br />
cristiana. Il punto VIII del Programma del Partito Popolare afferma<br />
inequivocabilmente che “la coscienza cristiana va considerata come<br />
fondamento e presi<strong>di</strong>o della vita della nazione, delle libertà popolari<br />
e delle ascendenti conquiste della civiltà nel mondo” 4 . Tale fedeltà<br />
2<br />
B. Sorge, Per una civiltà dell’amore: La proposta sociale della Chiesa.<br />
Queriniana, Brescia, 1966, pag. 190.<br />
3<br />
Cattolici e politica, Armando e<strong>di</strong>tore, Roma<br />
4<br />
cfr. Civiltà Cattolica, 1919 I 250-254<br />
32 –
all’ispirazione cristiana va però vissuta, secondo Sturzo, nel pieno<br />
rispetto dell’aconfessionalità del partito. Nella relazione al primo<br />
congresso del Ppi, tenuto a Bologna il <strong>14</strong> giugno 1919, Sturzo afferma<br />
che “Non possiamo trasformarci da partito politico in or<strong>di</strong>namento<br />
<strong>di</strong> Chiesa, né abbiamo <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> parlare in nome della Chiesa,<br />
né possiamo essere <strong>di</strong>pendenza ed emanazione <strong>di</strong> organismi ecclesiastici,<br />
né possiamo avvalorare della forza della Chiesa la nostra<br />
organizzazione politica… nelle <strong>di</strong>verse attività e nelle forti battaglie,<br />
che solo in nome nostro dobbiamo e possiamo combattere, sul medesimo<br />
terreno degli altri partiti con noi in contrasto”.<br />
Ulteriore elemento dell’identità del partito, secondo Sturzo, era<br />
la sua <strong>di</strong>mensione popolare, l’interclassismo vissuto non in modo<br />
statico bensì <strong>di</strong>namico, al fine della promozione dei ceti più deboli<br />
ed emarginati. Il quarto elemento identificativo era la democrazia,<br />
dovendo il partito d’ispirazione popolare mantenere il suo collegamento<br />
con tutte le masse popolari, a <strong>di</strong>fferenza dei partiti liberali,<br />
espressione dei dominanti ceti borghesi.<br />
Tale concezione <strong>di</strong> partito non era ben vista da tanti nella stessa<br />
Chiesa. Anche De Gasperi si trovò, con la DC, a fronteggiare, all’esterno,<br />
i problemi posti dalla ricostruzione postbellica e da un mondo<br />
<strong>di</strong>viso in blocchi; e, all’interno, un laicato cattolico che, durante il<br />
ventennio fascista, pur riuscendo a sopravvivere, non era riuscito<br />
comunque a sviluppare una visione politica autonoma. I cattolici,<br />
infatti, durante il ventennio, dovettero astenersi da ogni impegno<br />
politico, per de<strong>di</strong>carsi esclusivamente alla formazione religiosa; i laici,<br />
secondo la visione che allora si aveva dell’Azione Cattolica (la massima<br />
organizzazione del laicato), erano collaboratori della gerarchia<br />
nell’apostolato, <strong>di</strong>pendendo totalmente dal clero.<br />
1.1. Primo periodo (1946-1958). L’iniziativa della Gerarchia.<br />
E’ caratterizzato dalla ricostruzione post-bellica e dal centrismo.<br />
La Chiesa, che era rimasta l’unica grande forza morale e sociale<br />
sopravvissuta al fascismo, era punto <strong>di</strong> riferimento <strong>di</strong> una nazione<br />
sbandata, per cui esercitava una funzione <strong>di</strong> supplenza anche politica,<br />
tra l’altro in un contesto internazionale dominato dal conflitto tra<br />
la democrazia occidentale e il comunismo sovietico. Nacque così il<br />
blocco cattolico apertamente sostenuto da Pio XII. Questo pose<br />
un’ipoteca pesante sulla presenza dei cattolici in politica che si tradusse<br />
in una gestione (per conto della gerarchia) <strong>di</strong> un progetto in<br />
funzione essenzialmente anticomunista. Così la DC degasperiana,<br />
– 33
che ebbe senz’altro il merito <strong>di</strong> acquisire alla democrazia larghe masse<br />
<strong>di</strong> cattolici, non riuscì però ad attuare larghi tratti del progetto politico<br />
sturziano, specie con riguardo allo sviluppo della laicità dell’impegno<br />
politico dei cattolici.<br />
1.2. Secondo periodo (1958-1963). L’iniziativa del partito.<br />
Prima con Fanfani e poi in particolare con Moro l’iniziativa fu<br />
assunta sempre più dalla DC, anche per la concomitante presa <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>stanza da parte della Gerarchia (cf. il papato <strong>di</strong> Giovanni XXIII).<br />
Anche a seguito dell’evoluzione del PSI (col congresso <strong>di</strong> Venezia<br />
del 1957) si aprivano possibilità nuove <strong>di</strong> schieramenti politici ed il<br />
centrismo entrò in crisi. Moro intuì il nuovo momento politico e al<br />
congresso <strong>di</strong> Napoli del 1962 ripropose il ritorno (seppure aggiornato<br />
alla luce delle vicende storiche intervenute) all’ispirazione sturziana<br />
del popolarismo. In particolare, con tale illuminante <strong>di</strong>scorso (non ancora<br />
<strong>di</strong>geribile da parte del mondo cattolico) Moro affrontò il <strong>di</strong>scorso<br />
dell’ispirazione cristiana del partito e ribadì che i dati della coscienza<br />
morale e religiosa dovevano essere me<strong>di</strong>ati nelle scelte politiche, le<br />
quali sono <strong>di</strong> natura contingente ed hanno regole loro proprie.<br />
1.3. Terzo periodo (1963-1976). La grande crisi.<br />
Col Concilio si afferma in maniera inequivocabile l’autonomo<br />
valore delle realtà storiche e si getta un germoglio non più arrestabile<br />
circa la fine del collateralismo cattolico con il partito della democrazia<br />
cristiana.<br />
D’altro canto, il miracolo economico segna un brusco arresto (si<br />
pensi alla crisi petrolifera dei primi anni settanta) ed esplode nel ’68<br />
la contestazione studentesca ed operaia.<br />
Anche l’associazionismo cattolico (in forte crisi d’identità e <strong>di</strong><br />
numeri) è attraversato da fermenti che si ispirano al Concilio. L’Azione<br />
Cattolica (passata da 3 milioni a 600 mila iscritti) compie la scelta<br />
religiosa con Bachelet, che è <strong>di</strong> fondamentale importanza per capire<br />
la successiva evoluzione dei rapporti della Chiesa con la DC, che<br />
vede sempre più franare i ponti che la tenevano collegata al suo tra<strong>di</strong>zionale<br />
retroterra culturale. Di conseguenza, la politica <strong>di</strong> partito,<br />
priva <strong>di</strong> ispirazione culturale, <strong>di</strong>viene fine a se stessa, si traduce in<br />
mera gestione e lottizzazione <strong>di</strong> potere tra le correnti e con gli altri<br />
centri <strong>di</strong> potere.<br />
In tale momento oscuro il vero salto <strong>di</strong> qualità lo compì la Chiesa<br />
con la scelta religiosa: si tratta <strong>di</strong> una scelta che restituisce cre<strong>di</strong>bilità<br />
pastorale alla gerarchia e che offre ai cattolici la possibilità <strong>di</strong> attuare<br />
34 –
pienamente l’ideale <strong>di</strong> don Sturzo oltre che <strong>di</strong> muoversi in maniera<br />
più viva in ambito sociale e culturale.<br />
1.4. Quarto periodo (1976-1983). L’iniziativa del mondo cattolico.<br />
Vi è una vigorosa ripresa del mondo cattolico organizzato, a partire<br />
dal convegno nazionale del 1976 su “Evangelizzazione e promozione<br />
umana”.<br />
Riprende vigore il <strong>di</strong>scorso sulla necessità <strong>di</strong> ritornare alle intuizioni<br />
sturziane. Questo però in un momento storico certamente più<br />
<strong>di</strong>fficile <strong>di</strong> quello in cui ha operato Sturzo. Infatti, l’ispirazione cristiana<br />
della politica occorre tradurla in un contesto socio-culturale<br />
non più omogeneo e cristianizzato, bensì in un ambito secolarizzato<br />
e pluralista.<br />
1.5. Quinto periodo (1984-1992). Il ritrovato vigore del mondo cattolico<br />
e la crisi del partito cattolico<br />
Secondo Pasquino 5 tre elementi costituivano l’asse portante della<br />
strategia democristiana per il mantenimento del consenso:<br />
- il clientelismo,<br />
- la rappresentanza politica dei cattolici,<br />
- l’anticomunismo.<br />
A provocare il loro crollo furono:<br />
- con la sempre più forte integrazione europea, l’impossibilità <strong>di</strong><br />
continuare a finanziare il clientelismo con il <strong>di</strong>savanzo <strong>di</strong> bilancio,<br />
- con la caduta del muro <strong>di</strong> Berlino nel 1989, l’anticomunismo<br />
perde gran parte della sua spen<strong>di</strong>bilità in termini d’identità elettorale<br />
(anche se occorre <strong>di</strong>re che essa non è persa integralmente, anche per<br />
la presenza ancora oggi <strong>di</strong> partiti che si richiamano nel nome a tale<br />
esperienza. Dal che l’astuto uso propagan<strong>di</strong>stico che ancora ne fa<br />
Berlusconi),<br />
- col Concilio, come innanzi detto, era cominciato il lungo processo<br />
<strong>di</strong> fine dell’esperienza della rappresentanza unitaria dei cattolici<br />
in politica, che trova il suo epilogo proprio in questi anni, anche<br />
a causa <strong>di</strong> una sempre più <strong>di</strong>ffusa e ra<strong>di</strong>cata coscienza in ambito ecclesiale<br />
della scelta religiosa che deve contrad<strong>di</strong>stinguere l’associa-<br />
5<br />
cf. G.Pasquino, Recenti trasformazioni nel sistema <strong>di</strong> potere della Democrazia<br />
cristiana in Graziano-Tarrow (edd.) “La crisi italiana, vol.II, Sistema politico e<br />
istituzioni, Einau<strong>di</strong>, Torino, 1979, p.627.<br />
– 35
zionismo cattolico e, d’altro canto, della sempre più forte laicizzazione<br />
del partito democristiano (che viene percepito sempre meno<br />
come partito cattolico e sempre più come contenitore <strong>di</strong> correnti impegnate<br />
nella spartizione del potere e nell’occupazione dello Stato).<br />
D’altro canto, il pontificato <strong>di</strong> Giovanni Paolo II (si noti: un Papa<br />
non italiano dopo molti secoli) rivolge la sua attenzione alle<br />
problematiche socio-politiche <strong>di</strong> valore “globale”.<br />
Come afferma padre Sorge 6 : “E’ sensibile, nelle encicliche sociali<br />
del Papa, lo spostamento dell’attenzione della chiesa dai sistemi<br />
politici ed economici all’uomo in sé, dall’aspetto quantitativo dei<br />
problemi a quello qualitativo.. la chiesa vive.. una fase profetica. Il<br />
suo <strong>di</strong>scorso sociale, in risposta alle sfide etiche fondamentali del<br />
nostro tempo, è essenzialmente l’annuncio profetico del Vangelo della<br />
vita, del vangelo del lavoro e del vangelo della carità”.<br />
La DC, d’altro canto, è sempre più irretita in una mera e cinica<br />
gestione del potere, in competizione col PSI al cui segretario Craxi<br />
cede la guida del governo, prodromica alla sua crisi esiziale che avrà<br />
poi il suo compimento (non certo la sua causa) con tangentopoli.<br />
1.6. Sesto periodo (1992-2001). La questione morale con<br />
tangentopoli, la fine della DC, la nascita del Partito popolare e<br />
degli altri partiti <strong>di</strong> ispirazione cristiana.<br />
Con tangentopoli si ha l’epilogo della democrazia cristiana, i cui<br />
prodromi, come fatto cenno, si ritrovano, da un lato, sul versante<br />
religioso sin dal Concilio Vaticano e, dall’altro, sul versante sociopolitico<br />
con la contestazione operaio-studentesca del’68-’69 che fa<br />
esplodere la società civile: Questa, infatti, non riesce più ad essere<br />
gestita dal contenitore-Stato, col quale <strong>di</strong> fatto si identificava il partito-mamma<br />
della DC.<br />
Il 22 gennaio 1994 viene costituito il nuovo Partito Popolare che,<br />
nel preambolo dello Statuto, si <strong>di</strong>chiara quale Partito <strong>di</strong> ispirazione<br />
cristiana. E’ chiara, sin dal nome, l’intenzione <strong>di</strong> ridare vigore all’intuizione<br />
<strong>di</strong> Sturzo che, negli anni venti, aveva fondato il Partito Popolare,<br />
volutamente laico ed espressione dei fermenti del mondo cattolico<br />
(particolarmente vivo a livello sociale, anche per il non expe<strong>di</strong>t<br />
del 1874 <strong>di</strong> Pio IX e dopo la Rerum Novarum <strong>di</strong> Leone XIII del<br />
6<br />
Per una civiltà dell’amore, op. cit., p.66<br />
36 –
1891). Ma non tutti i democristiani confluiscono nel nuovo soggetto<br />
politico. Una parte degli ex DC, guidata da Casini e Mastella, fonda<br />
il Centro cristiano democratico. Anche per tale partito, nello Statuto<br />
si afferma che esso si ispira ai principi cristiani.<br />
Nel 1995 il PPI si <strong>di</strong>vide: i popolari <strong>di</strong> Buttiglione siglano un<br />
accordo elettorale con il centro-destra, mentre i popolari guidati da<br />
Gerardo Bianco aderiscono alla coalizione <strong>di</strong> centro-sinistra..<br />
Buttiglione poi fonda nel luglio del 1995 il CDU (Cristiani democratici<br />
uniti): nel preambolo dello Statuto si afferma che esso è ancorato<br />
all’insegnamento sociale della Chiesa.<br />
Accanto a tali neonati partiti, i <strong>di</strong>scendenti della vecchia DC sono<br />
molteplici: Patto Segni, Cristiano Sociali, La rete, Unione Democratica,<br />
Italia Federale, Rinascita della Democrazia Cristiana 7 .<br />
Il processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgregazione si accentua ulteriormente nel luglio<br />
del 1998 con la nascita dell’UDR (Unione democratica per la repubblica)<br />
<strong>di</strong> Francesco Cossiga. “Le scelte politiche derivanti dalla<br />
con<strong>di</strong>visione del progetto <strong>di</strong> Cossiga che si propone <strong>di</strong> coalizzare le<br />
forze <strong>di</strong> centro in alternativa alla sinistra e in posizione <strong>di</strong>stinta e<br />
<strong>di</strong>stante dalla destra, porteranno infatti alla scissione del CCD, con<br />
una sua parte che rimarrà fedele alle alleanze se<strong>di</strong>mentate nel Polo<br />
delle libertà e una parte che aderirà all’UDR. Questa seconda parte,<br />
guidata da Mastella, darà vita a un nuovo partito: il CDR (Cristiano<br />
democratici per la repubblica). Anche il CDU aderisce all’UDR, ma<br />
questa decisione non è unanime.Una componente minoritaria del<br />
partito, raccolta attorno a Formigoni, rigetta l’accordo con Cossiga<br />
ed esce dal partito fondandone un altro: il CDL (Cristiano democratici<br />
per la libertà)” 8 . Continua ancora il Bova, commentando tale<br />
molteplicità <strong>di</strong> iniziative partitiche fiorite sulle ceneri della DC che<br />
“La balena bianca, che per quasi un cinquantennio era stata capace<br />
<strong>di</strong> contenere al suo interno posizioni ideologiche ed esperienze apparentemente<br />
inconciliabili, sembra trasformarsi in un <strong>di</strong>sorientato banco<br />
<strong>di</strong> variegati pesciolini”. 9<br />
Più recentemente, alla vigilia delle elezioni politiche del 13 maggio,<br />
una nuova formazione politica voluta da Andreotti, D’Antoni e<br />
Zecchino rilancia la sfida <strong>di</strong> una presenza politica che vuole adottare,<br />
in forma autonoma dai poli <strong>di</strong> centro-destra e <strong>di</strong> centro sinistra,<br />
7<br />
cf. V. Bova, Cattolici e politica. Evoluzione nell’ultimo cinquantennio. In<br />
“Aggiornamenti Sociali” n. 7-8/2001, pagg. 565-576, p.565.<br />
8<br />
Ibidem, pp.565-566<br />
9<br />
Ibidem, p.566<br />
– 37
gli stessi valori e principi che stanno all’origine della costruzione<br />
europea e che hanno ispirato l’azione dei suoi padri fondatori: nasce<br />
così Democrazia Europea.<br />
Il confronto tra conservatori e progressisti tende a ra<strong>di</strong>calizzarsi,<br />
confermando che il Paese è avviato irreversibilmente (almeno per il<br />
me<strong>di</strong>o periodo) sulla via del bipolarismo. Tuttavia siamo ancora lontani<br />
da una democrazia dell’alternanza; il nostro bipolarismo è ancora<br />
più a livello <strong>di</strong> coalizione elettorale che <strong>di</strong> effettiva omogeneità<br />
culturale e programmatica. D’altra parte non si può non rilevare che<br />
l’elettorato continua a bocciare ogni tentativo <strong>di</strong> creare un terzo polo:<br />
nel 1995 non vi riuscirono né Rifondazione comunista, né la Lega<br />
Nord; il 16 aprile 2000 furono bocciati i Ra<strong>di</strong>cali della Lista Bonino;<br />
così come è fallito ogni tentativo <strong>di</strong> tentare l’avventura del grande<br />
Centro, alternativo alla sinistra e <strong>di</strong>stante dalla destra. Tale ipotesi si<br />
è <strong>di</strong>mostrata improponibile “almeno per due ragioni. In primo luogo,<br />
perché in Italia non esiste una sola cultura omogenea <strong>di</strong> centro (come,<br />
per esempio, in Germania); da noi, il centro stesso è <strong>di</strong>viso: la cultura<br />
neoliberista è <strong>di</strong> centro (centro-destra), ma è <strong>di</strong>versa dalla cultura<br />
sociale che pure è <strong>di</strong> centro (centro-sinistra). In secondo luogo, perché<br />
- in un sistema bipolare - un eventuale polo moderato <strong>di</strong> centro si<br />
contrapporrebbe <strong>di</strong> fatto al polo progressista, <strong>di</strong>verrebbe per ciò stesso<br />
un polo conservatore, nel quale i cattolici democratici non potrebbero<br />
mai ritrovarsi.” 10<br />
2. PROSPETTIVE DELLA PRESENZA DEI CATTOLICI IN POLITICA<br />
Come accennato al punto precedente, vi è una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> evidente<br />
instabilità del mosaico dei partiti che si richiamano alla tra<strong>di</strong>zione<br />
politica dei cattolici. Si moltiplicano i contenitori (a volte se<strong>di</strong>centi)<br />
dell’agire politico cristianamente ispirato e si accentua nel<br />
contempo la <strong>di</strong>sponibilità dell’elettorato cattolico a esprimere <strong>di</strong>versificate<br />
esperienze politiche 11 .<br />
Di tale situazione vi è, del resto, chiara eco sin dal Convegno<br />
ecclesiale svoltosi a Palermo nel 1995, laddove si è affermato che<br />
“La fine dell’unità partitica dei cattolici e la conseguente frammentazione<br />
che non ha ancora trovato assetti adeguati e maturi au-<br />
10<br />
B. Sorge, L’area popolare democratica in “Aggiornamenti sociali” n. 9-<br />
10/2000 pag. 629.<br />
11<br />
Cf. Bova, articolo cit., p. 567<br />
38 –
mentano nelle comunità ecclesiali il rischio delle <strong>di</strong>visioni e<br />
dell’in<strong>di</strong>fferentismo verso la politica”. 12<br />
Negli ultimi giorni si stanno, però, avviando processi <strong>di</strong> aggregazione<br />
che tendono a semplificare il panorama politico italiano e,<br />
per quanto in questa sede interessa, le formazioni che si rifanno alla<br />
tra<strong>di</strong>zione del cattolicesimo politico. Ci si riferisce, come è noto, ai<br />
nuovi soggetti politici della Margherita (neonato col congresso<br />
costitutivo del mese <strong>di</strong> marzo) e dei Democratici cristiani- Biancofiore<br />
(che nascerà ufficialmente col congresso previsto per il prossimo mese<br />
<strong>di</strong> luglio). Come è noto, nello scorso mese <strong>di</strong> marzo il Partito Popolare,<br />
unitamente ai Democratici e a Rinnovamento Italiano, è confluito<br />
nella neonata Margherita, a capo della quale vi è Francesco Rutelli.<br />
Le ragioni <strong>di</strong> tale scelta da parte dei popolari sono state esplicitate<br />
da Castagnetti nella relazione introduttiva dell’ultimo congresso del<br />
Partito Popolare, della quale ci sembra utile riportare alcuni stralci.<br />
“Diamo corpo” <strong>di</strong>ce PierLuigi Castagnetti “a una svolta che insieme<br />
avevamo in<strong>di</strong>viduato come necessaria sin dal congresso <strong>di</strong><br />
Rimini quando avvertimmo la necessità <strong>di</strong> riunire in un soggetto unico<br />
e nuovo tutte le formazioni del centro sinistra che si ispiravano<br />
alle culture cattolico-democratica e liberal-democratica.<br />
Adesso abbiamo anche il nome “Margherita - Democrazia è Libertà”,<br />
ma l’idea nacque allora.<br />
Avremmo potuto accontentarci <strong>di</strong> amministrare un lento e<br />
incolpevole declino del partito che i nostri padri fondarono in altri<br />
tempi, rassegnandoci alla logica inesorabile della storia che cammina<br />
con i suoi ritmi e lungo i suoi percorsi, e invece abbiamo scelto <strong>di</strong><br />
rifiutare un destino che molti amici, che ci hanno nel frattempo abbandonato,<br />
consideravano ineluttabile.<br />
E’ sicuramente non facile lasciare ciò che si ha e ciò che si è, ma<br />
se lo si fa per una prospettiva più grande, per un’opportunità più<br />
grande, è anche e<strong>di</strong>ficante.<br />
E’ questo lo spirito con cui facciamo questo passo, senza superficialità<br />
ma anche senza timidezza. Noi vogliamo dar vita nel centro<br />
sinistra a una forma più matura, più al passo con la storia, più ricca,<br />
<strong>di</strong> presenza in politica dei cattolici, “non in nome della fede, ma a<br />
causa della fede” come <strong>di</strong>ceva Zaccagnini” 13 .<br />
12<br />
G.Rumi, <strong>Impegno</strong> sociale e politico in “Atti del III Convegno ecclesiale su Il<br />
Vangelo della carità per una nuova società italiana, Palermo 20-24 novembre 1995,<br />
E<strong>di</strong>zioni Paoline, Milano, 1995, p.51.<br />
13<br />
P.L. Castagnetti Relazione introduttiva al Congresso del PPI <strong>di</strong> Roma nei<br />
giorni 8,9 e 10 marzo 2002 in Internet<br />
– 39
Ulteriori osservazioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne più generale fatte da Castagnetti<br />
ci sembra utile riportare:<br />
“Dobbiamo chiederci perché i vecchi partiti a ispirazione cristiana<br />
non sono sopravvissuti in tutti i Paesi in cui si è passati al<br />
bipolarismo o si sono trasformati in partiti meramente conservatori.<br />
E, purtroppo, con l’avanzamento del processo <strong>di</strong> secolarizzazione<br />
stanno fortemente riducendosi anche in America Latina.<br />
Dobbiamo, per tornare in Italia, indagare nel profondo il risultato<br />
negativo del centro sinistra il 13 maggio, per capire come e dove è<br />
cambiato il nostro Paese, in quali aree, in quali ceti e accettare che i<br />
cambiamenti abbiano riguardato in particolare aree elettorali <strong>di</strong> riferimento<br />
cosiddetto centrista.<br />
Dobbiamo capire come e/o perché è <strong>di</strong>minuito l’appeal elettorale<br />
<strong>di</strong> partiti come il nostro, soprattutto nell’elettorato nuovo, cioè non<br />
ex, non legato esclusivamente a ciò che noi siamo stati in passato.<br />
Dobbiamo capire perché negli ultimi <strong>di</strong>eci anni la toponomastica dei<br />
partiti italiani ha subito un cambiamento pressochè totale. Recentemente<br />
uno stu<strong>di</strong>oso, Alessandro Corneli, ha analizzato la con<strong>di</strong>zione<br />
dei partiti italiani sino a non molti anni fa “socialmente omogenei”,<br />
<strong>di</strong>venuti in seguito, con la progressiva frammentazione delle classi<br />
indotta dal superamento della società industriale, sempre più eterogenei.<br />
Il consenso che essi ricercano, prima <strong>di</strong>pendeva da una ideologia<br />
organica, poi dalla aggregazione intorno a obiettivi programmatici<br />
che a loro volta si coagulano e si esprimono in leader tendenzialmente<br />
carismatici anche per effetto della <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> nuovi me<strong>di</strong>a<br />
che <strong>di</strong>ventano la nuova piazza della politica.<br />
Il partito-tutto fortemente ideologizzato <strong>di</strong>venta partito-obiettivo<br />
per realizzare un programma a ideologia debole che viene accettato<br />
da una coalizione <strong>di</strong> interessi e quin<strong>di</strong> un partito-gestore, senza quasi<br />
più riferimenti ideologici e con un confronto che si riduce a comparare<br />
i consuntivi delle proposte elettorali.” <strong>14</strong><br />
E ancora: “Non voglio aprire parentesi perché sono convinto che<br />
“tangentopoli” ha influito sulla “crisi dei partiti” ma non sulla crisi<br />
della politica: il vuoto politico ha altre ragioni.<br />
Il mutamento, che a <strong>di</strong>re il vero non è stato improvviso, ma che si<br />
è avvertito con l’irrompere dell’egemonia dell’alta, <strong>di</strong>ffusa, tecnologia,<br />
ha eliminato le ideologie politiche, ridotto ai margini le culture<br />
<strong>14</strong><br />
Ibidem<br />
40 –
dello spirito, in un certo senso sovvertito, se non cancellato, le gerarchie<br />
dei valori.<br />
Non è questo un riferimento alla “secolarizzazione” dei Cox, dei<br />
Robinson, della “morte <strong>di</strong> Dio” e alla sua decisiva influenza sulla<br />
“desacralizzazione” delle “chiese politiche”; voglio riferirmi al fatto<br />
che l’uomo liberato da Dio vuol liberarsi da sé stesso e al fatto che<br />
“l’umanità” non vuole essere gregge ubbi<strong>di</strong>ente e asservito, e cerca<br />
un modello nuovo <strong>di</strong> produrre, <strong>di</strong> sanare, <strong>di</strong> concorrere alla ricchezza,<br />
<strong>di</strong> comunicare, <strong>di</strong> essere presenti in ogni luogo, <strong>di</strong> essere abitanti<br />
<strong>di</strong> ogni luogo: è la rivoluzione del tempo e dello spazio. La politica,<br />
come la religione, come la cultura vengono “declassate”, impoverite<br />
<strong>di</strong> ideali e <strong>di</strong> idee: aggrappate a coraggiose testimonianze, ad “eroiche<br />
solitu<strong>di</strong>ni”, a “missionarietà” presso le sofferenze, i <strong>di</strong>sagi, le<br />
povertà; a “compromessi obbligati”; non ultimo ad espressioni <strong>di</strong><br />
alto magistero, insistente e nuovo ma anche in gran parte inascoltato.<br />
I confini si sono allentati, anche superati: i muri delle civiltà che<br />
<strong>di</strong>vidono, delle religioni che si “contestano”, che reciprocamente <strong>di</strong>ffidano,<br />
delle culture che si ignorano, delle etnie che si chiudono,<br />
sono destinati a crollare perché il processo è inevitabile.<br />
Verso “l’umanità una”, “la terra una”, il prossimo sempre meno<br />
straniero e sempre più conoscibile, le “patrie gelose” sempre meno<br />
gelose e più aperte.<br />
Non siamo nel regno dell’utopia, siamo invece “nell’obbligata<br />
necessità” della creazione, appren<strong>di</strong>mento, esperienza <strong>di</strong> una nuova<br />
politica, <strong>di</strong> “nuovi valori”, <strong>di</strong> “nuove culture”.<br />
Anche su questo fronte la politica è sopravanzata.<br />
La scelta che sembra oggi vincente della “non-politica” o<br />
“dell’antipolitica” o della “politica dei privilegi del governo” non è<br />
neppure da considerarsi come un tentativo <strong>di</strong> “uscire dalla crisi” ma,<br />
nel breve termine, essendo la scelta più facile, è risultata quella vincente.<br />
Per quanto tempo non si sa, per ora è così.<br />
Non si può per questo restare fermi e paralizzati. Non si può attendere<br />
che il cambiamento accada da solo, occorre, invece, determinarlo.<br />
L’unica cosa che non si può fare è “stare, abitare, convivere” nella<br />
“crisi della politica” che, ripeto, ha molte cause, anche quella della<br />
frammentazione, della “ricerca-<strong>di</strong>ritto” <strong>di</strong> visibilità <strong>di</strong> ogni gruppo<br />
e frammento che rallenta la “sintesi”, la capacità progettuale.<br />
Di’ qualcosa <strong>di</strong> “sinistra” urlava Nanni Moretti a Massimo D’Alema<br />
già qualche tempo prima <strong>di</strong> Piazza Navona. Altri potrebbero aggiun-<br />
– 41
gere: “<strong>di</strong>te qualcosa <strong>di</strong> centro-sinistra”. Altri ancora: “<strong>di</strong>te qualcosa<br />
<strong>di</strong> centro. E, recentemente, “<strong>di</strong>te qualcosa <strong>di</strong> cristiano”.<br />
Non sono richieste prive <strong>di</strong> fondamento: liberate dall’accento,<br />
dal tono <strong>di</strong> sfogo angosciato, stanno a significare: portateci fuori dalla<br />
crisi politica, non vi accorgete che la società è “senza politica”<br />
E’ vero che i problemi sono più “forti” <strong>di</strong> chi è chiamato a risolverli<br />
ma non si può ricorrere all’alibi che i problemi sono <strong>di</strong>fficili, ricchi<br />
<strong>di</strong> incognite, imponenti.<br />
La politica non è l’arte dell’ovvio, <strong>di</strong> ciò che è facile: è l’arte <strong>di</strong><br />
promuovere, or<strong>di</strong>nare, regolare i rapporti, i processi <strong>di</strong> sviluppo sociale,<br />
culturale, economico per un “bene comune”: deve produrre le<br />
con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> “libertà e <strong>di</strong> giustizia” soprattutto per chi è povero <strong>di</strong><br />
libertà e <strong>di</strong> giustizia.<br />
Abbiamo <strong>di</strong>menticato cose che sapevamo e stiamo imparando<br />
cose che non sapevamo: per quelle del passato avevamo una storia<br />
che ci aveva maturato, delle esperienze cui riferirci, delle se<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
riflessione: ora siamo un po’ soli e non abbiamo una “riserva” in cui<br />
pescare il pensiero, le suggestioni, le ispirazioni, le culture. Allora<br />
c’era uno stretto rapporto tra cultura e politica. Un rapporto <strong>di</strong>alettico,<br />
necessario, non perché gli intellettuali fossero o dovessero essere<br />
impegnati ma perché c’erano piccole e gran<strong>di</strong> capitali della cultura.<br />
Ora non c’è alcuna cultura che anticipi ciò che accade o può accadere,<br />
cioè che, in un certo senso, cammina davanti a noi. E’ una trasformazione<br />
epocale della società umana. Ha scritto Khaled Fouad Allam:<br />
«… la cultura non sa più interpretare il mondo e non è più in grado <strong>di</strong><br />
farlo, non può chiedere alla politica, ai partiti <strong>di</strong> farlo».<br />
Allora quell’urlo “<strong>di</strong>te qualcosa” è l’urlo dello smarrimento, della<br />
paura <strong>di</strong> essere ingoiati dalla “non-politica”.<br />
E noi dobbiamo avere l’umiltà, l’abnegazione, il coraggio <strong>di</strong> non<br />
essere smarriti, <strong>di</strong> non affogare nella crisi della politica.<br />
Per questo abbiamo superato o, per meglio <strong>di</strong>re, abbiamo dovuto<br />
superare, il cespuglio per far crescere qualcosa <strong>di</strong> maggiore forza e<br />
<strong>di</strong> maggiore consenso.<br />
Per questo facciamo la Margherita.” 15<br />
In questi giorni si sta dando vita all’UDC (Unione democristiana<br />
<strong>di</strong> centro) dato dalla confluenza del CCD <strong>di</strong> Casini, del CDU <strong>di</strong> Bottiglione<br />
e <strong>di</strong> Democrazia Europea <strong>di</strong> D’Antoni.<br />
Siamo ancora in un’ottica bipolare, apparendo non ancora vicino<br />
il (da alcuni auspicato) bipartitismo. Sembra infatti con<strong>di</strong>visibile<br />
15<br />
Ibidem<br />
42 –
quanto ha scritto Sorge: “Per molto tempo ancora in Italia, i due poli<br />
saranno costituiti ognuno da soggetti politici <strong>di</strong>versi, ciascuno con la<br />
propria identità e con la propria storia, uniti da un leader e da un<br />
programma comuni, ma non potranno trasformarsi in due gran<strong>di</strong> partiti.<br />
Infatti, dopo cinquant’anni <strong>di</strong> dura contrapposizione ideologica,<br />
ci vorranno ancora molti anni prima che gli epigoni <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni tanto<br />
<strong>di</strong>verse raggiungano tra loro una totale omogeneità, culturale e<br />
politica, da consentirne la fusione in un unico partito”. 16<br />
Il movimento dei giroton<strong>di</strong>, <strong>di</strong> chiara marca <strong>di</strong> sinistra, animato<br />
da intellettuali legati ai partiti della sinistra, ha indotto anche alcuni<br />
intellettuali cattolici a esternare la loro frustrazione circa la mancanza<br />
<strong>di</strong> effervescenza del mondo cattolico.<br />
In particolare Giorgio Campanini ha lamentato la mancanza <strong>di</strong><br />
luoghi <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo, denunciando i ritmi a <strong>di</strong>r poco lenti (decennali) dei<br />
convegni ecclesiali e l’intermittenza delle settimane sociali.<br />
Per superare tale impasse egli auspica un salutare scossone (sul<br />
modello <strong>di</strong> quello dato da Nanni Moretti alla sinistra) per comunità<br />
cristiane pigre e “tutte prese dai loro problemi interni, preoccupate<br />
soprattutto <strong>di</strong> tenere in pie<strong>di</strong> strutture istituzionali fattesi ormai scricchiolanti<br />
per il progressivo venir meno dell’abbondante personale<br />
ecclesiastico <strong>di</strong> un tempo” 17 .<br />
Al convegno del Meic (Movimento ecclesiale <strong>di</strong> impegno culturale)<br />
tenuto a Roma lo scorso mese <strong>di</strong> ottobre Francesco Casavola ha<br />
riflettuto sulla necessità <strong>di</strong> ripensare il posto dei cattolici nella politica<br />
italiana <strong>di</strong> oggi: cattolici <strong>di</strong>visi tra il <strong>di</strong>sorientamento e la voglia <strong>di</strong><br />
contare. Le conseguenze della fine della DC e del crollo delle ideologie<br />
non può essere vista solo come una <strong>di</strong>aspora <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata dei<br />
cattolici nei <strong>di</strong>versi schieramenti politici. Ha affermato l’ex presidente<br />
della Corte costituzionale che “La <strong>di</strong>aspora dei cattolici in più<br />
partiti non si legittima solo a partire dall’insegnamento conciliare.<br />
Ma soprattutto a partire dal mutamento della concezione della democrazia.<br />
E’ tramontata la democrazia dei partiti dove gli elettori<br />
non erano altro che degli eserciti permanenti legati ai partiti da opinioni<br />
confessionali, <strong>di</strong> classe, <strong>di</strong> ideologia. Ed è stata inaugurata l’era<br />
del pluralismo che rende più acuta la preoccupazione della coerenza<br />
con i valori che devono illuminare le scelte ma, allo stesso tempo,<br />
apre nuovi orizzonti”.<br />
16<br />
L’area popolare... cit., pag.630<br />
17<br />
Avvenire del 28-2-2002.<br />
– 43
Secondo Lorenzo Ornaghi, prorettore dell’Università Cattolica<br />
Sacro Cuore, occorre investire molto sulla formazione dei cattolici,<br />
cominciando dal progetto culturale lanciato dai vescovi italiani che<br />
va portato avanti nei vari contesti dove operano i cattolici, perché<br />
non resti sterile esercizio intellettuale.<br />
3. I FONDAMENTI TEOLOGICI DELLA PRESENZA DEI CATTOLICI IN POLITICA<br />
Seppure per brevi cenni, in presenza <strong>di</strong> tale delineato panorama<br />
storico-politico, ci preme esplicitare la fondazione teologico-morale<br />
dell’impegno del cristiano nella città dell’uomo – come si usava <strong>di</strong>re<br />
sino a qualche tempo fa –. E questo anche per capire la ragione<br />
prima della passione della chiesa e del cattolico per la politica.<br />
Il nostro vescovo, nell’intervento fatto l’11 giugno 2001 ai parlamentari<br />
e ai sindaci della <strong>di</strong>ocesi nel salone dell’episcopio, ha richiamato<br />
l’orizzonte dei rapporti chiesa-mondo, fede-politica delineato<br />
nel quarto capitolo dello costituzione conciliare Gau<strong>di</strong>um et Spes.<br />
“La missione della chiesa è rivolta” ha detto il vescovo “alla salvezza<br />
<strong>di</strong> tutto l’uomo e perciò non può rimanere estranea e in<strong>di</strong>fferente<br />
a nessuna situazione umana; anzi è sollecitata a non essere<br />
<strong>di</strong>sincarnata, a non staccare la fede dalla vita quoti<strong>di</strong>ana, ad<br />
evidenziare la rilevanza sociale della fede”… Al n. 76 della Gau<strong>di</strong>um<br />
et Spes è magistralmente delineato tale rapporto nel quale si<br />
evidenziano la <strong>di</strong>stinzione dei compiti, l’autonomia legittima <strong>di</strong> tutte<br />
le realtà umane e il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> insegnare la fede e la sua dottrina sociale<br />
e da parte della chiesa dare il giu<strong>di</strong>zio morale anche su cose che<br />
riguardano l’or<strong>di</strong>ne politico…<br />
Diventa prioritaria una rifondazione culturale della politica, urgenza<br />
delle urgenze non solo per rispondere a sfide storiche ma per<br />
recuperare una sapienza or<strong>di</strong>natrice dell’agire politico. Di fronte al<br />
carattere pervasivo <strong>di</strong> un economicismo tecnocratico che ha fagocitato<br />
gli spazi della politica, gli spazi cioè <strong>di</strong> una riflessione e <strong>di</strong> una<br />
progettualità capaci <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare soluzioni concrete<br />
alle nuove domande emergenti da ogni ambito <strong>di</strong> vita, occorre riflettere<br />
sul tipo <strong>di</strong> società, <strong>di</strong> umanesimo che si vuole costruire…<br />
La pluralità degli approcci, la varietà delle appartenenze e dei<br />
mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere spesso finiscono col ridurre le questioni essenziali<br />
dell’uomo ad una formula privata su cui si esercita l’osanna della<br />
platea e il crucifige delle masse. La prospettiva economica vincente<br />
ha modellato comportamenti, valori, relazioni, stili <strong>di</strong> vita strutturati<br />
44 –
solo in vista del successo, del potere, del benessere.. Anche il sapere<br />
è coinvolto nella frammentazione e nel <strong>di</strong>sorientamento, è sempre<br />
più fruito come bene <strong>di</strong> consumo, funzionale ad un agire politico che<br />
frutta e dà vantaggi.”<br />
A fronte <strong>di</strong> tale “finanziarizzazione della vita quoti<strong>di</strong>ana” 18 il cristiano<br />
è chiamato profeticamente a promuovere la civiltà dell’amore<br />
<strong>di</strong> cui parlava spesso Paolo VI 19 e che “compen<strong>di</strong>a tutta l’ere<strong>di</strong>tà<br />
etico-culturale del vangelo” 20 . L’Istruzione della Congregazione<br />
vaticana, allo stesso n. 81, così continua: “Questo compito richiede<br />
una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento<br />
supremo dell’amore con l’or<strong>di</strong>ne sociale considerato in tutta<br />
la sua complessità. La conclusione <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> questa profonda riflessione<br />
è la elaborazione e l’attuazione <strong>di</strong> audaci programmi d’azione<br />
in vista della liberazione sociale ed economica <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> uomini e<br />
donne, la cui con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> oppressione economica, sociale e politica<br />
è intollerabile. Questa azione deve cominciare con uno sforzo assai<br />
grande dell’educazione: educazione alla civiltà del lavoro, educazione<br />
alla solidarietà, accesso <strong>di</strong> tutti alla cultura”.<br />
Ciò che i vescovi latino-americani hanno detto più <strong>di</strong> 30 anni fa 21<br />
è quanto mai attuale anche per noi italiani: “La mancanza <strong>di</strong> una<br />
coscienza politica nei nostri Paesi rende in<strong>di</strong>spensabile l’azione<br />
educatrice della chiesa per far sì che i cristiani considerino la loro<br />
partecipazione alla vita politica della nazione come un dovere <strong>di</strong> coscienza<br />
e come esercizio della carità, nel suo significato più nobile<br />
ed efficace per la vita della comunità”.<br />
Così ancora la Lumen Gentium al n.36 in<strong>di</strong>ca mirabilmente come<br />
i laici debbono sanare le istituzioni e le situazioni del mondo così<br />
che tutto prenda giusta forma e sia <strong>di</strong> promozione per l’esercizio<br />
18<br />
cf. G.Bianchi, Nel paese degli atei devoti. I Cattolici oltre il partito unico.<br />
Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti, pagg. 52 ss.. E’ significativo che il sottotitolo del paragrafo<br />
citi la seguente frase <strong>di</strong> David Maria Turoldo: “E la rinuncia è più ricca della preda<br />
imperiale”.<br />
19<br />
Cf. l’enciclica <strong>di</strong> Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis del 30-12-1987<br />
n.33, che così riassume tale civiltà dell’amore: “Il cristiano.. chiamato alla partecipazione<br />
della verità e del bene, che è Dio stesso, non comprende l’impegno per lo<br />
sviluppo e la sua attuazione fuori dell’osservanza e del rispetto della <strong>di</strong>gnità unica<br />
<strong>di</strong> questa immagine. In altre parole, il vero sviluppo deve fondarsi sull’amore <strong>di</strong><br />
Dio e del prossimo, e contribuire a favorire i rapporti tra in<strong>di</strong>vidui e società”.<br />
20<br />
Istruzione Libertatis Conscientia della Congregazione per la dottrina della<br />
fede, 22-3-1986, n.81.<br />
21<br />
Presencia de la Iglesia, documento della II Assemblea Generale<br />
dell’Episcopato latino-americano a Medellin (Colombia), 6-9-1968, n.16<br />
– 45
delle virtù: “in ogni cosa temporale (i fedeli) devono lasciarsi guidare<br />
dalla coscienza cristiana, perché nessuna attività umana, nemmeno<br />
temporale, può sottrarsi al dominio <strong>di</strong> Dio. Nel nostro tempo è<br />
molto importante che questa <strong>di</strong>stinzione e, insieme, quest’armonia<br />
risplendano chiaramente nel modo <strong>di</strong> agire dei fedeli, perché la missione<br />
della chiesa possa rispondere più pienamente alle con<strong>di</strong>zioni<br />
particolari del mondo moderno. Come infatti bisogna riconoscere<br />
che la città terrena, de<strong>di</strong>ta giustamente alle occupazioni temporali, è<br />
retta da propri principi, così va rigettata a ragione la funesta dottrina<br />
che pretende <strong>di</strong> costruire la società senza tenere in alcun conto la<br />
religione, combattendo e sopprimendo la libertà religiosa dei citta<strong>di</strong>ni”.<br />
Ovvero, riducendola a mero esercizio privato.<br />
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />
Pur avendo precisato il piano, storico-politico, nel quale si è <strong>di</strong>panato<br />
il presente intervento, non posso esimermi, dopo aver delineato<br />
i fondamenti dell’impegno del cattolico in politica, da una conclusiva<br />
considerazione che si muove ad un livello <strong>di</strong>stinto (ma ovviamente<br />
non separato rispetto alla prassi politica) che è quello etico<br />
e religioso.<br />
“Dopo la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, caduti i regimi totalitari, <strong>di</strong><br />
fronte alle nuove esigenze <strong>di</strong> un regime democratico ormai universalmente<br />
affermato e <strong>di</strong> fronte al pericolo comunista, con Pio XII il<br />
movimentismo cattolico assume le caratteristiche <strong>di</strong> un vero e proprio<br />
mondo cattolico: si stringono i ranghi, si mobilitano i laici cattolici<br />
nelle più <strong>di</strong>verse associazioni, e tutte le associazioni affiancano il<br />
partito democristiano; nasce il collateralismo tra la chiesa, i movimenti<br />
cattolici e il partito cattolico. Si crea così una situazione che<br />
sarebbe durata sino al Concilio, e sarebbe stata superata definitivamente<br />
soltanto dalla caduta del muro <strong>di</strong> Berlino e dopo il fallimento<br />
storico del comunismo (1989).<br />
Giungiamo così agli anni novanta e all’Area culturale <strong>di</strong> ispirazione<br />
cristiana. Tramontato il mondo cattolico, s’impone la necessità<br />
<strong>di</strong> trovare un modo nuovo <strong>di</strong> presenza sociale della chiesa e dei<br />
cattolici adeguata al momento <strong>di</strong> transizione che vive nel delicato<br />
passaggio al terzo millennio. Ora, data la natura essenzialmente culturale,<br />
morale e spirituale della crisi, il bisogno più urgente che si<br />
avverte è quello <strong>di</strong> risolverla proprio a partire da queste sue ra<strong>di</strong>ci,<br />
46 –
cioè dalla riaffermazione dei valori etici e culturali.… Essa dovrebbe<br />
essere un’area interme<strong>di</strong>a: cioè autonoma sia nei confronti dell’area<br />
ecclesiale propriamente detta, sia dell’area politica. … l’iniziativa<br />
dovrebbe essere gestita dai laici, ai quali spetta per vocazione<br />
nativa la competenza specifica <strong>di</strong> animare cristianamente le realtà<br />
temporali.” 22<br />
L’attuale Papa, in un <strong>di</strong>scorso tenuto al Convegno della Chiesa<br />
italiana per il 90° della Rerum Novarum 23 aveva affermato che dopo<br />
il livello dell’unità soprannaturale vi è un secondo livello, collegato<br />
col primo: il livello dell’unità sui valori. Questa unità si realizza sul<br />
piano etico e culturale e “consiste nella fedeltà alla verità intera sull’uomo,<br />
con le esigenze morali incon<strong>di</strong>zionate e assolute che ne scaturiscono”<br />
24 . E’ una unità che nasce dalla coerenza con la fede e con<br />
il Magistero della Chiesa e che induce spontaneamente i cristiani ad<br />
agire uniti ogni volta che sono in gioco i valori fondamentali dell’uomo<br />
e della convivenza sociale. Proprio questa “unità fondamentale<br />
sui valori è prima <strong>di</strong> ogni pluralismo e sola consente al pluralismo <strong>di</strong><br />
essere non solo legittimo, ma auspicabile e fruttuoso”. 25 Tale unità<br />
morale e culturale si può definire politica con la P maiuscola e <strong>di</strong> per<br />
sé orienta verso la medesima <strong>di</strong>rezione la prassi politica.<br />
In questo senso – come ha riba<strong>di</strong>to Giovanni Paolo II al terzo<br />
convegno nazionale della Chiesa italiana – il legittimo pluralismo<br />
politico “nulla ha a che fare con una <strong>di</strong>aspora culturale dei cattolici,<br />
infatti il cristiano non può ritenere ogni idea o visione del mondo<br />
compatibile con la fede, né può dare una facile adesione a forze politiche<br />
o sociali che si oppongono o non prestano sufficiente attenzione<br />
ai principi della dottrina sociale della chiesa sulla persona e sul<br />
rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la<br />
solidarietà, la promozione della giustizia e della pace” 26<br />
“I cristiani, cioè, sono tenuti a offrire al mondo il servizio e la<br />
testimonianza anche comunitaria della loro fede. Quin<strong>di</strong> l’unità culturale<br />
e morale è un bene da perseguire tra i cristiani. L’unità culturale<br />
si dovrà allora trasformare in unità partitica… Giovanni Paolo II<br />
22<br />
Sorge, B. Per una civiltà dell’amore.La proposta sociale della Chiesa.<br />
Queriniana, Brescia,1996 pagg. 186-187<br />
23<br />
Si veda il testo integrale in “Dalla Rerum novarum a oggi. Atti del Convegno<br />
ecclesiale (Roma, 28-31 ottobre 1981), AVE, Roma 1982, 11-15<br />
24<br />
Ivi, n. 3,13<br />
25<br />
Ivi, n.<strong>14</strong><br />
26<br />
ID., Discorso al III Convegno ecclesiale <strong>di</strong> Palermo (23 novembre 1995),<br />
n.10, in Osservatore Romano, 24 novembre 1995.<br />
– 47
non evita <strong>di</strong> affrontare il tema della possibile unità politica dei cattolici,<br />
ma non parla più <strong>di</strong> unità partitica; si limita soltanto a sottolineare<br />
la utilità <strong>di</strong> una eventuale concor<strong>di</strong>a nell’azione.<br />
La concor<strong>di</strong>a o convergenza dei cattolici nella azione politica è<br />
sempre auspicabile, perché è con<strong>di</strong>zione del servizio cristiano al<br />
mondo… pertanto, la concor<strong>di</strong>a nell’azione è desiderabile, nonostante<br />
la piena legittimità del pluralismo delle scelte” 27<br />
Come hanno precisato anche i vescovi italiani, l’identità cristiana<br />
“a scanso <strong>di</strong> equivoci, non coincide con i programmi <strong>di</strong> azione<br />
culturale, sociale o politica che i cristiani, singoli o associati, perseguono.<br />
Si fonda invece sulla fede e sulla morale cristiana, con il loro<br />
preciso richiamo all’insegnamento della chiesa in campo sociale, si<br />
vive nella comunione ecclesiale e si confronta fedelmente con la<br />
Parola <strong>di</strong> Dio letta nella chiesa. E’ una identità da incarnare (senza<br />
riven<strong>di</strong>carla solo per sé) nel pluralismo delle situazioni, giorno per<br />
giorno” 28<br />
“La fine del mondo cattolico e la crisi <strong>di</strong> identità.. hanno messo<br />
in crisi ineluttabilmente pure l’esistenza dei partiti d’ispirazione cristiana…<br />
(ma) pur nel mutato contesto socioculturale, è giusto riba<strong>di</strong>re<br />
tuttora la piena legittimità teorica e pratica della presenza <strong>di</strong> partiti<br />
d’ispirazione cristiana .. (e questo perché) in regime democratico e<br />
nella società pluralistica, una qualche forma <strong>di</strong> aggregazione si rende<br />
necessaria, se si vuole che i valori in cui si crede possano essere<br />
affermati e <strong>di</strong> fatto contribuiscano in modo efficace alla e<strong>di</strong>ficazione<br />
della Città dell’uomo. La sola testimonianza personale e privata, sebbene<br />
sia in ogni caso necessaria ed efficace, tuttavia non basta a incidere<br />
sulla formazione <strong>di</strong> quel consenso, che si richiede per influire in<br />
modo determinante sulle scelte pubbliche e, in particolare, su quelle<br />
legislative… La storia <strong>di</strong> tante nazioni contemporanee <strong>di</strong>mostra in<br />
modo eloquente quanto sia stato efficace e determinante il contributo<br />
dei partiti d’ispirazione cristiana alla costruzione, alla <strong>di</strong>fesa e alla<br />
crescita della moderna democrazia. Se contro queste affermazioni<br />
non vi possono essere obiezioni serie in linea teorica, tuttavia l’opportunità<br />
o meno <strong>di</strong> dar vita oggi effettivamente a un partito d’ispirazione<br />
cristiana va valutata più attentamente, tenendo presenti le mutate<br />
situazioni storiche <strong>di</strong> tempo e <strong>di</strong> luogo, nonché i nuovi orientamenti<br />
pastorali, a seguito delle acquisizioni dottrinali del Concilio.<br />
27<br />
Ivi, pag.241.<br />
28<br />
Cei, La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, 23 ottobre 1981, n.25<br />
48 –
In ogni caso, dev’essere ben chiaro che una cosa è riconoscere la<br />
legittimità dell’esistenza <strong>di</strong> un partito d’ispirazione cristiana, e un’altra<br />
cosa (del tutto improponibile) sarebbe pretendere <strong>di</strong> dedurre dalla<br />
fede un partito cattolico. Già don Luigi Sturzo – fondatore del primo<br />
partito d’ispirazione cristiana in Italia – spiegava (all’inizio del ‘900”!)<br />
che i due termini (partito e cattolico) sono antitetici; infatti il cattolicesimo<br />
è religione, è universalità; il partito invece è politica, è <strong>di</strong>visione”.<br />
29<br />
Va anche detto che non sembra con<strong>di</strong>visibile la prospettiva politica<br />
<strong>di</strong> chi vorrebbe che i cattolici partecipassero alla costituzione<br />
della gamba moderata all’interno dei due poli. In effetti, la vocazione<br />
dei cattolici moderati non può essere quella <strong>di</strong> rappresentare l’ala<br />
moderata dello schieramento politico. Certo – come ha ben spiegato<br />
il Car<strong>di</strong>nale Martini 30 - vi è uno stile cristiano <strong>di</strong> fare politica, che<br />
rifugge dagli estremismi oggi in voga, comporta invece il rispetto<br />
dell’avversario e rifiuta <strong>di</strong> fare della politica un assoluto; ma questo<br />
tipo <strong>di</strong> moderazione non ha nulla a che vedere con il moderatismo,<br />
tipico della politica conservatrice. Anzi, le encicliche sociali vedono<br />
il cristiano come depositario <strong>di</strong> iniziative coraggiose e <strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a,<br />
anche se questa socialità avanzata ha caratteri <strong>di</strong>versi da quella,<br />
attualmente in auge, <strong>di</strong> tipo ra<strong>di</strong>cal-in<strong>di</strong>vidualistico e libertario – fautore<br />
dei soli <strong>di</strong>ritti in<strong>di</strong>viduali – nella quale per lo più viene fatto<br />
risiedere il progressismo.<br />
Dopo il Convegno ecclesiale <strong>di</strong> Palermo del 1995 è prevalsa nella<br />
chiesa italiana la linea in<strong>di</strong>cata dallo stesso Papa, per cui la chiesa<br />
non si schiera per nessun partito e per nessuna coalizione. Ciò le è<br />
imposto non solo dalla sua missione essenzialmente religiosa, ma<br />
anche dalle con<strong>di</strong>zioni storiche che attualmente sono <strong>di</strong>verse da quelle<br />
del dopoguerra, che indussero la chiesa a svolgere una funzione <strong>di</strong><br />
supplenza.<br />
Sarebbe tuttavia sbagliato confondere la giusta equi<strong>di</strong>stanza con<br />
una impossibile neutralità.<br />
Qualcuno potrebbe essere indotto a credere che per la coscienza<br />
cristiana un programma politico valga l’altro, cosicchè, dopo la fine<br />
delle ideologie, i cattolici potrebbero tranquillamente aderire all’uno<br />
o all’altro partito, con l’unica con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> non scendere mai a com-<br />
29<br />
B. Sorge, op.cit., pagg. 242-244.<br />
30<br />
C.M. Martini, “Coraggio sono io, non abbiate paura”. Discorso per la<br />
Vigilia <strong>di</strong> Sant’Ambrogio, Milano, 6 <strong>di</strong>cembre 1999, Centro Ambrosiano<br />
– 49
promessi con la propria coscienza o con la propria fede. Ora, non vi<br />
è dubbio che, dopo la fine delle ideologie, i partiti in Italia non pongono<br />
più alcuni problemi <strong>di</strong> coscienza. Tuttavia, ciò non vuol <strong>di</strong>re<br />
che tutti i programmi politici si equivalgano e che per il cristiano sia<br />
del tutto in<strong>di</strong>fferente scegliere l’uno o l’altro partito. Infatti, la coerenza<br />
soggettiva con i valori cristiani è necessaria, ma non basta. Vi<br />
è pure una coerenza oggettiva dei programmi con il magistero sociale<br />
della chiesa, che non può essere <strong>di</strong>sattesa. Dunque, equi<strong>di</strong>stanza<br />
sì, neutralità no. Non vi può essere neutralità nei confronti <strong>di</strong> un atteggiamento<br />
che contesta la funzione dello stato nella <strong>di</strong>fesa dei più<br />
deboli, <strong>di</strong> una logica decisionistica che cerca <strong>di</strong> estorcere il consenso<br />
per via plebiscitaria, <strong>di</strong> un neoliberismo utilitaristico che fa del profitto,<br />
della efficienza e della competitività un fine a cui subor<strong>di</strong>nare<br />
le ragioni della solidarietà, <strong>di</strong> una politica che chiede deleghe del<br />
potere sulla base <strong>di</strong> promesse o prospettive generiche, più che sulla<br />
base <strong>di</strong> programmi coerenti.<br />
Vi è il giu<strong>di</strong>zio critico su una leadership populista che incarni la<br />
semplificazione dei problemi, sul cortocircuito antipolitico formato<br />
dalla televisione, dalla personalizzazione, dall’assolutismo del comando,<br />
santificati dal giu<strong>di</strong>zio sommario e preventivo dei sondaggi,<br />
moderna traduzione del consenso.<br />
D’altro canto c’è la necessità, come aveva detto Carlo Levi 50<br />
anni fa, <strong>di</strong> suscitare forze nuove trovando quella parola che butti all’aria<br />
la scacchiera e trasformi il gioco in cosa viva.<br />
Verrebbe da <strong>di</strong>re che noi cattolici questa parola già l’abbiamo,<br />
dovendo solo ritrovare il coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>rla all’uomo d’oggi: essa è il<br />
vangelo della carità.<br />
Come ci hanno ricordato recentemente i Vescovi:<br />
“.. ci sembra importante che la comunità sia coraggiosamente<br />
aiutata a maturare una fede adulta, pensata, capace <strong>di</strong> tenere insieme<br />
i vari aspetti della vita facendo unità <strong>di</strong> tutto in Cristo. Solo così i<br />
cristiani saranno capaci <strong>di</strong> vivere nel quoti<strong>di</strong>ano, nel feriale.. la sequela<br />
del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita…<br />
I cristiani possono fecondare il tempo in cui vivono solo se sono<br />
continuamente attenti a cogliere le sfide che provengono loro dalla<br />
storia, e si esercitano a rispondervi alla luce del Vangelo.<br />
La comunità cristiana deve costituire il grembo in cui avviene il<br />
<strong>di</strong>scernimento comunitario, in<strong>di</strong>cato nel convengo ecclesiale <strong>di</strong> Palermo<br />
del 1995 come scuola <strong>di</strong> comunione ecclesiale e metodo fondamentale<br />
per il rapporto Chiesa-mondo. Oggi più che mai i cristiani<br />
sono chiamati a essere partecipi della vita della città, senza esenzio-<br />
50 –
ni, portando in essa una testimonianza ispirata al Vangelo e costruendo<br />
con gli altri uomini un mondo più abitabile” 31<br />
Il titolo <strong>di</strong> queste brevi riflessioni è volutamente provocatorio.<br />
Non è venato però <strong>di</strong> pessimismo senza speranza, anche se non si<br />
può non applicare all’attuale momento politico quanto ha affermato<br />
David Maria Turoldo in Il sapore del pane (e<strong>di</strong>to dalle Paoline):<br />
“Quando un popolo è in<strong>di</strong>fferente, allora sorgono le <strong>di</strong>ttature e l’umanità<br />
<strong>di</strong>venta un gregge solo, appena una turba senza volto; allora il<br />
bene è uguale al male, il sacro al profano; e l’amore è unicamente<br />
piacere, un male il sacrificio, un peso la libertà e la ricerca”.<br />
Vi è piena consapevolezza delle <strong>di</strong>fficoltà che noi cattolici incontriamo<br />
a vivere il vangelo e ad incarnarlo. Tanto più in uno scenario<br />
politico (anche internazionale: ve<strong>di</strong> Le Pen in Francia) che sembra<br />
muoversi in un orizzonte lontano anni luce dai valori <strong>di</strong> solidarietà<br />
scritti nel patrimonio genetico dei cristiani. Così come non<br />
sfugge la considerazione storica <strong>di</strong> una quasi irrilevante presenza dei<br />
cristiani nella vita politica dei Paesi occidentali (e questo senza trascurare<br />
la specificità del nostro Paese per la presenza della cattedra<br />
<strong>di</strong> Pietro).<br />
Guai, però, a pensare e ad agire senza speranza. Come ammoniva<br />
S.Agostino:<br />
“Cerchiamo sempre con il desiderio <strong>di</strong> trovare e troviamo con il<br />
desiderio <strong>di</strong> cercare ancora”.<br />
31<br />
Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali<br />
dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000. 29 giugno 2001.<br />
– 51
52 –
LE COMUNICAZIONI GLOBALI:<br />
LA VOCE PLURALE DELLA DEMOCRAZIA<br />
PINO MARIO DE STEFANO *<br />
UNA SVOLTA EPOCALE<br />
“Comunicazione” è la parola chiave degli ultimi cinquant’anni:<br />
l’orizzonte <strong>di</strong> pensiero intorno a cui sono ripensati i termini <strong>di</strong> fondo<br />
che definiscono la modernità. Si tratta <strong>di</strong> un vero e proprio terminecostellazione<br />
1 , che abbraccia altri concetti contigui, tra cui, ovviamente,<br />
informazione, conoscenza, informatica, linguaggio ecc.<br />
Anche se l’ambiguità del termine, che si colloca appunto nei movimenti<br />
<strong>di</strong> trasformazione più profon<strong>di</strong> della società contemporanea,<br />
rende <strong>di</strong>fficile definire il concetto, è fuori <strong>di</strong> dubbio che il processo<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>gitalizzazione della società 2 , avviatosi con l’inizio degli anni<br />
settanta, pone la questione su tutt’altro piano. Se, infatti, la comunicazione<br />
me<strong>di</strong>a, per definizione, tutti i rapporti umani tra sistemi <strong>di</strong>fferenti,<br />
oggi appare evidente quanto la <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> <strong>di</strong>gitalizzazione<br />
tenda a inglobare in sé anche questa definizione.<br />
Non è un mistero per nessuno oggi che fra qualche anno il Web<br />
sarà veramente tutt’altra cosa da quello che è attualmente: e cioè un<br />
potentissimo strumento multime<strong>di</strong>ale, commerciale, <strong>di</strong> trasmissione<br />
<strong>di</strong> comando produttivo, intercreativo e assolutamente ipertestuale.<br />
Una vera e propria “noosfera <strong>di</strong>gitale” per <strong>di</strong>rla con Teilhard de<br />
Char<strong>di</strong>n, “un’entità che ha in sé le possibilità <strong>di</strong> trasformarsi veramente<br />
in una sorta <strong>di</strong> intellettuale-mente collettiva, in grado <strong>di</strong> dar<br />
voce anche alle emozioni primarie del pianeta” 3 .<br />
All’inizio del nuovo millennio stiamo vivendo, quin<strong>di</strong>, una svolta<br />
epocale che ha pochi precedenti nella storia della nostra specie,<br />
forse una vera e propria mutazione antropologica, come ha scritto<br />
* Rielaborazione della conferenza tenuta il 15.01.2002 al Centro “La Pira”<br />
<strong>di</strong> Pomigliano D’Arco (Na)<br />
1<br />
Ve<strong>di</strong> R. Scelsi, Comunicazione, in Lessico post-for<strong>di</strong>sta, Feltrinelli, Milano<br />
2001, p. 56<br />
2<br />
Cfr. F. Ciotti - G. Roncaglia, Il mondo <strong>di</strong>gitale, Laterza, Bari, 2000<br />
3<br />
R. Scelsi, cit., p. 60<br />
– 53
qualcuno 4 . Ad<strong>di</strong>rittura una trasformazione dello stesso modo <strong>di</strong> “essere<br />
uomini”, se essere uomini significa porsi in relazione con gli<br />
altri. Forse i nostri posteri chiameranno questa rivoluzione “il periodo<br />
della informatizzazione globale”.<br />
Eppure, nonostante la velocità con cui questa mutazione sta sopravvenendo,<br />
e anche la <strong>di</strong>ffusa consapevolezza <strong>di</strong> alcuni dei fenomeni<br />
più evidenti (almeno tra gli uomini <strong>di</strong> cultura, una parte degli<br />
industriali, una piccola parte dei politici), il più delle volte ci si ferma<br />
a considerazioni parziali, suggerite da questo o quel tassello del<br />
processo in corso. Mentre <strong>di</strong>fficilmente ci si avvicina a una riflessione<br />
e a una visione panoramica del significato e delle implicazioni<br />
sociali, culturali e economiche e politiche del fenomeno in atto.<br />
Il processo in corso è quello, appunto, della trasformazione del<br />
nostro mondo da “società delle merci”, figlia della rivoluzione industriale<br />
iniziata col telaio a vapore alla fine del Settecento, in una società<br />
dell’informazione. Un mondo cioè in cui gli oggetti <strong>di</strong>vengono<br />
sempre più virtuali e vengono rappresentati non più dalla loro tangibile<br />
concretezza, ma da simboli che viaggiano alla velocità della luce<br />
attraverso un tessuto che tende a ricoprire tutto il globo e raggiungere<br />
chiunque, qualsiasi sia la sua attesa. E’ il completamento della<br />
simbolizzazione del mondo, un processo che si è aperto con l’inizio<br />
della civilizzazione umana. Ma forse più importante ancora è il fatto<br />
che questa tecnica comprende e plasma sempre più proprio le attese;<br />
in altre parole innesca una potente retroazione che mo<strong>di</strong>fica (e mo<strong>di</strong>ficherà<br />
sempre più) il modo stesso <strong>di</strong> essere e sentirsi uomini, modella a<br />
propria somiglianza il mondo dell’immaginario umano.<br />
NATURA UMANA, LINGUAGGIO E CULTURA<br />
L’uomo non è infatti soltanto un produttore e consumatore <strong>di</strong><br />
oggetti legati alla sua sopravvivenza biologica. Se fosse solo questo,<br />
la sua <strong>di</strong>fferenza rispetto a altre specie animali complesse sarebbe<br />
modesta. La caratteristica che rende l’uomo unico nel panorama della<br />
vita sul nostro pianeta, è quella <strong>di</strong> essere uno story teller, un narra-<br />
4<br />
F. Pratico, La rete globale, necessità e destino, su Telèma 1/1996. Cfr. J.<br />
Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. L’impatto dei me<strong>di</strong>a elettronici sul comportamento<br />
sociale, Baskerville, Bologna 1993; A. Toffler, La Terza ondata, Cde, Milano<br />
1987; ma ve<strong>di</strong> anche D. Lyon, La società dell’informazione, Il Mulino, Bologna<br />
1991<br />
54 –
tore; e ovviamente, e in misura ancor maggiore, un consumatore <strong>di</strong><br />
storie. Noi organizziamo la nostra esperienza e la nostra memoria<br />
degli eventi umani principalmente sotto forma <strong>di</strong> narrazioni: storie,<br />
spiegazioni, miti, motivi per fare e non fare. Larry Gross 5 , professore<br />
<strong>di</strong> comunicazione presso l’Università della Pennsylvania, scrive:<br />
«La cultura che è costituita dalle narrazioni non è sovraimposta sul<br />
substrato biologico che è la nostra vera natura. La unicità della specie<br />
umana non consiste (solo) nel fatto che siamo esseri sociali. Centinaia<br />
<strong>di</strong> specie, prima <strong>di</strong> quella umana, si organizzano in società.<br />
L’esistenza sociale ha creato l’umanità, non il contrario. Ciò che ci<br />
rende unici è che la cultura è la nostra natura. Ci evolviamo come<br />
animali che creano significati, e le storie che ci raccontiamo rappresentano<br />
il modo primario con cui costruiamo e conserviamo significati<br />
e li con<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo al <strong>di</strong> là dei confini <strong>di</strong> spazio e <strong>di</strong> tempo».<br />
La nostra specie è relativamente giovane. Secondo gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
antropologia contemporanea, ancora centomila anni fa, in quel periodo<br />
che viene definito me<strong>di</strong>o paleolitico, i nostri antenati (ossia i<br />
primi uomini moderni) si affacciavano al <strong>di</strong> là dei confini africani,<br />
con<strong>di</strong>videndo ancora la cultura materiale, e probabilmente anche l’immagine<br />
del mondo, dei loro parenti che da più <strong>di</strong> un milione <strong>di</strong> anni<br />
si erano sparsi in Africa, in Asia, in Me<strong>di</strong>o Oriente e in Europa. E’<br />
possibile ipotizzare pochissimo sui processi che hanno dato ai nostri<br />
antenati una prevalenza schiacciante sugli altri <strong>di</strong>scendenti del<br />
ceppo originario del genere Homo già inse<strong>di</strong>ati da millenni nel mondo,<br />
e che erano <strong>di</strong>venuti, per parere concorde dei paleoantropologi,<br />
sapiens, sia pure arcaici. Ma certamente tra gli elementi <strong>di</strong> superiorità<br />
che hanno consegnato il mondo ai nostri antenati, e fatto sparire<br />
gli altri concorrenti, un ruolo decisivo deve essere stato svolto dal<br />
possesso <strong>di</strong> un linguaggio articolato più evoluto rispetto a quello<br />
degli altri, <strong>di</strong> una capacità <strong>di</strong> comunicazione che appariva per la<br />
prima volta in modo così completo. E’ il linguaggio che ha consentito<br />
ai nostri antenati <strong>di</strong> vivere efficacemente non solo in modo imme<strong>di</strong>ato<br />
il presente, ma <strong>di</strong> proiettarsi anche nel futuro e nel passato;<br />
cioè <strong>di</strong> raccogliere, conservare e tramandare la memoria in<strong>di</strong>viduale<br />
e <strong>di</strong> gruppo, e renderla attuale (appunto, ricordare) nel momento dell’emergenza.<br />
E al tempo stesso <strong>di</strong> proiettarsi nel futuro, progettare,<br />
costruire strategie e soluzioni per eventi <strong>di</strong> là da venire 6 .<br />
5<br />
L. Gross, Mass Me<strong>di</strong>a and their impact on society, relazione all’International<br />
multi<strong>di</strong>sciplinary workshop on the evolution, 1992, citato in F. Prattico, cit.<br />
6<br />
Cfr. E. A. Havelock, Dike, la nascita della coscienza, Laterza, Bari 1990<br />
– 55
Attraverso il linguaggio, infatti, la parola co<strong>di</strong>fica le norme <strong>di</strong><br />
comportamento, descrive il mondo e lo ipotizza, propone le regole<br />
per affrontare le sue trappole, costruisce e conserva conoscenze e<br />
interpretazioni, alle origini sotto forma <strong>di</strong> favole e miti dal fortissimo<br />
contenuto simbolico e normativo. «Tutte le società umane - osserva<br />
ancora Gross - hanno risposto alle fondamentali questioni dell’esistenza<br />
sotto forma <strong>di</strong> storie. Facciamo ancora questo raccontando<br />
storie ai giovani (il processo <strong>di</strong> socializzazione e acculturazione attraverso<br />
cui ogni generazione <strong>di</strong>viene parte <strong>di</strong> una cultura) e ripetendo<br />
alcune <strong>di</strong> queste storie abbastanza spesso per ricordare agli adulti<br />
le credenze fondamentali della società».<br />
E’ un processo <strong>di</strong> rappresentazione e <strong>di</strong>ffusione della cultura<br />
che utilizza favole, miti, credenze religiose per fondare e <strong>di</strong>stribuire<br />
interpretazioni del mondo e veicolare attraverso essi i modelli a<br />
cui, in modo consapevole o meno, ogni membro <strong>di</strong> una data società<br />
storica fa riferimento (che li accetti o cerchi <strong>di</strong> sfidarli) e a cui deve<br />
attenersi. Un compito al quale, nella nostra epoca, assolve ad esempio<br />
massicciamente (e forse con efficacia maggiore <strong>di</strong> altri mezzi) la<br />
televisione.<br />
Per millenni, quin<strong>di</strong>, la nostra specie ha trasmesso il sapere accumulato,<br />
<strong>di</strong> cultura e <strong>di</strong> regole, attraverso la parola (il <strong>di</strong>scorso, il<br />
canto, l’attività educativa, ecc.). Il mondo della civilizzazione orale<br />
ha dominato la maggior parte della vicenda umana, travalicando anche<br />
quel momento <strong>di</strong> crisi che è stata l’invenzione della scrittura<br />
(che si fa risalire ai Sumeri nel sesto millennio avanti Cristo), perché<br />
questa, fino a Gutemberg, è rimasta circoscritta a cerchie privilegiate,<br />
ai detentori del sapere (sacerdoti, legislatori, capi politici e<br />
militari, letterati e filosofi). Il libro, scritto pazientemente a mano in<br />
esemplari unici, rappresentava certo una fonte carica <strong>di</strong> potere magico<br />
ed esoterico (si pensi ad esempio al valore che la Cabala attribuiva<br />
alle lettere dell’alfabeto ebraico, considerato allora il più antico),<br />
una sorta <strong>di</strong> certificazione del sapere: ma la circolazione delle conoscenze<br />
e la capacità <strong>di</strong> modellare le menti e prescrivere i comportamenti<br />
era affidata prevalentemente alla <strong>di</strong>ffusione orale <strong>di</strong> quei contenuti.<br />
7<br />
7<br />
Cfr. per queste analisi Pietro Rossi (cur.) La memoria del sapere, Laterza,<br />
Bari 1988<br />
56 –
LIBRO E MODERNITÀ<br />
La società umana esce quin<strong>di</strong> dal regno dell’oralità solo tra la<br />
fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento con l’invenzione dei<br />
caratteri mobili e del torchio da stampa, che segnano la nascita del<br />
libro nel senso in cui l’inten<strong>di</strong>amo oggi, ossia come un oggetto materiale<br />
riproducibile a volontà. Non più misterioso deposito cristallizzato<br />
del sapere, la parola scritta entra in circolazione, perde il suo<br />
carattere sacrale ed elitario, impone una trasformazione profonda:<br />
masse crescenti <strong>di</strong> uomini, e non i soli ceti privilegiati, imparano a<br />
leggere e scrivere. La cultura, da privilegio, <strong>di</strong>viene bene accessibile<br />
quasi a chiunque. Non senza resistenze da parte dei più tra<strong>di</strong>zionali<br />
detentori del sapere.<br />
Ai primi del Cinquecento, appena mezzo secolo dopo l’invenzione<br />
della stampa, si calcola che fossero in circolazione in Europa<br />
otto milioni <strong>di</strong> libri stampati. Tuttavia, intellettuali raffinati li respingono<br />
con <strong>di</strong>sprezzo: il manoscritto, per loro, è l’unica forma accettabile<br />
del libro, l’unica adatta a un oggetto che è portatore <strong>di</strong> idee.<br />
Quando il tedesco Fust, socio e poi rivale <strong>di</strong> Gutemberg, porta a Parigi<br />
i primi libri stampati da lui stesso, viene espulso per stregoneria,<br />
per or<strong>di</strong>ne degli intellettuali della Sorbona; mentre gli Orleans e Federico<br />
da Montefeltro vietano l’ingresso nelle loro preziose biblioteche<br />
a volumi che non siano manoscritti. E ancora, quasi due secoli<br />
dopo, il filosofo Leibniz arriccia il naso davanti alla marea <strong>di</strong><br />
libri che si stampano ormai in tutta Europa: «Temo - scrive - che la<br />
gente si stanchi delle scienze e, spinta da un fatalistico sconforto,<br />
ripiombi in costumi barbarici. E a questo risultato forse contribuirà<br />
non poco quella orribile massa <strong>di</strong> libri che cresce continuamente...».<br />
Ma la “esplosione” del libro e successivamente delle gazzette,<br />
dei giornali, dei manifesti, insomma dei supporti fisici della cultura,<br />
segna <strong>di</strong> fatto l’ingresso nel mondo moderno, industriale. Da<br />
misterioso ricettacolo del sapere il libro si trasforma in merce, incide<br />
profondamente sui costumi, sui modelli <strong>di</strong> vita, sulle norme<br />
sociali che vanno così incontro a una pro<strong>di</strong>giosa trasformazione: «Con<br />
la stampa - scrive Marshall McLuhan - l’Europa sperimenta la sua<br />
prima fase <strong>di</strong> consumo, non soltanto perché la stampa è un mezzo <strong>di</strong><br />
comunicazione per il consumatore, oltre che una merce, ma in quanto<br />
essa insegnò agli uomini come organizzare ogni altra attività su<br />
una base lineare e sistematica. Mostrò come creare gli eserciti e i<br />
mercati». La Riforma luterana non sarebbe stata possibile se la Bibbia,<br />
tradotta nei volgari e stampata in migliaia <strong>di</strong> copie, non avesse<br />
– 57
scavalcato la interme<strong>di</strong>azione orale fino allora detenuta dalla Chiesa;<br />
la rivoluzione francese, che segna la fine <strong>di</strong> una visione gerarchica<br />
e sacrale dell’organizzazione sociale, la vittoria della società borghese,<br />
capitalistica e industriale, non sarebbe pensabile senza l’Enciclope<strong>di</strong>a<br />
e l’Illuminismo, che attraverso la stampa <strong>di</strong>ffondono una<br />
immagine esaltante della grande potenza manipolatrice dell’intelletto<br />
umano 8 .<br />
LA COMUNICAZIONE ELETTRONICA E L’INTERATTIVITÀ<br />
Oggi è proprio quel mondo che volge al tramonto. Di fronte al<br />
mondo simbolico della cultura scritta torna ad ergersi la prospettiva<br />
dell’oralità. E’ un processo iniziato esattamente un secolo fa, il 1895,<br />
con gli esperimenti <strong>di</strong> Guglielmo Marconi, quando un segnale partito<br />
da un apparecchio emittente viaggia sulle onde elettromagnetiche<br />
per raggiungere una stazione ricevente. Il supporto della parola non<br />
è più solo la carta. Da allora la trasmissione elettromagnetica è<br />
andata via via conquistando nuovi spazi, <strong>di</strong>latando la possibilità <strong>di</strong><br />
comunicazione e la sua velocità, creando nuove attese e nuove<br />
potenzialità.<br />
Può aiutare a comprenderne le potenzialità implicite nell’attuale<br />
processo me<strong>di</strong>atico fare un passo in<strong>di</strong>etro, ed esaminare il concetto<br />
<strong>di</strong> attesa, una categoria che investe sia l’economia sia la psicologia<br />
umana. Una delle nostre caratteristiche come specie è la costruzione<br />
<strong>di</strong> bisogni (che non hanno rapporto <strong>di</strong>retto con la esigenze biologiche<br />
<strong>di</strong> fondo). Il bisogno è, nel mondo culturale che è il mondo umano,<br />
indotto proprio dalla presenza del mezzo che può appagarlo, e<br />
provoca un feed-back, un avvitamento che viaggia continuamente<br />
dal mezzo al fruitore e ritorno. Ad esempio, l’invenzione della stampa<br />
ha moltiplicato, cinque secoli fa, il numero <strong>di</strong> coloro che erano in<br />
grado (e desideravano) <strong>di</strong> fruire <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> comunicazione,<br />
allargando quin<strong>di</strong> la base a cui la parola scritta e stampata faceva<br />
riferimento. L’allargamento della base potenziale <strong>di</strong> utenti della parola<br />
scritta stimolava la produzione <strong>di</strong> messaggi ad essa in<strong>di</strong>rizzati,<br />
e questi a loro volta raggiungevano (venivano richiesti da) un pubblico<br />
sempre più ampio.<br />
8<br />
Cfr per queste analisi M. McLuhan, La Galassia Gutemberg, Armando, Roma<br />
1991; G. Giovannini, Dalla selce al silicio, Gutemberg, Torino 1994<br />
58 –
Il salto <strong>di</strong> qualità e quantità è oggi rappresentato dai me<strong>di</strong>a elettromagnetici,<br />
che a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> libri e giornali non richiedono la<br />
interme<strong>di</strong>azione della lettura (<strong>di</strong>minuiscono cioè la quantità <strong>di</strong> lavoro<br />
necessario alla decifrazione dei messaggi, abbreviando il passaggio<br />
attraverso categorie simboliche da decrittare).<br />
E ciò naturalmente moltiplica la platea a cui il mezzo si riferisce.<br />
Anche se permane comunque la uni<strong>di</strong>rezionalità della comunicazione,<br />
la sud<strong>di</strong>visione tra un centro produttore <strong>di</strong> informazione e un pubblico<br />
sempre più affamato – passivamente- <strong>di</strong> questi messaggi.<br />
Forse anche questa evoluzione è oggi agli sgoccioli. La trasformazione<br />
entro cui stiamo entrando propone altro ancora: tende a<br />
spostare l’accento dal ruolo <strong>di</strong> ascoltatore, fruitore passivo del messaggio,<br />
a quello <strong>di</strong> co-narratore.<br />
E’ l’interattività. La natura dei mezzi elettronici rende oggi possibile<br />
trasformare ognuno <strong>di</strong> noi in centrale che non solo riceve una<br />
serie <strong>di</strong> input, ma contribuisce <strong>di</strong>rettamente a formarli, almeno in<br />
parte, e quin<strong>di</strong> rimetterli in circolo.<br />
E’ con essa che dovremo fare i conti, nel millennio che sta<br />
cominciando.<br />
Alle soglie del terzo millennio, l’interazione globale che unifica<br />
tutti i sistemi <strong>di</strong> relazione si profila non solo come una possibilità,<br />
ma ad<strong>di</strong>rittura come una necessità, una evoluzione “naturale”.<br />
Era iniziata col telefono e il telegrafo senza fili, si era affermata con<br />
la ra<strong>di</strong>o e successivamente con la televisione, aveva raggiunto e<br />
interconnesso Università e laboratori, <strong>di</strong>lagata per case e uffici attraverso<br />
i computer, guadagnato lo spazio con i satelliti da comunicazione.<br />
Oggi telefono, fax, modem, computer, televisione, CD-Rom,<br />
<strong>di</strong>schi ottici, banche dati, comunicazione via cavo, via etere, via fibra<br />
ottica confluiscono per formare un intreccio <strong>di</strong> autostrade informatiche<br />
che collegano o collegheranno tutto a tutti, fasciando<br />
l’intero pianeta, senza tralasciare nessun settore della vita e dell’esperienza<br />
umana 9 .<br />
Prendendo in prestito immagini dalla fantascienza senza, con ciò,<br />
assumere atteggiamenti acriticamente entusiasti, si potrebbe <strong>di</strong>re che<br />
la rete globale cresce e si mo<strong>di</strong>fica come se fosse un organismo<br />
vivente, autonomo, le cui determinazioni sfuggono anche alla volontà<br />
dei suoi creatori e i cui terminali raggiungono ognuno <strong>di</strong> noi<br />
9<br />
Fondamentale su questi sviluppi mi sembra il lavoro <strong>di</strong> Manuel Castells, La<br />
nascita della società in rete, pubblicata delle E<strong>di</strong>zioni dell’Università Bocconi,<br />
Milano 2002<br />
– 59
in mille mo<strong>di</strong>, consapevoli o meno. Si realizza nel concreto una<br />
intuizione <strong>di</strong> Popper: il complesso <strong>di</strong> strumenti e <strong>di</strong> operazioni che si<br />
riferiscono all’informazione, alla sua formulazione e trasmissione,<br />
acquistano autonomia, nella complessità della sua struttura si configura<br />
un quarto mondo che incide e modella i destini e le volontà<br />
degli uomini che pure lo usano.<br />
A questo punto, il mezzo, nel suo potente espandersi, tende ad<br />
avvicinarsi sempre più al suo pubblico: globalizzarsi, quoti<strong>di</strong>anizzarsi.<br />
Infatti, come si è detto, si coniuga col telefono, col computer,<br />
col modem, col fax, per scavalcare le <strong>di</strong>stanze grazie alla rete satellitare<br />
e insieme si miniaturizza per raggiungere qualsiasi combinazione<br />
<strong>di</strong> interazioni possibile. E insieme perde, in parte, il carattere<br />
<strong>di</strong> fiction (salvo laddove la fiction è espressamente richiesta) e assume<br />
il volto della realtà: o meglio, sostituisce la propria realtà a quella<br />
fisica e storica del fruitore. Per ottenere ciò deve coinvolgerlo, renderlo<br />
attore dell’operazione stessa.<br />
L’interattività per ora ha la sua manifestazione più nota con<br />
internet - prototipo delle autostrade informatiche su cui ognuno può<br />
viaggiare in qualsiasi <strong>di</strong>rezione - e con le macchine per la realtà<br />
virtuale - che si rivolgono <strong>di</strong>rettamente al nostro sistema percettivo e<br />
sensoriale. Ma sembra già iniziato il tempo in cui l’interattività assumerà<br />
forme e <strong>di</strong>mensioni ben più vaste: a partire dal telelavoro,<br />
dalla telespesa, dalla telescuola, dal televoto, dalla gestione elettronica<br />
del traffico e così via 10 .<br />
In breve il terzo millennio sembra promettere la più assoluta<br />
libertà <strong>di</strong> comunicare, all’insegna del motto “anywhere, anytime”.<br />
Diventeremo veramente “citta<strong>di</strong>ni del mondo” perché potremo comunicare<br />
“dovunque e in ogni momento”. Ci sposteremo, senza portare<br />
con noi né cellulare, né personal computer, né altri tipi <strong>di</strong> terminali,<br />
e non dovremo avvisare alcuno dei nostri spostamenti. Avremo,<br />
insieme con noi, esclusivamente una “scheda intelligente”, passepartout<br />
per qualsiasi tipo <strong>di</strong> comunicazioni in tutto il pianeta, nonché<br />
mezzo per essere virtualmente “sempre a casa” per i nostri corrispondenti,<br />
maneggevole e tanto piccola che bisognerà soltanto fare<br />
attenzione a non perderla.<br />
10<br />
Ivi, cap. IV<br />
60 –
IL “VILLAGGIO GLOBALE”: CONOSCERE PER COESISTERE MEGLIO<br />
Possiamo a questo punto comprendere meglio il senso <strong>di</strong> un’immagine<br />
oggi molto utilizzata: quella <strong>di</strong> “villaggio globale”.<br />
Il “villaggio globale” è il fortunato ossimoro inventato da Marshall<br />
McLuhan 11 per descrivere la situazione contrad<strong>di</strong>ttoria in cui viviamo.<br />
Così come in festina lente, ovvero “affrettati lentamente”, i<br />
due termini dell’enunciato si contrad<strong>di</strong>cono a vicenda, il “villaggio”<br />
esprime qualcosa <strong>di</strong> piccolo, mentre “globale” sta a significare l’intero<br />
pianeta. Non è possibile affrettarsi lentamente, così come non è<br />
possibile un villaggio grande quanto l’intero pianeta. Il significato è<br />
ovviamente simbolico. McLuhan ha forzato il linguaggio per meglio<br />
esprimere una situazione ine<strong>di</strong>ta e <strong>di</strong>fficilmente rappresentabile.<br />
Da questa angolazione si ha un’idea più completa del fenomeno<br />
della globalizzazione contemporanea come una caratteristica fondamentale<br />
dell’epoca presente e una delle conseguenze più visibili della<br />
modernità 12 . Essa può essere descritta come un insieme <strong>di</strong> processi<br />
collegati in cui si verifica una crescente integrazione su scala mon<strong>di</strong>ale<br />
non solo delle transazioni <strong>di</strong> beni, servizi, capitali, forza lavoro<br />
e materie prime, ma anche dei centri decisionali e delle comunicazioni<br />
materiali (trasporti, infrastrutture) e simboliche (conoscenze,<br />
informazioni, simboli, immagini). È ovvio che senza l’interattività<br />
della rete globale non sarebbe pensabile il fenomeno della<br />
globalizzazione nelle sue <strong>di</strong>mensioni attuali.<br />
La globalizzazione agisce a molti livelli che interagiscono e si<br />
“rinforzano” reciprocamente. Si pensi ad esempio alla possibilità <strong>di</strong><br />
vedere in televisione, praticamente in tempo reale, i fatti e i misfatti<br />
che accadono in tutto il mondo. Riceviamo queste immagini contemporaneamente<br />
alle notizie <strong>di</strong> ciò che succede “sotto casa”.<br />
Soprattutto Internet però può essere considerata la principale<br />
metafora della globalizzazione, la sua “incarnazione” più significativa.<br />
Più rivoluzionaria <strong>di</strong> quanto lo fu, a suo tempo, la televisione.<br />
La sua caratteristica più eclatante è proprio quella <strong>di</strong> azzerare il<br />
fattore spazio-temporale e collegare qualsiasi parte del globo (lo spazio)<br />
istantaneamente (il tempo).<br />
È evidente che i problemi giuri<strong>di</strong>ci, etici, sociali, culturali ed economici<br />
che la “rete” pone sono paragonabili a quelli aperti dalla sco-<br />
11<br />
Cfr. M. McLuhan e B. Powers, Il villaggio globale, SugarCo, Carnago, 1992.<br />
12<br />
Ve<strong>di</strong> R. Robertson, Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale,<br />
Asterios, Trieste, 1999<br />
– 61
perta <strong>di</strong> un nuovo continente. Basta pensare, per esempio, che Internet<br />
- tendenzialmente - non ha centro, né padroni. Al vertice della rete<br />
mon<strong>di</strong>ale infatti non c’è alcun vero proprietario, non c’è un’effettiva<br />
autorità <strong>di</strong> controllo centrale. Questo fatto non è privo <strong>di</strong> conseguenze.<br />
In un’epoca in cui i giganteschi imperi dell’informazione si spartiscono<br />
tutto, Internet è anarchica, ma anche democratica.<br />
È vero che un problema relativo alla rete telematica globale e ad<br />
internet consiste nell’ancora ridotta <strong>di</strong>ffusione e <strong>di</strong>sponibilità per tutti,<br />
ma è altrettanto vero che al suo interno possono trovare ampio spazio<br />
idee sperimentali e non dogmatiche che si contrappongono al<br />
potere centralizzato e alle opinioni ufficiali. La rete è un vasto fenomeno<br />
scarsamente regolamentato e tenuto in esercizio dai suoi utenti,<br />
che potrebbe <strong>di</strong>ventare il sistema <strong>di</strong> comunicazione più potente<br />
della storia.<br />
Non è ovviamente il caso <strong>di</strong> attribuire alla rete poteri salvifici, ma<br />
è pur vero che la vecchia mentalità per cui ci si preoccupa <strong>di</strong> un fenomeno<br />
solo quando colpisce <strong>di</strong>rettamente la nostra esistenza può ricevere<br />
un vero scacco dalla rete non lasciandoci vie <strong>di</strong> scampo perché<br />
ora tutto ci colpisce <strong>di</strong>rettamente: la farfalla che muove le ali nella<br />
foresta amazzonica può produrre effetti macroscopici fin all’altro capo<br />
del mondo. Un altro aspetto, in un certo senso, positivamente inquietante<br />
<strong>di</strong> questa visione “forzatamente” ecologica è che l’Occidente<br />
non potrà ignorare ancora per molto, ad esempio, il fatto che i due terzi<br />
della popolazione mon<strong>di</strong>ale muoiono <strong>di</strong> fame, e comunque non potrà<br />
più fingere che se il resto del mondo ha fame non vi si può porre rime<strong>di</strong>o.<br />
Cosa ciò possa produrre non lo sappiamo ancora ma senz’altro<br />
qualcosa potrà succedere nei rapporti tra gruppi e tra popoli, e non<br />
necessariamente qualcosa <strong>di</strong> negativo. Siamo quasi costretti ad assumere<br />
un’ottica e una responsabilità anche “politica” <strong>di</strong> fronte a un<br />
mondo che è <strong>di</strong>ventato, sotto certi aspetti, il nostro cortile <strong>di</strong> casa.<br />
Un effetto della globalizzazione della comunicazione consiste,<br />
dunque, nel fatto che non si potrà più continuare a coltivare il proprio<br />
orticello ignorando ciò che succede nel resto del mondo proprio<br />
perché il resto del mondo ha invaso il nostro piccolo orto, contaminandolo<br />
o fertilizzandolo a seconda dei casi.<br />
“Stare tutti nello stesso orto” significa essere a stretto contatto<br />
con popoli <strong>di</strong> razze e culture <strong>di</strong>verse. La globalizzazione telematica<br />
perciò ci vieta <strong>di</strong> chiuderci nei nostri piccoli e fragili gusci, imponendoci<br />
<strong>di</strong> spalancare gli occhi su tutto ciò che è “Altro”, vicino a<br />
noi sebbene molto lontano. E questo forse è un segno <strong>di</strong> speranza per<br />
i destini dell’umanità.<br />
62 –
CYBERSPAZIO E CYBERCULTURA<br />
La necessità <strong>di</strong> sottolineare la ra<strong>di</strong>cale novità <strong>di</strong> Internet e in<br />
genere della comunicazione telematica e globalizzata spiega la tendenza<br />
attuale, nella saggistica sociologica e anche filosofica, a sostituire<br />
l’immagine del “villaggio globale” con metafore legate alla<br />
fantascienza come quella <strong>di</strong> cyberspazio e quella analoga <strong>di</strong><br />
cybercultura 13 .<br />
Ma cos’è il ciberspazio È l’interconnessione fra tutti i computer<br />
del mondo. L’interconnessione fisica tra le macchine implica,<br />
virtualmente, la messa in comune delle informazioni immagazzinate<br />
nelle loro memorie e il contatto fra tutti gli in<strong>di</strong>vidui e i gruppi<br />
che si trovano davanti ai loro schermi. Per questo il ciberspazio lungi<br />
dall’essere soltanto una prodezza tecnica, è uno spazio <strong>di</strong> comunicazione<br />
dotato <strong>di</strong> caratteristiche ra<strong>di</strong>calmente nuove.<br />
Questa rete <strong>di</strong> reti, tendenzialmente, non appartiene a nessuno,<br />
non ha un bilancio centrale né un <strong>di</strong>rettore in carica. La sua organizzazione<br />
poggia sulla collaborazione fra macchine e reti <strong>di</strong>sparate.<br />
Possiamo chiarire meglio il significato <strong>di</strong> cyberspazio e cybercultura<br />
con tre concetti.<br />
In primo luogo, cybercultura significa che tutti i testi, tutte le<br />
immagini, tutti i suoni registrati fanno parte ormai virtualmente <strong>di</strong><br />
un unico iperdocumento planetario, accessibile da qualsiasi punto<br />
della rete. Questo immenso iperdocumento (possiamo chiamarlo il<br />
primo, imperfetto, abbozzo <strong>di</strong> una “cultura” mon<strong>di</strong>ale) viene continuamente<br />
letto, consultato, guardato, commentato, ma anche alimentato,<br />
accresciuto e mo<strong>di</strong>ficato dagli “internauti”. Ciascuno, a<br />
un costo minimo, può - o potrà - avere una pagina web e contribuire<br />
così alla tessitura <strong>di</strong> questa grande “tela” mon<strong>di</strong>ale, sfuggendo alla<br />
selezione a priori imposta dagli interme<strong>di</strong>ari tra<strong>di</strong>zionali, cioè e<strong>di</strong>tori,<br />
produttori, addetti stampa, istituzioni scolastiche e altri.<br />
In secondo luogo il cyberspazio è un mezzo <strong>di</strong> comunicazione<br />
interattiva e collettiva del tutto <strong>di</strong>verso da quello uni<strong>di</strong>rezionale e<br />
isolante cui ci hanno abituato i me<strong>di</strong>a classici e in particolare la televisione.<br />
Inoltre l’internauta non deve essere immaginato e rappresentato<br />
come un in<strong>di</strong>viduo solitario, sperduto in una grande e<br />
labirintica banca dati. Al contrario egli è, spesso, accompagnato e<br />
guidato da servizi <strong>di</strong> assistenza <strong>di</strong>sponibili su internet. È invitato a<br />
13<br />
Cfr. per questi concetti H. Rheingold, Comunità virtuali: Parlare, incontrarsi,<br />
vivere nel ciberspazio, Sperling e Kupfer, Milano 1994<br />
– 63
comunicare con altre persone interessate agli stessi argomenti, a<br />
pubblicare, a scambiare, a partecipare in un modo o nell’altro a<br />
<strong>di</strong>versi processi <strong>di</strong> intelligenza collettiva.<br />
Il terzo punto è che Internet non è solo un me<strong>di</strong>um ma un metame<strong>di</strong>um<br />
che sta assorbendo, trasformando e rinnovando non soltanto<br />
i me<strong>di</strong>a già esistenti ma anche un gran numero <strong>di</strong> istituzioni<br />
tra<strong>di</strong>zionali, in particolar modo il mercato e la scuola. Ovviamente,<br />
questo non significa che tutto passerà per Internet ma che il peso<br />
crescente <strong>di</strong> Internet è destinato a cambiare tutto.<br />
Comunque occorre guardare soprattutto alla linea <strong>di</strong> tendenza<br />
più che all’attuale stato <strong>di</strong> sviluppo della rete: e la linea <strong>di</strong> tendenza<br />
è quella <strong>di</strong> un’estensione rapida, più rapida <strong>di</strong> qualsiasi sistema <strong>di</strong><br />
comunicazione esistente. Il che significa che vi saranno sempre meno<br />
“esclusi” dalla rete.<br />
In un certo senso, oggi, il genere umano – nonostante le evidenti<br />
resistenze - sembra tendere alla costituzione <strong>di</strong> un’unica società<br />
(anche se tale concetto andrebbe inteso in un senso più fluido, <strong>di</strong>namico<br />
e “virtuale” <strong>di</strong> quello a cui siamo abituati dalla sociologia<br />
positivistica): <strong>di</strong> fronte a un tale fenomeno gran parte dei nostri concetti,<br />
delle nostre forme culturali e delle nostre istituzioni politiche,<br />
ere<strong>di</strong>tate dai secoli precedenti, appare inadeguata.<br />
Ma c’è dell’altro: gli esseri umani allargano tanto più velocemente<br />
e potentemente il proprio campo d’interazione quanto più<br />
sono interconnessi tra loro. I gran<strong>di</strong> progressi della storia dell’umanità,<br />
a partire dal Neolitico, si sono sempre verificati in stretta relazione<br />
con un processo <strong>di</strong> concentrazione fisica (nelle città e nelle<br />
terre coltivate) e <strong>di</strong> collegamento nel tempo e nello spazio (sistemi<br />
<strong>di</strong> scrittura e <strong>di</strong> comunicazione). Più è aumentata e aumenta la quota<br />
<strong>di</strong> popolazione addetta alle connessioni interne – interne al “cervello”<br />
e al “cuore” dell’umanità – più cresce il potere dell’umanità<br />
sull’ambiente. Con l’accrescimento delle connessioni, non è tanto lo<br />
spazio a restringersi quanto l’essere umano a espandersi.<br />
Ma allora possiamo forse immaginare una sorta <strong>di</strong> “intelligenza<br />
collettiva” nel futuro dell’evoluzione umana anche se essa è solo<br />
agli inizi della sua crescita, come sostiene il filosofo P. Levy <strong>14</strong> , con<br />
un esplicito riferimento alla noosfera <strong>di</strong> Teilhard de Char<strong>di</strong>n<br />
<strong>14</strong><br />
Cfr. Pierre Levy, C’è una “intelligenza collettiva” nel futuro dell’evoluzione<br />
umana, in Teléma, n. 17/18, 1999; inoltre Lévy P., L’intelligenza collettiva,<br />
Feltrinelli, Milano, 1996; Id. Cybercultura, Feltrinelli, Milano 1999.<br />
64 –
Se si volesse tradurre queste riflessioni in un’ottica più “politica”,<br />
si potrebbe, forse, <strong>di</strong>re che la visione <strong>di</strong> una «comunità illimitata<br />
<strong>di</strong> comunicazione» 15 – e Internet <strong>di</strong>lata tale comunità al mondo intero<br />
– è un’utopia che, nella società della comunicazione globale, per<br />
la prima volta, sembra avere qualche chance <strong>di</strong> essere realizzata.<br />
Anche se qui la precisazione che si tratta <strong>di</strong> una «just in time<br />
community», come scrive Habermas, ovvero <strong>di</strong> una comunità che si<br />
forma e si riforma continuamente – perché ciascun partecipante<br />
all’interazione virtuale può non solo unirsi ma anche <strong>di</strong>simpegnarsi<br />
in qualsiasi momento –, ci rende avvertiti della precarietà <strong>di</strong> questa<br />
gran<strong>di</strong>osa utopia.<br />
I RISCHI, LE PAURE E LE ANGOSCE<br />
Ma proprio considerando la rete globale in una prospettiva anche<br />
“politica” emergono - e spesso si traducono, oggi, anche in fenomeni<br />
e movimenti sociali collettivi - sentimenti <strong>di</strong> sospetto, pericolo,<br />
paura e talora anche angoscia, associati all’era dei computer, della<br />
rete telematica, <strong>di</strong> Internet e della globalizzazione.<br />
Perciò, tralasciando le espressioni più rozze e banali <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>sagio,<br />
non si può omettere <strong>di</strong> riflettere soprattutto su qualche questione<br />
che anche tra i più avvertiti e attenti analisti torna spesso in<br />
primo piano.<br />
Un <strong>di</strong>lemma che riempie le riflessioni sull’avvenire culturale del<br />
pianeta, sotto la spinta degli universi simbolici dei consumi <strong>di</strong> massa<br />
e delle comunicazioni in tempo reale è soprattutto: “mcMondo” o<br />
“jihad” Si tratta <strong>di</strong> un interrogativo che ha dato origine anche ad<br />
agguerrite teorie contrapposte 16 .<br />
In altre parole, le prospettive che si confrontano e che hanno una<br />
loro ricaduta anche nell’immaginario collettivo, annunciano, da<br />
un lato, la monocultura e la omogeneizzazione del pianeta, dall’altro<br />
paventano – proprio per questo – fratture ad ogni livello, sociale,<br />
culturale, economico, religioso ecc. e quin<strong>di</strong> la jiahd come possibilità<br />
reale del pianeta della comunicazione globalizzata 17 .<br />
15<br />
Cfr. soprattutto J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino,<br />
Bologna 1986; poi anche Id., Il <strong>di</strong>scorso filosofico della modernità, Laterza, Roma-<br />
Bari 1987; e Id., Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari 1998<br />
16<br />
Cfr. per queste teorie K. Kumar, Le nuove teorie del mondo contemporaneo,<br />
Einau<strong>di</strong>, Torino 2000<br />
17<br />
Ve<strong>di</strong> per esempio le tesi molto <strong>di</strong>scusse <strong>di</strong> S. Huntington in The Clash of<br />
Civilizations, Cambridge 1996; anche G. Ritzer, Il mondo alla McDonald, Il Mulino,<br />
Bologna 1997<br />
– 65
Occorre proprio rassegnarsi a queste prospettive entrambi pessimistiche<br />
O forse è il caso <strong>di</strong> considerare che fin dall’inizio della storia<br />
degli scambi nel mondo, anche i modelli culturali e istituzionali <strong>di</strong>ffusi<br />
dalle potenze egemoni hanno sempre incontrato popoli e culture<br />
che hanno opposto resistenza all’annessione, che sono stati contaminati,<br />
che si sono assimilati e che, spesso, è vero, sono anche scomparsi.<br />
In questi crogioli culturali, però, si sono prodotti anche i<br />
sincretismi o, meglio, le contaminazioni reciproche. Si è verificato<br />
spesso una specie <strong>di</strong> riappropriazione degli elementi delle culture<br />
egemoni da parte <strong>di</strong> altri popoli e culture fino a dare origine a<br />
realtà nuove e creative. Questa riappropriazione è un elemento centrale<br />
<strong>di</strong> ciò che viene chiamato “meticciato”, una <strong>di</strong>mensione, oggi,<br />
considerata una reale possibilità, e, spesso, fatta oggetto <strong>di</strong> analisi a<br />
proposito della globalizzazione culturale 18 .<br />
Da tale punto <strong>di</strong> vista, molti analisti insistono spesso sui rapporti<br />
complessi che si intrecciano tra “globale” e “locale”, ponendosi<br />
in modo <strong>di</strong>ssonante sia con l’idea, spesso proposta, della fatalità<br />
della monocultura, sia con l’altra, opposta ma altrettanto angosciante,<br />
dell’inevitabile scontro delle civiltà. In altre parole, la frammentazione<br />
e la globalizzazione andrebbero viste non in modo statico ma piuttosto<br />
come una coppia in tensione, all’interno della quale si gioca continuamente<br />
la scomposizione- ricomposizione delle identità sociali<br />
e culturali. 19<br />
Secondo molti antropologi l’intensificazione dei flussi culturali<br />
senza frontiere e la innegabile realtà <strong>di</strong> una tendenza alla globalizzazione<br />
della cultura, non portano necessariamente all’omogeneizzazione<br />
culturale del pianeta, ma certamente verso un mondo<br />
sempre più “meticciato”. Le nozioni <strong>di</strong> ibridazione e <strong>di</strong> “meticciato”<br />
rappresentano bene le ricombinazioni e i riciclaggi dei flussi culturali<br />
transnazionali presso le culture locali (anche da qui l’uso del<br />
termine “glo-cale” 20 per rappresentare questo asse <strong>di</strong>alettico).<br />
In breve le culture locali non spariscono necessariamente dalla<br />
carta del mondo, ma possono rielaborarsi integrando il moderno con<br />
18<br />
Per questo concetto e con riferimento anche alla questione religiosa cfr. il<br />
libro <strong>di</strong> J. Au<strong>di</strong>net, Il tempo del meticciato, Queriniana, Brescia 2001<br />
19<br />
Ve<strong>di</strong> A. Mattelart, La comunicazione globale, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1998,<br />
p.123<br />
20<br />
Cfr. U. Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carocci, Roma 2001<br />
66 –
la tra<strong>di</strong>zione, e stabilire nuove basi anche per le proprie industrie<br />
culturali e per la propria capacità <strong>di</strong> creazione. 21<br />
È sempre più vero, in fin dei conti, che ogni in<strong>di</strong>viduo, nel mondo<br />
della comunicazione globalizzata, prende coscienza <strong>di</strong> appartenere<br />
al mondo. Tutti si sentono contemporanei con tutti, ma in un quadro<br />
<strong>di</strong> pluralità.<br />
Per questo oggi occorre piuttosto allenarsi a pensare contemporaneamente<br />
l’unicità del pianeta e la <strong>di</strong>versità dei mon<strong>di</strong> che lo<br />
costituiscono. 22 Può essere utile, per questo, l’utilizzo <strong>di</strong> una categoria,<br />
introdotta dall’antropologo M. Augé, e idonea a rappresentare una<br />
<strong>di</strong>mensione peculiare della nostra esperienza contemporanea, cioè<br />
quella dei “non-luoghi”, spazi esclusivamente <strong>di</strong> passaggio (autostrade,<br />
rotte aeree), <strong>di</strong> consumo (ipermercati) e <strong>di</strong> comunicazione (telefoni,<br />
fax, televisione, reti telematiche). In questi “non-luoghi” si coesiste,<br />
si coabita senza vivere insieme. Questi non-luoghi dell’esperienza,<br />
contribuendo a far ripensare anche l’appartenenza senza annullarla,<br />
fanno nascere atteggiamenti psicologici e forme <strong>di</strong>verse <strong>di</strong> rapporti<br />
tra la gente, per cui la grande metropoli virtuale o<strong>di</strong>erna può<br />
essere vista come “punto centrale, nodo <strong>di</strong> relazioni, <strong>di</strong> emissione e <strong>di</strong><br />
assorbimento nel vasto intreccio che oggi è il pianeta”.<br />
È vero, però, che una prospettiva del genere, pur interessante ed<br />
efficace, non dovrebbe comportare, in modo acritico, la rinuncia a<br />
una lettura attenta dei rapporti tra le culture, che spesso sono <strong>di</strong><br />
subor<strong>di</strong>nazione <strong>di</strong> alcune ad altre, né dovrebbe, semplicisticamente,<br />
annunciare l’avvento del consumatore sovrano, che naviga nell’universo<br />
della cultura globale senza altro limite che la propria libera<br />
scelta. In realtà, se si eliminano dal campo dell’analisi dei fenomeni<br />
della comunicazione contemporanea i rapporti <strong>di</strong> forza e le <strong>di</strong>namiche<br />
socio-economiche, si perde la possibilità <strong>di</strong> comprensione<br />
realistica del mondo globalizzato e rimane spazio solo per una lettura<br />
superficiale e/o un super relativismo culturale che alla fine si<br />
rivelerebbe anche rischioso per la stessa crescita della convivenza e<br />
della comunicazione umana.<br />
Qui si comprende come le questioni relative alle comunicazioni,<br />
in un mondo globalizzato, siano anche, necessariamente, una questione<br />
politica.<br />
21<br />
Interessante sottolineare fenomeni come l’affermazione dell’industria televisiva<br />
e della fiction brasiliana o in<strong>di</strong>ana.<br />
22<br />
Ve<strong>di</strong> M. Augé, Non luoghi. Introduzione a un’antropologia della sur-modernità,<br />
Milano, Eleuthera, 1996<br />
– 67
Tuttavia, sembra che, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> rituali o logori episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica<br />
tra partiti o gruppi <strong>di</strong> potere, la maggioranza delle organizzazioni<br />
politiche e sociali esiti ancora a farsi carico in modo organico ed<br />
efficace dei problemi dei me<strong>di</strong>a e dell’informazione oggi. Basta pensare,<br />
tralasciando dolenti esempi relativi alla situazione italiana attuale,<br />
al fatto che anche gli organizzatori del primo vertice del G7,<br />
de<strong>di</strong>cato all’informazione planetaria, quello del 1995, non vollero<br />
inserire nell’or<strong>di</strong>ne del giorno il tema dei “contenuti” cioè delle <strong>di</strong>versità<br />
culturali, perché ritenuto “troppo polemico”! Su questo versante,<br />
bisogna <strong>di</strong>re che sono soprattutto le cosiddette organizzazioni<br />
non governative quelle più attente, efficaci e capaci <strong>di</strong> trasformare<br />
la loro battaglia in evento pubblico. E forse è a questo livello che<br />
occorre anche immaginare un ruolo più attivo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui, organizzazioni,<br />
Chiese ecc.<br />
È vero che non è facile farsi carico della effettiva rilevanza politica<br />
del problema delle comunicazioni oggi, ma è senz’altro evidente<br />
che le modalità della comunicazione attuale mo<strong>di</strong>ficano i termini e il<br />
contesto della vita politica e democratica. Per cui senza una lucida e<br />
<strong>di</strong>ffusa consapevolezza delle <strong>di</strong>namiche ra<strong>di</strong>calmente nuove della<br />
comunicazione globale <strong>di</strong>fficilmente si arriverà a porre correttamente<br />
le questioni in campo.<br />
E allora forse si potrebbe favorire la nuova consapevolezza cominciando,<br />
da un lato, con l’approntare con<strong>di</strong>zioni che aiutino i citta<strong>di</strong>ni<br />
a riconciliarsi con il mondo della tecnica, per molti ancora<br />
in gran parte estraneo (e questo in tutti gli ambienti da quello politico<br />
a quello produttivo, da quello della cultura a quello delle Chiese),<br />
dall’altro, inventando un “nuovo insieme <strong>di</strong> riferimenti per aprire la<br />
strada a una riappropriazione e riclassificazione simbolica degli<br />
strumenti <strong>di</strong> comunicazione e <strong>di</strong> informazione, al <strong>di</strong> fuori delle<br />
logiche martellanti del marketing”, come auspicava F. Guattari 23 alcuni<br />
anni fa.<br />
Non è meno urgente, infine, orientare la presa <strong>di</strong> coscienza del<br />
citta<strong>di</strong>no, al <strong>di</strong> là anche della padronanza in<strong>di</strong>viduale degli strumenti<br />
multime<strong>di</strong>ali, perché egli sia capace <strong>di</strong> arrivare al livello dove si decide<br />
l’architettura dei sistemi <strong>di</strong> comunicazione. Infatti è a quel<br />
livello che si pongono i problemi più seri e le possibilità più reali per<br />
una ridefinizione della libertà e della democrazia. Poiché, se è<br />
vero che non possiamo chiedere alla tecnica <strong>di</strong> salvare il mondo, non<br />
23<br />
Citato in A. Mattelart, La comunicazione globale, cit., p. 136; ve<strong>di</strong> anche F.<br />
Guattari, Caosmosi, Costa & <strong>Nola</strong>n, Genova 1996<br />
68 –
è meno vero che, oggi, le tecnologie della comunicazione e il loro<br />
controllo rappresentano elementi decisivi anche per la ridefinizione<br />
del contratto sociale e delle istituzioni, tanto sul piano locale che su<br />
scala mon<strong>di</strong>ale.<br />
COMUNICAZIONE GLOBALE E PROBLEMI DELLA DEMOCRAZIA<br />
Ma quali opportunità vengono dalla società della comunicazione<br />
globalizzata per affrontare i nuovi problemi della convivenza civile<br />
e della democrazia<br />
Sicuramente alcune questioni possono ricevere nuova luce in un<br />
contesto <strong>di</strong> rete globale anche se molte questioni relative alle modalità<br />
della democrazia e all’esercizio dei <strong>di</strong>ritti all’autogoverno hanno<br />
sicuramente ancora bisogno <strong>di</strong> analisi, proposte e soluzioni, in un<br />
contesto postnazionale e globalizzato.<br />
Ma, anche senza pretendere <strong>di</strong> proporre compiute analisi <strong>di</strong> filosofia<br />
o scienza politica, proviamo a evidenziare alcuni dei problemi<br />
aperti della convivenza democratica sui quali spesso gli stu<strong>di</strong>osi ritornano.<br />
Lo faremo seguendo le in<strong>di</strong>cazioni soprattutto <strong>di</strong> C. Castoria<strong>di</strong>s 24<br />
e R. Dahl. 25<br />
Secondo questi autori è fondamentale, oggi, ripensare e chiarire,<br />
prima <strong>di</strong> tutto, cosa bisogna intendere per democrazia, se si vogliono<br />
affrontare i problemi che nella società dell’ informazione vengono<br />
in primo piano.<br />
Se la democrazia è, soprattutto, come scrive Castoria<strong>di</strong>s, un regime<br />
dell’autonomia e dell’autolimitazione, un potere che non accetta<br />
<strong>di</strong> essere limitato dall’esterno (al <strong>di</strong> la dei limiti naturali); se è<br />
un potere autoistituente: cioè un regime che si autoistituisce esplicitamente<br />
in modo permanente, o, come ritiene R. Dahl, se la democrazia<br />
è, prima <strong>di</strong> tutto, il <strong>di</strong>ritto all’autogoverno, allora è anche vero<br />
che in una società siffatta nessuno può volere l’autonomia per se<br />
stesso senza volerla per tutti.<br />
Ma, poiché si parla <strong>di</strong> una collettività e una collettività non può<br />
vivere senza leggi, nessuno è effettivamente autonomo, cioè libero,<br />
se non ha l’effettiva possibilità <strong>di</strong> partecipare alla determinazio-<br />
24<br />
C. Castoria<strong>di</strong>s, La rivoluzione democratica, Elèuthera, Milano 2001<br />
25<br />
Ve<strong>di</strong> R. Dahl, Democrazia o tecnocrazia, Il Mulino, Bologna1987; Id.,<br />
Politica e virtù. La teoria democratica nel nuovo secolo, Laterza, Roma-Bari, 2001<br />
– 69
ne <strong>di</strong> quelle leggi. Soprattutto in questo sta il significato dell’uguaglianza<br />
in una società democratica. Libertà e uguaglianza si reclamano<br />
l’un l’altra.<br />
A rigore <strong>di</strong> termini, uguaglianza significa quin<strong>di</strong>: uguale possibilità<br />
per tutti, possibilità effettiva e non teorica, <strong>di</strong> partecipare al<br />
potere.<br />
Non si tratta soltanto <strong>di</strong> entrare nella cabina elettorale, si tratta<br />
anche, per esempio, <strong>di</strong> essere informato, e informato come chiunque<br />
altro, su ciò che deve essere deciso, e contribuire a deciderlo. È<br />
da qui che occorre partire se si vuole onestamente e concretamente<br />
tentare <strong>di</strong> coniugare mondo della comunicazione globale con le libertà<br />
e la democrazia.<br />
Oggi non basta più richiamarsi al voto e al consenso elettorale<br />
per legittimare democraticamente il proprio potere! E non credo debba<br />
essere necessario, a tale proposito, richiamare la lezione <strong>di</strong><br />
Tocqueville!<br />
La democrazia può infatti essere, anche, definita come il “<strong>di</strong>venire<br />
realmente pubblica della sfera, cosiddetta, pubblica/pubblica”,<br />
il luogo cioè in cui si delibera e si decide degli affari comuni,<br />
sfera che negli altri regimi è <strong>di</strong> fatto più o meno privata.<br />
E proprio qui nasce una delle questioni aperte della democrazia<br />
d’oggi che, in un contesto <strong>di</strong> rete globale, potrebbe ricevere qualche<br />
contributo alla soluzione.<br />
Infatti, non è solo nel cosiddetto “antico regime” o sotto il totalitarismo<br />
dell’apparato del Partito che il “pubblico” politico è affare<br />
privato del monarca; in realtà, una delle ragioni per cui <strong>di</strong>venta sempre<br />
più problematico parlare <strong>di</strong> democrazia nella nostra società attuale<br />
è proprio il fatto che, oggi, sempre più spesso, la sfera “pubblica”<br />
sembra <strong>di</strong>ventare, in realtà, “privata”.<br />
Lo è, prima <strong>di</strong> tutto, nel senso che le vere decisioni sono prese a<br />
porte chiuse, nei corridoi o nei luoghi <strong>di</strong> incontro dei “governanti” <strong>di</strong><br />
turno. È <strong>di</strong>ventato, infatti, quasi un luogo comune ritenere che le<br />
decisioni che contano non sono prese nei luoghi ufficiali in cui si<br />
presume che vengano prese; quando arrivano davanti ai Consigli dei<br />
ministri o alle Camere dei Deputati, i giochi sono già fatti.<br />
Inoltre anche le motivazioni ( le vere motivazioni) sono spesso<br />
segrete, e, nella maggioranza dei casi, accedervi è vietato legalmente.<br />
Nei vari paesi europei per esempio, il termine temporale per accedere<br />
agli archivi pubblici è <strong>di</strong> venti, trenta o cinquanta anni. Ma<br />
anche un mese, in ogni caso, sarebbe sufficiente per quello che qui si<br />
vuol <strong>di</strong>mostrare. Aspettate cinquanta o trent’anni e saprete perché<br />
70 –
vostro fratello o vostro figlio sono stati ammazzati in guerra. Sarebbe<br />
questa la democrazia O bisognerebbe parlare <strong>di</strong> oligarchia politica<br />
Sembra questo il “tallone d’Achille” delle democrazie in una<br />
società sempre più complessa e globalizzata come quella attuale.<br />
Che la sfera pubblica/pubblica <strong>di</strong>venti veramente tale implica,<br />
ovviamente, che la collettività e i poteri pubblici siano tenuti a informare<br />
realmente i citta<strong>di</strong>ni su tutto ciò che riguarda le decisioni da<br />
prendere, e che è loro necessario per poterle prendere con cognizione<br />
<strong>di</strong> causa.<br />
Si capisce bene come non si insista mai a sufficienza sia sulla<br />
necessità, oggi, <strong>di</strong> una reale molteplicità delle fonti <strong>di</strong> informazione,<br />
sia sul ruolo fondamentale della <strong>di</strong>ffusione delle informazioni<br />
pertinenti, affinché le decisioni siano prese con cognizione <strong>di</strong> causa,<br />
sia sul carattere essenzialmente politico (e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> servizio pubblico<br />
e quin<strong>di</strong> implicante responsabilità e obbligo <strong>di</strong> rendere conto –<br />
non soltanto attraverso il momento elettorale) delle funzioni <strong>di</strong> raccolta<br />
e <strong>di</strong>ffusione delle informazioni.<br />
È altrettanto ovvio come la soluzione <strong>di</strong> questi problemi non solo<br />
richieda la possibilità per tutti <strong>di</strong> accesso all’informazione ma<br />
implichi altre due con<strong>di</strong>zioni e cioè, da un lato, la capacità effettiva,<br />
per tutti, <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care (si pone perciò anche la questione dell’educazione<br />
e della scuola), dall’altro, il tempo necessario per l’informazione<br />
e la riflessione (e quin<strong>di</strong> la questione del lavoro, della produzione<br />
e dell’economia).<br />
Come si vede, nel mondo globalizzato, anche le varie questioni<br />
della convivenza democratica sono molto più inter<strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> quanto,<br />
<strong>di</strong> solito, si pensi. Ma forse, affrontare una buona volta queste<br />
questioni, può essere anche la strada per contribuire a ridurre quei<br />
sentimenti <strong>di</strong> ansia, paura e angoscia, <strong>di</strong> cui si è detto sopra, e che si<br />
accompagnano spesso, anche con fenomeni, che si potrebbero considerare<br />
<strong>di</strong> nevrosi collettiva, quali l’emergere <strong>di</strong> movimenti<br />
integralistici, xenofobi e populistici, ai processi della globalizzazione.<br />
La realtà effettiva dell’informazione e delle comunicazioni, però,<br />
è molto <strong>di</strong>stante da quella ideale: basta considerare, infatti, che la<br />
maggior parte delle informazioni offerte dalle parti in causa, per<br />
esempio durante le competizioni elettorali, è fortemente influenzata<br />
e manipolata, soprattutto nei contesti, come quello italiano, in<br />
cui, in sostanza, l’informazione vive in assenza <strong>di</strong> vero pluralismo e<br />
in regime <strong>di</strong> quasi monopolio.<br />
È vero che la gente istruita può giungere con una ricerca ostinata<br />
a una conoscenza che si avvicina alla migliore possibile. Molte<br />
– 71
persone istruite però non fanno così, mentre i citta<strong>di</strong>ni con minor<br />
istruzione si basano spesso su informazioni del tutto inadeguate.<br />
Come è possibile allora dar vita a un corpo <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni capaci <strong>di</strong><br />
produrre giu<strong>di</strong>zi adeguatamente illuminati sugli stessi problemi pubblici<br />
o sui termini in cui poter delegare ad altri senza preoccupazione<br />
l’autorità <strong>di</strong> prendere le decisioni.<br />
È possibile utilizzare la tecnologia per incrementare il numero<br />
<strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni politicamente competenti Sembra che il mondo delle<br />
comunicazioni globali renda possibile quello che, finora, sarebbe stato<br />
<strong>di</strong>fficilmente attuabile. Sembra cioè che nel contesto delle comunicazione<br />
globali sia possibile porre in termini nuovi e più possibilistici<br />
la questione della democrazia.<br />
Secondo R. Dahl è possibile, nel contesto della rete globale, proporsi<br />
almeno tre fondamentali obiettivi per ogni democrazia e cioè:<br />
• fare in modo che le informazioni relative ai problemi politici all’or<strong>di</strong>ne<br />
del giorno siano anche facilmente e completamente accessibili<br />
a tutti i citta<strong>di</strong>ni<br />
• creare per tutti i citta<strong>di</strong>ni delle opportunità facilmente realizzabili e<br />
totalmente accessibili per influenzare le informazioni per la compilazione<br />
dell’or<strong>di</strong>ne del giorno, <strong>di</strong> ciò che talora si chiama “agenda<br />
politica” e per prendere parte in modo adeguato alle <strong>di</strong>scussioni<br />
politiche<br />
• fare in modo <strong>di</strong> avere un corpo <strong>di</strong> opinione pubblica molto ben<br />
informato che sia rappresentativo dell’intero corpo citta<strong>di</strong>no 26 .<br />
Rendere possibile ai citta<strong>di</strong>ni una influenza più <strong>di</strong>retta non su<br />
finte questioni ma sull’or<strong>di</strong>ne del giorno della politica potrebbe<br />
essere consentito proprio dal carattere interattivo della tecnologia<br />
dell’informazione. Anche se ci sarebbero, è vero, dei problemi pratici,<br />
non sarebbero, però, insuperabili.<br />
“Il problema oggi, scrive Dahl, è come rivitalizzare la speranza<br />
che l’antica visione, ormai vecchia <strong>di</strong> 25 secoli, del popolo che si<br />
autogoverna me<strong>di</strong>ante il processo democratico e che possiede tutte<br />
le risorse e le istituzioni necessarie per reggersi con saggezza, possa<br />
essere riadattata ancora una volta, come è già successo in passato,<br />
ad un mondo sempre più <strong>di</strong>verso da quello in cui una tale visione<br />
delle cose venne messa in pratica per la prima volta” 27 .<br />
26<br />
Cfr R. Dahl, Democrazia o tecnocrazia, Il Mulino, Bologna1987, p. 107<br />
27<br />
Ibid., p. 123<br />
72 –
Ma a partire da quali caratteri della comunicazione telematica è<br />
possibile pensare a con<strong>di</strong>zioni per una nuova esperienza della democrazia<br />
VERSO UNA NUOVA CITTADINANZA<br />
Da anni, lo abbiamo già sottolineato, ai termini elettronica, informatica,<br />
telematica è stato strettamente associato quello <strong>di</strong> rivoluzione.<br />
Ma questa rivoluzione non si è fermata alle sfere della vita<br />
privata o della produzione: ha investito anche la sfera pubblica, le<br />
istituzioni, la politica e i suoi processi. Ogni ambito della vita associata<br />
è stato invaso e viene dominato dalla potenza dell’informazione<br />
e della comunicazione.<br />
È una situazione questa che costringe a prendere atto dell’inadeguatezza<br />
della tra<strong>di</strong>zione del pensiero politico occidentale. Sembra,<br />
infatti, che il consenso non si crei più attraverso la me<strong>di</strong>azione<br />
delle forme rappresentative e la <strong>di</strong>scussione pubblica, ma attraverso<br />
la tentata “cattura” <strong>di</strong> un’enorme platea me<strong>di</strong>atica: tecniche <strong>di</strong><br />
marketing aziendale si fanno tecnica politica. Anche attraverso<br />
tali modalità si manifesta la tendenza, sopra richiamata, per cui la<br />
sfera pubblica sembra <strong>di</strong>ventare privata, quasi una questione <strong>di</strong> poteri<br />
<strong>di</strong> mercato. In tal modo, la società dell’informazione fornisce <strong>di</strong> sé<br />
una rappresentazione virtuale, che la fa ritenere libera, o liberata, dal<br />
sistema politico, dalla coazione alla forma della rappresentanza sovrana<br />
che la politica moderna aveva pensato 28 . Anzi a qualcuno sembra<br />
che alla volontà generale, costruzione me<strong>di</strong>ata dell’uno attraverso<br />
i singoli secondo il processo della sovranità rappresentativa, si<br />
possa ad<strong>di</strong>rittura contrapporre, nel contesto della società me<strong>di</strong>atica,<br />
un “general intellect” come sfera pubblica non statuale” 29 .<br />
Anche se gli strumenti concettuali <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sponiamo sono ancora<br />
inadeguati per una compiuta e organica riflessione su queste questioni<br />
(e del resto non è questa la sede per questa analisi), ce n’è<br />
abbastanza per pensare che ciò che oggi sta avvenendo riguarda comunque<br />
anche il modo in cui ciascuno può essere citta<strong>di</strong>no.<br />
È a partire da qui che occorre cercare delle linee che <strong>di</strong>ano un<br />
senso alla nostra esperienza <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni nel contesto della rivoluzione<br />
telematica.<br />
28<br />
Cfr. M. L. Lanzillo, Rappresentanza, in Lessico post-for<strong>di</strong>sta, cit., p. 238<br />
29<br />
Ve<strong>di</strong> P. Virno, Mondanità. L’idea <strong>di</strong> “mondo” tra esperienza sensibile e<br />
sfera pubblica, manifestolibri, Roma 1994<br />
– 73
Per comprendere, almeno in parte, il modo in cui la sfera pubblica<br />
sta cambiando, è in<strong>di</strong>spensabile considerare un insieme <strong>di</strong><br />
mezzi, che sinteticamente si possono in<strong>di</strong>care con il termine tecnopolitica<br />
e che operano in forme sempre più intrecciate: la televisione<br />
(via etere, cavo, satellite), le reti telematiche, i personal computer,<br />
il telefono, i sondaggi, il marketing politico, la consultazione <strong>di</strong><br />
gruppi appositamente selezionati. Ora, nel momento in cui la politica<br />
e la democrazia si presentano con le forme della tecnopolitica,<br />
<strong>di</strong>venta necessario esaminare un nuovo concetto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza: la<br />
citta<strong>di</strong>nanza elettronica 30 .<br />
Il concetto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza elettronica, in questa prospettiva, non<br />
riguarda soltanto le nuove modalità d’azione dei citta<strong>di</strong>ni, e la necessità<br />
<strong>di</strong> realizzarle pienamente e per tutti. Deve essere riferito,<br />
come si è detto, anche a una realtà completamente nuova, che riguarda<br />
la possibilità <strong>di</strong> far nascere sulle reti veri e propri soggetti<br />
collettivi elettronici, profondamente <strong>di</strong>versi per natura, organizzazione<br />
e modalità <strong>di</strong> funzionamento dai soggetti collettivi che abbiamo<br />
finora conosciuto, perché liberi da ogni vincolo spaziale e temporale.<br />
In un certo senso, siamo in presenza <strong>di</strong> vere e proprie comunità<br />
virtuali. In una situazione <strong>di</strong> crisi dei tra<strong>di</strong>zionali soggetti politici<br />
(partiti, sindacati) non può essere trascurata questa nuova frontiera<br />
dell’organizzazione sociale, anche se non può essere ignorato<br />
il rischio <strong>di</strong> un conflitto tra comunità virtuale, che utilizza il tempo<br />
mon<strong>di</strong>ale delle telecomunicazioni, e comunità reale, che utilizza il<br />
tempo locale delle attività imme<strong>di</strong>ate. Il costante riferimento al problema<br />
delle reti, quin<strong>di</strong>, consente <strong>di</strong> identificare più analiticamente<br />
una delle caratteristiche della comunicazione elettronica, destinata<br />
ad influenzare <strong>di</strong>rettamente le modalità della citta<strong>di</strong>nanza.<br />
Finora, lo abbiamo già sottolineato, ci siamo trovati quasi esclusivamente<br />
in presenza <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> comunicazione verticale (o<br />
uni<strong>di</strong>rezionale), legate al modello della televisione via etere, e, sostanzialmente<br />
questo modello uni<strong>di</strong>rezionale è stato prevalente anche<br />
nella comunicazione politica. In un modello del genere, la <strong>di</strong>mensione<br />
del citta<strong>di</strong>no è cancellata dalla figura dello spettatore.<br />
Un’ autorità lontana e incontrollabile sceglie momenti, modalità e<br />
linguaggi della comunicazione. Lontani e tra loro separati, i citta<strong>di</strong>ni<br />
assistono passivamente. Questo non significa necessariamente che<br />
il loro assistere sia privo <strong>di</strong> capacità critica o <strong>di</strong> possibilità <strong>di</strong> reazione:<br />
vuol <strong>di</strong>re che non sono in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> intervenire attivamen-<br />
30<br />
Cfr., S. Rodotà, Verso una nuova citta<strong>di</strong>nanza, in Telèma 1/1995<br />
74 –
te nel processo comunicativo che, per questo suo connotato, si presenta<br />
come intimamente autoritario 31 .<br />
Diversa sarebbe la con<strong>di</strong>zione del citta<strong>di</strong>no che ha la possibilità<br />
<strong>di</strong> servirsi <strong>di</strong> una rete, dunque <strong>di</strong> una forma <strong>di</strong> comunicazione che è<br />
non solo orizzontale (o bi<strong>di</strong>rezionale) ma reticolare (o circolare). In<br />
questo caso “esistono molti mittenti e molti destinatari, che possono<br />
scambiarsi <strong>di</strong> ruolo. Ma ciascun agente comunicativo è in grado <strong>di</strong><br />
comunicare con molti altri. Nella comunicazione reticolare infatti si<br />
realizza una interazione collettiva” 32 . Qui non esistono posizioni<br />
<strong>di</strong> supremazia, agende prestabilite, tempi <strong>di</strong> parola imposti.<br />
Una volta riconosciute le modalità <strong>di</strong> accesso nelle forme prima<br />
ricordate, tutti i citta<strong>di</strong>ni si trovano in posizioni paritarie, possono<br />
<strong>di</strong>ventare protagonisti attivi della comunicazione, e questa assume<br />
inequivocabili tratti democratici.<br />
Anche senza voler apparire prigionieri della retorica delle reti,<br />
che in<strong>di</strong>ca in Internet il modello che ci riscatterà da tutti i mali del<br />
mondo, contrapponendo schematicamente la televisione via etere e<br />
le reti telematiche, qui si intende solo mostrare come nell’ambito<br />
delle tecnologie elettroniche siano presenti forme <strong>di</strong>verse <strong>di</strong> comunicazione,<br />
tra loro profondamente <strong>di</strong>verse per protagonisti e effetti.<br />
Tra l’altro, riflettendo sul problema delle reti e sul ruolo che in<br />
esse possono assumere i citta<strong>di</strong>ni, si può anche chiarire un altro tema<br />
oggi assai enfatizzato riguardo alle tecnologie interattive. Considerata<br />
nella <strong>di</strong>mensione della citta<strong>di</strong>nanza, l’interattività viene assai<br />
spesso presentata come la possibilità <strong>di</strong> continui referendum elettronici,<br />
<strong>di</strong> una democrazia rattrappita in un eterno gioco <strong>di</strong> domande e<br />
risposte che, in realtà, non mo<strong>di</strong>ficherebbe la possibilità <strong>di</strong> partecipazione<br />
al potere del citta<strong>di</strong>no. La suggestione populista, versione<br />
volgarizzata dell’attenzione alle nuove tecnologie, che oggi sembra<br />
esercitare molto fascino, non può nascondere l’impoverimento della<br />
democrazia che tutto questo comporterebbe.<br />
La logica vera della rete è invece assai lontana dallo schema<br />
del sì e del no, da un uso dell’elettronica che si limita a <strong>di</strong>latare smisuratamente<br />
la <strong>di</strong>mensione del sondaggio. L’interattività, infatti, si<br />
pone all’origine <strong>di</strong> nuovi e <strong>di</strong>versi processi comunicativi.<br />
In generale, si può <strong>di</strong>re che, all’interno del più vasto campo dei<br />
new me<strong>di</strong>a, ossia dei mezzi <strong>di</strong> comunicazione fecondati dall’infor-<br />
31<br />
Per questi problemi, D. McQuail, I me<strong>di</strong>a in democrazia. Comunicazioni <strong>di</strong><br />
massa e interesse pubblico, Il Mulino, Bologna 1995<br />
32<br />
F. Ciotti – G. Roncaglia, cit., p.300<br />
– 75
matica, le reti occupano un posto privilegiato proprio perché mettono<br />
in questione le forme tra<strong>di</strong>zionali della citta<strong>di</strong>nanza 33 , aprendo<br />
nuove e impensate opportunità.<br />
Perciò, contrariamente a quanto spesso si pensa, i rapporti fra<br />
i comportamenti dei singoli e la esplosiva crescita delle tecnologie<br />
dell’informazione non vanno necessariamente nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> fare<br />
<strong>di</strong> noi singoli citta<strong>di</strong>ni, progressivamente, dei prigionieri dei processi<br />
e degli apparati <strong>di</strong> un più o meno esplicito “grande fratello”<br />
informatico e telematico. Sembra anzi che la molecolarità dei soggetti<br />
e dei comportamenti debba vincere sul totalitarismo invasivo<br />
degli strumenti: basta pensare a quanto sia personalizzato l’uso<br />
delle carte <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, il consumismo dei cellulari telefonici, la navigazione<br />
un po’ solipsistica in Internet. E’ il singolo che riduce<br />
alla propria <strong>di</strong>mensione la grande tecnologia, e non il contrario.<br />
Quali effetti ciò potrà avere per le <strong>di</strong>namiche della democrazia e<br />
del potere<br />
DAL CONFRONTO MEDIATICO ALLA CYBERDEMOCRAZIA<br />
Secondo Pierre Levy la rete globale, la cosiddetta onnivisione, o<br />
la trasparenza <strong>di</strong>gitale, <strong>di</strong>venterà la base <strong>di</strong> una cyberdemocrazia<br />
ancora <strong>di</strong>fficilmente immaginabile 34 .<br />
Infatti, anche se in teoria esiste il rischio ( pensiamo per esempio<br />
al caso <strong>di</strong> Echelon un sistema ultrasegreto che però ora attraverso<br />
internet è conosciuto nei minimi dettagli dal grande pubblico 35 ), non<br />
è il caso tuttavia <strong>di</strong> temere una nuova forma <strong>di</strong> totalitarismo perché<br />
la trasparenza generalizzata, verso la quale ci stiamo <strong>di</strong>rigendo, ha<br />
la tendenza a <strong>di</strong>venire simmetrica. In altre parole, la logica della<br />
rete globale tende a far sì che la libertà <strong>di</strong> espressione e l’accesso<br />
all’informazione aumentino per tutti e non soltanto per gli Stati e<br />
per le gran<strong>di</strong> imprese. Questa, probabilmente, è una considerazione<br />
che ci può far guardare con meno sospetto e timore alla<br />
globalizzazione telematica.<br />
33<br />
Ve<strong>di</strong> per queste questioni, G. Bettetini e F. Colombo, Le nuove tecnologie<br />
della comunicazione, Bompiani, Milano 1994<br />
34<br />
Pierre Levy, Dal confronto me<strong>di</strong>atico alla cyberdemocrazia, in Problemi<br />
dell’informazione/ a. XXVI, n. 2-3, 2001, p.244<br />
35<br />
Ve<strong>di</strong> sito http://www. Wdnet.co.uk.news/specials/2000/06/echelon e inoltre<br />
http://www.aclu.org/echelonwatch/<br />
76 –
In realtà, in termini <strong>di</strong> comunicazione, il potere autoritario si<br />
definisce attraverso l’asimmetria della visibilità: in altre parole coloro<br />
che sono dominati sono trasparenti mentre il centro del potere<br />
resta opaco. Inoltre il totalitarismo si contrad<strong>di</strong>stingue anche per il<br />
carattere verticale e uni<strong>di</strong>rezionale del flusso <strong>di</strong> informazioni. Le<br />
informazioni salgono dalla popolazione, gli or<strong>di</strong>ni e la propaganda<br />
scendono dal potere.<br />
Il tipo <strong>di</strong> comunicazione, invece, reso possibile dal cyberspazio,<br />
è all’esatto opposto della configurazione totalitaria. Possiamo comprendere<br />
meglio ciò che qui si vuol <strong>di</strong>re riflettendo sulle considerazioni<br />
seguenti.<br />
Gli scandali finanziari o sessuali che colpiscono il mondo politico<br />
da molti anni in tutti i Paesi democratici, l’accanimento dei giu<strong>di</strong>ci,<br />
dei giornalisti e degli oppositori a caccia dei minimi errori, delle<br />
gaffes e goffaggini dei <strong>di</strong>rigenti, probabilmente, non sono prevalentemente<br />
il segno <strong>di</strong> una maggiore debolezza morale delle élites politiche,<br />
quanto piuttosto la spia dell’ascesa della volontà e della pratica<br />
della trasparenza democratica, resa possibile, in una modalità<br />
nuova, dalla rete globale. Certo è che questa trasparenza non potrà<br />
essere <strong>di</strong>ssociabile – nonostante qualunque volontà contraria, dalla<br />
libertà <strong>di</strong> stampa e dalla autonomia della giustizia 36 . In effetti, gli<br />
uomini politici sono probabilmente meno corrotti oggi rispetto a quanto<br />
lo erano in passato, solo che questa corruzione oggi è più visibile<br />
e lo sarà sempre <strong>di</strong> più, come qualunque altro aspetto dell’esercizio<br />
del potere.<br />
Dato che la libertà è protetta meglio dalla luce che dall’ombra,<br />
l’aumentata trasparenza permessa dagli strumenti del cyberspazio<br />
sembra, a molti analisti, uno dei fattori determinanti non solo della<br />
transizione dalla democrazia moderna alla cyberdemocrazia, ma<br />
anche della caduta delle <strong>di</strong>ttature alla vecchia maniera.<br />
Questo, beninteso, a con<strong>di</strong>zione che la trasparenza rimanga simmetrica<br />
e che, quin<strong>di</strong>, la rete si capillarizzi e rimanga globale.<br />
Quale <strong>di</strong>ttatura potrebbe resistere in un Paese in cui il 25%<br />
della popolazione ha accesso a internet<br />
36<br />
Il che in altri Paesi, per esempio gli USA, è considerato ovvio anche da parte<br />
<strong>di</strong> uomini politici potenti (ve<strong>di</strong> il caso dei Presidenti come Clinton); mentre <strong>di</strong>rigenti<br />
politici del nostro Paese, pur considerati esperti <strong>di</strong> comunicazione, sembrano,<br />
a quanto pare, non rendersene conto, agendo, in queste questioni, con una logica <strong>di</strong><br />
potere <strong>di</strong> altri tempi; che sia anche questo un segno dell’ arretratezza della nostra<br />
classe <strong>di</strong>rigente<br />
– 77
Nicholas Negroponte, il guru del Me<strong>di</strong>a Lab del MIT, ha sostenuto<br />
un’idea simile quando ha detto: “un sistema <strong>di</strong> comunicazione<br />
come Internet, con le sue possibilità <strong>di</strong> scambio estese e costanti,<br />
non può non avere effetti sui nostri rapporti sociali. Immaginate, per<br />
esempio, la convivenza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ttatura con la rete”. 37<br />
Internet, in altre parole, metterà sempre più in <strong>di</strong>scussione le situazioni<br />
<strong>di</strong> monopolio del potere <strong>di</strong> parola nei vecchi Paesi dell’Europa<br />
occidentale e nell’America del Nord. Ma offrirà, senz’altro,<br />
anche una boccata d’aria e presto probabilmente una capacità <strong>di</strong><br />
gridare e <strong>di</strong> esprimersi ai popoli che soffocano sotto il potere delle<br />
cricche <strong>di</strong>ttatoriali, in vari paesi del mondo. Nella prospettiva della<br />
cyberdemocrazia, l’effetto principale <strong>di</strong> internet è contribuire a indebolire<br />
le <strong>di</strong>ttature <strong>di</strong> ogni genere, che sono sempre essenzialmente<br />
mafiose, che esse si presentino sotto una luce nazionalista, xenofoba,<br />
populista, militare, “comunista”, integralista o altro. Come spiegare<br />
infatti l’opposizione a internet o il tentativo <strong>di</strong> controllarlo da parte<br />
<strong>di</strong> regimi come quello cinese o quelli integralisti musulmani<br />
Internet, con la sua apertura sul mondo e la libertà <strong>di</strong> espressione<br />
che le è propria, pone i gran<strong>di</strong> e i piccoli <strong>di</strong>ttatori in una situazione<br />
<strong>di</strong>fficile. Da una parte, infatti, essi sono costretti a promuovere internet<br />
e il commercio elettronico, pena l’accusa <strong>di</strong> produrre deliberatamente<br />
arretratezza e povertà. Dall’altra parte, essi pretendono <strong>di</strong> resistere<br />
con tutte le loro forze alla libertà <strong>di</strong> espressione che si accompagna<br />
naturalmente con il nuovo me<strong>di</strong>um. Ma come sarebbe possibile fabbricare<br />
un internet “puramente cinese” o “puramente tunisino” dove<br />
poter esercitare la censura<br />
In sostanza, tutte le <strong>di</strong>ttature sono destinate a cadere inesorabilmente<br />
al ritmo dell’espansione della cybercultura, come ha scritto P.<br />
Levy.<br />
Certo, l’idea <strong>di</strong> dare reale citta<strong>di</strong>nanza a chiunque, <strong>di</strong> parlare a<br />
molti e <strong>di</strong>venire, in qualche modo, partner <strong>di</strong> molti ai quali tante altre<br />
persone, singole o in gruppo, si possono rivolgere, è affascinante ed<br />
è un potente strumento <strong>di</strong> democrazia possibile, perché non c’è nessun<br />
monopolio dell’ informazione che alla fine non possa essere<br />
aggirato. Sta pure qui la novità della rete globale! Ed è anche questo<br />
aspetto che rende possibile ripensare i temi della libertà, della democrazia<br />
e della citta<strong>di</strong>nanza oggi.<br />
37<br />
Intervista con Negroponte in Cambiamento culturale e fede cristiana, (a<br />
cura del Servizio nazionale per il progetto culturale della CEI), ELLEDICI Leumann<br />
(Torino), 2000, p.16<br />
78 –
Infine, poiché la libertà e la pluralità delle voci, rese possibili<br />
dalla comunicazione globale, si nutrono anche della capacità, propria<br />
della rete, <strong>di</strong> educare alla ricerca, <strong>di</strong> insegnare un paziente processo<br />
<strong>di</strong> prova ed errore, <strong>di</strong> spingere alla con<strong>di</strong>visione e all’appartenenza<br />
collettiva dei percorsi fatti in comune, <strong>di</strong> creare nuove forme<br />
<strong>di</strong> relazione, enfatizzando l’importanza del comunicarsi ed ascoltarsi,<br />
non è un caso che si parli <strong>di</strong> “intelligenza collettiva” a proposito<br />
della modalità peculiare <strong>di</strong> crescita culturale nella rete. Forse non è<br />
utopistico pensare che - come ha scritto P. Levy - questa effettiva<br />
pluralità delle voci, resa possibile dalla comunicazione telematica<br />
globalizzata, pluralità che si incontra e si esprime attraverso una sorta<br />
<strong>di</strong> iperdocumento planetario, possa veramente dare origine a una<br />
forma <strong>di</strong> nuova “cultura mon<strong>di</strong>ale”, da intendersi non come una<br />
monocultura che neghi o emargini le <strong>di</strong>versità, ma piuttosto come<br />
una “tela” che viene continuamente tessuta insieme, consultata, guardata,<br />
commentata, ma anche alimentata, accresciuta e mo<strong>di</strong>ficata, in<br />
altre parole, come “una voce plurale”.<br />
La metafora continuamente incombente, oggi, del grande fratello,<br />
che domina e manipola l’informazione da un unico centro potrebbe,<br />
dunque, essere sostituita dalla frantumazione - non <strong>di</strong>spersione -<br />
dei luoghi della comunicazione, dando vita a una realtà senz’altro<br />
più democratica, anche sul piano della comunicazione culturale.<br />
Tutto questo non sembri solo utopia o aspirazione perché qualunque<br />
tentativo <strong>di</strong> negare l’abbondanza ininterrotta della conversazione<br />
plurale non resisterebbe - già oggi - al semplice esame della<br />
reale situazione come appare sul Web.<br />
Si tratta <strong>di</strong> uno scenario che occorre imparare ad abitare, uno<br />
scenario che costringe a ripensare forme <strong>di</strong> partecipazione e mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
fare comunicazione, uno scenario che forse renderà obsoleti tanti<br />
nostri mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere presenti sul piano pubblico. Uno scenario che<br />
offre maggiori possibilità <strong>di</strong> partecipazione e creatività, ma che moltiplica<br />
anche le responsabilità, depositandole su ciascun nodo della<br />
rete.<br />
– 79
80 –
LA CREDIBILITA’ DELLA RIVELAZIONE<br />
CARLO GRECO S.I. *<br />
1. LA RELIGIONE CRISTIANA COME RELIGIONE DI RIVELAZIONE<br />
La religione cristiana si definisce come religione rivelata, al fine<br />
<strong>di</strong> in<strong>di</strong>care in tal modo la propria origine, l’istanza su cui si fonda, il<br />
contenuto <strong>di</strong> ciò che annunzia, le ragioni della sua specificità.<br />
Naturalmente la rivelazione, come termine storico-religioso, non<br />
è esclusivo della religione cristiana. “La scienza delle religioni parla<br />
<strong>di</strong> religioni <strong>di</strong> rivelazione quando il centro vitale <strong>di</strong> una religione è<br />
determinato in maniera essenziale dall’azione esplicita <strong>di</strong> una <strong>di</strong>vinità,<br />
azione volta alla salvezza dell’uomo e del suo mondo” 1 .<br />
La caratterizzazione del cristianesimo come religione rivelata si<br />
afferma soprattutto nell’età moderna contro l’illuminismo, allo scopo<br />
<strong>di</strong> sottolinearne l’origine trascendente e la superiorità rispetto ad<br />
una religione fondata sulla semplice ragione naturale. Tuttavia, la<br />
convinzione dell’origine e del fondamento trascendente del cristianesimo<br />
fa già parte fin dall’inizio dalla confessione e dall’autocoscienza<br />
cristiana. Questa esiste solo perché è avvenuta la rivelazione<br />
<strong>di</strong> Dio nella storia d’lsraele e in Gesù Cristo. Già nel Nuovo Testamento<br />
il termine ‘rivelazione’ viene usato per delimitare e qualificare<br />
il messaggio cristiano in base alla sua origine e al suo contenuto.<br />
Paolo, per esempio, scrive <strong>di</strong> “non aver ricevuto né imparato il vangelo<br />
da uomini, ma per rivelazione <strong>di</strong> Gesù Cristo”(Gal 1,12), e che<br />
il contenuto del suo messaggio non è una “sapienza <strong>di</strong> questo mondo”,<br />
ma una “sapienza <strong>di</strong>vina” (1Cor 2,6 s.).<br />
Nel corso dell’epoca moderna il termine ‘rivelazione’ <strong>di</strong>viene<br />
una categoria teologica universale e trascendentale 2 : il concetto centrale<br />
dell’autocomprensione cristiana, con cui s’intende in<strong>di</strong>carne il<br />
fondamento ontologico, gnoseologico e legittimante. Sono stati soprattutto<br />
i due Concili, Vaticano I e Vaticano II, ad assegnare alla<br />
nozione <strong>di</strong> rivelazione una posizione teologica centrale e, in partico-<br />
* Relazione tenuta il 27 Marzo 2001.<br />
1<br />
J.SCHMITZ “Il cristianesimo come religione <strong>di</strong> rivelazione nella confessione<br />
della Chiesa” in Corso <strong>di</strong> Teologia Fondamentale, II, cit., 13-<strong>14</strong>.<br />
2<br />
H. FRIES, Teologia Fondamentale, Queriniana, Brescia 1987, 206.<br />
– 81
lare il Vat.II, de<strong>di</strong>cando ad essa un’intera costituzione, a promuovere<br />
tale categoria a concetto-base del cristianesimo. “La rivelazione o<br />
Parola <strong>di</strong> Dio all’umanità è la prima realtà cristiana, il primo fatto, il<br />
primo mistero, la prima categoria” 3 . Ogni economia <strong>di</strong> salvezza, nell’or<strong>di</strong>ne<br />
della conoscenza, si basa su questo mistero dell’autocomunicazione<br />
<strong>di</strong> Dio in una confidenza d’amore. E’ il mistero primor<strong>di</strong>ale,<br />
quello che ci comunica tutti gli altri, perché è la manifestazione<br />
del <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> salvezza pensato da Dio da tutta l’eternità e realizzato<br />
in Gesù Cristo (Ef 1,9-10; Rom 16, 25-27). Essa è fondamento<br />
dell’esistenza cristiana come fede, speranza e carità e della riflessione<br />
teologica in senso proprio.<br />
2. LA NECESSITÀ DELLA LEGITTIMAZIONE DELLA FEDE DERIVANTE<br />
DALLA RIVELAZIONE<br />
Questa pretesa del cristianesimo <strong>di</strong> essere una religione rivelata<br />
non è più capita dall’uomo moderno. Dall’epoca dell’illuminismo in<br />
poi l’uomo si è imposto come fondamento, centro e norma della propria<br />
condotta <strong>di</strong> vita, la ragione. Richiamarsi invece ad una rivelazione<br />
significa che almeno alcune nozioni importanti per l’orientamento<br />
e la condotta della vita non possono essere conosciute dall’uomo<br />
me<strong>di</strong>ante la ragione umana. Un tale richiamo a conoscenze<br />
non accessibili a tutti e comunicate in maniera straor<strong>di</strong>naria solo a<br />
pochi eletti, eppure riven<strong>di</strong>canti un carattere vincolante universale,<br />
sembra limitare indebitamente la competenza della ragione nello stabilire<br />
quale sia una condotta umana responsabile, <strong>di</strong>sturba la comunicazione<br />
tra esseri uguali e rende più <strong>di</strong>fficile la convivenza umana.<br />
Per queste e altre ragioni l’uomo moderno avverte <strong>di</strong>sagio e rifiuta<br />
l’idea <strong>di</strong> una rivelazione 4 .<br />
La teologia, in particolare la teologia fondamentale, deve aiutare<br />
non solo i credenti ad accertare, comprendere e approfon<strong>di</strong>re il fatto<br />
che la fede cristiana poggia sulla rivelazione e <strong>di</strong> là attinge la propria<br />
essenza e verità, ma deve legittimare la fede anche verso l’esterno:<br />
cioè non solo davanti alla ragione illuminata dalla fede, ma davanti<br />
alla ragione in generale. Tale legittimazione, che manifesta la cre<strong>di</strong>bilità<br />
della rivelazione davanti a se stessi e agli altri, è inscin<strong>di</strong>bilmente<br />
congiunta alla fede, fa parte della sua essenza. La fede, infatti, non è<br />
solo dono <strong>di</strong> Dio all’uomo, ma anche un atto libero dell’uomo, che<br />
3<br />
R. LATOURELLE, Teologia della rivelazione, Cittadella, Assisi 1967, 5–6<br />
4<br />
Cf. J. SCHMITZ, La rivelazione, Queriniana, Brescia 1991, 8-9.<br />
82 –
egli deve giustificare <strong>di</strong> fronte alla propria coscienza e che presuppone<br />
sempre la consapevolezza e la libertà tipica dell’essere razionale.<br />
Essa non <strong>di</strong>venta un atto umano libero fintanto che è solo un prodotto<br />
derivante dalla casualità delle circostanze storiche della vita. Chi<br />
è stato educato alla fede fin dall’infanzia deve a un certo punto decidersi<br />
a credere in base ad una propria decisione. Se tale atto <strong>di</strong> fede<br />
non deve essere una decisione arbitraria, allora l’uomo deve avere<br />
motivi per prendere tale decisione e deve poterla anche legittimare 5 .<br />
La giustificazione della fede, inoltre, è necessaria a motivo della<br />
pretesa della stessa fede <strong>di</strong> essere assolutamente necessaria alla salvezza<br />
<strong>di</strong> ogni uomo e per tutti i tempi. Solo me<strong>di</strong>ante una continua<br />
<strong>di</strong>sponibilità a dare ragione della fede e farlo in maniera intelletualmente<br />
onesta, affrontando senza riserve tutte le domande e tutte<br />
le critiche, la fede che pretende <strong>di</strong> essere così universale potrà<br />
evitare il fanatismo e l’intolleranza. Occore, per prima cosa, che venga<br />
confutata l’impressione e la convinzione che la fede sia qualcosa <strong>di</strong><br />
irrazionale. “Se anche un non credente deve poter <strong>di</strong>stinguere la fede<br />
nella rivelazione da una irrazionalità superstiziosa, allora deve essere<br />
perlomeno possibile mostrare che essa né afferma quanto la ragione<br />
giustamente contesta, né contesta quanto la ragione giustamente<br />
afferma ed esige” 6 .<br />
Tutto ciò significa che non è sufficiente la testimonianza della<br />
vita e della parola. Una semplice affermazione della certezza della<br />
propria fede può, in un primo momento, suscitare interesse e curiosità,<br />
ma poi occorre anche renderne conto e motivarla, se non si vuole<br />
rischiare <strong>di</strong> apparire strani e <strong>di</strong> non essere più ascoltati. “Oggi l’intelligenza<br />
della fede non può più essere semplice e ingenua, benchè la<br />
fede <strong>di</strong> un ‘povero’ sia sempre benedetta da Dio, ma dev’essere per<br />
quanto possibile ‘critica’, passata al vaglio delle esigenze più rigorose<br />
della ragione” 7 . C’è, infatti, una semplicità che è dono; c’è , però,<br />
una semplicità che è fideismo e ignoranza. C’è un voler sapere che è<br />
presunzione e arroganza, ma c’è anche una scienza che è sapienza,<br />
che è la maturità della fede.<br />
Nel Nuovo Testamento la magna charta <strong>di</strong> qualsiasi giustificazione<br />
della fede è offerta dalla prima lettera <strong>di</strong> Pietro: “E se anche<br />
dovete soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura<br />
<strong>di</strong> loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri<br />
5<br />
Cf. ivi, 201-202.<br />
6<br />
Ivi, 204.<br />
7<br />
«L’uomo <strong>di</strong> oggi <strong>di</strong> fronte al cristianesimo», in Civ. Cattolica 137(1986),325.<br />
– 83
cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi doma<strong>di</strong> ragione della<br />
speranza che è in voi. Tuttavia, questo sia fatto con dolcezza e rispetto,<br />
con una retta coscienza” (1Pt 3,<strong>14</strong>-16). La traduzione letterale<br />
suona meglio così: “Siate sempre pronti all’apologia verso chiunque<br />
v’interroghi sul logos (sulla ragione) della speranza che è in voi”.<br />
Viene richiesta, dunque, una permanente <strong>di</strong>sponibilità alla<br />
legittimazione del logos, cioè del senso (della ragione) della speranza<br />
cristiana. Questo logos non è un prodotto della capacità argomentativa<br />
del credente, perché gli è già dato con la speranza, ma<br />
deve essere lasciato apparire e mostrato all’interpellante. Non si tratta<br />
<strong>di</strong> dare una risposta ad un bisogno <strong>di</strong> informazione a colui che<br />
chiede tale ragione, perché il contesto della lettera <strong>di</strong> Pietro è un<br />
contesto <strong>di</strong> persecuzione; né <strong>di</strong> una <strong>di</strong>scussione accademica; ma <strong>di</strong><br />
quel motivo profondo della speranza cristiana, per la quale ciascuno<br />
è pronto a dare anche la vita.<br />
Applichiamo questo criterio alla riflessione teologica. La giustificazione<br />
della fede che risponde ad una esigenza della fede matura e<br />
alla sua possibilità <strong>di</strong> comunicazione, consisterà allora nel passaggio<br />
fondamentale dalla certezza della coscienza credente, che accoglie<br />
la rivelazione, alla conoscenza riflessa e argomentata <strong>di</strong> fronte alla<br />
ragione critica <strong>di</strong> questa stessa certezza per mezzo dell’esercizio della<br />
ragione teologica. La cura della giustificazione critica della fede è<br />
una questione <strong>di</strong> fedeltà verso noi stessi (per non cedere alla tentazione<br />
della incredulità), <strong>di</strong> rispetto verso il dono della fede (per consentirle<br />
<strong>di</strong> esprimere la destinazione universale della sua verità), e <strong>di</strong><br />
sollecitu<strong>di</strong>ne verso coloro che sono cercatori della verità.<br />
Nel corso recente della sua storia la teologia fondamentale ha<br />
conosciuto tre opposte modalità <strong>di</strong> giustificazione della fede e della<br />
verità della rivelazione, a cui qui vogliamo accennare per meglio<br />
delineare infine quella che ci sembra teologicamente più adeguata.<br />
3. IL MODELLO APOLOGETICO NEOSCOLASTICO DI GIUSTIFICAZIONE<br />
DELLA FEDE<br />
Sorto nel periodo dell’illuminismo razionalista, questo modello<br />
apologetico si sforzava <strong>di</strong> collocarsi sullo stesso piano, e usando gli<br />
stessi strumenti concettuali, del suo interlocutore razionalista, che<br />
negava la possibilità <strong>di</strong> ogni intervento <strong>di</strong>vino soprannaturale. Esso,<br />
aveva la pretesa <strong>di</strong> fornire, appoggiandosi unicamente ad argomentazioni<br />
metafisiche, fisiche e storico-apo<strong>di</strong>ttiche, una prova vera e<br />
propria (demonstratio) della verità della religione cristiana e della<br />
84 –
chiesa cattolica. In questa prospettiva, lo scopo della ragione teologica<br />
era quello <strong>di</strong> fondare una cre<strong>di</strong>bilità “naturale” della fede ( in<br />
linea <strong>di</strong> principio possibile senza la cooperazione della grazia), puramente<br />
razionale ( <strong>di</strong>mostrabile me<strong>di</strong>ante la sola ragione) e oggettiva<br />
(motivabile unicamente in base a criteri esterni) della verità <strong>di</strong> fede.<br />
Di conseguenza, i criteri <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità dovevano essere oggettivi,<br />
universalmente vali<strong>di</strong>, in permanente rapporto con la rivelazione, e<br />
dovevano offrire una certezza filosofica e storica della rivelazione <strong>di</strong><br />
Dio.Tali erano per es. i miracoli, intesi in senso puramente fisico<br />
come eventi che si pongono al <strong>di</strong> fuori delle leggi naturali, le profezie<br />
(e la presenza testimoniante della chiesa nel mondo). L’adempimento<br />
<strong>di</strong> queste con<strong>di</strong>zioni consentiva <strong>di</strong> giustificare la fede <strong>di</strong> fronte<br />
alle esigenze della ragione critica e <strong>di</strong> sottrarla all’isolamento<br />
fideistico. Per ovviare, poi, all’accusa <strong>di</strong> razionalismo si sottolineava<br />
che la conoscenza della cre<strong>di</strong>bilità era soltanto la con<strong>di</strong>zione esterna<br />
o il presupposto della decisione <strong>di</strong> fede, mentre quest’ultima si fondava<br />
sull’autorità <strong>di</strong> Dio rivelante 8 .<br />
Si affermò, così, soprattutto negli ultimi tre secoli, una apologetica<br />
“oggettiva” del cristianesimo e del cattolicesimo basata su tale<br />
cre<strong>di</strong>bilità naturale, razionale, oggettiva, possibile - si riteneva in linea<br />
<strong>di</strong> principio - anche senza l’aiuto della grazia <strong>di</strong>vina. Nelle sue<br />
forme più esasperate, questo modo <strong>di</strong> pensare portò ad<strong>di</strong>rittura alla<br />
teoria della doppia fede: una fede naturale, motivata esclusivamente<br />
da argomenti naturali, e una fede soprannaturale, motivata dalla volontà<br />
<strong>di</strong> rendere omaggio a Dio rivelante ed emessa sotto l’impulso<br />
della grazia.<br />
La critica al razionalismo da parte della fenomenologia e dell’esistenzialismo,<br />
il conseguente superamento <strong>di</strong> un concetto <strong>di</strong> ragione<br />
esclusivamente modellato sulle scienze esatte, il mutamento della<br />
comprensione della rivelazione e del miracolo, hanno determinato la<br />
trasformazione ra<strong>di</strong>cale del problema della cre<strong>di</strong>bilità.<br />
4. L’AUTOFONDAZIONE DELLA FEDE<br />
Reagendo al precedente modello <strong>di</strong> giustificazione della fede, si<br />
elaborò agli inizi del Novecento un modo, autenticamente teologico,<br />
<strong>di</strong> fondare la fede che comportava <strong>di</strong> riportare la fede alla sua origine,<br />
alla sua essenza, che è la rivelazione, mettendone in luce il suo caratte-<br />
8<br />
Cf. H.J. POTTMEYER, “Segni e criteri della cre<strong>di</strong>bilità del cristianesimo” in<br />
Corso <strong>di</strong> Teologia Fondamentale/ 4., Queriniana, Brescia 1990, 449-470.<br />
– 85
e <strong>di</strong> assoluta novità rispetto ad ogni altro evento o fatto umano. Il<br />
teologo, che più <strong>di</strong> ogni altro ha affermato la totale alterità <strong>di</strong> Dio e<br />
l’irriducibilità della fede ad ogni prospettiva umana, è stato senz’altro<br />
K. Barth nel periodo <strong>di</strong>alettico (anni Venti). “Non vi è nessuna<br />
presupposizione umana (pedagogica, intellettuale, economica, psicologica<br />
ecc.) che debba essere compiuta come preliminare della<br />
fede. Non vi è nessuna introduzione umana, nessun itinerario <strong>di</strong> salvezza,<br />
nessuna scala graduata verso la fede che debba essere in qualche<br />
modo percorsa: la fede è sempre l’inizio, la presupposizione, il<br />
fondamento” 9 . Dio non si può <strong>di</strong>mostrare, né a partire dal cosmo, né<br />
dalle profon<strong>di</strong>tà dell’esistenza umana. Egli si <strong>di</strong>mostra da se stesso.<br />
“La rivelazione <strong>di</strong> conseguenza non è una sorgente <strong>di</strong> luce che illumina<br />
la realtà .... bensì è in primo luogo l’autorivelazione <strong>di</strong> Dio, in<br />
cui Dio rivela se stesso tramite se stesso. La sua rivelazione deve<br />
essere allora accettata quale <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> Dio data da lui stesso,<br />
e la <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> Dio non può essere presupposta ulteriormente<br />
nei preambula ad articulos fidei ... La luce in cui la rivelazione<br />
<strong>di</strong> Dio <strong>di</strong>viene comprensibile non è perciò la luce della ‘teologia<br />
naturale’, bensì la luce dello Spirito Santo” 10 .<br />
Dio che si rivela, crea egli stesso la possibilità <strong>di</strong> comprendere la<br />
realtà della sua rivelazione in forza <strong>di</strong> una pneumatologia trinitaria,<br />
che conserva la sovranità <strong>di</strong> Dio anche nel processo della comprensione<br />
e della conoscenza della rivelazione.<br />
“La rivelazione <strong>di</strong>vina, nella quale avviene che l’uomo giunge<br />
alla vera conoscenza <strong>di</strong> Dio, è la decisione <strong>di</strong> Dio - dello stesso Dio<br />
trinitario che egli è anche in se medesimo - <strong>di</strong> operare con noi in<br />
modo tale che, pur essendo noi uomini e non Dio, siamo resi partecipi<br />
della verità della conoscenza che egli ha <strong>di</strong> se stesso” 11 . E’ nella<br />
forza dello Spirito Santo che è possibile intendere la rivelazione <strong>di</strong><br />
Dio. In quanto Dio si fa comprendere, crea pure le con<strong>di</strong>zioni che<br />
rendono possibile il professarlo nella fede ed il conoscerlo, l’ascoltarlo<br />
e l’ubbi<strong>di</strong>rgli.<br />
In questa prospettiva, la fede è fondata (oggettivamente) dalla<br />
rivelazione (intervento gratuito e ra<strong>di</strong>calmente nuovo <strong>di</strong> Dio), ma a<br />
sua volta la rivelazione è fondata (soggettivamente) dalla fede stes-<br />
9<br />
K. BARTH, L’epistola ai Romani, trad. Miegge, Milano 1962, 74<br />
10<br />
Cf. J.MOLTMANN, Prospettive della teologia, Queriniana, Brescia 1973,<br />
p. 23.<br />
11<br />
K. BARTH, Dogmatica ecclesiale, Antologia italiana a cura <strong>di</strong> H.Gollwitzer,<br />
Bologna 1968, p. 31.<br />
86 –
sa. La garanzia dell’evento della rivelazione che fonda la fede è la<br />
fede stessa. Essa è contemporaneamente fondante la rivelazione e da<br />
essa fondata. La fondazione della fede è in realtà un’autofondazione.<br />
Anche se il modello teologico dell’autofondazione sembra garantire<br />
meglio l’assoluta libertà dell’atto <strong>di</strong> fede e rappresenta il rifiuto <strong>di</strong><br />
misurare il <strong>di</strong>vino con l’umano, riducendelo a semplice compimento<br />
dei bisogni e delle attese dell’uomo, tuttavia, la sua struttura argomentativa<br />
appare quella <strong>di</strong> un circolo vizioso.<br />
Si può rispondere a tale critica rilevando che la gratuità stessa<br />
della rivelazione e la sua provenienza <strong>di</strong>vina escludono la possibilità<br />
<strong>di</strong> una fondazione estrinseca alla rivelazione. Non c’è, infatti, alcun<br />
criterio esterno alla fede con cui misurare la stessa fede e la rivelazione.<br />
Infatti, è proprio <strong>di</strong> Dio e solo <strong>di</strong> Dio non poter fare riferimento<br />
ad altri se non a se stesso per farsi conoscere e per convincere.<br />
D’altra parte, se Dio è pensato come il fondamento ultimo della realtà,<br />
non si può dare altro criterio più grande, a cui la fede possa riferirsi<br />
per fondare la propria certezza.<br />
Già il Concilio Vaticano I aveva <strong>di</strong>chiarato, contro il razionalismo,<br />
che il fondamento ultimo della certezza della fede non è l’evidenza<br />
della ragione, ma Dio stesso nella sua rivelazione: “noi cre<strong>di</strong>amo vere<br />
le cose da lui rivelate, non già per la intrinseca verità delle medesime<br />
conosciuta con la luce naturale della ragione, ma per l’autorità dello<br />
stesso Dio rivelante, che non può ingannarsi né ingannare” (DS 3008).<br />
La ragione del credere - osserva in proposito W. Kasper - non è qui<br />
l’autorità del comando <strong>di</strong> Dio (auctoritas Dei imperantis) ma quella<br />
stessa della rivelazione (auctoritas Dei revelantis), che attira e convince.<br />
La fede che ne scaturisce è una luce nuova sulla realtà, un nuovo<br />
modo <strong>di</strong> percezione dotato <strong>di</strong> una sua intrinseca evidenza. Per cui, egli<br />
conclude, richiamandosi ad analoga argomentazione <strong>di</strong> H.U. von<br />
Balthasar: “E questa illuminazione non cala quasi ‘perpen<strong>di</strong>colarmente’<br />
sull’uomo, ma promana dalla figura storica della rivelazione. In ultima<br />
analisi si tratta <strong>di</strong> un’autoevidenza dell’amore <strong>di</strong> Dio, che non possiamo<br />
<strong>di</strong>mostrare dall’esterno ma che è esso stesso a rendersi convincente.<br />
Infatti solo l’amore è cre<strong>di</strong>bile”. 12<br />
Tuttavia, se non si vuole restare prigionieri <strong>di</strong> un circolo vizioso,<br />
in cui la fede risulta essere il fondamento <strong>di</strong> se stessa, è necessario<br />
mostrare come si arriva a conoscere la verità <strong>di</strong> Dio. «Se è vero,<br />
infatti, che la certezza della fede in quanto certezza non può essere<br />
12<br />
W. KASPER, IL Dio <strong>di</strong> Gesù Cnsto, Queriniana, Brescia 1984, 172.<br />
– 87
dedotta da una certezza ancora più grande, e se è vero perciò che Dio<br />
quale verità e fondamento della fede può <strong>di</strong>venire evidente soltanto<br />
attraverso se stesso, allora sorge ancora una volta la domanda circa il<br />
modo con cui compren<strong>di</strong>amo questa luce illuminante ed evidente<br />
della verità. In che modo il credente coglie la verità <strong>di</strong> Dio come<br />
ultimo fondamento della sua fede» 13 . Rimane aperto, cioè, il problema<br />
del raggiungimento della rivelazione nel suo darsi oggettivo.<br />
Ora, l’evento della rivelazione è irraggiungibile nella sua oggettività<br />
assoluta. Esso è raggiungibile solo me<strong>di</strong>atamente, attraverso un processo<br />
ermeneutico, che include inevitabilmente la me<strong>di</strong>azione<br />
dell’interlocutore umano. Ciò, del resto appare evidente nella stessa<br />
Sacra Scrittura, che è insieme parola <strong>di</strong> Dio in parole umane.<br />
D’altra parte, chi garantisce che la fede sia suscitata dallo Spirito<br />
come risposta all’evento della rivelazione Come sfuggire al pericolo<br />
<strong>di</strong> identificare la fede con una scelta arbitraria della nostra volontà,<br />
con una proiezione dei nostri desideri L’autofondazione della<br />
fede, sottraendo la fede ad ogni controllo ad essa esterno, non conduce<br />
ad un fideismo e soggettivismo inaccettabili per la stessa decisione<br />
del credere, che rendono <strong>di</strong> fatto incomunicabile la stessa rivelazione<br />
5. LA GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE ESTRINSECA: LA CATEGORIA<br />
DEL RELIGIOSO, DELL’ETICO E DEL METAFISICO.<br />
Pur riconoscendo la necessità <strong>di</strong> ricondurre la fede ai suoi fondamenti<br />
intrinseci, cioè alla rivelazione e alla tra<strong>di</strong>zione biblica che la<br />
contiene, il terzo modello <strong>di</strong> giustificazione della fede si chiede se la<br />
rivelazione non sia a sua volta fondabile, grazie ad una razionalità non<br />
esclusivamente teologica, cioè con elementi estrinseci alla fede stessa.<br />
E’ possibile, ad es., una fondazione-giustificazione della fede attraverso<br />
il ricorso alla categoria del “religioso” (cf Schleiermacher),<br />
interpretando l’esperienza cristiana come un momento particolare<br />
dell’esperienza religiosa, comune a gran parte dell’umanità. In questo<br />
caso il fenomeno religioso, come fenomeno umano universale,<br />
<strong>di</strong>venta il fondamento, ciò a cui può essere ricondotto il fenomeno<br />
cristiano ( rapporto <strong>di</strong> genere a specie).<br />
A questo punto ci si può fermare, riconoscendo a tale categoria<br />
un’assoluta originarietà, in questo caso l’autofondazione riguarde-<br />
13<br />
W. KASPER, Was alles erkennen ubersteigt. Besinnung auf den christlichen<br />
Glauben, Herder, Freildurg-Basel-Wien 1987, 63.<br />
88 –
ebbe il “religioso” in quanto tale e non più la rivelazione cristiana: il<br />
“religioso” sarebbe una forma della coscienza assolutamente autonoma<br />
rispetto alla morale e alla metafisica (Schleiermacher). Tuttavia,<br />
l’esigenza della razionalità <strong>di</strong> veder chiaro potrebbe richiedere<br />
un ulteriore fondazione del “religioso” e questo può avvenire attraverso<br />
due vie : quella etica, per cui la verità del religioso verrebbe ad<br />
identificarsi con la sua capacità <strong>di</strong> realizzare quei valori etici che<br />
appaiono dotati del carattere <strong>di</strong> universalità. La religione è tanto più<br />
vera quanto più contribuisce a realizzare un compiuto umanesimo.<br />
Qui non è più la fede a fondare l’etica, ma l’etica a fondare la fede<br />
(Kant). Oppure attraverso la via metafisica, che ponendo il problema<br />
ra<strong>di</strong>cale della verità della religione, in quanto fondata sulla rivelazione<br />
<strong>di</strong> Dio, procede attraverso la <strong>di</strong>mostrazione razionale dell’esistenza<br />
<strong>di</strong> Dio e dei suoi attributi. La rivelazione trova così la sua<br />
fondazione ultima sulla base <strong>di</strong> una solida <strong>di</strong>mostrazione metafisica.<br />
Al termine <strong>di</strong> questo processo si è operata certamente una fondazione<br />
della religione- rivelazione con la ragione critica, in grado <strong>di</strong><br />
garantirne la significatività e la intelligibilità, ma essa viene raggiunta<br />
attraverso una serie <strong>di</strong> riduzioni che hanno portato dal particolare<br />
della fede cristiana all’universale: dal cristiano al religioso, dal religioso<br />
all’etico, dall’etico al metafisico. In tale impostazione il cristianesimo<br />
risulterebbe giustificato nella sua essenza e nella sua riven<strong>di</strong>cazione<br />
<strong>di</strong> assolutezza e superiorità, ma questa non gli deriverebbe<br />
più dalla verità della rivelazione, bensì dal fatto che appare<br />
razionalmente come la religione più razionale, più vera, più buona.<br />
Bisogna chiedersi, però, se una siffatta giustificazione razionale della<br />
fede permetta ancora <strong>di</strong> salvare la specificità del cristianeismo o<br />
se invece non ne segni la sua definitiva <strong>di</strong>ssoluzione nell’etica o nella<br />
filosofia <strong>14</strong> .<br />
6. LA GIUSTIFICAZIONE CRITICA DELLA FEDE<br />
6.1 Ragione teologica e ragione critica<br />
Oggi non manca chi ritiene impossibile o almeno teologicamente<br />
ingiustificato il tentativo <strong>di</strong> una giustificazione della fede, depotenziando<br />
in tal modo la teologia al livello <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso puramente<br />
<strong>14</strong><br />
Cf. V. BORTOLIN, “La teologia fondamentale nei suoi rapporti con la filosofia”<br />
in Stu<strong>di</strong>a Patavina XLII (1995), 1, 43-66, <strong>di</strong> cui seguiamo le argomentazioni<br />
qui sintetizzate.<br />
– 89
narrativo, autobiografico e autoespressivo. Sostituendo in tal modo<br />
alla certezza del sapere la certezza della coscienza, si finisce col presupporre<br />
la verità della fede senza offrire alcun argomento per essa.<br />
Le ragioni della cre<strong>di</strong>bilità non vengono più percepite. Per evitare<br />
questo rischio non si può fare riferimento soltanto alla certezza soggettiva<br />
della fede, ma occorre anche indagare sulle sue ragioni e i<br />
suoi contenuti.<br />
La riflessione teologica attuale ha maturato una rinnovata consapevolezza<br />
del proprio compito e del rapporto con le altre forme del<br />
sapere. Essa riconosce <strong>di</strong> non avere potere sulla verità che le viene<br />
offerta nella forma della rivelazione. Lo statuto scientifico della teologia<br />
non può essere quello <strong>di</strong> una scienza apo<strong>di</strong>ttica e <strong>di</strong>mostrativa,<br />
ma <strong>di</strong> una scienza ermeneutica, cioè <strong>di</strong> una intelligenza recuperatrice<br />
<strong>di</strong> un senso donato e <strong>di</strong> una verità rivelata. “Fare teologia significa<br />
rifare criticamente il processo <strong>di</strong> comprensione che si produsse all’interno<br />
della storia della rivelazione e della interpretazione <strong>di</strong> essa<br />
da parte della tra<strong>di</strong>zione ecclesiale. Pertanto, la teologia è essenzialmente<br />
re-interpretazione d’un processo interpretativo previamente<br />
dato” 15 .<br />
L’esercizio della ratio theologica, perciò, non ha un compito <strong>di</strong><br />
fondazione, ma <strong>di</strong> verifica e <strong>di</strong> articolazione critica del sapere della<br />
fede e <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione della sua verità. Precisamente per questo aspetto<br />
la teologia fondamentale o<strong>di</strong>erna ha fatto registrare i più significativi<br />
mutamenti rispetto alla tra<strong>di</strong>zionale impostazione dell’apologetica<br />
neoscolastica.<br />
La teologia è chiamata innanzi tutto a in<strong>di</strong>viduare il fondamento<br />
della fede. Esso non è un prodotto dalla riflessione teologica, ma<br />
un’offerta storica. Si tratta del libero e gratuito rivelarsi <strong>di</strong> Dio, a cui<br />
corrisponde da parte dell’uomo l’accoglienza (l’obbe<strong>di</strong>enza) della<br />
fede. La teologia, in quanto sapere critico, dovrà giustificare la scelta<br />
della rivelazione come concetto fondamentale ed essenziale della fede<br />
cristiana; in secondo luogo, dovrà mostrare l’umana pensabilità del<br />
rivelarsi <strong>di</strong> Dio nella sua propria possibilità, necessità e verità per la<br />
fede medesima, esplicitandone al tempo stesso le ragioni <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità<br />
incluse nell’assenso <strong>di</strong> fede. La consapevolezza critica così raggiunta<br />
consisterà nel passaggio fondamentale dalla certezza vissuta<br />
della coscienza credente, che accoglie la rivelazione, alla conoscen-<br />
15<br />
A. GESCHE’, «Teologia dogmatica» in Aa.Vv. Iniziazione alla pratica della<br />
teologia. Introduzione, Queriniana, Brescia 1986, 291-292).<br />
90 –
za riflessa e argomentata <strong>di</strong> questa stessa certezza per mezzo dell’<br />
esercizio dell’ intellectus fidei.<br />
Questa modalità argomentativa deriva anche dalla peculiare<br />
problematica epistemologica della rivelazione e dalla <strong>di</strong>alettica ad<br />
essa intrinseca. Ve<strong>di</strong>amola.<br />
La TF, infatti, in quanto intellectus fidei si propone come una<br />
riflessione condotta all’interno dell’ orizzonte <strong>di</strong> senso costituito dalla<br />
rivelazione, allo scopo <strong>di</strong> esplicitarlo, rendendolo intelligibile e cre<strong>di</strong>bile<br />
a partire dai contenuti stessi della fede. La gratuità della rivelazione<br />
e la sua provenienza <strong>di</strong>vina escludono la possibilità <strong>di</strong> una<br />
fondazione estrinseca della fede e costituiscono la garanzia ultima e<br />
definitiva della sua verità. A partire da tale presunzione la teologia,<br />
in quanto riflessione razionale, si costituisce e porta le sue argomentazioni<br />
come forma <strong>di</strong> razionalità autonoma e specifica.<br />
Tuttavia, la presunzione <strong>di</strong> verità ad essa intrinseca è imme<strong>di</strong>atamente<br />
evidente soltanto per la fede, ma non lo è altrettanto e imme<strong>di</strong>atamente<br />
per la ragione critica. Per es. non è evidente che la negazione<br />
dei contenuti della fede comporti contrad<strong>di</strong>zione. “Ciò significa<br />
che quanto alla sua forma epistemologica, la fede e quin<strong>di</strong> la presunzione<br />
<strong>di</strong> verità che le è implicita, non può avere il carattere dell’<br />
universalità” 16 . Per tale motivo la verità della fede è totalizzante e<br />
assoluta, in quanto orizzonte <strong>di</strong> senso ultimo e definitivo della realtà<br />
e proposta <strong>di</strong> salvezza ra<strong>di</strong>cale, ma nello stesso tempo appare come<br />
particolare e possibile <strong>di</strong> fronte alle sollecitazioni della razionalità<br />
critica, soprattutto se quest’ultima intenda porre il criterio della propria<br />
verità nell’assoluta incontrovertibilità.<br />
“Le affermazioni della teologia, pur esprimendo un sapere, non<br />
esprimono il sapere, non essendo evidenti al logos <strong>di</strong> una ragione<br />
autonoma dalla fede, e perciò non hanno imme<strong>di</strong>atamente il carattere<br />
della universalità” 17 . L’evidenza della fede non può venire fondata<br />
sull’ evidenza della ragione autonoma; la fede non può che trovare in<br />
se stessa le ra<strong>di</strong>ci ultime della propria evidenza.<br />
A conclusioni analoghe si arriva anche muovendo dal riconoscimento<br />
della natura della rivelazione come autocomunicazione<br />
<strong>di</strong> Dio e dalla fede che l’accoglie. E’ la fede che qui riconosce come<br />
dovuta all’autoapertura <strong>di</strong>vina la conoscenza <strong>di</strong> Dio che essa possiede.<br />
La fede funge da categoria ermeneutica: è un’opera d’interpreta-<br />
16<br />
Cf. V. BORTOLIN, “La teologia fondamentale nei suoi rapporti con la filosofia”<br />
in Stu<strong>di</strong>a Patavina XLII (1995),1,59.<br />
17<br />
Ivi, 64.<br />
– 91
zione del soggetto credente, in base alla quale egli ritiene appunto<br />
che la conoscenza <strong>di</strong> Dio posseduta è derivata dalla stessa autocomunicazione<br />
<strong>di</strong>vina. Da qui il suo carattere ambivalente sul piano<br />
epistemico. L’interpretazione credente <strong>di</strong> una conoscenza <strong>di</strong> Dio derivata<br />
da una rivelazione, riconosciuta come tale nella fede, non conferisce<br />
a quest’ultima alcuna certezza indubitabile sul piano del sapere<br />
in generale. Si possono dare altre interpretazioni. Dio non si<br />
rivela in modo da non ammettere più alcun dubbio razionale a riguardo<br />
della realtà <strong>di</strong> tale evento. Sta in ciò il carattere <strong>di</strong> libertà, che<br />
la teologia ha riven<strong>di</strong>cato sempre all’assenso <strong>di</strong> fede 18 .<br />
Questa situazione epistemologica comporta forse che la fede derivante<br />
dalla rivelazione sia un’interpretazione arbitraria, puramente<br />
illusoria e irrazionale Intanto è da <strong>di</strong>re che la fede ha tramite la<br />
rivelazione storica un riferimento realistico costituito dall’esperienza<br />
religiosa da essa stessa determinata. La ragione teologica non può<br />
<strong>di</strong>mostrare che questa interpretazione dell’esperienza della rivelazione<br />
è razionalmente vincolante. Ma essa può e deve mostrare che è<br />
giustificata razionalmente, cioé che l’esperienza <strong>di</strong> fede è fondamentalmente<br />
affidabile, rimuovendo per quanto possibile le obiezioni<br />
sollevate contro tale affidabilità e in positivo esplicitandone le ragioni<br />
e lo specifico logos.<br />
E’ sufficiente, tale percorso per sod<strong>di</strong>sfare le esigenze della ragione<br />
critica E qui occorre riflettere sulla figura <strong>di</strong> questa razionalità<br />
critica e tentare <strong>di</strong> definirla. Tale razionalità per essere veramente<br />
critica non può partire dalla presunzione <strong>di</strong> verità che è propria della<br />
fede, perché è appunto tale presunzione che deve essere sottoposta a<br />
critica. Ma analogamente, non deve partire nemmeno dalla presunzione<br />
della non verità della fede. Deve essere in grado <strong>di</strong> argomentare,<br />
almeno inizialmente in maniera autonoma, partendo unicamente<br />
da se stessa e dal criterio che essa accetta: l’evidenza razionale, che<br />
ha il carattere della incontrovertibilità e quin<strong>di</strong> della necessità: il vero<br />
è solo il necessariamente vero, vale a <strong>di</strong>re ciò che è necessariamente,<br />
non potendo essere altrimenti da come é.<br />
Tuttavia, questo tipo <strong>di</strong> razionalità è solo ideale. La razionalità<br />
non è mai assoluta, incon<strong>di</strong>zionata, ma sempre storica, situata e incarnata<br />
in una determinata cultura. Essa si esercita sempre all’interno<br />
<strong>di</strong> un contesto ed è orientata da una precomprensione: in questo<br />
senso l’esercizio della razionalità critico-riflessiva è sempre seconda<br />
18<br />
Cf. P. SCHMIDT-LEUKEL, “Sulla cre<strong>di</strong>bilità dell’annuncio cristiano” in<br />
La Scuola Cattolica CXXV ( 1997), 3-4, pp.469-477.<br />
92 –
all’esperienza e al suo vissuto. Una delle conquiste della filosofia<br />
contemporanea è stata la scoperta della storicità, come costitutiva<br />
dell’uomo e della sua razionalità, anche se la ragione è in grado <strong>di</strong><br />
trascendere o <strong>di</strong> “sospendere” tali presupposti, prendendo le <strong>di</strong>stanze<br />
e sottoponendo a critica l’esperienza.<br />
Inoltre, grazie agli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> K. Popper e della sua scuola il<br />
concetto moderno <strong>di</strong> razionalità ha subito profonde revisioni. L’ideale<br />
<strong>di</strong> una <strong>di</strong>mostrabilità indubitabile come presupposto del consenso<br />
razionale è stato decisamente abbandonato come non realizzabile,<br />
in quanto resta prigioniero <strong>di</strong> un infinito regresso <strong>di</strong>mostrativo relativo<br />
alle premesse su cui si fonda ogni <strong>di</strong>mostrazione. Se non è possibile<br />
una <strong>di</strong>mostrazione certa della verità, sono pensabili due alternative,<br />
che rimagono <strong>di</strong>pendenti da questa idea-guida: o la ricerca<br />
della più alta verosimiglianza o, almeno, il tentativo della limitazione<br />
dell’errore. La prima via è quella percorsa dalle <strong>di</strong>verse forme<br />
dell’induttivismo e del probabilismo; la seconda via è quella del<br />
razionalismo critico e del fallibilismo. In entrambi i casi viene abbandonata<br />
non solo la connessione della razionalità e del sapere certo,<br />
ma nel contempo anche una comprensione sostanzialistica della<br />
ragione in favore <strong>di</strong> una sua comprensione <strong>di</strong>sposizionale.<br />
La razionalità secondo i recenti orientamenti epistemologici non<br />
<strong>di</strong>pende dal possesso della verità, ma dalla tensione ad essa, seria e<br />
adeguata. In un senso <strong>di</strong>sposizionale la razionalità contrassegna in<br />
un certo qual modo l’etica delle nostre persuasioni intellettuali, cioè<br />
la domanda normativa circa l’esercizio corretto delle nostre capacità<br />
intellettuali, del nostro potere <strong>di</strong> conoscenza. In altri termini il passaggio<br />
da una comprensione sostanzialistica della religione ad una<br />
<strong>di</strong>sposizionale comporta che la ragione non è più una fonte primaria<br />
<strong>di</strong> conoscenza, ma una sorta d’istanza <strong>di</strong> controllo, una <strong>di</strong>sposizione<br />
appunto ad una verifica critica delle nostre persuasioni circa il loro<br />
contenuto veritativo, che come tale solo secondariamente possiede<br />
una funzione me<strong>di</strong>atrice <strong>di</strong> conoscenza. 19<br />
In questa prospettiva, come ragione critica che interroga la fede,<br />
la ragione potrebbe avere una funzione unicamente negativa: ricorderebbe<br />
alla fede che il suo sapere non è mai assoluto e incon<strong>di</strong>zionato,<br />
fondato sull’evidenza razionale. D’altra parte, non riconoscendosi<br />
in grado <strong>di</strong> poter determinare tutto l’ambito del vero, manterrebbe<br />
aperto e fonderebbe lo spazio della fede, offrendone le con<strong>di</strong>zioni<br />
<strong>di</strong> pensabilità e <strong>di</strong> possibilità.<br />
19<br />
Cf. ivi, 465<br />
– 93
6.2 Il metodo della giustificazione critica della fede<br />
Ve<strong>di</strong>amo a questo punto come argomentare la cre<strong>di</strong>bilità della<br />
rivelazione.<br />
Contestando l’estrinsecismo e il razionalismo dell’apologetica<br />
neoscolastica, la teologia contemporanea ricerca nello stesso evento<br />
rivelativo le ragioni dell’assenso <strong>di</strong> fede e della sua certezza. E ciò<br />
per un duplice motivo. Il primo per il carattere assolutamente gratuito<br />
della rivelazione <strong>di</strong> Dio: l’uomo non può né esigerla né dedurla<br />
dai dati generali del mondo. Il secondo motivo sta nella constatazione<br />
che è proprio <strong>di</strong> Dio e solo <strong>di</strong> Dio non poter fare riferimento ad<br />
altri se non a se stesso per farsi conoscere e convincere. D’altra parte,<br />
se Dio è pensato come il fondamento ultimo della realtà, non si<br />
può dare altro criterio più grande, a cui la fede possa riferirsi per la<br />
propria certezza. Tuttavia, questa tesi teologica non risolve, ma pone<br />
con maggiore forza il problema teologico-fondamentale. Se non si<br />
vuole restare prigionieri <strong>di</strong> un circolo vizioso, in cui la fede risulta<br />
essere il fondamento <strong>di</strong> se stessa, è necessario mostrare gli elementi<br />
e le con<strong>di</strong>zioni per la formulazione <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità, tenendo<br />
conto della <strong>di</strong>fferenza tra la certezza incon<strong>di</strong>zionata della fede<br />
(certitudo fidei) e la certezza limitata della conoscenza razionale della<br />
sua cre<strong>di</strong>bilità (certitudo cre<strong>di</strong>bilitatis) a causa della fallibilità della<br />
ragione umana.<br />
Per fondare la cre<strong>di</strong>bilità della fede non si può far ricorso agli<br />
abituali meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> tipo induttivo e deduttivo. È necessario, invece,<br />
argomentare mostrando la coerenza interna dell’avvenimento della<br />
rivelazione e la sua capacità d’interpretazione autentica dell’esperienza<br />
della realtà. A siffatta esigenza sembra ben corrispondere, a<br />
giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> H.J. Pottmeyer, il modello basato su una «struttura cumulativa<br />
<strong>di</strong> fondazione» (‘kumulative’ Begrundungsstruttur) 20 . Sul piano<br />
formale esso risulta costituito da una serie <strong>di</strong> argomenti veri, strettamente<br />
connessi tra loro e capaci <strong>di</strong> sostenersi e <strong>di</strong> illuminarsi a<br />
vicenda. Inoltre, deve possedere i requisiti della comprensibilità, della<br />
correttezza e coerenza, e della intelligibilità dei suoi rapporti essenziali,<br />
senza far ricorso a presupposti <strong>di</strong> fede. L’insieme <strong>di</strong> questi elementi<br />
produce un contesto fondativo che consente un giu<strong>di</strong>zio razionale<br />
responsabile e adeguato 21 . Applicando questo modello alla rive-<br />
20<br />
Cf. H.I.POTTMEJER, cit., 470-472.<br />
21<br />
Questo tipo <strong>di</strong> argomentazione sembra avere una certa somiglianza strutturale<br />
con la posizione <strong>di</strong> J. H. NEWMAN (Grammatica dell’assenso, Jaca Book,<br />
94 –
lazione si può coglierne la corrispondenza e l’efficacia. La rivelazione,<br />
infatti, è un avvenimento complesso in cui i <strong>di</strong>versi aspetti s’integrano<br />
e si sostengono a vicenda.<br />
L’articolazione metodologica <strong>di</strong> questo itinerario consta <strong>di</strong> vari<br />
momenti.<br />
Poiché la rivelazione è offerta in una storia ed è custo<strong>di</strong>ta in una<br />
tra<strong>di</strong>zione religiosa e <strong>di</strong> essa occorre accertarne il senso, il primo<br />
momento del metodo sarà fenomenologico-ermeneutico. D’altra parte,<br />
poiché <strong>di</strong> questa stessa rivelazione s’intende dare ragione in quanto<br />
rivelazione <strong>di</strong> Dio per la salvezza dell’uomo, il secondo momento<br />
sarà critico-veritativo.<br />
Accenniamo brevemente ai due momenti:<br />
a) il momento fenomenologico-ermeneutico.<br />
Se la rivelazione ha necessariamente in Dio il suo principio e il<br />
suo fondamento in quanto è la sua autocomunicazione salvifica, il<br />
compito primo della ragione teologica è quello <strong>di</strong> rilevare tale essenza<br />
nelle stesse testimonianze della esperienza <strong>di</strong> tale evento, cioè<br />
nella Scrittura e nella Tra<strong>di</strong>zione.<br />
Il momento fenomenologico ha come scopo <strong>di</strong> raccogliere in<br />
un’unità intelligibile le <strong>di</strong>verse esperienze della rivelazione, registrate<br />
dalla testimonianza biblica dell’AT e NT, per in<strong>di</strong>viduarne una struttura<br />
in base alla quale poter determinare l’essenza della rivelazione<br />
stessa. Ma poiché l’eidos cercato è se<strong>di</strong>mentato nei testi religiosi che<br />
costituiscono la Sacra Scrittura, esso si presenta come un dato nella<br />
forma <strong>di</strong> un significato, che perciò va accertato per via ermeneutica.<br />
In altri termini si tratta <strong>di</strong> sviluppare un’ermeneutica delle origini,<br />
che risalendo alla fase costitutiva della stessa rivelazione indaghi le<br />
modalità e le ragioni della sua accoglienza nella fede da parte dell’uomo.<br />
Milano 1980), per il quale i singoli motivi <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità non riescono a provare con<br />
certezza logica la fede, né con la loro accumulazione, né con la loro convergenza.<br />
Essi, però, garantiscono una probabilità e una sicurezza spirituale, grazie alle quali<br />
la decisione per la fede <strong>di</strong>viene umanamente possibile, intellettualmente responsabile<br />
e moralmente vincolante. La certezza si raggiunge soltanto quando la convergenza<br />
del singoli elementi viene considerata alla luce della grazia della fede. Tuttavia,<br />
c’è una fondamentale <strong>di</strong>fferenza tra i due tipi <strong>di</strong> argomentazione: mentre in<br />
quella <strong>di</strong> Newman si tratta <strong>di</strong> una convergenza <strong>di</strong> probabilità nella struttura cumulativa<br />
<strong>di</strong> fondazione, invece, è l’accumulazione <strong>di</strong> singoli argomenti veri (e non soltanto<br />
probabili) che nella loro reciproca connessione e interrelazione, consentono<br />
un glu<strong>di</strong>zio motivato <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità.<br />
– 95
Elaborare una ermeneutica delle origini non è sufficiente per la<br />
TF, occorrerebbe anche sviluppare il potenziale apologetico inerente<br />
alla rivelazione, mostrandone la relazione all’uomo e al suo bisogno<br />
<strong>di</strong> salvezza (me<strong>di</strong>azione antropologica) e l’adeguatezza a interpretare<br />
l’esperienza della realtà. Ciò comporta l’elaborazione <strong>di</strong> un’ermeneutica<br />
della rilevanza, che ponga in rapporto il carattere intrinseco<br />
<strong>di</strong> universalità della rivelazione storica con l’autocomprensione dell’uomo<br />
<strong>di</strong> oggi, con le sue domande e le sue attese. Ma una siffatta<br />
ermeneutica, per quanto pastoralmete utile e necessaria, resta con<strong>di</strong>zionata<br />
dal destinatario a cui è rivolta, dalla sua cultura, e dalla situazione<br />
storica in cui vive, e risulta perciò geograficamente molto <strong>di</strong>fferenziata:<br />
una TF elaborata in America Latina appare <strong>di</strong>fferente da<br />
una costruita in Occidente.<br />
Allo scopo <strong>di</strong> ovviare alla <strong>di</strong>fficoltà derivante da una marcata<br />
contestualizzazione storico-culturale del <strong>di</strong>scorso teologico è in ogni<br />
caso possibile e inelu<strong>di</strong>bile per la fondazione della cre<strong>di</strong>bilità della<br />
rivelazione il confronto con le esigenze della ragione critica. E’ questo<br />
propriamente il momento critico-veritativo del metodo della TF,<br />
orientato per un aspetto alla fondazione della cre<strong>di</strong>bilità e quin<strong>di</strong> della<br />
ragionevolezza dell’assenso <strong>di</strong> fede e per l’altro al rapporto della<br />
rivelazione con la verità.<br />
96 –<br />
b) il momento critico-veritativo<br />
Presupposta la fattualità storica della rivelazione secondo la testimonianza<br />
della fede, si tratta <strong>di</strong> renderne ragione, investigandone<br />
a posteriori le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> possibilità e le modalità <strong>di</strong> attuazione. Si<br />
tratta <strong>di</strong> un momento sistematico-dottrinale e al tempo stesso criticoveritativo,<br />
dove la ragione teologica, riprendendo riflessivamente il<br />
dato fenomenologico, argomenta la me<strong>di</strong>azione della universalitàverità<br />
della rivelazione.<br />
La necessità <strong>di</strong> questa legittimazione critica è necessaria perché<br />
la fede si ra<strong>di</strong>ca nella rivelazione storica <strong>di</strong> Dio, cioé nella particolarità<br />
e singolarità, ma al tempo stesso avanza la pretesa <strong>di</strong> essere verità<br />
e salvezza per tutti gli uomini <strong>di</strong> tutti i tempi, cioè <strong>di</strong> avere un<br />
valore e una destinazione universali. Ciò richiede un’intelligenza<br />
critica della sua complessa singolarità e della pretesa <strong>di</strong> assolutezza<br />
ad essa intrinseca.<br />
Ma la cre<strong>di</strong>bilità della rivelazione come autocomunicazione <strong>di</strong><br />
Dio, che nella sua in<strong>di</strong>sponibile libertà ha la propria esclusiva origine,<br />
non è in primo luogo il frutto <strong>di</strong> un’argomentazione della ragione
teologica, ma è il modo costitutivo, l’effettualità, <strong>di</strong> quella fede che<br />
è accoglienza della rivelazione <strong>di</strong> Dio 22 . La teologia fondamentale ha<br />
il compito <strong>di</strong> riprendere e <strong>di</strong> esplicitare criticamente nella <strong>di</strong>mensione<br />
del pensare, ad essa propria, la rivelazione offerta nella forma<br />
della fede testimoniale e la sua intrinseca cre<strong>di</strong>bilità in stretta relazione<br />
alla verità rivelata. Ciò richiederà in primo luogo, l’elaborazione<br />
dello statuto ontologico ed epistemologico della rivelazione<br />
con il compito previo <strong>di</strong> risolvere due aporie. La prima, inerente alla<br />
stessa pensabilità della rivelazione, può essere formulata nel seguente<br />
interrogativo: come può il trascendente, il totalmente altro, rivelarsi<br />
senza cessare <strong>di</strong> essere tale, perdendo nell’immanenza alterità e<br />
trascendenza Il concetto specifico <strong>di</strong> trascendenza, espresso dalla<br />
realtà trinitaria del Dio cristiano, in<strong>di</strong>cherà la soluzione <strong>di</strong> questa<br />
aporia.<br />
La seconda, inerente alla conoscibilità della rivelazione da parte<br />
dell’uomo, può essere formulata nel seguente interrogativo: In che<br />
modo una realtà trascendente ogni umana esperienza può essere percepita<br />
e conosciuta dall’uomo Come può l’autocomunicazione del<br />
Dio infinito essere accolta e fatta propria dall’uomo finito, senza che<br />
perda il suo carattere <strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong> Dio L’inevitabile me<strong>di</strong>azione<br />
simbolica della rivelazione e la specifica modalità della conoscenza<br />
simbolica in<strong>di</strong>cheranno la soluzione <strong>di</strong> questa seconda aporia.<br />
Sulla base <strong>di</strong> questi presupposti, si dovranno vagliare criticamente<br />
le me<strong>di</strong>azioni della rivelazione <strong>di</strong> Dio: la creazione, la parola e gli<br />
eventi (in particolare i miracoli e la risurrezione), saggiandone non<br />
solo la loro concreta capacità e modalità me<strong>di</strong>ativa, ma contestando<br />
argomentativamente le eventuali obiezioni della ragione critica. In<br />
particolare, per la persona <strong>di</strong> Cristo, occorrerà giustificare attraverso<br />
un preciso itinerario ermeneutico e ontologico-veritativo la pretesa<br />
<strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione unica e universale del Cristo sul piano rivelativo e<br />
salvifico, a fronte dell’obiezione illuministica perdurante nella nostra<br />
cultura che non riconosce ad un concreto uomo storico la possibilità<br />
<strong>di</strong> essere portatore <strong>di</strong> valori assoluti e universali, e <strong>di</strong> quella più<br />
attuale derivante dal pluralismo delle religioni.<br />
22<br />
Essa è “la forma dell’evidenza in cui la fede identifica la verità <strong>di</strong> Dio degna<br />
<strong>di</strong> essere riconosciuta come tale…L’evidenza della cre<strong>di</strong>bilità non è una possibilità<br />
della fede: è semplicemente la sua effettualità… La rivelazione <strong>di</strong> Dio in Gesù, la<br />
verità che istituisce la fede cristiana, consiste nella cre<strong>di</strong>bilità <strong>di</strong> Gesù, è semplicemente<br />
il modo costitutivo <strong>di</strong> quella fede.”, P.A. SEQUERI, “Ragione teologica e<br />
analysis fidei.Idee per una teologia fondamentale pura”, in La Scuola cattolica,<br />
CXXV (1997), n. 3-4, 496.<br />
– 97
Questo itinerario riflessivo- lo riba<strong>di</strong>amo- non intende sostituire<br />
il credere con prove razionali, ma far emergere dalle testimonianze<br />
la cre<strong>di</strong>bilità della fede come inerente alla sua stessa effettualità 23 . In<br />
tal modo apparirà “l’intima compatibilità tra la fede e la sua esigenza<br />
essenziale <strong>di</strong> esplicarsi me<strong>di</strong>ante una ragione in grado <strong>di</strong> dare in libertà<br />
il proprio assenso” (Fides et ratio, n.67).<br />
Ovviamente il fondamento della certezza incon<strong>di</strong>zionata della<br />
fede è solo la rivelazione storica <strong>di</strong> Dio, che resta l’unico motivo<br />
dell’assenso <strong>di</strong> fede. Essa viene riconosciuta e affermata come fondamento<br />
della fede, solo nell’atto soprannaturale <strong>di</strong> fede. L’assenso<br />
che ne scaturisce è quin<strong>di</strong> essenzialmente un’opera dello Spirito Santo<br />
(1 Cor 2,10-16). Tuttavia, possiamo assentire in maniera responsabile<br />
alla rivelazione <strong>di</strong> Dio, perché essa è un evento che comunica da<br />
se stesso in maniera convincente al credente la propria verità. La<br />
verità della rivelazione, poi, può essere conosciuta dal credente e<br />
criticamente verificata dalla ragione. Perciò, può anche essere esposta<br />
al non credente in maniera tale che egli possa presagirne la<br />
sensatezza, anche se l’assenso alla verità della rivelazione non è un<br />
puro atto della ragione. “In tal modo la fede, dono <strong>di</strong> Dio, pur non<br />
fondandosi sulla ragione, non può certamente fare a meno <strong>di</strong> essa; al<br />
tempo stesso, appare la necessità per la ragione <strong>di</strong> farsi forte della<br />
fede, per scoprire gli orizzonti ai quali da sola non potrebbe giungere”<br />
(Fides et ratio, n.67).<br />
23<br />
Per lo sviluppo <strong>di</strong> questo itinerario, come anche per la giustificazioni delle<br />
argomentazioni suesposte, mi permetto <strong>di</strong> rinviare al mio trattato: C. GRECO, La<br />
rivelazione. Fenomdenologia, dottrina e cre<strong>di</strong>bilità, ed. S.Paolo, Cinisello Balsamo<br />
(MI) 2000.<br />
98 –
L’«IMPETO FECONDO».<br />
LA POESIA DI CLEMENTE REBORA<br />
CIRO RICCIO *<br />
Il compito che devo assolvere questa sera è parlare della poesia<br />
<strong>di</strong> Clemente Rebora. Compito abbastanza insi<strong>di</strong>oso, visto che Rebora<br />
è davvero un poeta <strong>di</strong>verso.<br />
Voglio <strong>di</strong>re che parlare della poesia <strong>di</strong> Clemente Rebora costringe<br />
a rifiutare l’offerta prospettica entro la quale, almeno usualmente,<br />
viene, o veniva, organizzato il <strong>di</strong>scorso critico intorno alla poesia<br />
italiana del Novecento. E questo perché la poesia <strong>di</strong> Rebora fonda,<br />
per <strong>di</strong> più in anticipo, come vedremo dopo, un modello contrastante<br />
con quello che <strong>di</strong>verrà lo schema profondo, programmatico,<br />
endoletterario, che orienta una parte cospicua dei versi novecenteschi.<br />
Parafrasando il celebre formalista russo Jacobson, si potrebbe <strong>di</strong>re<br />
che la poesia <strong>di</strong> Rebora è una violenza organizzata ai danni della<br />
poesia tra<strong>di</strong>zionale (tra<strong>di</strong>zionale per il ‘900). E ciò vale in riferimento<br />
sia alla lingua che Rebora usa sia all’ideologia naturalmente incorporata<br />
in quella stessa lingua. Dico «naturalmente incorporata»<br />
poiché Rebora, come più avanti spiegherò, è un poeta senza poetica.<br />
E tale deficienza riveste un enorme significato a fronte dei comportamenti<br />
letterari dominanti nel ‘900. Rebora è, insomma, un degno<br />
rappresentante dell’«antinovecento», <strong>di</strong> quel novecento sotterraneo,<br />
umbratile, defilato, <strong>di</strong> cui già riferiva Baldacci a proposito della poesia<br />
<strong>di</strong> Carlo Betocchi. E non è un caso che Betocchi rimanga tra i<br />
più fervi<strong>di</strong> ammiratori della poesia reboriana, anche se egli fu attratto<br />
soprattutto dai Canti anonimi <strong>di</strong> Rebora, mentre a noi preme ora <strong>di</strong><br />
rivolgere l’attenzione ai Frammenti lirici, per in<strong>di</strong>viduare l’impeto<br />
fecondo che li nutre.<br />
I Frammenti lirici furono pubblicati nel 1913. È stupefacente che<br />
a quell’altezza cronologica del secolo, Rebora, eludendo non solo le<br />
gran<strong>di</strong> suggestioni crepuscolari e futuriste, ma anche i richiami eterogenei<br />
amalgamati da quella cosiddetta “cultura vociana” che pure<br />
favorì l’apparizione dei Frammenti lirici, offrì con i suoi versi il magistrale<br />
e precoce documento <strong>di</strong> fondazione <strong>di</strong> una poesia controcor-<br />
* Relazione tenuta il 24 Aprile 2001.<br />
– 99
ente, <strong>di</strong> una poesia <strong>di</strong>versa. È una <strong>di</strong>versità anzitutto stilistica: penso<br />
alla “martellatura potente” <strong>di</strong> cui già parlava Serra, alle violente<br />
impennate verbali, a proce<strong>di</strong>menti come lo stilismo verbale già in<strong>di</strong>viduato<br />
da Contini, e che si può spiegare come l’applicazione <strong>di</strong> un<br />
verbo fisicamente concreto a nozioni astratte, un verbo che deroga<br />
dal normale contesto in cui <strong>di</strong> solito è usato (alcuni esempi: «sdraiare<br />
passi d’argilla», «lo spazio zonzando scintilla», «sguscia fulminea<br />
la vita», «Il sol schioccando si spàmpana»). E allo stilismo verbale<br />
si lega un altro proce<strong>di</strong>mento frequentissimo nei Frammenti, e cioè<br />
la trasformazione dei verbi intransitivi in transitivi (esempi: «ma ragionarono<br />
il mondo», «ciascun apra suo gorgo e lo fluisca/ruscello<br />
all’acqua altrui», ecc). Penso poi all’applicazione analogica del verbo<br />
(esempi: «rumina l’ozio e aduna i suoi cocci», «il minuto… s’ingorga»,<br />
«ciel che… contro la noia sguinzaglia l’eterno»,ecc), all’utilizzo<br />
<strong>di</strong> verbi parasintetici sul modello <strong>di</strong> quelli danteschi (esempi:<br />
infognare, infoscare, incielarsi, inspeloncarsi). E si ba<strong>di</strong> che tutto<br />
ciò non è il risultato <strong>di</strong> una stu<strong>di</strong>ata volontà <strong>di</strong> rottura con la tra<strong>di</strong>zione,<br />
ma, secondo tutt’altra prospettiva, il prodotto <strong>di</strong> chi ebbe sempre<br />
un rapporto <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficante scontrosità con la lingua, <strong>di</strong> chi sempre<br />
cercò <strong>di</strong> “spremere” la lingua fino al fondo, per ricavarne il massimo<br />
<strong>di</strong> energia. Rebora non fu mai un cultore raffinato della parola splen<strong>di</strong>da<br />
ed esatta, non con<strong>di</strong>vise mai la <strong>di</strong>chiarazione dannunziana che<br />
«(…) <strong>di</strong>vina è la parola/e il verso è tutto», ma non per questo professò<br />
la sua fede in una parola <strong>di</strong>messa - e in realtà altrettanto orgogliosa<br />
– come ad esempio quella crepuscolare. Né, d’altra parte, caricò<br />
la parola <strong>di</strong> un significato avanguar<strong>di</strong>stico che, in terra nostrana, palesava<br />
allora l’adesione ai programmi futuristi. Eppure, la parola<br />
poetica reboriana riesce egualmente rivoluzionaria, e rivoluzionaria<br />
senza alcun bersaglio da in<strong>di</strong>care, senza alcuna autorità da deporre:<br />
basti pensare a quale polare <strong>di</strong>stanza dalla tra<strong>di</strong>zione poetica essa si<br />
situi, nonostante Rebora abbia ricuperato e reinventato alcuni stilemi<br />
e sintagmi della poesia tra<strong>di</strong>zionale 1 . È perciò anche, necessariamente,<br />
una <strong>di</strong>versità tematica, ideologica. Rebora è una sorta <strong>di</strong> poeta<br />
duplex, poeta che con i Frammenti lirici, riflettendo sulla serie <strong>di</strong><br />
1<br />
È un <strong>di</strong>scorso, questo, che vale sia per la metrica che per il linguaggio. Rebora<br />
infatti ha sí utilizzato il verso libero ma ha pure adottato alcuni metri della tra<strong>di</strong>zione.<br />
Inoltre è stato uno degli ultimi poeti italiani a comporre sonetti. Per quanto<br />
riguarda il linguaggio si pensi ad alcuni calchi carducciani o dannunziani od anche,<br />
come si vedrà poi, alla ripresa <strong>di</strong> alcune espressioni leopar<strong>di</strong>ane (come <strong>di</strong> derivazione<br />
leopar<strong>di</strong>ana è l’unione <strong>di</strong> endecasillabo e settenario). Una riflessione a parte<br />
meriterebbe poi la presenza dantesca in Rebora (Orelli, Cicala, etc).<br />
100 –
antinomie che impacciano l’esistenza, ha innegabilmente concorso a<br />
plasmare il volto della modernità poetica e, <strong>di</strong> contro, poeta che non<br />
rinuncia a cantare il presente, che non ab<strong>di</strong>ca all’idea <strong>di</strong> magnificarne<br />
le sorti. Dovendo ricorrere a una formula, mi verrebbe da <strong>di</strong>re<br />
«nuova poesia del desiderio». Il desiderio è lo stato che ne propizia<br />
la venuta, e con tutte le conseguenze <strong>di</strong> una stretta aderenza alla necessità<br />
etimologica del nome: desiderio, che è de-siderium (suffisso<br />
sottrattivo de + sîds, eris), ovvero in assenza <strong>di</strong> stelle. La con<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> chi desidera è quella <strong>di</strong> chi è in assenza <strong>di</strong> un riferimento astrale,<br />
cioè orfano <strong>di</strong> Dio. In questo senso il de-siderium è il denominatore<br />
comune a ogni visione poetica del mondo. Rebora ha però interrotto,<br />
relativamente alle sorti novecentesche in Italia della poesia della crisi,<br />
il modo <strong>di</strong> traduzione letteraria del de-siderium, che, se continua a<br />
essere versificato, non esaurisce il destino della sua poesia. Rebora,<br />
cioè, realizza una formidabile acrobazia tenendo coesi il fulcro della<br />
modernità, ovvero il pensiero poetante che smette <strong>di</strong> credere nell’unitarietà<br />
dell’io, nel sapere oggettivo, nella gnoseologia romantica, nella<br />
“scrittura transitiva” riflettente un opus perfectum, con l’antica aspirazione<br />
alla totalità, con l’aspirazione a chiedere quella che Rebora<br />
ancora chiama «la verità della vita», a riscoprire l’integrazione dell’uomo<br />
a tutto l’universo, secondo quella lex continui che dominava<br />
nella concezione romantica.<br />
Ma è forse meglio passare alla lettura <strong>di</strong> alcuni dei Frammenti<br />
lirici, per intenderne <strong>di</strong>rettamente il valore. Nei fogli a vostra <strong>di</strong>sposizione<br />
la numerazione in numeri romani rispetta quella presente nella<br />
raccolta; è però <strong>di</strong>satteso il normale avanzamento numerico, poiché<br />
ho cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre, attraverso la lettura, un certo tipo <strong>di</strong> ragionamento.<br />
Devo anche <strong>di</strong>re che, per ragioni <strong>di</strong> tempo, non potrò fermarmi<br />
su tutti quanti i frammenti che voi troverete sui fogli. Obbligato a<br />
fare perciò una cernita, essendo l’impeto fecondo rintracciabile e per<br />
via linguistica e per via contenutistica, seguirò la seconda traccia,<br />
anche perché vorrei dopo saldare l’analisi poetica con una breve riflessione<br />
su Rebora e il Novecento. Pertanto mi riferirò ai fr. 1, 39,<br />
62, 63, 60, <strong>di</strong> nuovo 39, e poi 28, 50, e 71.<br />
Possiamo cominciare dal primo frammento, che è già rappresentativo<br />
<strong>di</strong> un organismo poetico che non assumerà in seguito una<br />
conformazione molto <strong>di</strong>ssimile da quella mostrata all’avvio.<br />
L’egual vita <strong>di</strong>versa urge intorno;<br />
Cerco e non trovo e m’avvio<br />
Nell’incessante suo moto:<br />
A secondarlo par uso o ventura<br />
– 101
Ma dentro fa paura.<br />
Perde, chi scruta,<br />
L’irrevocabil presente;<br />
Né i melliflui abbandoni<br />
Né l’oblioso incanto<br />
Dell’ora il ferreo battito concede.<br />
E quando per cingerti io balzo<br />
- Sirena del tempo –<br />
Un morso appena e una ciocca ho <strong>di</strong> te:<br />
O non ghermita fuggi, e senza grido<br />
Nel pensiero ti uccido<br />
E nell’atto mi annego.<br />
Se a me fusto è l’eterno,<br />
Fronda la storia e patria il fiore,<br />
Pur vorrei maturar da ra<strong>di</strong>ce<br />
La mia linfa nel vivido tutto<br />
E con alterno vigore felice<br />
Suggere il sole e pro<strong>di</strong>gar il frutto;<br />
Vorrei palesasse il mio cuore<br />
Nel suo ritmo l’umano destino,<br />
E che voi <strong>di</strong>veniste – veggente<br />
Passïone del mondo,<br />
Bella gagliarda bontà –<br />
L’aria <strong>di</strong> chi respira<br />
Mentre rinchiuso in sua fatica va.<br />
Qui nasce, qui muore il mio canto:<br />
E parrà forse vano<br />
Accordo solitario;<br />
Ma tu che ascolti, rècalo<br />
Al tuo bene e al tuo male:<br />
E non ti sarà oscuro<br />
Siamo davanti a un attacco quasi epico, almeno in senso tecnico,<br />
un attacco in me<strong>di</strong>as res, che denuncia l’ingovernabilità del flusso<br />
vitale; non a caso, il primo verbo che s’incontra, urge, restituisce<br />
integra l’ansietà dell’in<strong>di</strong>viduo travolto dal magma del <strong>di</strong>venire, nel<br />
quale è così arduo destreggiarsi che: «Cerco e non trovo e m’avvio/<br />
Nell’incessante suo moto». L’appercezione reboriana fa imme<strong>di</strong>atamente<br />
i conti con la corrosiva nozione <strong>di</strong> tempo, che è un inarginabile<br />
scorrere <strong>di</strong> attimi internamente pauroso: «a secondarlo par uso o ventura/Ma<br />
dentro fa paura». Ma il presente essendo “irrevocabil” e la<br />
“sirena del tempo” fuggente poiché non ghermita, non rimane che<br />
tuffarsi nel precipizio dell’atto («e nell’atto mi annego»).<br />
Il verbo urge, forse non per nulla primo verbo del verso primo, è<br />
fortemente denotativo della sollecitu<strong>di</strong>ne che accompagna il poeta<br />
102 –
nella sua esperienza del reale. Esso anticipa altri verbi cari a Rebora,<br />
e in abbandonza <strong>di</strong>sseminati nella raccolta, che ugualmente <strong>di</strong>cono<br />
dell’energia rovente sprigionata dalle <strong>di</strong>sarmonie dell’attuale (i vari<br />
preme, attanaglia, freme, pulsa, palpita, tumultua).<br />
Viene poi fronteggiata la spinosa questione del tempo, la cui<br />
metafisica prepotenza più volte sarà oggetto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tazione. Proprio<br />
la cognizione <strong>di</strong> quanto deciduo e transeunte sia il possesso del tempus<br />
che, orazianamente, è un frammento <strong>di</strong> aetas, induce a esaltare il<br />
presente come arena dell’azione <strong>di</strong> riscatto. Perciò, se da una parte<br />
l’atto, termine che spesso ricorre nei Frammenti, e che tra<strong>di</strong>sce la<br />
memoria <strong>di</strong> una giovanile adesione alla filosofia <strong>di</strong> Bergson, è<br />
l’escamotage necessario per una salvifica incoscienza delle <strong>di</strong>stonie<br />
del reale («e nell’atto mi annego»), dall’altra esso è fonte <strong>di</strong> impeto<br />
battagliero: «(…) e rivivi/Nell’atto la fede», come <strong>di</strong>rà nel fr. II.<br />
Fin qui il negativum dell’indagine poetica. Ma, lo accennavo prima,<br />
quando ricordavo la grande acrobazia <strong>di</strong> questa poesia, il pensiero<br />
reboriano non si accontenta <strong>di</strong> ratificare gli immobilistici corollari<br />
<strong>di</strong> lamenti tanto sofisticati - e i suoi, peraltro, non sono mai tali –<br />
quanto in sé conclusi. C’è sempre un fine che esige <strong>di</strong> essere realizzato<br />
e le cui basi progettuali sono, credo, già rintracciabili nella seconda<br />
parte del primo frammento. I versi 19-20 professano la volontà<br />
<strong>di</strong> integrarsi attivamente – a un livello sia biologico che spirituale<br />
– nel meccanismo della vita universale. Una volta descritte le metafore<br />
<strong>di</strong> provenienza botanica, Rebora <strong>di</strong>ce «(…) vorrei maturar da<br />
ra<strong>di</strong>ce/La mia linfa nel vivido tutto», ovvero esprime l’intenzione <strong>di</strong><br />
proiettarsi ed espandersi in un tutto che, pur riecheggiando quello<br />
leopar<strong>di</strong>ano, non è poeticamente e malinconicamente infinito, bensì<br />
vivido, cioè brillante e rigoglioso. Questa aspirazione è premessa alla<br />
seconda <strong>di</strong>chiarazione d’intenti, con la quale si tocca uno dei nervi<br />
centrali della poesia non solo dei Frammenti ma reboriana in genere:<br />
«Vorrei palesasse il mio cuore/Nel suo ritmo l’umano destino,/E che<br />
voi <strong>di</strong>veniste – veggente/Passïone del mondo,/Bella gagliarda bontà<br />
- /L’aria <strong>di</strong> chi respira/Mentre rinchiuso in sua fatica va».<br />
C’è quin<strong>di</strong> in Rebora l’ambizione, per <strong>di</strong>rla con Saba, <strong>di</strong> «aderire<br />
alla calda vita <strong>di</strong> tutti». In più egli invoca un nome, bontà, la cui<br />
ricerca non finirà mai <strong>di</strong> accendere la sua passione (e voglio ricordare<br />
l’emistichio «e sol bontà è vita» del Curriculum vitae, la biografia<br />
in versi ancora <strong>di</strong> là da venire): la comprensione dei mali altrui, che<br />
sono anche i propri, è il commovente risultato <strong>di</strong> una dote morale<br />
<strong>di</strong>nanzi alla quale la poesia stessa si deve inchinare. Illuminante a<br />
tale proposito un passo del fr. XXXIX, che è riportato <strong>di</strong> seguito:<br />
– 103
104 –<br />
XXXIX<br />
Ma qui c’è amore e vorrebbe<br />
Altro amore infiammare;<br />
Mentre rapace artiglia<br />
Nel cervello e nel senso<br />
La fame e la sciagura<br />
La voglia e l’ansietà,<br />
Vien qua tu, poesia maledetta,<br />
A veder la bellezza<br />
A provar la bontà:<br />
Ma qui c’è aiuto e vorrebbe<br />
Altro aiuto invocare. (vv. 13-23)<br />
Ecco, così come è la poesia a doversi redarguire, a doversi recriminare<br />
per la sua ritrosia a scoprire bellezza e bontà, allo stesso modo,<br />
sostiene Rebora contro ogni forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>singanno post-umanistico, è<br />
all’uomo che spetta <strong>di</strong> correggere la <strong>di</strong>sarmonia tra se stesso e la<br />
natura, tra io e mondo. Alcuni versi del fr. 62 denunciano proprio<br />
l’inadeguatezza dell’uomo moderno ad integrarsi ai ritmi naturali:<br />
LXII<br />
Stella in baglior <strong>di</strong> nebulosa avvinta,<br />
Notte succhiata dal cuor dei tramonti,<br />
Goccia in<strong>di</strong>stinta nel grido del mare,<br />
Rupe sommersa nel clivo dei monti,<br />
Pianta <strong>di</strong>spersa mentre inseni fonda,<br />
Forza agli or<strong>di</strong>gni nascosta e feconda,<br />
Anonima rozza che il carro trascini,<br />
Dite <strong>di</strong>te l’arcana maniera<br />
Dell’invisibile amore<br />
A noi, che meschini<br />
Coniamo dei nostri suggelli<br />
Il lavoro <strong>di</strong> Dio<br />
Gridando: Io, io ,io! (vv. <strong>14</strong>-26)<br />
È quin<strong>di</strong> compito dell’uomo rintracciare la via arcana dell’amore,<br />
la via che rende partecipi del <strong>di</strong>vino; e il <strong>di</strong>vino è coscienza della<br />
vita che è l’essere tra cose che sono, terrestre operosità illuminata<br />
dalla logica celeste, futura memoria <strong>di</strong> un ribattezzato essere da sempre<br />
che non fa neppure per un attimo balenare l’i<strong>di</strong>ozia, avrebbe detto<br />
Cioran, <strong>di</strong> “lanciarsi nell’appren<strong>di</strong>stato dell’altrove”.<br />
Il fr. LXIII è ancor più para<strong>di</strong>gmatico della volontà <strong>di</strong> integrarsi<br />
naturalmente al ritmo della vita:
LXIII<br />
Il mio passo è la traccia dell’erba,<br />
Il mio cuor è la specie del luogo,<br />
E tutto si palesa e nulla è vano<br />
Nel grande andar del mondo.<br />
Vil trastullo <strong>di</strong> sé,<br />
Orrenda solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> sé,<br />
Sulla mia forza piena<br />
Breve conquista vi resta:<br />
Siete un batter <strong>di</strong> ciglio<br />
Sul perenne guardare.<br />
Tu, <strong>di</strong>vin senso palpitante e intriso<br />
Del sangue quoti<strong>di</strong>ano;<br />
Tu, <strong>di</strong>vin senso che irraggi<br />
La vita e più la doni e più n’accresci:<br />
Se nelle prove oscure m’incoraggi<br />
E sull’arduo cammino che mi piacque<br />
La mia forza costrinsi all’altrui forza,<br />
Tu nella tregua m’accalori i polsi<br />
E per te spazia il consenso che nacque<br />
Innavvertito agli uomini e alle cose (vv. 25-44)<br />
E inutilmente tu, gravoso spazio,<br />
Dall’infeconda nuvolaglia premi<br />
L’in<strong>di</strong>cibile fervore:<br />
La bigia terra inerte<br />
Dai tronchi ai rami ascende;<br />
La bigia anima inerte<br />
Nell’amore e nell’atto più s’intende,<br />
E sugge dal tormento<br />
Le sue gioie più certe. (vv. 75-83)<br />
La fatica <strong>di</strong> captare il <strong>di</strong>vino, la male<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> rincorrerlo ad<br />
infinitum nel nostro finito, sono ricompensate dalla gioia <strong>di</strong> essere<br />
dal <strong>di</strong>vino irra<strong>di</strong>ati, come per una sorta <strong>di</strong> stilnovistica teoria <strong>di</strong> metafisica<br />
della luce:<br />
Il <strong>di</strong>vino si alimenta del proprio donarsi, e cresce per quanto il<br />
dono <strong>di</strong> sé è ricevuto senza conoscerlo. Il <strong>di</strong>vino è questa pienezza <strong>di</strong><br />
vita che ci apparterrebbe se fossimo nella potenza <strong>di</strong> pensarla con<br />
sapiente naturalezza:<br />
LX<br />
Divino è l’esser tra cose che sono<br />
E il pensarlo, e con pace<br />
Accogliere ignorando<br />
La misterïosa armonia,<br />
Mentre in un fluido eguale<br />
Spazia ineffabile il tempo. (vv. 16-21)<br />
– 105
Va da sé che il dolore è tuttavia presente; è presente, per esempio,<br />
nelle imprecazioni <strong>di</strong> Rebora contro la città vorace, le quali, superando<br />
l’adesione a un maledettismo urbano allora <strong>di</strong> moda per alcuni,<br />
traducono un <strong>di</strong>sagio dell’esistenza corrotta dai ritmi antinaturali.<br />
È poi anche il dolore prodotto dall’ansia del, <strong>di</strong>ce Rebora, «<strong>di</strong>venir<br />
tremendo che non cura l’opporsi/e si fa natura e storia». Ma il dolore<br />
è una questione troppo seria e non può, non potrebbe, non dovrebbe,<br />
sfociare nella gran<strong>di</strong>osa trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> un’intelligenza in<strong>di</strong>viduale che,<br />
non riuscendo a tollerare il peso della vita – la sua variegata ricchezza<br />
– tenta <strong>di</strong> soffocarlo, <strong>di</strong> eliminare il mondo.<br />
Il dolore per Rebora c’è, è denso, fitto, esteso, implacabile, e che<br />
serva a qualche cosa perlomeno:<br />
106 –<br />
XXXIX<br />
Il dolor plachi come la stanchezza<br />
Che reca sonno a riprodur la veglia,<br />
Il dolor sno<strong>di</strong> come la giornata<br />
Che rovinando crea l’indomani,<br />
Il dolor viva come buona madre<br />
Che trae dal penar la sua speranza,<br />
Il dolor fiammi come la lanterna<br />
Che dal nostro il cammin svela degli altri.<br />
Ciascun apra suo gorgo e lo fluisca<br />
Ruscello all’acqua altrui. (vv. 27-36)<br />
Se solo si pensa a ciò che la cognizione del dolore implica nella<br />
poesia <strong>di</strong> ogni tempo (in genere), già spicca la <strong>di</strong>sarmante e schietta<br />
propositività <strong>di</strong> un tal modo d’intendere il fare poetico. Quella che<br />
per alcuni è stata la sterzata in limine che ha scongiurato l’incidente<br />
nichilistico è in Rebora nozione preliminare al fatto stesso <strong>di</strong> non<br />
pensare mai l’essere come pena <strong>di</strong> essere. Rebora è nutrito dal senso<br />
<strong>di</strong> una vita sana che in nessun momento si lascia catturare dal piacere<br />
elegiaco della querimonia. Lo testimonia senza tregua questa poesia<br />
così straor<strong>di</strong>nariamente antiletteraria, che conosce basse durezze, che<br />
fa lo sberleffo ai dotti avvolgimenti <strong>di</strong> un pensiero aristocratico, perché<br />
ne sospetta l’inganno:<br />
XXVIII<br />
A me, che siete, o spregi insofferenti<br />
Del comun senso, o dotti avvolgimenti,<br />
O smanie ben pasciute,<br />
Se nel cuore le forme conosciute<br />
Degli uomini e del mondo<br />
Mi rivelano il pro<strong>di</strong>gio (vv. <strong>14</strong>-19)
A che possono valere le trappole <strong>di</strong> un pensiero ricercato, che<br />
esiste anzitutto per testimoniare il proprio inarrivabile splendore. Non<br />
è forse meglio, come <strong>di</strong>ce Rebora nel fr. L:<br />
L<br />
Esistere e pensare,<br />
Cinger <strong>di</strong> sé l’ignoto<br />
Universo e amare,<br />
Per ri<strong>di</strong>scender domani<br />
Umanamente pronti<br />
Al terribile giorno. (vv. 103-108)<br />
E si può concludere questa lacunosa lettura con alcuni versi del<br />
fr. LXXI, che riba<strong>di</strong>scono, con sintetica e asciutta irruenza, la volontà<br />
<strong>di</strong> non rassegnarsi mai:<br />
LXXI<br />
Al nostro polmon sano<br />
Anche poc’aria basta<br />
Per respirar profondo,<br />
Se turbini con Dio<br />
La volontà nutrita<br />
Di ricrear nel mondo<br />
Questa angoscia gioita,<br />
Quest’impeto fecondo,<br />
Questo veggente oblio:<br />
Questa vita che è vita. (vv. 75-84)<br />
Così i Frammenti lirici.<br />
Vorrei a questo punto esprimere alcune considerazioni riguardo<br />
la figura <strong>di</strong> Rebora nel nostro Novecento. Mi sembra che Rebora sia<br />
giunto a comunicare un’angoscia tipicamente novecentesca pur non<br />
essendo uomo <strong>di</strong> pena, o meglio, essendolo in un altro modo: restando<br />
ancorato alla storia grazie a una sua “rozzezza” che gli ha sempre<br />
impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> scovare nella parola un baluardo contro la violenza del<br />
reale. La parola è sempre in lui fasti<strong>di</strong>osamente ingombrante, impregnata<br />
<strong>di</strong> scorie repellenti, incapace <strong>di</strong> raffinare il dolore per mezzo <strong>di</strong><br />
una sua forma preziosa.<br />
Dev’essere una sensazione alquanto <strong>di</strong>ffusa, provata da molti,<br />
quella <strong>di</strong> un incomodo, <strong>di</strong> un irritante <strong>di</strong>sagio avvertito al primo contatto<br />
con la poesia reboriana. Il lettore non è abituato, non è allenato<br />
a ricevere un’energia che è <strong>di</strong>fficile gestire. Secondo una bella meta-<br />
– 107
fora un poeta, in realtà, non si legge. Un poeta si accosta, si avvicina,<br />
con una serie <strong>di</strong> manovre avvedute che servono a propiziare il momento<br />
dell’incontro. Ebbene, questo tipo <strong>di</strong> operazione <strong>di</strong>fficilmente<br />
vale nel caso <strong>di</strong> Rebora. È stato forse Giovanni Raboni a spiegare<br />
nella maniera più chiara la causa dell’incidente comunicativo che<br />
guasta il primo appuntamento con il poeta: è vero, come egli nota,<br />
che le parole usate da Rebora sono “impure”, sono parole che nella<br />
poesia continuano a significare qualcosa che hanno già significato<br />
prima, parole crudemente segnate da un uso anteriore, così come, <strong>di</strong><br />
contro, sono “pure” le parole usate da Montale, Ungaretti, Quasimodo,<br />
parole drammaticamente isolate nello sforzo <strong>di</strong> essere solo se stesse<br />
e la propria apparizione e non già anche il proprio significato e la<br />
propria storia.<br />
È forse in questo modo d’intendere il mestiere poetico che matura<br />
quella grandezza tempestivamente intuita da Boine, precoce <strong>di</strong>fensore<br />
dei Frammenti. Di certo Rebora si è applicato con lungo sacrificio<br />
alla composizione dei versi; è naturale – come lo è per chiunque<br />
scriva qualcosa che sarà letto da altri, e perciò più ancora lo è per<br />
il poeta, che intuisce nella responsabilità della parola il suo vincolo –<br />
che egli abbia assiduamente rivisitato le sue poesie, fino alla convinzione<br />
che nulla più andava aggiunto o sottratto. Meno ovvio è che<br />
Rebora abbia rinunciato a una qualsivoglia “presentazione” della sua<br />
opera. Nessuna introductio ad auctorem, nemmeno in separata sede.<br />
Voglio <strong>di</strong>re: in un periodo storico in cui il prodotto letterario e artistico<br />
assume importanza soprattutto per il valore programmatico che<br />
ne favorisce la genesi, per il progetto <strong>di</strong> una risposta alla modernità<br />
che esso contiene (e si pensi alle avanguar<strong>di</strong>e, ma poi anche al<br />
vocianesimo, al ron<strong>di</strong>smo, all’ermetismo, ecc., insomma, al tentativo,<br />
variamente declinato, <strong>di</strong> ricercare una forma d’arte che testimoni<br />
lo scandalo della storia), Rebora non avverte la necessità <strong>di</strong> giustificare<br />
la sua poesia, <strong>di</strong> inscriverla in una cornice intellettuale che le<br />
<strong>di</strong>a un senso per la storia del tempo.<br />
Va da sé che la poesia non ha necessità alcuna <strong>di</strong> essere introdotta,<br />
giustificata, chiarita. È un prodotto dello spirito. La poesia è. E<br />
basta. Altri s’impegnerà a <strong>di</strong>vulgarla o a chiosarla. Ma il punto, accennato<br />
sopra, è questo: nel corso del ‘900, e specificamente nella<br />
prima metà del secolo, i poeti, più <strong>di</strong> tutti, recepiscono con acutezza<br />
il bisogno <strong>di</strong> attribuire alla propria parola un carattere <strong>di</strong> “sperimen<br />
tazione”. I drammatici eventi contemporanei, le guerre, e poi, soprattutto,<br />
il riconoscimento integrale della frattura procurata dalla<br />
modernità, esortano a intravedere e ad e<strong>di</strong>ficare nella poesia uno scher-<br />
108 –
mo che protegga dal gratuito esibirsi della storia. In casi <strong>di</strong> forte entusiasmo<br />
la risposta della poesia non sarà un riparo ma, <strong>di</strong> contro,<br />
una reazione.<br />
Ad ogni modo, più che la poesia in sé acquista rilievo, per così<br />
<strong>di</strong>re, la poetica che ne legittima l’esistenza. Perfino Saba, appartato<br />
almeno quanto Rebora, scriverà nel 1948 una Storia e cronistoria del<br />
Canzoniere, vero e proprio saggio critico sulla sua opera in versi, la<br />
sua «tesi <strong>di</strong> laurea» come si <strong>di</strong>sse. Ma poi, si pensi alle Ragioni d’una<br />
poesia <strong>di</strong> Ungaretti, all’Intervista immaginaria <strong>di</strong> Montale, ai <strong>di</strong>scorsi<br />
sulla poesia <strong>di</strong> Quasimodo. Una specie <strong>di</strong> amara autoesegesi completa<br />
a <strong>di</strong>stanza il senso dei versi poetici, rendendoli così, se possibile,<br />
ancor più <strong>di</strong>sperati e autentici.<br />
Diversamente, Rebora, senza bisogno <strong>di</strong> escogitare un modus<br />
poetan<strong>di</strong> rispecchiante il <strong>di</strong>sastro storico, si <strong>di</strong>rebbe che giunga con<br />
spontaneità a pensare una poesia che, a parte l’in<strong>di</strong>scussa originalità<br />
linguistica, si pone come tipicamente novecentesca per via dell’inquietu<strong>di</strong>ne<br />
che la sostenta, e sia pure così operosamente governata<br />
nei mo<strong>di</strong> che prima abbiamo visto. Ma l’idea che Rebora sia un poeta<br />
orfano <strong>di</strong> poetica, insensibile ai richiami teorici <strong>di</strong> una qualunque<br />
ars poetan<strong>di</strong>, è poi rinfrancata da un’altra osservazione: in lui intercorre<br />
una <strong>di</strong>fferenza quasi impercettibile tra l’uso della lingua in poesia<br />
e in prosa, e per impellenze che nulla hanno a che vedere con<br />
l’adesione a un frammmentismo lirico <strong>di</strong> derivazione vociana. La<br />
parola in prosa gode della stessa impervia consistenza che governa<br />
quella poetica. La scrittura in versi non si oppone a tutto ciò che<br />
prosaicamente è altro da sé; i sostantivi, gli avverbi, gli aggettivi<br />
impiegati nelle composizioni poetiche sono i medesimi che Rebora<br />
utilizza in altri momenti della comunicazione. Il modo <strong>di</strong> torcere la<br />
lingua, <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporla a un uso quanto più materiale possibile, non cambia<br />
nel passaggio tra registri espressivi <strong>di</strong>fferenti. La poesia <strong>di</strong> Clemente<br />
Rebora non cresce in un laboratorio linguistico separato, costruito<br />
ad hoc. Essa abita quasi sempre nello stesso spazio grammaticale,<br />
sintattico, verbale destinato ad altri usi linguistici. Lo si può<br />
acclarare leggendo il suo epistolario, leggendo le sue prose, come ad<br />
esempio quelle che ho riportato sui vostri fogli. Io non ho ora il tempo<br />
<strong>di</strong> commentarle, ma vorrei almeno soffermarmi sull’ultimo scritto,<br />
perché, trattandosi <strong>di</strong> un articolo, si sottrae anche all’ipotesi <strong>di</strong><br />
una consonanza con il linguaggio poetico in quanto documento <strong>di</strong><br />
una prosa d’arte.<br />
È un articolo del 1910, la cronaca <strong>di</strong> una serata tipo in un teatro<br />
milanese dell’epoca:<br />
– 109
110 –<br />
Gli spettatotori dell’ultimo piano (1910)<br />
(…) Poi la folla aumenta. Allora si arrischia qualche passettino<br />
in avanti, e adagio adagio ci si stipa, quasi inavvertitamente. (…).<br />
Talvolta si ammorza subito; ma spesso circola, si trasforma, si drappeggia<br />
<strong>di</strong> rime<strong>di</strong> e consigli.<br />
Poi si consultano orologi, quando si possa giungere fino al panciotto<br />
nella pressura che si è fatta più gagliarda (…).<br />
E giunge il gran momento: la calca fluttua dentro i primi che<br />
spruzzano dentro la porta spalancatasi. (…).<br />
Quando l’uscio s’apre, l’assalto si fa rabbioso e brutale; le povere<br />
donne gridano in un tramestìo <strong>di</strong> braccia e petti stringenti (…).<br />
Quando infine comincia lo spettacolo, chi può vedere bene s’accovaccia<br />
nella propria attenzione (…). Calato il sipario, dopo l’ansietà<br />
della rappresentazione, la gola pizzica e si sente bisogno <strong>di</strong> bere<br />
e mangiucchiare qualcosellina.<br />
Poi, alla fine dell’atto, scattan su gli applau<strong>di</strong>tori e fischiatori<br />
arrabiati, e s’affaticano quasi per missione; e rigurgitano i commenti.<br />
Ci sono i cani da fiuto del plagio, che assordano: «questo c’è nel<br />
tal punto della tale opera; si ricorda – Ma che! – (…).<br />
Basta considerare il folto numero <strong>di</strong> analogie preposizionali<br />
(«tramestìo <strong>di</strong> braccia», «i cani da fiuto del plagio», ecc.), l’alterazione<br />
delle forme verbali consuetu<strong>di</strong>narie, la conversione <strong>di</strong> verbi<br />
transitivi in intransitivi-assoluti («spruzzano dentro la porta»), una<br />
formula a metà tra una voce parasintetica e un’analogia preposizionale<br />
come «si drappeggia <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>», un hapax come «qualcosellina»: è<br />
evidente allora come le parole poetiche non siano sottoposte a nessuna<br />
azione detergente che le ripulisca delle incrostazioni quoti<strong>di</strong>ane.<br />
Un’identica e innata concezione linguistica presiede agli interventi<br />
in prosa e in poesia.<br />
Guardare allora a Rebora come a un poeta senza poetica, accertare<br />
in lui l’assenza <strong>di</strong> una poetica, nei termini in cui ho prima inteso<br />
quest’ultima, e cioè come momento fondativo d’una poesia agglutinata<br />
a una sorta <strong>di</strong> apparato critico che ne commenta la forma esclusiva<br />
assunta <strong>di</strong> fronte all’irragionevole corso della storia, induce ad<br />
apprezzare maggiormente la considerevolezza del risultato ottenuto<br />
dai Frammenti lirici. È cioè sbalor<strong>di</strong>tivo che da una concezione così<br />
“artigianale” del lavoro poetico, così genuina e schietta, voglio <strong>di</strong>re<br />
così poco “aristocratica”, letteraria, derivi una poesia che non solo<br />
con<strong>di</strong>vide le più gran<strong>di</strong> controversie impegnanti l’ontologia novecentesca,<br />
ma che anche, in qualche modo, ne anticipa l’avvento.
Quanto ho detto non sembrerà forse inclinare verso un’incauta<br />
apologia se si ricordano le parole <strong>di</strong> Mario Luzi: «i Frammenti lirici<br />
restano la più alta investitura spirituale che la poesia del Novecento<br />
potesse chiedere e augurare». Dev’essere un motivo profondo, assai<br />
consistente, quello che ha indotto Luzi a esprimere un pensiero tanto<br />
netto, inequivocabile, perentorio. Un motivo sul quale conviene soffermarsi<br />
poiché il poeta fiorentino si può considerare un po’ come la<br />
coscienza poetica del secolo, l’ultimo rappresentante delle generazioni<br />
passate (soprattutto per il fatto che egli è ancora vivo). Il motivo,<br />
spiega Luzi, è che i Frammenti lirici, come i Canti orfici <strong>di</strong> Campana,<br />
consumano ancora un’esperienza totale, evadono cioè da quella che si<br />
può definire l’«episteme leopar<strong>di</strong>ana», ovvero la grande ere<strong>di</strong>tà del<br />
pensiero leopar<strong>di</strong>ano nel ‘900, che si riflette nella poesia modellata<br />
unicamente sulla propria coscienza, cui è chiaro che il derelitto apparato<br />
post-umanistico è stato per sempre abbandonato dall’umanesimo.<br />
Se il reale è antinomico rispetto alla coscienza soggettiva, alla coscienza<br />
soggettiva non resta che ridurlo al suo proprio limite, anziché aprirsi<br />
alla inesauribile trasformazione del reale stesso.<br />
Esattamente l’opposto <strong>di</strong> quello che a ogni passo i Frammenti<br />
lirici <strong>di</strong>cono ed esaltano.<br />
– 111
112 –
SULLE TRACCE DELLA POESIA DI MARIO LUZI<br />
RACHELE SIBILLA*<br />
1. PELLEGRINO DELL’ASSOLUTO<br />
NEL CONTATTO COL FIUME VIVENTE DELLA VITA.<br />
E’ nel nome dell’uomo, nel volerci pienamente umani, lucidamente<br />
attenti alla concretezza dei suoi bisogni e capaci <strong>di</strong> intercettare<br />
domande ra<strong>di</strong>cali <strong>di</strong> valore e <strong>di</strong> senso della vita e della storia che<br />
non si esauriscono nella sfera privata ma investono atteggiamenti<br />
culturali e sociali <strong>di</strong> rilevanza pubblica, che proponiamo quest’incontro<br />
con la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi.<br />
Non è una riflessione accademica, ma uno spazio <strong>di</strong> largo respiro<br />
umanistico, aperto al <strong>di</strong>alogo tra poesia e teologia, o meglio, tra il<br />
poeta e il teologo.<br />
Sui sentieri della Parola entrambi s’incontrano, ascoltatori e me<strong>di</strong>atori<br />
<strong>di</strong> una parola che ciascuno spezza agli uomini, con la specificità<br />
del suo linguaggio: il poeta fiducioso nella parola poetica con<br />
cui scava nei meandri sotterranei ed esplora frammenti e grumi <strong>di</strong><br />
vita; il teologo, fedele alla Parola che illumina <strong>di</strong> senso le parole<br />
della vita, accende il <strong>di</strong>namismo dell’interpretazione, del <strong>di</strong>scernimento,<br />
della ricerca che restituisce all’uomo la sua verità.<br />
In un contesto <strong>di</strong> frantumazione del sapere e <strong>di</strong> omologazione, in<br />
cui si fa fatica ad osare domande e ad attraversare i gua<strong>di</strong> dell’esistenza,<br />
senza fughe dalla responsabilità, è significativo e, sotto certi<br />
aspetti, provocatorio, l’incontro con la poesia <strong>di</strong> Luzi.<br />
Questa, infatti, è cifra della problematicità esistenziale, testimonianza<br />
<strong>di</strong> una fede costante nel valore della scrittura poetica, itinerario<br />
cognitivo, etico, filosofico, tensione veritativa che l’unisce al filo<br />
rosso che si <strong>di</strong>pana da Agostino a Dante, a Pascal, a Leopar<strong>di</strong>, a<br />
Montale, per quella ricerca densa <strong>di</strong> interrogativi, non <strong>di</strong>ssimile da<br />
poeti e pensatori pur <strong>di</strong>versissimi da lui.<br />
Luzi è una stella <strong>di</strong> prima grandezza nell’universo della lirica<br />
contemporanea, che non si finisce mai <strong>di</strong> esplorare: la sua produzione<br />
poetica è un contatto con il fiume della vita vivente, con le sue<br />
* Relazione tenuta il 16 Aprile 2002.<br />
– 113
sfide, le sue provocazioni e sfugge ad ogni rigida interpretazione, ad<br />
ogni storicizzazione, ad ogni “etichetta”.<br />
Ora energica ed occulta nel suo preziosismo stilistico, ora<br />
profetica, nella sua apparente semplicità, lungi da ogni “sistemazione”,<br />
s’impone per la sua voce e per la sua testimonianza <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione<br />
umana affacciata sul Mistero, sul senso ultimo del proprio<br />
consistere che resta inesplorato e costantemente sollecita l’intelligenza<br />
indagante ad aprirsi all’avvento dell’altro e alla novità della<br />
storia, senza cedere alla tentazione <strong>di</strong> ridurre le <strong>di</strong>fferenze o <strong>di</strong> catturarle<br />
negli schemi delle proprie proiezioni.<br />
Il poeta scava nel paradosso, nelle contrad<strong>di</strong>zioni della vita, nelle<br />
trasformazioni della storia, con l’umiltà <strong>di</strong> chi non presume <strong>di</strong> possedere<br />
risposte ma si sforza <strong>di</strong> ascoltare e <strong>di</strong> comprendere, <strong>di</strong> passare<br />
dalla contingenza del fenomeno al fondamento, capace <strong>di</strong> imprimervi<br />
un senso, in un perenne atto d’amore per l’uomo.<br />
Non troveremo, nei suoi testi, soluzioni o sovrapposizioni<br />
interpretative, l’intento <strong>di</strong> comunicare messaggi, ma uno spessore<br />
esistenziale ed una compromissione con la storia guardata da una<br />
prospettiva sapienziale che non è rifugio consolatorio e tranquillizzante,<br />
ma tensione che continuamente spinge al largo, per una ricognizione<br />
più vasta in cui supera, per evoluzione, senza tuttavia rinnegarli,<br />
i presupposti <strong>di</strong> partenza.<br />
Lo stesso atteggiamento si traduce in una ricerca formale che,<br />
pur attraversando i fermenti culturali del suo tempo approda ad esiti<br />
nuovi, a svolte ra<strong>di</strong>cali in cui si va precisando la sua vocazione poetica:<br />
le tappe esistenziali sono un’occasione per mettere a fuoco un’immagine<br />
del mondo e trovare un centro unitario, un filo <strong>di</strong> luce che la<br />
rischiari, quella sua “integrale vocazione metastorica” 1 e quella religiosa<br />
ricerca della verità che non si arresta <strong>di</strong> fronte a nessun fallimento<br />
e <strong>di</strong>namicamente la proietta verso nuove soluzioni stilistiche<br />
ed una coerente ricerca poetica.<br />
2. LA POESIA DI LUZI: CARMEN FLORENTINUM<br />
L’approccio alla poesia <strong>di</strong> Luzi è come il primo contatto con la<br />
città <strong>di</strong> Firenze, con il suo paesaggio che penetra negli occhi e nel<br />
cuore con la forza perentoria della sua antica bellezza: è come trovarsi<br />
in un cantiere a cielo aperto in cui confluisce l’opera e l’inge-<br />
1<br />
Mengaldo – Poeti italiani del Novecento – Mondadori, pag. 653<br />
1<strong>14</strong> –
gno <strong>di</strong> artefici e <strong>di</strong> artisti; nell’intreccio poderoso e armonico <strong>di</strong> linee<br />
e <strong>di</strong> <strong>di</strong>segni svettano monumenti, quasi ponti gettati verso l’alto, in<br />
cui vibra e si riconosce l’anima antica e sempre nuova <strong>di</strong> una città<br />
così raccolta e così aperta al mondo, così <strong>di</strong>screta e così maestosa. Di<br />
volta in volta, la luce radente o un velo <strong>di</strong> nebbia te la fa scoprire<br />
nella sua semplicità intrigante e misteriosa, nella profon<strong>di</strong>tà spirituale<br />
delle sue voci che sembrano venire da lontano ma sono cariche<br />
dell’oggi, <strong>di</strong> tutto l’umano, della leggerezza pensosa delle cose concrete,<br />
delle infinite possibilità <strong>di</strong> una comunicazione continuamente<br />
adeguata alla molteplicità delle esperienze e ad una pluralità che è<br />
garanzia <strong>di</strong> una verità non parziale e <strong>di</strong> una ricchezza inventiva inesauribile.<br />
Si avvia, così, un colloquio sommesso che entra nel sangue e<br />
parla all’anima coinvolgendola in quella che il poeta chiama “vicissitu<strong>di</strong>ne<br />
sospesa”.<br />
Proprio nella Firenze degli anni Trenta, insieme ad un folto gruppo<br />
<strong>di</strong> intellettuali, per lo più <strong>di</strong> estrazione cattolica, ed intorno al<br />
alcune riviste come “Frontespizio”, “Campo <strong>di</strong> Marte”, “Letteratura”<br />
inizia l’avventura poetica <strong>di</strong> Luzi. Intellettuale <strong>di</strong> punta, con<br />
Bigongiari, Parronchii, Gatto, Macrì, Contini, Bo e tanti altri, fa parte<br />
<strong>di</strong> quella generazione che, nel solco del rinnovamento avviato dagli<br />
ermetici della prima e della seconda generazione e sollecitato<br />
dalle esperienze simboliste, surrealiste ed esistenzialistiche, apre un<br />
<strong>di</strong>battito culturale che, per la vivacità dell’elaborazione e l’intensità<br />
dell’invenzione fa maturare una nuova sensibilità sulla funzione della<br />
letteratura e dell’esercizio poetico ed apre prospettive a percorsi<br />
poetici originali.<br />
Nel 1958, Carlo Bo, su “Frontespizio” pubblica una saggio significativo<br />
del nuovo in<strong>di</strong>rizzo: “Letteratura come vita” che, rovesciando<br />
l’estetismo e la retorica dannunziana, già denunciata dai movimenti<br />
<strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a, e andando oltre gli esiti <strong>di</strong> quel linguaggio<br />
assoluto, avulso da contenuti sociali e culturali e rivolto non a comunicare<br />
messaggi ma solo a tradurre l’illuminazione lirica ed una concezione<br />
in<strong>di</strong>viduale del mondo, identifica vita e letteratura.<br />
E’ evidenziata una tensione conoscitiva ed autoconoscitiva che<br />
non è tanto un processo intellettuale, analitico ed introspettivo <strong>di</strong><br />
progressiva acquisizione <strong>di</strong> conoscenze, ma domanda <strong>di</strong> verità, <strong>di</strong>sponibilità<br />
ad accogliere una rivelazione ed ascoltare il reale, nell’attesa<br />
<strong>di</strong> ciò che possa dare senso al vivere.<br />
La letteratura, afferma il critico, “è forse la strada più completa<br />
per la conoscenza <strong>di</strong> noi stessi ….. per la vita della nostra coscienza<br />
– 115
…..; per noi in egual misura letteratura e vita sono strumenti <strong>di</strong> ricerca<br />
e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> verità: mezzi per raggiungere l’assoluta necessità <strong>di</strong><br />
sapere qualcosa <strong>di</strong> noi, o meglio <strong>di</strong> continuare ad attendere con <strong>di</strong>gnità,<br />
con coscienza, una notizia che ci superi e ci sod<strong>di</strong>sfi ….. un<br />
golfo <strong>di</strong> attesa metafisica”. 2<br />
Molto acutamente un fine stu<strong>di</strong>oso dell’ermetismo come Silvio<br />
Ramat osserva: “è la concezione stessa <strong>di</strong> vita che va approfon<strong>di</strong>ta:<br />
ve<strong>di</strong>amo che nell’or<strong>di</strong>ne intellettuale dell’ermetismo essa contempla<br />
una verità come primum, intuita in interiore homine, <strong>di</strong> densa e ardua<br />
esprimibilità proprio per il suo stare confitta all’interno della<br />
coscienza personale; è una verità che teme <strong>di</strong> <strong>di</strong>sintegrarsi al contatto<br />
con i fenomeni così come essi brutalmente appaiono, e, pertanto,<br />
li evita proponendo l’assenza; ma anche spesso li sussume in una<br />
sintesi mentale, li <strong>di</strong>alettizza, cioè, verso la nozione. L’assenza mantiene<br />
desto il senso dell’attesa che s’incarna variamente nei singoli<br />
poeti del movimento, ivi compreso Montale che viveva a Firenze, in<br />
familiare rapporto coi giovani i quali vedevano già in lui un maestro<br />
anche sotto il rispetto etico, sentivano la sua lezione <strong>di</strong> docenza quoti<strong>di</strong>ana”<br />
3 .<br />
La poesia dell’assenza e dell’attesa non è, pertanto, <strong>di</strong>simpegno<br />
e chiusura nella torre d’avorio delle lettere, è piuttosto esplicita volontà<br />
<strong>di</strong> non compromissione col fascismo, <strong>di</strong>fesa dell’autonomia degli<br />
artisti e <strong>di</strong> un’attiva ricerca della verità, una scelta che si colloca in<br />
una prospettiva <strong>di</strong>versa da quella <strong>di</strong> Bargellini e <strong>di</strong> quei tra<strong>di</strong>zionalisti<br />
che si pongono nella linea avviata dal Concordato.<br />
In questo contesto Luzi s’impegna a creare una nuova parola poetica,<br />
mai <strong>di</strong>sgiunta dall’intelligenza del reale, dalla chiarificazione<br />
delle ragioni dell’arte e della poesia che non s’identifica con nessuna<br />
cultura, con nessuna ideologia ed è, tuttavia, portatrice <strong>di</strong> una speranza,<br />
spinta trepida ed insieme fiduciosa verso un bene ed un bello<br />
a cui tendere.<br />
E’ una speranza aperta alla ricerca del fondamento, ponte tra la<br />
precarietà e la crisi del presente e la possibilità <strong>di</strong> una pienezza che<br />
spinge verso un oltre.<br />
E’ una fiducia non tanto nell’assoluto della parola e delle sue<br />
possibilità conoscitive, quanto, piuttosto, nel valore della vita e della<br />
2<br />
Carlo Bo – Letteratura come vita – in “Frontespizio”<br />
3<br />
Silvio Ramat – Ermetismo – in Dizionario critico della letteratura italiana –<br />
UTET, pag. 41<br />
116 –
storia che la poesia può cogliere, nella certezza <strong>di</strong> un senso e <strong>di</strong> una<br />
verità profonda da scandagliare.<br />
E’ qui la novità e l’originalità <strong>di</strong> Luzi, la forza della sua testimonianza<br />
poetica, capace <strong>di</strong> esprimere il significato della vita e del<br />
mondo, <strong>di</strong> attraversarlo con lo spirito del viandante, dell’apri – pista<br />
che, a confronto con le trasformazioni e le brucianti contrad<strong>di</strong>zioni<br />
della contemporaneità, rimette continuamente in <strong>di</strong>scussione le antiche<br />
certezze, con un’interrogazione meto<strong>di</strong>ca, profondamente religiosa,<br />
poeticamente feconda per gli esiti a cui approda.<br />
Già la poesia giovanile rivela una maturità che è sorprendente:<br />
nella raccolta “La barca” (1955) si delinea una visione <strong>di</strong> sintesi,<br />
rara in un giovane. La figura della barca lascia intuire quella prospettiva<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza da cui il poeta osserva la realtà: c’è il tempo della<br />
storia e dei fatti contingenti che si <strong>di</strong>panano tra presente, passato e<br />
futuro, c’è il tempo della cultura che, ormai priva <strong>di</strong> quadri <strong>di</strong> riferimento<br />
si sfalda nei mille rivoli <strong>di</strong> interpretazioni soggettive in cui la<br />
poesia ricerca ciò che è stabile, il fulcro unitario e rende possibile la<br />
proiezione delle esperienze in un presente acronico, in una <strong>di</strong>mensione<br />
spazio – temporale che è fuori dal tempo. La poesia <strong>di</strong>venta, in<br />
tal modo, esperienza totalizzante.<br />
Sotto tale profilo <strong>di</strong>venta emblematico il testo “L’immensità<br />
dell’attimo”: “quando tra estreme ombre profonde/ in aperti paesi<br />
l’estate/ rapisce il canto degli armenti/ è la memoria dei pastori e<br />
ovunque tace/ la segreta alacrità della specie/ i nascituri avvallano<br />
nella dolce volontà delle madri/ e preme i rami dei colli e le pianure/<br />
arido il progressivo essere dei frutti. Sulla terra accadono senza luogo,/<br />
senza perché le indelebili/ verità, in quel soffio ove affondan/<br />
leggero il peso le fronde/ le navi inchinano il fianco/ e l’ansia dei<br />
naviganti a strane coste,/ il suono d’ogni voce/ perde sé nel suo grembo,<br />
al mare, al vento”.<br />
Quell’acca<strong>di</strong>mento “senza luogo e senza perché” delle indelebili<br />
verità è contemplato a <strong>di</strong>stanza, in una sorta <strong>di</strong> conoscenza che tende<br />
a capire e a ritrovare una realtà attraverso barlumi ed una tensione<br />
spirituale con cui il poeta fa rapide incursioni in un passato più o<br />
meno lontano. L’impressine che si riceve è quella <strong>di</strong> un’atemporalità<br />
<strong>di</strong> una vicenda quoti<strong>di</strong>ana attraverso cui il poeta ritrova realtà fuggite<br />
o cancellate: nonostante l’immobilismo delle immagini la vita non<br />
cessa <strong>di</strong> propagarsi perpetuando il suo ciclo universale e indecifrabile.<br />
Nel tessuto analogico del linguaggio è <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria suggestività<br />
l’analogia tra il piegarsi dei rami sotto il peso dei giorni e il vigore<br />
delle navi dei marinai desiderosi <strong>di</strong> esplorare nuove terre, <strong>di</strong>spersi al<br />
– 117
mare e al vento, all’infinito e all’indefinito. E’ comunicata una sorta<br />
<strong>di</strong> ritualità in un linguaggio raffinato ma lontano da esternazioni, cifra<br />
<strong>di</strong> quella stessa tensione euristica e stilistica dell’autore.<br />
La <strong>di</strong>sponibilità a scandagliare una con<strong>di</strong>zione umana <strong>di</strong>fficile<br />
da decifrare, il contrasto fra tempo ed eternità, tra la vita del soggetto<br />
e il tutto, il tema della presenza/ assenza, il sentimento <strong>di</strong> un vuoto,<br />
<strong>di</strong> una notte della conoscenza che può essere vissuta solo dall’immaginazione<br />
poetica danno vita alla raccolta <strong>di</strong> “Avvento notturno”<br />
(1940) che è l’espressione più alta dell’ermetismo.<br />
Nelle immagini poetiche, nel paesaggio popolato <strong>di</strong> cipressi (“parla<br />
il cipresso equinoziale” 4 ), <strong>di</strong> “oscuri e montuosi caprioli” 5 , <strong>di</strong> rose<br />
<strong>di</strong> “esistenti città” e <strong>di</strong> “giar<strong>di</strong>ni tormentosi” 6 , <strong>di</strong> “rispecchio degli<br />
opali” 7 <strong>di</strong> cristalli e “<strong>di</strong> occhi <strong>di</strong> mica”, <strong>di</strong> “pallide arene” e <strong>di</strong> “ortiche”<br />
che comunicano freddezza e immobilità, si scorge sempre una<br />
traccia della storia, una visione cupa della vita, investita da un senso<br />
<strong>di</strong> angoscia e <strong>di</strong> precarietà. Ogni immagine è il corrispettivo <strong>di</strong> una<br />
verità esistenziale, <strong>di</strong> un’esperienza sofferta, sicché il suo linguaggio<br />
anche quando è così raffinato e ricercato attraverso l’intarsio <strong>di</strong> termini<br />
colti, tecnici o esotici non si risolve nella pura ricerca tecnica,<br />
nell’assoluto della parola, ma è cifra <strong>di</strong> una problematica esistenziale<br />
affrontata attraverso l’aspirazione costante al suo valore universale.<br />
Il simbolo, allora, nella poesia <strong>di</strong> Luzi, va oltre quel lirismo totalizzante,<br />
quell’assoluto della parola che si carica <strong>di</strong> significati ulteriori,<br />
va oltre gli esiti montaliani caratterizzati da istanze esistenziali<br />
e dalla sfiducia nella sua possibilità <strong>di</strong> stabilire un’apertura verso<br />
l’Altro, in una linea che è lontana dal simbolismo e ne evidenzia la<br />
crisi. L’originalità dell’ermetismo luziano è, dunque, tutta nella fiducia<br />
e nella consapevolezza che il valore dell’atto poetico non è nella<br />
parola in sé, nella sua autoreferenzialità, ma nella possibilità <strong>di</strong> comunicare<br />
il senso e la verità profonda dell’uomo e della storia.<br />
Immagini, suggestioni, oggetti, presenze umane <strong>di</strong>ventano perciò<br />
occasione per una me<strong>di</strong>tazione metastorica, per una spiritualizzazione<br />
delle esperienze quoti<strong>di</strong>ane. “Quaderno gotico”, la raccolta<br />
del 1947, è, appunto, un documento rappresentativo della tendenza<br />
a comunicare un mondo sensibile ed insieme impalpabile, molto<br />
4<br />
Cfr. Avvento notturno – Avorio – Poeti italiani del Novecento a cura <strong>di</strong><br />
Mongaldo, pag. 654<br />
5<br />
Ibidem<br />
6<br />
Ibidem<br />
7<br />
Cfr. Avvento notturno – Città lombarda<br />
118 –
vicino a movenze stilnovistiche, ad una maniera gotica, ben evidenziata<br />
dal titolo. Centrale è, qui, il tema dell’apparizione della donna,<br />
<strong>di</strong> una epifania che richiama alla mente la Beatrice <strong>di</strong> Dante e la<br />
donna – angelo, la Clizia <strong>di</strong> Montale.<br />
Il poeta genovese recupera il modello stilnuovistico della donna<br />
– angelo, portatrice <strong>di</strong> una salvezza: Clizia è la nuova Beatrice, dal<br />
carattere sociale, personificazione <strong>di</strong> salvezza e occasione <strong>di</strong> esperienza<br />
del <strong>di</strong>vino, <strong>di</strong> riscatto per tutti gli uomini, non solo per il poeta<br />
e per pochi eletti. In lei si condensano, come per la Beatrice dantesca,<br />
sentimenti privati e valori ideologici oggettivi <strong>di</strong> carattere religioso,<br />
anche se <strong>di</strong> una religiosità laica, assunta come campo <strong>di</strong> valori, come<br />
momento <strong>di</strong> attesa e <strong>di</strong> speranza, da incarnare nella storia. Clizia,<br />
infatti, è per il poeta l’allegoria <strong>di</strong> una vicenda spirituale: è Clizia<br />
che il poeta ha conosciuto in un lontano passato e poi ha perduto, ma<br />
da lei riceve messaggi, parole e segnali quasi incomprensibili per la<br />
<strong>di</strong>stanza; è lei l’intrepida messaggera tra il poeta e un Dio invisibile,<br />
nella cui assenza o muta presenza si svolge il dramma della storia. Di<br />
fronte al male del mondo la donna – angelo assume una funzione<br />
sacrificale, come quella <strong>di</strong> Cristo, <strong>di</strong>venta “Cristofora”: il sacrificio<br />
<strong>di</strong> Cristo si trasforma e si perpetua nel sacrificio dell’uomo. E’<br />
un’apertura <strong>di</strong> Montale all’oltre, al Mistero che esclude un’adesione<br />
esplicita ed ogni risposta positiva.<br />
L’epifania della donna, come “presenza che s’aggira” come evento<br />
salvifico che apre alla speranza è centrale anche nella poesia <strong>di</strong> Luzi,<br />
ma la forza evocativa con cui ogni riferimento concreto è smateriallizato,<br />
fino a farne una presenza misteriosa, quasi un’ombra evanescente,<br />
è assolutamente nuova. L’atmosfera rarefatta squisitamente<br />
petrarchesca fa da sfondo al vagheggiamento della donna e al senso<br />
dell’attesa, attraverso immagini lievi che rendono la <strong>di</strong>mensione psicologica<br />
e introspettiva dell’amore. In un testo che è tra le realizzazioni<br />
più alte della poesia ermetica 8 , in una cornice che ha i tratti<br />
emblematici della pittura gotica, un cielo proteso verso l’apparire<br />
della luna, una brezza leggera che scompiglia l’erba del prato, appare<br />
una donna, una “vaga essenza”. La sua presenza, invisibile appare<br />
vibrante, è simile ad un vento sottile che rigenera un arbusto appassito<br />
e varca la “Siepe dell’infinito”, la barriera tra sogno e realtà, tra<br />
presente e passato: come il vento va oltre la siepe, così la donna<br />
<strong>di</strong>schiude la porta alla speranza, ad un futuro <strong>di</strong>verso come “lucciola<br />
8<br />
“Oscillano le fronde” da “Quaderno gotico” – in M. Luzi: Tutte le poesie –<br />
ed. Garzanti, Milano, 1988<br />
– 119
che vola rapida ad accendersi e a sparire” che sfiora il pergolato in un<br />
contrasto <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong> ombre, <strong>di</strong> fugace mobilità ed incisiva presenza,<br />
simbolo <strong>di</strong> quel segreto desiderio <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> gioia, così fragile, così<br />
provvisorio, che rimane inappagato, non colto e “lascia intatta la tenebra”;<br />
per un attimo si accende un barlume, si percepisce un’intensa<br />
emozione ma subito sparisce, quasi una perenne metamorfosi del<br />
<strong>di</strong>venire <strong>di</strong> ogni cosa.<br />
Le immagini stilizzate della cornice e dei suoi luoghi emblematici,<br />
il portico, il prato, la siepe, i significati metaforici <strong>di</strong> cui sono caricate<br />
le immagini, la perizia tecnica e lo scarto del linguaggio ermetico<br />
traducono, oltre quell’epifania, il sentimento religioso del poeta proteso<br />
tra coscienza del limite e tensione verso l’Assoluto, nella certezza<br />
<strong>di</strong> una speranza, nella possibilità <strong>di</strong> un futuro nuovo che va<br />
oltre la montaliana allegoria umanistica e sociale <strong>di</strong> Clizia. La poesia<br />
supera il limite del reale e giunge alla salvezza attraverso il sublime.<br />
3. LA SVOLTA DECISIVA<br />
Finora Luzi affronta senza miti consolatori e con una religiosità<br />
che lo rende più sensibile al dramma esistenziale, il tema del rischio<br />
e delle lacerazioni che tormentano la coscienza: un dramma antico<br />
quanto l’uomo, ricorrente nei Greci, eccitato dal Cristianesimo, complicato<br />
dalle filosofie moderne.<br />
Senza mai ripu<strong>di</strong>are la precedente esperienza <strong>di</strong> fronte agli avvenimenti<br />
della guerra e al travaglio della storia collettiva, proprio per<br />
le premesse implicite nel suo percorso, Luzi abbandona i toni più<br />
astratti e metafisici per una nuova attenzione alla realtà, sente <strong>di</strong> dover<br />
rivolgere la sua indagine e la sua luci<strong>di</strong>tà critica e poetica a ciò<br />
che sconvolge e smarrisce l’uomo.<br />
La produzione degli anni cinquanta è densa <strong>di</strong> riferimenti agli<br />
eventi della guerra, agli interrogativi e alle incertezze che suscita.<br />
Anche questa trage<strong>di</strong>a, questa “bufera” che provoca un’irruzione sconvolgente<br />
del reale nel mondo della poesia, come simbolo <strong>di</strong> un male<br />
più vasto che sconvolge la stessa civiltà umana <strong>di</strong> un dolore e <strong>di</strong> una<br />
violenza ineliminabili e dà voce alla sfiducia, ad una visione cupa in<br />
un poeta come Montale, lascia sempre uno spazio all’abbandono<br />
fiducioso nella visione <strong>di</strong> Luzi.<br />
Quella “notte del mondo” nella quale “gli dei sono fuggiti e la<br />
stessa poesia, ultima <strong>di</strong>vinità per Montale, rischia <strong>di</strong> soccombere,<br />
può essere ancora” aperta alla luce <strong>di</strong> un’alba nuova.<br />
120 –
In un testo che chiude la raccolta <strong>di</strong> “Brin<strong>di</strong>si” 9 il poeta dà un<br />
messaggio <strong>di</strong> speranza <strong>di</strong> un’alba nuova che lascia intravedere un<br />
“monte che ride illuminandosi”, “barlumi dall’acqua” mentre si riflette<br />
“negli specchi un sorriso, sui vetri aperto un brivido”. Una giovane,<br />
lasciata nell’indeterminatezza per rendere più suggestivo il suo<br />
valore simbolico <strong>di</strong> giovinezza, “contrad<strong>di</strong>ce in un tratto la morte”.<br />
Allo stesso modo da una porta aperta – la porta della fede e della<br />
speranza – irrompono “felici i colori”, le tenebre si <strong>di</strong>ssolvono ed un<br />
nuovo soffio <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> luce sospinge verso l’alto. Nella contemplazione<br />
del creato il poeta ritrova, dopo i segni <strong>di</strong> morte, quelli della<br />
vita che rinasce e lo comunica con quella raffinatezza stilistica e con<br />
quelle cifre simboliche che connotano ormai, la sua scrittura, meno<br />
rarefatta, meno intellettualistica, più attraversata dal brivido dell’esperienza<br />
storica.<br />
E’ abbandonata, infatti, la poesia oscura, densa <strong>di</strong> trame analogiche<br />
per una comunicazione meno cifrata e più attenta ai temi del<br />
rinnovamento, dell’attesa e delle trasformazioni del mondo, alle domande<br />
sul ruolo del poeta, sul suo andare incontro agli uomini, ad<br />
un’alterità che si svela, che provoca ed interpella.<br />
Attraverso un tema profondamente religioso come quello dell’Epifania<br />
10 , il poeta coglie quei segni <strong>di</strong> turbamento e <strong>di</strong> speranza <strong>di</strong><br />
sfascio e <strong>di</strong> rinnovamento che sono nella realtà.<br />
La notte dell’Epifania è descritta come “notte d’ansia e <strong>di</strong> vertigine”<br />
quando il tempo “sgrana i germi del nuovo” nel vento della<br />
mutazione e del cambiamento ra<strong>di</strong>cale che immerge la realtà in un<br />
processo costante <strong>di</strong> metamorfosi, tra passato e futuro, vita e morte,<br />
luce e tenebre, in un intreccio <strong>di</strong> contrari: “in una notte come questa<br />
l’anima mia ….. fiutò la notte tumida/ <strong>di</strong> semi che morivano, <strong>di</strong> grani/<br />
che scoppiavano, ravvisò stupita/ i fuochi in lontananza dei bivacchi/<br />
più vivi<strong>di</strong> che astri”.<br />
Sono questi contrari che rinviano alla ricerca dell’unità e segnano,<br />
anche per gli stilemi nuovi, più scarni ed essenziali, una via altra<br />
dai moduli ermetici, ma sempre aperta al mistero e densa <strong>di</strong> valenze<br />
metafisiche.<br />
Il recupero della <strong>di</strong>mensione realistica non significa, tuttavia,<br />
imme<strong>di</strong>ata adesione ai problemi socio – politici ma a quella verità<br />
che è nelle cose più semplici della vita quoti<strong>di</strong>ana, nei gesti meno<br />
clamorosi e lo stesso superamento dei precedenti moduli poetici av-<br />
9<br />
Diana, Risveglio – cfr.Tutte le poesie <strong>di</strong> M. Luzi, ed. Garzanti, Milano, 1988<br />
10<br />
Epifania: Tutte le poesie, Garzanti<br />
– 121
viene, non per elaborazione <strong>di</strong> una nuova poetica, ma all’interno <strong>di</strong><br />
quella stessa ragione del poetare, inteso come investigazione sulle<br />
ragioni più profonde e sulla <strong>di</strong>mensione più autentica della vita, segnata<br />
da una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> sospensione, <strong>di</strong> attesa: la me<strong>di</strong>tazione<br />
sull’effimero del tempo della storia e sul non senso della vita postula<br />
una riflessione più alta e partecipata sulla sorte dell’uomo, uno sguardo<br />
non ripiegato intimisticamente, ma proteso verso l’eterno.<br />
4. NEL MAGMA DELLA STORIA<br />
Fin dagli anni sessanta il poeta avverte <strong>di</strong> trovarsi ad una svolta<br />
della civiltà: la società sta cambiando; la volontà <strong>di</strong> ripresa e <strong>di</strong> ricostruzione<br />
nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un benessere economico evidenzia un<br />
impoverimento <strong>di</strong> valori e <strong>di</strong> quadri <strong>di</strong> riferimento. La massificazione<br />
della cultura determina il declino della civiltà occidentale e mette in<br />
crisi la funzione degli intellettuali, emarginati dalla mercificazione e<br />
dalla reificazione dei processi in atto. E’ significativo a tale riguardo,<br />
la polemica sorta tra Pasolini e Montale, il primo sostenitore <strong>di</strong><br />
un’omologazione culturale che, assunta passivamente dal popolo porta<br />
ad un imborghesimento e ad una per<strong>di</strong>ta dei valori popolari; il secondo<br />
sostenitore <strong>di</strong> una massificazione che, mercificando tutto, stabilisce<br />
e degrada la cultura borghese; nel magma informe che costituisce<br />
lo squallido mondo della vita non c’è posto per la poesia e l’unica<br />
scelta possibile è quella del silenzio.<br />
Luzi si confronta più <strong>di</strong>rettamente con quanto sta avvenendo,<br />
coglie la falsità dei miti illusori del consumismo e del benessere della<br />
società industrializzata e tecnologica ed assume il magma informe<br />
e caotico della vita per rappresentarlo nel magma formale <strong>di</strong> un nuovo<br />
linguaggio poetico che infrange ogni separazione tra vita e poesia.<br />
La sua ricerca poetica si rivolge ai temi dell’esistenza e ai problemi<br />
sociali, tenendo sempre <strong>di</strong>stinti i due piani della riflessione<br />
ideologica e dell’attività poetica, senza chiusure e senza <strong>di</strong>stanze,<br />
tipiche della prima stagione.<br />
In un raffinato poemetto della raccolta “Nel magma” (1966), intitolato<br />
“Presso il Bisanzio”, un affluente dell’Arno, Luzi affronta<br />
una tematica scottante in quegli anni, quella delle lotte sindacali, da<br />
una prospettiva che non è solo ideologica e riconduce al senso vero<br />
della storia.<br />
In un paesaggio urbano, avvolto dalla nebbia, deserto, fangoso,<br />
con pali e antenne dove sorge una conceria un uomo, lasciato<br />
122 –
nell’anonimato, incontra quattro compagni “pigri nell’andatura, pigri<br />
anche nel fermarsi” che si portano dentro la rabbia delle<br />
riven<strong>di</strong>cazioni e lo rimproverano <strong>di</strong> non aver con<strong>di</strong>viso la loro battaglia,<br />
fissandolo con occhi furenti ed ironici, <strong>di</strong> non aver compreso il<br />
significato <strong>di</strong> riscatto <strong>di</strong> scelte ideali e morali.<br />
L’uomo tace e poi spiega al compagno più giovane ed incerto:<br />
“E’ <strong>di</strong>fficile spiegarti. Ma sappi che per me il cammino/ era più lungo<br />
che per voi/ e passava da altre parti”. Il suo non è <strong>di</strong>simpegno, è<br />
una scelta più alta, è una scelta metafisica il cui giu<strong>di</strong>zio è riservato<br />
ai poveri: “Mentre pensi/ e accor<strong>di</strong> le sfere d’orologio della mente/<br />
sul moto dei pianeti per un presente eterno/ che non è il nostro, che<br />
non è <strong>di</strong>venuto/ poni mente a che cosa questo tempo ti richiede,/ non<br />
la profon<strong>di</strong>tà, né l’ar<strong>di</strong>mento,/ ma la ripetizione <strong>di</strong> parole/ la mimesi<br />
senza perché né come,/ dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitu<strong>di</strong>ne/<br />
morsa dalla tarantola della vita, e basta”.<br />
Mentre Montale è convinto che non c’è più spazio per la poesia,<br />
Luzi è convinto che il poeta ha la possibilità o <strong>di</strong> limitarsi a ripetere<br />
parole, ad invitare i gesti delle masse, integrandosi nella corrente,<br />
oppure può conservare una fedeltà assoluta alla poesia, l’unica che<br />
salva, non riducibile alla logica del mercato perché atto d’amore gratuito,<br />
espressione altissima <strong>di</strong> umanità. La poesia non può schierarsi<br />
da una parte o dall’altra e, perciò, “le sfere dell’orologio della mente”<br />
sono in sintonia non con il “qui ed ora” della storia, ma con il<br />
“movimento dei pianeti”, con una prospettiva più ampia. Il poeta,<br />
dunque, lavora anche per chi lotta, per amore loro.<br />
Per questo nessuno dei compagni potrà “giu<strong>di</strong>care a cuore duro<br />
<strong>di</strong> questi anni vissuti….. potranno farlo altri, in un tempo <strong>di</strong>verso”<br />
con libertà interiore e con una “pietà più perfetta”.<br />
Il poeta legge la storia da una prospettiva sapienziale in cui si<br />
riafferma la sua vocazione metastorica attraverso un linguaggio che<br />
tende sempre più alla prosa e si fa più oscuro, non più per la concentrazione<br />
analogica e l’evocazione mallarmeana, ma per un<br />
adeguamento alle figure, agli oggetti, alle presenze del reale; è un<br />
brulicare <strong>di</strong> vita, <strong>di</strong> forme che rivelano ancora una volta una sete <strong>di</strong><br />
conoscenza e <strong>di</strong> ulteriorità.<br />
I temi relativi a problematiche civili, come quelle del “terrorismo”<br />
e “degli anni <strong>di</strong> piombo” rinviano sempre ad una visione <strong>di</strong><br />
fede e ad una verifica storica; il problema della violenza, del male,<br />
del dolore del mondo rimane senza risposta, ma in ogni frammento<br />
senza senso si rivela una Presenza, l’incarnazione <strong>di</strong> Cristo che riscatta<br />
e trasfigura: “e lui forse è là” fermo nel nocciolo dei tempi/ là<br />
– 123
nel suo esercito <strong>di</strong> poveri/ acquartierato nel protervo campo in variabili<br />
uniformi” 11 .<br />
Nessuna rassegnazione ma una fede incarnata, problematica e<br />
provocata da quella presenza è garanzia <strong>di</strong> un’armonia del mondo<br />
che libera dallo scetticismo e dall’in<strong>di</strong>fferenza.<br />
La conoscenza della realtà, l’essenza <strong>di</strong> sé non è frutto <strong>di</strong> chissà<br />
quali ragionamenti; questa conoscenza solo in parte può essere enunciata<br />
nelle forme ufficiali della cultura; l’arte stessa cerca <strong>di</strong> esprimerla,<br />
ma le tracce si perdono nella complessità dell’elaborazione<br />
artistica: “non le tracce nei libri/ nulle o quasi le impronte,/ e se mai<br />
troppo nascoste, nella materia dell’arte” 12 .<br />
Tale conoscenza può solo essere intuita come nello sguardo sfuggente<br />
che la madre rivolge al figlio o nel sorriso <strong>di</strong> una donna, ma è<br />
un’intuizione fragile <strong>di</strong> cui facilmente si smarrisce il senso.<br />
Alla storia come certezza collettiva, alla possibilità <strong>di</strong> fondarla<br />
solo negativamente subentra in Luzi la consapevolezza <strong>di</strong> un fondamento<br />
invisibile per cui il mistero della vita coincide con la vita stessa<br />
e le sue contrad<strong>di</strong>zioni: la vita non può essere compresa né spiegata,<br />
ma solo vissuta (“vita fedele alla vita/ tutto questo che le è cresciuto<br />
in seno/ dove va, mi chiedo, <strong>di</strong>scende o sale a sbalzi verso il<br />
suo principio,/ ….. sebbene non importi, sebbene sia la nostra vita e<br />
basta” 13 .<br />
Lo stesso desiderio <strong>di</strong> felicità che nasce da una assenza, da una<br />
mancanza si rivela impossibile e non si sa da dove venga e a chi si<br />
volga, ma proprio quando è risospinto nei meandri dell’io si apre un<br />
varco (che richiama “l’anello che tiene” <strong>di</strong> Montale), un’apparizione<br />
miracolosa. L’acqua, presenza casta e purificatrice, viene a ristorare<br />
da ogni arsura, è il sorso <strong>di</strong> felicità atteso e raccolto nelle mani congiunte,<br />
quasi a conservarlo come un tesoro.<br />
Forse si tratta <strong>di</strong> un’illusione, <strong>di</strong> una resa al fascino <strong>di</strong> quell’incanto:<br />
“e vedo <strong>di</strong> lì a poco, mentre un po’ dormo e un po’ penso,/<br />
un’acqua meravigliosa raccogliersi in due mani fini e trepide, serrate/<br />
nella loro giumella un po’ infantile, un’acqua azzurra mi sembra,/<br />
giù dalle fen<strong>di</strong>ture <strong>di</strong> un’antica roccia dolorosa stillando./ A meno<br />
non sia parte dell’inganno/ ….. <strong>14</strong><br />
11<br />
“A che pagina della storia” da “Al fuoco della Controversia”<br />
12<br />
“Detto Non taciuto appena. Duro” da “Al fuoco della Controversia<br />
13<br />
“Vita fedele alla vita” da “Su fondamenti invisibili”<br />
<strong>14</strong><br />
“Dammi il mio sorso <strong>di</strong> felicità prima che sia tar<strong>di</strong>” da “Su fondamenti invisibili”<br />
124 –
Non è <strong>di</strong>fficile notare la novità <strong>di</strong> un linguaggio poetico che senza<br />
indulgere al lirismo, appare spezzato e contratto nel suo impianto<br />
ritmico e sintetico, più duro o attraversato da una dolente tensione.<br />
Sul piano formale ora il <strong>di</strong>scorso poetico si frantuma: è ricorrente<br />
la mancanza <strong>di</strong> punteggiatura la struttura a “scalino” dei versi per<br />
isolare le varie espressioni linguistiche e renderle più incisive. Come<br />
la vita sembra pacificarsi nell’attesa, che immerge nel flusso della<br />
storia e <strong>di</strong>lata l’orizzonte così la poesia si fa ricerca <strong>di</strong> un significato<br />
possibile che rimane aperto e rifiuta ogni definizione conclusiva.<br />
5. IL FASCINO ORIENTALE<br />
Col passare del tempo la poesia <strong>di</strong> Luzi sembra <strong>di</strong>latarsi in intensità<br />
ed estensione, acquistare sempre più spessore a vantaggio <strong>di</strong> un<br />
adeguamento ai toni del <strong>di</strong>alogo e del monologo con cui cerca <strong>di</strong> cogliere<br />
le tracce dell’eterno nel “grembo dell’oscurità che ci fascia”.<br />
Tra i numerosi viaggi fatti in America, in Cina, in Georgia ha un<br />
particolare rilievo quello in In<strong>di</strong>a. La conoscenza del mondo e della<br />
cultura in<strong>di</strong>ana ha certamente influito sui poemetti dei “Fondamenti<br />
invisibili”, in particolare “Nel corpo oscuro delle Metamorfosi” e<br />
nel “Gorgo <strong>di</strong> salute e malattia”.<br />
Dagli appunti del Diario, in cui l’autore ha annotato quell’esperienza,<br />
pubblicato a cura <strong>di</strong> Roberto Car<strong>di</strong>ni si può rilevare la svolta,<br />
la conversione maturata nel poeta. Il poeta ammette <strong>di</strong> essere arrivato<br />
a Bombay con una serie <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zi con quell’atteggiamento<br />
tipico dell’uomo occidentale, chiuso nei suoi schemi mentali. Avverte<br />
l’enorme contrad<strong>di</strong>zione tra lo splendore dei templi, la magnificenza<br />
e lo sforzo dei palazzi del Maharajah e la miseria <strong>di</strong> infinite<br />
moltitu<strong>di</strong>ni. E’ proprio nel contatto con i poveri, con i questuanti<br />
ricoperti <strong>di</strong> stracci lungo la strada che portava a Benares, in quel<br />
pellegrinaggio che egli fa l’esperienza evangelica, comprende la situazione<br />
in cui si trova il Signore nella Galilea, quando incontra le<br />
folle bisognose, gli straccioni che attendono il Messia e il riscatto<br />
della loro povertà. Quei poveri meritano attenzione, rispetto e soprattutto<br />
uno sguardo d’amore che spinge ad assumerli, a con<strong>di</strong>viderne<br />
l’ansia <strong>di</strong> salvezza e <strong>di</strong> liberazione.<br />
Il contatto con i poveri lo cambia, lo apre alla totalità dell’umano<br />
all’accettazione del mondo e della <strong>di</strong>versità, alla scoperta <strong>di</strong> una cultura<br />
ricca <strong>di</strong> fascino e <strong>di</strong> spontaneità, non intellettualistica ed aprioristica,<br />
come quella occidentale.<br />
– 125
Il contatto con quella povertà e quella <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> riti, <strong>di</strong> cultura<br />
lo converte: dal pregiu<strong>di</strong>zio e dalla chiusura passa alla <strong>di</strong>sponibilità<br />
della mente e del cuore ad aderire a quella realtà umana e naturale,<br />
alla contemplazione <strong>di</strong> una verità da cogliere non solo dentro <strong>di</strong> sé<br />
ma nelle trasformazioni del mondo e nella creazione continua dell’universo.<br />
Con un felice ossimoro si potrebbe <strong>di</strong>re che l’esperienza<br />
in<strong>di</strong>ana lo fa “restare pellegrino” nell’umanità per un desiderio <strong>di</strong><br />
compagnia con gli uomini <strong>di</strong> oggi con la consapevolezza che ogni<br />
itinerario è illuminato da un “topografo” <strong>di</strong> eccezione, lo Spirito, ed<br />
è iscritto nell’impreve<strong>di</strong>bilità che <strong>di</strong>schiude nuovi sentieri e pagine<br />
ine<strong>di</strong>te <strong>di</strong> storia.<br />
Negli scritti del poeta vibra il cuore <strong>di</strong> uno che cerca sempre: la<br />
sua ricerca è un andare verso, mai casa in cui prendere fissa <strong>di</strong>mora,<br />
mai assicurata, ma sempre rinnovata ed ogni volta conquistata.<br />
La visione del credente non emerge come questione privata, ma<br />
come prospettiva da cui leggere ed interpretare il mondo, come testimonianza,<br />
come identità credente che non si chiude mai in un colloquio<br />
che esclude l’altro e sempre si risolve in un vincolo <strong>di</strong> agape, <strong>di</strong><br />
caritas che va oltre i “pragmata”, il puro profitto utilitaristico ed è<br />
capace <strong>di</strong> assoluta gratuità.<br />
6. OPUS FLORENTINUM<br />
Una ra<strong>di</strong>cale visione <strong>di</strong> fede e un grande amore per la sua città<br />
danno voce a quel canto sacro che è uno degli ultimi testi “Opus<br />
florentinum” 15 .<br />
Qui il poeta, dopo aver immaginato un <strong>di</strong>alogo tra gli operai e gli<br />
artisti che hanno costruito la cattedrale <strong>di</strong> santa Maria del Fiore,<br />
un’opera a cui ha posto mano cielo e terra, fino a farne il simbolo più<br />
alto del patrimonio artistico, culturale e spirituale non solo <strong>di</strong> Firenze,<br />
ma del mondo intero, fa parlare la cattedrale stessa, il “Fiore della<br />
fede”. Artisti sommi come Arnolfo, Giotto, ser Filippo e un popolo<br />
<strong>di</strong> artisti ha reso possibile quel miracolo <strong>di</strong> un’opera in cui si esprime<br />
l’anima più autentica <strong>di</strong> Firenze e della fede cristiana.<br />
In occasione dell’anno giubilare la Chiesa, madre <strong>di</strong> tutte le altre,<br />
fa una sorta <strong>di</strong> esame <strong>di</strong> coscienza: “officina delle anime fui per molti<br />
secoli ….. chi si introduce nel mio ventre/ esce/ lavorato dal sapere<br />
15<br />
Mario Luzi: Opus florentinum, ed. Passigli, 2000.<br />
126 –
cristiano e dalla preghiera/ <strong>di</strong> molte e molte generazioni: si ricoverano<br />
qui gli sperduti, si ritemprano in questa penombra./ Ma anche si<br />
raccolgono i relitti/, si raggiustano i rottami,/ si fabbricano ali per<br />
volo in questa officina./ Hanno qui trovato asilo e lavorato la parola/<br />
che oggi vi offro i santi <strong>di</strong> Firenze./ Ma quanto è necessario/ che sia<br />
sempre infuocato questo laboratorio, delle anime/ e io giustificata<br />
dalla mia attiva opera!/ Vorrei, figli miei presenti nella città e nel<br />
tempo,/ e voi figli defunti nelle epoche recenti/ e in quelle più remote/<br />
formassimo tutti insieme un corpo unico/ che si offre all’avvenire/<br />
il quale si approssima sotto specie misteriosa <strong>di</strong> millennio/ e già<br />
sta per entrarmi dalla porta./ Viene con volto imperscrutabile/ ad avere<br />
il mio battesimo/ ed insieme il forte viatico/ per il suo dubbio cammino.<br />
Viene anche/ a portare nuove angosce ed ansie,/ nuova preghiera,<br />
nuove beatitu<strong>di</strong>ni al mio antico magistero. E forse ne rinnova<br />
in me/ la ragione prima e l’anima….. Vorrei essere forte/ <strong>di</strong> tutti i<br />
miei slanci e <strong>di</strong> tutti i miei peccati/ <strong>di</strong> tutte le mie miserevoli omissioni/<br />
e delle mie tribolate penitenze/ per accogliere con fede e con<br />
esperienza/ questo advena, questo sopravvenuto tempo./ viene forse<br />
duro ed impietoso a chiedere ragione/ del grande patrimonio che<br />
abbiamo <strong>di</strong>ssipato, viene/ forse smarrito a men<strong>di</strong>care un po’ <strong>di</strong> quella<br />
povera sostanza./ Vorrei fossimo uniti tutti insieme, figli miei, per<br />
essere una roccia/ su cui posso posare il piede/ chi arriva/ e prendere<br />
slancio per il volo…../ Abbiamo noi, chiesa cristiana,/ trasmesso/<br />
integro il Vangelo,/ ma non siamo qui soltanto per commemorare/<br />
bensì per attuare…../ sia il millennio un allarme temporale/ all’intemporalità<br />
che noi viviamo/ da poveri, umilmente giorno per giorno,/<br />
sia esso un incremento/ senza fine del Verbo e del suo senso./<br />
Figli miei voglio essere il luogo per la crescita degli uomini,/ tutti, <strong>di</strong><br />
ogni provenienza e origine…./ O secolo che vieni/ su un secolo nostro/<br />
nell’or<strong>di</strong>ne della cristiana previsione/ <strong>di</strong> fede e <strong>di</strong> certezza…../<br />
Quella che si <strong>di</strong>spone al rito festoso del riconoscimento,/ figli è una<br />
chiesa penitenziale. Molti hanno operato in me/ e in nome mio non<br />
onesta/ ma anzi perfida e maliziosa gente./ In molti hanno abusato<br />
del mio limpido sigillo,/ e io chiesa materna mi affliggo <strong>di</strong> tutte le<br />
magagne./ Perdono, chie<strong>di</strong>amo a mani giunte”.<br />
Da tutto il monologo promana un profondo senso ecclesiale ed<br />
una passione per la comunione che rivelano la sensibilità <strong>di</strong> un credente<br />
proteso alla ra<strong>di</strong>calità della fede e all’unitarietà non solo come<br />
tensione al superamento <strong>di</strong> separatezze, frammentazioni ma alla ricerca<br />
<strong>di</strong> una comune umanità che ci rende fratelli in una <strong>di</strong>mensione<br />
universale, aperta, cor<strong>di</strong>ale. E’ una fede che cresce attraverso l’inter-<br />
– 127
ogazione e si illumina attraverso un pensiero che lo <strong>di</strong>lata ed una<br />
testimonianza provata.<br />
E’ una fede che si fa coltivazione dell’uomo che cresce nella<br />
ricerca intelligente e libera della verità, nella comprensione del mondo<br />
e della storia dove non si stanca <strong>di</strong> scorgere i germi <strong>di</strong> speranza, pur<br />
nelle sue contrad<strong>di</strong>zioni ed incoerenze.<br />
E’ la fede nel Mistero della chiesa, della sua maternità, della sua<br />
forza <strong>di</strong> redenzione e <strong>di</strong> trasfigurazione destinata a farsi incessantemente,<br />
sotto l’azione <strong>di</strong> Dio, nonostante i limiti e le omissioni.<br />
E’ espressione <strong>di</strong> fede l’esercizio faticoso <strong>di</strong> una continua assunzione<br />
del vissuto, del suo dolore, delle sue contrad<strong>di</strong>zioni, dei suoi<br />
enigmi, per lasciarlo avvolgere dalla luce <strong>di</strong> quel Mistero, della luce<br />
della Pasqua del Signore, per scoprire la vita come luogo dove Cristo<br />
e la Sua Croce sono presenti perché la resurrezione e la vita nuova<br />
s’inscrivono nella cronaca e nell’esperienza <strong>di</strong> ogni giorno.<br />
Il segno inequivocabile del rinnovamento è, pertanto, nella conversione<br />
– riconciliazione: è una svolta ra<strong>di</strong>cale, mai definitiva e capace<br />
<strong>di</strong> mostrare ad ogni uomo il volto della compassione e della<br />
misericor<strong>di</strong>a. In una realtà segnata da <strong>di</strong>visioni e conflitti, da o<strong>di</strong>o e<br />
da violenza la profezia della Chiesa che è, insieme, annuncio e sfida<br />
da accogliere, provocazione e responsabilità è la riconciliazione: solo<br />
un’umanità riconciliata non più <strong>di</strong>visa e lacerata in se stessa, può<br />
celebrare la vita, riscoprire il dono della fraternità, può integrarsi<br />
armonicamente nel tutto nel quadro <strong>di</strong> una nuova citta<strong>di</strong>nanza universale<br />
in cui ciascuno è accolto, riconosciuto, tutelato, aiutato a crescere.<br />
Chiedere perdono a mani giunte è la via per nuove relazioni<br />
come fondamento <strong>di</strong> una nuova soggettività non autoreferenziale,<br />
ma aperta al <strong>di</strong>alogo, al confronto, alla responsabilità verso l’altro, è<br />
il tramite <strong>di</strong> accesso ad una nuova umanità, e quell’homo humanus<br />
trasfigurato dalla luce trinitaria.<br />
Il testo si configura, pertanto, non solo come scritto ispirato da<br />
un evento significativo come quello giubilare, ma come una tappa<br />
ulteriore <strong>di</strong> un itinerario umano e poetico coerente che rimette al<br />
centro l’uomo, il suo sforzo <strong>di</strong> autocomprensione, in un atteggiamento<br />
costruttivo <strong>di</strong> fronte ai <strong>di</strong>sagi e ai cambiamenti in corso per<br />
convertirli con fiducia e realismo, col magistero <strong>di</strong> una voce autorevole<br />
perché densa <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong>stante dai toni perentori del pre<strong>di</strong>catore<br />
o del moralista, carico <strong>di</strong> esperienza in una visione dolorosa. Colpisce<br />
soprattutto il senso e il valore dello sperare che il poeta trasmette<br />
nella sua comunicazione lirica, quell’apertura su un orizzonte infinito<br />
in cui si rivela la sua visione <strong>di</strong> credente che non imprigiona negli<br />
128 –
assoluti, alla fine deludenti, delle piccole speranze quoti<strong>di</strong>ane e costituisce<br />
un’ala <strong>di</strong> riserva per il progetto <strong>di</strong> una società nuova, capace<br />
<strong>di</strong> tenere desto l’appello profetico e <strong>di</strong> tradurlo in scelte storico –<br />
politiche e restituisce l’uomo alla sua umanità più profonda.<br />
La lettura stimola sempre, attraverso la commozione e il<br />
coinvolgimento che provoca, una riflessione sul senso della storia e<br />
sul fondamento del vivere, suscita nuovi interrogativi sul futuro della<br />
convivenza e sui valori che possono orientarla e rimuoverla.<br />
7. IN MEMORIA DI VALENTINA: QUASI UN COMPENDIO<br />
Tutta la poesia <strong>di</strong> Luzi è una costante comunicazione <strong>di</strong> quel rapporto<br />
profondo con la problematicità e la complessità della con<strong>di</strong>zione<br />
umana: la suggestione <strong>di</strong> ogni occasione è strumento<br />
fenomenologico per una me<strong>di</strong>tazione storica, per una conoscenza non<br />
intellettualistica, ma per “cifre e per barlumi” dell’essenza trascendente<br />
del mondo e dell’uomo e riafferma l’integrale vocazione<br />
metastorica della sua poesia. Alle contrad<strong>di</strong>zioni, agli enigmi, al dolore<br />
e al male del mondo non si possono dare soluzioni, interpretazioni<br />
elaborate secondo schemi razionali, ideologici, moralistici. Essi<br />
possono solo essere attraversati, con<strong>di</strong>visi nel coinvolgimento <strong>di</strong> ogni<br />
esperienza <strong>di</strong> vita, dando voce autentica alle cose.<br />
E’ per questo che la poesia luziana è espressione irripetibile ed<br />
incisiva della crisi e della speranza, “tenta il <strong>di</strong>agramma della turbata<br />
avventura spirituale dell’uomo contemporaneo, ne descrive la storia<br />
attraverso i segni dello smarrimento dell’invocazione, della speranza<br />
….. e la sua religiosità si presenta come nozione <strong>di</strong> una sofferenza<br />
che non ha conforto qui, ora, che ha fiducia assoluta nella storia e<br />
conseguente scetticismo verso tentativi <strong>di</strong> soluzione storica” 16 .<br />
Il senso e il fondamento <strong>di</strong> ogni problema e <strong>di</strong> ogni sofferenza è<br />
oltre la soglia dei ricorrenti messianismi ideologici e utopici, è in<br />
quella zona <strong>di</strong> Mistero e <strong>di</strong> Paradosso dove l’umano si scopre nella<br />
sua <strong>di</strong>mensione più autentica, nella sua debolezza e nella sua forza,<br />
nel suo limite ontologico, creaturale, nella sua essenzialità e nella<br />
sua con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> esodo, <strong>di</strong> eternità, entrata nel tempo.<br />
In questa prospettiva possono essere considerati una poderosa<br />
sintesi i versi ine<strong>di</strong>ti che Luzi ha scritti per Valentina, vittima della<br />
16<br />
Cfr. Barberi Squarotti in Giacalone: storia della letteratura italiana e critica<br />
letteraria “Da Svevo ai nostri giorni” ed. Signorelli, pag. 409<br />
– 129
ecente trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Linate 17 : “Bruciarono con quelle del velivolo/<br />
Valentina, le tue ali. Si erano/ teneramente aperte al primo vento/<br />
oscillavano felici/ volavano con te i pensieri dei tuoi cari,/ le ansie, le<br />
attese, i desideri./ Tutto fu crudelmente preparato/ per le vampe <strong>di</strong><br />
quel rogo/ d’amore e <strong>di</strong> dolore. Ad<strong>di</strong>o, Vale.<br />
Valentina è una giovanissima <strong>di</strong> ventisei anni che stu<strong>di</strong>ava a Pisa<br />
ingegneria elettronica, doveva <strong>di</strong>scutere solo la tesi <strong>di</strong> laurea e, poiché<br />
aveva vinto una borsa <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o ad Aalberg in Danimarca era su<br />
quell’aereo maledetto che avrebbe spezzato la sua vita, come “flos<br />
succisus aratro”. Con delicatissima sensibilità che richiama alla mente<br />
accenti virgiliani, densi <strong>di</strong> tenerezza e <strong>di</strong> lacrime, il poeta porta alla<br />
luce la verità <strong>di</strong> un paradosso, razionalmente indecifrabile ma che si<br />
<strong>di</strong>ce attraverso la “tenebra luminosa” del Mistero e della Croce, scandalo<br />
per gli intelligenti e sapienza per chi impara l’umiltà dell’abbandono.<br />
Quel rogo “d’amore e <strong>di</strong> dolore” in cui bruciano le ali che oscillano<br />
felici, è cifra dell’infinito dolore del mondo, attraverso il quale<br />
s’impara a stare nel mondo con amore, ad aprirsi ad una relazionalità<br />
– reciprocità che <strong>di</strong>cano il nostro essere costitutivamente trascendente.<br />
I nostri occhi si fissano su quelle ali: le ali dell’aereo protese al<br />
grande volo nello spazio, le ali della giovinezza spiegate verso un<br />
ra<strong>di</strong>oso futuro ricco <strong>di</strong> progetti e <strong>di</strong> promesse. Attraverso le sue immagini<br />
il poeta spinge il nostro sguardo oltre la fiamma <strong>di</strong> quel rogo,<br />
dove la linea dell’orizzonte risplende nella serena <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> un cielo<br />
terso.<br />
Il miracolo della poesia luziana è in questa capacità <strong>di</strong> coinvolgere,<br />
<strong>di</strong> introdurre nell’evento e <strong>di</strong> condurre al largo ed oltre, <strong>di</strong> suscitare<br />
passione e “pietas” per ogni uomo, <strong>di</strong> sollecitare a procedere, a<br />
fare quel passo oltre che per il credente è l’atto <strong>di</strong> fede, della fede<br />
pagata a caro prezzo, quasi a riba<strong>di</strong>re che l’essere credente è un caso<br />
serio.<br />
E’ per questo che abbiamo chiesto ad un teologo della statura e<br />
della sensibilità <strong>di</strong> don Bruno Forte <strong>di</strong> introdurci nel mondo poetico<br />
<strong>di</strong> Luzi al quale il nostro teologo è legato da affinità elettive e da<br />
vincoli <strong>di</strong> profonda amicizia.<br />
E’ per noi un dono questa testimonianza e alla mensa della sua<br />
parola ci <strong>di</strong>sponiamo ad accogliere tutta la ricchezza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni e<br />
17<br />
Cfr. Corriere della Sera del 13.08.02<br />
130 –
suggestioni che possono far luce sull’itinerario umano e poetico dell’autore.<br />
Fin da ora gli <strong>di</strong>ciamo un grazie vivissimo per il suo essere tra<br />
noi, per la sua testimonianza e per quello che saprà suscitare ed, in<br />
particolare, per quella nostalgia del bello, per quei frammenti <strong>di</strong> luce<br />
che saprà far guizzare nel cuore e nell’intelligenza <strong>di</strong> noi tutti.<br />
– 131
BIBLIOGRAFIA<br />
• M. Luzi: Tutte le poesie, ed. Garzanti, 1988.<br />
• Frasi ed incisi <strong>di</strong> un canto salutare, Garzanti, Milano, 1990.<br />
• Viaggio terrestre e celeste <strong>di</strong> Simone Martini, Garzanti, Milano ,<br />
1992.<br />
• Luzi – Dante – Leopar<strong>di</strong> e le modernità, ed. Riuniti, Roma, 1992<br />
• Opus florentinum, Passigli Poesia, 2000.<br />
Su Luzi<br />
• G. De Benedetti: Poesia italiana del ‘900, Garzanti, Milano, 1974,<br />
pp. 107 – 124.<br />
• Pasolini: Le poesie <strong>di</strong> Luzi in laboratorio in “Passione e ideologia”,<br />
Milano, Garzanti, 1960 pp. 453 – 457.<br />
• Fortini – Luzi in “Saggi italiani” Bari, De Donato, 1975 pp. 37- 68.<br />
• Pautasso – Luzi: Storia <strong>di</strong> una poesia, Milano, Rizzoli, 1981.<br />
• G. Mariani: Il lungo viaggio verso la notte – Itinerario poetico <strong>di</strong><br />
M. Luzi, Padova – Livorno, 1982.<br />
• M. Luzi: Atti del Convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, Siena 9 e 10 maggio a cura <strong>di</strong><br />
Serrao, ed. dell’Ateneo, Roma, 1983.<br />
• G. Quiriconi: Il fuoco e la metamorfosi, Cappelli, Bologna, 1980.<br />
• L. Rizzoli – G. Morelli: Mario Luzi, Mursia, Milano, 1992.<br />
• Philippe Renard: Mario Luzi Framenti e totalità. Saggio su “Per il<br />
battesimo dei nostri frammenti” Bulzoni, Roma, 1995.<br />
• Fabiano d’Avigo: Gozzano e Luzi - il Viaggio in Oriente in Nuova<br />
secondaria, La scuola del 15 <strong>di</strong>cembre 1999.<br />
132 –
LA VERITA’ NELLA POESIA DI MARIO LUZI<br />
BRUNO FORTE *<br />
Ringrazio il Signore, innanzitutto, <strong>di</strong> questa possibilità <strong>di</strong> pensare<br />
con voi, ringrazio il Vescovo, per la cui parola e il cui invito sono<br />
qui, grazie naturalmente alla signora Sibilla, coor<strong>di</strong>natrice della sezione<br />
letteraria della biblioteca, al <strong>di</strong>rettore della biblioteca e a tutti<br />
voi. In realtà, io non ho titoli particolari per poter parlare <strong>di</strong> Mario<br />
Luzi, poeta, se non il titolo <strong>di</strong> una ormai antica amicizia e <strong>di</strong> un <strong>di</strong>alogo<br />
ricco e profondo con lui, che si è espresso, da parte sua, nei due<br />
testi che lui ha scritto sui due miei volumi <strong>di</strong> poesia, “Di te ricordo<br />
quando” e “Il silenzio <strong>di</strong> Tommaso”, e, da parte mia, nella relazione<br />
che tenni al Congresso “Gli intellettuali italiani e la poesia <strong>di</strong> Mario<br />
Luzi”, che si tenne a Montepulciano e che doveva essere il momento<br />
celebrativo con cui, a fine secolo, in qualche modo, si cercava <strong>di</strong><br />
riconoscere la straor<strong>di</strong>naria incidenza e testimonianza che la poesia<br />
<strong>di</strong> Mario Luzi rappresenta per la cultura italiana.<br />
Le cose che stasera vi <strong>di</strong>rò sono anche quelle che, in qualche<br />
modo, ho cercato <strong>di</strong> presentare quella sera, nel contesto <strong>di</strong> molti altri<br />
interventi, da quello <strong>di</strong> Massimo Cacciari a quelli <strong>di</strong> letterati e critici<br />
come Bo e <strong>di</strong> tanti altri, che, devo <strong>di</strong>re, trovarono in Mario Luzi un<br />
profondo consenso. In qualche modo, vorrei <strong>di</strong>re che l’interpretazione<br />
che vi propongo è autentica, perché è l’Autore stesso che, avendola<br />
prima ascoltata e poi letta, mi ha più volte confermato <strong>di</strong> ritrovarsi<br />
in questo tentativo <strong>di</strong> lettura della sua opera.<br />
E’ dato <strong>di</strong> fatto, <strong>di</strong>rei, evidente, che la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi attraversa<br />
per intero il secolo breve, il secolo che si è appena concluso, e<br />
ne è, in qualche modo, nella nostra società italiana e per la nostra<br />
cultura, una sorta <strong>di</strong> controcanto, <strong>di</strong> coscienza riflessa, <strong>di</strong> voce critica<br />
al tempo stesso espressiva e inquietante; dall’altra parte, bisogna anche<br />
riconoscere che la ricerca religiosa <strong>di</strong> Mario Luzi e anche la sua esplicita<br />
confessione <strong>di</strong> Fede sono elementi che rendono questa poesia<br />
particolarmente intrigante per la sensibilità del teologo e in generale<br />
del credente.<br />
* Relazione tenuta il 16 Aprile 2002. Testo trascritto dalla registrazione non<br />
rivisto dall’Autore.<br />
– 133
Mario Luzi è un credente, non ne fa mistero, ed, anzi, molti dei<br />
suoi testi sono esplicitamente attraversati non solo dalla tematica della<br />
ricerca <strong>di</strong> Dio, ma anche da quella della esplicita confessione <strong>di</strong> Dio.<br />
Pensiamo, per esempio, ai testi, certamente singolari, della Via Crucis<br />
che lui ha scritto per la celebrazione al Colosseo presieduta dal Papa<br />
e che sono, certamente, anche una voce poetica assolutamente singolare<br />
in questo caso.<br />
Procederò, dunque, anzitutto dalla domanda che pongo alla poesia<br />
<strong>di</strong> Mario Luzi, e poi dalla rivisitazione <strong>di</strong> cinque metafore che, in qualche<br />
modo, mi sembra ci aiutino a trovare la risposta alla domanda. La<br />
domanda è quella del procuratore <strong>di</strong> Galilea al prigioniero: “Che cos’è<br />
la verità”. Io parto da questo interrogativo <strong>di</strong> Giovanni (18,38), perché<br />
mi sembra che in questo interrogativo sia compen<strong>di</strong>ata la ricerca<br />
umana nella sua valenza più profonda. In realtà, conoscere la verità è<br />
conoscere il senso, è orientarsi nella notte del mondo. Voi sapete che<br />
nella redazione del racconto <strong>di</strong> Giovanni a questa domanda Gesù non<br />
dà nessuna risposta. Il suo silenzio, davanti al Procuratore romano, è la<br />
sua risposta quasi a <strong>di</strong>re che il medesimo, quale si esprime nel linguaggio,<br />
non è capace <strong>di</strong> contenere l’altro. La verità non si <strong>di</strong>ce nella parola,<br />
la verità si testimonia nella presenza.<br />
E questa interpretazione del silenzio è talmente, vorrei <strong>di</strong>re, forte,<br />
auto-evidente, che, come sapete, i Me<strong>di</strong>evali avevano anagrammato<br />
l’interrogativo <strong>di</strong> Pilato. E la domanda “Quid est veritas” era <strong>di</strong>ventata<br />
“Est vir qui adest”, “Che cos’è la verità” “E’ l’uomo che ti sta<br />
davanti”. Io vorrei avvicinarmi a questa domanda e vorrei anche<br />
misurare la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi non solo sulla domanda stessa, ma<br />
sulla risposta che l’anagramma dei Me<strong>di</strong>evali ci fa intuire. In altre<br />
parole, vorrei misurare la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi non solo sulla verità<br />
greca, che certamente è presente in tutta la sua opera e in tutto il suo<br />
pensiero, figlio della cultura occidentale, della nostra cultura, e come<br />
tale segnato nel profondo dall’anima greca, ma al tempo stesso vorrei<br />
cogliere in lui quell’altra voce della verità, che ci viene dall’Oriente<br />
e che ci raggiunge e <strong>di</strong>venta linfa della nostra cultura, nell’incontro<br />
con la novità cristiana e con l’avvento del Vangelo.<br />
Dunque, rintraccio nella poesia <strong>di</strong> Mario Luzi - abbraccio, in<br />
qualche modo, l’intera sua produzione poetica fino alle ultimissime<br />
cose, anche “Sottospecie umana”, che è l’ultimo testo più rilevante<br />
<strong>di</strong> Mario Luzi - cinque metafore fondamentali: la metafora della luce,<br />
la metafora della donna, la metafora del viaggio, la metafora del silenzio,<br />
e la metafora della soglia. Ecco, mi sembra che, attraverso<br />
queste cinque metafore, sia possibile tracciare un percorso <strong>di</strong> rispo-<br />
134 –
sta alla grande domanda “Che cos’è la verità”, cogliendovi, <strong>di</strong> volta<br />
in volta, l’eco <strong>di</strong>versa, <strong>di</strong>fferente, che Mario Luzi, poeta e testimone<br />
della coscienza del nostro Paese, nell’intera sua evoluzione in questo<br />
fati<strong>di</strong>co secolo che si è compiuto, ha saputo esprimere.<br />
I. LA METAFORA DELLA LUCE<br />
Parto, dunque, dalla prima metafora: la metafora della luce. La<br />
metafora della luce è per eccellenza la metafora della verità nella<br />
tra<strong>di</strong>zione occidentale. Come sapete, il termine greco per <strong>di</strong>re “verità”<br />
è “alétheia”, e “alétheia” deriva da “lanthàno”, la parola del<br />
nascon<strong>di</strong>mento, della latenza. Anche in latino noi abbiamo la stessa<br />
etimologia nel verbo “lateo” <strong>di</strong> “latère”, essere latente, nascondersi.<br />
La parola “alétheia”, con quella alfa privativa strappa alla latenza<br />
ciò che è originariamente nascosto e lo esibisce. Ma, attenzione, lo<br />
esibisce a che cosa<br />
Lo esibisce alla visione. La verità per il greco è soprattutto visione,<br />
cioè è soprattutto luce. La conferma straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> questo, l’abbiamo<br />
nel predominio greco dell’idea. “Idea” viene dal tema “id”<br />
del verbo “orào”, vedere. L’idea è propriamente la visione. Allora<br />
che cos’è la verità per il greco La verità è l’oggetto della visione e,<br />
dunque, la verità è il totalmente baciato dalla luce ed è il totalmente<br />
uscito, sortito dalla latenza, per offrirsi alla visione e allo sguardo.<br />
Lo straor<strong>di</strong>nario è che per il greco, in questo concetto della verità, si<br />
ritrova anche totalmente il concetto <strong>di</strong> bellezza. Sapete che in greco<br />
“bello” è “kalòs” e “kalòs” ha la stessa etimologia <strong>di</strong> “kaleìn”, cioè<br />
<strong>di</strong> chiamare, richiamare. Che cos’è, allora, la bellezza per il greco<br />
E’ l’esibirsi dell’oggetto nella sua potenza <strong>di</strong> richiamo della visione.<br />
Quando l’oggetto si offre e si impone alla visione, quando la sua<br />
forma, la sua “morphè”, in qualche modo, riesce ad attrarre la sua<br />
visione su <strong>di</strong> esso in modo che, nel frammento che è l’oggetto, si<br />
riconosca la forma, la proporzione del tutto, quello è la “bellezza”.<br />
Se dovessimo definire la bellezza con il concetto greco, che è poi il<br />
concetto pitagorico che domina tutto l’Occidente (pensate che ancora<br />
Agostino nel “De pulchro”, l’opera perduta, ma poi nel “De musica”,<br />
definirà così la bellezza: la bellezza è “convenientia, proportio,<br />
forma”). I numeri del cielo si riproducono nel piccolo del frammento,<br />
per cui c’è un’esatta corrispondenza fra il frammento dell’oggetto<br />
bello e il tutto dei numeri del cielo grazie alla corrispondenza proporzionata<br />
della forma. Tant’è vero, osserverà Agostino, che bello si<br />
<strong>di</strong>ce “formosus”, bello è ciò che ha forma.<br />
– 135
Questa è la concezione greca della verità e della bellezza. Ecco<br />
perché la tra<strong>di</strong>zione greca e Plotino - questo è soltanto la sintesi <strong>di</strong> una<br />
tra<strong>di</strong>zione secolare - parlerà del bello come splendore del vero, “Veritatis<br />
splendor” in realtà è la bellezza. La bellezza è lo splendore. Ora tutta<br />
questa tra<strong>di</strong>zione è una tra<strong>di</strong>zione che inonda, in qualche modo, la<br />
nostalgia dell’Occidente. In un certo senso noi siamo assetati <strong>di</strong> luce.<br />
L’Occidente, plasmato dall’anima greca, porta in sé questa sete <strong>di</strong> visione,<br />
questa sete <strong>di</strong> luce. Il trionfo <strong>di</strong> questo processo è nella modernità<br />
illuminata. L’Illuminismo, come <strong>di</strong>ce la stessa parola, non è che il<br />
compimento <strong>di</strong> questa nostalgia della visione e della luce, che l’anima<br />
greca ha immesso nella nostra cultura sin dalle sue origini. La parola<br />
magica, la parola dominante della stagione dei lumi è appunto la “luce”,<br />
“siècle des lumières”, “Illuminismo”, “Enlightement”, “Aufklärung”,<br />
“Illustration”; in tutte le lingue europee è il tema della luce quello che<br />
domina e la metafora <strong>di</strong> tutto questo ce la dà il gran<strong>di</strong>ssimo poeta Goethe<br />
quando sul letto <strong>di</strong> morte pronuncia quelle parole che sono, in qualche<br />
modo, la “pointe”, l’espressione <strong>di</strong> un’epoca, “Licht mehr Licht”, luce<br />
più luce: la sete <strong>di</strong> luce della ragione moderna è l’estremo compimento<br />
<strong>di</strong> questa ansia.<br />
Bene, questo tema della luce come verità, della luce come comprensione<br />
totale, è un tema che troviamo sin dall’inizio nell’opera <strong>di</strong><br />
Mario Luzi. Vorrei <strong>di</strong>re che, in questo senso, lui è totalmente figlio<br />
della modernità occidentale. Egli stesso, in una bellissima conversazione<br />
pubblicata alcuni anni fa in un libro intitolato “La porta del<br />
cielo: Conversazione sul Cristianesimo” a cura <strong>di</strong> Mario Luzi, confessa:<br />
“La luce mi ha occupato molto <strong>di</strong> più negli ultimi anni rispetto<br />
agli inizi, dove la luce associata ai colori dà sostanza ai colori, poi<br />
mi sono reso conto che la luce è un mondo a sé, autonomo, che crea<br />
l’altro, cioè una specie <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>osità o fulgore avvertito come tale,<br />
avvertito come mistero”. Con queste parole, in realtà, Luzi non ci<br />
<strong>di</strong>ce semplicemente che la luce è apparsa ad un certo punto nella sua<br />
opera, ci <strong>di</strong>ce che lui ha preso coscienza <strong>di</strong> questo predominio della<br />
luce presente, tuttavia sin dall’inizio, una specie <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>osità o fulgore,<br />
avvertito come tale, avvertito come mistero.<br />
Dunque, che cos’è la luce nell’opera <strong>di</strong> Luzi E’ la sete <strong>di</strong> verità,<br />
<strong>di</strong> comprensione, è la sete <strong>di</strong> lettura <strong>di</strong> questa realtà ferita, frammentata,<br />
per cogliere in essa, in qualche modo, l’orizzonte <strong>di</strong> un senso.<br />
Per darvene, quin<strong>di</strong>, una testimonianza citerò alcuni brani <strong>di</strong> Luzi.<br />
Mi sembra <strong>di</strong> poter prendere come altissima testimonianza, proprio<br />
la conclusione <strong>di</strong> questo libro “Il viaggio terrestre e celeste <strong>di</strong> Simone<br />
Martini” che è anche una straor<strong>di</strong>naria opera <strong>di</strong> teologia poetica.<br />
136 –
Noi siamo <strong>di</strong> fronte alla gran<strong>di</strong>ssima metafora della ricerca del cielo;<br />
e questa ricerca del cielo è la ricerca della luce. Il grande pittore<br />
toscano <strong>di</strong>venta, in qualche modo, la figura del cercatore della luce e<br />
non è un caso che Simone, morente, alla conclusione del lungo itinerario,<br />
che è una sorta <strong>di</strong> pellegrinaggio, <strong>di</strong>ce così - sono le parole<br />
conclusive dell’opera - : “Tutto, senza ombra, placa. E’ essenza, avvento,<br />
apparenza; tutto trasparentissima sostanza. E’ forse il Para<strong>di</strong>so<br />
questo Oppure luminosa insi<strong>di</strong>a, un nostro, oscuro ab origine,<br />
mai vinto sorriso”. Ecco la grande domanda del poeta. La ricerca <strong>di</strong><br />
tutta la sua vita, la ricerca della luce, la sete della luce, che è poi,<br />
l’abbiamo detto, sete della bellezza. Pensate alla definizione che la<br />
teologia orientale dava dell’uomo: “L’uomo è sete del bene”; e per il<br />
greco la sete della bellezza è la sete della luce. Ebbene tutto questo<br />
Mario Luzi lo confessa nelle parole conclusive <strong>di</strong> Simone Martini.<br />
Tuttavia, con un dubbio, notate: “E’ forse il Para<strong>di</strong>so questo Oppure<br />
luminosa insi<strong>di</strong>a, un nostro, oscuro ab origine, mai vinto sorriso”<br />
Strano, paradossale.<br />
Questo poeta della luce che riconosce la luce, Leit-motiv <strong>di</strong> tutta<br />
la sua ricerca, conclude con un dubbio la sua opera, tra le più alte, e<br />
certamente l’opera della sua più alta maturità. Oserei <strong>di</strong>re che<br />
“Sottospecie umana” è una sorta <strong>di</strong> decadenza rispetto a questo vertice<br />
costituito da “Il viaggio terrestre e celeste <strong>di</strong> Simone Martini”.<br />
Voi <strong>di</strong>rete che è proprio dei gran<strong>di</strong> ed è proprio dei vecchi il dubbio.<br />
Noi sappiamo come anche i più gran<strong>di</strong> testimoni della Fede hanno<br />
conosciuto, nell’età più avanzata della loro vita, la notte della domanda<br />
oscura: la Fede trovata è la Fede che è stata segnata dal cammino<br />
della vita Dunque, potremmo <strong>di</strong>re che è anche molto naturale<br />
che la domanda sorga a conclusione del cammino. Qui c’è qualcosa<br />
<strong>di</strong> più profondo, secondo me, ed è che il dubbio, è che la luce sia<br />
tutto; il dubbio che la luce solare, in comprensiva sia veramente il<br />
Para<strong>di</strong>so; è un dubbio che ha preso Luzi ben prima della sua esistenza.<br />
Ed è il grande dubbio della crisi della modernità.<br />
Che cosa ha prodotto questa sete <strong>di</strong> luce della ragione moderna,<br />
questo voler comprendere tutto, spiegare tutto Pensate ai vari campi<br />
in cui questa sete <strong>di</strong> luce si è applicata: il campo dell’ideologia, la<br />
sfera della rivoluzione, della politica, le ideologie <strong>di</strong> destra e <strong>di</strong> sinistra,<br />
luminose perfino nelle loro metafore, il sole dell’avvenire, metafora<br />
del socialismo, la svastica che è il sole, la metafora dell’ideologia<br />
<strong>di</strong> destra; queste ideologie hanno, in realtà, inseguito la luce.<br />
Ma che cosa hanno prodotto Hanno prodotto uno straor<strong>di</strong>nario cumulo<br />
<strong>di</strong> violenza. Che cosa non funziona, allora, in questa sete <strong>di</strong><br />
– 137
luce. Ecco, potremmo <strong>di</strong>re che la luce, quando è sete <strong>di</strong> totalità, <strong>di</strong>venta<br />
totalitarismo e violenza. Ma pensate a quello che avviene, per<br />
fare soltanto un altro esempio, nel campo della psiche umana.<br />
La sete <strong>di</strong> luce spinge la ricerca su questo campo, alla straor<strong>di</strong>naria<br />
scoperta <strong>di</strong> Freud, la scoperta dell’inconscio. La grande operazione,<br />
che la psicanalisi avalla, è quella <strong>di</strong> far emergere alla luce gli<br />
abissi dell’inconscio. Questo è il grande progetto che Freud avanza,<br />
ed è un progetto certamente geniale perché fa conoscere quello che,<br />
con intuizione letteraria straor<strong>di</strong>naria, Dostoevskij aveva chiamato<br />
“i doppi pensieri”, cioè il sottofondo dell’anima. Ma qual è il risultato<br />
finale <strong>di</strong> questa operazione <strong>di</strong> sete <strong>di</strong> luce applicata agli abissi, alle<br />
memorie del sottosuolo, per usare la metafora <strong>di</strong> Dostoevskij. E’, lo<br />
sappiamo, una ancor più travagliata e complessa con<strong>di</strong>zione umana.<br />
Oggi, siamo tutti d’accordo, anche i più convinti sostenitori, che la<br />
psicanalisi, così come proposta da Freud, è una forma <strong>di</strong> ideologia;<br />
cioè è una forma della presunzione <strong>di</strong> comprendere totalmente il<br />
mondo anche negli abissi delle caverne dell’inconscio. Ora, è questo<br />
che altre forme <strong>di</strong> lettura della psiche umana cercheranno <strong>di</strong> superare,<br />
<strong>di</strong> temperare. Faccio solo l’esempio <strong>di</strong> Jung come valorizzazione<br />
della componente religiosa, come componente che lascia nel rispetto<br />
dell’insondabile gli abissi, alcuni abissi della coscienza.<br />
Ma tutto questo per <strong>di</strong>re che cosa Che il dubbio con cui Mario<br />
Luzi conclude l’itinerario <strong>di</strong> Simone Martini “E’ Para<strong>di</strong>so questo o è<br />
luminosa insi<strong>di</strong>a, un nostro, oscuro ab origine, mai vinto sorriso” ci<br />
porta veramente alla bellezza ultima e senza tramonto, o è qualcosa<br />
<strong>di</strong> nostro, oscuro, una sorta <strong>di</strong> ferita dell’anima che, in realtà, non<br />
sarà mai saziata e <strong>di</strong>mostra soltanto la nostra fragilità e caducità<br />
Bene, è in questa domanda che io colgo il passaggio ad un altro mondo,<br />
che opera nell’anima <strong>di</strong> Luzi. Luzi è stato il testimone del Novecento,<br />
il secolo tragico, “il secolo breve”, lo definisce Eric Hobsbawm<br />
nella sua opera “The short twenty century”, breve, perché sta tra il<br />
19<strong>14</strong> e il 1989, fra lo scoppio della prima guerra mon<strong>di</strong>ale e il crollo<br />
del muro <strong>di</strong> Berlino; ma proprio nella sua brevità è un secolo tragico,<br />
un secolo violento, lo stesso Hobsbawm ci <strong>di</strong>ce che, alla fine del<br />
Novecento, un terzo dell’umanità, degli abitanti del pianeta degli<br />
inizi del Novecento, era stato sterminato da guerre, genoci<strong>di</strong> e violenze.<br />
Questo è stato il Novecento: un secolo tragico, un secolo <strong>di</strong><br />
straor<strong>di</strong>naria violenza, il secolo dei gran<strong>di</strong> racconti ideologici. Allora<br />
il dubbio che Luzi avanza sulla luce non è forse il dubbio <strong>di</strong> un’intera<br />
epoca, che mette in <strong>di</strong>scussione se stessa<br />
Questa è la mia domanda. Luzi è stato il testimone <strong>di</strong> quest’epo-<br />
138 –
ca. E proprio perché l’ha vissuta tutta, partecipando attivamente, anche<br />
in maniera critica, alla coscienza, alla cultura del suo tempo, egli ha<br />
saputo esprimere, non in forma <strong>di</strong> saggio e analisi, come <strong>di</strong>re, concettuale,<br />
ma in forma poetica, come è del genere della poesia, la crisi<br />
<strong>di</strong> questo sogno della luce che era stato il sogno dell’epoca moderna.<br />
E questo io lo colgo in una poesia, “Il pensiero fluttuante della felicità”,<br />
che vi leggo e che poi cerco <strong>di</strong> interpretare con voi. E’ una poesia<br />
che è tratta da “Sui fondamenti invisibili”, dunque scritta negli<br />
anni ‘60, quando cominciano già ad avviarsi alcuni processi <strong>di</strong> denuncia<br />
critica della ideologia nelle sue varie realizzazioni storiche.<br />
Che cosa Luzi ci <strong>di</strong>ce Ascoltiamo: “I morti male” - i morti male,<br />
vedete già questa è formula potente: ci sono i morti bene, cioè quelli<br />
che corrispondono a come bisogna vivere e morire secondo l’ideologia,<br />
ma ci sono anche i morti male cioè quelli la cui morte sembra<br />
semplicemente per<strong>di</strong>ta alla luce dell’ideologia. “I morti male, coloro<br />
che cadono quando non ci sono più lacrime, se non i lucciconi del<br />
piccolo, dopo Hiroshima, dopo Mathausen” - Capite chi sono i morti<br />
male: sono gli sterminati dei campi <strong>di</strong> concentramento della Shoà,<br />
sono le vittime della bomba atomica - “ah, vorrei almeno intravederlo<br />
il Dio accecante che avanza da crimine a crimine e penetra<br />
l’umano <strong>di</strong> una chiarità dell’Empireo ” .<br />
Qui la luce è la luce del Dio della violenza. Terribile questo, no<br />
Lui che prende luce dalle sue vittime e cresce tanto fermo da cicala a<br />
cicala dell’estate nella maturità dei tempi, nella pienezza della storia,<br />
<strong>di</strong>cono. Guardate che questo è un testo poetico <strong>di</strong> bellezza straor<strong>di</strong>naria,<br />
perché in esso Luzi ci <strong>di</strong>ce, in poche parole, quella che è<br />
stata la grande trage<strong>di</strong>a del Novecento. Il Novecento ha creduto ai<br />
gran<strong>di</strong> miti ideologici <strong>di</strong> destra e <strong>di</strong> sinistra, dallo stalinismo al fascismo,<br />
al nazismo; ha inseguito questi miti, ha inseguito il Dio accecante<br />
che penetra l’umano <strong>di</strong> una chiarità <strong>di</strong> Empireo e ha preteso<br />
che questo fosse la maturità dei tempi. Capite Non <strong>di</strong>menticate che<br />
tutte le follie ideologiche hanno sognato <strong>di</strong> essere il compimento della<br />
storia, fino alla futilità, <strong>di</strong>rei anche provinciale, <strong>di</strong> iniziare una nuova<br />
datazione degli anni a partire, per esempio, nel caso della nostra provincia,<br />
dall’avvento dell’era fascista. Questa è stata la tipica tentazione<br />
<strong>di</strong> tutte le ideologie, per il nazismo era ad<strong>di</strong>rittura il “Terzo<br />
Reich”, che è, in realtà, una categoria prestata dalla storia della teologia.<br />
Chi è che aveva inventato il terzo Reich Era Gioacchino da<br />
Fiore, era il terzo Stato che veniva con l’era dello spirito, e il nazismo<br />
ha secolarizzato questa dottrina che, attraverso gli Spirituali<br />
francescani, era passata attraverso le ideologie moderne, fino a farla<br />
– 139
<strong>di</strong>ventare la terribile categoria dell’avvento <strong>di</strong> un nuovo mondo che<br />
la violenza totalitaria avrebbe dovuto imporre. Allora quando Luzi<br />
<strong>di</strong>ce: “nella maturità dei tempi, nella pienezza della storia, <strong>di</strong>cono,<br />
c’è una finissima ironia <strong>di</strong> questa presunzione dei mon<strong>di</strong> ideologici<br />
<strong>di</strong> aver potuto con la loro luce, non solo interpretare il mondo, ma<br />
anche trasformarlo”. Un<strong>di</strong>cesima tesi marxiana, no non basta interpretare<br />
il mondo, bisogna trasformarlo. Così lo abbiamo trasformato,<br />
con la violenza <strong>di</strong> una luce che ha voluto imporsi a tutte le cose e<br />
in tal modo ha forzato le cose. Allora è in questa crisi, che non è più<br />
la crisi soltanto <strong>di</strong> un uomo o <strong>di</strong> un poeta, ma è la crisi <strong>di</strong> un’epoca -<br />
perciò visitare la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi significa ripercorrere il nostro<br />
Novecento - che si affaccia un’altra metafora. Ecco la seconda delle<br />
mie metafore.<br />
II. LA METAFORA DELLA DONNA<br />
La seconda metafora è la metafora della donna. Che cosa significa<br />
propriamente la metafora della donna Ascoltiamola. Ve la leggo nella<br />
stessa poesia, cioè nella stessa raccolta <strong>di</strong> poesie <strong>di</strong> cui fa parte “Il<br />
pensiero fluttuante della felicità”. Anzi, devo <strong>di</strong>rvi, è ad<strong>di</strong>rittura lo stesso<br />
componimento; quin<strong>di</strong>, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> pochi versi da quello che abbiamo<br />
ascoltato, da questa finissima ironia della presunzione moderna <strong>di</strong><br />
una luce onnicomprensiva, Luzi <strong>di</strong>ce: “Finché una luce senza margini<br />
d’ombra illumini l’oscurità del tempo, risale ad uno ad uno i suoi<br />
tornanti e m’accorgo <strong>di</strong> te, entrata nella mia vita, neppure mi chiedo<br />
da che parte e quando e se lo sei o se invece non sei sorta su dalla sua<br />
profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> notte in notte, affiorando”. Allora qual è l’elemento nuovo,<br />
dunque, che entra in questa luce che va tramontando E’ l’elemento<br />
della donna. “Di te entrata nella mia vita”. Perché Che cosa rappresenta<br />
la donna La donna rappresenta l’altro. Fuor <strong>di</strong> metafora,<br />
l’ideologia moderna è il trionfo della identità, è l’io della ragione che<br />
presume <strong>di</strong> comprendere tutto e <strong>di</strong> trasformare tutto.<br />
La grande alternativa all’ideologia è la riscoperta della alterità:<br />
l’io non è tutto, l’altro; l’altro che ti guarda con il suo volto, <strong>di</strong>rebbe<br />
Levinas, è la misura dei limiti del tuo io; dunque l’altro è la metafora<br />
<strong>di</strong> un’altra verità, che non è più la verità ideologica, la verità violenta,<br />
ma è la verità, oserei <strong>di</strong>re duale, la verità relazionale, la verità del<br />
rapporto, la verità dell’amore. Ecco la metafora della donna intesa<br />
come metafora <strong>di</strong> questo altro che entra nella tua vita e ti strappa alla<br />
solitu<strong>di</strong>ne gonfia del tuo io, che ha prodotto violenza e morte. Ebbene,<br />
qual è la concezione della verità che si esprime in questa metafo-<br />
<strong>14</strong>0 –
a della donna Io non esito a <strong>di</strong>re che è la concezione biblica, la<br />
concezione ebraica e cristiana. L’ebraico vero, non l’ebraico artificiale<br />
oggi parlato in Israele, l’ebraico biblico è una lingua povera <strong>di</strong><br />
vocaboli; ci sono solo 6750 vocaboli, eppure con questi pochissimi<br />
vocaboli - confrontateli al milione <strong>di</strong> vocaboli dell’arabo o ai<br />
centomila- centoventimila vocaboli in me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> tutte le lingue moderne<br />
europee, a cominciare dall’italiano - l’ebraico riesce ad esprimere,<br />
in maniera straor<strong>di</strong>naria, tutti i gran<strong>di</strong> sentimenti umani: basta<br />
leggere i Salmi, basta leggere l’Antico Testamento.<br />
Ora l’ebraico biblico non ha una parola per <strong>di</strong>re verità, o meglio<br />
ha una parola, ma questa, in realtà, significa un’altra cosa. Questa<br />
parola è “emet”, che propriamente significa “fedeltà”. Allora –attenzione!<br />
- per il greco la verità è ciò che è latente, che viene esibito alla<br />
visione tanto che tu lo possie<strong>di</strong> con lo sguardo e lo domini; la verità<br />
è la “adaequatio rei et intellectus”, cioè è l’intelletto che domina la<br />
cosa, la comprende, come noi <strong>di</strong>ciamo anche comprende, lo stesso<br />
termine in tedesco “enthalten”, concepire, prendere in sé. Nel mondo<br />
biblico, invece, la verità è “emet”, che è rapporto, relazione, la<br />
verità è pattizia, duale, non è una verità monastica, totalitaria, violenta.<br />
Quando la verità comprende l’altro come elemento costitutivo,<br />
allora è una verità “debole”, aggettivo che va colto nella sua giusta<br />
accezione: non è una verità che giustifica la violenza, ma è una verità<br />
che fonda patti <strong>di</strong> relazione, patti <strong>di</strong> pace. Le citazioni potremmo<br />
prenderle non solo dall’Antico Testamento, dove il termine “emet” è<br />
ovviamente quello della lingua in cui esso si esprime, ma anche, e<br />
questo è straor<strong>di</strong>nario, dalla testimonianza del Nuovo Testamento,<br />
perché <strong>di</strong>etro la parola greca “alètheia”, che vuol <strong>di</strong>re verità, nel<br />
Nuovo Testamento c’è però il concetto ebraico <strong>di</strong> “emet”, <strong>di</strong> “fedeltà”.<br />
Ve ne dò un esempio: “Chi opera la verità viene alla luce” (Gv<br />
3, 21). La verità non è qualcosa che si concepisce, è qualcosa che si<br />
fa, che si pone nella relazione, cioè, tu operi quando ti relazioni all’altro,<br />
al fuori <strong>di</strong> te, in un esodo da te senza ritorno, oppure (Gv 8,<br />
31) : “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete miei <strong>di</strong>scepoli, conoscerete<br />
la verità e la verità vi farà liberi. La via che ci apre la<br />
verità è la fedeltà”. Perfino la Vulgata traduce spesso “veritas” con<br />
“fidelitas”. “Fidelitas domini manet in aeternum”. “La verità del Signore<br />
rimane in eterno”, e il culmine <strong>di</strong> questo processo noi lo troviamo<br />
nel testo <strong>di</strong> Giovanni <strong>14</strong>,6, dove <strong>di</strong>ce Lui, Cristo: “Io sono la<br />
via, la verità e la vita”; è chiarissimo qui che la verità non è qualcosa<br />
che tu puoi possedere, la verità è qualcuno, e qualcuno non è mai un<br />
oggetto da possedere, è l’altro cui relazionarsi, cui corrispondere.<br />
– <strong>14</strong>1
La grande <strong>di</strong>fferenza fra l’alètheia e l’emet, verità in senso <strong>di</strong><br />
fedeltà, è che mentre l’alètheia sbocca nel possesso e quin<strong>di</strong> nella<br />
violenza, come ha <strong>di</strong>mostrato Heidegger, l’emet sbocca nella relazione,<br />
nella sequela, nel patto o, per usare la grande categoria biblica,<br />
nell’alleanza. Ecco l’altra grande idea <strong>di</strong> verità. Dunque, se la verità<br />
greca trionfa nel suo culmine nell’idea del “cogito, ergo, sum”, io<br />
penso, dunque io esisto, dunque io sono, cartesiano, la verità-emet<br />
biblica, al limite, potrebbe culminare in quest’altra formulazione<br />
“cogitor, ergo, sum”, cioè, io esisto, perché un altro mi pensa, o meglio,<br />
dovremmo <strong>di</strong>re “amor, ergo, sum”, esisto perché sono amato da<br />
un altro, cioè è l’altro la con<strong>di</strong>zione della mia esistenza, della mia<br />
permanenza. Allora capite che questa verità non è qualcosa che <strong>di</strong>viene<br />
semplicemente in te, ma è qualcosa, o meglio, qualcuno che<br />
viene a te, come è esattamente la figura della donna. “M’accorgo <strong>di</strong><br />
te, entrata nella mia vita, neppure mi chiedo da che parte e quando,<br />
se lo sei, se non sei sorta su dalle profon<strong>di</strong>tà, <strong>di</strong> notte in notte, affiorando”.<br />
Dalle profon<strong>di</strong>tà della vita affiora nella notte questo avvento,<br />
questa figura che viene a noi.<br />
A me sembra che questa intuizione è un’intuizione <strong>di</strong> grande<br />
importanza, <strong>di</strong> grande bellezza, che attraversa, peraltro, l’intera opera<br />
<strong>di</strong> Luzi e culmina nel parlare <strong>di</strong> una donna in particolare. La donna<br />
in particolare, <strong>di</strong> cui lui parla presto, <strong>di</strong> cui lui parla spesso, è Maria,<br />
la madre <strong>di</strong> Cristo, la madre <strong>di</strong> Gesù. Pensate, per esempio, a questa<br />
poesia del 1938, “Annunciazione”. Il poeta <strong>di</strong>ce così: “La mano al<br />
suo tepore abbandonata, nelle lacrime spenti i desideri, forse è questo<br />
una donna. Un tempo esangue nell’ombra la bontà opaca <strong>di</strong> ieri.<br />
Poi <strong>di</strong> luna, un inane fianco rosa, teso al vento gremito del Tuo nome,<br />
la sua caducità bianca <strong>di</strong> chiome, quella povera luce che ci opprime”.<br />
Ecco chi è la donna: la donna è l’altro accogliente, è l’altro che<br />
non invade, che non opprime, è l’altro che crea spazio <strong>di</strong> vita, come<br />
la Vergine dell’Annunciazione crea in sé, nel suo grembo accogliente,<br />
lo spazio per la vita che viene. Allora qui è la crisi <strong>di</strong> un’epoca che<br />
si affaccia, è la fine dei mon<strong>di</strong> ideologici, è il bisogno <strong>di</strong> una nuova<br />
ricerca <strong>di</strong> verità, che non si esprima nella verità solare, totalitaria,<br />
violenta, <strong>di</strong>etro cui c’è, come già denunciava Nietsche, la volontà <strong>di</strong><br />
potenza, ma la verità che sia liberante, relazionale. Ed è a questo<br />
punto che emerge una terza metafora, quella del viaggio.<br />
<strong>14</strong>2 –<br />
III. LA METAFORA DEL VIAGGIO<br />
Se la verità non è possesso, qualcosa che si possiede, ma è qualcuno<br />
a cui rapportarsi, in una relazione sempre nuova d’amore, allora<br />
nella verità non si è mai arrivati. Ecco perché la grande metafora
che esprime tutto questo è la metafora del viaggio. Qui ci sarebbe da<br />
<strong>di</strong>re tantissimo, poiché la metafora del viaggio attraversa tutta la Bibbia,<br />
l’Esodo, “il viaggio <strong>di</strong> Gesù, che indurì la sua faccia”, per andare<br />
a Gerusalemme (Lc 9,51). E’ la grande metafora anche della letteratura<br />
greca, quella del viaggio <strong>di</strong> Ulisse, con una <strong>di</strong>fferenza fondamentale,<br />
però, che il viaggio del greco è circolare, è la metafora dell’eterno<br />
ritorno (Ulisse ritorna all’inizio), il viaggio dell’ebreo, invece,<br />
è lineare, senza ritorno, verso l’infinito, è “Il viaggio terrestre e<br />
celeste <strong>di</strong> Simone Martini”. Sin dal titolo, quest’opera della piena<br />
maturità del poeta, questa metafora della ricerca umana <strong>di</strong> Dio, è la<br />
metafora del viaggio. Siamo tutti dei “viatores”, siamo tutti dei pellegrini.<br />
Un altro testo è un testo del ’47, in cui la metafora della donna e<br />
la metafora del viaggio si intrecciano. Egli, dopo aver attraversato la<br />
desolazione della guerra e aver sperimentato i fragili ottimismi delle<br />
ideologie, scrive versi che si illuminano con le parole rilasciate dall’Autore<br />
stesso nell’intervista citata: “Io ho sempre inteso il nostro<br />
destino <strong>di</strong> viventi sotto la specie del viaggio; <strong>di</strong> un viaggio che va<br />
fatto a partire dal nostro percorso vitale e terreno, e credo possa<br />
avere un fine e un senso”. Ma ecco come questo <strong>di</strong>venta commento<br />
alla storia del nostro Novecento. “E’ questa”, scrive nel ’47 - la poesia<br />
si intitola “Ne il tempo”- “è questa la nostra regione senza limiti,<br />
cogline i fiori tristi, le erbe opache, messe che oscilla intentate, riposa.<br />
E quel grano non so che sia, pallido, nel campo abbandonato<br />
dove niente rimane da sperare. Ora falcia le reste grigie, il triste<br />
velo a per<strong>di</strong>ta d’occhio delle spighe, inoltrati nel folto senza fine.<br />
Riconosco la nostra patria, desolata, della nascita nostra senza origine,<br />
della nostra morte senza fine. E questa l’avevo chiamata il<br />
caso, l’avevo chiamata l’avventura, o la sorte o la notte o con quei<br />
noi inquieti che mi dettava l’angoscia, non la pietà che penetra, che<br />
vede”. E’ la descrizione della nostra patria desolata, dell’Italia del<br />
dopoguerra, dell’Italia <strong>di</strong>strutta, dove la follia delle ideologie ha prodotto<br />
il dramma della guerra e della <strong>di</strong>struzione. Ma anche qui la<br />
metafora del viaggio ritorna come una metafora <strong>di</strong> possibile novità,<br />
<strong>di</strong> possibile speranza.<br />
Allora la verità non è semplicemente l’altro, ma è l’altro verso<br />
cui tu ti muovi, in una incessante ricerca, è l’altro che entra nella<br />
vita, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> tutti gli esiti, <strong>di</strong> tutti i naufragi, <strong>di</strong> tutte le solitu<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong><br />
tutte le stanchezze. Così, questo cammino verso la verità è espresso<br />
nella figura dell’ “éstu<strong>di</strong>ant”, del giovane studente che accompagna<br />
Simone Martini e parla la langue d’oc (“éstu<strong>di</strong>ant” è il suo nome, in<br />
– <strong>14</strong>3
quella lingua). Scrive così: “Chi è Improvvisamente non conosce<br />
costui che, invece, sua e sotto sua parvenza subentra nel Creato. Lui<br />
non fu mai rigidamente lui, ma un ceppo brulicante <strong>di</strong> ogni vita,<br />
immaginata, vissuta, futura, passata”. Chi è questo lui <strong>di</strong> cui<br />
l’éstu<strong>di</strong>ant sta parlando E’ Cristo, Cristo che è colui che ha fatto il<br />
viaggio verso <strong>di</strong> noi, ha fatto suo questo viaggio. E dove porta questo<br />
viaggio “Inchiodami alla croce della mia identità, così come fu fatto<br />
per te e per la tua, da cui prende colore e senso ogni crocifissione,<br />
ciascuno ai bracci della sua persona”. Cristo <strong>di</strong>venta la rivelazione<br />
dell’uomo, e <strong>di</strong>venta la rivelazione dell’uomo perché facendosi uomo,<br />
entrando nel nostro viaggio, Lui ha aperto il nostro viaggio ad un’altra<br />
sponda, ad un’altra patria.<br />
Qui, Luzi è l’erede <strong>di</strong> una straor<strong>di</strong>naria tra<strong>di</strong>zione teologica che è<br />
la tra<strong>di</strong>zione delle trasgressioni <strong>di</strong> Dio. Il più grande testimone <strong>di</strong><br />
questo è Tommaso d’Aquino. Tutta l’opera <strong>di</strong> Tommaso si raccoglie<br />
nelle due gran<strong>di</strong> trasgressioni: l’”exitus a deo”, trasgressione in senso<br />
etimologico, varcare la soglia, Dio che esce da sé, crea il mondo,<br />
si fa uomo; e il “re<strong>di</strong>tus ad deum”, il Crocifisso che risorge alla vita<br />
e riporta al Padre l’universo intero, che con sè ha portato nell’abisso<br />
della morte. Ecco allora, il viaggio non è più solo metafora della<br />
nostra solitu<strong>di</strong>ne, della nostra ricerca al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> tutti i naufragi, <strong>di</strong><br />
tutti i frammenti da battezzare (cfr. “Per il battesimo dei nostri frammenti”),<br />
ma è il viaggio <strong>di</strong> Dio, che, facendosi uomo, ha assunto il<br />
nostro viaggio e lo ha aperto alle sue sponde, alla sua patria, alle sue<br />
promesse.<br />
IV. LA METAFORA DEL SILENZIO<br />
E questo ci porta ad una quarta potente metafora, che è la metafora<br />
del silenzio. Sì, proprio quella del silenzio, perché la Bibbia non<br />
è soltanto il libro della parola <strong>di</strong> Dio - come mostra André Neher, in<br />
quel bellissimo libro “Esilio della parola”, e come mostra un’intera<br />
schiera <strong>di</strong> autori ebrei francesi, per esempio Claude Viget, fra gli<br />
altri - la Bibbia è anche il libro del silenzio <strong>di</strong> Dio. Perché Ve lo <strong>di</strong>co<br />
in maniera rapida con le parole <strong>di</strong> Neher, perché nella Bibbia ci sono<br />
almeno due concezioni <strong>di</strong> Dio: c’è il Dio dei ponti sospesi, cioè il<br />
Dio che sull’abisso che ci separa da lui lancia il ponte della sua parola,<br />
che ci rassicura, che ci conforta; e poi c’è il Dio dell’arcata spezzata,<br />
cioè il Dio che lascia che il tuo tentativo <strong>di</strong> varcare l’abisso resti<br />
interrotto, è il Dio che tace davanti alla prova <strong>di</strong> Abramo, è il Dio che<br />
nasconde la sua faccia quando tu lo invochi, è il Dio che quando tu<br />
<strong>14</strong>4 –
sei sulla croce e gri<strong>di</strong> “Perché mi hai abbandonato”, resta nel silenzio,<br />
è il Dio che ad Elia che sale sul monte per fare la sua esperienza,<br />
si rivela non nel fuoco, non nel vento, ma in una brezza, in un vento<br />
sottile: il termine ebraico è “koldamannà”, che significa “voce del<br />
silenzio”. Dio si rivela nella voce del silenzio. Questo significa che<br />
se Dio, così commenta Neher, fosse solo parole, la Fede sarebbe nient’altro<br />
che una certezza, un’ideologia, una comoda e tranquillante<br />
rassicurazione. Solo il Dio, che si rivela nascondendosi, lascia l’uomo<br />
libero, gli lascia il rischio della libertà. Ora, commentando il<br />
silenzio <strong>di</strong> Dio, Neher – e tutta una serie <strong>di</strong> pensatori ebraici come<br />
Levinas - <strong>di</strong>ce la stessa cosa in “Difficile liberté”: il silenzio <strong>di</strong> Dio<br />
non è che lo spazio della libertà dell’uomo.<br />
Ecco, questo motivo ritorna anche nell’opera <strong>di</strong> Luzi. Al pellegrino,<br />
al cercatore in viaggio, che cerca la verità, non la verità monastica,<br />
violenta, ma la verità duale, pattizia, a cui corrispondere, Dio<br />
si manifesta anzitutto come silenzio. Vi leggo un altro dei suoi testi,<br />
del 1945: “Tu non resti inerte nel tuo cielo, e la via si ripopola d’allarmi,<br />
poiché la tua imminenza respira contenuta, dal silenzio <strong>di</strong><br />
lucide pareti, dai vetri che fissano l’inverno. Camminare e venirti<br />
incontro, vivere e progre<strong>di</strong>re a te, tutto è fuoco e sgomento. E quante<br />
volte, prossimo a svelarti, ho tremato <strong>di</strong> un viso repentino <strong>di</strong>etro i<br />
battenti <strong>di</strong> un’antica porta, nella penombra o a capo delle scale”. La<br />
rivelazione <strong>di</strong> Dio, qui, non è una esibizione, una “Offenbarung”,<br />
come si <strong>di</strong>ce in tedesco, cioè una manifestazione totale; la rivelazione<br />
<strong>di</strong> Dio, qui, è quella <strong>di</strong> un Dio che parla nel silenzio, <strong>di</strong> un Dio,<br />
cioè, che lascia l’uomo esposto al rischio della sua libertà, e tuttavia<br />
<strong>di</strong> un Dio che parla, che parla.<br />
Ancora una volta, ecco, ascoltiamo questo testo dove silenzio,<br />
parola, donna, le varie metafore si intrecciano: “Non più lunghi poemi,<br />
suppongo, l’anima brucia rapidamente la sua scorza, la mente<br />
<strong>di</strong>vora la metafora, il significato è fulmineo, maturo, forse al suo<br />
apice, perciò credo in <strong>di</strong>sarmo, mentre lei, catturata dal bosco non<br />
gli risponde, non gli volge uno sguardo <strong>di</strong> antica complicità, sorride<br />
ad altro, tra le torce <strong>di</strong> luce e i molti pozzi <strong>di</strong> oscurità, nel folto, nel<br />
folto”. Questo è un testo - “Al fuoco della controversia” - degli anni<br />
’70, che riassume in un’unica potente immagine la metafora del viaggio,<br />
la metafora della luce, dell’oscurità, la metafora della donna, e<br />
ci fa capire che l’uomo pellegrino nel folto, cioè nell’oscurità, sente<br />
il bisogno non solo <strong>di</strong> una parola che <strong>di</strong>ca, ma anche <strong>di</strong> un silenzio<br />
eloquente. E qual è la forma <strong>di</strong> un silenzio eloquente E’ l’amore; <strong>di</strong><br />
cui, per Luzi, l’espressione più alta è la carità, ed è la carità, che lui<br />
– <strong>14</strong>5
iannoda alla figura, ancora una volta, della donna, <strong>di</strong> Maria e anche<br />
della madre. Pensate a questa poesia de<strong>di</strong>cata alla madre: “Ed eccolo<br />
da un punto perduto del cuore, risale in lui quel timore antico, e<br />
quella povera, umbilicale carità, per ogni vita creata e per le<br />
nasciture”. Questa è la verità, è la verità <strong>di</strong> un amore materno, proprio<br />
per questo, silenzioso; l’amore materno non è quello che si esprime<br />
nelle parole vuote, bensì quello che si esprime nella umbilicale<br />
carità, cioè in quella carità viscerale, in quel darsi che non chiede<br />
ragioni. E poi l’espressione richiama l’ebraico “rahamim”, per <strong>di</strong>re<br />
l’amore <strong>di</strong> Dio: Dio non ci ama, <strong>di</strong>ceva San Bernardo, perché siamo<br />
buoni e belli; Dio ci rende buoni e belli, perché ci ama; il suo amore<br />
è un amore gratuito.Questa è la verità silenziosa, cioè la verità la cui<br />
eloquenza non è la parola ma è il gesto dell’amore, della compassione,<br />
della pura gratuità.<br />
V. LA METAFORA DELLA SOGLIA<br />
La quinta metafora è quella della soglia. Qualunque approdo è<br />
sempre uno stare sulla soglia: la verità non è mai un possesso scontato<br />
e tranquillo, ma uno stare sulla soglia. Anche il credente, voglio<br />
<strong>di</strong>re, lo <strong>di</strong>co spesso, è come un ateo che ogni giorno si sforza <strong>di</strong> cominciare<br />
a credere; perché la verità della Fede non è un possesso<br />
scontato e tranquillo, ma è la verità del pellegrino che deve ogni<br />
giorno cominciare ad arrendersi al Dio vivente, perciò ogni giorno<br />
abbiamo bisogno <strong>di</strong> parlare e tacere con Dio, <strong>di</strong> pregare e <strong>di</strong> affacciarci<br />
a lui. Ecco, questo è molto presente nell’opera <strong>di</strong> Luzi e nella<br />
sua poesia. I nostri frammenti, cioè le nostre solitu<strong>di</strong>ni, le nostre notti,<br />
hanno bisogno <strong>di</strong> un sempre nuovo battesimo, così si intitola una<br />
delle sue raccolte: “Per il battesimo dei nostri frammenti”; e tutta la<br />
poesia <strong>di</strong> Luzi è un continuo cercare questa verità, questa luce, altro,<br />
esodo, viaggio, silenzio, senza mai pretendere <strong>di</strong> averla catturata e<br />
posseduta. Qui, in un certo senso, la poesia <strong>di</strong> Luzi si offre come una<br />
sorta <strong>di</strong> educazione alla <strong>di</strong>screzione e al pudore davanti alla verità.<br />
Se la verità non è qualcosa che tu possie<strong>di</strong>, ma qualcuno da cui senti<br />
<strong>di</strong> dover lasciarti possedere, allora la verità esige <strong>di</strong> essere accostata,<br />
in punta <strong>di</strong> pie<strong>di</strong>, sulla soglia. Davanti alla verità, se è la verità, tutti<br />
siamo chiamati ad essere umili. Non <strong>di</strong>menticatelo mai quello che<br />
<strong>di</strong>ceva il Car<strong>di</strong>nale Bea: “La verità non ha bisogno <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>fesa,<br />
la verità si <strong>di</strong>fende da sé stessa”. Questo è un principio straor<strong>di</strong>nario,<br />
perché ci fa capire che, se la verità avesse bisogno <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>fesa,<br />
sarebbe un nostro possesso, una nostra ideologia, ma se la verità è la<br />
<strong>14</strong>6 –
verità, essa va servita, essa va amata, essa va testimoniata, ma mai<br />
dovremmo presumere <strong>di</strong> possederla come qualcosa <strong>di</strong> nostro. Noi<br />
siamo soltanto i servi della verità; e la poesia, più che ogni altro<br />
<strong>di</strong>scorso umano, è consapevole <strong>di</strong> questa umiltà: la poesia <strong>di</strong>ce la<br />
verità tacendo, la poesia la rivela nascondendo, la poesia è quella<br />
parola ferita che sa che ogni detto è evocazione dell’al<strong>di</strong>là del detto,<br />
e solo così è veramente poesia, solo così è <strong>di</strong>sciplina e <strong>di</strong>scorso che<br />
schiude verso gli abissi della verità.<br />
VI. A MO’ DI CONCLUSIONE<br />
Tutto quello che ho cercato <strong>di</strong> esprimere con le cinque metafore<br />
non è che si trovi in Mario Luzi come in un trattato: esso si trova in<br />
Luzi nell’evoluzione <strong>di</strong> una vita e con tutte le involuzioni della vita.<br />
Amici, non <strong>di</strong>menticatelo mai: Se un autore è grande, se è veramente<br />
grande, è pieno <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni: solo i minori, solo i me<strong>di</strong>ocri sono<br />
assolutamente coerenti con il loro pensiero, perché <strong>di</strong>cono poche idee<br />
e quin<strong>di</strong> è facile incollarle insieme. Ma i gran<strong>di</strong>, tutti i gran<strong>di</strong>, sono<br />
percorsi dall’inquietu<strong>di</strong>ne, dalla ricerca, dal dubbio. Pensate Agostino,<br />
pensate Paolo, gli anacoluti Paolini, per fare un esempio biblico, cioè<br />
questa potenza, il magma che vuole esprimere, ma che non riesce ad<br />
esprimere. Pensate Tommaso d’Aquino nella tensione fra l’anima<br />
apofatica <strong>di</strong> Dionigi l’Areopagita, da cui lui è enormemente influenzato,<br />
e la filosofia aristotelica, e così via.<br />
Dunque, anche Luzi è vivo; il suo è un percorso fatto <strong>di</strong> tensioni<br />
e contrad<strong>di</strong>zioni; un testo, ne prendo uno a caso, che ho appena aperto<br />
adesso, <strong>di</strong> questo libro “Il viaggio terrestre e celeste <strong>di</strong> Simone<br />
Martini”, ve lo leggo, ma questo testo certamente, Luzi non lo avrebbe<br />
scritto: “Durissimo silenzio tra noi uomini e il cielo, arido per<br />
ari<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> mente o scomparsa degli angeli rientrati nel verde, muti<br />
alla sorgente…anche morte dei profeti, ma colmato da nuvole, da<br />
pietre, da alberi, da animali, da quel loro ininterrotto afflato tutto<br />
creaturalmente, o anima del mondo da tutto ferita, da tutto risarcita,<br />
non piangere, non piangere mai, <strong>di</strong>ce nel sonno la sua amorosa lungimiranza”.<br />
Che cos’è quest’esperienza E’ un’esperienza che si fa<br />
nella maturità della vita, quando quel Dio a cui tu ti rivolgi ti appare<br />
un durissimo silenzio, e quando ciononostante, la sua presenza che,<br />
a volte, ti sembra un rientrare gli angeli muti nel verde alla sorgente,<br />
ti parla attraverso tanti altri segni silenziosi, per cui è paradossalmente<br />
ancora più eloquente che la sua parola del tempo dell’entusiasmo.<br />
– <strong>14</strong>7
Questa è la con<strong>di</strong>zione del credente pellegrino, e qui Luzi è la<br />
metafora non solo della vita umana in ricerca, ma anche della Fede,<br />
perché, a parte la sua vicenda personale, lui è stato sempre credente,<br />
ma certamente c’è stato un cammino progressivo della scoperta della<br />
Fede: lui mi ha sempre detto che, per lui, due riferimenti sono stati<br />
fondamentali: sua madre, perché era una donna <strong>di</strong> una Fede profonda,<br />
ma che si esprimeva nella carità, nell’amore, soprattutto ai più<br />
poveri, ai più deboli; e un vecchio prete, alla cui Messa lui andava<br />
sempre, a Pienza, che è una città che Luzi ha scelto un po’ come<br />
patria d’elezione, che con la sua Fede campagnola, genuina, dura, lo<br />
ha aiutato a capire che Dio non è una verità comoda, tranquillizzante,<br />
ideologica, ma esattamente quel Dio sempre più grande, che anche<br />
quando è venuto a visitarti, in Cristo, e ha parlato in Cristo, ti<br />
chiama ad una soglia oltre la quale l’abisso del suo silenzio è ancora<br />
più grande.<br />
Perciò ecco, una tesi come quella che io credo <strong>di</strong> dover sostenere,<br />
e che sostengo da ormai molti anni, anche nei miei libri, in teologia<br />
della storia, cioè che la rivelazione cristiana non è assolutamente<br />
“Offenbarung”, come spesso <strong>di</strong>co quando mi capita <strong>di</strong> fare conferenze<br />
in Paesi <strong>di</strong> lingua tedesca, vale a <strong>di</strong>re che la grande trage<strong>di</strong>a della<br />
teologia cristiana degli ultimi due secoli, è stata <strong>di</strong> essere pensata in<br />
tedesco. E poi spiego: noi abbiamo pensato il Cristianesimo come<br />
una religione da “Offenbarung”, “Rivelazione”, che Lutero sceglie e<br />
che <strong>di</strong>venta epocale. Allora quando Hegel interpreta questa parola<br />
<strong>di</strong>ce: “La religione Cristiana è la religione della Offenbarung”: traduzione<br />
italiana della “Rivelazione”, dove tutto è manifesto, ma questo<br />
è impreciso. Noi sappiamo non solo che Dio è, ma anche chi Dio è,<br />
la Offenbarung è la rivelazione totale. Questo non è il Cristianesimo.<br />
Il Cristianesimo è la religione dell’ “Apokalypse” Revelatio. Pren<strong>di</strong>amo<br />
la parola latina “revelare”, significa due cose: togliere il velo,<br />
ma anche revelare, cioè nuovamente mettere il velo.<br />
Voglio <strong>di</strong>re che la rivelazione non è mai una rivelazione totale <strong>di</strong><br />
Dio, ma è l’apertura che consente l’accesso agli abissi del mistero,<br />
cioè Cristo ci introduce nel seno del Padre. Ecco perché la primitiva<br />
teologia Cristiana, il Padre, in rapporto al Figlio, che chiamiamo<br />
Logòs, lo chiamava “sighè”, cioè “silenzio”, così Ignazio d’Antiochia.<br />
Poi questo linguaggio è stato abbandonato, perché sembrava avesse<br />
un sapore agnostico; era, invece, un linguaggio bellissimo, perché ci<br />
faceva capire che Gesù è la porta delle pecore, a cui non potremo<br />
mai rinunciare, che ci introduce negli abissi della vita, del silenzio<br />
<strong>di</strong>vino, impren<strong>di</strong>bili dalla parola. Ora, in una concezione del genere,<br />
<strong>14</strong>8 –
teologia e poesia si scoprono sorelle, perché si trovano nella con<strong>di</strong>zione<br />
che <strong>di</strong>ce il famoso “Inno” <strong>di</strong> Tommaso: “Adoro te devote, latens<br />
deitas, quae sub his figuris vere latitas”, cioè la <strong>di</strong>vinità sarà sempre<br />
presente sotto figure, le figure del linguaggio, le figure dei sacramenti:<br />
per noi pellegrini in questo mondo la verità non sarà mai <strong>di</strong><br />
Dio, non sarà mai un possesso tranquillizzante e comodo, perché se<br />
fosse tale sarebbe ideologia, non sarebbe più la verità <strong>di</strong> Dio; Dio è<br />
più grande del nostro cuore. Allora, dove se ne va, che ne sarà della<br />
singolarità <strong>di</strong> Gesù Cristo E’ chiaro che la singolarità <strong>di</strong> Cristo è<br />
fuori <strong>di</strong>scussione, ma la sua singolarità non sta nel fatto che lui esibisce<br />
tutta la verità, ma nel fatto che lui è la porta, la via irrinunciabile<br />
per entrare negli abissi della verità.<br />
Ringrazio <strong>di</strong> nuovo il Vescovo e tutti voi. Avendo percorso questa<br />
sera un comune cammino, chie<strong>di</strong>amo a Dio <strong>di</strong> aiutarci a cercare<br />
sempre la verità, a vivere nella verità e a fare la verità.<br />
– <strong>14</strong>9
150 –
ORIGINE ED EVOLUZIONE DELL’UNIVERSO:<br />
GLI ULTIMI SVILUPPI<br />
ANTONINO F. LANZA*<br />
1. INTRODUZIONE<br />
La cosmologia, intesa come la scienza che si occupa dello stu<strong>di</strong>o<br />
delle caratteristiche dell’universo fisico nel suo insieme, ha conosciuto<br />
nel XX secolo un notevole sviluppo. Nell’ultimo decennio,<br />
l’incremento delle conoscenze è stato senza precedenti e ulteriori<br />
risultati <strong>di</strong> grande rilievo sono attesi per il prossimo decennio, grazie<br />
al lancio <strong>di</strong> missioni spaziali de<strong>di</strong>cate.<br />
Non è possibile illustrare gli ultimi sviluppi in Cosmologia senza<br />
ripercorrere almeno brevemente le tappe fondamentali che hanno<br />
condotto ai risultati osservativi più importanti nel corso del XX secolo.<br />
Nel secondo decennio del XX secolo <strong>di</strong>venne chiaro che le<br />
nebulose a spirale che si osservavano tramite i gran<strong>di</strong> telescopi erano<br />
sistemi stellari esterni alla nostra Galassia, posti a <strong>di</strong>stanze dell’or<strong>di</strong>ne<br />
dei milioni o delle decine <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> anni luce. Edwin Hubble<br />
alla fine degli anni ‘20 si rese conto che le galassie si allontanano le<br />
une dalle altre con una velocità che cresce proporzionalmente alla<br />
<strong>di</strong>stanza che le separa (espansione dell’Universo).<br />
Intorno alla metà degli anni ‘40 George Gamow e i suoi collaboratori<br />
formularono il modello cosmologico detto del Big Bang, che<br />
spiega l’espansione dell’universo come il risultato <strong>di</strong> un’esplosione<br />
primor<strong>di</strong>ale. L’Universo, secondo tale modello, iniziò la sua evoluzione<br />
a partire da una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> altissima temperatura (> 10 9 K) e<br />
densità, cui fece seguito una fase <strong>di</strong> espansione che dura tuttora, caratterizzata<br />
da un progressivo raffreddamento e da una sempre maggiore<br />
rarefazione su grande scala (ovvero per <strong>di</strong>stanze maggiori delle<br />
centinaia <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> anni luce).<br />
Il modello <strong>di</strong> Gamow e collaboratori conteneva due notevoli pre<strong>di</strong>zioni:<br />
a) l’esistenza <strong>di</strong> un fondo cosmico <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione, dovuto alla<br />
ra<strong>di</strong>azione termica presente all’inizio, <strong>di</strong>luita dalla espansione cosmica<br />
fino a livelli molto bassi; b) una precisa abbondanza degli elementi<br />
chimici <strong>di</strong> basso numero atomico e dei loro isotopi nelle stelle (in<br />
particolare deuterio e elio).<br />
* Relazione tenuta il 20 Febbraio 2001.<br />
– 151
Tali previsioni furono verificate rispettivamente negli anni ‘50 e<br />
‘60. In particolare la scoperta della ra<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> fondo avvenne in<br />
modo del tutto inatteso nel 1965 da parte <strong>di</strong> due scienziati che lavoravano<br />
allo sviluppo <strong>di</strong> nuovi ricevitori ra<strong>di</strong>o. L’espansione dell’Universo,<br />
infatti, è stata tale da portare il fondo <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione a una temperatura<br />
<strong>di</strong> circa 3 K (solo tre gra<strong>di</strong> sopra lo zero assoluto), e a tale<br />
temperatura l’emissione è rivelabile praticamente solo nel campo<br />
ra<strong>di</strong>o.<br />
Possiamo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>re che il modello del Big Bang, proposto da<br />
Gamow e perfezionato da altri scienziati, già alla fine degli anni ‘70<br />
risultava essere con<strong>di</strong>viso dalla maggioranza dei cosmologi poiché<br />
spiegava:<br />
a) l’espansione dell’Universo;<br />
b) l’esistenza del fondo cosmico a 3 K;<br />
c) l’abbondanza degli elementi leggeri (in particolare deuterio ed<br />
elio);<br />
d) le osservazioni sull’evoluzione delle galassie, che in<strong>di</strong>cano<br />
una mo<strong>di</strong>ficazione delle loro proprietà nel corso del tempo.<br />
A partire dalla seconda metà degli anni ‘70 inizia la storia più<br />
recente della cosmologia moderna, <strong>di</strong> cui intendo delineare brevemente<br />
gli aspetti principali.<br />
2. GLI SVILUPPI PIÙ RECENTI<br />
2.1 La materia oscura<br />
Nella seconda metà degli anni ‘70 ci si rese conto che la maggior<br />
parte della materia dell’Universo non emette luce visibile né altre<br />
forme <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione elettromagnetica. Essa fa sentire la sua presenza<br />
soltanto tramite gli effetti gravitazionali. Le misure sempre più accurate<br />
condotte negli anni ‘80 e negli anni ‘90 hanno condotto a stabilire<br />
che tale materia oscura è almeno 5-10 volte più abbondante della<br />
materia luminosa che forma le stelle e le nebulose osservabili.<br />
Secondo i modelli cosmologici più recenti, tale materia sarebbe<br />
composta solo in piccola parte da oggetti astronomici privi <strong>di</strong> sorgenti<br />
<strong>di</strong> energia (pianeti, nane bianche, stelle <strong>di</strong> neutroni, buchi neri);<br />
essa consisterebbe per la maggior parte <strong>di</strong> particelle subatomiche<br />
che interagiscono molto debolmente con la materia e la ra<strong>di</strong>azione<br />
or<strong>di</strong>naria, al punto da non risultare rilevabili. Esse sarebbero state<br />
prodotte durante le primissime fasi <strong>di</strong> vita dell’Universo quando esso<br />
aveva meno <strong>di</strong> un milionesimo <strong>di</strong> secondo <strong>di</strong> età.<br />
152 –
Qualunque sia la sua natura, resta comunque il fatto che la maggior<br />
parte della materia dell’Universo sfugge alla nostra capacità <strong>di</strong><br />
rilevazione. Quella che possiamo osservare è solo una piccola frazione<br />
(10% - 15%) della massa totale.<br />
2.2 Le fluttuazioni del fondo cosmico<br />
Una fondamentale caratteristica del fondo cosmico è l’altissimo<br />
livello <strong>di</strong> isotropia che riflette la quasi perfetta uniformità della temperatura<br />
e della densità della materia cosmica quando l’universo aveva<br />
un’età <strong>di</strong> circa trecentomila anni, nel momento in cui esso <strong>di</strong>venne<br />
trasparente alla ra<strong>di</strong>azione. Le misure più recenti hanno mostrato che<br />
le deviazioni dalla isotropia, cioè le fluttuazioni del fondo cosmico,<br />
sono dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> una parte su 30.000.<br />
Nel corso degli ultimi anni sono state de<strong>di</strong>cate molte ricerche<br />
alle misure <strong>di</strong> tali fluttuazioni. Lo scopo fondamentale è quello <strong>di</strong><br />
verificare le proprietà previste dai modelli teorici proposti all’inizio<br />
degli anni ‘80 e che vanno sotto il nome <strong>di</strong> inflationary cosmological<br />
models, infelicemente tradotto in Italiano con “modelli cosmologici<br />
inflazionari”. Secondo tali modelli, originariamente proposti da Alan<br />
Guth, l’Universo primor<strong>di</strong>ale attraversò una fase <strong>di</strong> espansione accelerata<br />
durante i suoi primissimi istanti (circa 10 -35 s dopo l’inizio).<br />
Tale espansione accelerata, denominata tecnicamente inflation (dall’Inglese<br />
“to inflate”, cioè gonfiare) ridusse enormemente le <strong>di</strong>fferenze<br />
<strong>di</strong> temperatura e densità presenti nell’Universo primor<strong>di</strong>ale,<br />
conferendogli il carattere <strong>di</strong> altissima uniformità e isotropia rispecchiato<br />
nel fondo cosmico. In realtà il modello inflazionario prevede<br />
che le fluttuazioni non si riducano esattamente a zero. Quelle rimaste,<br />
sebbene estremamente piccole (circa una parte su centomila),<br />
mostrano delle proprietà caratteristiche nella loro intensità e <strong>di</strong>stribuzione<br />
spaziale che possono essere utilizzate per sottoporre a verifica<br />
il modello stesso.<br />
Queste misure sono estremamente delicate e solo negli ultimi<br />
due o tre anni si sono ottenuti alcuni risultati preliminari. In particolare,<br />
l’esperimento denominato Boomerang ha fornito i primi dati a sostegno<br />
del modello inflazionario.<br />
I modelli teorici prevedono ulteriori interessanti proprietà delle<br />
fluttuazioni. In particolare, esse contengono informazioni sulle con<strong>di</strong>zioni<br />
iniziali dell’Universo e su alcune delle sue proprietà globali,<br />
come la velocità <strong>di</strong> espansione iniziale, la geometria dello spaziotempo<br />
e l’abbondanza <strong>di</strong> materia or<strong>di</strong>naria.<br />
– 153
Si può quin<strong>di</strong> affermare che lo stu<strong>di</strong>o delle fluttuazioni del fondo<br />
cosmico è lo strumento privilegiato per la comprensione dell’origine<br />
e delle proprietà dell’Universo. Per questa ragione nei prossimi anni<br />
due importanti missioni spaziali saranno specificamente de<strong>di</strong>cate a<br />
queste ricerche: MAP della NASA e Planck dell’ESA, l’Agenzia<br />
Spaziale Europea, in cui l’Italia gioca un ruolo fondamentale. Quando<br />
queste missioni avranno completato le loro misure e i dati saranno<br />
analizzati, ovvero intorno al 2012-2015, avremo un quadro molto<br />
più preciso dell’Universo e delle sue caratteristiche globali.<br />
2.3 L’accelerazione dell’espansione<br />
Le misure effettuate negli ultimi anni sulla velocità <strong>di</strong> espansione<br />
delle galassie più lontane hanno condotto al risultato sorprendente<br />
che l’espansione cosmica, accelera nel tempo, ovvero l’Universo si<br />
espande tanto più velocemente quanto più invecchia. La probabilità<br />
che tale risultato sia dovuto a errori sistematici non ancora evidenziati<br />
è abbastanza piccola.<br />
Questa scoperta è in <strong>di</strong>saccordo con i modelli cosmologici classici<br />
i quali prevedono che l’espansione debba rallentare nel tempo<br />
per effetto della forza <strong>di</strong> attrazione gravitazionale che agisce tra le<br />
masse dell’Universo.<br />
La presenza <strong>di</strong> un’espansione accelerata implica che vi sia una<br />
sorgente <strong>di</strong> energia ignota che incrementa la velocità <strong>di</strong> espansione.<br />
Sulla natura <strong>di</strong> tale energia oscura si possono solo proporre delle<br />
speculazioni sulla base della proprietà che la Fisica teorica prevede<br />
per i campi <strong>di</strong> forze. In ogni caso la sua densità <strong>di</strong> energia è molto più<br />
piccola delle forme <strong>di</strong> energia or<strong>di</strong>naria che si manifestano nei nostri<br />
esperimenti <strong>di</strong> laboratorio, per cui la sua <strong>di</strong>retta rilevazione sperimentale<br />
è al <strong>di</strong> là delle attuali possibilità.<br />
2.4 Le proprietà antropiche<br />
L’esistenza della vita intelligente risulta strettamente legata alle<br />
proprietà globali dell’Universo, determinate dalle costanti fondamentali<br />
della Fisica (costanti <strong>di</strong> natura) e dalle con<strong>di</strong>zioni iniziali a partire<br />
dalle quali l’Universo stesso si è evoluto. Ad esempio, se le costanti<br />
che regolano l’intensità relativa delle forze nucleari e delle<br />
forze elettriche nei nuclei atomici fossero <strong>di</strong>verse solo dell’1-2% dal<br />
valore osservato, non sarebbe possibile l’esistenza <strong>di</strong> stelle stabili in<br />
grado <strong>di</strong> emettere energia per miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> anni e quin<strong>di</strong> l’evoluzione<br />
154 –
della vita sui pianeti fino alle forme più avanzate. Inoltre l’esistenza<br />
del Carbonio, l’elemento fondamentale per la biochimica, è connessa<br />
con una serie <strong>di</strong> delicate coincidenze tra i valori delle costanti che<br />
regolano le energie dei livelli dei nuclei atomici coinvolti nel suo<br />
processo <strong>di</strong> formazione all’interno delle stelle.<br />
Le con<strong>di</strong>zioni iniziali hanno un ruolo altrettanto importante. Se<br />
la velocità <strong>di</strong> espansione del cosmo fosse stata <strong>di</strong>versa dal valore<br />
attuale <strong>di</strong> circa una parte su <strong>di</strong>eci milioni, il destino del cosmo sarebbe<br />
stato quello <strong>di</strong> ricollassare prima che la vita potesse sorgere sulla<br />
Terra, ovvero la materia si sarebbe <strong>di</strong>spersa troppo velocemente per<br />
potersi aggregare in galassie ed in stelle. Anche la quantità <strong>di</strong> energia<br />
oscura presente all’inizio è fondamentale perché se questa fosse stata<br />
troppo elevata avrebbe condotto ad una accelerazione dell’espansione<br />
troppo rapida perché potessero formarsi galassie e stelle.<br />
Un’analisi dettagliata del profondo legame tra proprietà cosmiche<br />
ed esistenza della vita intelligente è stata condotta dai cosmologi Barrow<br />
e Tipler nel loro trattato “The Anthropic Cosmological Principle”, che<br />
ha segnato l’inizio del <strong>di</strong>battito moderno su questa interessantissima<br />
questione, il cui impatto trascende l’ambito strettamente tecnico della<br />
cosmologia per acquistare una rilevanza culturale generale.<br />
3. UN’IPOTESI INTERPRETATIVA UNITARIA E I SUOI ATTUALI LIMITI<br />
I risultati osservativi che ho brevemente descritto sollecitano lo<br />
sviluppo <strong>di</strong> un quadro interpretativo unitario che possa renderne ragione.<br />
Come osservava recentemente James Peebles, uno dei padri<br />
della cosmologia contemporanea, sebbene i risultati osservativi siano<br />
ormai generalmente consolidati, le interpretazioni teoriche sono<br />
ancora in uno sta<strong>di</strong>o iniziale. Purtroppo accade sempre più spesso <strong>di</strong><br />
vedere, veicolate dai mass me<strong>di</strong>a, volgarizzazioni delle speculazioni<br />
avanzate da questo o quel cosmologo che vengono spacciate come<br />
nuove, sicure acquisizioni della scienza moderna. Peebles ricorda<br />
che le caratteristiche <strong>di</strong> una seria <strong>di</strong>vulgazione devono essere almeno:<br />
a) rispecchiare le idee <strong>di</strong> una comunità scientifica competente e<br />
qualificata e non le ipotesi o le opinioni <strong>di</strong> un singolo, per quanto<br />
influente egli possa essere; b) presentare adeguatamente i meto<strong>di</strong><br />
con cui sono stati ottenuti i risultati descritti, i loro limiti e le questioni<br />
ancora aperte.<br />
Possiamo con ragionevole certezza affermare che l’Universo si è<br />
evoluto da una situazione <strong>di</strong> altissima temperatura e densità espandendosi<br />
alle <strong>di</strong>mensioni attuali in circa 15 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> anni, ma sui<br />
– 155
processi accaduti prima del primo minuto possiamo solo fare delle<br />
ipotesi. In questo senso possiamo affermare che i risultati più recenti<br />
pongono con forza tre questioni fondamentali: a) perché l’Universo<br />
mostra un altissimo grado <strong>di</strong> omogeneità a grande scala b) qual è la<br />
natura della materia oscura e della energia oscura c) perché l’Universo<br />
è così adatto allo sviluppo della vita intelligente<br />
Le ipotesi su cui sono basati gli inflationary cosmological models<br />
forniscono un tentativo <strong>di</strong> risposta alla domanda a), ma <strong>di</strong>pendono<br />
da notevoli estrapolazioni delle leggi della fisica non ancora confermate<br />
da esperimenti <strong>di</strong> laboratorio. Si tratta comunque <strong>di</strong> un tentativo<br />
serio che potrebbe essere sottoposto a verifica in futuro, sia tramite<br />
le misure della ra<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> fondo che con esperimenti <strong>di</strong> laboratorio<br />
<strong>di</strong> nuova concezione.<br />
Per quanto riguarda la questione b), le nostre conoscenze sono<br />
ancora più limitate e si può solo sperare che i progressi nelle teorie e<br />
nuovi esperimenti <strong>di</strong> fisica delle particelle, che utilizzano l’Universo<br />
stesso come laboratorio, ci forniscano un giorno qualche elemento<br />
per tentare una soluzione del problema.<br />
La questione c) è forse quella più importante perché coinvolge il<br />
significato del nostro essere qui ed ora e costringe la ragione umana<br />
a recuperare quell’ambito <strong>di</strong> problemi, fondamentali che una visione<br />
ideologica della vita tende a considerare come privi <strong>di</strong> senso e indegni<br />
<strong>di</strong> un’intelligenza evoluta ed adulta. La scienza non può dare<br />
risposta alla fondamentale domanda <strong>di</strong> conoscenza e <strong>di</strong> senso che<br />
sorge nell’impatto della ragione umana con la realtà perché il suo<br />
oggetto e il suo metodo sono troppo specifici e limitati. Tuttavia,<br />
come ogni serio tentativo <strong>di</strong> rapporto con la realtà, essa pone questioni<br />
che trascendono il suo ambito specifico e chiamano in causa<br />
altre <strong>di</strong>scipline e altri meto<strong>di</strong> della conoscenza.<br />
La serietà dell’impresa scientifica e il rispetto del valore della<br />
ragione esigono che non si sospenda l’indagine prima <strong>di</strong> avere tenuto<br />
conto <strong>di</strong> tutti i fattori del problema e che si eviti accuratamente ogni<br />
argomentazione che muova da ipotesi pregiu<strong>di</strong>ziali ed ideologiche,<br />
ovvero non fondate sull’esperienza o senza possibilità <strong>di</strong> verifica<br />
sperimentale.<br />
In questo senso è particolarmente istruttivo considerare brevemente<br />
la soluzione proposta alla questione c) a partire dai modelli<br />
cosmologici recentemente sviluppati dal cosmologo Andrei Linde e<br />
dai suoi collaboratori.<br />
156 –
4. TENTATIVI IDEOLOGICI<br />
Il modello proposto da Linde e collaboratori va sotto il nome <strong>di</strong><br />
chaotic inflation ed assume una particolare estrapolazione delle leggi<br />
fisiche secondo la quale il nostro Universo sarebbe una bolla in<br />
espansione in un insieme infinito ed eterno <strong>di</strong> bolle che <strong>di</strong>fferiscono<br />
per le con<strong>di</strong>zioni iniziali e le costanti fisiche fondamentali. La maggior<br />
parte <strong>di</strong> tali universi-bolla evolvono senza raggiungere le con<strong>di</strong>zioni<br />
necessarie allo sviluppo della vita cosciente, per cui in essi non<br />
vi sarà mai alcuno che possa porsi la domanda su come mai le con<strong>di</strong>zioni<br />
iniziali e le costanti fisiche abbiano proprio quei precisi valori.<br />
Solo in un numero piccolissimo <strong>di</strong> tali universi-bolla si realizzano<br />
casualmente le con<strong>di</strong>zioni opportune per lo sviluppo <strong>di</strong> esseri coscienti<br />
i quali, a un certo punto della loro storia, cominceranno a porsi la<br />
domanda su come mai il loro universo appaia così sorprendentemente<br />
ben calibrato per lo sviluppo della vita intelligente.<br />
Il modello della chaotic inflation ha avuto notevole fortuna nelle<br />
volgarizzazioni dei mass-me<strong>di</strong>a perché viene presentato come una<br />
grande scoperta della scienza moderna, la quale avrebbe così finalmente<br />
<strong>di</strong>mostrato che il nostro essere qui ed ora è frutto <strong>di</strong> un cieco<br />
caso. Questa operazione culturale è sostenuta da coloro che ritengono<br />
che la domanda sulla ultima natura e struttura <strong>di</strong> ciò che esiste e<br />
sulla sua relazione con noi sia una questione priva <strong>di</strong> senso. Tale<br />
posizione filosofica è ben nota nella storia del pensiero occidentale e<br />
si può far risalire ad Epicuro.<br />
Le sue conseguenze negative sullo sviluppo della scienza, e della<br />
cultura in generale, sono ben note. In effetti, alla vasta <strong>di</strong>ffusione<br />
della idea dei molti universi nelle pubblicazioni <strong>di</strong>vulgative, corrisponde,<br />
per contro, una puntuale critica della comunità scientifica<br />
sulle riviste specialistiche, essendo state riconosciute gravi limitazioni<br />
metodologiche a questo tipo <strong>di</strong> approccio ai problemi della cosmologia.<br />
Esse si possono così brevemente riassumere: a) i modelli a<br />
molti universi sono basati su estrapolazioni estreme delle leggi fisiche,<br />
in particolare delle proprietà quantistiche dei campi, non ancora<br />
verificabili sperimentalmente; b) gli altri universi non possono essere<br />
sperimentalmente osservati (è impossibile quin<strong>di</strong> il fondamentale<br />
paragone con i risultati osservativi e sperimentali); c) metodologicamente<br />
si pone una indebita barriera all’indagine scientifica poiché,<br />
se le proprietà del nostro universo sono frutto del caso, allora<br />
non ha senso investigarle ulteriormente per comprenderne l’origine.<br />
– 157
Esiste nella storia della cosmologia moderna un interessante precedente<br />
che <strong>di</strong>mostra come l’introduzione <strong>di</strong> una spiegazione basata<br />
su un evento casuale sia limitativa e si ritorca contro il progresso<br />
della conoscenza. Si tratta dell’osservazione, già nota a partire dagli<br />
anni ‘50, che la velocità <strong>di</strong> espansione dell’universo è calibrata in<br />
modo molto preciso per consentire lo sviluppo <strong>di</strong> strutture complesse<br />
come le galassie, le stelle, i pianeti e i viventi (v. § 2.4). Alcuni<br />
ricercatori proposero che tale fatto fosse <strong>di</strong> natura casuale, poiché se<br />
non si fosse verificato noi non saremmo qui a porre la domanda, e<br />
molti scienziati aderirono a tale posizione ritenendola ragionevole.<br />
Fu solo agli inizi degli anni ‘80 che Alan Guth e collaboratori svilupparono<br />
i primi inflationary cosmological models che permettevano<br />
<strong>di</strong> spiegare tale proprietà senza far ricorso al caso, ma a partire da<br />
leggi fisiche deterministiche, anche se ancora in attesa <strong>di</strong> una completa<br />
verifica sperimentale. In conseguenza <strong>di</strong> questo fatto, l’opinione<br />
della maggioranza dei cosmologi cambiò, e si riconobbe che era<br />
stato un grave errore l’avere introdotto una spiegazione basata sulla<br />
casualità poiché essa aveva precluso per decenni l’investigazione su<br />
una questione fondamentale.<br />
Allo stesso modo nella cosmologia moderna è <strong>di</strong> fondamentale<br />
importanza mantenere vive le questioni ancora aperte cui ho prima<br />
fatto cenno. Le nuove teorie fisiche che puntano alla unificazione<br />
delle forze fondamentali della natura potrebbero aprire una nuova<br />
prospettiva, consentendo <strong>di</strong> dedurre il valore delle costanti <strong>di</strong> natura<br />
e delle con<strong>di</strong>zioni iniziali a partire da principi più generali. Occorre<br />
comunque tenere presente il carattere specifico e contingente delle<br />
leggi fisiche e i limiti intrinseci dell’approccio ipotetico-deduttivo<br />
su cui si basano le nostre teorie, riconosciuto dai matematici e dai<br />
fisici teorici proprio nel corso del XX secolo. Ciò implica che le<br />
teorie e i modelli che la scienza può sviluppare non potranno mai<br />
esaurire la comprensione della realtà fisica.<br />
5. CONCLUSIONI: LA CATEGORIA DELLE POSSIBILITÀ E LA RICERCA SCIENTIFICA<br />
La riflessione sul metodo scientifico e la storia della scienza<br />
moderna ci rivelano come la ricerca scientifica deve sempre essere<br />
dominata dalla categoria della possibilità e dalla concezione della<br />
ragione come energia conoscitiva che non può ritenersi sod<strong>di</strong>sfatta<br />
finché non ha tenuto conto <strong>di</strong> tutti i fattori della realtà. Nel considerare<br />
quin<strong>di</strong> le acquisizioni della cosmologia moderna, bisogna sempre<br />
ricordare che la realtà dell’Universo è più grande <strong>di</strong> ciò che noi<br />
158 –
conosciamo. Tutte le volte che l’uomo ha preteso <strong>di</strong> affermare che il<br />
confine del cosmo era stato raggiunto, si è trovato <strong>di</strong> lì a poco smentito<br />
da nuove scoperte.<br />
In questo senso, al <strong>di</strong> là degli errori metodologici commessi da<br />
alcuni cosmologi nelle loro speculazioni, la possibilità che l’Universo<br />
sia infinito o che esistano altri universi non può essere esclusa a<br />
priori. In effetti il grande storico della scienza Pierre Duhem ha posto<br />
come inizio della scienza moderna proprio l’affermazione <strong>di</strong> tale<br />
possibilità da parte del vescovo <strong>di</strong> Parigi, Étienne Tempier, nel 1277.<br />
Contro la concezione aristotelica che vedeva nella ragione la misura<br />
del reale e che pretendeva <strong>di</strong> dedurre e imporre l’unicità dell’universo,<br />
il vescovo riba<strong>di</strong>va la fondamentale importanza della categoria<br />
della possibilità nella ricerca della verità e la libertà ultima della<br />
sorgente misteriosa della realtà, non sottoposta alle limitazioni che<br />
pretendeva <strong>di</strong> imporle la filosofia umana.<br />
La questione del significato ultimo dell’esistenza e della struttura<br />
dell’Universo non può dunque essere affrontata solo con mezzi<br />
scientifici, e tuttavia l’importanza della questione è tale da non poter<br />
essere elusa. Un’ipotesi <strong>di</strong> risposta deve dunque partire da una<br />
valorizzazione <strong>di</strong> altri meto<strong>di</strong> conoscitivi e <strong>di</strong> ogni aspetto della realtà,<br />
<strong>di</strong> tutti i dati così come ci si presentano.<br />
Su questa posizione è il grande cosmologo John Wheeler, che<br />
nella prefazione al trattato <strong>di</strong> Barrow e Tipler, così esor<strong>di</strong>va:<br />
«Consideriamo un Universo per sempre privo <strong>di</strong> vita» – «Naturalmente<br />
no!», avrebbe risposto un antico filosofo, aggiungendo,<br />
mentre si allontanava, declinando <strong>di</strong> considerare una tale questione:<br />
«Non ha senso parlare <strong>di</strong> un Universo, a meno che non ci sia qualcuno<br />
in esso a parlarne».<br />
Un tale rifiuto dell’idea <strong>di</strong> un Universo privo <strong>di</strong> vita non risulta<br />
così semplice dopo Copernico. Egli detronizzò l’uomo dal suo posto<br />
centrale nell’or<strong>di</strong>ne delle cose. Il suo modello del moto dei pianeti e<br />
della Terra ci ha insegnato a guardare il mondo alla stregua <strong>di</strong> una<br />
macchina. Da quell’inizio è scaturita una scienza che sembra non<br />
avere alcun posto particolare da assegnare all’uomo, alla mente e<br />
alla domanda sul significato. L’uomo Pura biochimica! La mente<br />
una memoria riproducibile me<strong>di</strong>ante circuiti elettronici! Il significato<br />
Perché chiedersi qualcosa <strong>di</strong> così intangibile e complicato! «Sire»<br />
– qualcuno oggi potrebbe <strong>di</strong>re parafrasando la famosa risposta <strong>di</strong><br />
Laplace a Napoleone – «Io non ho alcun bisogno <strong>di</strong> tale concetto».<br />
Che cosa è l’uomo perché l’Universo si debba curare <strong>di</strong> lui I<br />
telescopi raccolgono la luce <strong>di</strong> lontanissime sorgenti quasi-stellari<br />
– 159
che sono esistite miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> anni prima della comparsa della vita<br />
sulla Terra, ad<strong>di</strong>rittura ancor prima che ci fosse la Terra [...]. Un termometro<br />
e l’abbondanza relativa degli elementi più leggeri che oggi<br />
misuriamo ci danno informazioni sulla correlazione fra la densità e<br />
la temperatura dell’Universo durante i suoi primi tre minuti. Con<strong>di</strong>zioni<br />
ancora più violente ed estreme appren<strong>di</strong>amo dallo stu<strong>di</strong>o della<br />
fisica delle particelle elementari. Nella prospettiva <strong>di</strong> tali violenze<br />
della materia e dei campi <strong>di</strong> forze, <strong>di</strong> questi valori estremi <strong>di</strong> temperatura<br />
e <strong>di</strong> pressione, <strong>di</strong> queste estensioni <strong>di</strong> spazio e <strong>di</strong> tempo, non è<br />
l’uomo una trascurabile particella <strong>di</strong> polvere su un pianeta insignificante,<br />
in una insignificante galassia, in una insignificante regione<br />
perduta nell’immensità dello spazio<br />
No! L’antico filosofo aveva ragione! La questione del significato<br />
è importante, è ad<strong>di</strong>rittura centrale. Non è che l’uomo si sia appena<br />
adattato all’Universo. L’Universo è adatto alla vita dell’uomo. Immaginiamo<br />
un Universo in cui l’una o l’altra delle costanti fondamentali<br />
della fisica sia mo<strong>di</strong>ficata in più o meno <strong>di</strong> pochi punti percentuali.<br />
L’uomo non sarebbe mai potuto apparire in un Universo<br />
siffatto. Questo è il punto centrale del Principio antropico. Secondo<br />
tale principio, un fattore che produce la vita sta al centro dell’intera<br />
macchina e dello schema del mondo.<br />
Qual è l’attuale con<strong>di</strong>zione ed il ruolo del Principio antropico Si<br />
tratta <strong>di</strong> un teorema No. Si tratta <strong>di</strong> una mera tautologia, equivalente<br />
all’affermazione banale «L’Universo deve essere tale da permettere<br />
lo sviluppo della vita, da qualche parte, in una qualche fase della<br />
sua evoluzione, perché noi siamo qui» No. È una proposizione che<br />
possa essere sottoposta a verifica sperimentale Forse. [...].<br />
Nel processo <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> un nuovo settore <strong>di</strong> ricerca fino al<br />
punto in cui esso <strong>di</strong>viene una parte ben stabilita e definita della scienza,<br />
è spesso più <strong>di</strong>fficile porre le domande giuste piuttosto che trovare le<br />
risposte giuste, e in nessun altro caso questo risulta così cruciale come<br />
nel trattare del Principio antropico. Soprattutto risulta necessario un<br />
retto modo <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care, giu<strong>di</strong>care nel senso in cui lo intendeva George<br />
Graves: «Una consapevolezza <strong>di</strong> tutti i fattori in gioco nella situazione<br />
e una corretta valutazione della loro importanza relativa».<br />
Ripercorrendo la storia della ricerca recente in cosmologia e in<br />
astronomia, rimaniamo umanamente stupiti nel constatare come<br />
l’Universo intero cooperi alla nostra esistenza: le stelle che ve<strong>di</strong>amo<br />
in una notte serena stanno lavorando per noi, sintetizzando gli elementi<br />
chimici che serviranno alla formazione <strong>di</strong> nuovi pianeti ed allo<br />
sviluppo dell’attività biologica su <strong>di</strong> essi. Contemplando anche solo<br />
160 –
quel poco che conosciamo dell’Universo intorno a noi, credo non si<br />
possa evitare la riflessione del fisico teorico Freeman Dyson:<br />
Quando osserviamo l’Universo e identifichiamo le tante coincidenze<br />
fisiche ed astronomiche che hanno lavorato a nostro beneficio,<br />
sembra quasi che l’Universo avesse saputo che noi stavamo per arrivare.<br />
6. NOTA BIBLIOGRAFICA<br />
In quest’ultima sezione sono in<strong>di</strong>cati alcuni riferimenti che permettono<br />
<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re i concetti e i temi prima accennati. Si tratta<br />
per la maggior parte <strong>di</strong> opere a livello <strong>di</strong>vulgativo. Non sempre si<br />
tratta <strong>di</strong> testi in Italiano, dato che ormai la maggior parte della <strong>di</strong>vulgazione<br />
scientifica si pubblica in Inglese. Si tratta comunque <strong>di</strong> testi<br />
che ogni biblioteca specialistica dovrebbe avere o poter reperire.<br />
1. Una descrizione dei fondamentali risultati osservati su cui si<br />
basa la cosmologia del XX secolo si può trovare in ogni buon testo<br />
generale <strong>di</strong> introduzione all’Astronomia (ve<strong>di</strong>, per es., H. L. Shipman,<br />
1984, Introduzione all’Astronomia, Zanichelli, Bologna; J. Hermann,<br />
1992, Atlante <strong>di</strong> Astronomia, Sperling & Kupfer, Milano). Si veda<br />
anche: D. W. Sciama, 1973, Cosmologia moderna, E.S.T. Mondadori,<br />
Milano.<br />
Questi testi sono accessibili anche a chi non ha conoscenze specifiche<br />
<strong>di</strong> Fisica e <strong>di</strong> Matematica. D’altra parte, un testo recente che<br />
introduce gli aspetti tecnici della Cosmologia per chi ha approfon<strong>di</strong>te<br />
conoscenze <strong>di</strong> Fisica a livello universitario, è: A. Braccesi, 2000,<br />
Dalle stelle all’Universo, Zanichelli, Bologna.<br />
2. Informazioni sugli ultimi sviluppi in Cosmologia si possono<br />
trovare in testi <strong>di</strong>vulgativi recentemente pubblicati come: B. Green,<br />
2000, L’Universo elegante, Einau<strong>di</strong>, Torino; L. Amendola, 2000, Il<br />
cielo infinito, Sperling & Kupfer, Milano. Un aggiornamento sulle<br />
ricerche correnti a livello <strong>di</strong>vulgativo si può trovare anche nei seguenti<br />
articoli:<br />
a) C. Lamberti, 1998, Universo: un’esplosione senza fine, L’Astronomia<br />
n. 191, p. 6.<br />
b) C. J. Hogan, R.P. Kirshner, N.B. Suntzeff, 1999, Il mistero<br />
delle supernovae lontane, Le Scienze, marzo 1999, n. 367, p. 40.<br />
c) L.M. Krauss, 1999, L’antigravità cosmologica, Le Scienze,<br />
marzo 1999, n. 367, p. 47.<br />
d) M.A. Bucher, D.N. Spergel, 1999, Inflazione in un Universo a<br />
bassa densità, Le Scienze, marzo 1999, n. 367, p. 55.<br />
– 161
e) C. Lamberti, 2000, Il Boomerang conferma il Big Bang con<br />
Inflazione, L’Astronomia, n. 210, p. 4.<br />
f) R.R. Caldwell, M. Kamionkowski, 2001, Echoes from the Big<br />
Bang, Scientific American, January 2001, p. 28.<br />
g) J.P. Ostriker, P.J. Steinhardt, 2001, The Quintessential Universe,<br />
Scientific American, January 2001, p. 37.<br />
Esistono anche siti Internet con notizie ed aggiornamenti sulla<br />
Cosmologia. Uno dei più interessanti è all’in<strong>di</strong>rizzo:<br />
http://www.atro.ucla.edu/%7Ewright/cosmolog.htm<br />
Esso contiene anche una interessante introduzione alla Cosmologia<br />
<strong>di</strong> cui esiste una versione italiana (sebbene meno ricca ed aggiornata<br />
dell’originale) all’in<strong>di</strong>rizzo: http://www.vialattea.net/cosmo/<br />
Per quanto riguarda la ra<strong>di</strong>azione cosmica <strong>di</strong> fondo e le sue fondamentali<br />
proprietà si veda anche il sito Internet: http://<br />
background.uchicago.edu/<br />
Le missioni Planck e MAP (Microware Anisotropy Probe) hanno<br />
i loro rispettivi siti Internet agli in<strong>di</strong>rizzi:<br />
http://astro.estec.esa.nl/SA-general/Projects/Planck<br />
http://map.gsfc.nasa.gov<br />
Il testo <strong>di</strong> riferimento per gli aspetti relativi alle proprietà<br />
antropiche dell’Universo è: J.D. Barrow, F.J. Tipler, 1986, The<br />
Anthropic Cosmological Principle, Oxford University Press, Oxford.<br />
Vedasi anche: F. Bertola, U. Curi (a cura <strong>di</strong>), 1993, The Anthropic<br />
Principle, Cambridge University Press, Cambridge, dove sono trattati<br />
anche alcuni aspetti che interessano la riflessione filosofica e<br />
teologica.<br />
3. Una breve e autorevole <strong>di</strong>scussione critica dei più recenti modelli<br />
cosmologici si può trovare in: P.J.E. Peebles, 2001, Making Sense<br />
of Modern Cosmology, Scientific American, January 2001, p. 44. È<br />
anche interessante leggere le considerazioni <strong>di</strong> Sir Martin Rees, uno<br />
dei maggiori astronomi contemporanei, pubblicate in: M. Rees, 1999,<br />
Esplorare il nostro e altri universi, Le Scienze, <strong>di</strong>cembre 1999, n.<br />
376, p. 58.<br />
4. Una introduzione <strong>di</strong>vulgativa ai modelli proposti da Linde è<br />
stata recentemente pubblicata dall’autore stesso: A. Linde, 1995, Un<br />
Universo inflazionario che si autoriproduce, Le Scienze, gennaio<br />
1995, n. 317, p. 26.<br />
5. Una presentazione delle basi metodologiche e delle linee principali<br />
<strong>di</strong> sviluppo delle scienze fisiche moderne si può trovare in:<br />
F.T. Arecchi, I. Arecchi, 1990, I simboli e la realtà, Jaca Book,<br />
Milano.<br />
162 –
Sono anche <strong>di</strong> notevole interesse le considerazioni <strong>di</strong> Feyerabend<br />
sul ruolo della scienza nella cultura moderna, in P.K. Feyerabend,<br />
1987, Galileo e la tirannia della verità, L’Astronomia, n. 71, p. 28.<br />
Una <strong>di</strong>scussione elementare delle limitazioni dell’approccio basato<br />
sul metodo scientifico nella cosmologia moderna si può trovare<br />
nell’intervento <strong>di</strong> J.D. Barrow in L’uomo, i limiti, le speranze, a cura<br />
<strong>di</strong> G. Giorello e E. Sindoni, Piemme, 1998, p. 105; si noti la prospettiva<br />
neo-empirista, che caratterizza la posizione <strong>di</strong> Barrow, e la<br />
sottolineatura dei limiti intrinseci del metodo ipotetico-deduttivo su<br />
cui si basano le teorie fisiche. Questi ultimi costituiscono un campo<br />
<strong>di</strong> ricerca estremamente interessante, e sono <strong>di</strong>scussi, tra l’altro, nel<br />
saggio: D.J. Barrow, 1988, The World within the World, Oxford<br />
University Press, Oxford. Un’introduzione alla figura <strong>di</strong> Gödel e al<br />
ruolo del suo teorema nell’ambito della matematica si può trovare<br />
in: J.W. Dawson, Jr., 1999, Gödel e i limiti della logica, Le Scienze,<br />
ottobre 1999, n. 374, p. 88.<br />
Il pronunciamento del vescovo <strong>di</strong> Parigi sulla pluralità dei mon<strong>di</strong><br />
possibili è presentato e <strong>di</strong>scusso, tra gli altri, da: E. Grant, 1974, A<br />
Source Book in Me<strong>di</strong>eval Science, Harvard University Press, Harvard,<br />
p. 45. Si veda anche: M.J. Crowe, 1986, The Extraterrestrial Life<br />
Debate 1750-1900, Cambridge University Press, Cambridge, Ch. 1.<br />
Le considerazioni <strong>di</strong> Wheeler compaiono nella prefazione del trattato<br />
<strong>di</strong> Barrow e Tipler, The Anthropic Cosmological Principle. La<br />
citazione <strong>di</strong> Dyson è tratta da: R. Breuer, 1991, The Anthropic<br />
Principle, Birkhäuser, Boston, p. VI.<br />
Ringraziamenti: Sono grato al Dr. Vincenzo Antonuccio De Logu<br />
dell’Osservatorio Astrofisico <strong>di</strong> Catania per l’aiuto a reperire le più<br />
recenti immagini che ho presentato nel corso <strong>di</strong> questa conferenza e<br />
per le interessanti <strong>di</strong>scussioni su alcuni aspetti della cosmologia<br />
moderna.<br />
– 163
164 –
LA VALORIZZAZIONE ED IL RESTAURO<br />
DEI BENI CULTURALI DELLA CHIESA NELLA<br />
DIOCESI DI NOLA<br />
BILANCI E PROSPETTIVE<br />
GIUSEPPE MOLLO E ANTONIA SOLPIETRO*<br />
O Dei proles genitrixque rerum,<br />
Vinculum mun<strong>di</strong>,stabilisque nexus,<br />
gemma terrenis, speculum caducis,<br />
Lucifer orbis.<br />
Pax, amor,virtus,regimen,potestas,<br />
ordo,lex,finis,via,dux,origo,<br />
vita, lux, splendor, species, figura,<br />
Regula mun<strong>di</strong>.<br />
(Alanus ab Insulis (1128c.-1202), De Planctu naturae,<br />
ed. N. Häring, Centro Italiano <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> sull’Alto Me<strong>di</strong>oevo,1978, p. 831.)<br />
E’ una piacevole novità assistere ormai da qualche anno ad una<br />
particolare premura per i problemi inerenti la conservazione dei beni<br />
culturali ecclesiastici. Basti qui ricordare i quattro Corsi per la Conservazione<br />
e la Valorizzazione dei Beni Culturali della Chiesa attivati<br />
dall’Istituto Superiore <strong>di</strong> Scienze Religiose <strong>di</strong> questo Seminario e<br />
il III Convegno Regionale <strong>di</strong> Liturgia promosso dalla Conferenza<br />
Episcopale Campana su “Gli spazi della celebrazione liturgica” che<br />
nel 1995 vide protagonista la nostra <strong>di</strong>ocesi favorendo il <strong>di</strong>battito<br />
sugli innumerevoli problemi connessi con questo tema, e coinvolgendo<br />
quanti hanno responsabilità <strong>di</strong> committenza, <strong>di</strong> progettazione,<br />
<strong>di</strong> esecuzione e <strong>di</strong> fruizione degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto.<br />
A tal proposito giova ricordare quanto <strong>di</strong>sse S. E. Mons. Garlato<br />
al Convegno <strong>di</strong> Milano (4-7 maggio 1987) imperniato sul tema “La<br />
Chiesa Italiana per i beni culturali”: “I beni culturali ai quali la<br />
Chiesa ha dato origine nel suo bimillenario cammino per le finalità<br />
che le sono proprie non possono né devono essere valutati secondo<br />
una lettura esclusivamente storicistica o estetica: in essi convergono<br />
* Relazione tenuta il 12 Febbraio 2002.<br />
– 165
inseparabilmente componenti storiche, teologiche, iconografiche,<br />
ecclesiologiche, liturgiche e pastorali prescindendo dalle quali si<br />
finirebbe per penalizzare non solo la testimonianza religiosa in quanto<br />
tale, ma anche la storia e la civiltà stessa <strong>di</strong> un paese, <strong>di</strong> una regione,<br />
<strong>di</strong> una città, <strong>di</strong> un territorio insomma in cui tale testimonianza si<br />
è potuta realizzare”.<br />
Di contro corre l’obbligo <strong>di</strong> richiamare anche l’esortazione della<br />
Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium del 4 <strong>di</strong>cembre<br />
1963: “I chierici, durante il corso filosofico e teologico, siano istruiti<br />
anche sulla storia e lo sviluppo dell’Arte Sacra, come pure sui<br />
sani principi su cui devono fondarsi le opere d’Arte Sacra, in modo<br />
che siano in grado <strong>di</strong> stimare e conservare i venerabili monumenti<br />
della Chiesa e offrire opportuni consigli agli artisti nella realizzazione<br />
delle loro opere”.<br />
Riportiamo altresì quanto affermava, nel 1990, nell’introduzione<br />
al lavoro Domine Servavi Decorem Domus Tuae, Mons. Franco<br />
Strazzullo responsabile per l’Arte Sacra della <strong>Diocesi</strong> napoletana :<br />
“Se in tutti i Seminari d’Italia,…, si fosse insegnato anche Arte Sacra,<br />
non staremmo a lamentare tanti scempi perpetrati ai danni delle<br />
antiche chiese e la me<strong>di</strong>ocre produzione artistica <strong>di</strong> chiese nuove<br />
costruite e decorate in questo ultimo quarto <strong>di</strong> secolo”.<br />
Perché si chiedeva, e ci chie<strong>di</strong>amo, tanta insensibilità, eppure<br />
nelle Norme per la tutela del patrimonio storico artistico della chiesa<br />
in Italia, deliberate dalla X Assemblea generale della CEI il <strong>14</strong> giugno<br />
1974 e riba<strong>di</strong>te nelle intese concluse a norma dell’articolo 12<br />
dell’Accordo <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazione del Concordato lateranense firmato il<br />
18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 25 marzo 1985,<br />
n.121 (articolo 19 del T.U. delle <strong>di</strong>sposizioni legislative in materia <strong>di</strong><br />
beni culturali ed ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8<br />
ottobre 1997, n.352.) sono messi in evidenza “i valori storici e teologici<br />
delle opere d’arte” e opportunamente si esalta l’aspetto teologico-pastorale<br />
dell’Arte Sacra: “La storia dell’Arte Sacra, in ogni tempo,<br />
testimonia la teologia della fede, il rapporto tra vita e religione,<br />
l’adesione dell’umano al <strong>di</strong>vino, sempre con riferimento a Dio, me<strong>di</strong>ante<br />
il Cristo vivente nella Chiesa”.<br />
A seguito dell’Intesa del 13 settembre 1996 tra il Presidente della<br />
C.E.I. card. Camillo Ruini ed il Ministro per i Beni Culturali ed<br />
Ambientali, On. Walter Veltroni, si è rafforzata l’opera <strong>di</strong> tutela e<br />
valorizzazione del patrimonio dei beni culturali ecclesiastici. La stessa<br />
Intesa <strong>di</strong>sciplina, altresì, i rapporti intercorrenti tra le <strong>Diocesi</strong> e gli<br />
Enti pubblici: Comuni, Province, Regioni e Soprintendenze.<br />
166 –
Ancora oggi, purtroppo, l’antico si vende arbitrariamente, e il<br />
più becero artigianato è messo al servizio del culto.<br />
Anche il Santo Padre nel Discorso rivolto agli artisti nell’aprile<br />
del 1999, ha sottolineato l’importanza <strong>di</strong> conservare gelosamente il<br />
patrimonio artistico.<br />
Prima <strong>di</strong> rimuovere un altare, una balaustra, un tabernacolo, un<br />
fonte battesimale, un antico pavimento maiolicato, magari consunto<br />
dal tempo, non è forse opportuno consultare i competenti uffici<br />
<strong>di</strong>ocesani<br />
Nell’attuale fase <strong>di</strong> decentramento <strong>di</strong> competenze dallo Stato alle<br />
Regioni, le Consulte costituite dai delegati delle singole <strong>di</strong>ocesi e da<br />
autorevoli giuristi, tuteleranno gli interessi della Chiesa nella <strong>di</strong>fesa,<br />
gestione e protezione dei suoi beni culturali, promuoveranno e coor<strong>di</strong>neranno<br />
convegni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, l’organizzazione <strong>di</strong> un catalogo del<br />
patrimonio storico-artistico degli Enti Ecclesiastici ed il restauro delle<br />
opere d’arte.<br />
Ammessa l’urgenza <strong>di</strong> salvare un patrimonio culturale nel quale<br />
le Comunità ecclesiali riconoscono gli elementi più originali delle<br />
loro identità storiche, è già stato avviato un <strong>di</strong>scorso puntuale e scientifico<br />
nel più aperto spirito <strong>di</strong> collaborazione con le Soprintendenze<br />
e la Regione affinché si salvaguar<strong>di</strong>no, non solo l’entità, ma lo stesso<br />
valore spirituale, oltre che artistico, dei beni culturali ecclesiastici.<br />
Presenza e impegno nel rispetto del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà che da secoli<br />
vanta la Chiesa cattolica sul suo patrimonio <strong>di</strong> beni culturali, che<br />
rappresentano tanta parte della storia e della civiltà delle nostre comunità<br />
locali.<br />
LA TUTELA: UNA RIFLESSIONE SUI PROBLEMI<br />
L’esame che abbiamo tentato <strong>di</strong> fare per quanto parziale e superficiale,<br />
vuole dare l’idea della eccezionale varietà e ricchezza <strong>di</strong> questo<br />
patrimonio culturale. Esso però, non sarebbe completo se non<br />
accennassimo ai problemi enormi della conservazione e tutela che<br />
comporta una così vasta ed eterogenea quantità <strong>di</strong> beni.<br />
I motivi della conservazione dei beni culturali della chiesa sono<br />
ben comprensibili.<br />
Le gravi <strong>di</strong>struzioni e <strong>di</strong>spersioni degli ultimi decenni sono conseguenza<br />
della tumultuosa e, spesso, <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata crescita delle nostre<br />
città: si pensi agli effetti legati alla smobilitazione della struttura parrocchiale<br />
più periferica, ai furti nei luoghi incusto<strong>di</strong>ti, alle alienazioni<br />
abusive, ai guasti dell’antiquariato <strong>di</strong> rapina, che sono riuscite ad<br />
– 167
intaccare la consistenza <strong>di</strong> questo immenso patrimonio. Il patrimonio<br />
storico della chiesa è, soprattutto, insi<strong>di</strong>ato dai gran<strong>di</strong> mutamenti<br />
socio-economici e culturali che hanno investito e investono costantemente<br />
il nostro territorio e le nostre città.<br />
Il declino numerico del clero, soprattutto regolare, costringe alla<br />
chiusura totale o parziale <strong>di</strong> imponenti e<strong>di</strong>fici, mentre, il mutare del<br />
costume religioso ha decretato già da tempo la morte <strong>di</strong> quella rete<br />
fittissima <strong>di</strong> cappelle private, <strong>di</strong> oratori pubblici, <strong>di</strong> confraternite<br />
laicali, che, se sopravvivono ancora, come struttura e<strong>di</strong>lizia nel territorio<br />
ed in ogni strada dei centri storici, sono ormai ridotti, tranne<br />
poche eccezioni, a gusci vuoti, privi <strong>di</strong> officiatura, costantemente<br />
chiusi, con la suppellettile in rovina, quando non alienata o <strong>di</strong>spersa.<br />
Se si considera poi, che la riforma liturgica (Concilio Vaticano II,<br />
1962-1965), non <strong>di</strong> rado interpretata e applicata in maniera ra<strong>di</strong>cale<br />
e frettolosa, ha provocato il <strong>di</strong>suso e quin<strong>di</strong> il rapido degrado <strong>di</strong> molti<br />
arre<strong>di</strong> sacri, insieme a mo<strong>di</strong>fiche strutturali spesso rovinose all’interno<br />
<strong>di</strong> chiese e complessi ecclesiastici<br />
Ma in concreto che cosa è possibile fare per impe<strong>di</strong>re o almeno<br />
attenuare gli effetti più gravi dei fenomeni prima in<strong>di</strong>viduati<br />
Pur consapevoli che fra i costi della civiltà moderna c’è quello <strong>di</strong><br />
una inevitabile <strong>di</strong>spersione delle testimonianze del nostro passato,<br />
anche religioso, possiamo in<strong>di</strong>care che le strade che si stanno percorrendo,<br />
ancora, con insufficiente <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> uomini e mezzi, ma<br />
con convinzione e sempre crescente armonia <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> e intenti fra<br />
autorità ecclesiastiche e uffici della tutela, sono sostanzialmente due.<br />
Innanzi tutto il catalogo scientifico dei beni, e non sarà inutile<br />
ricordare che gli arre<strong>di</strong> storici delle chiese sono sottoposti alla vigente<br />
Legge <strong>di</strong> tutela (Decreto Legislativo N. 490 del 1999 - Testo Unico).<br />
In secondo luogo la musealizzazione <strong>di</strong> quella parte, ed è vastissima,<br />
del patrimonio che non può essere più conservato “in situ” per<br />
comprensibili ragioni <strong>di</strong> tutela e <strong>di</strong> sicurezza dei luoghi <strong>di</strong> origine.<br />
Le recenti Carte del Restauro propongono che i meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> intervento<br />
siano quelli del moderno restauro scientifico a fondamento storico-critico,<br />
che garantisce insieme alla <strong>di</strong>fesa del bene culturale, il<br />
suo inserimento nella vita attuale, senza che si adottino pericolose<br />
scorciatoie o semplificazioni operative, celate alle volte sotto l’equivoca<br />
<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> recupero.<br />
Accanto ad un intervento filologicamente rigoroso, che richiede<br />
perizia e competenza tecnica dei progettisti, bisogna leggere quelle<br />
matrici storico-religiose, che hanno determinato la nascita <strong>di</strong> “un’architettura<br />
sacra”.<br />
168 –
Ci pare che, in questo settore, sia necessario un grosso sforzo<br />
culturale e che la strada da percorrere sia ancora lunga. Infatti se ci<br />
mettiamo nel giusto punto <strong>di</strong> vista dobbiamo riconoscere vali<strong>di</strong>tà a<br />
una sorta <strong>di</strong> mutamento deontologico: dal restauro come teoria estetica<br />
e scienza storica, alla conservazione come scienza e tecnica della<br />
prevenzione e della manutenzione.<br />
LA NECESSITÀ DELLA CATALOGAZIONE<br />
La sbalor<strong>di</strong>tiva capacità <strong>di</strong> ogni cellula religiosa <strong>di</strong> trascinare<br />
davanti ai nostri occhi oggetti e memorie <strong>di</strong> ogni materia, giustifica,<br />
ancora oggi, il fervore delle accuse rivolte ai naturali amministratori<br />
del patrimonio delle chiese, così come ad un governo politico e amministrativo<br />
che a più <strong>di</strong> cento anni dall’unità nazionale, non ha condotto<br />
quell’opera <strong>di</strong> ricognizione del patrimonio che oggi ci appare,<br />
nonostante spora<strong>di</strong>ci episo<strong>di</strong>, come una lontana chimera.<br />
Affreschi, stucchi, sculture, metalli, vetri, legni, tarsie, intagli,<br />
decorazioni, <strong>di</strong>pinti d’ogni forma e misura,incorporati nello spazio<br />
sacro, sono elementi <strong>di</strong> lettura delle vicende storico – culturali e religiose<br />
<strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto.<br />
Una volta che una corretta anagrafe del patrimonio ecclesiastico<br />
fosse solidamente costituita, certamente, sarebbero anche minori, le<br />
preoccupazioni nei riguar<strong>di</strong> del trasferimento <strong>di</strong> oggetti dal loro luogo<br />
<strong>di</strong> origine, nei depositi. Non si deve mai <strong>di</strong>menticare, che un filo<br />
soltanto, assicura l’opera alla sua origine culturale, e cioè, la<br />
persistenza locale dell’oggetto attraverso la trama contestuale del<br />
patrimonio artistico circostante. In questo senso una sollecita carta<br />
delle aree culturali è obbligo irrinunciabile e prioritario.<br />
La catalogazione consentirebbe, anche, alle comunità una più attenta<br />
considerazione verso la stessa entità estetica, oltre che quella più<br />
intima <strong>di</strong> natura sacra e liturgica, a <strong>di</strong>fesa della sua conservazione.<br />
Ciò contribuirebbe a porre un riparo all’abuso e alla <strong>di</strong>lagante<br />
scorreria dei ladri. A promuovere la tutela e la conservazione del<br />
patrimonio mobile delle nostre chiese, vi è la citata Intesa del 1996,<br />
che ha previsto l’inventario informatizzato, secondo precisi parametri,<br />
in accordo con l’I.C.C.D. (Istituto Centrale per il Catalogo e la<br />
Documentazione).<br />
– 169
LA CONSERVAZIONE COME DISCIPLINA GLOBALE<br />
Da tempo, le metodologie, l’azione conservativa hanno abbandonato<br />
ogni criterio monoliticamente qualitativo, per abbracciare,<br />
invece, un criterio più largamente integrativo, nella certezza che una<br />
selezione forzata del patrimonio, qual è quella, che <strong>di</strong>scende dall’uso<br />
del giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> qualità formale, danneggi irreparabilmente la<br />
mirabile complessità del patrimonio stesso.<br />
Anche un oggetto minore, infatti, specie se preservato nel contesto<br />
che l’ha visto nascere, detiene una capacità <strong>di</strong> informazione generale<br />
e specifica assolutamente insostituibile, e non soltanto ai fini<br />
della storia dell’arte, ma pure e soprattutto ai fini <strong>di</strong> un corretto processo<br />
ricostruttivo dell’importanza dell’azione della Chiesa presso<br />
le popolazioni che ebbero ad esprimerlo e crearlo.<br />
La conservazione come <strong>di</strong>sciplina globale porta, naturalmente, in<br />
primo piano, anche, il problema della conservazione degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong><br />
culto. Di questa constatazione sono o dovrebbero esserlo interpreti gli<br />
ingegneri, gli architetti e gli urbanisti che specie in questi ultimi anni,<br />
si sono applicati ad opportune ricerche in ambito <strong>di</strong> pianificazione territoriale.<br />
Essi, ben conoscono, infatti, l’importanza che nella vicenda<br />
tanto dei centri storici, quanto del rapporto tra città e territorio assumono<br />
le strutture architettoniche <strong>di</strong> culto, il reticolo parrocchiale, gli<br />
spazi sacri, il secolare taglio territoriale della <strong>di</strong>ocesi.<br />
Non si sbaglia nel ritenere la parrocchia come l’ultima trincea <strong>di</strong><br />
un antico assetto territoriale <strong>di</strong> eccezionale equilibrio sociale, economico<br />
e culturale.<br />
L’adozione <strong>di</strong> una “griglia <strong>di</strong>ocesana” nel vasto <strong>di</strong>segno comprensoriale,<br />
potrebbe consentire l’acquisizione <strong>di</strong> elementi preziosi<br />
sotto il profilo della storia delle arti.<br />
Sarà dunque, auspicabile che opportuni stu<strong>di</strong> determinino, per<br />
tempo, le reali necessità e le virtuali possibilità <strong>di</strong> nuovi musei: conducendo,<br />
in tal modo, alla definizione <strong>di</strong> un vero standard museografico,<br />
verificando la possibilità <strong>di</strong> numerose vocazioni museografiche<br />
che domani potrebbero rivelarsi come un nuovo contributo<br />
alla depauperazione delle zone più emarginate.<br />
Non deve sfuggire, infatti, come negli ultimi anni si stia toccando<br />
il punto più basso <strong>di</strong> una involuzione che vede degrado, furti e<br />
abusi, circondare l’intero nostro patrimonio territoriale, che è per<br />
eccellenza patrimonio ecclesiastico. Può dunque, sembrare spontaneo,<br />
il ricorso a musei <strong>di</strong>ocesani come istituti <strong>di</strong> tutela e raccolta. Un<br />
e<strong>di</strong>ficio può domani ritornare a nuova vita: l’azione congiunta della<br />
170 –
Chiesa, dello Stato e degli enti locali, può consentire alla comunità<br />
una più sicura conservazione del patrimonio.<br />
Infatti, ogni moderna <strong>di</strong>sciplina conservativa, non intende fare<br />
dell’oggetto conservato una vitrea ostentazione <strong>di</strong> feticismo<br />
storicistico, quanto piuttosto, inserire l’oggetto stesso in una realtà<br />
più legata e complessa, completa, dunque, come esperienza storica e<br />
quin<strong>di</strong> vitale.<br />
IL PROBLEMA DEL PATRIMONIO CULTURALE ECCLESIASTICO:<br />
CONOSCENZA REALE PER UNA PROGRAMMAZIONE DIFFICILE<br />
Mentre, in gran parte, degli e<strong>di</strong>fici laici, pubblici e privati, gli<br />
oggetti <strong>di</strong> decorazione e d’uso sono stati sostituiti o <strong>di</strong>strutti, alienati<br />
e <strong>di</strong>spersi, con ritmo continuo e per le occasioni più varie (esigenze<br />
del gusto e della moda, mutamenti economici e politici, vicende<br />
patrimoniali, <strong>di</strong>visioni ere<strong>di</strong>tarie, continua evoluzione dei sistemi<br />
abitativi, delle tecniche e dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> produzione, ecc.), nei luoghi<br />
<strong>di</strong> culto, per l’assenza o la minore incidenza <strong>di</strong> queste motivazioni,<br />
tale fenomeno è stato più lento e le sue conseguenze assai meno ra<strong>di</strong>cali.<br />
Non c’è, si può <strong>di</strong>re, chiesa, per quanto rinnovata, che non<br />
abbia trasmesso fino ai giorni nostri qualche documento del suo primitivo<br />
stato, sia esso una scultura o un’oreficeria, una lastra tombale<br />
o una lapide; oggetti giunti sino a noi per esigenze devote, per scrupolo<br />
documentario o, semplicemente, per pura inerzia conservativa.<br />
All’eccezionale sopravvivenza quantitativa della suppellettile sacra<br />
corrisponde, poi, una altrettanto eccezionale funzione culturale.<br />
C’è da <strong>di</strong>re, infine, che l’arredo sacro delle nostre chiese è espressione<br />
dell’arte religiosa dell’Occidente cattolico e consente una straor<strong>di</strong>naria<br />
pluralità <strong>di</strong> conoscenze della storia politica, sociale, economica,<br />
religiosa e culturale del territorio <strong>di</strong> pertinenza <strong>di</strong>ocesana.<br />
Di fronte alle necessità <strong>di</strong> possedere maggiori informazioni, circa<br />
il problema reale delle chiese e delle loro con<strong>di</strong>zioni, sarebbe <strong>di</strong><br />
grande utilità spe<strong>di</strong>re a tutti i parroci un questionario contenente una<br />
nutrita serie <strong>di</strong> domande. Le risposte costituirebbero una prima base<br />
per una sommaria valutazione del problema, al fine <strong>di</strong> identificare<br />
modelli <strong>di</strong> comportamento per una futura programmazione degli<br />
interventi.<br />
E’ fondamentale la pubblicazione sul Bollettino Diocesano dei<br />
documenti riguardanti i beni culturali ecclesiastici, per far conoscere<br />
e <strong>di</strong>vulgare ai religiosi, quali sono le in<strong>di</strong>cazioni, gli uffici e le persone<br />
competenti ad agire su tali beni.<br />
– 171
LE COMPETENZE<br />
Il problema delle competenze e del rispetto <strong>di</strong> esse, non è la parola<br />
vana della lingua burocratica, ma l’esatta constatazione della profon<strong>di</strong>tà<br />
dei livelli, della necessaria preparazione tecnica e scientifica.<br />
Il lavoro conservativo, <strong>di</strong> questi tempi e <strong>di</strong> fronte a simili impegni,<br />
esige un confronto tanto <strong>di</strong> metodo quanto <strong>di</strong> prassi.<br />
Ogni chiesa progettata, costruita, ornata, è un frutto molto complesso<br />
della nostra cultura e, non soltanto, <strong>di</strong> quella più larga e vasta<br />
cultura, che si annoda attorno ai gran<strong>di</strong> centri ecumenici del potere,<br />
ma anche, dell’infinita cultura dei luoghi che rende tanto nobile l’arte<br />
italiana, variabili e mutevoli le sue espressioni.<br />
La scelta <strong>di</strong> questo incontro che vorrebbe costruire un progetto <strong>di</strong><br />
comportamento, è quella che si in<strong>di</strong>rizza a cercare <strong>di</strong> recuperare la<br />
chiesa, il suo corpo intriso <strong>di</strong> contenuti <strong>di</strong>versi, le sue opere <strong>di</strong> cultura<br />
e arte, entro un più generale e comprensivo recupero urbanistico e<br />
territoriale, così che esse possano ritrovare la <strong>di</strong>mensione più giusta<br />
e più originaria in quella nozione <strong>di</strong> contesto e <strong>di</strong> rapporto che per<br />
secoli le ha sorrette.<br />
Per <strong>di</strong>rla con Emiliani “ Le chiese (…) sono fuochi <strong>di</strong> frequenza<br />
immensamente presente, <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità altissima; apparizioni molteplici<br />
per materia, forma e finalità, accumuli giganteschi <strong>di</strong> lavoro e <strong>di</strong><br />
storia del lavoro, coaguli <strong>di</strong> pietà in<strong>di</strong>vidua e collettiva, segnali <strong>di</strong><br />
devozione ma anche <strong>di</strong> elevatissima norma estetica. (…). In queste<br />
navate, sotto queste volte, fu figurata e narrata la nuova terra promessa,<br />
consolazione per i deboli, illustrazione per i potenti, messaggio<br />
sempre <strong>di</strong> altissima <strong>di</strong>gnità culturale ed artistica. Occorre ripercorrere<br />
questo lungo, lunghissimo viaggio.” [A. EMILIANI (a cura <strong>di</strong>),<br />
Chiesa città campagna. Il patrimonio artistico e storico della Chiesa<br />
e l’organizzazione del territorio, Bologna 1981, pp. 11-<strong>14</strong>].<br />
UN ESEMPIO: IL MUSEO DIOCESANO DI NOLA<br />
Il Museo Diocesano <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> inaugurato l’11 marzo 2000 da mons.<br />
Beniamino Depalma è concepito come realtà integrata e <strong>di</strong>ffusa sul<br />
territorio. La finalità del progetto <strong>di</strong> allestimento e <strong>di</strong> organizzazione<br />
degli spazi museali è ispirata ad una nuova forma <strong>di</strong> accostamento<br />
172 –
alle opere d’arte, non più raccolte in un unico contenitore, snaturate<br />
dal loro contesto <strong>di</strong> origine, ma visibili nei propri luoghi <strong>di</strong> culto che<br />
si caratterizzano come strutture museali organizzate e decentrate sul<br />
territorio <strong>di</strong>ocesano. Il percorso si articola in due itinerari: il primo si<br />
svolge intorno all’insula del duomo e raggiunge i maggiori monumenti<br />
sacri del centro citta<strong>di</strong>no; il secondo percorso ruota intorno<br />
all’erigendo Museo del Seminario, toccando gli antichi conventi siti<br />
sulle colline circostanti la città. Il nucleo espositivo del Museo<br />
Diocesano è ospitato negli spazi a<strong>di</strong>acenti alla cattedrale: le strutture<br />
della trecentesca chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni Battista, la cinquecentesca<br />
cappella dell’Immacolata e gli antichi ambienti dell’Episcopio concorrono<br />
con le collezioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa natura a rappresentare la millenaria<br />
storia della <strong>Diocesi</strong> nolana.<br />
Le sale sono de<strong>di</strong>cate all’esposizione <strong>di</strong> preziosi argenti, <strong>di</strong> eleganti<br />
paramenti, <strong>di</strong> opere scultoree in marmo e legno, nonché <strong>di</strong> <strong>di</strong>pinti<br />
dal XV al XVIII secolo.<br />
Interessante la sezione documentaria e libraria, parte del patrimonio<br />
dell’attiguo Archivio Storico Diocesano. Il Museo ospita perio<strong>di</strong>camente<br />
mostre tematiche allestite nella sala dei Medaglioni,<br />
così denominata per i ritratti dei vescovi nolani <strong>di</strong>pinti nei ton<strong>di</strong> delle<br />
pareti.<br />
– 173
DOCUMENTI<br />
Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione su la sacra liturgia<br />
Sacrosanctum Concilium, 4 dec. 1963<br />
Discorso agli artisti <strong>di</strong> Martini C.M., Voi artisti siete un tramite attraverso<br />
cui il <strong>di</strong>vino parla, in “Rivista Diocesana Milanese” Milano, 3, (1983)<br />
Conferenza Episcopale Italiana, Commissione episcopale per la Liturgia,<br />
La Progettazione <strong>di</strong> Nuove Chiese. Nota pastorale, Quaderni “ La vita in Cristo<br />
e nella Chiesa” Documenti 1, Roma 1993.<br />
Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti: I beni culturali della chiesa<br />
in Italia, n.25, E<strong>di</strong>zioni Dehoniane, Bologna 1993.<br />
Commissione Episcopale per la Liturgia della CEI, Nota pastorale:<br />
L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, n.57, E<strong>di</strong>zioni<br />
Dehoniane, Bologna 1996.<br />
Conferenza Episcopale Campana, Commissione per la Liturgia, Gli Spazi<br />
della celebrazione liturgica, III° Convegno regionale <strong>di</strong> Liturgia, <strong>Nola</strong> 13-<strong>14</strong><br />
ottobre 1995, Napoli 1997.<br />
Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, Necessità ed urgenza<br />
dell’inventariazione e catalogazione dei Beni Culturali della Chiesa,<br />
Città del Vaticano, 8 <strong>di</strong>cembre 1999.<br />
Lettera <strong>di</strong> Giovanni Paolo II agli artisti, da “L’Osservatore Romano” sabato<br />
24 aprile 1999, stampato da L.E.R. Napoli – Roma 1999.<br />
Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, La funzione pastorale<br />
dei Musei Ecclesiastici, Città del Vaticano, 15 agosto 2001.<br />
Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />
Beni Culturali, Anno II, n.3, Gennaio 1998<br />
Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />
Beni Culturali, Anno III, n.4, Aprile 1999<br />
Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />
Beni Culturali, Anno III, n.9, Aprile 1999<br />
Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />
Beni Culturali, Anno IV, n.5, Gennaio 2000<br />
Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />
Beni Culturali, Anno IV, n.6, Dicembre 2000<br />
Intesa Programmatica tra la Regione Campania e la Conferenza Episcopale<br />
Campana per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali appartenenti ad<br />
enti ed istituzioni ecclesiastiche, Napoli 13 maggio 2002.<br />
174 –
BIBLIOGRAFIA<br />
AA.VV., L’architettura sacra oggi, Atti del congresso internazionale <strong>di</strong><br />
Perugia, 1989.<br />
AA.VV., Arte e Liturgia. L’arte sacra a trent’anni dal Concilio, E<strong>di</strong>zioni<br />
San Paolo, Torino 1993.<br />
AA.VV., Architettura e spazio sacro nella modernità, Catalogo della mostra,<br />
Biennale <strong>di</strong> Venezia 1992, E<strong>di</strong>trice Abitare Segesta, Milano 1992.<br />
AA.VV., Concorsi per nuovi complessi parrocchiali nelle <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Milano,<br />
Perugia e Lecce. 1998-1999, 22 Progetti per Nuove Chiese commissionati<br />
dalla Conferenza Episcopale Italiana, Electa, Milano 1999.<br />
AA.VV., Concorsi per nuovi complessi parrocchiali nelle <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Modena<br />
- Nonantola, Foligno e Catanzaro - Squillace, 2000-2001, 24 Progetti per<br />
Nuove Chiese commissionati dalla Conferenza Episcopale Italiana, Electa,<br />
Milano 2001.<br />
AA.VV., Segni del Novecento. Architettura e arti per la liturgia in Italia,<br />
Catalogo della mostra fotografica itinerante, Cierre Grafica, Caselle <strong>di</strong><br />
Sommacampagna (VR) 2001.<br />
AMARI G., GATTI G., CENI G., FABBRETTI N., GRESLERI G.,<br />
NONNIS P.G., PIAZZI A., RUGGERI C., Progettare lo spazio del sacro (le<br />
giornate dell’arte sacra 1988-1989 - Marmocchine S. Ambrogio <strong>di</strong> Volpicelli<br />
Verona). Percorso iconografico Glauco Gresleri, Ente Fiere <strong>di</strong> Verona, Verona.<br />
Beni Culturali nelle Chiese. Suggerimenti per la buona conservazione (a<br />
cura <strong>di</strong> Maria Teresa Binaghi Olivari), vol. I, Beni artistici e storici, Curia Arcivescovile<br />
<strong>di</strong> Milano, Milano 1992.<br />
BOUYER L., Architettura e Liturgia, E<strong>di</strong>zioni Qiqajon Comunità <strong>di</strong> Bose,<br />
Magnano (VC) 1994.<br />
CHENIS C., Fondamenti teorici dell’arte sacra. Magistero post-conciliare,<br />
Las, Roma 1991.<br />
GRASSO G., Tra teologia e architettura, E<strong>di</strong>zioni Borla, Roma 1988.<br />
GRASSO G.,Chiesa e Arte. Documenti della Chiesa testi canonici e commenti,<br />
E<strong>di</strong>zioni San Paolo, Torino 2001.<br />
Luce e Chiese, (a cura della Reggiani S.p.a. Illuminazione), Sovico (MI)<br />
1998.<br />
JOHNSON C., JOHNSON S., Progetto Liturgico, Guida pratica liturgica<br />
al riadattamento delle chiese, CLV E<strong>di</strong>zioni Liturgiche, Roma 1992.<br />
KIDDER SMITH G. E., Nuove chiese in Europa, E<strong>di</strong>zioni Comunità, Milano<br />
1964.<br />
– 175
MIARI E.G., MARIANI P., I musei religiosi in Italia, R. Viola E<strong>di</strong>tore,<br />
Roma 2001.<br />
NAPOLITANO E., L’arte sacra immagine dell’invisibile, in “Teologia e<br />
Vita”, N. 5. Quaderni dell’Istituto Superiore <strong>di</strong> Scienze Religiose “G. Duns<br />
Scoto”, <strong>Nola</strong>, LER, Marigliano 1999.<br />
PONTI G., Amate l’architettura, E<strong>di</strong>tore Vitali e Ghianda, Genova 1957<br />
SANTI G., Il luogo della celebrazione del sacramento della penitenza, in “<br />
Rivista <strong>di</strong> pastorale liturgica”, 5, (1979).<br />
SANTI G., I Beni Culturali nello sviluppo e nelle attese della società italiana,<br />
in “Arte Cristiana”, 69, (1980), 205.<br />
SCHMIDT H., La vita sacramentale nello spazio interno dell’e<strong>di</strong>ficio per<br />
il culto, in “Architettura e Liturgia” , (a cura <strong>di</strong>) P. Ciampani, Pro Civitate<br />
Christiana, Assisi 1965.<br />
SODI M., Gli spazi della celebrazione rituale, (a cura <strong>di</strong>) Facoltà Teologica<br />
<strong>di</strong> Sicilia, OR, Milano 1984.<br />
VALENZIANO D., Sei tesi per l’arte cristiana, in “Rivista Liturgica”, 1,<br />
(1996).<br />
VARALDO G., Arte sacra e sacra suppellettile, in AA.VV. “La Costituzione<br />
sulla sacra liturgia”, Torino, L.D.C., 1967.<br />
Vicariato <strong>di</strong> Roma, Concorso europeo 50 chiese per Roma 2000, E<strong>di</strong>zione<br />
l’Arca, 2000.<br />
176 –
APPENDICE 1<br />
L’INTESA C.E.I.<br />
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI<br />
Il 13 settembre 1996 il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana,<br />
Car<strong>di</strong>nale Camillo Ruini, e il Ministro per i beni culturali e ambientali,<br />
Onorevole Walter Veltroni, hanno firmato l’Intesa per la tutela dei beni<br />
culturali ecclesiastici, prima attuazione delle <strong>di</strong>sposizioni contenute nell’art.<br />
12 dell’Accordo 18 febbraio 1984.<br />
CONSULTA NAZIONALE<br />
PER I BENI CULTURALI ECCLESIASTICI<br />
CIRCOLARE N. 1<br />
L’INTESA PER LA TUTELA<br />
DEI BENI CULTURALI ECCLESIASTICI<br />
13 settembre 1996<br />
1. Contenuti<br />
2. Primi adempimenti<br />
3. Suggerimenti per facilitare l’avvio delle nuove procedure<br />
Allegati:<br />
1) Suggerimenti per la costituzione dell’Ufficio <strong>di</strong>ocesano per l’arte<br />
sacra e i beni culturali<br />
2) Schema <strong>di</strong> statuto della Commissione <strong>di</strong>ocesana per l’arte sacra e i<br />
beni culturali<br />
3) Schema <strong>di</strong> statuto della Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici<br />
Premessa<br />
Come è noto, il 13 settembre 1996 il Ministro per i beni Culturali e<br />
Ambientali e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana hanno sottoscritto<br />
l’Intesa per la tutela dei beni culturali ecclesiastici (cf. Notiziario<br />
della Conferenza Episcopale Italiana, n. 9, 20 novembre 1996, pp. 336-<br />
347). Con la stipula dell’Intesa, come ebbe a <strong>di</strong>re il Car<strong>di</strong>nale Camillo Ruini<br />
in occasione della firma, «si consolida la già viva collaborazione tra Stato e<br />
Chiesa in questa materia, <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssima importanza nel nostro paese, e<br />
– 177
vengono poste le premesse perché tale collaborazione si sviluppi e si precisi<br />
ulteriormente in futuro». L’Intesa, frutto <strong>di</strong> una trattativa avviata nel 1987,<br />
costituisce il primo atto del processo normativo che dà attuazione all’articolo<br />
12 dell’Accordo <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazione del Concordato Lateranense firmato<br />
il 18 febbraio 1984 tra l’Italia e la Santa Sede. Essa, infatti, riguarda<br />
soltanto i primi due commi del n. 1 del citato articolo 12; si prevede che<br />
saranno stupulate altre intese, in particolare, in materia <strong>di</strong> archivi e <strong>di</strong> biblioteche<br />
ecclesiastiche.<br />
1. I contenuti dell’Intesa<br />
Vengono illustrate, in sintesi, le <strong>di</strong>sposizioni contenute nell’Intesa firmata<br />
il 13 settembre 1996 che precisa quali sono i soggetti chiamati a collaborare<br />
(art. 1), quali le forme e gli strumenti per attuare la collaborazione<br />
tra Chiesa e Stato (artt. 2-7), quali prospettive si aprono in vista <strong>di</strong> eventuali<br />
intese da stipulare tra gli enti ecclesiastici, le Regioni e gli altri enti autonomi<br />
territoriali (art. 8).<br />
a) Quanto ai soggetti chiamati a collaborare, l’art. 1, n. 1 precisa che<br />
essi sono: a livello centrale, per parte statale, il Ministro per i beni culturali<br />
e ambientali e i Direttori generali degli Uffici centrali del Ministero da lui<br />
designati e, per parte ecclesiastica, il Presidente della Conferenza Episcopale<br />
Italiana e le persone da lui eventualmente delegate. A livello locale, i Soprintendenti<br />
e i Vescovi <strong>di</strong>ocesani o le persone delegate dai Vescovi stessi.<br />
In relazione al patrimonio culturale <strong>di</strong> rispettiva competenza anche gli<br />
Istituti <strong>di</strong> vita consacrata e le Società <strong>di</strong> vita apostolica concorrono con i<br />
soggetti ecclesiastici nella collaborazione con gli organi statali in<strong>di</strong>cati a<br />
determinate con<strong>di</strong>zioni (che, cioè, siano civilmente riconosciuti e si tratti <strong>di</strong><br />
articolazioni a livello non iinferiore alla provincia religiosa) e secondo le<br />
<strong>di</strong>sposizioni emanate dalla Santa Sede. Tali <strong>di</strong>sposizioni sono attualmente<br />
in corso <strong>di</strong> definizione.<br />
b) L’Intesa prevede numerose forme e strumenti <strong>di</strong> collaborazione.<br />
* Nell’art. 2 si prevedono apposite riunioni tra gli organi ministeriali e<br />
quelli ecclesiastici in<strong>di</strong>viduati dall’art. 1, sia a livello centrale, sia a livello locale.<br />
Tali riunioni sono indette dagli organi del Ministero e hanno come oggetto i<br />
programmi statali <strong>di</strong> interventi per i beni culturali e i relativi piani <strong>di</strong> spesa. Lo<br />
scopo delle riunioni è molteplice:<br />
– consentire agli organi ministeriali <strong>di</strong> informare gli organi ecclesiastici<br />
in merito agli interventi che si intendono intraprendere a favore dei beni<br />
culturali <strong>di</strong> interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche;<br />
– mettere gli organi del Ministero nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> acquisire dagli<br />
organi ecclesiastici eventuali proposte <strong>di</strong> interventi;<br />
– consentire agli organi del Ministero <strong>di</strong> acquisire da quelli ecclesiastici<br />
valutazioni in or<strong>di</strong>ne alle esigenze <strong>di</strong> carattere religioso comunque connesse<br />
alle iniziative statali.<br />
178 –
In occasione <strong>di</strong> tali riunioni gli organi ecclesiastici informano gli organi<br />
ministeriali circa gli interventi che a loro volta intendono intraprendere.<br />
* Nell’art. 3 è prevista la possibilità che gli organi ministeriali e gli<br />
organi ecclesiastici stipulino accor<strong>di</strong> allo scopo <strong>di</strong> «realizzare interventi ed<br />
iniziative che prevedono, in base alla normativa vigente, la partecipazione<br />
organizzativa e finanziaria rispettivamente dello Stato e <strong>di</strong> enti e istituzioni<br />
ecclesiastici, oltre che, eventualmente, <strong>di</strong> altri soggetti».<br />
* Nell’art. 4 è prevista la più ampia informazione tra gli organi ministeriali<br />
e quelli ecclesiastici in merito ai programmi statali <strong>di</strong> intervento pluriennali e<br />
annuali e i relativi piani <strong>di</strong> spesa <strong>di</strong> cui all’art. 2, oltre che in merito agli<br />
interventi e alle iniziative oggetto degli accor<strong>di</strong> tra gli organi ministeriali e<br />
quelli ecclesiastici, <strong>di</strong> cui all’art. 3.<br />
* Per favorire la collaborazione tra Chiesa e Stato, gli artt. 5 e 6 dell’Intesa<br />
prevedono nuove procedure.<br />
In particolare è stata definita una nuova procedura per regolare nel<br />
loro complesso i rapporti tra enti ecclesiastici e Soprintendenze (art. 5) in<br />
base alla quale il Vescovo <strong>di</strong>ocesano assume un ruolo centrale ed esclusivo.<br />
Gli enti ecclesiastici, d’ora in poi, potranno presentare le loro richieste ai<br />
Soprintendenti solo per il tramite del Vescovo <strong>di</strong>ocesano (o suo delegato),<br />
che è tenuto a valutarne congruità e priorità. Il Vescovo <strong>di</strong>ocesano<br />
territorialmente competente presenta ai Soprintendenti anche le richieste<br />
degli Istituti <strong>di</strong> vita consacrata e delle Società <strong>di</strong> vita apostolica: in questo<br />
caso, però, senza valutarne congruità e priorità. A loro volta le Soprintendenze<br />
si rivolgeranno agli enti ecclesiastici solo per il tramite del Vescovo<br />
<strong>di</strong>ocesano.<br />
Con l’art. 6, l’Intesa introduce anche una nuova e specifica procedura in<br />
relazione ai problemi relativi alle esigenze <strong>di</strong> culto (come ad esempio i progetti<br />
<strong>di</strong> adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica) che sono tra<strong>di</strong>zionalmente<br />
motivo <strong>di</strong> tensioni e <strong>di</strong> conflitti: si precisa che i provve<strong>di</strong>menti<br />
amministrativi previsti dall’art. 8 della legge 1° giugno 1939, n. 1089<br />
sono assunti dal competenti organo ministeriale “previa intesa” con l’Or<strong>di</strong>nario<br />
<strong>di</strong>ocesano competente.<br />
* Infine, l’art. 7 dell’Intesa istituisce l’«Osservatorio centrale per i beni<br />
culturali <strong>di</strong> interesse religioso <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica» allo scopo <strong>di</strong> verificare<br />
con continuità l’attuazione delle forme <strong>di</strong> collaborazione previste<br />
dall’Intesa, esaminare i problemi <strong>di</strong> comune interesse e suggerire orientamenti<br />
per il migliore sviluppo della reciproca collaborazione fra le parti.<br />
c) Quanto ad eventuali intese, che le Regioni e gli enti autonomi territoriali<br />
(come le Province e i Comuni) da una parte e gli enti ecclesiastici<br />
dall’altra, intendessero stipulare, nell’ambito delle rispettive competenze,<br />
l’art. 8 dell’Intesa si limita a un cenno, senza entrare nel merito. In relazione<br />
ai contenuti <strong>di</strong> tali eventuali intese, le <strong>di</strong>sposizioni contenute nell’Intesa<br />
13 settembre 1996 vengono proposte semplicemente come possibile “base<br />
<strong>di</strong> riferimento”.<br />
– 179
2. Adempimenti previsti dall’Intesa<br />
Dopo avere brevemente presentato l’intesa sulla tutela dei beni culturali<br />
ecclesiastici è opportuno fornire qualche informazione in merito agli<br />
adempimenti da essa previsti.<br />
In particolare, in attuazione all’art. 7, n. 2 dell’Intesa, il Ministro per i<br />
beni Culturali e Ambientali e il Presidente della C.E.I. hanno nominato i<br />
rispettivi rappresentanti nell’«Osservatorio». L’Osservatorio si è inse<strong>di</strong>ato<br />
in data 28 maggio 1997.<br />
In accordo con il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, le <strong>di</strong>sposizioni<br />
contenute negli artt. 5 e 6 dell’Intesa entreranno in vigore a partire<br />
dal 1° luglio 1997. Dal momento che tali <strong>di</strong>sposizioni interessano <strong>di</strong>rettamente<br />
i Vescovi e sono destinate a innovare fortemente la prassi e la mentalità<br />
ecclesiale, i Vescovi stessi sono tenuti a due adempimenti <strong>di</strong> notevole<br />
importanza <strong>di</strong> loro stretta competenza: nominare un delegato che Li rappresenti<br />
nei rapporti con i Soprintendenti e avviare le <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> collaborazione<br />
previste dall’Intesa.<br />
a) Secondo l’art. 1 dell’Intesa, a livello locale sono competenti per l’attuazione<br />
delle forme <strong>di</strong> collaborazione «i Soprintendenti e i Vescovi<br />
<strong>di</strong>ocesani o le persone delegate dai Vescovi stessi»; i successivi artt. 5 e 6<br />
prevedono che i rapporti tra enti ecclesiastici e Soprintendenti avvengano<br />
secondo una nuova procedura, in base alla quale il Vescovo assume un<br />
ruolo centrale.<br />
È urgente perciò che ogni vescovo provveda a in<strong>di</strong>viduare una persona<br />
dotata <strong>di</strong> particolare competenza in materia <strong>di</strong> beni culturali e a nominarla.<br />
Suo delegato a tenere i rapporti con i Soprintendenti (a questo riguardo,<br />
sembra da escludere che, in ragione delle specificità della materia, il delegato<br />
sia dotato solo <strong>di</strong> competenze amministrative). Tale delegato, <strong>di</strong> norma,<br />
dovrebbe essere la stessa persona che in <strong>di</strong>ocesi ha la responsabilità<br />
dell’Ufficio per i beni culturali e l’arte sacra (cfr. allegato n. 1). In situazioni<br />
particolari il delegato potrebbe rappresentare anche più <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ocesi.<br />
Poiché i progetti da presentare ai Soprintendenti dovranno essere<br />
preventivamente valutati quanto a congruità e priorità, è necessario che,<br />
laddove essa non esista già, venga istituita o rinnovata la Commissione<br />
<strong>di</strong>ocesana per l’arte sacra e i beni culturali (cfr. allegato n. 2). Tale Organismo,<br />
che può essere anche a livello inter<strong>di</strong>ocesano, dovrà preventivamente<br />
valutare le richieste presentate dagli enti ecclesiastici soggetti alla giuris<strong>di</strong>zione<br />
del Vescovo e, successivamente, presentare al Vescovo stesso una<br />
relazione dalla quale risultino congruità e priorità degli interventi.<br />
b) Quanto alle <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> collaborazione previste dagli artt. 2, 3<br />
e 4 dell’Intesa è necessario che, con la gradualità richiesta dalla situazione,<br />
fin da ora venga colta ogni possibilità perché tra gli Organismi competenti<br />
della <strong>di</strong>ocesi e i rispettivi uffici delle Soprintendenze competenti per territorio<br />
vengano avviati contatti e scambi <strong>di</strong> informazione. In questo modo si<br />
180 –
potrà favorire la graduale messa a regime dei meccanismi <strong>di</strong> collaborazione<br />
previsti dall’Intesa, in particolare per quanto riguarda gli incontri indetti<br />
dai Soprintendenti allo scopo <strong>di</strong> formulare i piani annuali e pluriennali <strong>di</strong><br />
interventi a favore dei beni culturali.<br />
3. Alcuni suggerimenti<br />
Per consentire l’avvio delle nuove procedure previste dagli artt. 5 e 6<br />
dell’Intesa, oltre alla nomina del delegato e all’istituzione dell’Ufficio e<br />
della Commissione per l’arte sacra e i beni culturali, è opportuno informare<br />
tempestivamente gli amministratori degli enti ecclesiastici e i responsabili<br />
delle comunità religiose maschili e femminili del fatto che, a partire del 1°<br />
luglio 1997, le richieste <strong>di</strong> qualunque natura da sottoporre alle Soprintendenze<br />
dovranno essere inviate al competente Ufficio <strong>di</strong> Curia – l’unico<br />
soggetto abilitato a trasmettere ai Soprintendenti – e che, a loro volta, i<br />
Soprintendenti comunicheranno le loro determinazioni al competente Ufficio<br />
<strong>di</strong> Curia, il quale provvederà a trasmetterle al responsabile dell’ente<br />
ecclesiastico interessato.<br />
In conclusione sembra utile suggerire alcune iniziative da attuare nella<br />
fase <strong>di</strong> avvio dell’Intesa e comunque prima del 1° luglio 1997.<br />
È molto opportuno che dell’Intesa per i beni culturali si parli nell’ambito<br />
della Conferenza episcopale regionale; che i delegati dei Vescovi si<br />
incontrino a livello regionale nell’ambito della Consulta regionale per i<br />
beni culturali (cfr. allegato n. 3) per coor<strong>di</strong>nare le loro attività; che i delegati<br />
dei Vescovi il cui territorio ricade nella competenza della medesima Soprintendenza<br />
mantengano costanti contatti tra <strong>di</strong> loro; che il Vescovo incontri<br />
i Soprintendenti competenti per territorio e, in quella occasione, presenti<br />
loro il Suo delegato. Sarà il caso, inoltre, che la graduale attuazione<br />
dell’Intesa sia seguita con grande attenzione sia in ambito <strong>di</strong>ocesano me<strong>di</strong>ante<br />
l’apposito Ufficio e Commissione, sia in ambito regionale me<strong>di</strong>ante<br />
la Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici.<br />
La prima Intesa sui beni culturali, stipulata per facilitare la collaborazione<br />
tra Chiesa e Stato, richiede alle <strong>di</strong>ocesi italiane un rinnovato impegno<br />
anche <strong>di</strong> natura organizzativa a favore dei beni culturali eccllesiastici; sarebbe<br />
molto positivo che questo impegno venisse assunto quale parte qualificante<br />
del progetto culturale che le Chiese che sono in Italia stanno promuovendo<br />
in modo unitario.<br />
Dal momento che in questa fase qualche <strong>di</strong>sagio sarà inevitabile, l’Ufficio<br />
nazionale per i beni culturali ecclesiastici rimane a <strong>di</strong>sposizione per<br />
eventuali consulenze e chiarimenti.<br />
– 181
ACCORDO DI REVISIONE<br />
DEL CONCORDATO LATERANENSE<br />
18 febbraio 1984<br />
Art. 12<br />
1. La Santa Sede e la Repubblica Italiana, nel rispettivo or<strong>di</strong>ne, collaborano<br />
per la tutela del patrimonio storico e artistico.<br />
Al fine <strong>di</strong> armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze<br />
<strong>di</strong> carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno<br />
opportune <strong>di</strong>sposizioni per la salvaguar<strong>di</strong>a, la valorizzazione e il<br />
go<strong>di</strong>mento dei beni culturali <strong>di</strong> interesse religioso appartenenti ad enti ed<br />
istituzioni ecclesiastiche.<br />
La conservazione e la consultazione degli archivi <strong>di</strong> interesse storico e<br />
delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate<br />
sulla base <strong>di</strong> intese tra i competenti organi delle due Parti.<br />
182 –
APPENDICE 2<br />
INTESA PROGRAMMATICA<br />
TRA<br />
LA REGIONE CAMPANIA<br />
E<br />
LA CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA<br />
PER LA TUTELA<br />
E LA VALORIZZAZIONE DI BENI CULTURALI<br />
APPARTENENTI AD ENTI ED ISTITUZIONI ECCLESIASTICHE<br />
Napoli, 13 maggio 2002<br />
– 183
L’anno duemiladue, il giorno tre<strong>di</strong>ci del mese <strong>di</strong> maggio alle ore 16.00,<br />
presso la Sede della Giunta Regionale della Campania in via S. Lucia, 81 -<br />
Napoli;<br />
La Regione Campania, nella persona del Presidente On.le Antonio<br />
Bassolino;<br />
La Conferenza Episcopale Campana, nella persona <strong>di</strong> S. E. Card. Michele<br />
Giordano, in conformità agli in<strong>di</strong>rizzi della Giunta Regionale della<br />
Campania ed all’autorizzazione, espressa all’unanimità nella sessione dell’8<br />
aprile 2002, da parte della Conferenza Episcopale Campana, costituita dagli<br />
Or<strong>di</strong>nari <strong>di</strong>ocesani <strong>di</strong>: Acerra, Alife-Caiazzo, Amalfi-Cava de’ Tirreni,<br />
Ariano Irpino-Lacedonia, Avellino, Aversa, Benevento, Capua, Caserta,<br />
Nocera Inferiore-Sarno, <strong>Nola</strong>, Pompei, Pozzuoli, Salerno, Sant’Angelo dei<br />
Lombar<strong>di</strong>-Nusco-Conza-Bisaccia, Santissima Trinità <strong>di</strong> Cava, Sessa<br />
Aurunca, Sorrento-Castellammare <strong>di</strong> Stabia, Teano-Calvi, Teggiano-<br />
Policastro, Vallo della Lucania, al fine <strong>di</strong> sottoscrivere il presente protocollo<br />
d’intesa e <strong>di</strong> assumere espressamente l’impegno <strong>di</strong> adempiere a quanto<br />
<strong>di</strong> propria competenza.<br />
PREMESSO che:<br />
– tra i fini istituzionali della Regione Campania (<strong>di</strong> seguito denomin ata<br />
Regione) c’è la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio<br />
storico, artistico e culturale <strong>di</strong> interesse regionale (art. 5 - Statuto<br />
Regione Campania);<br />
– il patrimonio culturale <strong>di</strong> proprietà degli Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti<br />
e operanti nel territorio regionale campano, riveste un considerevole<br />
interesse nell’ambito dell’esercizio delle succitate competenze<br />
regionali statutarie;<br />
– la Conferenza Episcopale Campana (<strong>di</strong> seguito denominata C.E.C.), è<br />
l’organo <strong>di</strong> governo della Regione Ecclesiastica Campana, Ente civilmente<br />
riconosciuto, cui compete mantenere i rapporti con le istituzioni<br />
politiche della Regione Campania in rappresentanza degli interessi religiosi<br />
cattolici, secondo l’art. 2 del suo Regolamento. Essa promuove,<br />
presso gli Enti ecclesiastici proprietari dei beni <strong>di</strong> interesse culturale presenti<br />
sul territorio regionale, l’impegno per la conservazione e la<br />
valorizzazione degli stessi, testimonianza della storia, della cultura e della<br />
tra<strong>di</strong>zione della popolazione campana;<br />
– le <strong>di</strong>sposizioni dell’art. 12 dell’accordo sottoscritto in data 18 febbraio<br />
1984 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, comportante mo<strong>di</strong>fiche<br />
al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, ratificato e portato ad<br />
esecuzione con la Legge 25 marzo 1985, n. 121, prevedono rapporti <strong>di</strong><br />
reciproca collaborazione fra la Pubblica Amministrazione e l’Autorità<br />
ecclesiastica per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali <strong>di</strong> interesse<br />
religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche;<br />
184 –
– il <strong>di</strong>scorso dell’art. 8 del D.P.R. n. 571 del 26-9-1996 relativo all’intesa tra<br />
il Ministro per i Beni Culturali e Ambientali e il Presidente della Conferenza<br />
Episcopale Italiana prevede che le <strong>di</strong>sposizioni in essa contenuta<br />
“possono costituire base <strong>di</strong> riferimento per le eventuali intese stipulate<br />
nell’esercizio delle rispettive competenze tra le Regioni e gli Enti autonomi<br />
territoriali ecclesiastici”.<br />
VALUTATO che si rende necessario un intervento coor<strong>di</strong>nato tra Autorità<br />
ecclesiastica e Governo regionale al fine <strong>di</strong> armonizzare ed ottimizzare<br />
gli interventi tesi alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali <strong>di</strong> interesse<br />
regionale e locale <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica.<br />
VISTO:<br />
– l’art. 12, n. 1 della L. 25 marzo 1985, n. 121 (Mo<strong>di</strong>ficazioni al Concordato<br />
lateranense dell’11 febbraio 1929);<br />
– il D.P.R. 26 settembre 1996, n. 571 (Intesa fra il Ministero per i beni<br />
culturali e ambientali ed il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana,<br />
sottoscritta in data 13 settembre 1996, relativa ai beni culturali<br />
ecclesiastici);<br />
– il Tit. I del D. Leg.vo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle <strong>di</strong>sposizioni<br />
in materia <strong>di</strong> beni culturali e ambientali);<br />
– la delibera <strong>di</strong> Giunta Regionale della Campania n. 4571 del 9 novembre<br />
2000 (Criteri e in<strong>di</strong>rizzi per gli interventi <strong>di</strong> tutela e valorizzazione dei<br />
beni culturali), che determina, in analogia con quanto stabilito a livello<br />
statale e in altre regioni italiane, per quanto riguarda gli interventi relativi<br />
ai beni culturali <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica, che vada stabilita la forma<br />
<strong>di</strong> consultazione regolata con protocollo d’intesa tra la Regione<br />
Campania e la Conferenza Episcopale della Campania, sul modello della<br />
sopraccitata intesa tra Stato e Chiesa del 13/9/96, autorizzando l’assessore<br />
con delega per i beni culturali a definire e firmare protocolli<br />
d’intesa con la Conferenza Episcopale Campana.<br />
PRESO ATTO del documento della Conferenza Episcopale Italiana<br />
«I beni culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti», approvato dalla<br />
XXXVI Assemblea Generale dei Vescovi italiani (26-29 ottobre 1992)<br />
ed in conformità agli in<strong>di</strong>rizzi dell’Autorità ecclesiastica.<br />
Tutto ciò premesso, le parti, come sopra costituite, convengono sull’opportunità<br />
<strong>di</strong> definire un accordo, atto a coor<strong>di</strong>nare gli interventi rientranti<br />
nelle rispettive competenze e tesi alla salvaguar<strong>di</strong>a e valorizzazione<br />
dei beni culturali <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica, al fine <strong>di</strong> ottimizzare il<br />
perseguimento dei comuni obiettivi. Tale accordo viene definito sulla base<br />
dei princìpi dell’intesa sottoscritta fra il Ministero per i beni culturali e<br />
– 185
ambientali ed il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana in data 13<br />
settembre 1996 e portata ad esecuzione con D.P.R. 26 settembre 1996, n.<br />
571, per le finalità <strong>di</strong> cui all’art. 12, n. 1, comma 1 dell’Accordo <strong>di</strong> revisione<br />
del Concordato Lateranense.<br />
Quanto sopra costituisce parte integrante della presente Intesa.<br />
186 –<br />
Si conviene quanto segue:<br />
Articolo 1<br />
Finalità<br />
Scopo della presente Intesa è l’attivazione <strong>di</strong> reciproche forme <strong>di</strong> collaborazione<br />
permanente fra la Regione e la Conferenza Episcopale, al fine<br />
<strong>di</strong> concordare opportune <strong>di</strong>sposizioni per armonizzare ed ottimizzare gli<br />
interventi sul patrimonio storico, artistico e culturale appartenente ad Enti<br />
ed istituzioni ecclesiastiche.<br />
Articolo 2<br />
Soggetti sottoscrittori<br />
Sono competenti, per l’attuazione delle presenti <strong>di</strong>sposizioni:<br />
a) il Presidente della Giunta Regionale della Campania, o persona da<br />
lui delegata;<br />
b) il Presidente della Conferenza Episcopale della Campania o persona<br />
da lui delegata.<br />
Gli Or<strong>di</strong>nari <strong>di</strong>ocesani territorialmente competenti, ciascuno nell’ambito<br />
della propria giuris<strong>di</strong>zione ecclesiastica e secondo le <strong>di</strong>sposizioni<br />
emanate dalla Santa Sede, fungono da tramite tra il Presidente della Conferenza<br />
Episcopale Campana o persona da lui delegata, con gli Istituti <strong>di</strong><br />
vita consacrata, le Società <strong>di</strong> vita apostolica e le loro articolazioni, che<br />
siano civilmente riconosciute.<br />
Articolo 3<br />
Accor<strong>di</strong><br />
Per il raggiungimento degli obiettivi comuni <strong>di</strong> cui all’art. 1, la Regione<br />
e la Conferenza Episcopale Campana promuovono, altresì, accor<strong>di</strong> e<br />
programmi congiunti con gli organi periferici del Ministero per i Beni e le<br />
Attività culturali, nonché con Comuni e Province.<br />
Detti accor<strong>di</strong> potranno definire anche la realizzazione <strong>di</strong> interventi ed<br />
iniziative che richiedono una partecipazione organizzativa e finanziaria<br />
congiunta, in<strong>di</strong>viduando le forme, i mo<strong>di</strong>, i tempi e le risorse finanziarie<br />
attivabili da ciascuna delle Parti interessate.
Articolo 4<br />
Reciprocità <strong>di</strong> informazione<br />
Le Parti si impegnano reciprocamente ad assicurare ogni utile scambio<br />
<strong>di</strong> informazioni per il perseguimento dei compiti prioritari <strong>di</strong> cui all’art. 1.<br />
In particolare, fra i soggetti competenti ai sensi dell’art. 2, è assicurata<br />
la più ampia informazione in or<strong>di</strong>ne alla pianificazione annuale e<br />
pluriennale, ai piani <strong>di</strong> spesa e alle determinazioni finali, nonché allo<br />
svolgimento e alla conclusione degli interventi e delle iniziative <strong>di</strong> cui<br />
agli artt. 1 e 3.<br />
Articolo 5<br />
Osservatorio regionale per i beni culturali<br />
<strong>di</strong> proprietà ecclesiastica<br />
Al fine <strong>di</strong> favorire lo scambio <strong>di</strong> informazioni, <strong>di</strong> suggerire orientamenti<br />
per sviluppare forme <strong>di</strong> collaborazione, <strong>di</strong> esaminare problematiche<br />
<strong>di</strong> comune interesse, <strong>di</strong> verificare con continuità l’attuazione delle presenti<br />
<strong>di</strong>sposizioni e <strong>di</strong> contribuire in tal modo alla concreta attuazione del<br />
presente accordo, le Parti si impegnano a costituire, entro trenta giorni<br />
dalla data <strong>di</strong> pubblicazione della presente Intesa, un organismo paritetico<br />
denominato “Osservatorio regionale per i beni culturali ecclesiastici”.<br />
Attraverso tale organismo, la Regione e la Conferenza Episcopale<br />
Campana, oltre a scambiarsi reciproche informazioni in or<strong>di</strong>ne ai piani e<br />
programmi <strong>di</strong>sciplinati dalla normativa vigente e/o a quelli pre<strong>di</strong>sposti<br />
dall’Autorità ecclesiastica, alle iniziative sostenute me<strong>di</strong>ante l’erogazione<br />
<strong>di</strong> contributi europei, nazionali, regionali o della Conferenza Episcopale<br />
Italiana, provvederanno a relazionare, con cadenza almeno trimestrale, sul<br />
loro stato <strong>di</strong> attuazione.<br />
L’Osservatorio è composto dall’Assessore alla Tutela dei Beni<br />
Paesistico-Ambientali e Culturali o suo delegato, dal Dirigente del Settore<br />
Tutela Beni Paesaggistici, Ambientali e Culturali e da un funzionario designato<br />
dalla Giunta Regionale della Campania, dal Vescovo delegato dalla<br />
Conferenza Episcopale della Campania, dall’Incaricato Regionale della<br />
Conferenza Episcopale Campana per i Beni Culturali e da un componente<br />
designato dalla Conferenza Episcopale Campana.<br />
Articolo 6<br />
Procedure<br />
Ciascun Soggetto sottoscrittore, nello svolgimento delle attività <strong>di</strong> propria<br />
competenza, si impegna ad utilizzare tutti gli strumenti <strong>di</strong> semplificazione<br />
e <strong>di</strong> snellimento dell’attività amministrativa prevista dalla vigente<br />
normativa e ad utilizzare appieno e in tempi rapi<strong>di</strong> tutte le risorse finanzia-<br />
– 187
ie destinate agli interventi connessi al presente Protocollo d’Intesa. Le<br />
Parti concordano, altresì, che i piani relativi ad interventi e/o iniziative <strong>di</strong><br />
interesse regionale afferenti i beni culturali saranno presentati alla Regione<br />
Campania per il tramite del Presidente della Conferenza Episcopale<br />
Campana o persona da lui incaricata.<br />
188 –<br />
Articolo 7<br />
Interventi <strong>di</strong> manutenzione straor<strong>di</strong>naria e <strong>di</strong> restauro<br />
Relativamente agli interventi <strong>di</strong> manutenzione straor<strong>di</strong>naria e <strong>di</strong> restauro<br />
<strong>di</strong> beni culturali nella <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> Enti ed Istituzioni soggetti<br />
alla loro giuris<strong>di</strong>zione, gli Or<strong>di</strong>nari <strong>di</strong>ocesani territorialmente competenti<br />
presenteranno un piano annuale, evidenziando le priorità e l’eventuale partecipazione<br />
finanziaria all’intervento <strong>di</strong> altri Enti pubblici e/o privati. Tali<br />
priorità, se corredate dalla documentazione prevista dalla Delibera <strong>di</strong> Giunta<br />
Regionale n. 4571 del 9/11/2000 citata in Premessa e nel rispetto dei criteri<br />
e degli in<strong>di</strong>rizzi in essa contenuti, avranno valore <strong>di</strong> richiesta <strong>di</strong> finanziamento<br />
ai sensi della Legge Regionale 9 novembre 1974, n. 58.<br />
Articolo 8<br />
Fruizione e accessibilità al pubblico.<br />
Recupero funzionale <strong>di</strong> immobili in <strong>di</strong>suso<br />
La Regione e la Conferenza Episcopale Campana si impegnano ad<br />
in<strong>di</strong>viduare, <strong>di</strong> comune accordo, modalità ed ambiti operativi al fine <strong>di</strong><br />
assicurare le più idonee con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> fruizione pubblica e valorizzazione<br />
dei beni culturali <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica, nel rispetto delle esigenze <strong>di</strong><br />
culto.<br />
La Conferenza Episcopale Campana si impegna a favorire la stipula <strong>di</strong><br />
Convenzioni con gli Enti proprietari per l’utilizzo <strong>di</strong> beni immobili ecclesiastici<br />
attualmente in <strong>di</strong>suso.<br />
Per le destinazioni e i nuovi usi degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto, che rivestono<br />
carattere <strong>di</strong> riconosciuta importanza storico-artistica ed in <strong>di</strong>suso, si esigerà<br />
che la loro sistemazione, convenientemente stu<strong>di</strong>ata in collaborazione<br />
con le competenti Soprintendenze, corrisponda al titolo della <strong>di</strong>gnità originaria.<br />
Articolo 9<br />
Modalità <strong>di</strong> attuazione<br />
L’attuazione della presente Intesa, nel rispetto degli in<strong>di</strong>rizzi e dei suggerimenti<br />
che saranno forniti dall’Osservatorio <strong>di</strong> cui al precedente art. 5,<br />
è rispettivamente demandata alle strutture e organi regionali e agli organismi<br />
ecclesiastici competenti per la materia e sarà, <strong>di</strong> volta in volta,<br />
regolamentata da apposite Convenzioni.
Articolo 10<br />
Decorrenza<br />
La presente Intesa entrerà in vigore dalla data <strong>di</strong> pubblicazione ed avrà<br />
durata <strong>di</strong> cinque anni, rinnovabile tacitamente <strong>di</strong> legislatura in legislatura,<br />
salvo <strong>di</strong>verso inten<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> una delle parti espresso con formale comunicazione.<br />
Durante il periodo <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà la presente intesa potrà comunque essere<br />
oggetto <strong>di</strong> verifica perio<strong>di</strong>ca e mo<strong>di</strong>ficata <strong>di</strong> comune accordo.<br />
PER LA REGIONE CAMPANIA<br />
On.le Antonio Bassolino<br />
PER LA CONFERENZA<br />
EPISCOPALE CAMPANA<br />
S. E. Card. Michele Giordano<br />
– 189
190 –
LUCA 1, 39-56 NELLE PARAFRASI DI<br />
GIOVENCO (1, 80-104) E PAOLINO (carm. 6, 139-78)<br />
ANTONIO V. NAZZARO *<br />
1. Luca è l’evangelista che fornisce la maggiore quantità <strong>di</strong> notizie<br />
su Giovanni Battista nelle tre gran<strong>di</strong> sezioni in cui possiamo <strong>di</strong>videre<br />
i suoi scritti: e cioè, il Vangelo dell’infanzia (Lc 1-2: il primo<br />
capitolo de<strong>di</strong>cato a Giovanni, il secondo a Gesù); il Vangelo della<br />
vita pubblica <strong>di</strong> Gesù (Lc 3-24) e gli Atti (Act 1, 5; 1, 22; 10, 37; 11,<br />
16; 13, 24; 19, 4).<br />
Luca è l’evangelista che spinge forse più avanti il suo progetto <strong>di</strong><br />
assimilazione <strong>di</strong> Giovanni con Gesù. Il Battista non solo è sin dall’inizio<br />
perfettamente inserito nel piano <strong>di</strong> Dio, ma risulta ad<strong>di</strong>rittura<br />
per via <strong>di</strong> madre, parente <strong>di</strong> Gesù (1, 36). Luca, pur riducendone il<br />
significato rispetto a Marco, conserva il ricordo del battesimo ricevuto<br />
da Gesù. Con la scena della visitazione è Gesù stesso l’origine<br />
prima e significativa <strong>di</strong> quel battesimo. Perciò al momento del battesimo<br />
<strong>di</strong> Gesù, la presenza del Battista è secondaria nel racconto, tanto<br />
che il «battezzarsi» <strong>di</strong> Gesù è stato inteso da alcuni esegeti come<br />
una sorta <strong>di</strong> autobattesimo.<br />
Il gioco <strong>di</strong> parallelismi fra Giovanni e Gesù risponde al doppio<br />
scopo <strong>di</strong> “cristianizzare” il Battista e <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>narlo in modo definitivo<br />
a Gesù. La scena dell’incontro dei nascituri è architettata per<br />
cancellare ogni sospetto che Gesù, in quanto destinato a essere battezzato<br />
da Giovanni, gli sia in qualche modo inferiore, ovvero che<br />
abbia bisogno del battesimo per ricevere lo Spirito. Luca è attento<br />
alla Visitazione, per rendere accettabile il dato, che gli crea un problema<br />
teologico, del battesimo <strong>di</strong> Gesù. E’ Gesù che, generato dallo<br />
Spirito-potenza <strong>di</strong> Dio, comunica lo Spirito a Giovanni al sesto mese<br />
dal <strong>di</strong> lui concepimento (straor<strong>di</strong>nario, ma pur sempre naturale). Da<br />
tale comunicazione <strong>di</strong> Spirito trae efficacia il battesimo <strong>di</strong> Giovanni,<br />
che anche per Luca toglie i peccati (3, 3; 1, 77), ma esso non serve a<br />
Gesù. Perciò, probabilmente, la scena del battesimo <strong>di</strong> Gesù è evitata<br />
da Luca, e la <strong>di</strong>scesa dello Spirito non avviene in concomitanza<br />
* Conferenza tenuta il 28 Maggio 2002.<br />
– 191
con esso, ma dopo, mentre Gesù prega (3, 21). Il Cristo nasce però<br />
da una vergine, per opera dello Spirito santo (Lc 1, 26-38) e il <strong>di</strong>vario<br />
fra i due personaggi lucani è incolmabile .<br />
A Giovanni Battista, “precursore del Signore”, “porta sacra del<br />
Vangelo” e “punto d’arrivo della Legge”, uno dei più significativi<br />
personaggi <strong>di</strong> confine tra Antico e Nuovo Testamento 1 , Paolino <strong>di</strong><br />
<strong>Nola</strong> ha de<strong>di</strong>cato il carme VI, in 330 esametri. In esso è cantata la<br />
storia del Battista, dall’apparizione angelica e promessa della nascita,<br />
fatta a Zaccaria, fino alla vita penitente nel deserto e alla sua attività<br />
<strong>di</strong> battezzatore presso le rive del Giordano.<br />
Il fatto che il carme s’interrompa bruscamente sulla soglia dell’incontro<br />
<strong>di</strong> Giovanni con il Messia e trascuri il suo glorioso martirio<br />
è stato spiegato o con la per<strong>di</strong>ta della parte finale o con l’ipotesi<br />
che il componimento sia incompiuto. Entrambe le ipotesi si scontrano<br />
contro l’ovvia considerazione che il carme è sostanzialmente una<br />
parafrasi <strong>di</strong> Lc 1, 5-80. Il tema <strong>di</strong> Giovanni, precursore <strong>di</strong> Cristo, è da<br />
considerarsi concluso con la sua attività <strong>di</strong> battezzatore presso le rive<br />
del Giordano, che costituisce la sua vera missione anche rispetto alla<br />
precedente vita penitente nel deserto.<br />
Il carme VI fu composto tra gli anni 389-394, o, se vogliamo<br />
essere più precisi, nel 389/90 in Gallia, nell’imminenza del battesimo<br />
per mano <strong>di</strong> Delfino o, più verosimilmente, in Spagna, poco dopo<br />
il battesimo . È in questo contesto <strong>di</strong> esperienza personale che il carme<br />
s’inquadra ed è dalla teologia battesimale che esso riceve luce.<br />
Ben presto - sempre che il Carme VI sia anteriore - Paolino si<br />
cimenta con la parafrasi del Salterio, a sua volta retractatio poetica<br />
dei precedenti libri biblici. Del <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> versificazione del Salterio,<br />
che è il libro biblico più utilizzato da Paolino, ci resta la parafrasi dei<br />
soli Salmi 1 (carme VII in trimetri giambici), 2 (carme VIII in<br />
esametri) e 136 (carme IX in esametri). Non essendo verisimile che<br />
questi siano tre pezzi isolati, quasi massi erratici, nella produzione<br />
poetica paoliniana, si può ragionevolmente ipotizzare sia la per<strong>di</strong>ta<br />
degli altri Salmi, sia la rinuncia del parafraste a proseguire nella<br />
versificazione del Salterio, e non necessariamente perché s’accorse<br />
che l’assunto era superiore alle sue forze. Quanto poi alla successione<br />
cronologica dei tre Carmi, o Paolino, dopo aver parafrasato i primi<br />
due Salmi, ha fatto un ultimo tentativo con il famoso Salmo 136,<br />
1<br />
Paolino, accennando alle reliquie conservate nel tempio <strong>di</strong> Felice, così definisce<br />
Giovanni: Hic et praecursor domini et baptista Iohannes / idem euangelii<br />
sacra ianua metaque legis (carm. XXVII 411s.).<br />
192 –
oppure proprio dalla parafrasi <strong>di</strong> quest’ultimo Salmo gli è nata l’idea<br />
<strong>di</strong> estenderla a tutto il Salterio e ha abbandonato il progetto dopo i<br />
primi due Salmi. La parafrasi salmica <strong>di</strong> Paolino è il primo esempio<br />
<strong>di</strong> poesia parafrastica veterotestamentaria in Occidente e l’unica<br />
retractatio - sia pure assai limitata - del Salterio.<br />
Quanto al genere (o ai generi letterari), è innegabile che il carme<br />
VI appartenga alla parafrasi esametrica biblica, un genere poetico<br />
sul quale Paolino riflette nella praefatio. Il parafraste cristiano segue,<br />
infatti, come ipotesto fondamentale del suo carme il primo capitolo<br />
del vangelo dell’infanzia <strong>di</strong> Luca (in particolare, i versetti 5-45 e<br />
57-80), integrandolo con Lc 3, 2-5, Mt 3, 4 ; 11, 7-11 e Mc 1, 2-6.<br />
Altrettanto innegabile è la sua appartenenza all’agiografia, genere<br />
letterario che Paolino non mancherà <strong>di</strong> trattare anche in versi 2 .<br />
A questo genere rimandano, infatti, sia gli sviluppi parafrastici<br />
del testo evangelico, riguardanti soprattutto il Battista fanciullo, la<br />
sua eccezionale docilità e serietas, che preannuncia il futuro penitente<br />
(vv. 205ss.); sia l’impiego <strong>di</strong> topoi agiografici, quali sono, a<br />
esempio, la voce celeste che invita il Battista a compiere la sua missione<br />
sulle rive del Giordano (vv. 255-69) e l’apparizione a Zaccaria<br />
dell’Angelo, che lascia <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé l’aria impregnata <strong>di</strong> profumi; sia,<br />
infine, la descrizione della vita nel deserto con una spiccata<br />
accentuazione dei tratti ascetici della figura <strong>di</strong> Giovanni, considerato<br />
dalla tra<strong>di</strong>zione monastica princeps degli anacoreti e modello della<br />
vita perfetta, che si realizza nel monachesimo. 3 Nel descrivere la<br />
vita ascetica del Battista Paolino utilizza lo stesso lessico, con il quale<br />
definirà più tar<strong>di</strong> la sua vita <strong>di</strong> monaco.<br />
Il carme VI si ricollega, infine, al genere poetico del panegirico<br />
cristiano, <strong>di</strong>scendente dalla laus o encomio: il cod. Paris. Lat. 7558,<br />
del sec. IX., reca come titolo Laus sancti Iohannis, che, anche se<br />
non è originale, conferma tuttavia il carattere <strong>di</strong> encomio, con cui<br />
manifestamente si chiude il carme (vv. 315-330). Certamente Paolino<br />
2<br />
Su Paolino agiografo vd. G. LUONGO, Lo specchio dell’agiografo. S. Felice<br />
nei carmi XV e XVI <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>, Napoli 1992.<br />
3<br />
Cfr. Hier. epist. 22, 6 Iohanes princeps nostri dogmatis, ipse monachus . Sulla<br />
presenza del Battista nella letteratura cristiana antica e me<strong>di</strong>evale si vedano G.<br />
PENCO, S. Giovanni Battista nel ricordo del monachesimo me<strong>di</strong>evale , « Stu<strong>di</strong>a<br />
Monastica» 3 , 1961, pp. 9ss., ed. E. LUPIERI, Felices sunt qui imitantur Iohannem<br />
(Hier. Hom. in Io.), «Augustinianum» 24, 1984, pp. 33-71. Dello stesso autore<br />
sono due fondamentali saggi sul Battista apparsi nel 1988 presso la Paideia E<strong>di</strong>trice<br />
<strong>di</strong> Brescia (Giovanni Battista nelle tra<strong>di</strong>zioni sinottiche e Giovanni Battista fra<br />
storia e leggenda ).<br />
– 193
sperimenta in questo carme una laudatio in versi <strong>di</strong> un uir Dei, non<br />
<strong>di</strong>menticando i moduli delle laudationes funebres e dei panegirici<br />
imperiali. 4<br />
2. Con la presente relazione proseguo l’analisi della riscrittura<br />
metrica del carme 6 <strong>di</strong> Paolino comparato con la corripondente<br />
riscrittura metrica <strong>di</strong> Giovenco (autore degli Euangeliorum libri IV,<br />
composti nel 330 ca), che segue - come vedremo - ad uerbum<br />
l’ipotesto lucano.<br />
E passo alla pericope lucana, che è l’ oggetto <strong>di</strong> questa relazione:<br />
la visita <strong>di</strong> Maria a Elisabetta e l’incontro - prima della loro nascita<br />
- <strong>di</strong> Giovanni e Gesù.<br />
Maria fa visita a Elisabetta, accogliendo con pronta generosità<br />
le parole con cui l’angelo le ha rivelato il progetto <strong>di</strong> Dio. Essa corre<br />
là dove questo progetto comincia a realizzarsi, per riconoscere, adorare<br />
e cantare.<br />
Luca concentra il tutto intorno a due <strong>di</strong>scorsi: quello <strong>di</strong> Elisabetta<br />
che proclama la beatitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Maria (vv. 41-45) e quello <strong>di</strong> Maria,<br />
che magnifica la potenza del Signore (vv. 46-55).<br />
2. 1. Le notizie storiche sono precise ed essenziali: in quei giorni<br />
Maria si reca in fretta verso la regione montuosa, in una città <strong>di</strong> Giuda;<br />
entra nella casa <strong>di</strong> Zaccaria e saluta Elisabetta; il figlio non ancora<br />
nato si muove nel seno <strong>di</strong> Elisabetta, che è ricolma <strong>di</strong> Spirito Santo.<br />
Il dono dello Spirito la rende capace <strong>di</strong> comprendere e <strong>di</strong> interpretare<br />
il significato profondo <strong>di</strong> quanto sta avvenendo:<br />
Lc 1, 39 Exsurgens autem Maria in <strong>di</strong>ebus illis abiit in montana<br />
cum festinatione in ciuitatem Iuda. (40) Et intrauit in domum<br />
Zachariae et salutauit Elisabeth. (41) Et factum est ut au<strong>di</strong>uit<br />
salutationem Mariae Elisabeth,/exsultauit infans in utero eius /et<br />
repleta est Spiritu sancto Elisabeth 5 .<br />
4<br />
È appena il caso <strong>di</strong> ricordare che Paolino è autore <strong>di</strong> un panegirico perduto a<br />
Teodosio; su questo scritto informa compiutamente Y.-M. DUVAL, Le panégyrique<br />
de Théodose par Paulin de Nole. Sa date, son sens, son influence, in G. LUONGO<br />
(ed.), Anchora uitae. Atti del II Convegno Paoliniano nel XVI centenario del ritiro<br />
<strong>di</strong> Paolino a <strong>Nola</strong> (<strong>Nola</strong>-Cimitile 18-20 maggio 1995), Napoli-Roma, LER, 1998,<br />
pp. 137-58 . Per R. P. H. GREEN (The Poetry of Paulinus of <strong>Nola</strong>. A Study of his<br />
Latinity , Bruxelles 1971, p. 22): « The opening prayer and the frequent speechs are<br />
paralleled in the contemporary panegyrics of Clau<strong>di</strong>an».<br />
5<br />
Lc 1, 39-41: « In quei giorni Maria, messasi in viaggio, si recò in fretta verso<br />
la regione montagnosa, in una città <strong>di</strong> Giuda. Ed entrò nella casa <strong>di</strong> Zaccaria e<br />
salutò Elisabetta. E accadde che appena Elisabetta ebbe ascoltato il saluto <strong>di</strong> Maria,<br />
le balzò in seno il bambino ed Elisabetta fu ripiena <strong>di</strong> Spirito santo».<br />
194 –
I versetti 39-41 sono parafrasati quasi alla lettera da Giovenco:<br />
Illa dehinc rapi<strong>di</strong>s Iudaeam passibus urbem<br />
Zachariaeque domum penetrat grauidamque salutat<br />
Elisabet, clausae cum protinus anxia prolis<br />
membra uteri gremio motu maiore resultant.<br />
Et simul exiluit mater concussa tremore,<br />
<strong>di</strong>uinae uocis conpleta est flamine sancto 6 .<br />
Il presbitero spagnolo segue paene ad uerbum l’ipotesto lucano,<br />
trascurando il solo dettaglio in montana: rende cum festinatione con<br />
rapi<strong>di</strong>s passibus 7 ; muta ciuitatem Iuda in Iudaeam urbem; aggiunge<br />
grauidam a Elisabeth; e al sussulto del figlio nel grembo della<br />
madre fa seguire quello della stessa madre, che dalla voce <strong>di</strong> Maria<br />
riceve lo Spirito.<br />
A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Giovenco, che come s’è visto si attiene strettamente<br />
all’ipotesto lucano, Paolino lo sviluppa con maggiore libertà,<br />
apportando a esso variazioni e trasposizioni interessanti:<br />
Interea grauidam soboles quamquam e<strong>di</strong>ta necdum<br />
instigat Mariam sanctam, ut progressa reuisat<br />
Elisabeth, longo quae iam uenerabilis aeuo<br />
<strong>di</strong>lectum domino puerum paritura gerebat.<br />
Auscultat nato genitrix ( uis tanta fidei!)<br />
et quo iussa uenit; mouit materna Iohannes<br />
uiscera et inpleuit <strong>di</strong>uino pectora sensu.<br />
Iam uates necdum genitus conclusus in aluo<br />
iamque propheta prius gesta et uentura uidebat 8 .<br />
6<br />
Iuuenc. 1, 80-85 (CSEL 24, 7) : « Ella poi con rapi<strong>di</strong> passi entra nella città<br />
<strong>di</strong> Giuda e nella casa <strong>di</strong> Zaccaria e saluta Elisabetta incinta, mentre le membra<br />
ansiose del figlio racchiuso nel grembo dell’utero rimbalzano con un più intenso<br />
movimento. E nel contempo balzò la madre scossa dalla paura ed è riempita dal<br />
santo soffio della voce <strong>di</strong>vina»<br />
7<br />
Il nesso ricorre in Verg. Aen. 7, 156 festinant iussi rapi<strong>di</strong>sque feruntur/passibus<br />
(sono i cento oratori inviati in ambasceria da Enea a re latino) e, nella stessa sede<br />
metrica, in Val. Fl. Arg. 6, 489 e Stat. Theb. 3, 410.<br />
8<br />
Paul. Nol. carm. 6, 139-47 : « Frattanto il figlio, sebbene non ancora venuto<br />
alla luce, sprona la santa Maria in stato <strong>di</strong> gravidanza a mettersi in viaggio e a far <strong>di</strong><br />
nuovo visita a Elisabetta, che, ormai venerabile per l’età avanzata portava nel grembo<br />
ed era prossima a partorire il fanciullo caro al Signore. La madre dà ascolto al figlio<br />
(tanta è la forza della fede !) e venne là dove le era stato comandato; Giovanni<br />
mosse le viscere della madre e le riempì il cuore <strong>di</strong> ispirazione <strong>di</strong>vina. Già il profeta,<br />
non ancora nato e ancora racchiuso nel ventre, e già il profeta vedeva le cose<br />
passate e future».<br />
– 195
Paolino, a cui poco interessano le coor<strong>di</strong>nate temporali e spaziali<br />
della narratio lucana, sottolinea il ruolo attivo che i due figli non<br />
ancora nati svolgono in essa: Gesù, non ancora nato, svolge una funzione<br />
<strong>di</strong> stimolo (instigare è però comunemente impiegato in accezione<br />
negativa!) nei riguar<strong>di</strong> della madre incinta a mettersi in viaggio<br />
per far visita (progressa reuisat) 9 a Elisabetta prossima a partorire,<br />
non ostante l’età avanzata, il fanciullo caro al Signore e Maria si<br />
mette in viaggio, non per sciogliere un dubbio o verificare la verità<br />
delle parole dell’angelo (v. 36), ma per obbe<strong>di</strong>enza al figlio appena<br />
concepito (v. <strong>14</strong>3). Giovanni, il profeta (si noti la repetitio anaforica<br />
<strong>di</strong> iam e la uariatio sinonimica uates /propheta), non ancora nato,<br />
mosse le viscere della madre e le riempì il cuore della <strong>di</strong>vina ispirazione.<br />
In Luca (1, 41 e, nella sua scia, Giovenco) al saluto <strong>di</strong> Maria<br />
Giovanni sussulta nel grembo <strong>di</strong> Elisabetta e questa è nel contempo<br />
ripiena dello Spirito santo; in Paolino, invece, è Giovanni, che all’ascolto<br />
del saluto <strong>di</strong> Maria, muove le viscere della madre e a essa<br />
trasmette lo Spirito.<br />
Lo scarto paoliniano dall’ipotesto lucano si spiega alla luce <strong>di</strong><br />
un’interessante pagina del Commento a Luca <strong>di</strong> Ambrogio:<br />
Vocem prior Elisabet au<strong>di</strong>uit, sed Iohannes prior gratiam sensit: illa<br />
naturae or<strong>di</strong>ne au<strong>di</strong>uit, iste exultauit ratione mysterii, illa Mariae, iste<br />
domini sensit aduentum, femina mulieris et pignus pignoris [… ]<br />
Exsultauit infans, repleta mater est. Non prius mater repleta quam<br />
filius, sed cum filius esset repletus spiritu sancto, repleuit et matrem<br />
[…] Exsultante Iohanne repletur Elisabet» 10 .<br />
2. 2. Elisabetta risponde al saluto proclamando a gran voce Maria<br />
benedetta fra le donne a motivo della presenza nel suo seno <strong>di</strong> un<br />
frutto benedetto. Considera, poi, gli effetti che la visita, <strong>di</strong> cui si sente<br />
indegna, provoca in lei. Il bambino le sussulta in seno: è un pic-<br />
9<br />
Il verbo reuisere sottolinea una consuetu<strong>di</strong>ne nello scambio <strong>di</strong> visite <strong>di</strong> cortesia<br />
tra le due parenti.<br />
10<br />
Ambr. in Luc. 2, 23 (SAEMO 11, 164-66) : «Elisabetta per prima sentì la<br />
voce, ma Giovanni per primo sperimentò la grazia: quella sentì secondo l’or<strong>di</strong>ne<br />
della natura, questo esultò per effetto del mistero, quella avvertì la venuta <strong>di</strong> Maria,<br />
questi avvertì la venuta del Signore, la donna avvertì la venuta dell’altra donna, il<br />
figlio quella dell’altro figlio[…] Esultò il bambino, fu ripiena la madre. Né la madre<br />
fu ripiena prima del figlio, ma, essendo il figlio ripieno dello Spirito Santo, ne<br />
ricolmò anche la madre […] Mentre Giovanni esulta, Elisabetta è ripiena.»<br />
196 –
colo segno che le fa intuire chi è che le sta davanti. Lo Spirito Santo,<br />
poi, le fa conoscere e confessare il mistero: Maria è madre del Messia,<br />
nel suo seno porta il santo, colui che è fonte <strong>di</strong> ogni bene<strong>di</strong>zione<br />
e sorgente della gioia messianica. Elisabetta conclude proclamandola<br />
beata per la fede con la quale ha reagito alla proposta <strong>di</strong>vina: è<br />
beata, perché fedele, perché u<strong>di</strong>trice della parola del Signore:<br />
Lc 1, 42. et exclamauit uoce magna et <strong>di</strong>xit:/Bene<strong>di</strong>cta tu inter mulieres<br />
et bene<strong>di</strong>ctus fructus uentris tui. (43) Et unde hoc mihi ut ueniat mater<br />
Domini mei ad me (44) Ecce enim ut facta est uox salutationis tuae<br />
in auribus meis,/exsultauit in gau<strong>di</strong>o infans in utero meo (45) et beata<br />
quae cre<strong>di</strong><strong>di</strong>sti/quoniam perficientur ea quae <strong>di</strong>cta sunt tibi a Domino<br />
11 .<br />
I quattro versetti <strong>di</strong> Luca sono metricamente ritrascritti da<br />
Giovenco:<br />
et magnum clamans: ‘Felix o femina, salue,<br />
felicem gestans uteri sinuamine fetum.<br />
Unde meam tanto uoluit Deus aequus honore<br />
illustrare domum, quam mater numinis alti<br />
90. uiseret Ecce meo gaudens in uiscere proles<br />
exultat, Mariae cum prima adfamina sensit.<br />
Felix, qui cre<strong>di</strong>t finem mox adfore uerbis,<br />
quae Deus ad famulos magnum <strong>di</strong>gnando loquetur 12 .<br />
È appena il caso <strong>di</strong> far notare come Giovenco segua pe<strong>di</strong>ssequamente<br />
la narratio lucana, sia nella ripresa degli incipit dei singoli<br />
versetti (1, 42 et exclamauit uoce magna ~ v. 86 et magnum clamans;<br />
43 Et unde ~ v. 88 Vnde; 44 Ecce ~ v. 90 Ecce; 45 et beata quae<br />
cre<strong>di</strong><strong>di</strong>t ~ v. 92 Felix, qui cre<strong>di</strong>t), sia nella rielaborazione accurata<br />
del lessico.<br />
Nei vv. 86-87 il presbitero spagnolo esplicita a livello sintattico<br />
l’evidente rapporto <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione esistente tra i due stichi paral-<br />
11<br />
Lc 1, 42-45: «Ed escamò a gran voce e <strong>di</strong>sse: “Benedetta tu tra le donne e<br />
benedetto il frutto del tuo ventre. E perché mi accade ciò, che venga a me la madre<br />
del Signore mio Ecco, infatti, che appena il suono del tuo saluto è giunto alle mie<br />
orecchie, il bambino m’è balzato in seno per la gioia. E benedetta colei che ha<br />
creduto che si realizzeranno le cose che ti sono state dette dal Signore».<br />
12<br />
Iuuenc. 1, 86-93 : «E ad alta voce <strong>di</strong>ce: O donna benedetta, salve, tu che porti<br />
un frutto benedetto nella sinuosa cavità dell’utero. Perché il giusto Dio volle illustrare<br />
con tanto onore la mia casa, che la madre dell’alto Nume venisse a visitarla<br />
Ecco per la gioia esulta il figlio nelle mie viscere, appena ha sentito le prime parole<br />
rivolte da Maria. Beato colui che crede che avranno presto compimento le parole<br />
che Dio con grande degnazione <strong>di</strong>rà ai suoi servi»<br />
– 197
leli del versetto 42 Bene<strong>di</strong>cta tu inter mulieres /et bene<strong>di</strong>ctus fructus<br />
uentris tui (Maria è benedetta, perché porta nel suo seno un frutto<br />
benedetto). Con sinuamine il poeta spagnolo sottolinea la nozione <strong>di</strong><br />
cavità (gr. koiliva), che inerisce a uterus, così detto «quod duplex sit<br />
et ab utraque in duas se <strong>di</strong>uidat partes, quae in <strong>di</strong>uersum <strong>di</strong>ffusae ac<br />
replexae circumplicantur in modum cornu arietis; uel quod interius<br />
impleatur foetu» (Isid. or. 11, 1, 135).<br />
Nei vv. 88-89 la riscrittura esametrica dell’interrogatio del versetto<br />
43 sottolinea l’onore che la visita della madre del sommo Dio<br />
arreca alla casa <strong>di</strong> Elisabetta. Il nesso Deus aequus rinvia a Verg.<br />
Aen. 6, 129 s. pauci quos aequus amauit/Iuppiter; in entrambi i testi<br />
aequus è da intendere nell’accezione <strong>di</strong> propitius: la giustizia spinge<br />
Giove e Dio a essere propizi rispettivamente ai pochi eroi destinati<br />
dalla <strong>di</strong>vinità a risalire dagli inferi e alla casa, pur essa pre<strong>di</strong>letta, <strong>di</strong><br />
Elisabetta. Quanto alla clausola, dal sapore pagano, numinis alti ,<br />
essa ricorre in Ilario, De euangelio 2, 19 e in Cipriano poeta, Gen.<br />
798. 1086 e Deut. 31.<br />
Nei vv. 90-91 è sottolineato il rapporto tra le parole (adfamina è<br />
un hapax giovenchiano) pronunciate da Maria e il sussulto per la<br />
gioia del bambino (versetto 44); nei vv. 45-46 passando dal femminile<br />
dell’ipotesto (versetto 45) (et beata quae cre<strong>di</strong>t) al maschile (Felix<br />
qui) il poeta spagnolo conferisce al makarismòs un’intonazione <strong>di</strong><br />
carattere universale e introduce il concetto della <strong>di</strong>gnatio <strong>di</strong>vina nei<br />
riguar<strong>di</strong> dell’uomo.<br />
Nella parafrasi dei versetti lucani, Paolino procede con grande libertà,<br />
spiegando il testo e realizzandolo con ad<strong>di</strong>tiones interessanti:<br />
Illa ubi concepto fulgentem lumine longe<br />
conspexit Mariam, celeri procul incita gressu<br />
obuia progre<strong>di</strong>tur uenerataque brachia tendens:<br />
salue, o mater, ait, domini, salue, pia uirgo,<br />
inmunis thalami coitusque ignara uirilis,<br />
sed paritura deum; tanti fuit esse pu<strong>di</strong>cam,<br />
intacta 13 ut ferres titulos et praemia nuptae.<br />
Cur mihi non meritae nec tanto munere <strong>di</strong>gnae<br />
officii defertur honos Cur gloria caeli<br />
in nostros delata Lares et uilia tecta<br />
13<br />
Accolgo l’emendazione intacta proposta da D. R. Shakleton Bailey (Critical<br />
Notes on the Poems of Paulinus <strong>Nola</strong>nus , «Am. Journ. Philol.» 1976p. 4 s.) sulla<br />
base della considerazione che lo stato <strong>di</strong> nupta intacta non è in sé stesso miracoloso<br />
e non comporta alcun titolo o premio. Il senso è: Maria, pur rimanendo vergine,<br />
aveva <strong>di</strong>ritto al nome e ai privilegi della donna sposata e madre.<br />
198 –
obscuris tantum lumen penetralibus infert<br />
Sed mitis placidusque suis cultoribus adsit,<br />
praestet et hunc genitus quem praestitit ante fauorem.<br />
Dixit et amplexus ulnis circumdata iunxit<br />
iamque deum uenerata pio de<strong>di</strong>t oscula uentri <strong>14</strong> .<br />
Nella scena inondata dalla luce irra<strong>di</strong>ata da Maria il <strong>Nola</strong>no colloca<br />
Elisabetta, che, non appena la vede da lontano, le va subito incontro<br />
e le tende le braccia in atto <strong>di</strong> venerazione (brachia tendens ).<br />
La lontananza tra le due donne, esclusa da Luca (v. 40) e sottolineata<br />
invece da Paolino attraverso l’impiego <strong>di</strong> longe al v. <strong>14</strong>8 e procul al<br />
v. <strong>14</strong>9, è un motivo epico, probabilmente mutuato da Virgilio 15 e dal<br />
suo predecessore Giovenco. 16<br />
Il saluto <strong>di</strong> Elisabetta (secondo stico del versetto 42) è sviluppato<br />
nei vv. 151-54 da Paolino, che, riprendendo da Giovenco il termine<br />
classico salue e impiegandolo due volte nello stesso verso, saluta<br />
Maria, come madre <strong>di</strong> Dio e pia vergine. 17<br />
L’interrogatio lucana (versetto 43) si sdoppia in Paolino in due<br />
interrogationes, che sottolineano l’omaggio <strong>di</strong> Elisabetta, che nella<br />
prima si <strong>di</strong>chiara indegna della visita della congiunta e nella seconda<br />
(nella scia <strong>di</strong> Giovenco) si stupisce che il Signore abbia voluto con la<br />
sua presenza illuminare la sua oscura <strong>di</strong>mora. Il motivo della luce<br />
riprende e sviluppa l’accenno contenuto nel v. <strong>14</strong>8 e ha indubbi punti<br />
<strong>di</strong> contatto con il luogo parallelo <strong>di</strong> Giovenco 1, 88s. Unde meam<br />
tanto uoluit deus aequus honore /illustrare domum .<br />
<strong>14</strong><br />
Paul. Nol. carm. 6, <strong>14</strong>8-62: «Ella appena vide da lontano Maria fulgente<br />
della luce che aveva concepito, le va incontro da lontano muovendosi con passo<br />
veloce e, tendendo le braccia in atto <strong>di</strong> venerazione, <strong>di</strong>ce : “Salve, o madre <strong>di</strong> Dio,<br />
salve, o pia vergine, libera da nozze e ignara <strong>di</strong> rapporti con uomo, ma destinata a<br />
partorire <strong>di</strong>o; fu tanto importante per te l’essere pu<strong>di</strong>ca, che da vergine portavi i<br />
titoli e i privilegi della donna sposata. Perché a me che non lo merito e non sono<br />
degna <strong>di</strong> un dono così grande viene offerto l’onore della tua visita Perché la<br />
gloria del cielo portata nella nostra famiglia e nella nostra umile casa introduce<br />
negli oscuri penetrali una luce così intensa Ma il figlio assista mite e placido i suoi<br />
devoti e garantisca il favore che già prima aveva concesso”. Disse e circondata<br />
dalle sue braccia ricambiò gli abbracci e, già venerando Dio, dette baci al santo<br />
seno».<br />
15<br />
Cf. Verg. Aen. 6, 684s. Isque ubi tendentem aduersum per gramina ui<strong>di</strong>t /<br />
Aenean, alacris palmas utrasque teten<strong>di</strong>t .<br />
16<br />
Cf. Iuuenc. 2, 110 illum ubi tendentem longe respexit Iesus .<br />
17<br />
Cf. P. Flury, Das sechste Ge<strong>di</strong>cht des Paulinus von <strong>Nola</strong>, «Vig. Chr.» 27,<br />
1973, p. 138.<br />
– 199
Segue l’invocazione al redentore dell’umanità, che con l’incarnazione<br />
ha già manifestato il suo favore, ad assistere i suoi devoti .<br />
La preghiera è modellata su quella dei fanciulli ad Apollo nel Carmen<br />
saeculare <strong>di</strong> Orazio (33s Con<strong>di</strong>to mitis placidusque telo / supplices<br />
au<strong>di</strong> pueros) più che su quella <strong>di</strong> Enea a Mercurio (Verg. Aen. 4, 578<br />
Adsis o placidusque iuues).<br />
Paolino conclude la parafrasi dei versetti lucani con l’ine<strong>di</strong>to<br />
particolare del mutuo abbraccio delle due donne (Maria per prima<br />
abbraccia Elisabetta, che risponde con un abbraccio e con il bacio al<br />
santo grembo <strong>di</strong> Maria). 18<br />
2. 3. La pericope della visita <strong>di</strong> Maria a Elisabetta si conclude<br />
con il Magnificat, che, con abbondanti riferimenti alle profezie<br />
veterotestamentarie, celebra le gesta misericor<strong>di</strong>ose <strong>di</strong> Dio lungo l’arco<br />
della storia della salvezza, che trovano nella pienezza dei tempi la<br />
loro definitiva realizzazione.<br />
Nel cantico, che si ispira a quello <strong>di</strong> Anna (1 Samuele 2, 1-10),<br />
Maria, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Elisabetta, si rivolge <strong>di</strong>rettamente a Dio e lo<br />
saluta come salvatore.<br />
Maria esprime la sua gioiosa gratitu<strong>di</strong>ne per il favore ricevuto<br />
(46-48), canta la misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio verso tutti quelli che lo temono<br />
(49-50) e il suo speciale amore per gli umili (51-53) e per Israele<br />
(54-55):<br />
Lc 1, 46. Et ait Maria: Magnificat anima mea Dominum (47) et<br />
exsultauit spiritus meus in Deo salutari meo. (48) Quia respexit<br />
humilitatem ancillae suae; ecce enim ex hoc beatam me <strong>di</strong>cent omnes<br />
generationes. 49. Quia fecit mihi magna qui potens est; et sanctum<br />
nomen eius.50. Et midericor<strong>di</strong>a eius a progenie in progenies timentibus<br />
eum. 51. Fecit potentiam in brachio suo, <strong>di</strong>spersit superbos mente<br />
cor<strong>di</strong>s sui. 52. Deposuit potentes de sede et exaltauit humiles. 53.<br />
Esurientes impleuit bonis et <strong>di</strong>uites <strong>di</strong>misit inanes. 54. Suscepit Israhel<br />
puerum suum, recordatus misericor<strong>di</strong>ae suae, 55. sicut locutus est ad<br />
patres nostros, Abraham et semini eius in saecula. 56. Mansit autem<br />
Maria cum illa quasi mensibus tribus, et reuersa est in domum suam 19 .<br />
18<br />
Il primo emistichio del v. 161 è mutuato da Verg. Aen. 8, 615 Dixit et amplexus<br />
nati Cytherea petiuit .<br />
19<br />
Lc 1, 46-56: «E Maria <strong>di</strong>ce: L’anima mia magnifica il Signore e il mio Spirito<br />
esultò in Dio, mio Salvatore. Perché ha considerato l’umiltà della sua ancella; ecco<br />
infatti da questo momento tutte le generazioni mi chiameranno beata.Perché gran<strong>di</strong><br />
cose mi ha fatto il Potente; e santo è il suo nome, e la sua misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> generazione<br />
in generazione va a quelli che lo temono. Ha messo in opera la potenza del suo<br />
braccio, ha <strong>di</strong>sperso i superbi con i <strong>di</strong>segni da loro concepiti. Ha rovesciato i potenti<br />
dal trono e innalzato gli umili. Ha ricolmato <strong>di</strong> beni gli affamati e rimandato i<br />
200 –
Il Magnificat è stato parafrasato da Giovenco in un<strong>di</strong>ci versi:<br />
Illa trahens animum per gau<strong>di</strong>a mixta pudore<br />
subpressae uocis pauitantia <strong>di</strong>cta uolutat:<br />
“Magnificas laudes animus gratesque repen<strong>di</strong>t<br />
inmensi Domino mun<strong>di</strong>. Vix gau<strong>di</strong>a tanta<br />
spiritus iste capit, quod me <strong>di</strong>gnatus in altum<br />
erigit ex humili celsam cunctisque beatam<br />
gentibus et saeclis uoluit Deus aequus haberi.<br />
Sustulit ecce thronum saeuis fregit superbos,<br />
largifluis humiles opibus <strong>di</strong>tauit egentes”.<br />
Tunc illic mansit trinos ex or<strong>di</strong>ne menses<br />
ad propriamque domum repedat iam certa futuri 20 .<br />
Nei versi 94-95, costruiti con materiali poetici 21 , il presbitero<br />
spagnolo dà voce alla contenuta gioia <strong>di</strong> Maria, che si esprime attraverso<br />
la voce rotta dall’emozione.<br />
La parafrasi procede, quin<strong>di</strong>, nella scia dell’ipotesto, <strong>di</strong> cui riprende<br />
concetti e lessico.<br />
Giovenco sviluppa nei vv. 96-97 il versetto 47, aggiungendo il<br />
motivo della gratitu<strong>di</strong>ne al Signore dell’immenso mondo (inmensi<br />
mun<strong>di</strong>) 22 ; accentua nella riscrittura del versetto 47 l’umana incontenibilità<br />
dell’esultanza <strong>di</strong> Maria (97-98 uix ... /... capit ); unisce in<br />
un rapporto <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione sintattica i due stichi paratattici del<br />
versetto 48 trasformando la considerazione <strong>di</strong> Dio dell’umiltà della<br />
sua ancella in degnazione per il suo stato (vv. 98-99) e accentuando il<br />
ruolo <strong>di</strong> Dio (anche qui definito aequus) nella proclamazione della<br />
ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericor<strong>di</strong>a,<br />
come aveva promesso ai nostri padri a favore <strong>di</strong> Abramo e della sua <strong>di</strong>scendenza,<br />
per sempre. Maria rimase con lei circa tre mesi, poi ritornò a casa sua.».<br />
20<br />
Iuuenc. 1, 94-104: «Ella respirando con gioia mista a pudore emette parole<br />
con la voce smorzata dal timore: “L’animo rende magnifiche lo<strong>di</strong> e ringraziamenti<br />
al Signore dell’immenso mondo. A stento questo spirito contiene una gioia sì grande,<br />
perché il Dio giusto si è degnato <strong>di</strong> innalzare in alto me che stavo in basso e ha<br />
voluto che fossi ritenuta beata da tutti i popoli nei secoli. Ecco ha tolto il trono ai<br />
malvagi, ha abbattuto i superbi, ha arricchito con abbondanti ricchezze gli umili<br />
bisognosi”. Allora rimase lì tre mesi <strong>di</strong> seguito e ritorna alla propria casa ormai<br />
certa del futuro»<br />
21<br />
Nel v. 94 il poeta spagnolo riusa il primo emistichio <strong>di</strong> Varrone, Arg. 8, 400<br />
Ille trahens spiritum e le clausole <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o met. 9, 527 e Stat. silu. 5, 1, 65 mixta<br />
pudori e nel v. 95 rielabora le immagini <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o met. 5, 192s. pars ultima uocis<br />
/ in me<strong>di</strong>o suppressa sono est e trist. 3, 3, 21 suppressaque lingua palato .<br />
22<br />
Il nesso è mutuato da Ou. met. 2, 35 o lux immensi publica mun<strong>di</strong>: è Fetonte<br />
che così appella il padre Febo.<br />
– 201
sua beatitu<strong>di</strong>ne da parte <strong>di</strong> tutte le genti (vv. 99-100); dei versetti 49-<br />
52 ritiene al v. 101 - accostandole asindeticamente - solo le due immagini<br />
contenute dai versetti 52 1 e 51 2 ; ricrea poeticamente nel v.<br />
102 il primo stico del versetto 53 23 ; omette i versetti 54 e 55; e parafrasa<br />
quasi ad uerbum il versetto 56 nei vv. 103-04 con due non insignificanti<br />
ad<strong>di</strong>tiones: i circa tre mesi <strong>di</strong>ventano tre mesi senza interruzione<br />
(la clausola ex or<strong>di</strong>ne menses è mutuata da Verg. georg. 4,<br />
507) e Maria ritorna con la certezza <strong>di</strong> ciò che le avverrà (la clausola<br />
iam certa futuri sembra richiamare la clausola in litote <strong>di</strong> Verg. Aen.<br />
4, 508 haud ignara futuri).<br />
Omessa la riscrittura del Magnificat <strong>di</strong> Maria (Lc 1, 46-56), il<br />
<strong>Nola</strong>no rivolge ex abrupto un’apostrofe alla Giudea, rea <strong>di</strong> non aver<br />
creduto alle profezie scritturistiche (vv. 163-72) e inserisce nei vv.<br />
173-78 <strong>di</strong>chiarazioni che valgono a integrare il quadro del programma<br />
poetico, quale emerge dalla praefatio.<br />
Riporto il primo brano:<br />
Dic age nunc, Iudaea nocens et sanguine regis<br />
conmaculata tui, uerbis si nulla priorum<br />
est adhibenda fides, sacros si fallere uates<br />
cre<strong>di</strong>tis et Moysen ipsum, si fallere Dauid<br />
inpia peruersae putat inclementia gentis,<br />
cre<strong>di</strong>te non genitis; materna clausus in aluo<br />
quid uideat, sancto matris docet ore Iohannes.<br />
Quis, precor, hunc docuit quem casto uiscere uirgo<br />
contineat, quantus maneat noua saecula partus<br />
Sed sanctis abstrusa patent nec uisa profanis 24 .<br />
23<br />
Cf. Lc 1, 53 1 Esurientes impleuit bonis ~ v. 102 largifluis humiles opibus<br />
<strong>di</strong>tauit egentes ; questo verso - impreziosito da un aggettivo poetico (cf. Lucr. 5,<br />
598 largifluum fontem) - è armonioso grazie alla prevalenza dei dattili, alla triplice<br />
scansione delle cesure, e alla corrispondenza delle due coppie <strong>di</strong> aggettivi e sostantivi.<br />
24<br />
Paul. Nol. carm. 6, 163-72: « Orsù rispon<strong>di</strong>, o Giudea funesta e macchiata del<br />
sangue del tuo re, se non bisogna prestar fede alle parole degli antenati, se credete<br />
che i sacri profeti e lo stesso Mosè siano ingannatori, se l’empia inclemenza del tuo<br />
popolo perverso ritiene che Davide sia un ingannatore, prestate allora fede a coloro<br />
che non sono ancora nati; Giovanni ci comunica attraverso la santa bocca della<br />
madre ciò che vede mentre è racchiuso nel ventre materno. Chi, ti prego, gli mostrò<br />
chi sia colui che la santa vergine contiene nelle caste visceri e quanto grande sia il<br />
figlio riservato alla nuova età. Ma le cose segrete sono manifeste ai santi, mentre<br />
quelle viste non lo sono ai profani».<br />
202 –
Nell’improvvisa apostrofe alla Giudea, definita funesta e regicida,<br />
25 Paolino invita con un ragionamento sillogistico, che ha del paradossale,<br />
i Giudei che si rifiutano <strong>di</strong> credere ai sacri profeti, a Mosè<br />
e a Davide 26 , a credere a Giovanni che dal seno materno comunica<br />
ciò che vede. E da chi è informato Giovanni, se non da colui che è<br />
destinato ai noua saecula 27 . Il brano si chiude con un’antitesi, marcata<br />
dal chiasmo, tra i santi che vedono le cose segrete, e i profani<br />
che non vedono neppure quelle palesi.<br />
Riporto il secondo brano:<br />
Verum egressa modum latos petit orbita campos<br />
atque oblita mei procurrere longius audet.<br />
Spero, erit ut possim firmato robore quondam<br />
hoc quoque per spatium fortes agitare quadrigas.<br />
Nunc coeptum repetamus iter; mortalia <strong>di</strong>cat<br />
pagina mortalis, dominum <strong>di</strong>uina loquantur 28 .<br />
La quadriga <strong>di</strong> Paolino, oltrepassando i suoi limiti, tende verso<br />
campi spaziosi, e, <strong>di</strong>mentica delle capacità dell’auriga, osa spingersi<br />
troppo lontano.<br />
L’auriga non rinuncia, però, alla speranza <strong>di</strong> poter un giorno, quando<br />
avrà raggiunto una maggiore sicurezza nelle sue capacità, cimentarsi<br />
su questo più ampio terreno. Già in Tacito il campo nel quale gli<br />
oratori debbono muoversi con piena libertà è assimilato agli ampi<br />
campi che mettono alla prova la bravura e la classe dei cavalli 29 .<br />
25<br />
I vv. 163-64, nei quali è possibile scorgere l’eco <strong>di</strong> Giovenco 3, 419s. si<br />
fratrem proprium delicto commaculatum/ cernis, sono tenuti presente da Aratore 1,<br />
1 Vt sceleris Iudaea sui polluta cruore e 2, 958 O Iudaea nocens .<br />
26<br />
Il v. 164s. è modellato sull’incipit <strong>di</strong> Auson. epist. 2 (ed. Mon<strong>di</strong>n, Venezia<br />
1995, p. 6 ) Si qua fides falsis umquam est adhibenda poetis (si questa inuitatio<br />
vd. Mon<strong>di</strong>n , p. 66s.). Per Paolino, insomma, i giudei porrebbero sullo stesso piano<br />
i sacri uates e i falsi poetae .<br />
27<br />
Questo nesso è, a mio avviso, l’eco dell’interpretazione cristiana <strong>di</strong> Verg.<br />
buc. 4, 4-7. Cf., anche, Prud. cath. 11, 57-60 O quanta rerum gau<strong>di</strong>a/aluus pu<strong>di</strong>ca<br />
continet, /ex qua nouellum saeculum/ proce<strong>di</strong>t et lux aurea!<br />
28<br />
Paul. Nol. carm. 6, 173-78 : «Ma la mia quadriga, superando i suoi limiti, si<br />
<strong>di</strong>rige verso campi spaziosi e <strong>di</strong>mentica <strong>di</strong> me osa spingersi più lontano. Verrà il<br />
tempo - lo spero- in cui potrò, consolidate le mie forze, lanciare le forti quadrighe<br />
anche su questo terreno. Ripren<strong>di</strong>amo ora il cammino intrapreso; la pagina scritta<br />
da un mortale parli <strong>di</strong> cose mortali, gli scritti <strong>di</strong>vini parlino del Signore».<br />
29<br />
Cf. Tac. <strong>di</strong>alogus de oratoribus 39 Nam quo modo nobiles equos cursus et<br />
spatia probant, sic est aliquis oratorum campus, per quem nisi liberi et soluti ferantur,<br />
debilitatur ac frangitur eloquentia.<br />
– 203
Fuor <strong>di</strong> metafora, il poeta, preso atto della sua inadeguatezza a<br />
cantare temi teologicamente più elevati, ne rimanda la trattazione a<br />
quando avrà irrobustito le sue competenze teologiche (a queste mi<br />
pare che sia da riferire il sintagma firmato robore più che alla capacità<br />
poetica, <strong>di</strong> cui aveva chiara coscienza). Per il momento è meglio<br />
proseguire il cammino intrapreso, lasciando che lo scritto <strong>di</strong> un uomo<br />
canti avvenimenti mortali e gli scritti sacri parlino del Signore. Il che<br />
significa che Paolino, pur continuando a lavorare alla pagina mortalis,<br />
coltiva la segreta (ma non tanto!) aspirazione a un carme teologicamente<br />
più impegnato che lo trasformi in poeta <strong>di</strong>uinus .<br />
In quest’ottica la Laus sancti Iohannis può ben essere considerata<br />
come la premessa <strong>di</strong> una «storia evangelica» in versi, che avrebbe<br />
dovuto avere inizio con il Vangelo della nascita e infanzia <strong>di</strong> Cristo.<br />
3. Al termine dell’esame comparativo delle due riscritture metriche<br />
<strong>di</strong> Lc 1, 39-56 è opportuno formulare qualche sia pur provvisoria<br />
conclusione:<br />
1. Alla pericope lucana Giovenco ha de<strong>di</strong>cato 25 esametri, vale a<br />
<strong>di</strong>re il 62,5% <strong>di</strong> quelli de<strong>di</strong>cati da Paolino (40); alla <strong>di</strong>versa ampiezza<br />
corrispondono un <strong>di</strong>verso approccio e una <strong>di</strong>versa prospettiva.<br />
2. Le coincidenze verbali tra i due testi, non riconducibili all’ipotesto<br />
lucano, depongono a favore della <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> Paolino da<br />
Giovenco.<br />
3. Virgilio è utilizzato more centonario da Giovenco e in maniera<br />
più significativa da Paolino.<br />
4. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Paolino o <strong>di</strong> Sedulio, più proclivi alle ekphraseis,<br />
alle amplificazioni retoriche e patetiche, nonché agli sviluppi<br />
esegetici e me<strong>di</strong>tativi, Giovenco si matiene più aderente alla narratio<br />
evangelica, che egli ‘traduce’ hexametris uersibus paene ad uerbum<br />
(Hier. uir. ill. 84). La sua parafrasi può essere qualificata come letterale<br />
o grammaticale, a con<strong>di</strong>zione che con tale definizione si voglia<br />
sottolineare solo la pronunciata fedeltà degli Euangeliorum libri<br />
all’ipotesto sacro e non invece presentarli come il frutto <strong>di</strong> una versificazione<br />
pe<strong>di</strong>ssequa priva <strong>di</strong> ogni pregio poetico.<br />
204 –
IL DRAMMA DELLA CONVERSIONE<br />
NEL DIBATTITO TRA AUSONIO E PAOLINO<br />
GIOVANNI SANTANIELLO 1<br />
PREMESSA<br />
Negli anni della sua biografia, compresi tra la fine del suo governatorato<br />
campano (381) e il definitivo ritiro a <strong>Nola</strong> (395), Paolino<br />
maturò gradualmente la ra<strong>di</strong>cale “conversione” alla fede cristiana.<br />
Negli scritti <strong>di</strong> questo periodo egli ci fornisce puntuali e precisi riscontri.<br />
Ed anche in seguito egli farà ricorso alla sua “memoria” per<br />
“rileggere” la sua esperienza ascetica. 2 Infatti nello sketch autobiografico<br />
abbozzato nel carme XXI Paolino passa in rassegna gli avvenimenti<br />
più importanti della sua vita. 3 Ma più puntuale, per la cronologia,<br />
era stato già nella lettera 5 a Severo. 4<br />
Questi tre lustri della vita <strong>di</strong> Paolino sono nettamente <strong>di</strong>stinti in<br />
due fasi: la prima, quella aquitana (381-389), che Paolino, rientrato<br />
in patria da Roma, trascorre per lo più nel suo podere <strong>di</strong> Ebromago<br />
presso Bordeaux; la seconda, quella spagnola (389-395), segna il<br />
ritiro <strong>di</strong> Paolino in Spagna, nei suoi posse<strong>di</strong>menti presso Barcellona.<br />
Infatti Paolino, ricevuto il battesimo, nel 389, si ritira con la moglie<br />
Terasia in Spagna. Qui assapora la gioia della paternità con la nascita<br />
del figlio Celso, morto dopo appena otto giorni e sepolto a<br />
Complutum (Alcalà de Henares); matura insieme con la moglie la<br />
decisione <strong>di</strong> una vita ascetica, che comporta la ven<strong>di</strong>ta dell’immenso<br />
patrimonio per darne il ricavato ai poveri; <strong>di</strong>venta sacerdote su<br />
pressante richiesta del popolo <strong>di</strong> Barcellona, nel Natale del 394. Il<br />
ritiro spagnolo <strong>di</strong> Paolino è documentato soprattutto dalla corrispondenza<br />
col suo maestro Ausonio. 5<br />
1<br />
Relazione tenuta al Convegno svoltosi al Centro “Resurrexit” <strong>di</strong> Pompei (22<br />
Giugno 2002) sul tema “Mondo classico e mondo cristiano: Contnuità e<br />
<strong>di</strong>scontinuità.<br />
2<br />
Così, per esempio, nella lettera 5 a Severo, del 395, e nel carme XXI, del<br />
407.<br />
3<br />
Cf. PAVL. NOL. c. XXI, nat. 13, 344-450.<br />
4<br />
Cf. ID. epist. 5, 4-6 a Severo.<br />
5<br />
A questo periodo spagnolo appartengono anche altri scritti <strong>di</strong> Paolino, come<br />
– 205
I - DUE PROTAGONISTI<br />
Ausonio e Paolino, due personaggi <strong>di</strong> primo piano sull’orizzonte<br />
occidentale dell’impero romano alla fine del IV secolo. La loro corrispondenza<br />
costituisce “un episo<strong>di</strong>o della fine del paganesimo”. 6 Il<br />
maestro e l’alunno, vissuti per decenni in piena sintonia e concor<strong>di</strong>a<br />
<strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> arte, <strong>di</strong>mostrandosi stima ed affetto reciproci, immersi<br />
nel mondo aristocratico e letterario dei gran<strong>di</strong> proprietari terrieri della<br />
Gallia imperiale, ad un certo momento si ritrovano a dover constatare<br />
che le loro esistenze hanno imboccato decisamente strade <strong>di</strong>verse<br />
e che, anzi, adesso le loro vite procedono in <strong>di</strong>rezione opposta.<br />
Da una parte, Ausonio, il maestro, il retore più illustre ed il poeta<br />
più raffinato del suo tempo, il cantore convinto <strong>di</strong> un mondo mitologico<br />
e <strong>di</strong>vino, mondo che ora appare svuotato del suo significato<br />
religioso. Egli è <strong>di</strong> certo uno dei rappresentanti più in vista, stimato<br />
ed onorato, della società aristocratica dell’impero, i cui ricchi proprietari<br />
terrieri trascorrevano il tempo nelle loro villae <strong>di</strong> campagna<br />
tra gli svaghi e gli ozi letterari, e che, una volta battezzati, consideravano<br />
e vivevano anche la loro fede come motivo e occasione <strong>di</strong><br />
intrattenimento e <strong>di</strong> svago, senza che la nuova religione coinvolgesse<br />
e permeasse in profon<strong>di</strong>tà la loro vita: era la classe dei demichrétiens,<br />
<strong>di</strong> cui parlava già il Guignebert. 7 Ausonio, chiamato a<br />
corte dall’imperatore Valentiniano I, è impegnato per <strong>di</strong>versi anni<br />
nella formazione umana e intellettuale dell’erede al trono Graziano:<br />
il poeta, da quella posizione <strong>di</strong> prestigio e <strong>di</strong> potere, <strong>di</strong>spensa favori<br />
le epistt. 35 e 36 a Delfino e ad Amando per la morte <strong>di</strong> un suo fratello, il carme<br />
XXXI per il piccolo Celso, i carmi VI-IX con la Laus Sancti Iohannis e la parafrasi<br />
<strong>di</strong> tre salmi, oltre al Panegirico <strong>di</strong> Teodosio (perduto) e alle lettere (perdute) a<br />
Girolamo e ai Vescovi Africani.<br />
6<br />
Cf. A. PUECH, De Paulini <strong>Nola</strong>ni Ausoniique epistolarum commercio et<br />
communibus stu<strong>di</strong>is, Paris 1887; P. DE LABRIOLLE, La correspondance d’Ausone et<br />
de Paulin de Nole: Un épisode de la fin du paganisme, Paris 1910; R. P. H. GREEN,<br />
The Correspondence of Ausonius, in L’Antiquité classique 49 (1980), pp. 191-<br />
211, e G. GUTTILLA, Ausonio e Paolino: rapporti letterari ed umani,in <strong>Impegno</strong> e<br />
<strong>di</strong>alogo 10 (1992-94), pp. 177-189.<br />
7<br />
CH. GUIGNEBERT, Les demi-chrétiens et leur place dans l’Église antique, in<br />
Revue de l’hist. des religions 88 (1923), pp. 65-102. Sul cristianesimo <strong>di</strong> Ausonio,<br />
cf. C. RIGGI, Il cristianesimo <strong>di</strong> Ausonio, in Salesianum 30 (1968), pp. 642-695; P.<br />
LANGLOIS, Les poèmes chrétiens et le christianisme d’Ausone, in Revue de philologie<br />
43 (1969), pp. 39-58, e R. P. H. GREEN, The Christianity of Ausonius, in Stu<strong>di</strong>a<br />
Patristica 28 (1993), pp. 39-48.<br />
206 –
a parenti e amici ed anche al suo pupillo Paolino. Egli, alla morte <strong>di</strong><br />
Graziano, ritorna in patria e trascorre gli ultimi anni della vita nei<br />
<strong>di</strong>letti ozi letterari e poetici nel suo podere aquitano <strong>di</strong> Lucaniacum o<br />
<strong>di</strong> Pagus Novarus, presso Bordeaux, in corrispondenza epistolare<br />
con gli amici <strong>di</strong> sempre e con il suo <strong>di</strong>scepolo pre<strong>di</strong>letto. 8<br />
Dall’altra parte, Paolino, l’alunno, giovane speranza dell’impero<br />
romano, nobile e straor<strong>di</strong>nariamente ricco, davanti al quale brillano<br />
gran<strong>di</strong> progetti futuri. Il giovane <strong>di</strong>scepolo, <strong>di</strong>ligente e precoce, suscita<br />
l’ammirazione del maestro, perché assetato <strong>di</strong> sapere ed appassionato<br />
nella ricerca della verità: nella sua formazione intellettuale<br />
ed umana egli si è letteralmente immerso ed impregnato <strong>di</strong> quello<br />
stesso mondo mitico ed eroico incarnato e trasmesso a lui dal suo<br />
maestro, <strong>di</strong>venuto amico fedele e compagno <strong>di</strong> vita. Paolino, membro<br />
del senato romano, ha percorso una brillante carriera politica, il<br />
suo cursus honorum, in seno all’impero, fino a raggiungere il consolato<br />
e il governatorato della Campania (380/381). 9<br />
Orbene, in seguito all’assassinio dell’imperatore Graziano,<br />
Paolino con tutta la sua famiglia viene fatto segno <strong>di</strong> gravi calunnie<br />
da parte dell’usurpatore Massimo, per cui anche lui è costretto a ritornare<br />
in Aquitania. Qui vive ritirato nel suo podere <strong>di</strong> Ebromago,<br />
presso Bordeaux, rimanendo anche lui in corrispondenza epistolare<br />
con gli amici e con il maestro. Nel frattempo il giovane senatore<br />
sposa la nobildonna spagnola Terasia e si pone seriamente il problema<br />
della fede, lui che ancora non è battezzato. Sono gli anni in cui<br />
Paolino, affascinato da Cristo, si orienta decisamente verso la nuova<br />
religione: chiede il battesimo al vescovo <strong>di</strong> Bordeaux Delfino, che lo<br />
affida al suo presbitero Amando per farlo istruire nella fede. Alla<br />
fine viene battezzato e subito dopo con la moglie Terasia si ritira in<br />
Spagna presso Barcellona. Siamo nel 389. Da questo momento per<br />
più <strong>di</strong> tre anni Paolino non riceve notizie del suo maestro. 10<br />
Quin<strong>di</strong> il <strong>di</strong>alogo riprende e si intreccia in un autentico “<strong>di</strong>battito”<br />
sulla scelta <strong>di</strong> fede, nel quale però i due amici stentano a capirsi,<br />
perché espressione ormai <strong>di</strong> due mon<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi, incarnando Ausonio,<br />
8<br />
Cf. AVSON. Epistt. 5, 36 a Teone; 22, r. 11 e v. 43 a Paolino; Epigr. 30, 7. Sul<br />
sito <strong>di</strong> Lucaniacus, cf. R. ETIENNE, Bordeaux antique, Bordeaux 1962, pp. 354-<br />
357. Cf., inoltre, AVSON. Epist. 25, 95 a Paolino per il Pagus Novarus. Cf.<br />
A.PASTORINO, Opere <strong>di</strong> Decimo Magno Ausonio, Torino 1971, pp. 24-25, nota 36.<br />
9<br />
Cf. D. E. TROUT, Paulinus of <strong>Nola</strong>: Life, Letters and Poems, Berkeley-Los<br />
Angeles-London 1999, pp.23-52.<br />
10<br />
Ibid. pp. 53-77.<br />
– 207
la vecchia generazione, quella pagana o cristiana solo in superficie,<br />
e Paolino, la nuova, quella cristiana, che fa del Vangelo la legge fondamentale<br />
della propria vita. I due amici, che hanno camminato concor<strong>di</strong><br />
e felici per lungo tratto <strong>di</strong> strada, ad un certo punto si ritrovano<br />
su posizioni ra<strong>di</strong>calmente opposte, quasi costretti a separarsi, a rompere<br />
l’antica amicizia, soprattutto perché il maestro non riesce a capire<br />
né a con<strong>di</strong>videre le scelte <strong>di</strong> fede del <strong>di</strong>scepolo, che intende dare<br />
una svolta decisiva alla sua vita e alla sua attività poetica, de<strong>di</strong>candosi<br />
anima e corpo all’ideale ascetico. Ausonio, invece, della sua<br />
fede in Cristo e dei risvolti nella propria vita mostra <strong>di</strong> avere una<br />
concezione tutt’altro che autentica e seria. I due amici parlano ormai<br />
linguaggi <strong>di</strong>versi. Si delinea ormai nella loro corrispondenza e nella<br />
loro vita una frattura insanabile, che riproduce quella tra il mondo<br />
classico delle Muse, e il mondo cristiano, dominato da Cristo, unico<br />
magister virtutum. 11<br />
Un’opposizione, questa, che apparirà ancora più decisa e drammatica<br />
nella prima lettera <strong>di</strong> Paolino a Sulpicio Severo, l’amico <strong>di</strong><br />
sempre, del 395. E solo in seguito questa posizione così rigida andrà<br />
mitigandosi in Paolino, che riuscirà a conciliare il vecchio e il nuovo,<br />
“rivitalizzando” e “riconcettualizzando” l’ormai anemico mondo<br />
del mito e della poesia classica con i nuovi contenuti teologici e<br />
morali, quelli della religione cristiana. Resteranno sempre in vigore<br />
e operanti le antiche forme classiche della poesia e dell’arte, che<br />
però verranno “rivitalizzate” dalle verità <strong>di</strong> fede e dalla nuova morale<br />
instaurata dal Vangelo. 12<br />
II - PAOLINO IN SPAGNA TRA OTIUM RURIS E CONVERSIONE<br />
All’indomani dell’eliminazione dell’usurpatore Massimo da<br />
parte dell’imperatore Teodosio (388), Paolino insieme con la moglie<br />
Terasia si ritira presso Barcellona in Spagna ed interrompe drasticamente<br />
ogni contatto con il mondo e la consuetu<strong>di</strong>ne epistolare con<br />
gli amici <strong>di</strong> un tempo. Anche col suo maestro Ausonio. Si ha l’impressione<br />
che siasi trattato <strong>di</strong> vera e propria “fuga” dal suo podere <strong>di</strong><br />
Ebromago presso Bordeaux, dove aveva compiuto la iniziazione cristiana<br />
e maturato l’antico sogno ascetico balenatogli nella mente<br />
presso la tomba <strong>di</strong> S. Felice fin dalla sua prima giovinezza. Non sap-<br />
11<br />
ID. c. X, 52: magister hic virtutum.<br />
12<br />
Cf. D. E. TROUT, Paulinus of <strong>Nola</strong>… cit., pp. 78 e 89.<br />
208 –
piamo se sia stato proprio il suo “padre” spirituale Delfino oppure<br />
qualche altro cui stava a cuore la sua vita, a consigliargli il ritiro in<br />
incognito e lontano dalla patria <strong>di</strong>letta. Forse nella città <strong>di</strong> Bordeaux<br />
continuava a spirare aria e voci <strong>di</strong> persecuzione nei confronti suoi e<br />
della famiglia: calunnie e mal<strong>di</strong>cenze infondate porteranno all’uccisione<br />
<strong>di</strong> un suo fratello. Anche la morte precoce del figlio Celso avrà<br />
contribuito a mettere i suoi giovani genitori <strong>di</strong> fronte alla scelta vitale<br />
della loro esistenza: consacrare il proprio cuore a Cristo me<strong>di</strong>ante<br />
la perfezione evangelica.<br />
II.1 - Le due lettere superstiti <strong>di</strong> Ausonio<br />
Della corrispondenza intercorsa tra Ausonio e Paolino nel ritiro<br />
spagnolo dal 389 al 394 ci sono giunte tre lettere <strong>di</strong> Ausonio (23.24.25<br />
Schenkl) e due <strong>di</strong> Paolino (carmi X e XI).<br />
Le tre epistole superstiti <strong>di</strong> Ausonio facevano parte <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong><br />
almeno cinque, spe<strong>di</strong>te dal maestro al <strong>di</strong>scepolo nel periodo 389-393/<br />
394: delle cinque missive, tre giunsero a Paolino nel 393 in un unico<br />
plico: delle tre ce ne rimane una sola, la 23 Schenkl, a cui se ne aggiunse<br />
una quarta, la 24 Schenkl, spe<strong>di</strong>ta da Ausonio, ancora nel 393,<br />
ma prima <strong>di</strong> ricevere alcun riscontro da parte <strong>di</strong> Paolino. Quest’ultimo<br />
subito dopo, col carme X, risponde <strong>di</strong>rettamente a queste due lettere <strong>di</strong><br />
Ausonio, che, a sua volta, riba<strong>di</strong>sce poi le sue posizioni critiche con<br />
l’epistola 25 Schenkl, a cui Paolino farà seguito con il carme XI. A<br />
questo punto il carteggio tra i due si interrompe e nel contempo si<br />
spezzano definitivamente i vincoli della loro antica amicizia.<br />
Come già si può intuire, si tratta <strong>di</strong> uno scambio epistolare <strong>di</strong><br />
notevole importanza per comprendere il cammino <strong>di</strong> conversione <strong>di</strong><br />
Paolino. Ma nello stesso tempo esso evidenzia anche l’incapacità<br />
del maestro ad entrare ed accettare la ra<strong>di</strong>cale metànoia dell’allievo.<br />
Perciò la rottura dell’amicizia tra l’ottuagenario uomo <strong>di</strong> lettere e<br />
l’ancora giovane suo <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong>venta come il “tipo”, il simbolo,<br />
delle tante fratture che certamente Paolino dovette operare con gli<br />
amici <strong>di</strong> un tempo, fratture che rispecchiavano la lotta finale tra l’antico<br />
mondo e le nuove forze spirituali ed intellettuali, che alla fine<br />
del IV secolo andavano trasformando la società occidentale.<br />
Nel ritiro spagnolo (389-395) Paolino ha continuato, almeno all’inizio,<br />
a condurre la vita del grande proprietario terriero nella sua<br />
villa <strong>di</strong> campagna. Ma nel contempo egli è impegnato a riflettere<br />
sulle conseguenze del battesimo, appena ricevuto, sulle sue scelte<br />
religiose e sulla nuova condotta <strong>di</strong> vita.<br />
– 209
Nelle prime tre lettere, giunte a Paolino in Spagna in un unico<br />
plico, Ausonio, tra aspre critiche e amari rimproveri, si lamentava in<br />
modo particolare del lungo silenzio del suo <strong>di</strong>scepolo. E non avendo<br />
ricevuto alcuna risposta, ne scrisse una quarta, più lunga e fremente<br />
<strong>di</strong> sdegno e <strong>di</strong> delusione: il suo <strong>di</strong>scepolo non lo ha degnato nemmeno<br />
<strong>di</strong> un saluto nel lungo periodo dei tre anni trascorsi. Perché Chi<br />
gli impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> comunicare con l’amico Sarà quella Tanaquilla <strong>di</strong><br />
sua moglie Terasia, sempre gelosa e piena <strong>di</strong> sospetti, oppure Paolino<br />
si è imposto da sé la lex tacen<strong>di</strong>, <strong>di</strong>menticando i doveri dell’antica<br />
amicizia e mettendo da parte la buone abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> un tempo,<br />
allorquando con regolarità e stima reciproca i due si scambiavano<br />
doni e graziose lettere <strong>di</strong> accompagnamento, composte secondo i<br />
canoni classici della retorica e dell’arte poetica, e nel contempo ricche<br />
<strong>di</strong> sentimenti <strong>di</strong> amicizia schietti e profon<strong>di</strong> Oppure il suo <strong>di</strong>scepolo<br />
ha deciso <strong>di</strong> allontanarsi dalla patria e dagli amici per vivere<br />
in luoghi deserti un sereno otium ruris lontano dallo strepito del foro<br />
e dalle preoccupazioni per i beni del mondo, sull’esempio <strong>di</strong> filosofi<br />
e poeti impegnati a vivere in solitu<strong>di</strong>ne per meglio de<strong>di</strong>carsi alle<br />
attività dello spirito e della poesia Oppure Paolino si è ritirato in<br />
luoghi selvaggi in o<strong>di</strong>o al genere umano, ad imitazione del mitico<br />
cavaliere <strong>di</strong> Pegaso, Bellerofonte, o per seguire le orme del rigorismo<br />
ascetico del vescovo <strong>di</strong> Avila Priscilliano<br />
Tutti questi interrogativi e questi dubbi affollavano la mente e le<br />
epistole <strong>di</strong> Ausonio, che evidentemente non conosceva i nuovi progetti<br />
<strong>di</strong> Paolino e della moglie Terasia. Infatti dal giorno in cui i due<br />
giovani sposi avevano lasciato l’Aquitania per la Spagna, la corrispondenza<br />
tra i due amici si era interrotta. Ed Ausonio aveva<br />
<strong>di</strong>ffusamente esposto i suoi dubbi e gridato la sua amara delusione<br />
nelle sue epistole, dando corpo alle malevole <strong>di</strong>cerie (rumores) che<br />
pur erano trapelate sull’improvvisa “fuga” <strong>di</strong> Paolino da Bordeaux.<br />
Nell’epistola 23 Schenkl, infatti, Ausonio ripete i rimproveri rivolti<br />
al suo pupillo nella lettera precedente (perduta) per il suo silenzio<br />
e nello stesso tempo gli suggerisce stratagemmi, tratti dal mito e<br />
dalla storia, per poter eludere la vigilanza <strong>di</strong> un eventuale “tra<strong>di</strong>tore”<br />
o in<strong>di</strong>screto testimone della loro corrispondenza. Quin<strong>di</strong> punta i suoi<br />
strali <strong>di</strong>rettamente contro Terasia in<strong>di</strong>viduando in lei l’imperiosa e<br />
scaltra Tanaquilla, in quanto forse condannava il crimen amicitiae<br />
del suo sposo. Quest’accusa contro la moglie aveva ferito profondamente<br />
il cuore <strong>di</strong> Paolino.<br />
Nella parte finale del carme Ausonio richiama Paolino ai suoi<br />
doveri affettivi, che ancora lo legano al suo maestro, cui deve peren-<br />
210 –
ne gratitu<strong>di</strong>ne ed affetto per la formazione umana e intellettuale ricevuta:<br />
“Lascia perdere gli altri, ma non avere a <strong>di</strong>sdegno il <strong>di</strong>alogo<br />
con tuo padre. Sono io che ti ho allevato, che ti ho istruito, io che per<br />
primo ti ho fatto beneficiare degli antichi onori, per primo ti ho condotto<br />
nell’assemblea delle Muse”. 13<br />
E nell’epistola 24 Schenkl, sempre in riferimento all’ostinato silenzio<br />
del <strong>di</strong>scepolo, Ausonio sottolinea la “tendenza naturale <strong>di</strong> tutti<br />
gli esseri a far sentire la loro voce”. <strong>14</strong> Tutti, tranne il suo <strong>di</strong>letto<br />
Paolino, che caparbiamente si ostina nel suo silenzio. 15 Orbene, “anche<br />
una breve risposta, annota il Maestro, è <strong>di</strong> certo migliore del<br />
silenzio, dal momento che egli “non chiede che una pagina intessa<br />
lunghi versi e nemmeno che riempia le tavolette <strong>di</strong> prosa copiosa…<br />
V’è infatti un certo piacere nella brevità… E mai nessuno è piaciuto<br />
per il silenzio, molti invece per la brevità <strong>di</strong> eloquio (nemo silens<br />
placuit, multi brevitate loquen<strong>di</strong>)”. 16 Nella parte centrale dell’epistola,<br />
poi, Ausonio chiede al suo destinatario: “Hai dunque cambiato<br />
carattere (mores), mio dolcissimo Paolino”, avendo Paolino preferito<br />
le selvagge regioni della Guascogna alle civili e colte contrade<br />
dell’Aquitania e al tranquillo otium ruris <strong>di</strong> Ebromago. 17<br />
Perciò il vecchio poeta male<strong>di</strong>ce la Spagna per aver allontanato<br />
Paolino dal cielo della sua patria per spingerlo in regioni impervie<br />
dei Pirenei. In questo modo Paolino ha seguito l’esempio del mitico<br />
Bellerofonte, la cui figura <strong>di</strong> demente rende più in<strong>di</strong>viduabili e concreti<br />
gli stessii sospetti <strong>di</strong> Ausonio: colui che ha consigliato al suo<br />
alunno il ritiro in luoghi selvaggi e il silenzio prolungato è un empio,<br />
un violatore della pietas: “triste, povero, egli frequenti i deserti, percorra<br />
muto i luoghi alpestri, che si incurvano, così come un tempo<br />
Bellerofonte – <strong>di</strong>cono – andò vagando per luoghi impervi, privo <strong>di</strong><br />
ragione, evitando il contatto e le tracce degli uomini”. 18<br />
13<br />
AVS. epist. 23 Schenkl, vv..32-35: Tu contemne alios nec de<strong>di</strong>gnare parentem<br />
/ adfari verbis. Ego sum tuus altor et ille / praeceptor primus, veterum largitor<br />
honorum, / primus in Aonidum qui te collegia duxi.<br />
<strong>14</strong><br />
ID. epist. 24Schenkl, 17: Nil mutum natura de<strong>di</strong>t.<br />
15<br />
ID. epist. 24, 26-28.<br />
16<br />
Ibid. 34-44: Non ego longinquos ut texat pagina versus / postulo<br />
multiplicique oneret sermone tabellas /… Est etenim comis brevitas… O certa<br />
loquen<strong>di</strong> / regula… Nemo silens placuit, multi brevitate loquen<strong>di</strong>.<br />
17<br />
Ibid. 50: Vertisti, Pauline, tuos dulcissime mores / Vasconis hoc saltus et<br />
ninguida Pyrenaei / hospitia et nostri facit hoc oblivio caeli<br />
18<br />
Ibid. 69-72.<br />
– 211
Ausonio conclude il suo carme con la preghiera alle Muse della<br />
Beozia, affinché riportino il giovane poeta alle Camene del Lazio:<br />
“Muse della Beozia, vi prego: accogliete questa preghiera, questo<br />
grido e richiamate il vostro vate alle Camene del Lazio”. 19<br />
II.2 - Tanaquilla e Bellerofonte<br />
Tra mito e realtà<br />
Due figure della leggenda, quasi due icone fontali del testo, dominano<br />
nell’una e nell’altra lettera <strong>di</strong> Ausonio come metafore della<br />
condotta <strong>di</strong> Paolino e della moglie Terasia, in<strong>di</strong>viduati rispettivamente<br />
nell’eroe Bellerofonte <strong>di</strong> Corinto (= Efira <strong>di</strong> Omero) e nella<br />
donna <strong>di</strong> Tarquinia (città fondata da coloni corinzi), Tanaquilla, moglie<br />
del leggendario re <strong>di</strong> Roma Tarquinio Prisco ed esperta <strong>di</strong> riti<br />
magici etruschi. Sia l’uno che l’altro personaggio risultano familiari<br />
al vecchio poeta e presenti anche altrove nella sua opera.<br />
a). La storia <strong>di</strong> Tanaquilla, moglie del re Tarquinio Prisco, è presentata<br />
con dovizia <strong>di</strong> particolari dallo storico Tito Livio nel lungo<br />
capitolo 34 del I libro della sua opera Ab Urbe con<strong>di</strong>ta: Lucumone,<br />
“uomo ambizioso e potente per le sue ricchezze”, figlio <strong>di</strong> Demarato<br />
<strong>di</strong> Corinto, “ban<strong>di</strong>to dalla patria in seguito ad una rivoluzione”, era<br />
venuto a vivere a Tarquinia, città etrusca, dove aveva preso moglie.<br />
Gli erano nati due figli, Lucumone ed Arunte. Arunte muore prima<br />
del padre, lasciando la moglie incinta. Lucumone invece gli sopravvive,<br />
ere<strong>di</strong>tando l’immenso patrominio paterno. Ma il giovane<br />
Lucumone <strong>di</strong>viene ancora più ricco sposando appunto l’etrusca<br />
Tanaquilla, donna <strong>di</strong> nobile stirpe ed oltremodo ambiziosa. Costei<br />
induce il marito ad emigrare da Tarquinia a Roma, al fine <strong>di</strong> impossessarsi<br />
del regno. Lucumone, avido anche lui <strong>di</strong> onori e <strong>di</strong> gloria,<br />
asseconda i desideri della moglie: abbandona Tarquinia e, giunto alle<br />
porte <strong>di</strong> Roma, riceve un buon auspicio da parte degli dei: un’aquila,<br />
uccello sacro a Giove, sorvolando sul capo del giovane sposo, seduto<br />
accanto alla moglie sul carro, gli porta via il copricapo: per<br />
Tanaquilla, esperta nell’interpretazione degli auspici (perita, ut vulgo<br />
Etrusci, caelestium pro<strong>di</strong>giorum mulier), è il segno dell’inelu<strong>di</strong>bile<br />
volere degli dei in loro favore. Frattanto Lucumone e la moglie, sta-<br />
19<br />
Ibid. 73-74: Haec praecor, hanc vocem, Boeotia numina Musae, / accipite<br />
et Latiis vatem revocate Camenis.<br />
212 –
ilitisi nella città <strong>di</strong> Roma, si conquistano ben presto le grazie ed i<br />
favori del re Anco Marzio. E alla morte del re, Lucumone, preso il<br />
nome <strong>di</strong> Lucio Tarquinio Prisco, con la sua facon<strong>di</strong>a riesce a convincere<br />
il popolo ad eleggerlo re dei Romani. E fu il quinto re nella serie<br />
dei re <strong>di</strong> Roma. 20<br />
La storia-leggenda dell’imperiosa Tanaquilla, narrata dallo storico<br />
romano, trova ampio riscontro nella tra<strong>di</strong>zione poetica latina.<br />
Accenniamo soltanto a qualche esempio.<br />
Così nei Fasti <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o, Tanaquilla, come regina e moglie <strong>di</strong><br />
Tarquinio Prisco, presiede alla celebrazione dei riti sacri indetti dal<br />
re in seguito all’incen<strong>di</strong>o del tempio della dea Fortuna. La regina è<br />
assistita dalla sua ancella Ocresia, oriunda da Cornicoli, antica località<br />
del Lazio: la bellissima Ocresia, in questa occasione, rovistando<br />
tra le macerie ancora fumanti, si unisce al <strong>di</strong>o Vulcano e concepisce<br />
Servio Tullio, che sarà appunto il successore <strong>di</strong> Tarquinio Prisco. 21<br />
Anche in questo testo ovi<strong>di</strong>ano risalta la peculiare attività <strong>di</strong><br />
Tanaquilla come donna esperta dell’arte mantica, in cui erano maestri<br />
gli antichi Etruschi.<br />
Né poteva mancare Tanaquilla nella famosa <strong>di</strong>atriba della sesta<br />
Satira <strong>di</strong> Giovenale contro le donne. Qui, però, la moglie <strong>di</strong> Tarquinio<br />
Prisco appare nelle vesti <strong>di</strong> una donna malefica che consulta un famoso<br />
astrologo, relegato in un’isoletta delle Cicla<strong>di</strong>, nel mare Egeo:<br />
Tanaquilla vuole essere informata “sulla morte troppo lenta della<br />
madre itterica... e vuol sapere quando potrà accompagnare al cimitero<br />
la sorella e gli zii e se sopravvivrà l’amante: quali grazie maggiori<br />
potrebbero elargire gli dei...”. 22<br />
Negli scritti <strong>di</strong> Ausonio Tanaquilla compare almeno due volte e<br />
nella sua duplice immagine <strong>di</strong> donna <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> virtù (ingenitis pollens<br />
virtutibus), accanto alla figura <strong>di</strong> donna sospettosa ed intrigante. Innanzi<br />
tutto la incontriamo nell’ultimo componimento dei Parentalia<br />
(...Urbica, Censoris nobilitata toro, / ingenitis pollens virtutibus<br />
auctaque et illis /... / quas habuit Tanaquil...). In questo carme, de<strong>di</strong>cato<br />
a Pomponia Urbica, suocera <strong>di</strong> una figlia <strong>di</strong> Ausonio e sposa <strong>di</strong><br />
Giuliano Censore, Tanaquilla, celebre per prudenza e perizia negli<br />
auspici, Ausonio la presenta come modello <strong>di</strong> virtù egregie, accanto<br />
a Teano, figlia o <strong>di</strong>scepola <strong>di</strong> Pitagora, e all’eroina Alcesti, che ri-<br />
20<br />
LIV. I, 34.<br />
21<br />
OVID. Fast. VI, 629-636.<br />
22<br />
IVV. Sat. VI, 565-571.<br />
– 213
scattò dal destino fatale, con la propria vita, la vita del marito<br />
Admeto. 23<br />
Nel secondo passaggio ausoniano, invece, appare l’altra faccia,<br />
quella negativa, del personaggio Tanaquilla. Ed è proprio nella lettera<br />
23 <strong>di</strong> Ausonio a Paolino. Si tratta appunto del luogo in cui la moglie<br />
<strong>di</strong> Paolino Terasia è presentata da Ausonio nelle vesti <strong>di</strong> Tanaquilla,<br />
donna bisbetica e ambiziosa, gelosa e in<strong>di</strong>screta sulle scelte<br />
del suo marito.<br />
b). Quanto alla figura <strong>di</strong> Bellerofonte, presente nell’epistola 24<br />
<strong>di</strong> Ausonio a Paolino, essa appare nella leggenda narrata per la prima<br />
volta da Omero nel VI libro dell’Iliade: figlio <strong>di</strong> Glauco, a sua<br />
volta <strong>di</strong>scendente <strong>di</strong> Sisifo e <strong>di</strong> Eolo, Bellerofonte, eroe <strong>di</strong> Efira<br />
(Corinto), avendo ucciso Bellero, tiranno <strong>di</strong> Corinto, fu costretto ad<br />
abbandonare la città. Esule, fu accolto dal re <strong>di</strong> Tirinto Preto. Qui la<br />
moglie del re, Stenebea (Omero la chiama Antea), si invaghì dell’eroe,<br />
che respinse sdegnosamente il suo amore. Bellerofonte, perciò,<br />
accusato dalla donna <strong>di</strong> aver tentato <strong>di</strong> sedurla, venne dal re<br />
esiliato presso il suocero Iobate, re <strong>di</strong> Licia, in Asia Minore. Qui<br />
Bellerofonte, sempre protetto e guidato dagli dei, fu impegnato dal<br />
re in una serie <strong>di</strong> imprese, alle quali <strong>di</strong>fficilmente sarebbe sopravvissuto,<br />
se con l’aiuto <strong>di</strong> Atena non fosse riuscito a domare il cavallo<br />
alato Pegaso: uccise così la Chimera, vinse i Solimi, le Amazzoni e i<br />
più valorosi guerrieri degli stessi Lici, finché il re Iobate, ammirato,<br />
gli concesse il <strong>di</strong>ritto a succedergli sul trono, sposando sua figlia<br />
Filonoe. Da costei Bellerofonte ebbe tre figli: Isandro, Ippoloco e<br />
Laodamia, tutti ben poco fortunati nella loro vita. D’altra parte, lo<br />
stesso Bellerofonte, insuperbitosi per i suoi successi, in groppa al<br />
cavallo Pegaso, volle salire sull’Olimpo. Ma, <strong>di</strong>sarcionato da Giove,<br />
precipitò nella pianura <strong>di</strong> Alea, in Licia, dove, fuori <strong>di</strong> sé e nella più<br />
squallida solitu<strong>di</strong>ne, andò errando per il resto della sua vita. 24 Quest’ultimo<br />
aspetto della vita dell’eroe, aspetto che sarà sottolineato<br />
nella tra<strong>di</strong>zione latina, viene così descritto da Omero: “Ma quando<br />
anch’egli fu in o<strong>di</strong>o a tutti i numi, allora errava, solo, per la pianura<br />
Alea, consumandosi il cuore, fuggendo orma d’uomini”. 25 Al <strong>di</strong> fuo-<br />
23<br />
AVSON. Parent. 32, 1-6: Ut generis clari, veterum sic femina morum, / Urbica,<br />
Censoris nobilitata toro, / ingenitis pollens virtutibus auctaque et illis, / quas<br />
docuit coniunx, quas pater et genetrix:/ quas habuit Tanaquil, quas Pythagorea<br />
Theano, / quaeque sine exemplo pro nece functa viri.<br />
24<br />
HOM. Il. VI, 152-211.<br />
25<br />
Ibid. 200-202.<br />
2<strong>14</strong> –
i del racconto omerico, la vicenda <strong>di</strong> Bellerofonte è strettamente<br />
legata al cavallo Pegaso, con l’aiuto del quale l’eroe compie le gloriose<br />
imprese, ed anche l’ultimo tentativo che, però, lo porterà alla<br />
rovina.<br />
Ad ogni modo soprattutto due elementi sono posti in risalto nella<br />
tra<strong>di</strong>zione del mito: da una parte, la casta integrità dell’eroe, che lo<br />
rende grato agli dei e glorioso fra gli uomini e che accomuna la sua<br />
vicenda a quella <strong>di</strong> altri eroi mitici, come Ippolito e Peleo, e a quella<br />
del biblico Giuseppe, figlio <strong>di</strong> Giacobbe, e, dall’altra parte, l’empia<br />
demenza, che alla fine lo perderà. 26<br />
Presso gli autori latini, poi, la figura <strong>di</strong> Bellerofonte esercitò un<br />
grande fascino, 27 e la sua complessa e tragica vicenda umana ebbe il<br />
suo tramite in Cicerone, che nelle Tusculanae Disputationes, richiamandosi<br />
ad Omero, sottolineava la tragica fine dell’eroe <strong>di</strong> Corinto. 28<br />
Certamente l’opera <strong>di</strong> Cicerone costituisce la fonte <strong>di</strong>retta, a cui<br />
attinse anche Ausonio nella sua lettera metrica a Paolino, dove il vecchio<br />
poeta riba<strong>di</strong>va il vagare in solitu<strong>di</strong>ne dell’eroe caduto in <strong>di</strong>sgrazia<br />
degli dei per la sua superbia (coetus hominum et vestigia vitans). 29<br />
In molti altri luoghi ausoniani, poi, la figura dell’eroe corinzio<br />
ritorna legata al cavallo alato Pegaso, che lo accompagna nella realizzazione<br />
delle sue gloriose imprese. 30<br />
Anche Rutilio Namaziano, circa 25 anni dopo Ausonio, utilizzerà<br />
la figura <strong>di</strong> Bellerofonte per accusare gli asceti cristiani e scagliarsi<br />
contro i monachi che, in fuga dal mondo e dalla luce, vivevano<br />
sull’isola <strong>di</strong> Capraia, al largo della costa settentrionale italiana. 31<br />
26<br />
Quanto alla tra<strong>di</strong>zione greca, anche ESIODO, nella Teogonia (v. 325), ricorda<br />
l’eroe <strong>di</strong> Corinto. Ma è soprattutto LUCIANO che nei Dialoghi continua la tra<strong>di</strong>zione<br />
omerica (33, 42; 36, 13; 58, 18; 59, 26; 80, 254).<br />
27<br />
Cf. HOR. Cc. III, 12, 8; III, 7, 15; IV, 11, 28; IVV. Sat. X, 324-328.<br />
28<br />
CIC. Disp. III, 26, 63: ut ait Homerus de Bellerophonte: Qui miser in campis<br />
maerens errabat Aleis, / ipse suum cor edens, hominum vestigia vitans.<br />
29<br />
AVSON. Epist. 24, 69-72: Tristis, egens deserta colat tacitusque pererret /<br />
alpini convexa iugi, ceu <strong>di</strong>citur olim / mentis inops coetus hominum et vestigia<br />
vitans / avia perlustrasse vagus loca Bellerophontes.<br />
30<br />
ID. epist. 4, 9 a Teone; epistt. 21, 8-10 e 19-22; Epitaph. 32, 9; Grat. Actio<br />
18, 15-16.<br />
31<br />
NAMAT. De re<strong>di</strong>tu suo I, 448-452. Sulla figura <strong>di</strong> Bellerofonte nella tra<strong>di</strong>zione<br />
cristiana, cf. Y.-M. DUVAL, Recherches sur la langue et la litterature latines:<br />
Bellérophon et les ascètes chrétien:” Melancholia” ou “otium”, in Caesarodunum<br />
3 (1968), 183-190; M. SIMON, Bellérophon chrétien, in Mélanges d’archéologie,<br />
d’épigraphie et d’histoire offerts à Jérome Carcopino, Paris 1966, pp. 889-904.<br />
– 215
II.3 - La prima risposta <strong>di</strong> Paolino: carme X<br />
Allorquando, nel 393, Paolino riceve, il plico inatteso e legge le<br />
lettere del suo vecchio maestro, rimane molto sconcertato e profondamente<br />
amareggiato per il forte risentimento, per le accuse e le insinuazioni<br />
emergenti dai versi del <strong>di</strong>letto “padre”: un’amarezza ed<br />
una critica che certamente tormentano e preoccupano l’ormai ottuagenario<br />
precettore, ma che pungono nell’intimo soprattutto la sensibilità<br />
del <strong>di</strong>scepolo.<br />
Pertanto la risposta <strong>di</strong> Paolino è imme<strong>di</strong>ata e decisa. In essa il<br />
giovane neofita riba<strong>di</strong>sce con forza che egli, insieme con la moglie<br />
Terasia, nel 393, stavano maturando seriamente la decisione <strong>di</strong> cambiare<br />
vita per seguire Cristo, in attuazione del nuovo progetto <strong>di</strong> perfezione<br />
evangelica.<br />
Consideriamo brevemente i passaggi più significativi della risposta<br />
<strong>di</strong> Paolino nel carme X, <strong>di</strong> 331 versi, composto appunto nel<br />
393, che si articola in tre parti, <strong>di</strong>stinte da ritmi poetici <strong>di</strong>versi:<br />
- vv. 1-18, la propositio o argumentum, in <strong>di</strong>stici elegiaci, in cui<br />
Paolino accusa ricevuta delle tre lettere dell’amico e presenta il piano<br />
letterario della sua epistola;<br />
- vv. 19-102, l’expositio, in <strong>di</strong>stici giambici (senario seguito da<br />
quaternario), in cui il poeta espone il suo progetto <strong>di</strong> vita spirituale e<br />
ascetica, che parte e si incentra nella sequela <strong>di</strong> Cristo;<br />
- vv. 103-331, la confutatio, in esametri dattilici, in cui Paolino<br />
confuta e ribatte, l’una dopo l’altra, le accuse e le insinuazioni del<br />
maestro.<br />
Di primo acchito colpisce la struttura e la varietà polimetrica del<br />
carme. Ma la scelta formale compiuta da Paolino doveva servire non<br />
solo a compiacere il vecchio Maestro, ma soprattutto a <strong>di</strong>mostrargli<br />
concretamente che nell’allievo <strong>di</strong> un tempo non era affatto venuto<br />
meno il poeta, e che anzi questo era più vivo ed operoso che mai,<br />
pronto a spingere la sua quadriga ad arare nuovi campi e ad esplorare<br />
più vasti orizzonti, a cantare, cioè, nelle antiche forme poetiche i<br />
nuovi argomenti della sua fede. 32<br />
Questa viva “contrad<strong>di</strong>zione” o, meglio, “opposizione” tra rifiuto<br />
della poesia pagana e composizioni cristiane in metri classici è <strong>di</strong><br />
32<br />
Cf. PAVL. NOL. Carm.. VI, 173-176: “Il mio cammino, oltrepassando il giusto<br />
limite, percorre vasti campi e, <strong>di</strong>mentico delle mie forze, osa spingersi troppo<br />
lontano. Lo spero: verrà il tempo in cui potrò ccn forza sicura guidare le forti<br />
quadrighe anche su questo terreno”.<br />
216 –
certo uno degli elementi più costanti <strong>di</strong> continuità tra mondo pagano<br />
e mondo cristiano: questo <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o interiore accompagnerà tutta la<br />
vita e l’opera <strong>di</strong> Paolino convertito al cristianesimo.<br />
Paolino, dopo l’introduzione, nella sezione giambica del carme X<br />
(19-102), prende l’avvio per il suo canto proprio dalla preghiera alle<br />
Muse con cui Ausonio aveva concluso l’epistola 24: invocare le Muse,<br />
per Paolino, andava bene in altri tempi, allorquando il maestro e il<br />
<strong>di</strong>scepolo, in piena sintonia <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> arte e con uguale ardore “chiamavano<br />
fuori dalla sua caverna <strong>di</strong> Delfi il sordo Apollo, invocavano le<br />
Muse come esseri <strong>di</strong>vini, chiedevano alle foreste ed ai gioghi montani<br />
il dono dell’eloquio, conferito solo dalla munificenza <strong>di</strong>vina”. 33 Ma<br />
chiedere alle Muse il suo ritorno all’antico mondo <strong>di</strong> favole, ora che,<br />
battezzato, egli ha de<strong>di</strong>cato a Cristo il suo cuore, risulta del tutto vano,<br />
perché le Muse, così come tutti gli dei dell’Olimpo, non sono che<br />
nomina sine numine, e le preghiere a loro rivolte si fermano sulle nubi,<br />
vengono <strong>di</strong>sperse dal vento e non giungono nella reggia stellata del<br />
Dio del cielo. 34 Questo Dio, unico, noi dobbiamo pregare, perché Lui<br />
solo è l’Onnipotente in grado <strong>di</strong> intervenire nelle vicende dell’uomo,<br />
così come <strong>di</strong> fatto è intervenuto con somma efficacia a cambiare la<br />
vita <strong>di</strong> Paolino. 35 E’ il Dio, sostegno e sorgente del vero e del bene,<br />
Dio che nessuno vede se non in Cristo (…veri bonique fomitem et<br />
fontem deum, quem nemo nisi in Christo videt), che è luce <strong>di</strong> verità,<br />
via <strong>di</strong> vita, forza mente mano e potenza del Padre, sole <strong>di</strong> giustizia,<br />
nato da Dio e creatore del mondo. E’ un Dio esclusivo e geloso che<br />
reclama tutto per sé, noi stessi e tutti i nostri beni. 36<br />
Pertanto non può essere considerato empio e perverso - così come<br />
ha fatto il suo maestro - chi, come Paolino, si è offerto a Dio con<br />
amore e de<strong>di</strong>zione ed in Lui ha riposto ogni sua cosa. Proprio per<br />
questo nel vero cristiano non può mai venir meno la “pietà”, che è la<br />
<strong>di</strong>sponibilità piena nei confronti <strong>di</strong> Dio e soprattutto dei i fratelli. 37<br />
33<br />
ID. Carm. X, 23-28: Fuit ista quondam non ope, sed stu<strong>di</strong>o pari / tecum<br />
mihi concor<strong>di</strong>a / ciere surdum Delphica Phoebum specu, / vocare Musas numina<br />
/ fan<strong>di</strong>que munus munere indultum dei / petere e nemoribus aut iugis.<br />
34<br />
Cf. ibid. 109-118.<br />
35<br />
Ibid. 128-130: Quid me accusas Si <strong>di</strong>splicet actus / quem gero agente<br />
deo, prius est, si fas, reus auctor, / cui placet aut formare meos aut vertere sensus.<br />
36<br />
Ibid. 45-66: Questi versi che si presentano come un vero e proprio inno<br />
cristologico, altamente poetico e profondamente connotato in senso teologico,<br />
mostrano già ad evidenza il notevole cristocentrismo che caratterizzerà poi tutto il<br />
pensiero e l’opera <strong>di</strong> Paolino.<br />
37<br />
Cf. Ibid. 83-85.<br />
– 217
Subito dopo Paolino proclama la sua conversione, confessa cioè<br />
<strong>di</strong> avere ormai aderito anima e corpo all’invito <strong>di</strong> Cristo e <strong>di</strong> essere<br />
orientato e deciso ad abbracciare il nuovo ideale <strong>di</strong> vita: “Ora una<br />
forza <strong>di</strong>versa soggioga la mia anima, un <strong>di</strong>o più potente che pretende<br />
altri costumi <strong>di</strong> vita, reclamando per sé dall’uomo il dono che gli<br />
concesse, <strong>di</strong> vivere cioè per il padre della vita”. 38 Adesso bisogna<br />
dunque vivere solo per Dio: le ricchezze e tutto il resto, filosofia,<br />
retorica e la stessa poesia, tutto è vanità, futilità, menzogna che non<br />
porta alla salvezza ed oscura la sola Verità (… qui corda falsis atque<br />
vanis imbuunt / tantumque linguas instruunt, / nihil ferentes, ut<br />
salutem conferant, / quod veritatem detegat), 39 Verità che è Cristo<br />
che vi conduce, Cristo che adesso reclama tutto <strong>di</strong> noi, ma che ci<br />
ripagherà con usura gli interessi <strong>di</strong> tutto ciò che gli avremo riconsegnato<br />
nutrendo i suoi poveri. 40<br />
D’altronde, l’intervento <strong>di</strong> Dio nell’esistenza e nell’esperienza<br />
<strong>di</strong> Paolino ha trasformato ra<strong>di</strong>calmente il suo modo <strong>di</strong> essere, il suo<br />
modo <strong>di</strong> pensare e <strong>di</strong> vivere. Lo stesso Paolino <strong>di</strong>chiara espressamente<br />
<strong>di</strong> non essere più quello <strong>di</strong> un tempo: Dio ha suscitato in lui,<br />
rigenerato o cambiato nel profondo i suoi sentimenti: “Infatti se tu<br />
pensi che la mia condotta sia quella <strong>di</strong> prima, che tu conosci, spontaneamente<br />
ti confesserò che io non sono quello che sono stato in quel<br />
tempo, allorquando non ero ritenuto perverso, ma ero perverso tuttavia,<br />
poiché non vedevo che attraverso la caligine dell’errore, possedendo<br />
quella saggezza che per Dio è follia, e vivendo nei pascoli<br />
della morte”. 41 La sua “rigenerazione”, dunque, iniziata col battesimo,<br />
è da attribuire al Sommo Padre, che ha suscitato in lui una “volontà<br />
nuova, una volontà non mia, non mia una volta (quondam), ma<br />
mia ora (nunc) per ispirazione <strong>di</strong>vina (auctore deo)”. 42<br />
38<br />
Ibid. 29-32: Nunc alia mentem vis agit, maior deus, / aliosque mores postulat,<br />
/ sibi reposcens ab homine munus suum, / vivamus ut vitae patri.<br />
39<br />
Cf. Ibid. 33-42.<br />
40<br />
Ibid. 70-80: Si evidenzia già da questo testo del 393 l’atteggiamento <strong>di</strong><br />
Paolino nei confronti dei beni del mondo, che la fede “non rigetta come profani o<br />
<strong>di</strong> nessun valore, ma ci insegna a riporli nel cielo, come più preziosi, dopo averli<br />
affidati a Cristo Dio, il quale promise una ricompensa maggiore <strong>di</strong> ciò che doniamo,<br />
in modo da restituire con grande interesse me<strong>di</strong>ante la sua presenza ciò che è<br />
stato <strong>di</strong>sprezzato o meglio rimesso nelle sue mani. Custode fedele, da buon debitore,<br />
restituirà accresciute le ricchezze a chi ha avuto fiducia in lui, e come Dio,<br />
nella sua grande munificenza, renderà con molto frutto il denaro <strong>di</strong>sprezzato (…<br />
multaque spretam largior pecuniam / restituet usura deus)”.<br />
41<br />
Ibid. 131-135.<br />
42<br />
Ibid. 137-<strong>14</strong>3: … agnosci datur a summo genitore novari / quod non more<br />
218 –
Tra il “quondam” ed il “nunc”, opposizione che caratterizza il<br />
<strong>di</strong>panarsi del testo paoliniano, che si <strong>di</strong>batte tra il vecchio mondo<br />
della mitologia e della favola, ispiratore della poesia classicheggiante<br />
<strong>di</strong> Ausonio, ed il nuovo mondo della vita e della esperienza del Dio<br />
incarnato in Cristo, nuovo Apollo, ispiratore del canto <strong>di</strong> Paolino,<br />
c’è ancora una volta una chiara e netta contrapposizione, che Paolino,<br />
tuttavia, considera in una continuità <strong>di</strong> fondo e saldamente ra<strong>di</strong>cata<br />
nella sua formazione umanistica, una continuità evidente non solo<br />
nella variegata polimetria formale dei suoi versi, ma soprattutto<br />
allorquando egli afferma senza mezzi termini che “<strong>di</strong> tutto il bene<br />
che Dio ha tratto ed operato in lui, trovando nella sua anima qualcosa<br />
<strong>di</strong> degno per i suoi doni, la gratitu<strong>di</strong>ne e la gloria vanno attribuite<br />
soprattutto ad Ausonio, perché dai suoi alti insegnamenti ha avuto<br />
origine ciò che Cristo avrebbe amato”. 43 Il cristianesimo, con la<br />
nuova fede e la sua morale, anche per il nostro Paolino, presuppone<br />
la natura umana e si innesta vitalmente sulla formazione spirituale<br />
dell’uomo, insieme sublimandole.<br />
E il grande merito del maestro Ausonio è appunto quello <strong>di</strong> aver<br />
preparato un terreno fertile e ben <strong>di</strong>sposto all’azione della grazia <strong>di</strong><br />
Dio nel cuore del suo pre<strong>di</strong>letto <strong>di</strong>scepolo. Un merito, questo, che il<br />
vecchio poeta adesso non può e non deve assolutamente sciupare.<br />
Paolino, da parte sua, si mostra infinitamente riconoscente al suo<br />
amico e maestro: “Perciò tu devi piuttosto rallegrarti che lamentarti<br />
- gli <strong>di</strong>ce - perché io, il tuo Paolino, formato dai tuoi insegnamenti e<br />
dalle tue virtù (tuis stu<strong>di</strong>is et moribus ortus), al quale tu non devi<br />
negare <strong>di</strong> essere padre, neppure adesso che lo cre<strong>di</strong> traviato, ho così<br />
cambiato i miei pensieri da meritare <strong>di</strong> appartenere a Cristo pur rimanendo<br />
<strong>di</strong> Ausonio. Egli renderà la sua ricompensa alla tua gloria,<br />
e a te offrirà il primo frutto della tua pianta. Perciò, ti prego, abbi<br />
opinione migliore e non perdere il più grande premio, detestando i<br />
beni scaturiti dalle tue sorgenti”. 44<br />
meo geritur; non, arbitror, istic / confessus <strong>di</strong>car mutatae in prava notandum /<br />
errorem mentis, quoniam sim sponte professus / me non mente mea vitam mutasse<br />
priorem. / Mens nova mi, fateor, mens non mea, non mea quondam,, / sed mea<br />
nunc auctore deo,…<br />
43<br />
Ibid. <strong>14</strong>3-<strong>14</strong>6: …[deus], qui si quid in actu / ingeniove meo sua <strong>di</strong>gnum ad<br />
munia vi<strong>di</strong>t, / gratia prima tibi, tibi gloria debita ce<strong>di</strong>t, / cuius praeceptis partum<br />
est quod Christus amaret.<br />
44<br />
Ibid. <strong>14</strong>7-155.<br />
– 219
D’altra parte, Paolino non è ancora fuggito lontano dagli uomini,<br />
sull’esempio dei filosofi e poeti antichi, in ritiro dal mondo per de<strong>di</strong>carsi<br />
alla me<strong>di</strong>tazione e alle Muse, ma soprattutto non vive ancora<br />
l’esperienza dei gran<strong>di</strong> asceti cristiani appartati in luoghi deserti e<br />
silenziosi per “me<strong>di</strong>tare Cristo con mente pura” (castis /… animis:<br />
160s.). Anche se egli nutre vivo nel suo cuore il desiderio <strong>di</strong> imitare<br />
quegli illustri amatores Christi. Paolino perciò non si considera affatto<br />
un Bellerofonte, che mens demens vive in solitu<strong>di</strong>ne e nega con<br />
forza <strong>di</strong> essere fuor <strong>di</strong> senno, dal momento che egli non abita nei<br />
luoghi selvaggi della Guascogna né sulle vette innevate dei Pirenei,<br />
bensì in città illustri e civili della Spagna, che Ausonio mostra <strong>di</strong><br />
non conoscere affatto. D’altra parte Paolino non ha <strong>di</strong>menticato il<br />
cielo della patria, ora che lo contempla nel Dio del cielo. Tanto meno<br />
egli ha per moglie una imperiosa Tanaquilla, bensì una virtuosa<br />
Lucrezia. 45<br />
Orbene - osserva Paolino - un padre vigile e buono riprende e<br />
corregge il figlio, che è “passato dalla rettitu<strong>di</strong>ne alla cattiveria, dalla<br />
religiosità ad una vita profana, dall’onestà alla turpitu<strong>di</strong>ne”: è giusto<br />
che l’ira spinga il padre benigno a riportare l’amico caduto ai<br />
retti costumi (…blandum licet ira parentem / excitet, ut lapsum rectis<br />
instauret amicum / moribus et monitu reparet meliora severo)”. “Ma<br />
se il figlio - continua il Poeta - ha scelto e segue Cristo, ha consacrato<br />
cioè il suo cuore al Dio della bontà seguendo il venerabile comando<br />
<strong>di</strong> Cristo con docile fede e persuaso dagli insegnamenti <strong>di</strong>vini che<br />
all’uomo mortale sono preparati doni eterni acquistati attraverso le<br />
sofferenze presenti, non penso che ciò costituisca motivo <strong>di</strong> dolore<br />
per un padre buono fino al punto da ritenere colpa il vivere per Cristo,<br />
come Cristo ha stabilito” (ut errorem credat sic vivere Cristo, /<br />
ut Christus sanxit). 46<br />
Il giovane Paolino è giunto ormai alla piena convinzione che l’uomo<br />
e tutto ciò che gli appartiene è fugace e <strong>di</strong> breve durata e che<br />
l’uomo senza Cristo è polvere ed ombra (homo… sine Christo pulvis<br />
et umbra). Perciò la cosa più importante per lui adesso è quella <strong>di</strong><br />
vivere secondo il precetto <strong>di</strong> Cristo Signore (At nisi, dum tempus<br />
45<br />
Ibid. 156-195: In questa parte centrale del carme, sezione che si prolunga<br />
fino al verso 259, Paolino, attraverso la rigorosa confutazione e il netto rifiuto<br />
delle gravi accuse mossegli da Ausonio, chiarisce e mette a fuoco con luci<strong>di</strong>tà il<br />
suo propositum ascetico-monastico da vivere e realizzare sulle orme dei gran<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> Cristo.<br />
46<br />
Cf. ibid. 278-285.<br />
220 –
praesens datur, anxia nobis / cura sit ad domini praeceptum vivere<br />
Christi, / sera erit…), senza prestare ascolto alle accuse e alle sollecitazioni<br />
<strong>di</strong> tutti quelli che vivono lontani da questo suo ideale, fosse<br />
pure l’antico maestro e padre. 47<br />
Il nuovo Poeta cristiano chiude il suo canto con la scena gran<strong>di</strong>osa<br />
del Giu<strong>di</strong>zio finale, quando il Cristo glorioso tornerà in tutta la<br />
sua maestà <strong>di</strong>vina per giu<strong>di</strong>care con equo giu<strong>di</strong>zio tutte le genti e<br />
concedere le ricompense dovute alle <strong>di</strong>verse opere (…regem… /<br />
venturum, ut cunctas aequato examine gentes / iu<strong>di</strong>cet et variis referat<br />
sua praemia gestis). 48<br />
In attesa dell’avvento finale <strong>di</strong> Cristo, il cuore <strong>di</strong> Paolino è in<br />
ansia e “trema nelle trepide fibre temendo fin d’ora che, legato alle<br />
dolorose cure del corpo e gravato dal peso delle cose terrene, quando<br />
nel cielo aperto risuonerà la tromba potente, non possa levarsi nell’etere<br />
su agili ali incontro al Re, volando tra le schiere gloriose dei<br />
santi nel cielo”. Timore e preoccupazione <strong>di</strong> Paolino, dunque, è che<br />
“l’ultimo giorno lo sorprenda inattivo oppure immerso nelle tenebre<br />
del mondo intento a compiere azioni inutili e dannose”. Orbene, soprattutto<br />
per evitare questa tragica sventura, Paolino “ha deciso <strong>di</strong><br />
prevenire gli eventi colla scelta ascetica (propositum) e nella vita<br />
che gli resta porre termine alle agitazioni e, affidate a Dio tutte le sue<br />
cose, per il tempo futuro aspettare col cuore tranquillo la morte crudele<br />
(trucem mortem)”. 49<br />
Questa prospettiva escatologica, in cui Paolino ha già collocato<br />
la sua vita con le sue scelte religiose, questa nuova visione del mondo<br />
e della propria esperienza <strong>di</strong> vita, considerata ormai sub specie<br />
aeternitatis, non poteva <strong>di</strong> certo allettare il vecchio Ausonio. Costui<br />
invece <strong>di</strong> congratularsi con il <strong>di</strong>scepolo, ormai avviato su altre strade<br />
e ad altre vette, avverte la profonda frattura che si è generata in loro<br />
due nei confronti della loro tra<strong>di</strong>zionale concezione dell’amicizia e<br />
della pietà. Una frattura, questa, che <strong>di</strong> fatto viene sancita da Paolino<br />
come da un epitaffio e scan<strong>di</strong>ta dai due esametri conclusivi del suo<br />
carme, che hanno tutto il sapore <strong>di</strong> un ultimatum irrevocabile: Si<br />
placet hoc, gratare tui spe <strong>di</strong>vite amici: / si contra est, Christo tantum<br />
me linque probari: “Se ti è gra<strong>di</strong>to ciò, rallegrati della ricca speranza<br />
del tuo amico; se invece no, lascia che io sia approvato da Cristo”. 50<br />
47<br />
Cf. ibid. 288-295.<br />
48<br />
Ibid. 299-301.<br />
49<br />
Cf. ibid. 304-329.<br />
50<br />
Ibid. 330-331.<br />
– 221
Come cristiano io sto e vivo con Cristo e con gli uomini, ma non con<br />
gli uomini senza Cristo, sembra ripetere Paolino a se stesso e al <strong>di</strong>letto<br />
maestro, a conclusione del suo articolato <strong>di</strong>scorso, in questa<br />
fase così importante della sua ricerca e del suo ritiro spagnolo.<br />
III - LA FINE DI UNA CORRISPONDENZA<br />
III.1 - La risposta <strong>di</strong> Ausonio: Il giogo e l’amante respinto<br />
Ausonio accusa ricevuta del carme X <strong>di</strong> Paolino, e ne avverte<br />
subito il drammatico messaggio <strong>di</strong> chiarimento, che egli legge e rilegge<br />
in chiave <strong>di</strong> una frattura definitiva della loro antica amicizia:<br />
voci e <strong>di</strong>cerie popolari, insinuazioni malvagie, che pur erano giunte<br />
al suo orecchio, ormai non hanno più motivo <strong>di</strong> esistere, data<br />
l’inequivocabile chiarezza e decisione del <strong>di</strong>scorso del <strong>di</strong>scepolo.<br />
Egli perciò risponde con l’epistola metrica 25, l’ultima in<strong>di</strong>rizzata a<br />
Paolino, nella quale fra l’altro accusa con viva amarezza l’amico<br />
come l’unico colpevole e responsabile del loro vincolo <strong>di</strong> amicizia<br />
infranto.<br />
Un giogo leggero, quello che li ha tenuti uniti in dolce concor<strong>di</strong>a<br />
per lunghi anni, un giogo che i loro stessi genitori avevano portato<br />
con gioia per tutta la vita, trasmettendolo poi ai loro figli ed ere<strong>di</strong><br />
pre<strong>di</strong>letti, Paolino e Ausonio: “Ecco, noi scuotiamo il giogo, Paolino,<br />
quel giogo che la nota moderazione rendeva facile… guidato da una<br />
dolce concor<strong>di</strong>a (concor<strong>di</strong>a mitis), mai scosso da falsa <strong>di</strong>ceria, da<br />
lamentela o rimprovero, questo giogo dolce (mite iugum) che hanno<br />
portato i nostri due padri dalla loro infanzia fino alla sera della loro<br />
vita; essi l’hanno trasmesso ai loro ere<strong>di</strong> nella speranza che persistesse<br />
sino al giorno lontano della fine della loro esistenza… Ed ecco<br />
che noi lo scuotiamo, ma la colpa non è reciproca, ma soltanto tua, o<br />
Paolino”. 51<br />
La metafora del “giogo”, da cui prende l’avvio l’epistola <strong>di</strong> Ausonio,<br />
richiama la nota espressione del Vangelo (Mt 11, 30: “Il mio<br />
giogo infatti è dolce (suave) e il mio carico leggero (leve)”, afferma<br />
Cristo, invitando i suoi <strong>di</strong>scepoli a prenderlo su <strong>di</strong> sé e a portarlo con<br />
51<br />
AVSON. Epist. 25, 1-21:Discutimus, Pauline, iugum… / … leve quod positu<br />
et venerabile iunctis / tractabat paribus concor<strong>di</strong>a mitis habenis; / … tam placidum,<br />
tam mite iugum,, quod utrique parentes / ad senium nostri traxere ab origine vitae<br />
/ inpositumque piis here<strong>di</strong>bus usque manere / optarunt, dum longa <strong>di</strong>es <strong>di</strong>ssolveret<br />
aevum. /… Discutitur, Pauline, tamen: non culpa duorum / ista, sed unius tantum<br />
tua.<br />
222 –
gioia). E l’immagine evangelica domina la prima parte dell’epistola<br />
e risulta quanto mai appropriata ed efficace anche sulle labbra <strong>di</strong> un<br />
cristiano superficiale come Ausonio: all’inizio il giogo è leggero<br />
(leve), perché guidato con briglie uguali da una concor<strong>di</strong>a, che è dolce<br />
(mitis) (vv. 1-3); ma poco dopo il giogo appare così tranquillo<br />
(placidum) e dolce (mite) (vv. 9 e 16), che sarebbe stato sopportato<br />
facilmente e con docile collo (docili cervice) anche dai destrieri più<br />
focosi e bizzarri della tra<strong>di</strong>zione mitica. 52<br />
D’altra parte sembra che Ausonio abbia accolto l’invito <strong>di</strong> Paolino<br />
a rivolgere le sue preghiere non agli dei falsi e bugiar<strong>di</strong>, bensì all’unico<br />
e vero Dio dei cristiani, per ottenere concretamente il ritorno<br />
in “patria” e alle Muse del suo <strong>di</strong>scepolo. 53 Ed invece anche questa<br />
sua ultima epistola è tutta tramata <strong>di</strong> richiami al mondo del mito e<br />
della favola, quasi a sottolineare ancora una volta che i due corrispondenti<br />
si muovono ormai su piani profondamente <strong>di</strong>versi ed opposti<br />
tra loro e parlano linguaggi che non possono incontrarsi.<br />
Pertanto l’elogio dell’amicizia che segue, con la rassegna <strong>di</strong> personaggi<br />
<strong>di</strong>ventati famosi, nella leggenda e nella storia, per il loro legame<br />
<strong>di</strong> amicizia - un mondo questo, in cui anche Ausonio e Paolino<br />
nell’opinione dei contemporanei erano destinati ad entrare, per esservi<br />
immortalati alla stregua del grande Scipione e del vecchio Lelio<br />
- lascia intravedere, attraverso il richiamo alla tra<strong>di</strong>zione letteraria,<br />
la sofferenza del poeta deluso ed amareggiato, che non riesce a capire<br />
e a recepire le nuove istanze religiose del <strong>di</strong>scepolo, né tantomeno<br />
a sintonizzarsi col lucido e nuovo <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Paolino, per cui egli si<br />
limita a prendere atto e a registrare l’ormai avvenuta rottura dell’amicizia<br />
col suo ex-alunno. 54<br />
A conclusione del suo epillio, Ausonio si libra sulla fantasia,<br />
contempla e segue, con la sua immaginazione, il <strong>di</strong>scepolo che ritorna<br />
in patria nei suoi posse<strong>di</strong>menti presso Bordeaux e conclude riportando<br />
il penultimo verso dell’VIII Bucolica <strong>di</strong> Virgilio: è realtà oppure<br />
sogno <strong>di</strong> innamorati<br />
52<br />
Ibid. 16-19: Hoc tam mite iugum docili cervice subirent / Martis equi<br />
stabuloque feri Diome<strong>di</strong>s abacti / et qui mutatis ignoti Solis habenis / fulmineum<br />
Phaethonta Pado mersere iugales. Cf. OVID. Met. II, 19-300.<br />
53<br />
Cf. PAVL NOL. Carm. X, 109-128 con AVSON. Epist. 25, 112-1<strong>14</strong>: Certa est<br />
fiducia nobis, / si genitor natusque dei pia verba volentum / accipiat, nostro<br />
red<strong>di</strong> te posse precatu,…<br />
54<br />
Cf., in modo particolare, AVSON. Epist. 25, 34-57.<br />
– 223
III. 2 - Il carme XI <strong>di</strong> Paolino:<br />
dulcis amicitia aeterno mihi foedere tecum<br />
Con la risposta del carme XI <strong>di</strong> Paolino cala definitivamente il<br />
sipario sulla figura <strong>di</strong> Ausonio e sul saldo rapporto <strong>di</strong> amicizia che<br />
fin dai più teneri anni ha tenuto legato il giovane proprietario terriero<br />
col maestro e padre della sua formazione intellettuale.<br />
E Paolino, col carme XI, <strong>di</strong> appena 68 versi complessivi, composto<br />
alla fine del 393 o agli inizi del 394, risponde all’ultima epistola<br />
metrica <strong>di</strong> Ausonio, e, pur lasciando aperto il <strong>di</strong>alogo col vecchio<br />
maestro, non può fare a meno <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re la sua decisione ascetica,<br />
che ormai lo impegna totalmente alla sequela <strong>di</strong> Cristo.<br />
Anche quest’ultimo carme <strong>di</strong> Paolino ad Ausonio si svolge in<br />
versi polimetrici: 1-48 esametri e 49-68 <strong>di</strong>stici giambici (trimetri e<br />
<strong>di</strong>metri giambici). Nella prima sezione il Poeta, dopo aver accennato<br />
<strong>di</strong> nuovo alle accuse lanciategli dal maestro nelle lettere precedenti,<br />
accuse che “lacerano” il suo cuore e “offendono” la sua coscienza <strong>di</strong><br />
amico fedele, sottolinea con forza che i suoi profon<strong>di</strong> sentimenti <strong>di</strong><br />
stima e <strong>di</strong> affetto nei confronti dell’amico non sono venuti mai meno.<br />
Anzi essi ora sono più vivi che mai perché fondati e messi sullo<br />
stesso piano dell’amore a Cristo: “Lascia, ti prego, <strong>di</strong> tormentare chi<br />
ti appartiene, e non mescolare parole amare con espressioni paterne,<br />
come assenzio con il miele. Fu sempre mia cura, e ancora rimane, <strong>di</strong><br />
onorarti con tutti i riguar<strong>di</strong> e rispettarti con amore fedele”. 55<br />
Egli pertanto non ha scosso affatto il giogo dei “dotti stu<strong>di</strong>”, che<br />
- al <strong>di</strong>re <strong>di</strong> Ausonio - lo teneva unito al “santo genitore”. Questo<br />
giogo letterario in realtà egli non l’ha mai portato, perché del tutto<br />
inferiore al suo maestro, col quale a stento un Cicerone e un Virgilio<br />
avrebbero potuto stare alla pari sotto il medesimo giogo. Invece da<br />
sempre Paolino è sotto il dolce giogo <strong>di</strong> un’amicizia sincera e fedele,<br />
lui e tutti quelli della sua casa, con il suo maestro <strong>di</strong> un tempo. Un<br />
giogo, quest’ultimo, che non è stato mai scosso, e che anzi adesso<br />
potrà e dovrà essere rinsaldato dallo stesso amore <strong>di</strong> Cristo. 56<br />
Questa nuova amicizia, che è l’amicizia cristiana, “fondata sull’eterna<br />
alleanza con te ed uguale sempre per la reciproca legge della<br />
corrispondenza dell’affetto, pone insieme il piccolo con il grande<br />
55<br />
PAVL. NOL. Carm. XI, 6-9: Parce, precor, lacerare tuum nec amara paternis<br />
/ admiscere velis ceu melli absinthia verbis.<br />
56<br />
Ibid. 17-19: Hoc mea te domus exemplo coluitque colitque, / inque tuum<br />
tantus nobis consensus amorem, / quantus et in Christum conexa mente colendum.<br />
224 –
con re<strong>di</strong>ni appaiate” 57 e tende all’”amore <strong>di</strong> unità” 58 , perché proiettata<br />
e tutta protesa verso orizzonti celesti, fuori dei confini del tempo<br />
e dello spazio. In questa dolce visione del nuovo vincolo <strong>di</strong> carità<br />
che ci unisce al fratello nel tempo e per l’eternità, la cara immagine<br />
paterna del vecchio maestro rimarrà impressa indelebilmente nel<br />
cuore del suo <strong>di</strong>scepolo. E’ questa la vera “novità” e il senso profondo<br />
dell’autentica amicizia, sottolineato da Paolino nella sezione<br />
giambica del suo carme: finché e dovunque vivrà “e quando, liberato<br />
dal carcere del corpo e dalla terra, volerà via, in qualunque parte del<br />
cielo lo collocherà il Padre comune”, Paolino conserverà nell’intimo<br />
del cuore l’immagine dell’antico maestro e lo abbraccerà a lui presente<br />
con affettuoso pensiero (mente complectar pia / ubique<br />
praesentem mihi)”. 59 Proiettando ormai il suo “nuovo” amore sullo<br />
sfondo escatologico, Paolino proclama solennemente la sua fede<br />
incrollabile nella immortalità dell’anima umana, “che, essendo <strong>di</strong><br />
origine celeste, sopravvive alla corruzione del corpo, necessariamente<br />
conserva insieme i suoi sentimenti ed affetti, come la sua propria<br />
vita, e non ammette né morte né oblio, eternamente viva e memore”. 60<br />
Tutto questo è proclamato da Paolino forse in sottile polemica<br />
proprio col suo maestro, che, non molti anni prima, aveva concluso<br />
l’elogio del professore <strong>di</strong> Bordeaux, Tiberio Vittore Minervio, amato<br />
e pianto come un padre, insinuando appunto il dubbio sulla sopravvivenza<br />
dell’anima umana. 61<br />
57<br />
Ibid. 39-43: Si iungar amore, / hoc tantum tibi me iactare audebo iugalem,<br />
/ quo mo<strong>di</strong>cum sociis magno conten<strong>di</strong>t habenis / dulcis amicitia aeterno mihi<br />
foedere tecum / et paribus semper redaman<strong>di</strong> legibus aequa.<br />
58<br />
D. SORRENTINO, L’amore <strong>di</strong> unità: Amicizia spirituale ed ecclesiologia in<br />
Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>, in <strong>Impegno</strong> e <strong>di</strong>alogo 9 (1991-1992), pp. <strong>14</strong>9-169.<br />
59<br />
PAVL. NOL. Carm. XI, 49-62: Ego te per omne quod datum mortalibus / et<br />
destinatum saeculum est, / claudente donec continebor corpore, / <strong>di</strong>scernar orbe<br />
quolibet, / nec ab orbe longe nec remotum lumine / tenebo fibris insitum, / videbo<br />
corde, mente conplectar pia / ubique praesentem mihi. / Et cum solutus corporali<br />
carcere / terraque provolavero, / quo me locarit axe communis pater / illic quoque<br />
animo te geram. / Neque finis idem qui meo me corpore / et amore laxabit tuo :<br />
Paolino, sguardo e cuore protesi verso il futuro immortale, riba<strong>di</strong>sce che nel tempo<br />
che vivrà e per tutta l’eternità, dovunque il Padre comune vorrà collocarlo nel<br />
suo regno infinito, conserverà per sempre il suo amore per Ausonio.<br />
60<br />
Ibid. 63-68.<br />
61<br />
Cf. AVSON. Prof. I, 39-42: Et nunc, sive aliquid post fata extrema superfit,<br />
/ vivis adhuc, aevi, quod periit, meminens; / sive nihil superest nec habent longa<br />
otia sensus, / tu tibi vixisti: non tua fama iuvat.<br />
– 225
La risposta <strong>di</strong> Paolino segna pertanto la fine <strong>di</strong> un’amicizia umana<br />
e <strong>di</strong> un rapporto <strong>di</strong> “pietà”, che non sono riusciti a sublimarsi<br />
nella carità <strong>di</strong> Cristo né a proiettarsi sull’orizzonte dell’eternità, per<br />
vivere un’esperienza <strong>di</strong> vita nuova. 62<br />
IV - ALL’OMBRA DEL “VASTO FAGGIO”: TITYRUS CHRISTIANUS 63<br />
Ausonio e Paolino in questa loro corrispondenza finale, che anima<br />
il vivace <strong>di</strong>battito sulla conversione ascetica del <strong>di</strong>scepolo, si<br />
muovono ambedue costantemente sullo sfondo virgiliano: il<br />
Mantovano domina ancora l’immaginario e l’espressione poetica dei<br />
due autori. Soprattutto con le vicende dei protagonisti <strong>di</strong> due delle<br />
Bucoliche, la prima e l’ottava, che costituiscono le icone germinali<br />
dell’epistola metrica 25 <strong>di</strong> Ausonio e del carme XI <strong>di</strong> Paolino.<br />
Ausonio, a sancire la presa d’atto della frattura del vincolo d’affetto<br />
col <strong>di</strong>scepolo, che, da solo, ha rotto la loro antica amicizia,<br />
conclude l’epistola 25 con la descrizione del suo sogno fantastico <strong>di</strong><br />
rivedere e riabbracciare il suo Paolino. A questo punto egli riporta il<br />
penultimo verso dell’VIII Bucolica <strong>di</strong> Virgilio: Cre<strong>di</strong>mus an qui<br />
amant, ipsi sibi somnia fingunt= “Devo crederci Oppure questi<br />
sono sogni che coloro che amano s’inventano per loro consolazione”.<br />
64<br />
Orbene, l’ottava egloga virgiliana, in 109 esametri, tratta il tema<br />
dell’amore respinto, in una gara <strong>di</strong> canto tra due pastori, Damone e<br />
Alfesibeo, e svolge due opposti drammi amorosi: nel canto <strong>di</strong> Damone<br />
(1-62) è un giovane pastore, che, respinto e tra<strong>di</strong>to dall’amatissima<br />
Nisa, chiude col suici<strong>di</strong>o la propria vita infelice; in quello <strong>di</strong> Alfesibeo<br />
(62-109), invece, è una giovane donna, che, abbandonata dall’amante<br />
Dafni, ricorre a molteplici scongiuri ed incantesimi, per ottenere il<br />
ritorno del suo uomo. E alla fine ci riesce. Perciò il Poeta mantovano<br />
al vecchio ritornello “Ducite ab urbe domum, mea carmina, ducite<br />
Daphnim”, che ha scan<strong>di</strong>to il <strong>di</strong>panarsi del canto <strong>di</strong> Alfesibeo, sostituisce<br />
in ultima sede, a suggello del suo carme, il nuovo esametro<br />
62<br />
Anche se l’opera poetica <strong>di</strong> Ausonio continua ad essere presente e molto<br />
attiva negli scritti del suo <strong>di</strong>scepolo: cf. G. GUTTILLA, La presenza <strong>di</strong> Ausonio nella<br />
poesia dell’ultimo Paolino, in Orpheus <strong>14</strong> (1993), pp. 275-297.<br />
63<br />
W. SCHMID, Tityrus Christianus: Probleme religiöser Hirten<strong>di</strong>chtung an<br />
der Wende vom vierten zum fünften Jahrhundert, in Rheinisches Museum für<br />
Philologie 96 (1953), pp. 101-165.<br />
64<br />
VERG. Ecl.. VIII, 108.<br />
226 –
“Parcite, ab urbe venit, iam parcite, carmina, Daphnis” (109), che<br />
presenta appunto il compimento favorevole dell’evento.<br />
Pertanto Ausonio, che intende presentarsi nelle vesti dell’amante<br />
tra<strong>di</strong>to, trascura che nell’ultimo verso virgiliano l’Incantatrice<br />
mostra <strong>di</strong> aver ormai avvertito i segni dell’avvenuto ritorno dell’amante<br />
che era fuggito in città. Ma ad Ausonio premeva soprattutto sottolineare<br />
la sua amara delusione e turbare i “sogni” del suo <strong>di</strong>scepolo.<br />
Paolino, da parte sua, risponde per le rime all’epistola 25 del suo<br />
maestro. Accoglie la sfida del precettore, ma non accetta la sua immagine<br />
<strong>di</strong> amante respinto. E nel suo carme XI si richiama anche lui<br />
al mondo pastorale virgiliano, ma spazia in modo speciale nell’ambito<br />
e sullo sfondo della prima Bucolica del Mantovano. In realtà<br />
non mancano richiami espliciti <strong>di</strong> questo testo virgiliano nei versi <strong>di</strong><br />
Paolino. 65<br />
Ma in modo particolare il <strong>Nola</strong>no si rifà alla “situazione” dei due<br />
pastori, protagonisti della prima egloga, Titiro e Melibeo, la cui <strong>di</strong>versa<br />
con<strong>di</strong>zione esistenziale è stata sancita dall’intervento del giovane<br />
Ottaviano, venerato come un <strong>di</strong>o da Titiro, che, sdraiato all’ombra<br />
del vasto faggio, si gode tranquillamente la pace e il possesso<br />
dei suoi campi, insieme con i suoi greggi. Anche Paolino, come<br />
Titiro a Melibeo, potrebbe <strong>di</strong>chiarare ad Ausonio: “deus nobis haec<br />
otia fecit” (I, 6): un <strong>di</strong>o, quello che Titiro ha avuto modo <strong>di</strong> contemplare<br />
e venerare nel suo viaggio a Roma e che gli ha conservato<br />
l’otium nel suo podere, e un Dio, quello che Paolino ha accolto nel<br />
suo cuore e nella sua vita e che ha trasformato il suo otium ruris in<br />
ritiro ascetico, un Dio, il cui volto rimarrà impresso indelebilmente e<br />
per sempre nel cuore e del giovane pastore e del neofita cristiano.<br />
Paolino, da parte sua, riconosce nella <strong>di</strong>versa con<strong>di</strong>zione dei due<br />
pastori virgiliani l’immagine <strong>di</strong>retta della situazione che si è creata<br />
tra lui e il suo maestro, nel momento in cui il Signore Dio è intervenuto<br />
nella sua vita cambiandola ra<strong>di</strong>calmente e spezzando tutti i legami<br />
col mondo ed anche i vincoli delle antiche amicizie: come<br />
l’otium concesso a Titiro dal suo <strong>di</strong>o romano ha spezzato il suo<br />
consortium con l’amico Melibeo, costretto dagli eventi bellici ad<br />
abbandonare la patria e i suoi campi, così la decisione <strong>di</strong> vivere in<br />
ritiro cristiano (otium), ispirata da Dio a Paolino, ha comportato la<br />
necessità <strong>di</strong> rompere ed abbandonare le vecchie amicizie, nate e rimaste<br />
sul piano puramente umano. Orbene, un poeta cristiano e <strong>di</strong><br />
65<br />
ID. Ecl. I, 25. 63.<br />
– 227
fede ardente come Paolino non poteva non proiettare sul vasto orizzonte<br />
celeste della vita immortale anche l’antica amicizia col suo<br />
patrono, maestro e padre. Sarebbe bastato che quest’ultimo avesse<br />
<strong>di</strong>sposto il suo cuore a seguire il <strong>di</strong>scepolo sulla nuova via del Vangelo,<br />
perché la loro unione e corrispondenza <strong>di</strong> amorosi affetti assumesse<br />
i caratteri perenni dell’immortalità.<br />
E’ evidente che la poesia e il mondo fantastico <strong>di</strong> Virgilio costituiscono<br />
ancora “un ponte vitale” tra i due mon<strong>di</strong> che si trovano a<br />
confronto ed in netta opposizione: quello, vecchio, <strong>di</strong> Ausonio e quello,<br />
nuovo, <strong>di</strong> Paolino. Ausonio in realtà rappresenta la cultura e la<br />
società letteraria dell’aristocrazia del tardo Impero, immersa nel<br />
mondo della mitologia e della favola, ma del tutto incapace <strong>di</strong> procurare<br />
all’uomo la salvezza e la felicità.<br />
Ma, nello stesso tempo, la corrispondenza, intercorsa in questo<br />
periodo spagnolo tra il maestro e il <strong>di</strong>scepolo, evidenzia che i due<br />
elementi essenziali alla sopravvivenza dei loro rapporti umani, vale<br />
a <strong>di</strong>re un’amicizia nata e costruita in modo tra<strong>di</strong>zionale ed una letteratura<br />
puramente secolare e fantastica, appaiono al nostro Paolino,<br />
già in questa fase della sua vita, del tutto insufficienti ed inadeguate<br />
ad esprimere il nuovo mondo della fede e della morale del Vangelo.<br />
Per Paolino, convertito ormai all’ideale della perfezione evangelica,<br />
occorrono adesso ben altre fonti e ben altri personaggi per rivitalizzare<br />
e riconcettualizzare la cultura classica, che si avvia a <strong>di</strong>ventare<br />
cristiana ed a produrre i suoi frutti maturi: sarà la Bibbia ed il<br />
suo ricco e complesso mondo religioso a fornire materia nuova alla<br />
vita e al canto in prosa ed in versi <strong>di</strong> Paolino.<br />
Questo nuovo orientamento <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> arte, Paolino lo sta già<br />
realizzando nel suo ritiro spagnolo con la composizione <strong>di</strong> poesie <strong>di</strong><br />
contenuto religioso, databili appunto agli anni 389-394. 66<br />
V - NOVITA’ E CONTINUITÀ: UN PERCORSO TUTTO IN SALITA<br />
L’atteggiamento leale e nello stesso tempo deciso, tenuto da<br />
Paolino nei confronti del suo maestro ed amico, <strong>di</strong>venta ancora più<br />
rigoroso dopo l’or<strong>di</strong>nazione sacerdotale, avvenuta nel Natale del 394.<br />
Subito dopo infatti egli scrive l’epist. 1 a Severo, appena convertito<br />
all’ideale ascetico, e lo esorta a fuggire lontano dagli amici <strong>di</strong> un<br />
tempo, che, opponendosi alle scelte dei due amici, devono essere<br />
66<br />
Si tratta dei Carmi VI-IX, del Carme XXXI, delle Epistole 35 e 36 a Delfino<br />
e ad Amando e del Panegirico <strong>di</strong> Teodosio.<br />
228 –
ecisi dalla comunità cristiana. 67 E qualche anno dopo egli rivolgerà<br />
gli stessi consigli ad un altro amico <strong>di</strong> gioventù, Apro, che, insieme<br />
con la moglie ha deciso <strong>di</strong> seguire l’esempio <strong>di</strong> Paolino (epistt.<br />
38.39.44 ad Apro e Amanda). 68<br />
A proposito dei carmi X e XI abbiamo sottolineato l’opposizione<br />
netta che nel pensiero <strong>di</strong> Paolino si era ormai consolidata, già<br />
nella prima fase del suo ritiro spagnolo, tra mondo classico e mondo<br />
cristiano. Ma in essi egli sottolinea con forza anche gli elementi e i<br />
segni <strong>di</strong> continuità tra le due visioni del mondo. Infatti, oltre alle<br />
<strong>di</strong>verse forme poetiche classiche, <strong>di</strong> cui egli continua a servirsi per<br />
esprimere i nuovi contenuti spirituali e morali, illustrati e narrati attraverso<br />
l’assidua utilizzazione della Sacra Scrittura, Paolino sostiene<br />
con convinzione che il Signore Dio ha innestato la nuova realtà ed<br />
esperienza della sua vita cristiana e della sua arte sull’antica formazione<br />
classica ricevuta appunto ad opera <strong>di</strong> Ausonio. Egli non ha<br />
ancora messo in atto il suo profondo desiderio, oggetto della sua<br />
preghiera, <strong>di</strong> seguire l’esempio dei gran<strong>di</strong> filosofi e asceti in ritiro<br />
dal mondo per me<strong>di</strong>tare Cristo, ma è questa la meta che ormai brilla<br />
davanti alla sua mente e lo alletta in modo particolare. In Spagna ora<br />
Paolino sta vivendo ancora in città famose e ricche, ma già il suo<br />
pensiero è fisso a S. Felice e alla sua Coemeterium.<br />
Sotto l’apparentemente logico e sereno itinerario <strong>di</strong> maturazione<br />
cristiana <strong>di</strong> Paolino, si intuisce la drammatica tensione delle sue scelte,<br />
il tormento e le <strong>di</strong>fficoltà che insieme con la moglie Terasia deve<br />
affrontare e superare per tradurle in pratica. Paolino poi è profondamente<br />
convinto che il battesimo costituisce l’atto <strong>di</strong> santificazione<br />
fondamentale, rigenerativo, fondante della vita cristiana, vissuta in<br />
sintonia con la legge del Vangelo: consacrata a Dio ed innestata in<br />
Cristo, la vita spirituale col sacramento del battesimo compie ap-<br />
67<br />
PAVL. NOL. epist. 1, 5: “Sia pur esso un tuo fratello ed un amico a te unito<br />
più della tua destra e più caro dei tuoi occhi, se però è a te estraneo e nemico in<br />
Cristo, sia per te un pagano e un pubblicano. Sia reciso dal tuo corpo come inutile<br />
destra chi non è unito a te nel corpo <strong>di</strong> Cristo; sia cavato come occhio dannoso, chi<br />
con la sua immondezza o cecità ottenebra tutto il tuo corpo. Infatti è preferibile<br />
che un solo membro perisca per la salvezza <strong>di</strong> tutto il corpo, piuttosto che tutto il<br />
corpo, come <strong>di</strong>ce il Signore, vada nella Geenna per amore <strong>di</strong> un solo membro<br />
<strong>di</strong>fettoso”.<br />
68<br />
Soltanto in un secondo momento, Paolino mitigherà alquanto il suo atteggiamento<br />
<strong>di</strong> fronte agli amici che <strong>di</strong> fatto si sono rifiutati <strong>di</strong> seguirlo e <strong>di</strong> abbracciare<br />
l’ideale ascetico. Così nell’epist.16 e nel carme XXII in<strong>di</strong>rizzati a Giovio,<br />
suo parente, oppure nelle lettere 40 e 41 a Santo, amico d’altri tempi.<br />
– 229
punto il suo primo passo, quello <strong>di</strong> ingresso nel circuito ad alta tensione<br />
della comunità cristiana.<br />
Una volta entrato a far parte della Chiesa, il cristiano è chiamato<br />
a compiere comunque le sue scelte personali <strong>di</strong> “conversione”: “Convertitevi<br />
e credete al Vangelo” (Mc 1,15), è il messaggio che Cristo<br />
rivolge a tutti i suoi seguaci, all’inizio del suo ministero salvifico.<br />
Ebbene, il suo <strong>di</strong>scepolo può senz’altro fermarsi all’esperienza “or<strong>di</strong>naria”,<br />
che si realizza in una sequela <strong>di</strong> Cristo che potremmo in<strong>di</strong>care<br />
<strong>di</strong> primo grado, limitata cioè all’osservanza scrupolosa dei comandamenti,<br />
che <strong>di</strong> certo non contrad<strong>di</strong>ce né si oppone ad una completa<br />
e perfetta esperienza umana in tutte le sue legittime possibilità<br />
offerte dal mondo.<br />
Ma il cristiano può anche consacrare anima e corpo al Maestro<br />
ed abbracciare con decisione l’invito alla perfezione evangelica proposta<br />
da Cristo al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, ven<strong>di</strong><br />
quanto possie<strong>di</strong>, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi” (Mt 19, 21).<br />
Questa strada <strong>di</strong> totale consacrazione a Cristo è quella scelta da<br />
Paolino: rifiuto dei beni del mondo riconsegnandoli a Cristo nei suoi<br />
poveri; rifiuto dei propri beni interni, vale a <strong>di</strong>re l’intelletto con la<br />
sua ricca formazione culturale e la volontà con i suoi sentimenti più<br />
profondamente umani e vitali come l’amore coniugale, l’amicizia e<br />
la grande passione per la cultura umanistica. “Chi vuol venire <strong>di</strong>etro<br />
a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”, sottolinea<br />
Gesù nel Vangelo (Mc 8, 34).<br />
Paolino dunque, già in questi anni spagnoli, si è impegnato seriamente<br />
in una “conversione” piena, in un completo quanto ra<strong>di</strong>cale<br />
cambiamento della propria vita materiale, culturale e spirituale, un<br />
cambiamento, questo, che è frutto <strong>di</strong> una “mentalità” nuova, un nuovo<br />
modo <strong>di</strong> sentire e <strong>di</strong> vivere, che è proprio <strong>di</strong> chi ha abbracciato<br />
l’ideale ascetico-monastico: contemptus mun<strong>di</strong> e sequela Christi,<br />
come egli stesso sottolineerà poi all’amico Sulpicio Severo. 69<br />
Il percorso è lungo e <strong>di</strong>fficile, soprattutto nella fase <strong>di</strong> spogliamento<br />
e purificazione interiori, e Paolino lo proclama a chiare lettere<br />
negli intimi colloqui epistolari con i suoi numerosi corrispondenti.<br />
E’ un percorso duro che il suo antico maestro e sempre caro padre<br />
Ausonio non riuscirà mai a comprendere in pieno. Perciò anche quan-<br />
69<br />
PAVL. NOL. epist. 5, 4 a Severo: “Allontanato a poco a poco il mio animo dai<br />
torbi<strong>di</strong> del mondo ed applicatolo ai precetti del Signore, lottai con più facilità per<br />
il <strong>di</strong>sprezzo del mondo e per la sequela <strong>di</strong> Cristo, come se provenissi da una strada<br />
già molto vicina a questo nuovo progetto <strong>di</strong> vita”.<br />
230 –
do finalmente riceve notizie del <strong>di</strong>scepolo in ritiro ai pie<strong>di</strong> dei Pirenei,<br />
la sua reazione rimane alla superficie, così come alla superficie<br />
era sempre stata la sua scelta cristiana.<br />
Tutti questi elementi sono già presenti nei due carmi <strong>di</strong>retti ad<br />
Ausonio: Paolino non ha scosso il giogo dell’antica amicizia col<br />
maestro, patrono e padre che l’ha nutrito ed allevato fin dai più teneri<br />
anni; egli non vive ancora in luoghi deserti, pre<strong>di</strong>letti da asceti e da<br />
anime nobili de<strong>di</strong>te alla poesia e alla filosofia; non è un Bellerofonte<br />
fuor <strong>di</strong> senno, né è alla mercé della moglie, che non è una Tanaquilla,<br />
bensì una Lucrezia. Ancora non si è liberato dei beni terreni, ma ha<br />
capito benissimo che essi devono essere rimessi nelle mani <strong>di</strong> Cristo<br />
per farne usufruire con interesse centuplicato i poveri. Paolino ha<br />
davvero dato una svolta decisiva alla sua esistenza. Egli non è più<br />
quello <strong>di</strong> una volta. Non intende più seguire le Muse e le vuote favole<br />
dei poeti, ma neppure i sofismi dei filosofi e gli artifici degli oratori.<br />
Ispiratore del suo canto d’ora in poi sarà solo Cristo.<br />
– 231
232 –
I N D I C E<br />
G. SANTANIELLO - P. SCAFURO, Introduzione . . . . . . .<br />
G. RAVASI, L’uomo pellegrino dell’assoluto . . . .<br />
F. PASTORE, Il potere nella politica: risorsa o tentazione . .<br />
P. CASILLO, Le fatiche <strong>di</strong> Sisifo dei cattolici in politica . . .<br />
P.M. DE STEFANO, Le comunicazioni globali: la voce plurale<br />
della democrazia. . . . . . . . . . . . . . . . .<br />
C. GRECO S.I., La cre<strong>di</strong>bilità della rivelazione . . . . . .<br />
C. RICCIO, L’«impeto fecondo». La poesia <strong>di</strong> Clemente Rebora<br />
R. SIBILLA, Sulle tracce della poesia <strong>di</strong> Mario Luzi . . . .<br />
B. FORTE, La verità nella poesia <strong>di</strong> Mario Luzi . . . . . .<br />
A. F. LANZA, Origine ed evoluzione dell’universo: gli ultimi<br />
sviluppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />
G. MOLLO, A. SOLPIETRO, La valorizzazione ed il restauro dei<br />
beni culturali della Chiesa nella <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Bilanci e<br />
prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />
Appen<strong>di</strong>ce 1<br />
L’Intesa C.E.I. - Ministero per i Beni Culturali e Ambientali<br />
Appen<strong>di</strong>ce 2<br />
Intesa Programmatica tra la Regione Campania e la Conferenza<br />
Episcopale Campana . . . . . . . . . . . .<br />
A.V. NAZZARO, Luca 1, 39-56 nelle parafrasi <strong>di</strong> Giovenco (1,<br />
80-104) e Paolino (Carm. 6, 139-78). . . . . . . . .<br />
G. SANTANIELLO, Il dramma della conversione nel <strong>di</strong>battito tra<br />
Ausonio e Paolino . . . . . . . . . . . . . . . .<br />
Pag. 5<br />
» 09<br />
» 21<br />
» 31<br />
» 53<br />
» 81<br />
» 99<br />
» 113<br />
» 133<br />
» 151<br />
» 165<br />
» 177<br />
» 183<br />
» 191<br />
» 205<br />
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PUBBLICAZIONI<br />
CENTRO DI STUDI E DOCUMENTAZIONE<br />
SU PAOLINO DI NOLA<br />
Collana «Strenae <strong>Nola</strong>nae»<br />
<strong>di</strong>retta da Antonio V. Nazzaro<br />
S. PRETE, Motivi ascetici e letterari in Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> (Strenae<br />
<strong>Nola</strong>nae 1), LER, Napoli/Roma 1987, L. 20.000.<br />
T. PISCITELLI CARPINO, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Epistole ad Agostino (Strenae<br />
<strong>Nola</strong>nae 2), LER, Napoli/Roma 1989, L. 30.000.<br />
A. RUGGIERO (a cura <strong>di</strong>), Il ritorno <strong>di</strong> Paolino. 80° dalla traslazione<br />
a <strong>Nola</strong>. Atti, documenti, testimonianze letterarie (Strenae <strong>Nola</strong>nae<br />
3), LER, Napoli/Roma 1990, L. 30.000.<br />
G. SANTANIELLO, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Le Lettere, 2 voll. (Strenae <strong>Nola</strong>nae<br />
4-5), LER, Napoli/Roma 1992, L. 90.000.<br />
A. RUGGIERO, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. I Carmi, 2 voll. (Strenae <strong>Nola</strong>nae 6-<br />
7), LER, Napoli/Roma 1996, L. 90.000.<br />
AA.VV, Atti del II Conveno. XVI Centenario del ritiro <strong>di</strong> Paolino a<br />
<strong>Nola</strong> (395-1995), <strong>Nola</strong> 18-20 maggio 1995, a cura <strong>di</strong> G. Luongo<br />
(Strenae <strong>Nola</strong>nae 8), LER, Napoli/Roma 1998, L. 60.000.<br />
SAVERIO DE RINALDIS, Paolineide, a cura <strong>di</strong> Andrea Ruggiero (Strenae<br />
<strong>Nola</strong>nae 9), LER, Napoli 2002, Euro 12,00.<br />
AA.VV., Gianstefano Remon<strong>di</strong>ni, Atti del Convegno nel III Centenario<br />
della nascita, <strong>Nola</strong>, 19 maggio 2001, a cura <strong>di</strong> Carlo Ebanista<br />
e Tobia R. Toscano (Strenae <strong>Nola</strong>nae 10), LER, Napoli 2003,<br />
Euro 26,00.<br />
234 –
VOLUMI PUBBLICATI<br />
DALLA BIBLIOTECA S. PAOLINO<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 1<br />
Atti Sommari 1981-82<br />
G. SANTANIELLO, Aspetti religiosi e socio-culturali dell’età <strong>di</strong> Paolino;<br />
G. M. RUGGIERO, Paolino in <strong>Nola</strong> Pelagiana; A. V. NAZZARO, Il Carme<br />
IX <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. RUGGIERO, Carme XXI, <strong>Nola</strong> Crocevia dello<br />
spirito; A. RUGGIERO, Carme XVII, Il Canto dell’Amicizia cristiana;<br />
G. GRIMALDI, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>: una proposta spirituale per il nostro<br />
tempo; V. DE FALCO, L’uomo in Erich Fromm; B. SCHETTINO, L’uomo<br />
in E. Mounier; L. SIMONETTI, L’uomo in Antonio Gramsci; P. LA MAR-<br />
CA, L’uomo in Rudolf Carnap; M. FABBROCINI, L’uomo in Teilhard de<br />
Char<strong>di</strong>n; L. VASSALLO, Il contesto storico-sociale dell’Enciclope<strong>di</strong>a;<br />
D. SORRENTINO, L’Encyclope<strong>di</strong>e; G. MERCOGLIANO, La filosofia<br />
dell’illuminismo; D. SORRENTINO, Gli illuministi e il problema <strong>di</strong> Dio;<br />
C. ROBERTO, Interpretazione e rappresentazione della natura; S. DE<br />
FALCO, La chimica all’epoca degli illuministi; W. SORRENTINO - V. CON-<br />
FETTO, Gli strumenti chirurgici del ‘700; F. MANGANELLI, L’economia<br />
dell’Enciclope<strong>di</strong>a; L. MUCERINO, L’illuminismo oggi; E. IORIO, «Premi<br />
Letterari»: Il Campiello ‘81: «Diceria dell’untore» <strong>di</strong> G. Bufalino; E.<br />
CAPPA, Il Bancarella ‘81, Socialista <strong>di</strong> Dio, <strong>di</strong> Sergio Zavoli; E. CAPPA,<br />
«Narrativa flash»: «La sopravvivenza» <strong>di</strong> Dante Troisi; E. CAPPA,<br />
«Severina» <strong>di</strong> Ignazio Silone; E. IORIO, Leonardo Sciascia: La letteratura<br />
come verità; T. TOSCANO, Rilettura della narrativa <strong>di</strong> Mario<br />
Pomilio; R. SIBILIA, Vita e morte nell’itinerario umano e artistico <strong>di</strong> G.<br />
Testori; E. IORIO, Dolore e speranza nell’opera <strong>di</strong> Giorgio Saviane; G.<br />
MINIERI (a cura <strong>di</strong>), <strong>Nola</strong> Millenaria; C. NAPOLITANO, Casamarciano<br />
nei secoli; M. ACIERNO, Nella realtà delle cose.<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 2<br />
Incontri Culturali 1983-85<br />
A. MONTICONE, L’impegno culturale del cristiano; M. POMILIO, Il dolore<br />
nel Manzoni; S. PRETE, La povertà in Paolino: estetismo letterario<br />
o sincerità <strong>di</strong> convertito; T. PISCITELLI CARPINO, Tra Classicismo e<br />
Cristianesimo: Le Epistole <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> ad Agostino; A.<br />
RUGGIERO, <strong>Nola</strong> e San Paolino nei Carmi <strong>di</strong> Gennaro Aspreno Galante;<br />
G. COSTANZO - S. IOVINO, Tavola Rotonda su: Alle ra<strong>di</strong>ci culturali e<br />
sociali della camorra; C. PETRELLA - A. M. DI GENIO, Droga: problemi,<br />
prospettive, esperienze; E. SANTUCCI - G. DEVASTATO, L’esperienza<br />
– 235
236 –<br />
della comunità «Il pioppo» <strong>di</strong> Somma Vesuviana; A. DI CARO, Levi-<br />
Strauss: i segni e il potere; M. PRISCO, La provincia addormentata:<br />
1949-1984; R. SIBILLA - S. LUMINELLI, Ra<strong>di</strong>ci crisitane nell’opera <strong>di</strong><br />
Rocco Scotellaro; E. CAPPA, Eugenio Corti e il Cavallo Rosso; E. IORIO,<br />
Per un ripensamento delle unità aristoteliche: Il teatro <strong>di</strong> T. Wilder;<br />
R. SIBILLA, La poesia <strong>di</strong> Giuseppe Centore; E. CAPPA, Umano e <strong>di</strong>vino<br />
nella narrativa <strong>di</strong> L. Santucci; C. MASUCCI, Ecologia. fondamenti e<br />
prospettive; G. MASCIO, Ecologia e salute: aspetti generali e situazione<br />
dell’area nolana; F. MANGANELLI, Inquinamento e <strong>di</strong>sinquinamento;<br />
G. COSTANZO, Alle ra<strong>di</strong>ci del male, a cura <strong>di</strong> A. MONSURRÒ; G. GIUSTI,<br />
Nazareno, una storia del Sud, a cura <strong>di</strong> C. TESONE; E. CAPPA, Le rime<br />
del silenzio, a cura dell’Autrice; L. AMMIRATI, Ambrogio Leone nolano,<br />
a cura <strong>di</strong> TOBIA R. TOSCANO; D. CAPOLONGO, Momenti <strong>di</strong> storia dell’Agro<br />
<strong>Nola</strong>no; G. FULCO - T. TOSCANO - D. CAMPANELLI, Stu<strong>di</strong> in onore<br />
<strong>di</strong> Pietro Manzi, a cura degli Autori.<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 3<br />
Incontri Culturali 1985-86<br />
G.COSTANZO, La Biblioteca Diocesana «San Paolino»; Statuto della<br />
Biblioteca; Statuto del Centro <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> e Documentazione su Paolino<br />
<strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. CORTESE ARDIAS, Biblioteca e territorio: per una politica<br />
della cultura in Campania; M. G. MALATESTA PASQUALITTI, La Biblioteca:<br />
da luogo <strong>di</strong> consultazione a centro <strong>di</strong> animazione culturale; D.<br />
SORRENTINO, Biblioteca S. Paolino: <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> attività; M. G. MARA,<br />
Ricchezza e povertà nel cristianesimo primitivo; G. SANTANIELLO, L’opera<br />
missionaria della Chiesa tra il IV e il V secolo: La lettera 18 <strong>di</strong><br />
Paolino a Vittricio <strong>di</strong> Rouen ed il Carme 17 a Niceta <strong>di</strong> Remesiana;<br />
trad. <strong>di</strong> G. SANTANIELLO, Le due lettere <strong>di</strong> Paolino a Vittricio; D.<br />
SORRENTINO, La «democrazia» <strong>di</strong> Luigi Sturzo; L. SIMONETTI, La democrazia<br />
in Karl Marx e Antonio Gramsci; M. FABBROCINI, Karl Raimund<br />
Popper e la società aperta; G. DE RITA, La complessità sociale e le<br />
nuove povertà; R. SIBILLA, Incontro con Domenico Rea; E. CAPPA, Attualità<br />
<strong>di</strong> Carlo Levi; R. SIBILLA, Calvino: una biografia intellettuale;<br />
F. MANGANELLI, Incontro con i poeti del Gambrinus; R. DE LUCA,<br />
Libroforum su V. Quin<strong>di</strong>ci, <strong>Nola</strong> antica; A. DRAGO, Quale alternativa<br />
alla <strong>di</strong>fesa nucleare; G. RAGOZZINO, Il Car<strong>di</strong>nale Bartolomeo D’Avanzo<br />
nell’ine<strong>di</strong>to «Chronicon» <strong>di</strong> Gennaro Aspreno Galante.<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 4<br />
Incontri Culturali 1986-87<br />
F. BELLA, Una scienza per l’uomo; S. D’ELIA, Sullo sfondo storicoculturale<br />
dell’opera <strong>di</strong> S. Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. RUGGIERO, Paolino cantore<br />
<strong>di</strong> Cristo; E. IORIO, Leonardo Sciascia; P. DI SOMMA, Clemente<br />
Rebora: Tormento e poesia; M. CONDORELLI, Eutanasia: approccio eti-
co-me<strong>di</strong>co-giuri<strong>di</strong>co; G. GIULIANO, L’Eutanasia: approccio teologicomorale;<br />
A. NEGRO, L’omeopatia: una me<strong>di</strong>cina per tutto l’uomo; Me<strong>di</strong>cina<br />
omeopatica Hahnemanniana: un’esperienza della dr.ssa Alma<br />
Rodriguez; R. RAIMONDI, Premesse metodologiche per le ricerche <strong>di</strong><br />
Storia locale; D. CAPOLONGO, Brevi considerazioni sull’attuale situazione<br />
storiografica del nolano; F. R. DE LUCA, L’archivio storico<br />
<strong>di</strong>ocesano <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; F. MIANO, Etica ed esistenza nella filosofia <strong>di</strong> Karl<br />
Jaspers; M. MALATESTA, La logica e il problema <strong>di</strong> Dio; P. CASILLO,<br />
Che cosa pensano i giovani della vocazione sacerdotale e religiosa;<br />
A. RUGGIERO, Libroforum su: M. Piciocchi, Quattro conversazioni su<br />
Giordano Bruno; S. GAETA, Libroforum su: D. Sorrentino, Giuseppe<br />
Toniolo. Una Chiesa nella storia.<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 5<br />
Incontri Culturali 1987-88<br />
B. SORGE, Cattolici e politica oggi in Italia; D. SORRENTINO, Chiesa,<br />
cattolici e politica in Italia tra la caduta del fascismo e il referendum<br />
istituzionale nel <strong>di</strong>ario ine<strong>di</strong>to <strong>di</strong> Egilberto Martire; F. MANGANELLI,<br />
Alla ricerca del senso della cultura popolare; G. ZARONE, Su essere e<br />
verità in Heidegger; E. SGRECCIA, Ingegneria genetica umana: problemi<br />
etici; P. DE STEFANO, Leopar<strong>di</strong> tra linguistica e semiotica; E. CAPPA,<br />
La sfida ne «L’ultima valle» <strong>di</strong> Carlo Sgorlon; Incontro con l’autore:<br />
Dante Troisi.<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 6<br />
Incontri Culturali 1988-89<br />
G. CAMPANINI, Il contributo dei cattolici alla Costituzione; D.<br />
SORRENTINO, La rivoluzione francese e la cultura politica dei cattolici<br />
italiani; V. DINI, La società post-industriale e la crisi dei linguaggi; A.<br />
D’ACUNTO, L’emergenza “ambiente” in Campania; G. SAVERESE, La<br />
filosofia del Leopar<strong>di</strong>; M. T. SCALA - P- D. SOMMA, La poesia: il potere<br />
<strong>di</strong> immaginare nella società tecnologica; L. FERRAGINA - A. MASULLO,<br />
La situazione documentaria concernente S. Felice Vescovo <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>;<br />
V. CIMMELLI, La chiesa arcipretale nullius <strong>di</strong> S. Pietro a Scafati; P.<br />
LUCIANO, Il Vallo <strong>di</strong> Lauro nei documenti <strong>di</strong> una Commenda del S.M.O.<br />
<strong>di</strong> Malta.<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 7<br />
Incontri Culturali 1989-90<br />
F. CASAVOLA, Democrazia: da potere del popolo a bene comune; E.<br />
MAZZARELLA, La crisi del socialismo reale e i no<strong>di</strong> della democrazia<br />
occidentale: quali prospettive Tavola rotonda: Per un nuovo sviluppo<br />
del Mezzogiorno: la sfida della solidarietà. interventi <strong>di</strong>: Giuseppe<br />
– 237
238 –<br />
Costanzo, Antonio Auriemma, Gennaro Ferrara, Carlo Biffi; D.<br />
SORRENTINO, Moralità e prassi politico-amministrativa; P. G. DONINI,<br />
Islam e Occidente; M. ABRAH, Nuovi aspetti del crescente fermento<br />
religioso sciita; O. MARRA, Sul rapporto tra scienza arabo-islamica e<br />
scienza occidentale; L. D’ONOFRIO, Dall’utopia alla speranza. L’esperienza<br />
teologico-poetica <strong>di</strong> Charles Péguy; M. T. SCALA - S. M. MARTINI<br />
- E. MICCINI, La poesia visiva: parole ed altro...; G. NAPPI, Il concetto<br />
<strong>di</strong> stress nello sviluppo delle neuroscienze; D. CAPOLONGO - B. MORALDO<br />
- V. CAPUTO, Il parco del Partenio: una valenza ecologica della<br />
Campania; P. MOSCHIANO, Il brigantaggio nel nolano e nel Vallo <strong>di</strong><br />
Lauro; A. RUGGIERO, Il culto dei santi e delle loro reliquie nei carmi <strong>di</strong><br />
Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. FRANCHI DE BELLIS, Intorno al cippo abellano.<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 8<br />
Incontri Culturali 1990-91<br />
S. ZAVOLI, Mass me<strong>di</strong>a e impegno per la democrazia. Una testimonianza;<br />
Tavola rotonda: Rinnovamento della politica e «questione<br />
morale». Interventi <strong>di</strong> Raffaele Cananzi e Ennio Pintacuda; D.<br />
SORRENTINO, Dalla Rerum Novarum alla Centisimus Annus. Profilo<br />
storico del magistero sociale; A. TORTORA, <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> e mondo<br />
del lavoro. Situazione e prospettive; P. DE STEFANO, Il linguaggio della<br />
politica; P. PIFANO, L’uomo nella cultura mitteleuropea; E. CAPPA, Cesare<br />
Pavese: Un approccio esistenziale; M. T. SCALA - A. IZZO,<br />
Dadaismo per iniziare; M. DE MARIA; I trapianti d’organo; G. GIULIA-<br />
NO, Trapianti d’organo: approccio etico; G. MOLLO, Il convento <strong>di</strong> S.<br />
Angelo in Palco a <strong>Nola</strong>; M. NUNZIATA, Fer<strong>di</strong>nando Fuga e la caserma<br />
Principe Amedeo; A. RUGGIERO, Agostino, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> e l’epigrafe<br />
per Cinegio, C. IANNICELLI, Note al lessico paoliniano. Indagine su<br />
alcuni appellativi riferiti a S. Felice.<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 9<br />
Incontri Culturali 1991-92<br />
B. FORTE, Cristianesimo ed Europa: oltre la modernità, i fondamenti<br />
della speranza; R. GATTI, La crisi della democrazia e le prospettive<br />
dell’umanesimo politico; G. SALVINI, Rapporti Nord-Sud del mondo:<br />
una sfida per il 2000; G. ACONE, Le nuove frontiere dell’educazione;<br />
L. CUCCURULLO, Scienze-Scientismo e valori dell’uomo; V. DE LUCA, Il<br />
caso <strong>di</strong> Primo Levi: un particolare rapporto tra Ebraismo e letteratura;<br />
M. T. SCALA, Lo specchio trasparente. Introduzione al surrealismo;<br />
M. FRANCO, Dada e surrealismo al cinema; A. RUGGIERO, <strong>Nola</strong> e il<br />
Beato Giovanni Duns Scoto; F. R. DE LUCA, I documenti relativi a<br />
Giovanni Duns Scoto conservati nell’Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong><br />
<strong>Nola</strong>; A. CACCAVALE, La Compagnia <strong>di</strong> Gesù a <strong>Nola</strong>; G. D’ERRICO,
Dottrina e poesia nelle Lettere <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Note critiche; R.<br />
MARANDINO, I dolci colloqui <strong>di</strong> Paolino nell’Epistolario; D. SORRENTINO,<br />
L’amore <strong>di</strong> unità - Amicizia spirituale ed ecclesiologica in Paolino <strong>di</strong><br />
<strong>Nola</strong>; C. IANNICELLI, Il miracolo in Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Saggio <strong>di</strong> sintesi;<br />
T. PISCITELLI CARPINO, La figura <strong>di</strong> Maria nell’opera <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>.<br />
IMPEGNO E DIALOGO/10<br />
Incontri Culturali 1992-94<br />
P. GIUNTELLA, Il «muro italiano» Nord-Sud: crisi sociale e prospettive<br />
del Paese; S. CECCANTI, Crisi dei partiti e riforme istituzionali; A.<br />
RIGOBELLO, Libertà e verità nell’o<strong>di</strong>erno orizzonte culturale; A.<br />
ABIGNENTE, Democrazia e partecipazione: spunti per una riflessione;<br />
B. ULIANICH, La Chiesa nel mutamento della politica italiana; S. VAS-<br />
SALLO, Dinamismo elettorale e nuovi soggetti politici; G. V. COYNE, Il<br />
punto sulle teorie cosmologiche; G. MELANDRI, La <strong>di</strong>fesa dell’ambiente<br />
dopo la conferenza <strong>di</strong> Rio de Janeiro; G. NERI, All’origine della vita<br />
umana, scenza ed etica a confronto; E. CAPPA, La poesia religiosa nel<br />
Novecento; G. AGNISOLA, Disperazione e speranza <strong>di</strong> Padre Turoldo;<br />
A. SERRA, Invito alla lettura <strong>di</strong> Pasquale Maffeo; P. MAFFEO, Il mio<br />
lavoro <strong>di</strong> scrittore; R. SIBILLA, Ritratti <strong>di</strong> donne nella letteratura e nella<br />
cultura contemporanea; A. SENA, La mosca e la bottiglia; R. LA<br />
CAPRIA, Il ruolo dell’intellettuale nel Sud, oggi nel laboratorio <strong>di</strong> «Ferito<br />
a Morte»; G. GUTTILLA, Ausonio e Paolino: rapporti letterari ed<br />
umani; A. SALVATORE, Riflessioni sulla poetica <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; G.<br />
SANTANIELLO. La spiritualità <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>: Il cammino ascetico e<br />
mistico del convertito; A. NAZZARO, Orazio e Paolino; B. ULIANICH,<br />
Eucherio <strong>di</strong> Lione e il «De contemptu mun<strong>di</strong>»; C. IANNICELLI, Deus<br />
operatus est. Sull’autore del miracolo in Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> e in alcuni<br />
scritti agiografici greco-latini; C. RUBINO, La poesia <strong>di</strong> Luigi Tansillo;<br />
D. NATALE, Angelo Mozzillo ed i suoi rapporti con <strong>Nola</strong>; R. PINTO,<br />
Considerazioni critiche sull’opera pittorica <strong>di</strong> Angelo Mozzillo; G.<br />
MOLLO, Metodologia per un restauro. La Chiesa <strong>di</strong> S. Chiara in <strong>Nola</strong>;<br />
F. MILO, <strong>Nola</strong>, la rinascita <strong>di</strong> una città nel secolo dei lumi; F. TRIFUOGGI,<br />
Giovanni Rinal<strong>di</strong>, S. Maria delle Grazie, Insigne Collegiata in<br />
Marigliano. Cinquecento anni <strong>di</strong> storia ed arte.<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 11<br />
Incontri Culturali 1994-96<br />
D. SORRENTINO - G. SANTANIELLO, Introduzione; P. SCOPPOLA, Presente e<br />
futuro della democrazia in Italia; A. MONTICONE, Il ruolo della cultura<br />
nell’attuale momento storico; D. MONGILLO, Etica e fede; D.<br />
SORRENTINO, Cattolici e politica: che fare; A. MARZANO, Politica ed<br />
economia; F. MANGANELLI, La <strong>di</strong>soccupazione giovanile; G. IORIO, Di-<br />
– 239
soccupazione giovanile a <strong>Nola</strong>: Un’indagine con meto<strong>di</strong> qualitativi;<br />
C. R. MASUCCI - A. CICCONE - M. FUSCO, La <strong>di</strong>ffusione delle patologie<br />
nel territorio nolano; F. FABBROCINI, Intelligenza artificiale, sistemi<br />
esperti e appren<strong>di</strong>mento automatico: tecniche, problemi, prospettive;<br />
A. DRAGO, Scienza ed etica in fisica e biologia; A. CARANDENTE, La<br />
letteratura: Quale futuro; M. T. SCALA, I <strong>di</strong>ritti del lettore; R. SIBILLA,<br />
Da donne... verso il terzo millennio; G. VITOLO, Federico II: Imperatore<br />
me<strong>di</strong>evale o sovrano moderno; G. LORIZIO, Il duplice volto della<br />
morte nel pensiero post-moderno; T. R. TOSCANO - F. TRIFUOGGI, La<br />
Stampa perio<strong>di</strong>ca a Napoli dalla rivoluzione del 1799 al nonimestre<br />
del 1820-21, nella ricerca <strong>di</strong> G. Addeo; V. D. IASEVOLI, Significativa<br />
presenza fiamminga a Pomigliano nel XVI secolo. Ripercussioni della<br />
strage <strong>di</strong> San Bartolomeo nell’arte del ‘500 a Napoli; G. SANTANIELLO,<br />
Momenti del percorso teologico <strong>di</strong> Paolino nel <strong>di</strong>alogo epistolare con<br />
Agostino; C. IANNICELLI, Rassegna <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> paoliniani (1980-1997).<br />
IMPEGNO E DIALOGO / 12<br />
Incontri Culturali 1996-98<br />
D. SORRENTINO - G. SANTANIELLO, Introduzione; B. SORGE, Quale speranza<br />
per la politica; S. ZAMAGNI, Lavoro, occupazione, economia<br />
civile; L. CORRADINI, Presenza Cristiana nella scuola che cambia; E.<br />
SGRECCIA, Dalla procreazione artificiale alla clonazione. Considerazioni<br />
etiche; Sulla clonazione a scopi “terapeutici”. Documento del<br />
Centro <strong>di</strong> Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; P.<br />
CASILLO, Pluralismo delle scelte politiche e unità dei valori; F. MAN-<br />
GANELLI, Una esperienza: dalla Società civile al Parlamento; F. CA-<br />
STELLI, Gesù nella letteratura contemporanea; M. MIELE, Gli anni <strong>di</strong><br />
Giordano Bruno a Napoli. L’ambiente conventuale e i maestri; S.<br />
RIONERO, Il ruolo della matematica nella scienza moderna; G. SANTO,<br />
Il Seminario Vescovile <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> dopo il Remon<strong>di</strong>ni; G. SANTO, Angelo<br />
Mozzillo e il Seminario Vescovile <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; M. C. CAMPONE, La lastra<br />
tombale <strong>di</strong> Monsignor Gallo: un’ipotesi ricostruttiva sulla Cripta <strong>di</strong><br />
S. Felice nel Duomo <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; G. ADDEO, Il territorio nolano e la Repubblica<br />
Napoletana del 1799; A. D’AVANZO, L’associazionismo<br />
<strong>Nola</strong>no nell’ultimo ventennio dell’800; B. D’ANIELLO - C. R. MASUCCI,<br />
Aspetti naturalistici ed impatto antropico nel territorio <strong>Nola</strong>no; A.<br />
FUSCO, Le colline <strong>di</strong> Cicala; G. SANTANIELLO, Il presbitero Uranio testimone<br />
oculare della morte <strong>di</strong> Paolino; G. SANTANIELLO (a cura <strong>di</strong>),<br />
Lettera del presbitero Uranio a Pacato sulla morte <strong>di</strong> Paolino; D.<br />
SORRENTINO, L’immagine ideale del Vescovo nell’Epistola De obitu<br />
Sancti Paulini <strong>di</strong> Uranio; T. LEHMANN, Alarico in Campania: un nuovo<br />
Carme <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. RUGGIERO, La teologia dell’arte sacra<br />
negli scritti <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>.<br />
240 –
IMPEGNO E DIALOGO / 13<br />
Incontri Culturali 1998/2000<br />
G. SANTANIELLO, Introduzione; A. RIGOBELLO, I nuovi saperi del contesto<br />
culturale ed educativo <strong>di</strong> oggi; G. DE RITA, La società italiana <strong>di</strong><br />
fine Millennio; G. BREGANTINI, Quale chiesa per il sud; F. MANGANELLI,<br />
Capitalismo e “capitalità”: la Laborem exercens e il conflitto capitale-lavoro;<br />
R. SIBILLA, La narrativa italiana dagli anni settanta agli<br />
anni novanta; V. PLACELLA, Giubileo e pellegrinaggio in Dante; M. T.<br />
SCALA, Il viaggio nel mondo femminile; F. MANGANELLI, Ri<strong>di</strong>stribuzione<br />
della ricchezza: generosità o giustizia; P. POUPARD, Purificazione della<br />
memoria e cultura della persona nel Terzo Millennio; G. ROMEO, La<br />
condanna <strong>di</strong> Giordano Bruno alla luce dei più recenti stu<strong>di</strong> sull’inquisizione<br />
romana; G. CIOFFARI, Giordano Bruno e la tra<strong>di</strong>zione teologica<br />
domenicana; B. DEPALMA, La nostra chiesa locale s’interroga; L.<br />
MUCERINO, Giordano Bruno, quale misticismo; G. SANTANIELLO, La figura<br />
ideale del Vescovo nell’opera <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; G. GUTTILA,<br />
Spunti <strong>di</strong> “teologia politica” nei Carmi <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; M. C.<br />
CAMPONE, Testimonianze iconografiche <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Ine<strong>di</strong>ti<br />
aspetti della fortuna del Santo: l’Inventio della vera croce; A. V.<br />
NAZZARO, La Laus Sancti Iohannis <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>: tra parafrasi ed<br />
esegesi; G. GUTTILLA, L’esor<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Paolino come poeta “dotto” cristiano.<br />
Il propempticon a Niceta (Carm. 17).<br />
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