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Impegno e Dialogo N. 14 - Diocesi di Nola

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IMPEGNO E DIALOGO / <strong>14</strong><br />

– 1


2 –


BIBLIOTECA DIOCESANA S. PAOLINO<br />

SEMINARIO - NOLA<br />

IMPEGNO E DIALOGO<br />

<strong>14</strong><br />

INCONTRI CULTURALI 2000-2002<br />

Contributi <strong>di</strong>:<br />

Gianfranco Ravasi, Franco Pastore, Carlo Greco,<br />

Piero Casillo, Bruno Forte, Pino M. De Stefano, Antonino F. Lanza,<br />

Rachele Sibilla, Ciro Riccio, Giuseppe Mollo,<br />

Antonia Solpietro, AntonioV. Nazzaro, Giovanni Santaniello<br />

E<strong>di</strong>zioni LER<br />

– 3


© - Proprietà riservata<br />

Libreria E<strong>di</strong>trice Redenzione<br />

<strong>di</strong>rezione e ven<strong>di</strong>ta:<br />

MARIGLIANO (NA)<br />

Corso Umberto I, 70<br />

Tel. 081.885.42.06<br />

E-mail: ler@netgroup.it - Sito Web: www.netgroup.it/ler<br />

2003 Stampato nella<br />

Scuola Tipo-Litografica «Istituto Anselmi»<br />

<strong>di</strong> Marigliano (Napoli) - Tel. 081.841.11.76<br />

E-mail: tipografiaanselmi@libero.it<br />

4 –


INTRODUZIONE<br />

Questo XVI Volume degli Atti, frutto del <strong>di</strong>uturno impegno dei<br />

suoi nove settori, costituisce la testimonianza concreta dell’attività<br />

culturale che la nostra Biblioteca continua a svolgere a sostegno<br />

dell’azione pastorale della nostra chiesa locale. E per meglio contribuire<br />

all’opera <strong>di</strong> evangelizzazione della cultura del nostro popolo,<br />

dopo venticinque anni <strong>di</strong> attività, su richiesta del nostro Vescovo<br />

Beniamino Depalma, siamo usciti dalle vetuste mura del nostro Seminario:<br />

inten<strong>di</strong>amo avvicinarci <strong>di</strong> più, anzi “farci prossimi” alle<br />

tante associazioni e realtà culturali presenti ed operanti sul nostro<br />

territorio. E come primo approccio ci siamo portati a Pomigliano<br />

d’Arco, ospiti dell’associazione culturale “Giorgio La Pira”; quin<strong>di</strong><br />

ci siamo trasferiti a S. Giuseppe Vesuviano, presso le Suore <strong>di</strong><br />

Cristo Re, per presentarvi il Volume XIII degli Atti della Biblioteca.<br />

Un esperimento, questa sortita, che è risultato del tutto interessante<br />

e positivo e che inten<strong>di</strong>amo senz’altro continuare.<br />

Il presente Volume contiene numerosi interventi – non tutti, in<br />

verità – che i coor<strong>di</strong>natori dei <strong>di</strong>versi settori della Biblioteca hanno<br />

promosso in questo biennio 2000-2002. E così come sempre, anche<br />

adesso la nostra attività ha prestato particolare attenzione agli eventi<br />

della Grande e della Piccola Storia, cercando <strong>di</strong> sintonizzarsi il più<br />

possibile con essi. Pertanto, saldamente ra<strong>di</strong>cati nel nostro passato,<br />

noi ci siamo protesi verso il futuro. Ed anche in questo frammento <strong>di</strong><br />

tempo, che ha attraversato la nostra esistenza, noi abbiamo tenuto<br />

un occhio ancora rivolto al grande evento del Giubileo <strong>di</strong><br />

purificazione e <strong>di</strong> rinnovamento spirituale appena trascorso, mentre<br />

con l’altro ci siamo immersi nel futuro ormai fatto presente del Terzo<br />

Millennio. Con un siffatto atteggiamento interiore abbiamo potuto<br />

affrontare e seguire da vicino le tappe del percorso dell’uomo da<br />

sempre “pellegrino dell’Assoluto”.<br />

– 5


In questo arduo cammino <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazione e <strong>di</strong> chiarimento delle<br />

linee <strong>di</strong>rettrici e delle coor<strong>di</strong>nate della nostra storia, da una parte,<br />

abbiamo considerato ed osservato con crescente perplessità l’evolversi<br />

e la maturazione della convulsa situazione politica dell’Italia,<br />

alle prese con partiti <strong>di</strong> ispirazione cattolica militanti in or<strong>di</strong>ne sparso<br />

e completamente <strong>di</strong>sorientati. Dall’altra parte, invece, sono state <strong>di</strong><br />

notevole rilievo la riflessione del gesuita Carlo Greco sulla “cre<strong>di</strong>bilità<br />

della Rivelazione” e quella <strong>di</strong> Pino De Stefano sulla possibilità<br />

della “comunicazione, voce plurale della democrazia, in un mondo<br />

globalizzato”. Ma soprattutto la rivisitazione e la “lettura” <strong>di</strong><br />

due gran<strong>di</strong> poeti del Novecento, Clemente Rebora e Mario Luzi, hanno<br />

dato respiro e messo ali alla nostra attività. In modo particolare nell’intervento<br />

<strong>di</strong> alto profilo, compiuto dal teologo e poeta napoletano<br />

Bruno Forte su “la poesia metafora della verità in Mario Luzi”: un<br />

incontro, quest’ultimo, <strong>di</strong> palpitante e profondo significato storicoletterario,<br />

che ha entusiasmato l’u<strong>di</strong>torio presente nell’antica aula<br />

settecentesca della Biblioteca.<br />

Ma a questo punto ci corre l’obbligo <strong>di</strong> sottolineare per i nostri<br />

lettori che, come sempre, tanta parte del lavoro svolto non risulta<br />

presente in questi Atti: non sempre, infatti, è stato possibile ottenere<br />

i testi delle Relazioni svolte. Soprattutto manca qui la registrazione<br />

degli echi, a volte davvero interessanti, dei vivaci <strong>di</strong>battiti che per lo<br />

più si sono sviluppati a conclusione dei singoli incontri.<br />

Infine non possiamo passare sotto silenzio un avvenimento che<br />

ha riscosso notevole risonanza nella comunità degli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> storia<br />

locale e nell’ambito <strong>di</strong> tutta la Chiesa <strong>di</strong>ocesana. Infatti per iniziativa<br />

del Centro <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> e Documentazione su Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>,<br />

<strong>di</strong>retto dal Preside Prof. Antonio V. Nazzaro, e in collaborazione col<br />

settore <strong>di</strong> Storiapatria della stessa Biblioteca, il 19 Maggio 2001, è<br />

stato promosso e si è svolto un pubblico Convegno, presieduto del<br />

Prof. Emerito Boris Ulianich, dell’Università Federico II <strong>di</strong> Napoli,<br />

sulla figura e l’opera dello storico ecclesiastico Gianstefano<br />

Remon<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong> cui ricorreva il III Centenario della nascita (1700-<br />

2000). Con questa iniziativa scientifica la nostra Biblioteca ha inte-<br />

6 –


so contribuire alla celebrazione non solo dell’Autore Della <strong>Nola</strong>na<br />

Ecclesiastica Storia, ma soprattutto dell’appassionato Stu<strong>di</strong>oso e del<br />

dotto e solerte Traduttore dell’Opera Omnia del santo Vescovo <strong>di</strong><br />

<strong>Nola</strong>. Fu, quella del Remon<strong>di</strong>ni, la prima traduzione integrale “in<br />

italiana favella”, che nella metà del Settecento, il secolo dei Lumi,<br />

<strong>di</strong>ede impulso e vigore agli stu<strong>di</strong> paoliniani. Orbene gli Atti <strong>di</strong> quel<br />

Convegno sono in corso <strong>di</strong> pubblicazione a parte, nella Collana<br />

“Strenae <strong>Nola</strong>nae”.<br />

In attesa del lieto evento, affi<strong>di</strong>amo all’attenzione benevola dei<br />

nostri lettori questo quattor<strong>di</strong>cesimo Volume degli Atti della nostra<br />

Biblioteca.<br />

GIOVANNI SANTANIELLO<br />

PAOLO SCAFURO<br />

– 7


8 –


L’UOMO PELLEGRINO DELL’ASSOLUTO<br />

GIANFRANCO RAVASI *<br />

La vastità del tema comporta una fatica piuttosto notevole per<br />

metterlo a fuoco. Io vorrei, perciò, in maniera molto semplice, quasi<br />

<strong>di</strong>dascalica, proporre un itinerario in due momenti. Suggerirei una<br />

specie <strong>di</strong> percorso, che comprende una prima tappa che potrei intitolare:<br />

“Lontano dall’Assoluto”, vale a <strong>di</strong>re l’uomo che fa un pellegrinaggio<br />

all’inverso rispetto all’Assoluto. Naturalmente questo Assoluto<br />

per noi porta già il nome, e questo nome è Dio. Noi, cioè, cammineremo<br />

come se ci trovassimo idealmente su un crinale con due<br />

versanti: l’uno, illuminato e l’altro, in penombra. Il versante oscuro<br />

sarà la prima tappa del nostro itinerario. Naturalmente camminare<br />

nell’interno della oscurità richiede particolari accorgimenti. Vorrei<br />

perciò proporvi, in questo primo momento, l’analisi quasi <strong>di</strong> un<br />

antipellegrinaggio, cioè dell’allontanamento dall’Assoluto, dal mistero,<br />

dal trascendente, da Dio.<br />

Una regione in ombra<br />

Vorrei in<strong>di</strong>care due aree. La prima la rappresentiamo - sempre<br />

per stare all’immagine parabolica - come un’area in penombra o in<br />

ombra, una regione un po’ oscura, nella quale in<strong>di</strong>vidueremo due<br />

componenti che naturalmente tengono conto soprattutto della prospettiva<br />

del nostro sguardo, tendenzialmente <strong>di</strong> tipo spirituale, religioso,<br />

credente.<br />

Comincio subito con una considerazione che definisca un primo<br />

aspetto <strong>di</strong> questo orizzonte che ho definito intenzionalmente in penombra<br />

e ombra (ma non necessariamente nell’oscurità assoluta).<br />

Parto da un punto <strong>di</strong> riferimento capitale: il concetto e la presenza <strong>di</strong><br />

Dio nell’interno <strong>di</strong> questa regione. Il Dio che troviamo qui, nell’area<br />

dell’oscurità, è un Dio che può essere definito moribondo o anche<br />

morto. Faccio riferimento, usando queste metafore, a un’esperienza<br />

culturale che ormai sta estinguendosi, che però ha ancora qualche<br />

notevole riflusso.<br />

* Conferenza tenuta il 27 Gennaio 2001.<br />

– 9


Ci sono stati dei perio<strong>di</strong> storici in cui il senso profondo della<br />

morte <strong>di</strong> Dio costituiva persino una componente stimolante dal punto<br />

<strong>di</strong> vista teologico stesso. Vorrei, comunque ricordare alcune <strong>di</strong>chiarazioni<br />

che poi sono <strong>di</strong>ventate celebri. Penso a una frase poetica<br />

<strong>di</strong> Heine che riguarda un Dio al quale si sta praticando una specie <strong>di</strong><br />

dolce eutanasia: “Non sentite la campanella In ginocchio, si portino<br />

i sacramenti a un Dio che muore”. Su questa frase Nietzsche costruirà<br />

poi quella sua ben nota architettura <strong>di</strong> pensiero che avrà risultati<br />

anche a livello popolare.<br />

In reazione a questo Dio moribondo, accanto al suo capezzale, si<br />

sono accaniti i rianimatori, cioè una certa apologetica, qualche volta<br />

particolarmente feconda, altre volte con le caratteristiche, molto<br />

meccaniche, <strong>di</strong> un accanimento terapeutico. Andando un po’ oltre, ci<br />

si è sempre più accorti che questo Dio lentamente stava spegnendosi,<br />

si riduceva a cadavere. Basti qui soltanto ricordare quella famosa<br />

<strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> Nietzsche sul “lezzo della <strong>di</strong>vina putrefazione” che<br />

egli considerava sicuramente come una caratteristica della nuova èra<br />

che stava aprendosi.<br />

Questo tema della morte <strong>di</strong> Dio è oggi, a mio avviso, non particolarmente<br />

significativo, né incisivo. Ritengo che questo sia per certi<br />

versi un male. Sempre più i gran<strong>di</strong> atei stanno spegnendosi: ciò che<br />

si presenta è un’altra modalità <strong>di</strong> negazione, come vedremo subito<br />

dopo. Ebbene, la “morte <strong>di</strong> Dio”, se è vissuta in forma autentica,<br />

genuina, cioè veramente sperimentata, co<strong>di</strong>ficata, quasi toccata con<br />

mano, può avere effetti che io ritengo pure positivi. Anche se per noi<br />

credenti Dio non muore, la convinzione che siamo <strong>di</strong> fronte al “lezzo<br />

della <strong>di</strong>vina putrefazione” può dare risultati paradossalmente fecon<strong>di</strong><br />

sia per il mondo che sta al <strong>di</strong> là dello steccato sia per il credente<br />

stesso.<br />

Infatti è una morte, questa, che genera lutto, paura, solitu<strong>di</strong>ne.<br />

Tutto ciò alla fine segnala che l’uomo non può così facilmente liberarsi<br />

da quella ingombrante presenza che era Dio. Pensiamo a che<br />

cosa abbia significato la costatazione <strong>di</strong> questo fatto da parte <strong>di</strong> un<br />

Freud, da parte <strong>di</strong> Sartre, ma prima, già nell’Ottocento, da parte <strong>di</strong> un<br />

credente quale Dostoevskij; pensiamo a cosa abbia significato anche<br />

in Leopar<strong>di</strong>, in Camus, in Bloch e così via. La lista potrebbe allungarsi.<br />

Si tratta <strong>di</strong> pensatori che io ritengo molto fecon<strong>di</strong> e preziosi<br />

anche per noi credenti e non soltanto significativi per il pensiero<br />

umano che <strong>di</strong> fronte a questa esperienza della morte <strong>di</strong> Dio si è dovuto<br />

inesorabilmente interrogare.<br />

10 –


L’uomo <strong>di</strong> fronte al Dio “moribondo”<br />

I “senza Dio” sono persone sicuramente inquietate, tormentate,<br />

se sono autenticamente tali. E da questo punto <strong>di</strong> vista dobbiamo<br />

<strong>di</strong>re che forse le nostre stesse matrici cristiane ci inviterebbero qualche<br />

volta <strong>di</strong> più a stu<strong>di</strong>are questo fenomeno del Dio debole, del Dio<br />

che sta quasi nascondendosi e riducendosi nell’orizzonte della storia.<br />

Gli stimoli ci vengono proprio da ambiti teologici importanti.<br />

Il primo lo desumo dal mondo delle Scritture, ove abbiamo a più<br />

riprese la percezione <strong>di</strong> un Dio che sembra lentamente essere assente<br />

e come tale scomparire dall’orizzonte, ed essere eventualmente oggetto<br />

<strong>di</strong> un’interrogazione che tante volte sembra ripiegarsi e serpeggiare<br />

per terra, senza mai trasformarsi nell’esclamativo <strong>di</strong> una fede o<br />

<strong>di</strong> una lode. Pensiamo al Libro <strong>di</strong> Giobbe, tutto centrato - come ormai<br />

gli stu<strong>di</strong>osi asseriscono - non tanto sul problema del male quanto<br />

piuttosto sul problema del vero concetto <strong>di</strong> Dio. E’ il fatto che noi<br />

incrociamo spesso anche sulle nostre strade ove le immagini <strong>di</strong> Dio –<br />

ivi comprese alcune presentate dalla teologia - sembrano essere quelle<br />

degli dèi morti, degli idoli. Non <strong>di</strong>mentichiamo mai che i tre (più<br />

uno) amici <strong>di</strong> Giobbe rappresentano, attraverso la loro parola, nient’altro<br />

che le <strong>di</strong>scipline teologiche fondamentali <strong>di</strong> allora e sono coloro<br />

che alla fine si rivelano quali portatori <strong>di</strong> una vera e propria<br />

forma <strong>di</strong> ateismo, un ateismo paradossalmente religioso.<br />

Pensiamo a Qoèlet, una figura che chiama Dio prevalentemente<br />

con la formula ha-Elohim, “il Dio”, cioè “la <strong>di</strong>vinità”, neppure col<br />

nome suo specifico. Ebbene, la frase riassuntiva della sua ricerca <strong>di</strong><br />

Dio è in quell’espressione per molti versi gelida e terribile: “Dio è<br />

nei cieli, tu sei sulla terra; perciò poche parole” (5,1). Questo Dio è<br />

un Dio assente: sembrerebbe essere il Dio <strong>di</strong> coloro che lo negano,<br />

anche se naturalmente Qoèlet non è definibile come un ateo. Nell’interno<br />

delle Scritture, quin<strong>di</strong>, Dio stesso ci invita a cercare un Dio che<br />

parla attraverso la sua assenza, un Dio che si manifesta attraverso il<br />

suo silenzio. Per questo motivo io non potrò mai <strong>di</strong>re che l’ateo tormentato<br />

e autentico è del tutto irrilevante ai fini della mia ricerca <strong>di</strong><br />

credente, perché persino in lui potrebbe annidarsi il linguaggio <strong>di</strong><br />

Dio, la declinazione della sua Parola.<br />

Un altro esempio che vorrei citare è quella frase, a me particolarmente<br />

cara, del Primo Libro dei Re (19,12), in cui Elia, dopo aver<br />

ripetutamente conclamato la necessità <strong>di</strong> un Dio teofanico, cioè <strong>di</strong><br />

un Dio clamoroso, solare, <strong>di</strong> un Dio rivelatore esplicito, scopre che il<br />

Dio che si presenta a lui e che è il vero Dio, non è quello della folgo-<br />

– 11


e, non è quello del vento o del terremoto. L’originale ebraico è <strong>di</strong><br />

straor<strong>di</strong>naria fragranza poetica, ma soprattutto <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria grandezza<br />

teologica. Abbiamo infatti nel testo soltanto tre parole: qol<br />

demamah daqqah. Qol è “voce”, demamah è “silenzio”, daqqah, “sottile”:<br />

“una voce <strong>di</strong> silenzio sottile”. Nell’interno del silenzio <strong>di</strong> Dio<br />

c’è indubbiamente un suo misterioso svelarsi e rivelarsi. Non è il<br />

silenzio “nero” della nostra società, convinta che Dio non parli, bensì<br />

quello “bianco” che riassume in sé tutte le voci ma attraverso una<br />

via ardua.<br />

Vi sono due conseguenze riguardo al tema del Dio moribondo e<br />

del Dio morto. La prima l’abbiamo appena vista proprio nella Bibbia.<br />

Dio può parlare attraverso la sua morte, può essere vivo attraverso<br />

il suo apparente spegnersi. Ma vorrei anche fare riferimento ad un<br />

altro aspetto che è curiosamente e paradossalmente ripreso proprio<br />

dalla letteratura mistica: il Dio ferito dal male. Qui entriamo in un<br />

territorio dal punto <strong>di</strong> vista filosofico molto delicato, che ha sollecitato<br />

ripetutamente pensatori <strong>di</strong> grande rilievo fino ai nostri giorni.<br />

Pensiamo a Pareyson, che ha riflettuto sul tema del rapporto tra<br />

Dio e la creazione e tra Dio e il male. Questo tema affonda le sue<br />

ra<strong>di</strong>ci soprattutto all’interno dell’esperienza mistica. Cito qui tre figure:<br />

Meister Eckhart, Giovanni della Croce e Angelus Silesius.<br />

Questi tre personaggi, <strong>di</strong>versissimi tra loro, si avviano sulla strada<br />

del male e della tenebra come via quasi privilegiata per poter incontrare<br />

Dio, per contemplare il vero volto <strong>di</strong> Dio, il Dio ferito dal nulla.<br />

Vi sono delle frasi veramente sorprendenti <strong>di</strong> Eckhart e <strong>di</strong> Silesius.<br />

Dio crea e, per essere coerente con se stesso e lasciare spazio e consistenza<br />

alla creazione e soprattutto all’uomo libero, deve in qualche<br />

modo ritrarsi. Troviamo questa idea nella famosa teoria dello zimzum,<br />

propria della teologia me<strong>di</strong>evale giudaica cabbalistica: il termine<br />

significa letteralmente “il ritrarsi” <strong>di</strong> Dio. Hölderlin ha scritto che<br />

Dio creando si comporta come fanno gli oceani: essi si ritirano per<br />

lasciar spazio ai continenti. Questo ritrarsi è in qualche modo un<br />

ferirsi, è in qualche modo - e sempre parliamo per paradossi - un po’<br />

morire.<br />

Entrare nella figura <strong>di</strong> Cristo è forse la <strong>di</strong>mostrazione più visibile<br />

<strong>di</strong> questo dramma, della trage<strong>di</strong>a suprema del <strong>di</strong>vino: il Logos eterno<br />

e infinito si contrae nell’interno dell’umanità dell’uomo-sarx. Questa<br />

esperienza <strong>di</strong> Dio che sembrerebbe a prima vista così negativa<br />

viene considerata dalla stessa tra<strong>di</strong>zione mistica e poi da altre tra<strong>di</strong>zioni<br />

come la grande via per riuscire a scoprire Dio. Quin<strong>di</strong> anche<br />

nell’interno <strong>di</strong> un orizzonte come quello che è definito in penombra<br />

12 –


e in ombra, caratterizzato da un Dio trafitto dal male o trafitto dalla<br />

morte stessa, noi siamo invitati a essere in un atteggiamento <strong>di</strong> ascolto<br />

e contemplazione. Si tratta <strong>di</strong> un percorso in cui non soltanto noi<br />

credenti ci troviamo a camminare, ma in cui Dio stesso - se è vero<br />

quello che abbiamo detto a proposito delle Scritture - sta camminando<br />

e manifestandosi, soprattutto in Cristo.<br />

L’ateismo della in<strong>di</strong>fferenza<br />

Propongo qui una seconda considerazione, sempre a proposito <strong>di</strong><br />

questo orizzonte della penombra. C’è effettivamente un morire <strong>di</strong><br />

Dio, all’interno del cuore dell’uomo. C’è un ateismo che ai nostri<br />

giorni è negativo, non è produttivo e fecondo come quello che ho<br />

descritto prima. Questo nuovo modo <strong>di</strong> vedere la tenebra fine a se<br />

stessa è in un ambito che a prima vista sembrerebbe essere meno<br />

offensivo, meno tragico, meno drammatico dell’ateismo classico.<br />

Lo rappresento con un verso del poeta che ho appena citato e che<br />

ritengo anche un grande pensatore: non a caso ha entusiasmato anche<br />

molti filosofi, tra i quali Heidegger. Mi riferisco a Hölderlin, che<br />

nella sua celebre poesia Pane e vino - che tutti i tedeschi sanno quasi<br />

a memoria perché la imparano nelle scuole elementari - recita: Wozu<br />

Dichter…, “Perché i poeti nel tempo della povertà”. Questa domanda<br />

è stata così sviluppata da Heidegger nella sua opera Sentieri interrotti:<br />

“Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché<br />

<strong>di</strong>viene sempre più povero; è già <strong>di</strong>ventato tanto povero da non poter<br />

riconoscere la mancanza <strong>di</strong> Dio come mancanza”. Questa frase mi<br />

sembra particolarmente adatta a rappresentare lo status <strong>di</strong> un mondo<br />

ateo nel senso che stiamo considerando adesso, non nel senso tragico<br />

<strong>di</strong> prima.<br />

In tempo <strong>di</strong> povertà Dio continua a darci poeti, quin<strong>di</strong> ci salva: la<br />

poesia è anche il simbolo della fede. L’assenza dei poeti <strong>di</strong>venta, allora,<br />

segno <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio. Ora noi siamo in un tempo in cui i poeti non ci<br />

sono più, ma noi non ne sentiamo più la mancanza. Questo tempo è già<br />

<strong>di</strong>ventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza <strong>di</strong> Dio<br />

come mancanza. È questo ciò che sperimentiamo quando incontriamo<br />

un orizzonte culturale, ma che è anche quello comune, <strong>di</strong> solito definito<br />

con il termine “in<strong>di</strong>fferenza”, oppure con “superficialità”, “banalità”,<br />

“volgarità”, “vuoto”, “inconsistenza”. In questo mondo, che è dominante<br />

ai nostri giorni, noi ve<strong>di</strong>amo che Dio non è combattuto, non è<br />

più oggetto <strong>di</strong> una contestazione, non c’è bisogno <strong>di</strong> trafiggerlo, Dio<br />

può essere anche presente, ma è del tutto irrilevante.<br />

– 13


È del tutto irrilevante perciò anche la poesia, come pure l’arte<br />

nella sua forma più alta. Mi colpisce, ad esempio, nella rivista Flash<br />

art, che tratta <strong>di</strong> arte contemporanea, la continua celebrazione dello<br />

sfaldamento, della morte dei colori, della figura, dell’itinerario stesso<br />

<strong>di</strong> ricerca. Si continua sempre <strong>di</strong> più a celebrare la corruzione, lo<br />

stemperarsi della realtà, il suo <strong>di</strong>ssolversi. In questa luce naturalmente<br />

l’artista entra e si abbandona, trovandosi come nel suo grembo<br />

quieto.<br />

Kierkegaard scrive nel suo Diario: “La nave ormai è in mano al<br />

cuoco <strong>di</strong> bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non<br />

è più la rotta ma ciò che mangeremo domani”. In questa frase c’è la<br />

rappresentazione <strong>di</strong> questo mondo che non sente più la mancanza <strong>di</strong><br />

Dio. Noi abbiamo quel mezzo egemone della comunicazione che è<br />

la televisione che si accende nelle nostre case e che ci <strong>di</strong>ce tutto su<br />

come dobbiamo mangiare, come dobbiamo vestire, sulle mode e sui<br />

mo<strong>di</strong>, ma non ci <strong>di</strong>ce nulla sulla rotta da seguire. In<strong>di</strong>care la rotta è<br />

<strong>di</strong>venuto del tutto irrilevante.<br />

Noi viviamo in un orizzonte oscuro, nel quale è necessario sicuramente<br />

riuscire a reagire, a non lasciarci lentamente contaminare<br />

noi stessi. Questo mondo non è autenticamente tenebroso: è grigio.<br />

E il grigiore è nebbioso, e la nebbia è sicuramente più pericolosa<br />

della tenebra, perché questa almeno ti inquieta.<br />

Ho presentato due percorsi che costituiscono una specie <strong>di</strong> impasto<br />

del profilo in ombra rivelato dalla prima regione che abbiamo<br />

in<strong>di</strong>viduato al <strong>di</strong> là dello steccato. Tuttavia, sappiamo bene quanto le<br />

frontiere siano ai nostri giorni mobili, se non proprio del tutto cancellate.<br />

La regione della luce<br />

Gettiamo ora uno sguardo sul secondo territorio, quello in luce.<br />

Vi sono, però, <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> luce: una luce prealbare, oppure una<br />

luce solare, squillante, sontuosa, o anche una luce crepuscolare. Vorrei<br />

ora presentare solo due tipologie <strong>di</strong> luce, come prima ho fatto<br />

cenno solo a due tipi <strong>di</strong> oscurità. La prima è una luce “crepuscolare”,<br />

o “prealbare”. Ai nostri giorni Dio è risorto, è presente, non è così<br />

negativamente lontano e remoto: anche nell’ambito dell’in<strong>di</strong>fferenza<br />

può essere un testimone marginale ma presente. Il vero problema<br />

in molti ambiti <strong>di</strong> questo territorio in luce è la domanda su “quale<br />

Dio” scegliere. La religione non è del tutto accantonata in questa<br />

situazione <strong>di</strong> luce incerta. Nel 1799 Schleiermacher nel Discorso sulla<br />

<strong>14</strong> –


eligione - in pieno Illuminismo - scriveva: “Alle grida <strong>di</strong> aiuto dei<br />

più sulla fine della religione io non unisco la mia voce perché non mi<br />

risulta che alcuna epoca l’abbia trattata meglio <strong>di</strong> adesso”.<br />

Per certi versi, se noi guar<strong>di</strong>amo un po’ la nostra società, potremmo<br />

anche <strong>di</strong>re che la religione apparentemente sembra essere considerata<br />

come una componente che non è da espellere, anzi che potrebbe<br />

essere assunta. Ma qui scatta la domanda: quale Dio Mi sembrano<br />

significativi due esempi antitetici. Il primo Dio che emerge<br />

nella nostra società svela una luce crepuscolare: non siamo <strong>di</strong> fronte<br />

alla vera luce del Dio vivente. Pensiamo alle forme <strong>di</strong> sincretismo, <strong>di</strong><br />

magia, <strong>di</strong> devozionalismo, alla New Age e Next Age. Pensiamo a<br />

questa religiosità un po’ impalpabile, <strong>di</strong> un’inconsistenza assoluta,<br />

che è una specie <strong>di</strong> fitness dell’anima celebrato in templi che sono<br />

più simili a gran<strong>di</strong> e solenni saune. È una miscela tra messaggio e<br />

massaggio, tra yoga e yogurt, in modo tale che la pace del corpo<br />

viene intrecciata con una spiritualità molto evanescente.<br />

Queste forme sincretistiche costituiscono una religiosità<br />

liofilizzata; ma certamente evidenziano il bisogno <strong>di</strong> Dio. La società<br />

tecnologica, dopo aver fatto a meno <strong>di</strong> Dio, dopo essere stata nella<br />

regione oscura prima descritta, alla fine sente ancora un bisogno autentico<br />

<strong>di</strong> Dio. Ma ha ormai il palato guasto e ha bisogno <strong>di</strong> omogeneizzati<br />

spirituali. Le gran<strong>di</strong> religioni tra<strong>di</strong>zionali hanno un cibo solido<br />

molto impegnativo, <strong>di</strong>fficile da offrire a questi palati incapaci.<br />

Alcune Chiese hanno tentato allora <strong>di</strong> edulcorare il più possibile, <strong>di</strong><br />

annacquare la verità del Dio vivente, per cercare <strong>di</strong> far sì che questo<br />

uomo, passato attraverso la totale incapacità <strong>di</strong> assumere Dio, potesse<br />

assumerlo almeno in questa forma più semplice e adattata.<br />

L’altro esempio che vorrei fare a proposito del Dio culturalmente<br />

rilevante ma in una forma non del tutto autentica - anche se ci sono<br />

degli elementi <strong>di</strong> verità che possono essere accolti - è proprio<br />

l’antipodo. Lo definirei il Dio del vessillo apocalittico, il Dio<br />

fondamentalista. Siamo <strong>di</strong> fronte ad una cultura che se prima (nel<br />

sincretismo) era la cultura del duetto, è qui piuttosto quella del duello.<br />

Il vessillo del drago rosso è piantato nell’interno della società,<br />

delle nostre piazze. Perciò, c’è un tipo <strong>di</strong> credente che se ne sta remoto<br />

nel suo mondo, integralisticamente chiuso nel suo tempio.<br />

Vi è in Racine una battuta veramente emblematica <strong>di</strong> tutte le visioni<br />

rinchiuse in se stesse. In un’opera <strong>di</strong> quello scrittore francese,<br />

un sacerdote - non per nulla un sacerdote – <strong>di</strong>ce: Ce temple est mon<br />

pays: je n’en connais point d’autre, “Questo tempio è la mia nazione,<br />

io non ne conosco altri”. Trono e altare sono in sé uniti, e se c’è<br />

– 15


qualcosa che è profano, bisogna in tutti i mo<strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> cancellarlo.<br />

Pensiamo a un movimento come i Testimoni <strong>di</strong> Geova che considerano<br />

sotto il segno del Maligno tutta la cultura che non sia nell’interno<br />

del loro perimetro e così pure la società stessa.<br />

Questo Dio ha una luce che non è autentica. Ci possono essere in<br />

questa concezione indubbiamente anche dei valori. Ci può essere da<br />

un lato, come nel primo esempio, il richiamo al fatto che, benché con<br />

il gusto ormai deformato, l’uomo d’oggi sente sempre la nostalgia<br />

del <strong>di</strong>vino, sente sempre il bisogno <strong>di</strong> abbeverarsi a quella sorgente.<br />

Egli però va, per usare l’immagine <strong>di</strong> Geremia (2, 13), alle cisterne<br />

screpolate che non possono contenere l’acqua. Nell’altro esempio<br />

abbiamo il bisogno <strong>di</strong> una identità, <strong>di</strong> ritrovare la propria matrice,<br />

impedendo che essa si stemperi in una genericità.<br />

Entrambe queste forme <strong>di</strong> loro natura hanno, però, in sé una debolezza<br />

<strong>di</strong> fondo perché non hanno il coraggio <strong>di</strong> guardare Dio e<br />

l’uomo in maniera compiuta e completa. Hume ha una battuta che ha<br />

il suo fondo <strong>di</strong> verità: “Gli errori della filosofia sono sempre ri<strong>di</strong>coli,<br />

gli errori della religione sono sempre pericolosi”.<br />

Dobbiamo quin<strong>di</strong> essere molto attenti perché sono errori che hanno<br />

un significato, hanno un’anima <strong>di</strong> verità, come tutte le eresie. Sappiamo<br />

anzi che possono essere l’esasperazione <strong>di</strong> una verità che non<br />

è più capace <strong>di</strong> essere sinfonica. Ma d’altra parte dobbiamo ricordare<br />

che sono anche degli or<strong>di</strong>gni capaci <strong>di</strong> deformare le culture e le società.<br />

Fede e religione<br />

Nel secondo territorio, quello illuminato, vorrei ancora presentare<br />

due altri esempi più luminosi volti a illustrare la fede che si<br />

intreccia autenticamente con la cultura, una fede capace <strong>di</strong> presentarsi<br />

come tale senza morire, senza amputarsi, però al tempo stesso<br />

capace anche <strong>di</strong> entrare in un connubio, in un <strong>di</strong>alogo. Il primo esempio<br />

si riferisce a quella delicata e persino criticabile <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong><br />

Barth tra fede e religione. È una <strong>di</strong>stinzione ormai superata dalla<br />

teologia, ma può essere uno strumento utile per la nostra riflessione.<br />

A Barth fu rivolta una domanda quando, dopo essere stato a lungo<br />

professore e aver scritto quel monumento che è la Dogmatica<br />

ecclesiale, ritornò al paese in cui era stato pastore da giovane, un<br />

villaggio <strong>di</strong> boscaioli, <strong>di</strong> taglialegna, <strong>di</strong> gente semplice, vicino a Berna.<br />

I giornalisti gli chiesero: “Se lei deve insegnare tutto quello che ha<br />

scritto a questa gente, che cosa può <strong>di</strong>re loro”. Rispose: “Ripeterei<br />

16 –


una preghiera che recito ogni giorno: O Signore, liberami dalla religione<br />

e dammi la fede”.<br />

Naturalmente noi qui inten<strong>di</strong>amo la “religione” non come manifestazione<br />

necessaria della fede esistenziale, altrimenti la fede resta<br />

intimismo, solitu<strong>di</strong>ne, solipsismo; ma come una spiritualità che è<br />

semplicemente quella coloritura spalmata su tutto l’Occidente, il quale<br />

non può non <strong>di</strong>rsi cristiano, come affermava Croce. Ora noi abbiamo,<br />

invece, la necessità <strong>di</strong> riconoscere certamente il valore della religione<br />

come capacità <strong>di</strong> essere struttura, ma soprattutto dobbiamo<br />

ritrovare il fermento, il lievito della fede. Nel 1999 è uscito da Giunti<br />

un libretto che raccoglieva un <strong>di</strong>alogo tra l’Arcivescovo <strong>di</strong> Firenze,<br />

il car<strong>di</strong>nale Piovanelli, e Vannino Chiti, presidente della Regione<br />

Toscana. Il car<strong>di</strong>nale Piovanelli <strong>di</strong>ceva: “È molto meglio un piccolo<br />

gregge <strong>di</strong> credenti che non una massa <strong>di</strong> appartenenti”.<br />

È necessario indubbiamente anche avere cura della massa, è necessario<br />

anche riconoscere che la cultura prosegue attraverso i gran<strong>di</strong><br />

fenomeni <strong>di</strong> base, e che quin<strong>di</strong> la religione è una componente da<br />

considerare positivamente. Guai però se alla fine noi non fossimo<br />

capaci <strong>di</strong> far balenare davanti alla cultura che ci circonda la straor<strong>di</strong>naria<br />

potenza e grandezza del credere. Pensiamo soltanto a ciò che ci<br />

potrebbero <strong>di</strong>re a questo riguardo, se ci dovessero parlare ora, un<br />

Agostino o un Pascal.<br />

Verità penultima e ultima<br />

La seconda considerazione che vorrei fare a proposito <strong>di</strong> questo<br />

ambito luminoso concerne una <strong>di</strong>stinzione parallela a quella <strong>di</strong> Barth<br />

tra fede e religione. Si tratta della <strong>di</strong>stinzione - anch’essa <strong>di</strong>scutibile,<br />

ma con un suo contenuto valido - tra le verità “penultime” e le verità<br />

“ultime”, elaborata da un altro teologo del Novecento: Dietrich<br />

Bonhoeffer. La presenza cristiana è indubbiamente quella che dovrebbe<br />

ininterrottamente unire in un nodo d’oro queste due tipologie<br />

<strong>di</strong> verità, perché il nodo d’oro fondamentale del cristianesimo è l’Incarnazione.<br />

Ora l’Incarnazione è Logos sarx eghéneto. Logos e sarx:<br />

proprio questo fa sì che, da un lato, ci debba essere un Dio legato (e<br />

quin<strong>di</strong> un credente) a tutta la polvere della storia, a tutto l’impegno<br />

continuo e quoti<strong>di</strong>ano, a tutta la realtà, alle coor<strong>di</strong>nate storico-spaziali<br />

nelle quali noi siamo immersi; ma, dall’altra parte, è assolutamente<br />

necessario che le verità penultime abbiano continuamente come loro<br />

approdo le verità ultime, il <strong>di</strong>vino, perché altrimenti avremmo una<br />

forma <strong>di</strong> storicismo perfino materialistico.<br />

– 17


Devo <strong>di</strong>re che la cultura contemporanea laica sente profondamente<br />

il bisogno - dopo averci visto camminare con essa nell’ambito<br />

delle verità penultime e sperimentare che cosa vuol <strong>di</strong>re il Dio debole<br />

e impotente - che alla fine ci siano quelle parole che sono le parole<br />

estreme, definitive. È necessario che più spesso noi an<strong>di</strong>amo a<br />

riproporre nel nostro annunzio vita e morte, anche se, come <strong>di</strong>cevo<br />

prima, il palato e le orecchie <strong>di</strong> chi ci ascolta, non sono in grado <strong>di</strong><br />

captare appieno questo tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso. Dobbiamo riproporre ancora<br />

bene e male, verità e falsità, menzogna, giustizia e ingiustizia nel<br />

senso alto, l’amore nelle <strong>di</strong>mensioni più alte, dobbiamo riproporre<br />

ancora la Parola <strong>di</strong>vina.<br />

Mai ho visto l’orizzonte anche più refrattario alla cultura <strong>di</strong> matrice<br />

religiosa uscire indenne dalla lettura <strong>di</strong> un testo biblico, sia pure<br />

quando la Bibbia venga considerata in partenza soltanto come la grande<br />

testimonianza della cultura dell’Occidente, il grande alfabeto colorato<br />

in cui tanti artisti hanno intinto il pennello. Per questo motivo<br />

sono le gran<strong>di</strong> verità ultime e la Parola, in tutta la loro forza e grandezza,<br />

ciò che i cristiani dovrebbero più spesso presentare all’umanità<br />

che sta al <strong>di</strong> là degli steccati.<br />

Questo tipo <strong>di</strong> presenza riuscirebbe a creare nell’interno del mondo<br />

che ci circonda almeno una reazione che io ritengo particolarmente<br />

significativa e che non si riesce più a trovare purtroppo ai nostri<br />

giorni. Ed è la reazione che io chiamerei della inquietu<strong>di</strong>ne: riuscire<br />

a stimolare ancora “un timore e tremore acuito dal trovarsi in un<br />

mondo perverso che crocifigge l’amore” (Kierkegaard). Questa inquietu<strong>di</strong>ne<br />

deve essere prima <strong>di</strong> tutto nostra, trovandoci in un mondo<br />

che crocifigge l’amore. Questa inquietu<strong>di</strong>ne, che è ricerca, noi dovremmo<br />

riuscire a trasmetterla e alla fine essa permetterebbe forse<br />

all’uomo <strong>di</strong> oggi <strong>di</strong> tendere verso quello che potremmo chiamare il<br />

nudo Essere, con la E maiuscola, un ultimo punto d’approdo decisivo<br />

e fondamentale.<br />

Ho citato il “nudo Essere” perché vorrei terminare con le parole<br />

<strong>di</strong> un poeta, che mi è stato amico negli ultimi anni della sua vita<br />

e che voi tutti avete conosciuto e che sul problema del rapporto col<br />

mondo della non credenza ha investito anche un po’ della sua libera,<br />

creativa, qualche volta anche <strong>di</strong>scutibile, testimonianza. Intendo<br />

riferirmi a padre David Maria Turoldo. Una poesia contenuta<br />

nei Canti Ultimi, la sua collezione poetica migliore, è in<strong>di</strong>rizzata al<br />

“fratello ateo nobilmente pensoso”, espressione ripresa da Paolo<br />

VI. Con questa poesia vorrei riassumere il mio <strong>di</strong>scorso. Essa invita<br />

a entrare in un pellegrinaggio nell’interno del mondo, <strong>di</strong> quel<br />

18 –


territorio nel quale – <strong>di</strong>ce Turoldo - ci sono le foreste lussureggianti<br />

delle fe<strong>di</strong>, delle religioni. Eppure esse non sono il punto d’approdo<br />

ultimo: noi dobbiamo andare oltre, noi siamo per la visione e la<br />

comunione con Dio, come <strong>di</strong>cono Paolo (1Corinzi 13, 12) e Giovanni<br />

(1Giovanni 3, 2). Dall’altra parte ci sono anche i deserti, quei<br />

deserti che abbiamo rappresentato sotto l’immagine dell’in<strong>di</strong>fferenza,<br />

del grigio e della nebbia.<br />

Alla fine, quando anche morirà la parola, ci sarà il “nudo Essere”,<br />

che è ovviamente l’esperienza del <strong>di</strong>vino e che altri <strong>di</strong>ranno del<br />

trascendente, o più semplicemente del desiderio <strong>di</strong> un oltre che va al<br />

<strong>di</strong> là della pelle, cioè della debolezza e della miseria del quoti<strong>di</strong>ano<br />

entro cui ci intristiamo e ci isteriliamo. Scrive il poeta: “Fratello ateo/<br />

nobilmente pensoso,/ alla ricerca <strong>di</strong> un Dio/ che io non so darti,/<br />

attraversiamo insieme il deserto,/ <strong>di</strong> deserto in deserto/ an<strong>di</strong>amo oltre/<br />

la foresta delle fe<strong>di</strong>,/ liberi e nu<strong>di</strong>,/ verso il nudo Essere./ E là<br />

dove/ la Parola muore/ abbia fine il nostro cammino”.<br />

– 19


20 –


IL POTERE NELLA POLITICA:<br />

RISORSA O TENTAZIONE<br />

FRANCO PASTORE *<br />

Non ho una particolare competenza per parlare dell’argomento.<br />

Non sono un politico e non ho l’esperienza <strong>di</strong> chi si è misurato sul<br />

campo con questa tematica, né sono uno stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> politica o <strong>di</strong><br />

etica. Quin<strong>di</strong> le considerazioni che farò non hanno alcuna pretesa <strong>di</strong><br />

completezza o sistematicità. Possiamo considerarle semplicemente<br />

come l’introduzione alla <strong>di</strong>scussione che certamente sarà più ricca e<br />

significativa.<br />

Il tema, al <strong>di</strong> là delle specificazioni che assume in riferimento<br />

alla politica, pone interrogativi <strong>di</strong> natura etica sul rapporto con il<br />

potere <strong>di</strong> quanti, e sono tanti, occupano e gestiscono posizioni <strong>di</strong><br />

potere. Io stesso che faccio il magistrato, chiamato ad esercitare nel<br />

mio lavoro quoti<strong>di</strong>ano il potere giuris<strong>di</strong>zionale, dovrei chiedermi: il<br />

potere per me è risorsa o tentazione è strumento per affermare la<br />

giustizia nel caso concreto o è strumento <strong>di</strong> prevaricazione e mortificazione<br />

<strong>di</strong> chi è chiamato a subire il mio giu<strong>di</strong>zio o ancora è un<br />

trampolino <strong>di</strong> lancio per acquisire posizioni <strong>di</strong> prestigio e notorietà<br />

al <strong>di</strong> fuori dell’ambito professionale<br />

Ma il problema del rapporto con il potere riguarda tante altre<br />

persone che pure non sono investite <strong>di</strong> pubbliche funzioni.<br />

Pensiamo al rapporto me<strong>di</strong>co-paziente.<br />

Nell’ambito <strong>di</strong> una relazione che non ha alcun connotato<br />

pubblicistico, che vede i due soggetti in un rapporto <strong>di</strong> assoluta parità<br />

formale, uno dei due – il me<strong>di</strong>co – si trova in una posizione <strong>di</strong><br />

potere che gli deriva da due fattori:<br />

1) dal fatto <strong>di</strong> avere nelle proprie mani uno dei beni più importanti<br />

dell’altra persona: la salute; 2) dal fatto che l’altro, normalmente<br />

a <strong>di</strong>giuno <strong>di</strong> cognizioni <strong>di</strong> scienza me<strong>di</strong>ca, non ha alcun potere <strong>di</strong><br />

controllo sul suo operato: si deve fidare!<br />

E pensiamo al rapporto tra il maestro e l’alunno nel quale il secondo,<br />

in situazione <strong>di</strong> assoluta <strong>di</strong>pendenza, pone non solo la propria<br />

* Relazione tenuta il 15 Dicembre 2000.<br />

– 21


istruzione ma la sua stessa personalità in formazione nelle mani del<br />

primo.<br />

Venendo più specificamente al tema della riflessione, mi sembra<br />

<strong>di</strong> poter innanzitutto affermare che la prima caratteristica del potere<br />

è che esso si presenta come un dato necessario ed ineliminabile dell’agire<br />

politico: «la convivenza fra gli esseri umani non può essere<br />

or<strong>di</strong>nata e feconda se in essa non è presente un’autorità legittima che<br />

assicuri l’or<strong>di</strong>ne e contribuisca all’attuazione del bene comune in<br />

grado sufficiente» (Pacem in terris, 46).<br />

La seconda caratteristica del potere politico è quella <strong>di</strong> potersi<br />

imporre, in casi estremi, anche con l’uso o la minaccia della forza.<br />

Questo tratto <strong>di</strong>fferenzia profondamente il potere politico dalle forme<br />

<strong>di</strong> potere a cui ho fatto cenno prima. Si tratta perciò <strong>di</strong> un potere<br />

invasivo e potenzialmente in grado <strong>di</strong> interferire ed incidere profondamente<br />

sui <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> libertà della persona.<br />

L’interrogativo se il potere sia risorsa o tentazione si pone allora<br />

non solo sul piano soggettivo dell’agire politico in<strong>di</strong>viduale ma anche<br />

sul piano oggettivo dell’organizzazione del potere.<br />

A questo primo livello, credo che il potere sia risorsa quando la<br />

politica è orientata al bene comune inteso come «l’insieme <strong>di</strong> quelle<br />

con<strong>di</strong>zioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli<br />

membri, <strong>di</strong> raggiungere la propria perfezione più pienamente e<br />

più spe<strong>di</strong>tamente» (GS 26). In sostanza, il bene comune implica tre<br />

elementi essenziali: il rispetto della persona umana, il benessere sociale<br />

e la pace.<br />

Innanzitutto il rispetto della persona in quanto tale. In nome del<br />

bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i <strong>di</strong>ritti fondamentali<br />

ed inalienabili della persona umana. Ogni persona, in quanto<br />

tale, in<strong>di</strong>pendemente dal sesso, dalla razza, dall’età, dalla religione,<br />

dalla con<strong>di</strong>zione sociale, ecc..., è titolare <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong>ritti innati che<br />

non gli possono essere negati. Nel nostro or<strong>di</strong>namento, questa esigenza<br />

trova espresso riconoscimento nell’articolo 2 della Costituzione<br />

che afferma che «la Repubblica riconosce e garantisce i <strong>di</strong>ritti<br />

inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali<br />

ove si svolge la sua personalità». L’espressione “riconosce” sta a significare<br />

che lo Stato prende atto del fatto che la persona ha un nucleo<br />

fondamentale <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti che le derivano dal solo fatto <strong>di</strong> essere<br />

persona. Diritti che lo Stato può solo proteggere e promuovere ma<br />

non eliminare.<br />

In secondo luogo, il bene comune richiede il benessere sociale e<br />

lo sviluppo del gruppo stesso. La politica, pur nella necessaria opera<br />

22 –


<strong>di</strong> selezione e me<strong>di</strong>azione tra interessi particolari, deve rendere accessibile<br />

a tutti e a ciascuno ciò <strong>di</strong> cui ha bisogno per condurre una<br />

vita veramente umana: vitto, alloggio, vestito, salute, lavoro, educazione<br />

e cultura, informazione conveniente, <strong>di</strong>ritto a fondare una famiglia.<br />

Anche questa esigenza trova eco nella Carta costituzionale<br />

che, non solo riconosce espressamente il <strong>di</strong>ritto al lavoro e ad una<br />

retribuzione che sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla<br />

famiglia una esistenza libera e <strong>di</strong>gnitosa, il <strong>di</strong>ritto alla salute, all’istruzione,<br />

alla famiglia, al mantenimento e all’assistenza sociale, ma che<br />

impegna la Repubblica (quin<strong>di</strong>, non solo lo Stato, ma tutte le istituzioni<br />

anche locali) «a rimuovere gli ostacoli <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne economico e<br />

sociale che, limitando <strong>di</strong> fatto la libertà e l’uguaglianza dei citta<strong>di</strong>ni,<br />

impe<strong>di</strong>scono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione<br />

<strong>di</strong> tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica<br />

e sociale del Paese» (art. 3/2 Cost.), in<strong>di</strong>cando un programma <strong>di</strong><br />

promozione umana che dovrebbe costituire la cornice entro cui inserire<br />

le scelte politiche contingenti.<br />

Il bene comune, infine, implica la pace, cioè la stabilità e la sicurezza<br />

<strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne giusto. Suppone che l’autorità garantisca, con mezzi<br />

onesti, la sicurezza della società e quella dei suoi membri. Implica<br />

inoltre rapporti <strong>di</strong> pacifica convivenza con gli altri popoli e nazioni.<br />

Infatti, quando il benessere materiale e spirituale <strong>di</strong> un Paese è fondato<br />

sul bene comune, non tollera lo sfruttamento <strong>di</strong> popoli <strong>di</strong> altri<br />

Paesi.<br />

Il bene comune è naturalmente inclusivo e tende a farsi carico<br />

dei problemi dello sviluppo <strong>di</strong> aree del mondo più povere. In questo<br />

ambito si situano tutte le questioni legate al tema della remissione<br />

del debito internazionale da parte dei Paesi ricchi o dello sfruttamento<br />

del lavoro minorile ed in generale delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> miseria <strong>di</strong><br />

gran parte della nostra umanità.<br />

In definitiva si può <strong>di</strong>re che il potere è risorsa quando è strumentalmente<br />

orientato al perseguimento del bene comune. Ma affinché il<br />

potere sia orientato al bene comune, è necessario che non sia un potere<br />

tirannico e totalitario. Occorre invece che sia limitato, cioè regolamentato,<br />

controllato e controllabile. Che sia cioè un potere democratico.<br />

In questa prospettiva, la democrazia appare come una forma <strong>di</strong><br />

governo fondata non sulla negazione del potere ma sulla sua circoscrizione,<br />

limitazione e <strong>di</strong>ffusione, me<strong>di</strong>ante un delicato sistema <strong>di</strong><br />

pesi e contrappesi nel quale il potere politico, per un verso, si articola<br />

in una pluralità <strong>di</strong> se<strong>di</strong> e istituzioni, per altro verso, accetta esso<br />

– 23


stesso <strong>di</strong> assoggettarsi alla legge che ne ragolamenta le modalità <strong>di</strong><br />

esercizio e prevede gli strumenti <strong>di</strong> controllo: è il principio dello Stato<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto e della separazione dei poteri su cui si fondano le moderne<br />

democrazie che, al <strong>di</strong> là delle specifiche <strong>di</strong>fferenze, sono caratterizzate<br />

dal fatto che la sovranità appartiene al popolo e che i poteri che tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

esprimono la sovranità stessa (esecutivo, legislativo e giu<strong>di</strong>ziario)<br />

mettono capo a organi tra loro in<strong>di</strong>pendenti.<br />

Altri profili del potere democratico sono costituiti dalla temporaneità<br />

delle cariche elettive, dalla partecipazione del popolo non solo<br />

me<strong>di</strong>ante libere elezioni ma anche attraverso istituti <strong>di</strong> democrazia <strong>di</strong>retta<br />

quali i referendum, dalla istituzione <strong>di</strong> un particolare organo giu<strong>di</strong>ziario,<br />

quale la Corte Costituzionale, chiamato a <strong>di</strong>rimere i conflitti<br />

tra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le altre comunità locali dotate <strong>di</strong><br />

larga sfera <strong>di</strong> autonomia rispetto allo Stato stesso (in Italia le Regioni),<br />

nonché a effettuare il controllo <strong>di</strong> legalità costituzionale sulle leggi, al<br />

fine <strong>di</strong> salvaguardare l’inviolabilità dei <strong>di</strong>ritti fondamentali della persona<br />

dalla possibile tirannia della maggioranza parlamentare.<br />

Di questa esigenza tennero conto i Padri costituenti allorché, dopo<br />

aver fissato i principi fondamentali della Costituzione, passarono ad<br />

occuparsi, nella sua seconda parte, dell’assetto istituzionale da dare<br />

al Paese. Si <strong>di</strong>sse che «è la struttura stessa dello Stato democratico<br />

che, con il riconoscimento della sovranità popolare, con la <strong>di</strong>visione<br />

dei poteri, con il primato del legislativo, la stabilità dell’esecutivo,<br />

l’in<strong>di</strong>pendenza del giu<strong>di</strong>ziario, nonché con il decentramento amministrativo,<br />

le autonomie locali ed il regionalismo, deve contribuire a<br />

garantirci l’esercizio sicuro e permanente delle libertà» (Gonella). Si<br />

osservò anche «che la struttura organizzativa <strong>di</strong> uno Stato orientato<br />

in senso liberistico non può, nella sua sostanza, non essere sostanzialmente<br />

<strong>di</strong>versa da quella propria <strong>di</strong> uno Stato che si proponga fini<br />

<strong>di</strong> intervento più o meno penetranti nella sfera dei rapporti sociali,<br />

onde correggere o attenuare gli effetti del gioco spontaneo dei medesimi»<br />

(Mortati).<br />

Come è noto il recente <strong>di</strong>battito sulle riforme istituzionali ha rimesso<br />

in gran parte in <strong>di</strong>scussione l’assetto dei poteri delineato nella<br />

seconda parte della Costituzione.<br />

Senza addentrarmi in questioni particolari, vorrei segnalare che<br />

le vicende degli ultimi anni hanno messo in rilievo due profili<br />

problematici che andrebbero affrontati e risolti per garantire quella<br />

precon<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne sociale necessaria all’equilibrio della vita<br />

politica e che riguardano rispettivamente il rapporto tra politica ed<br />

economia e politica ed informazione.<br />

24 –


Con riferimento al rapporto tra politica ed economia sembra avvertirsi<br />

la malcelata pretesa dell’economia <strong>di</strong> emanciparsi da ogni<br />

regola giuri<strong>di</strong>ca. La politica dovrebbe astenersi dall’interferire con i<br />

meccanismi del mercato e della concorrenza. Mentre il potere politico<br />

resta circoscritto all’ambito del territorio dello Stato, il potere<br />

economico si atteggia a potere sopranazionale che sfugge alla<br />

regolamentazione dei singoli Stati. La possibilità <strong>di</strong> spostare in poche<br />

ore ingenti capitali dalla Borsa <strong>di</strong> una nazione all’altra (con ciò<br />

influenzando pesantemente la ricchezza <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> e piccoli investitori),<br />

<strong>di</strong> allocare la produzione là dove il costo del lavoro è più basso<br />

(senza alcuna considerazione per i <strong>di</strong>ritti fondamentali dei lavoratori,<br />

spesso poco più che bambini), <strong>di</strong> influenzare le stesse politiche<br />

economiche dei governi nazionali (attraverso le pressioni più o meno<br />

occulte delle varie lobbies) ecc..., rivelano tutta la potenza del potere<br />

economico tanto che c’è chi in<strong>di</strong>vidua il tratto qualificante della<br />

globalizzazione, non nella intensificazione <strong>di</strong> relazioni sociali mon<strong>di</strong>ali<br />

che collegano tra loro località <strong>di</strong>stanti facendo sì che gli eventi<br />

locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia <strong>di</strong><br />

chilometri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, ma in un travaso <strong>di</strong> poteri dagli Stati verso le<br />

istituzioni economiche.<br />

Occorre invece che la politica riaffermi il proprio primato sul<br />

potere economico perché, se è vero che il fondamento ed il fine della<br />

politica è il bene comune, non è possibile sottrarre al suo governo un<br />

settore, come quello dell’economia, capace <strong>di</strong> incidere così profondamente<br />

sulle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita delle persone. Di qui l’esigenza <strong>di</strong><br />

assicurare, sul piano degli or<strong>di</strong>namenti nazionali, l’in<strong>di</strong>pendenza della<br />

politica dall’economia (c’è qui il tema del cd. conflitto <strong>di</strong> interessi <strong>di</strong><br />

chi aspira a governare un Paese), e <strong>di</strong> creare, sul piano degli or<strong>di</strong>namenti<br />

sopranazionali, delle istituzioni in grado <strong>di</strong> dettare regole vincolanti<br />

per il maggior numero possibile <strong>di</strong> Stati (c’è qui il tema delle<br />

costituzioni sopranazionali, del ruolo e del potere dell’ONU, della<br />

Comunità Europea e delle altre organizzazioni internazionali).<br />

In relazione al rapporto tra politica ed informazione, si è messo<br />

in evidenza il ruolo con<strong>di</strong>zionante che i mass-me<strong>di</strong>a hanno nella formazione<br />

(anche) del consenso politico. Di qui l’esigenza <strong>di</strong> assicurare<br />

l’accesso ai mezzi <strong>di</strong> informazione in modo paritario ai vari contendenti<br />

politici, nonché l’esigenza <strong>di</strong> evitare che chi abbia posizioni<br />

<strong>di</strong> potere nel campo dell’informazione possa avvantaggiarsene quando<br />

scende nel campo della politica. E questa esigenza, ancorché sembri<br />

riferita ad un ben in<strong>di</strong>viduato personaggio politico, in realtà è un’esigenza<br />

<strong>di</strong> carattere più generale che attiene alla fondamentale neces-<br />

– 25


sità <strong>di</strong> evitare che una persona possa esercitare impropriamente, nella<br />

politica, il potere acquisito in un <strong>di</strong>verso ambito, oppure che si<br />

eserciti in modo strumentale un certo potere, per poter poi “scendere”<br />

in politica. Pensiamo, ad es., al magistrato che esercita in modo<br />

strumentale il potere giuris<strong>di</strong>zionale come trampolino <strong>di</strong> lancio per<br />

la futura carriera politica. Oppure all’ex magistrato che, sceso in politica,<br />

si avvale in questo ambito del potere giuris<strong>di</strong>zionale esercitato<br />

in precedenza (ad es. me<strong>di</strong>ante l’uso <strong>di</strong> conoscenze acquisite proprio<br />

in ambito professionale).<br />

In questi casi tutto il sistema corre seriamente il rischio <strong>di</strong> essere<br />

delegittimato e non cre<strong>di</strong>bile agli occhi dei citta<strong>di</strong>ni.<br />

Per chiudere sul punto, vorrei fare un cenno anche sul tormentato<br />

rapporto tra politica e magistratura che si arricchisce quasi quoti<strong>di</strong>anamente<br />

<strong>di</strong> nuove occasioni <strong>di</strong> polemica (da ultimo le <strong>di</strong>chiarazioni<br />

del Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati sulla legittimità<br />

a governare <strong>di</strong> un noto personaggio politico).<br />

Senza entrare nei dettagli, la vicenda mi pare sintomatica <strong>di</strong> una<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> crisi che andrebbe superata al più presto, perché, delle<br />

due l’una: se fossimo effettivamente <strong>di</strong> fronte al <strong>di</strong>segno politico <strong>di</strong><br />

una parte della magistratura <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re che una certa parte politica<br />

giunga al governo del Paese, saremmo in presenza <strong>di</strong> una grave, indebita<br />

e strumentale interferenza <strong>di</strong> un potere nel libero <strong>di</strong>spiegarsi<br />

della competizione politica. Se, invece, fossimo in presenza del <strong>di</strong>segno<br />

politico <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>mensionare i poteri della magistratura come ritorsione<br />

alle vicende giu<strong>di</strong>ziarie che hanno svelato il malaffare politico-amministrativo,<br />

saremmo in presenza <strong>di</strong> un altrettanto inaccettabile<br />

tentativo della politica <strong>di</strong> sottrarsi al controllo <strong>di</strong> legalità.<br />

Ho indugiato su questi profili, per sottolineare come la questione<br />

delle riforme istituzionali non sia una questione tecnica o <strong>di</strong> mera<br />

ingegneria costituzionale, perché l’assetto organizzativo del potere<br />

non è neutrale rispetto al suo essere funzionale al bene comune.<br />

Ma, per quanto sofisticato possa essere un sistema democratico<br />

nel quale il potere sia organizzato in termini <strong>di</strong> funzionalità al bene<br />

comune, resta decisiva la coscienza e la responsabilità dell’in<strong>di</strong>viduo<br />

che agisce in politica e che può usare in modo improprio e <strong>di</strong>storto<br />

il potere connesso alla politica, in <strong>di</strong>spregio <strong>di</strong> ogni buona norma<br />

giuri<strong>di</strong>ca. In definitiva, la realizzazione del bene comune passa<br />

attraverso l’azione concreta delle persone che fanno politica.<br />

In tal modo l’interrogativo si sposta al livello in<strong>di</strong>viduale: per me<br />

consigliere comunale, sindaco, ministro, parlamentare, ecc..., il potere<br />

è risorsa o tentazione<br />

26 –


Abbiamo tanti esempi <strong>di</strong> politici che hanno testimoniato, anche a<br />

caro prezzo, come il potere possa essere risorsa e non tentazione. C’è<br />

chi è morto per mano dei brigatisti e chi per mano dei mafiosi. Ci<br />

sono tantissimi politici sconosciuti all’opinione pubblica che, ad ogni<br />

livello (consiglieri comunali, sindaci, parlamentari...), de<strong>di</strong>cano all’attività<br />

politica con generosità il loro tempo, la loro intelligenza, la<br />

loro tenacia, la loro professionalità, sacrificando affetti, famiglia, sol<strong>di</strong><br />

ecc... lontano dalla notorietà <strong>di</strong> cui godono i (tutto sommato) pochi<br />

politici che hanno ruoli <strong>di</strong> preminenza nel governo e nei partiti.<br />

Ma ci sono stati e ci sono anche numerosi esempi <strong>di</strong> politici che<br />

hanno ceduto alla tentazione <strong>di</strong> potere lasciandosi corrompere, utilizzando<br />

in modo strumentale la funzione esercitata, favorendo amici<br />

e parenti e clienti quando c’era da <strong>di</strong>stribuire risorse, posti <strong>di</strong> lavoro,<br />

denaro pubblico ecc... In molti casi, la degenerazione ha assunto<br />

ad<strong>di</strong>rittura le caratteristiche del sistema. Di conseguenza, anche sul<br />

piano dell’agire politico in<strong>di</strong>viduale c’è da chiedersi a quali con<strong>di</strong>zioni<br />

il potere è risorsa e non tentazione.<br />

Senza pretesa <strong>di</strong> dare lezioni, credo che il politico debba innanzitutto<br />

conoscere ed essere competente. È necessaria una competenza<br />

che nasce da preparazione professionale qualificata, aggiornata,<br />

capace <strong>di</strong> invenzione continua e che sappia coniugarsi proficuamente<br />

anche con altre garanzie <strong>di</strong> moralità, <strong>di</strong> chiarezza <strong>di</strong> collaborazione.<br />

Non ci si può inserire adeguatamente nelle istituzioni tipiche della<br />

nostra vita sociale e non si può operare efficacemente in esse se<br />

non si è scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente<br />

esperti. La politica non può essere mera testimonianza o<br />

declamazione <strong>di</strong> principi e valori senza capacità <strong>di</strong> attuare le me<strong>di</strong>azioni<br />

necessarie per tradurli in leggi, riforme, provve<strong>di</strong>menti. Tante<br />

volte abbiamo avuto la sensazione che chi ha fatto una legge o un<br />

provve<strong>di</strong>mento non conoscesse ciò <strong>di</strong> cui si è occupato. La mancanza<br />

<strong>di</strong> conoscenza o, peggio, la decisione assunta sulla base <strong>di</strong> un pregiu<strong>di</strong>zio<br />

ideologico o religioso o del con<strong>di</strong>zionamento <strong>di</strong> interessi<br />

corporativi sta alla base del fallimento <strong>di</strong> tante riforme e dello<br />

scollamento tra paese legale e paese reale e della <strong>di</strong>saffezione della<br />

gente dalla politica che non appare capace <strong>di</strong> risolvere i problemi.<br />

Il politico poi deve scegliere. Spesso per non perdere consenso<br />

<strong>di</strong>ce sì a tutti e non sceglie. Io non credo che il consenso è lo strumento<br />

attraverso cui il politico afferma le sue idee e i suoi programmi.<br />

Il politico non può <strong>di</strong>re: datemi il voto e farò tutto ciò che volete.<br />

Deve <strong>di</strong>re cosa farà e cosa non farà, in<strong>di</strong>cando le priorità del suo<br />

agire.<br />

– 27


Ogni scelta comporta un progetto e un coinvolgimento personale:<br />

chi sceglie si compromette, non è al <strong>di</strong> fuori. Dunque ogni scelta<br />

richiede saggezza e coraggio.<br />

In politica la scelta, il saper decidere, comporta anche riconoscere<br />

una scala <strong>di</strong> valori e puntare ai più elevati <strong>di</strong> essi. Lo scegliere va<br />

evidentemente contro una delle caratteristiche più negative <strong>di</strong> un certo<br />

modo <strong>di</strong> fare politica: il trasformismo! Uomini buoni per ogni politica<br />

e per ogni stagione della politica. Ma l’abito virtuoso dello scegliere<br />

va anche contro un altro elemento negativo della politica: il<br />

corporativismo degli interessi.<br />

Scegliere significa andare contro qualcuno, o meglio optare per<br />

il bene che è superiore, che è comune, con sacrificio <strong>di</strong> qualcuno, <strong>di</strong><br />

qualche bene particolare che è egoistico, settoriale, corporativo. Scegliere<br />

è un valore altamente morale ed umano ed è il modo tipico <strong>di</strong><br />

essere e <strong>di</strong> agire <strong>di</strong> chi è capace <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are tra l’analisi della realtà e<br />

il progetto per il futuro, tenendo conto della gente che ha <strong>di</strong> fronte.<br />

Può sembrare poi banale richiamare l’esigenza che il politico sia<br />

uomo d’azione eppure spesso la politica si riduce a mere <strong>di</strong>chiarazioni<br />

<strong>di</strong> intento non seguite dai fatti concreti. Alle decisioni devono<br />

seguire i fatti. Pensiamo a tutto ciò che si è detto sulla necessità delle<br />

riforme istituzionali o <strong>di</strong> una nuova legge elettorale e alla situazione<br />

<strong>di</strong> impasse in cui ci troviamo. La incapacità <strong>di</strong> far seguire i fatti alle<br />

promesse è una delle cause più importanti della sfiducia della gente<br />

nella politica e fomenta un senso <strong>di</strong> rassegnazione e <strong>di</strong> impotenza<br />

nella possibilità <strong>di</strong> risolvere i problemi.<br />

Infine, la politica va fatta con rigore morale, spirito <strong>di</strong> servizio e<br />

stile <strong>di</strong> gratuità.<br />

Il politico deve essere persona onesta, <strong>di</strong>sinteressata, non legata<br />

alla carica e al potere. Deve essere rispettoso dell’altro e delle idee<br />

<strong>di</strong>verse dalle sue. Deve essere persona interiormente libera e aperta<br />

ad accogliere ogni contributo che concorre a realizzare il bene comune,<br />

nella consapevolezza che anche l’avversario politico può essere<br />

portatore <strong>di</strong> un pezzettino più o meno grande <strong>di</strong> verità. Ma deve<br />

anche saper essere intransigente quando vengono in gioco i <strong>di</strong>ritti<br />

fondamentali degli ultimi e dei deboli perché tra<strong>di</strong>rebbe la ragione<br />

stessa della politica se <strong>di</strong>sponesse dei <strong>di</strong>ritti degli ultimi a vantaggio<br />

degli interessi forti. Egli non deve porsi alcun fine <strong>di</strong> tornaconto personale<br />

nell’agire politico. E non dovrà mai pretendere una ricompensa<br />

per ciò che fa. Inten<strong>di</strong>amoci: non metto in <strong>di</strong>scussione il <strong>di</strong>ritto<br />

a percepire stipen<strong>di</strong> e/o indennità per l’attività svolta. Voglio però<br />

<strong>di</strong>re che il politico deve mettere in conto una sproporzione tra ciò<br />

28 –


che dà con il suo servizio e ciò che riceve, sia in termini economici<br />

che in termini <strong>di</strong> gratificazione umana. Anzi dovrà mettere nel conto<br />

anche l’offesa, la mal<strong>di</strong>cenza, l’ingratitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> quanti vorranno colpirlo<br />

e scre<strong>di</strong>tarlo, magari, proprio a ragione della sua onestà e del<br />

suo rigore morale. Se spesso nel concreto dell’agire politico gli atteggiamenti<br />

che ho descritto sono sembrati perdenti è perché in tanti<br />

ci siamo limitati a denunciare che la politica è una “cosa sporca” e,<br />

per non sporcarci le mani, abbiamo lasciato il campo libero a chi<br />

vive il potere della politica come tentazione. Ma questo atteggiamento<br />

non è più consentito. Di fronte alle gran<strong>di</strong> e piccole ingiustizie<br />

che ogni giorno si commettono nei nostri paesi, così come nel<br />

mondo intero, <strong>di</strong> fronte alle violenze, alle guerre, alle <strong>di</strong>scriminazioni...<br />

nessuno <strong>di</strong> noi può <strong>di</strong>re: io non sapevo, io non immaginavo,<br />

perché i giornali, la TV, internet portano nelle nostre case tutte le<br />

miserie del mondo contemporaneo. L’assenza è oggettivamente una<br />

complicità con chi cede alle tentazioni del potere e trasforma la politica<br />

da strumento <strong>di</strong> promozione umana a strumento <strong>di</strong> oppressione.<br />

E, se per tutti l’assenza è complicità, per il cristiano l’assenza è anche<br />

peccato <strong>di</strong> omissione: «Allora il Re <strong>di</strong>rà a quelli che stanno alla<br />

sua destra: Venite benedetti dal Padre mio, prendete possesso del<br />

Regno preparato per voi sin dall’origine del mondo. Poiché ebbi fame<br />

e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, ero pellegrino e<br />

mi ospitaste, nudo e mi copriste, infermo e mi visitaste, ero in carcere<br />

e veniste a trovarmi. Allora i giusti <strong>di</strong>ranno: Signore quando ti<br />

vedemmo affamato e ti demmo da mangiare, assetato e ti demmo da<br />

bere Quando ti vedemmo pellegrino e ti ospitammo Nudo e ricoprimmo<br />

Quando ti vedemmo infermo o in carcere e venimmo a<br />

trovarti E il Re risponderà loro: in verità vi <strong>di</strong>co: tutto quello che<br />

avete fatto a uno dei più piccoli <strong>di</strong> questi miei fratelli, l’avete fatto a<br />

me» (Mt. 25, 34-40).<br />

A me piace pensare al potere come a una risorsa della politica<br />

per scrivere questa pagina <strong>di</strong> Vangelo nella storia degli uomini <strong>di</strong><br />

oggi.<br />

– 29


30 –


LE FATICHE DI SISIFO DEI CATTOLICI IN POLITICA<br />

PIERO CASILLO*<br />

Premessa<br />

Voglio preliminarmente evidenziare il solco in cui mi muovo con<br />

le riflessioni che vengo a proporvi, anche per segnarne il limite.<br />

Quando si parla <strong>di</strong> politica, infatti, si pensa subito ai partiti e alle<br />

istituzioni, al governo e al potere. E <strong>di</strong>co subito che è alla politica in<br />

tale accezione comune che si intendono riferire le presenti riflessioni.<br />

Non bisogna <strong>di</strong>menticare, però, che vi sono due concetti <strong>di</strong>versi,<br />

<strong>di</strong>stinti <strong>di</strong> politica.<br />

Il primo attiene alla politica nel suo significato più ampio (la politica<br />

c.d. con la P maiuscola) nel senso cioè <strong>di</strong> cultura politica: “Ad<br />

essa, in effetti, spetta precisare i valori fondamentali <strong>di</strong> ogni comunità,<br />

conciliando l’uguaglianza con la libertà, l’autorità pubblica con la legittima<br />

autonomia e partecipazione delle persone e dei gruppi, la sovranità<br />

nazionale con la convivenza e la solidarietà internazionale. Essa<br />

definisce anche i mezzi e l’etica dei rapporti sociali” 1 .<br />

Dunque, nel contesto <strong>di</strong> questa prima più ampia accezione, rientrano<br />

nel concetto <strong>di</strong> Politica pure le attività sociali, quelle assistenziali,<br />

<strong>di</strong> volontariato, <strong>di</strong> ispirazione religiosa e culturale, non elaborate<br />

<strong>di</strong>rettamente dai partiti e dalle istituzioni dello Stato,ma nate<br />

spontaneamente dall’impegno sociale dei mon<strong>di</strong> vitali. Naturalmente,<br />

in tale senso ampio la politica interessa anche la chiesa e pertanto<br />

i suoi pastori, ministri dell’unità. La chiesa, in questo senso, fa politica<br />

contribuendo a promuovere i valori che devono ispirare la prassi<br />

politica.<br />

La seconda accezione <strong>di</strong> politica, come accennavo, è quella usata<br />

più comunemente: ci si riferisce, cioè, alla prassi dei partiti, dei sindacati,<br />

del governo, delle istituzioni, al loro programma <strong>di</strong> cose da<br />

fare, alla traduzione tecnica dei valori, dei bisogni e delle aspirazioni<br />

della società civile, da coor<strong>di</strong>nare in vista del bene comune.<br />

* Conferenza tenuta il 30 Aprile 2002.<br />

1<br />

Puebla Comunione e partecipazione AVE, Roma, 1979, n. 521 (documento<br />

finale della terza Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano).<br />

– 31


E’ la politica con la p minuscola. E’ la prassi politica che viene<br />

dopo la cultura politica, nel senso che la suppone e la traduce in<br />

pratica operativa.<br />

Questa politica partitica è il campo proprio dei laici.<br />

Quin<strong>di</strong>, Politica (con la P maiuscola) e politica (con la p minuscola)<br />

sono due aspetti <strong>di</strong>stinti ma tra <strong>di</strong> loro inseparabili della stessa<br />

realtà. A tal punto che la rottura tra cultura politica e prassi politica<br />

porta alla crisi della politica in sé. Di conseguenza, quando i protagonisti<br />

della politica (i partiti in particolare) perdono il collegamento<br />

con il proprio retroterra sociale e culturale, sono destinati a morire.<br />

Tali precisazioni aiutano a “comprendere che cosa si deve precisamente<br />

intendere quando i documenti della chiesa parlano dei <strong>di</strong>versi<br />

mo<strong>di</strong> della presenza sociale (e politica) dei fedeli laici e della<br />

comunità cristiana; quando parlano cioè <strong>di</strong> scelta sociopolitica dei<br />

primi e <strong>di</strong> scelta religiosa della seconda; oppure quando parlano <strong>di</strong><br />

possibile o anche <strong>di</strong> necessaria supplenza politica da parte della chiesa<br />

in determinate situazioni <strong>di</strong> emergenza; quando parlano, infine, dell’urgenza<br />

d’investire uomini e mezzi nell’opera <strong>di</strong> formazione dei<br />

fedeli laici sia all’impegno sociale e politico, sia allo stile cristiano<br />

<strong>di</strong> fare politica, istituendo luoghi d’incontro e <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo per quanti<br />

desiderano confrontarsi e prepararsi a <strong>di</strong>venire costruttori e protagonisti<br />

della civiltà dell’amore” 2 .<br />

1. BREVE EXCURSUS STORICO DELLA PRESENZA DEI CATTOLICI NELLA POLITI-<br />

CA ITALIANA<br />

Riprendo da un libro del 1991 <strong>di</strong> Bartolomeo Sorge 3 il profilo<br />

storico sino agli inizi degli anni ottanta.<br />

La nascita nel 1944 della DC <strong>di</strong> De Gasperi si lega strettamente<br />

all’esperienza del PPI (soppresso da Mussolini nel 1926). Secondo<br />

l’intuizione <strong>di</strong> Sturzo il primo elemento essenziale <strong>di</strong> una presenza<br />

politica dei cattolici doveva essere quello <strong>di</strong> una chiara ispirazione<br />

cristiana. Il punto VIII del Programma del Partito Popolare afferma<br />

inequivocabilmente che “la coscienza cristiana va considerata come<br />

fondamento e presi<strong>di</strong>o della vita della nazione, delle libertà popolari<br />

e delle ascendenti conquiste della civiltà nel mondo” 4 . Tale fedeltà<br />

2<br />

B. Sorge, Per una civiltà dell’amore: La proposta sociale della Chiesa.<br />

Queriniana, Brescia, 1966, pag. 190.<br />

3<br />

Cattolici e politica, Armando e<strong>di</strong>tore, Roma<br />

4<br />

cfr. Civiltà Cattolica, 1919 I 250-254<br />

32 –


all’ispirazione cristiana va però vissuta, secondo Sturzo, nel pieno<br />

rispetto dell’aconfessionalità del partito. Nella relazione al primo<br />

congresso del Ppi, tenuto a Bologna il <strong>14</strong> giugno 1919, Sturzo afferma<br />

che “Non possiamo trasformarci da partito politico in or<strong>di</strong>namento<br />

<strong>di</strong> Chiesa, né abbiamo <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> parlare in nome della Chiesa,<br />

né possiamo essere <strong>di</strong>pendenza ed emanazione <strong>di</strong> organismi ecclesiastici,<br />

né possiamo avvalorare della forza della Chiesa la nostra<br />

organizzazione politica… nelle <strong>di</strong>verse attività e nelle forti battaglie,<br />

che solo in nome nostro dobbiamo e possiamo combattere, sul medesimo<br />

terreno degli altri partiti con noi in contrasto”.<br />

Ulteriore elemento dell’identità del partito, secondo Sturzo, era<br />

la sua <strong>di</strong>mensione popolare, l’interclassismo vissuto non in modo<br />

statico bensì <strong>di</strong>namico, al fine della promozione dei ceti più deboli<br />

ed emarginati. Il quarto elemento identificativo era la democrazia,<br />

dovendo il partito d’ispirazione popolare mantenere il suo collegamento<br />

con tutte le masse popolari, a <strong>di</strong>fferenza dei partiti liberali,<br />

espressione dei dominanti ceti borghesi.<br />

Tale concezione <strong>di</strong> partito non era ben vista da tanti nella stessa<br />

Chiesa. Anche De Gasperi si trovò, con la DC, a fronteggiare, all’esterno,<br />

i problemi posti dalla ricostruzione postbellica e da un mondo<br />

<strong>di</strong>viso in blocchi; e, all’interno, un laicato cattolico che, durante il<br />

ventennio fascista, pur riuscendo a sopravvivere, non era riuscito<br />

comunque a sviluppare una visione politica autonoma. I cattolici,<br />

infatti, durante il ventennio, dovettero astenersi da ogni impegno<br />

politico, per de<strong>di</strong>carsi esclusivamente alla formazione religiosa; i laici,<br />

secondo la visione che allora si aveva dell’Azione Cattolica (la massima<br />

organizzazione del laicato), erano collaboratori della gerarchia<br />

nell’apostolato, <strong>di</strong>pendendo totalmente dal clero.<br />

1.1. Primo periodo (1946-1958). L’iniziativa della Gerarchia.<br />

E’ caratterizzato dalla ricostruzione post-bellica e dal centrismo.<br />

La Chiesa, che era rimasta l’unica grande forza morale e sociale<br />

sopravvissuta al fascismo, era punto <strong>di</strong> riferimento <strong>di</strong> una nazione<br />

sbandata, per cui esercitava una funzione <strong>di</strong> supplenza anche politica,<br />

tra l’altro in un contesto internazionale dominato dal conflitto tra<br />

la democrazia occidentale e il comunismo sovietico. Nacque così il<br />

blocco cattolico apertamente sostenuto da Pio XII. Questo pose<br />

un’ipoteca pesante sulla presenza dei cattolici in politica che si tradusse<br />

in una gestione (per conto della gerarchia) <strong>di</strong> un progetto in<br />

funzione essenzialmente anticomunista. Così la DC degasperiana,<br />

– 33


che ebbe senz’altro il merito <strong>di</strong> acquisire alla democrazia larghe masse<br />

<strong>di</strong> cattolici, non riuscì però ad attuare larghi tratti del progetto politico<br />

sturziano, specie con riguardo allo sviluppo della laicità dell’impegno<br />

politico dei cattolici.<br />

1.2. Secondo periodo (1958-1963). L’iniziativa del partito.<br />

Prima con Fanfani e poi in particolare con Moro l’iniziativa fu<br />

assunta sempre più dalla DC, anche per la concomitante presa <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stanza da parte della Gerarchia (cf. il papato <strong>di</strong> Giovanni XXIII).<br />

Anche a seguito dell’evoluzione del PSI (col congresso <strong>di</strong> Venezia<br />

del 1957) si aprivano possibilità nuove <strong>di</strong> schieramenti politici ed il<br />

centrismo entrò in crisi. Moro intuì il nuovo momento politico e al<br />

congresso <strong>di</strong> Napoli del 1962 ripropose il ritorno (seppure aggiornato<br />

alla luce delle vicende storiche intervenute) all’ispirazione sturziana<br />

del popolarismo. In particolare, con tale illuminante <strong>di</strong>scorso (non ancora<br />

<strong>di</strong>geribile da parte del mondo cattolico) Moro affrontò il <strong>di</strong>scorso<br />

dell’ispirazione cristiana del partito e ribadì che i dati della coscienza<br />

morale e religiosa dovevano essere me<strong>di</strong>ati nelle scelte politiche, le<br />

quali sono <strong>di</strong> natura contingente ed hanno regole loro proprie.<br />

1.3. Terzo periodo (1963-1976). La grande crisi.<br />

Col Concilio si afferma in maniera inequivocabile l’autonomo<br />

valore delle realtà storiche e si getta un germoglio non più arrestabile<br />

circa la fine del collateralismo cattolico con il partito della democrazia<br />

cristiana.<br />

D’altro canto, il miracolo economico segna un brusco arresto (si<br />

pensi alla crisi petrolifera dei primi anni settanta) ed esplode nel ’68<br />

la contestazione studentesca ed operaia.<br />

Anche l’associazionismo cattolico (in forte crisi d’identità e <strong>di</strong><br />

numeri) è attraversato da fermenti che si ispirano al Concilio. L’Azione<br />

Cattolica (passata da 3 milioni a 600 mila iscritti) compie la scelta<br />

religiosa con Bachelet, che è <strong>di</strong> fondamentale importanza per capire<br />

la successiva evoluzione dei rapporti della Chiesa con la DC, che<br />

vede sempre più franare i ponti che la tenevano collegata al suo tra<strong>di</strong>zionale<br />

retroterra culturale. Di conseguenza, la politica <strong>di</strong> partito,<br />

priva <strong>di</strong> ispirazione culturale, <strong>di</strong>viene fine a se stessa, si traduce in<br />

mera gestione e lottizzazione <strong>di</strong> potere tra le correnti e con gli altri<br />

centri <strong>di</strong> potere.<br />

In tale momento oscuro il vero salto <strong>di</strong> qualità lo compì la Chiesa<br />

con la scelta religiosa: si tratta <strong>di</strong> una scelta che restituisce cre<strong>di</strong>bilità<br />

pastorale alla gerarchia e che offre ai cattolici la possibilità <strong>di</strong> attuare<br />

34 –


pienamente l’ideale <strong>di</strong> don Sturzo oltre che <strong>di</strong> muoversi in maniera<br />

più viva in ambito sociale e culturale.<br />

1.4. Quarto periodo (1976-1983). L’iniziativa del mondo cattolico.<br />

Vi è una vigorosa ripresa del mondo cattolico organizzato, a partire<br />

dal convegno nazionale del 1976 su “Evangelizzazione e promozione<br />

umana”.<br />

Riprende vigore il <strong>di</strong>scorso sulla necessità <strong>di</strong> ritornare alle intuizioni<br />

sturziane. Questo però in un momento storico certamente più<br />

<strong>di</strong>fficile <strong>di</strong> quello in cui ha operato Sturzo. Infatti, l’ispirazione cristiana<br />

della politica occorre tradurla in un contesto socio-culturale<br />

non più omogeneo e cristianizzato, bensì in un ambito secolarizzato<br />

e pluralista.<br />

1.5. Quinto periodo (1984-1992). Il ritrovato vigore del mondo cattolico<br />

e la crisi del partito cattolico<br />

Secondo Pasquino 5 tre elementi costituivano l’asse portante della<br />

strategia democristiana per il mantenimento del consenso:<br />

- il clientelismo,<br />

- la rappresentanza politica dei cattolici,<br />

- l’anticomunismo.<br />

A provocare il loro crollo furono:<br />

- con la sempre più forte integrazione europea, l’impossibilità <strong>di</strong><br />

continuare a finanziare il clientelismo con il <strong>di</strong>savanzo <strong>di</strong> bilancio,<br />

- con la caduta del muro <strong>di</strong> Berlino nel 1989, l’anticomunismo<br />

perde gran parte della sua spen<strong>di</strong>bilità in termini d’identità elettorale<br />

(anche se occorre <strong>di</strong>re che essa non è persa integralmente, anche per<br />

la presenza ancora oggi <strong>di</strong> partiti che si richiamano nel nome a tale<br />

esperienza. Dal che l’astuto uso propagan<strong>di</strong>stico che ancora ne fa<br />

Berlusconi),<br />

- col Concilio, come innanzi detto, era cominciato il lungo processo<br />

<strong>di</strong> fine dell’esperienza della rappresentanza unitaria dei cattolici<br />

in politica, che trova il suo epilogo proprio in questi anni, anche<br />

a causa <strong>di</strong> una sempre più <strong>di</strong>ffusa e ra<strong>di</strong>cata coscienza in ambito ecclesiale<br />

della scelta religiosa che deve contrad<strong>di</strong>stinguere l’associa-<br />

5<br />

cf. G.Pasquino, Recenti trasformazioni nel sistema <strong>di</strong> potere della Democrazia<br />

cristiana in Graziano-Tarrow (edd.) “La crisi italiana, vol.II, Sistema politico e<br />

istituzioni, Einau<strong>di</strong>, Torino, 1979, p.627.<br />

– 35


zionismo cattolico e, d’altro canto, della sempre più forte laicizzazione<br />

del partito democristiano (che viene percepito sempre meno<br />

come partito cattolico e sempre più come contenitore <strong>di</strong> correnti impegnate<br />

nella spartizione del potere e nell’occupazione dello Stato).<br />

D’altro canto, il pontificato <strong>di</strong> Giovanni Paolo II (si noti: un Papa<br />

non italiano dopo molti secoli) rivolge la sua attenzione alle<br />

problematiche socio-politiche <strong>di</strong> valore “globale”.<br />

Come afferma padre Sorge 6 : “E’ sensibile, nelle encicliche sociali<br />

del Papa, lo spostamento dell’attenzione della chiesa dai sistemi<br />

politici ed economici all’uomo in sé, dall’aspetto quantitativo dei<br />

problemi a quello qualitativo.. la chiesa vive.. una fase profetica. Il<br />

suo <strong>di</strong>scorso sociale, in risposta alle sfide etiche fondamentali del<br />

nostro tempo, è essenzialmente l’annuncio profetico del Vangelo della<br />

vita, del vangelo del lavoro e del vangelo della carità”.<br />

La DC, d’altro canto, è sempre più irretita in una mera e cinica<br />

gestione del potere, in competizione col PSI al cui segretario Craxi<br />

cede la guida del governo, prodromica alla sua crisi esiziale che avrà<br />

poi il suo compimento (non certo la sua causa) con tangentopoli.<br />

1.6. Sesto periodo (1992-2001). La questione morale con<br />

tangentopoli, la fine della DC, la nascita del Partito popolare e<br />

degli altri partiti <strong>di</strong> ispirazione cristiana.<br />

Con tangentopoli si ha l’epilogo della democrazia cristiana, i cui<br />

prodromi, come fatto cenno, si ritrovano, da un lato, sul versante<br />

religioso sin dal Concilio Vaticano e, dall’altro, sul versante sociopolitico<br />

con la contestazione operaio-studentesca del’68-’69 che fa<br />

esplodere la società civile: Questa, infatti, non riesce più ad essere<br />

gestita dal contenitore-Stato, col quale <strong>di</strong> fatto si identificava il partito-mamma<br />

della DC.<br />

Il 22 gennaio 1994 viene costituito il nuovo Partito Popolare che,<br />

nel preambolo dello Statuto, si <strong>di</strong>chiara quale Partito <strong>di</strong> ispirazione<br />

cristiana. E’ chiara, sin dal nome, l’intenzione <strong>di</strong> ridare vigore all’intuizione<br />

<strong>di</strong> Sturzo che, negli anni venti, aveva fondato il Partito Popolare,<br />

volutamente laico ed espressione dei fermenti del mondo cattolico<br />

(particolarmente vivo a livello sociale, anche per il non expe<strong>di</strong>t<br />

del 1874 <strong>di</strong> Pio IX e dopo la Rerum Novarum <strong>di</strong> Leone XIII del<br />

6<br />

Per una civiltà dell’amore, op. cit., p.66<br />

36 –


1891). Ma non tutti i democristiani confluiscono nel nuovo soggetto<br />

politico. Una parte degli ex DC, guidata da Casini e Mastella, fonda<br />

il Centro cristiano democratico. Anche per tale partito, nello Statuto<br />

si afferma che esso si ispira ai principi cristiani.<br />

Nel 1995 il PPI si <strong>di</strong>vide: i popolari <strong>di</strong> Buttiglione siglano un<br />

accordo elettorale con il centro-destra, mentre i popolari guidati da<br />

Gerardo Bianco aderiscono alla coalizione <strong>di</strong> centro-sinistra..<br />

Buttiglione poi fonda nel luglio del 1995 il CDU (Cristiani democratici<br />

uniti): nel preambolo dello Statuto si afferma che esso è ancorato<br />

all’insegnamento sociale della Chiesa.<br />

Accanto a tali neonati partiti, i <strong>di</strong>scendenti della vecchia DC sono<br />

molteplici: Patto Segni, Cristiano Sociali, La rete, Unione Democratica,<br />

Italia Federale, Rinascita della Democrazia Cristiana 7 .<br />

Il processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgregazione si accentua ulteriormente nel luglio<br />

del 1998 con la nascita dell’UDR (Unione democratica per la repubblica)<br />

<strong>di</strong> Francesco Cossiga. “Le scelte politiche derivanti dalla<br />

con<strong>di</strong>visione del progetto <strong>di</strong> Cossiga che si propone <strong>di</strong> coalizzare le<br />

forze <strong>di</strong> centro in alternativa alla sinistra e in posizione <strong>di</strong>stinta e<br />

<strong>di</strong>stante dalla destra, porteranno infatti alla scissione del CCD, con<br />

una sua parte che rimarrà fedele alle alleanze se<strong>di</strong>mentate nel Polo<br />

delle libertà e una parte che aderirà all’UDR. Questa seconda parte,<br />

guidata da Mastella, darà vita a un nuovo partito: il CDR (Cristiano<br />

democratici per la repubblica). Anche il CDU aderisce all’UDR, ma<br />

questa decisione non è unanime.Una componente minoritaria del<br />

partito, raccolta attorno a Formigoni, rigetta l’accordo con Cossiga<br />

ed esce dal partito fondandone un altro: il CDL (Cristiano democratici<br />

per la libertà)” 8 . Continua ancora il Bova, commentando tale<br />

molteplicità <strong>di</strong> iniziative partitiche fiorite sulle ceneri della DC che<br />

“La balena bianca, che per quasi un cinquantennio era stata capace<br />

<strong>di</strong> contenere al suo interno posizioni ideologiche ed esperienze apparentemente<br />

inconciliabili, sembra trasformarsi in un <strong>di</strong>sorientato banco<br />

<strong>di</strong> variegati pesciolini”. 9<br />

Più recentemente, alla vigilia delle elezioni politiche del 13 maggio,<br />

una nuova formazione politica voluta da Andreotti, D’Antoni e<br />

Zecchino rilancia la sfida <strong>di</strong> una presenza politica che vuole adottare,<br />

in forma autonoma dai poli <strong>di</strong> centro-destra e <strong>di</strong> centro sinistra,<br />

7<br />

cf. V. Bova, Cattolici e politica. Evoluzione nell’ultimo cinquantennio. In<br />

“Aggiornamenti Sociali” n. 7-8/2001, pagg. 565-576, p.565.<br />

8<br />

Ibidem, pp.565-566<br />

9<br />

Ibidem, p.566<br />

– 37


gli stessi valori e principi che stanno all’origine della costruzione<br />

europea e che hanno ispirato l’azione dei suoi padri fondatori: nasce<br />

così Democrazia Europea.<br />

Il confronto tra conservatori e progressisti tende a ra<strong>di</strong>calizzarsi,<br />

confermando che il Paese è avviato irreversibilmente (almeno per il<br />

me<strong>di</strong>o periodo) sulla via del bipolarismo. Tuttavia siamo ancora lontani<br />

da una democrazia dell’alternanza; il nostro bipolarismo è ancora<br />

più a livello <strong>di</strong> coalizione elettorale che <strong>di</strong> effettiva omogeneità<br />

culturale e programmatica. D’altra parte non si può non rilevare che<br />

l’elettorato continua a bocciare ogni tentativo <strong>di</strong> creare un terzo polo:<br />

nel 1995 non vi riuscirono né Rifondazione comunista, né la Lega<br />

Nord; il 16 aprile 2000 furono bocciati i Ra<strong>di</strong>cali della Lista Bonino;<br />

così come è fallito ogni tentativo <strong>di</strong> tentare l’avventura del grande<br />

Centro, alternativo alla sinistra e <strong>di</strong>stante dalla destra. Tale ipotesi si<br />

è <strong>di</strong>mostrata improponibile “almeno per due ragioni. In primo luogo,<br />

perché in Italia non esiste una sola cultura omogenea <strong>di</strong> centro (come,<br />

per esempio, in Germania); da noi, il centro stesso è <strong>di</strong>viso: la cultura<br />

neoliberista è <strong>di</strong> centro (centro-destra), ma è <strong>di</strong>versa dalla cultura<br />

sociale che pure è <strong>di</strong> centro (centro-sinistra). In secondo luogo, perché<br />

- in un sistema bipolare - un eventuale polo moderato <strong>di</strong> centro si<br />

contrapporrebbe <strong>di</strong> fatto al polo progressista, <strong>di</strong>verrebbe per ciò stesso<br />

un polo conservatore, nel quale i cattolici democratici non potrebbero<br />

mai ritrovarsi.” 10<br />

2. PROSPETTIVE DELLA PRESENZA DEI CATTOLICI IN POLITICA<br />

Come accennato al punto precedente, vi è una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> evidente<br />

instabilità del mosaico dei partiti che si richiamano alla tra<strong>di</strong>zione<br />

politica dei cattolici. Si moltiplicano i contenitori (a volte se<strong>di</strong>centi)<br />

dell’agire politico cristianamente ispirato e si accentua nel<br />

contempo la <strong>di</strong>sponibilità dell’elettorato cattolico a esprimere <strong>di</strong>versificate<br />

esperienze politiche 11 .<br />

Di tale situazione vi è, del resto, chiara eco sin dal Convegno<br />

ecclesiale svoltosi a Palermo nel 1995, laddove si è affermato che<br />

“La fine dell’unità partitica dei cattolici e la conseguente frammentazione<br />

che non ha ancora trovato assetti adeguati e maturi au-<br />

10<br />

B. Sorge, L’area popolare democratica in “Aggiornamenti sociali” n. 9-<br />

10/2000 pag. 629.<br />

11<br />

Cf. Bova, articolo cit., p. 567<br />

38 –


mentano nelle comunità ecclesiali il rischio delle <strong>di</strong>visioni e<br />

dell’in<strong>di</strong>fferentismo verso la politica”. 12<br />

Negli ultimi giorni si stanno, però, avviando processi <strong>di</strong> aggregazione<br />

che tendono a semplificare il panorama politico italiano e,<br />

per quanto in questa sede interessa, le formazioni che si rifanno alla<br />

tra<strong>di</strong>zione del cattolicesimo politico. Ci si riferisce, come è noto, ai<br />

nuovi soggetti politici della Margherita (neonato col congresso<br />

costitutivo del mese <strong>di</strong> marzo) e dei Democratici cristiani- Biancofiore<br />

(che nascerà ufficialmente col congresso previsto per il prossimo mese<br />

<strong>di</strong> luglio). Come è noto, nello scorso mese <strong>di</strong> marzo il Partito Popolare,<br />

unitamente ai Democratici e a Rinnovamento Italiano, è confluito<br />

nella neonata Margherita, a capo della quale vi è Francesco Rutelli.<br />

Le ragioni <strong>di</strong> tale scelta da parte dei popolari sono state esplicitate<br />

da Castagnetti nella relazione introduttiva dell’ultimo congresso del<br />

Partito Popolare, della quale ci sembra utile riportare alcuni stralci.<br />

“Diamo corpo” <strong>di</strong>ce PierLuigi Castagnetti “a una svolta che insieme<br />

avevamo in<strong>di</strong>viduato come necessaria sin dal congresso <strong>di</strong><br />

Rimini quando avvertimmo la necessità <strong>di</strong> riunire in un soggetto unico<br />

e nuovo tutte le formazioni del centro sinistra che si ispiravano<br />

alle culture cattolico-democratica e liberal-democratica.<br />

Adesso abbiamo anche il nome “Margherita - Democrazia è Libertà”,<br />

ma l’idea nacque allora.<br />

Avremmo potuto accontentarci <strong>di</strong> amministrare un lento e<br />

incolpevole declino del partito che i nostri padri fondarono in altri<br />

tempi, rassegnandoci alla logica inesorabile della storia che cammina<br />

con i suoi ritmi e lungo i suoi percorsi, e invece abbiamo scelto <strong>di</strong><br />

rifiutare un destino che molti amici, che ci hanno nel frattempo abbandonato,<br />

consideravano ineluttabile.<br />

E’ sicuramente non facile lasciare ciò che si ha e ciò che si è, ma<br />

se lo si fa per una prospettiva più grande, per un’opportunità più<br />

grande, è anche e<strong>di</strong>ficante.<br />

E’ questo lo spirito con cui facciamo questo passo, senza superficialità<br />

ma anche senza timidezza. Noi vogliamo dar vita nel centro<br />

sinistra a una forma più matura, più al passo con la storia, più ricca,<br />

<strong>di</strong> presenza in politica dei cattolici, “non in nome della fede, ma a<br />

causa della fede” come <strong>di</strong>ceva Zaccagnini” 13 .<br />

12<br />

G.Rumi, <strong>Impegno</strong> sociale e politico in “Atti del III Convegno ecclesiale su Il<br />

Vangelo della carità per una nuova società italiana, Palermo 20-24 novembre 1995,<br />

E<strong>di</strong>zioni Paoline, Milano, 1995, p.51.<br />

13<br />

P.L. Castagnetti Relazione introduttiva al Congresso del PPI <strong>di</strong> Roma nei<br />

giorni 8,9 e 10 marzo 2002 in Internet<br />

– 39


Ulteriori osservazioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne più generale fatte da Castagnetti<br />

ci sembra utile riportare:<br />

“Dobbiamo chiederci perché i vecchi partiti a ispirazione cristiana<br />

non sono sopravvissuti in tutti i Paesi in cui si è passati al<br />

bipolarismo o si sono trasformati in partiti meramente conservatori.<br />

E, purtroppo, con l’avanzamento del processo <strong>di</strong> secolarizzazione<br />

stanno fortemente riducendosi anche in America Latina.<br />

Dobbiamo, per tornare in Italia, indagare nel profondo il risultato<br />

negativo del centro sinistra il 13 maggio, per capire come e dove è<br />

cambiato il nostro Paese, in quali aree, in quali ceti e accettare che i<br />

cambiamenti abbiano riguardato in particolare aree elettorali <strong>di</strong> riferimento<br />

cosiddetto centrista.<br />

Dobbiamo capire come e/o perché è <strong>di</strong>minuito l’appeal elettorale<br />

<strong>di</strong> partiti come il nostro, soprattutto nell’elettorato nuovo, cioè non<br />

ex, non legato esclusivamente a ciò che noi siamo stati in passato.<br />

Dobbiamo capire perché negli ultimi <strong>di</strong>eci anni la toponomastica dei<br />

partiti italiani ha subito un cambiamento pressochè totale. Recentemente<br />

uno stu<strong>di</strong>oso, Alessandro Corneli, ha analizzato la con<strong>di</strong>zione<br />

dei partiti italiani sino a non molti anni fa “socialmente omogenei”,<br />

<strong>di</strong>venuti in seguito, con la progressiva frammentazione delle classi<br />

indotta dal superamento della società industriale, sempre più eterogenei.<br />

Il consenso che essi ricercano, prima <strong>di</strong>pendeva da una ideologia<br />

organica, poi dalla aggregazione intorno a obiettivi programmatici<br />

che a loro volta si coagulano e si esprimono in leader tendenzialmente<br />

carismatici anche per effetto della <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> nuovi me<strong>di</strong>a<br />

che <strong>di</strong>ventano la nuova piazza della politica.<br />

Il partito-tutto fortemente ideologizzato <strong>di</strong>venta partito-obiettivo<br />

per realizzare un programma a ideologia debole che viene accettato<br />

da una coalizione <strong>di</strong> interessi e quin<strong>di</strong> un partito-gestore, senza quasi<br />

più riferimenti ideologici e con un confronto che si riduce a comparare<br />

i consuntivi delle proposte elettorali.” <strong>14</strong><br />

E ancora: “Non voglio aprire parentesi perché sono convinto che<br />

“tangentopoli” ha influito sulla “crisi dei partiti” ma non sulla crisi<br />

della politica: il vuoto politico ha altre ragioni.<br />

Il mutamento, che a <strong>di</strong>re il vero non è stato improvviso, ma che si<br />

è avvertito con l’irrompere dell’egemonia dell’alta, <strong>di</strong>ffusa, tecnologia,<br />

ha eliminato le ideologie politiche, ridotto ai margini le culture<br />

<strong>14</strong><br />

Ibidem<br />

40 –


dello spirito, in un certo senso sovvertito, se non cancellato, le gerarchie<br />

dei valori.<br />

Non è questo un riferimento alla “secolarizzazione” dei Cox, dei<br />

Robinson, della “morte <strong>di</strong> Dio” e alla sua decisiva influenza sulla<br />

“desacralizzazione” delle “chiese politiche”; voglio riferirmi al fatto<br />

che l’uomo liberato da Dio vuol liberarsi da sé stesso e al fatto che<br />

“l’umanità” non vuole essere gregge ubbi<strong>di</strong>ente e asservito, e cerca<br />

un modello nuovo <strong>di</strong> produrre, <strong>di</strong> sanare, <strong>di</strong> concorrere alla ricchezza,<br />

<strong>di</strong> comunicare, <strong>di</strong> essere presenti in ogni luogo, <strong>di</strong> essere abitanti<br />

<strong>di</strong> ogni luogo: è la rivoluzione del tempo e dello spazio. La politica,<br />

come la religione, come la cultura vengono “declassate”, impoverite<br />

<strong>di</strong> ideali e <strong>di</strong> idee: aggrappate a coraggiose testimonianze, ad “eroiche<br />

solitu<strong>di</strong>ni”, a “missionarietà” presso le sofferenze, i <strong>di</strong>sagi, le<br />

povertà; a “compromessi obbligati”; non ultimo ad espressioni <strong>di</strong><br />

alto magistero, insistente e nuovo ma anche in gran parte inascoltato.<br />

I confini si sono allentati, anche superati: i muri delle civiltà che<br />

<strong>di</strong>vidono, delle religioni che si “contestano”, che reciprocamente <strong>di</strong>ffidano,<br />

delle culture che si ignorano, delle etnie che si chiudono,<br />

sono destinati a crollare perché il processo è inevitabile.<br />

Verso “l’umanità una”, “la terra una”, il prossimo sempre meno<br />

straniero e sempre più conoscibile, le “patrie gelose” sempre meno<br />

gelose e più aperte.<br />

Non siamo nel regno dell’utopia, siamo invece “nell’obbligata<br />

necessità” della creazione, appren<strong>di</strong>mento, esperienza <strong>di</strong> una nuova<br />

politica, <strong>di</strong> “nuovi valori”, <strong>di</strong> “nuove culture”.<br />

Anche su questo fronte la politica è sopravanzata.<br />

La scelta che sembra oggi vincente della “non-politica” o<br />

“dell’antipolitica” o della “politica dei privilegi del governo” non è<br />

neppure da considerarsi come un tentativo <strong>di</strong> “uscire dalla crisi” ma,<br />

nel breve termine, essendo la scelta più facile, è risultata quella vincente.<br />

Per quanto tempo non si sa, per ora è così.<br />

Non si può per questo restare fermi e paralizzati. Non si può attendere<br />

che il cambiamento accada da solo, occorre, invece, determinarlo.<br />

L’unica cosa che non si può fare è “stare, abitare, convivere” nella<br />

“crisi della politica” che, ripeto, ha molte cause, anche quella della<br />

frammentazione, della “ricerca-<strong>di</strong>ritto” <strong>di</strong> visibilità <strong>di</strong> ogni gruppo<br />

e frammento che rallenta la “sintesi”, la capacità progettuale.<br />

Di’ qualcosa <strong>di</strong> “sinistra” urlava Nanni Moretti a Massimo D’Alema<br />

già qualche tempo prima <strong>di</strong> Piazza Navona. Altri potrebbero aggiun-<br />

– 41


gere: “<strong>di</strong>te qualcosa <strong>di</strong> centro-sinistra”. Altri ancora: “<strong>di</strong>te qualcosa<br />

<strong>di</strong> centro. E, recentemente, “<strong>di</strong>te qualcosa <strong>di</strong> cristiano”.<br />

Non sono richieste prive <strong>di</strong> fondamento: liberate dall’accento,<br />

dal tono <strong>di</strong> sfogo angosciato, stanno a significare: portateci fuori dalla<br />

crisi politica, non vi accorgete che la società è “senza politica”<br />

E’ vero che i problemi sono più “forti” <strong>di</strong> chi è chiamato a risolverli<br />

ma non si può ricorrere all’alibi che i problemi sono <strong>di</strong>fficili, ricchi<br />

<strong>di</strong> incognite, imponenti.<br />

La politica non è l’arte dell’ovvio, <strong>di</strong> ciò che è facile: è l’arte <strong>di</strong><br />

promuovere, or<strong>di</strong>nare, regolare i rapporti, i processi <strong>di</strong> sviluppo sociale,<br />

culturale, economico per un “bene comune”: deve produrre le<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> “libertà e <strong>di</strong> giustizia” soprattutto per chi è povero <strong>di</strong><br />

libertà e <strong>di</strong> giustizia.<br />

Abbiamo <strong>di</strong>menticato cose che sapevamo e stiamo imparando<br />

cose che non sapevamo: per quelle del passato avevamo una storia<br />

che ci aveva maturato, delle esperienze cui riferirci, delle se<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

riflessione: ora siamo un po’ soli e non abbiamo una “riserva” in cui<br />

pescare il pensiero, le suggestioni, le ispirazioni, le culture. Allora<br />

c’era uno stretto rapporto tra cultura e politica. Un rapporto <strong>di</strong>alettico,<br />

necessario, non perché gli intellettuali fossero o dovessero essere<br />

impegnati ma perché c’erano piccole e gran<strong>di</strong> capitali della cultura.<br />

Ora non c’è alcuna cultura che anticipi ciò che accade o può accadere,<br />

cioè che, in un certo senso, cammina davanti a noi. E’ una trasformazione<br />

epocale della società umana. Ha scritto Khaled Fouad Allam:<br />

«… la cultura non sa più interpretare il mondo e non è più in grado <strong>di</strong><br />

farlo, non può chiedere alla politica, ai partiti <strong>di</strong> farlo».<br />

Allora quell’urlo “<strong>di</strong>te qualcosa” è l’urlo dello smarrimento, della<br />

paura <strong>di</strong> essere ingoiati dalla “non-politica”.<br />

E noi dobbiamo avere l’umiltà, l’abnegazione, il coraggio <strong>di</strong> non<br />

essere smarriti, <strong>di</strong> non affogare nella crisi della politica.<br />

Per questo abbiamo superato o, per meglio <strong>di</strong>re, abbiamo dovuto<br />

superare, il cespuglio per far crescere qualcosa <strong>di</strong> maggiore forza e<br />

<strong>di</strong> maggiore consenso.<br />

Per questo facciamo la Margherita.” 15<br />

In questi giorni si sta dando vita all’UDC (Unione democristiana<br />

<strong>di</strong> centro) dato dalla confluenza del CCD <strong>di</strong> Casini, del CDU <strong>di</strong> Bottiglione<br />

e <strong>di</strong> Democrazia Europea <strong>di</strong> D’Antoni.<br />

Siamo ancora in un’ottica bipolare, apparendo non ancora vicino<br />

il (da alcuni auspicato) bipartitismo. Sembra infatti con<strong>di</strong>visibile<br />

15<br />

Ibidem<br />

42 –


quanto ha scritto Sorge: “Per molto tempo ancora in Italia, i due poli<br />

saranno costituiti ognuno da soggetti politici <strong>di</strong>versi, ciascuno con la<br />

propria identità e con la propria storia, uniti da un leader e da un<br />

programma comuni, ma non potranno trasformarsi in due gran<strong>di</strong> partiti.<br />

Infatti, dopo cinquant’anni <strong>di</strong> dura contrapposizione ideologica,<br />

ci vorranno ancora molti anni prima che gli epigoni <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni tanto<br />

<strong>di</strong>verse raggiungano tra loro una totale omogeneità, culturale e<br />

politica, da consentirne la fusione in un unico partito”. 16<br />

Il movimento dei giroton<strong>di</strong>, <strong>di</strong> chiara marca <strong>di</strong> sinistra, animato<br />

da intellettuali legati ai partiti della sinistra, ha indotto anche alcuni<br />

intellettuali cattolici a esternare la loro frustrazione circa la mancanza<br />

<strong>di</strong> effervescenza del mondo cattolico.<br />

In particolare Giorgio Campanini ha lamentato la mancanza <strong>di</strong><br />

luoghi <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo, denunciando i ritmi a <strong>di</strong>r poco lenti (decennali) dei<br />

convegni ecclesiali e l’intermittenza delle settimane sociali.<br />

Per superare tale impasse egli auspica un salutare scossone (sul<br />

modello <strong>di</strong> quello dato da Nanni Moretti alla sinistra) per comunità<br />

cristiane pigre e “tutte prese dai loro problemi interni, preoccupate<br />

soprattutto <strong>di</strong> tenere in pie<strong>di</strong> strutture istituzionali fattesi ormai scricchiolanti<br />

per il progressivo venir meno dell’abbondante personale<br />

ecclesiastico <strong>di</strong> un tempo” 17 .<br />

Al convegno del Meic (Movimento ecclesiale <strong>di</strong> impegno culturale)<br />

tenuto a Roma lo scorso mese <strong>di</strong> ottobre Francesco Casavola ha<br />

riflettuto sulla necessità <strong>di</strong> ripensare il posto dei cattolici nella politica<br />

italiana <strong>di</strong> oggi: cattolici <strong>di</strong>visi tra il <strong>di</strong>sorientamento e la voglia <strong>di</strong><br />

contare. Le conseguenze della fine della DC e del crollo delle ideologie<br />

non può essere vista solo come una <strong>di</strong>aspora <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata dei<br />

cattolici nei <strong>di</strong>versi schieramenti politici. Ha affermato l’ex presidente<br />

della Corte costituzionale che “La <strong>di</strong>aspora dei cattolici in più<br />

partiti non si legittima solo a partire dall’insegnamento conciliare.<br />

Ma soprattutto a partire dal mutamento della concezione della democrazia.<br />

E’ tramontata la democrazia dei partiti dove gli elettori<br />

non erano altro che degli eserciti permanenti legati ai partiti da opinioni<br />

confessionali, <strong>di</strong> classe, <strong>di</strong> ideologia. Ed è stata inaugurata l’era<br />

del pluralismo che rende più acuta la preoccupazione della coerenza<br />

con i valori che devono illuminare le scelte ma, allo stesso tempo,<br />

apre nuovi orizzonti”.<br />

16<br />

L’area popolare... cit., pag.630<br />

17<br />

Avvenire del 28-2-2002.<br />

– 43


Secondo Lorenzo Ornaghi, prorettore dell’Università Cattolica<br />

Sacro Cuore, occorre investire molto sulla formazione dei cattolici,<br />

cominciando dal progetto culturale lanciato dai vescovi italiani che<br />

va portato avanti nei vari contesti dove operano i cattolici, perché<br />

non resti sterile esercizio intellettuale.<br />

3. I FONDAMENTI TEOLOGICI DELLA PRESENZA DEI CATTOLICI IN POLITICA<br />

Seppure per brevi cenni, in presenza <strong>di</strong> tale delineato panorama<br />

storico-politico, ci preme esplicitare la fondazione teologico-morale<br />

dell’impegno del cristiano nella città dell’uomo – come si usava <strong>di</strong>re<br />

sino a qualche tempo fa –. E questo anche per capire la ragione<br />

prima della passione della chiesa e del cattolico per la politica.<br />

Il nostro vescovo, nell’intervento fatto l’11 giugno 2001 ai parlamentari<br />

e ai sindaci della <strong>di</strong>ocesi nel salone dell’episcopio, ha richiamato<br />

l’orizzonte dei rapporti chiesa-mondo, fede-politica delineato<br />

nel quarto capitolo dello costituzione conciliare Gau<strong>di</strong>um et Spes.<br />

“La missione della chiesa è rivolta” ha detto il vescovo “alla salvezza<br />

<strong>di</strong> tutto l’uomo e perciò non può rimanere estranea e in<strong>di</strong>fferente<br />

a nessuna situazione umana; anzi è sollecitata a non essere<br />

<strong>di</strong>sincarnata, a non staccare la fede dalla vita quoti<strong>di</strong>ana, ad<br />

evidenziare la rilevanza sociale della fede”… Al n. 76 della Gau<strong>di</strong>um<br />

et Spes è magistralmente delineato tale rapporto nel quale si<br />

evidenziano la <strong>di</strong>stinzione dei compiti, l’autonomia legittima <strong>di</strong> tutte<br />

le realtà umane e il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> insegnare la fede e la sua dottrina sociale<br />

e da parte della chiesa dare il giu<strong>di</strong>zio morale anche su cose che<br />

riguardano l’or<strong>di</strong>ne politico…<br />

Diventa prioritaria una rifondazione culturale della politica, urgenza<br />

delle urgenze non solo per rispondere a sfide storiche ma per<br />

recuperare una sapienza or<strong>di</strong>natrice dell’agire politico. Di fronte al<br />

carattere pervasivo <strong>di</strong> un economicismo tecnocratico che ha fagocitato<br />

gli spazi della politica, gli spazi cioè <strong>di</strong> una riflessione e <strong>di</strong> una<br />

progettualità capaci <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare soluzioni concrete<br />

alle nuove domande emergenti da ogni ambito <strong>di</strong> vita, occorre riflettere<br />

sul tipo <strong>di</strong> società, <strong>di</strong> umanesimo che si vuole costruire…<br />

La pluralità degli approcci, la varietà delle appartenenze e dei<br />

mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere spesso finiscono col ridurre le questioni essenziali<br />

dell’uomo ad una formula privata su cui si esercita l’osanna della<br />

platea e il crucifige delle masse. La prospettiva economica vincente<br />

ha modellato comportamenti, valori, relazioni, stili <strong>di</strong> vita strutturati<br />

44 –


solo in vista del successo, del potere, del benessere.. Anche il sapere<br />

è coinvolto nella frammentazione e nel <strong>di</strong>sorientamento, è sempre<br />

più fruito come bene <strong>di</strong> consumo, funzionale ad un agire politico che<br />

frutta e dà vantaggi.”<br />

A fronte <strong>di</strong> tale “finanziarizzazione della vita quoti<strong>di</strong>ana” 18 il cristiano<br />

è chiamato profeticamente a promuovere la civiltà dell’amore<br />

<strong>di</strong> cui parlava spesso Paolo VI 19 e che “compen<strong>di</strong>a tutta l’ere<strong>di</strong>tà<br />

etico-culturale del vangelo” 20 . L’Istruzione della Congregazione<br />

vaticana, allo stesso n. 81, così continua: “Questo compito richiede<br />

una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento<br />

supremo dell’amore con l’or<strong>di</strong>ne sociale considerato in tutta<br />

la sua complessità. La conclusione <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> questa profonda riflessione<br />

è la elaborazione e l’attuazione <strong>di</strong> audaci programmi d’azione<br />

in vista della liberazione sociale ed economica <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> uomini e<br />

donne, la cui con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> oppressione economica, sociale e politica<br />

è intollerabile. Questa azione deve cominciare con uno sforzo assai<br />

grande dell’educazione: educazione alla civiltà del lavoro, educazione<br />

alla solidarietà, accesso <strong>di</strong> tutti alla cultura”.<br />

Ciò che i vescovi latino-americani hanno detto più <strong>di</strong> 30 anni fa 21<br />

è quanto mai attuale anche per noi italiani: “La mancanza <strong>di</strong> una<br />

coscienza politica nei nostri Paesi rende in<strong>di</strong>spensabile l’azione<br />

educatrice della chiesa per far sì che i cristiani considerino la loro<br />

partecipazione alla vita politica della nazione come un dovere <strong>di</strong> coscienza<br />

e come esercizio della carità, nel suo significato più nobile<br />

ed efficace per la vita della comunità”.<br />

Così ancora la Lumen Gentium al n.36 in<strong>di</strong>ca mirabilmente come<br />

i laici debbono sanare le istituzioni e le situazioni del mondo così<br />

che tutto prenda giusta forma e sia <strong>di</strong> promozione per l’esercizio<br />

18<br />

cf. G.Bianchi, Nel paese degli atei devoti. I Cattolici oltre il partito unico.<br />

Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti, pagg. 52 ss.. E’ significativo che il sottotitolo del paragrafo<br />

citi la seguente frase <strong>di</strong> David Maria Turoldo: “E la rinuncia è più ricca della preda<br />

imperiale”.<br />

19<br />

Cf. l’enciclica <strong>di</strong> Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis del 30-12-1987<br />

n.33, che così riassume tale civiltà dell’amore: “Il cristiano.. chiamato alla partecipazione<br />

della verità e del bene, che è Dio stesso, non comprende l’impegno per lo<br />

sviluppo e la sua attuazione fuori dell’osservanza e del rispetto della <strong>di</strong>gnità unica<br />

<strong>di</strong> questa immagine. In altre parole, il vero sviluppo deve fondarsi sull’amore <strong>di</strong><br />

Dio e del prossimo, e contribuire a favorire i rapporti tra in<strong>di</strong>vidui e società”.<br />

20<br />

Istruzione Libertatis Conscientia della Congregazione per la dottrina della<br />

fede, 22-3-1986, n.81.<br />

21<br />

Presencia de la Iglesia, documento della II Assemblea Generale<br />

dell’Episcopato latino-americano a Medellin (Colombia), 6-9-1968, n.16<br />

– 45


delle virtù: “in ogni cosa temporale (i fedeli) devono lasciarsi guidare<br />

dalla coscienza cristiana, perché nessuna attività umana, nemmeno<br />

temporale, può sottrarsi al dominio <strong>di</strong> Dio. Nel nostro tempo è<br />

molto importante che questa <strong>di</strong>stinzione e, insieme, quest’armonia<br />

risplendano chiaramente nel modo <strong>di</strong> agire dei fedeli, perché la missione<br />

della chiesa possa rispondere più pienamente alle con<strong>di</strong>zioni<br />

particolari del mondo moderno. Come infatti bisogna riconoscere<br />

che la città terrena, de<strong>di</strong>ta giustamente alle occupazioni temporali, è<br />

retta da propri principi, così va rigettata a ragione la funesta dottrina<br />

che pretende <strong>di</strong> costruire la società senza tenere in alcun conto la<br />

religione, combattendo e sopprimendo la libertà religiosa dei citta<strong>di</strong>ni”.<br />

Ovvero, riducendola a mero esercizio privato.<br />

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />

Pur avendo precisato il piano, storico-politico, nel quale si è <strong>di</strong>panato<br />

il presente intervento, non posso esimermi, dopo aver delineato<br />

i fondamenti dell’impegno del cattolico in politica, da una conclusiva<br />

considerazione che si muove ad un livello <strong>di</strong>stinto (ma ovviamente<br />

non separato rispetto alla prassi politica) che è quello etico<br />

e religioso.<br />

“Dopo la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, caduti i regimi totalitari, <strong>di</strong><br />

fronte alle nuove esigenze <strong>di</strong> un regime democratico ormai universalmente<br />

affermato e <strong>di</strong> fronte al pericolo comunista, con Pio XII il<br />

movimentismo cattolico assume le caratteristiche <strong>di</strong> un vero e proprio<br />

mondo cattolico: si stringono i ranghi, si mobilitano i laici cattolici<br />

nelle più <strong>di</strong>verse associazioni, e tutte le associazioni affiancano il<br />

partito democristiano; nasce il collateralismo tra la chiesa, i movimenti<br />

cattolici e il partito cattolico. Si crea così una situazione che<br />

sarebbe durata sino al Concilio, e sarebbe stata superata definitivamente<br />

soltanto dalla caduta del muro <strong>di</strong> Berlino e dopo il fallimento<br />

storico del comunismo (1989).<br />

Giungiamo così agli anni novanta e all’Area culturale <strong>di</strong> ispirazione<br />

cristiana. Tramontato il mondo cattolico, s’impone la necessità<br />

<strong>di</strong> trovare un modo nuovo <strong>di</strong> presenza sociale della chiesa e dei<br />

cattolici adeguata al momento <strong>di</strong> transizione che vive nel delicato<br />

passaggio al terzo millennio. Ora, data la natura essenzialmente culturale,<br />

morale e spirituale della crisi, il bisogno più urgente che si<br />

avverte è quello <strong>di</strong> risolverla proprio a partire da queste sue ra<strong>di</strong>ci,<br />

46 –


cioè dalla riaffermazione dei valori etici e culturali.… Essa dovrebbe<br />

essere un’area interme<strong>di</strong>a: cioè autonoma sia nei confronti dell’area<br />

ecclesiale propriamente detta, sia dell’area politica. … l’iniziativa<br />

dovrebbe essere gestita dai laici, ai quali spetta per vocazione<br />

nativa la competenza specifica <strong>di</strong> animare cristianamente le realtà<br />

temporali.” 22<br />

L’attuale Papa, in un <strong>di</strong>scorso tenuto al Convegno della Chiesa<br />

italiana per il 90° della Rerum Novarum 23 aveva affermato che dopo<br />

il livello dell’unità soprannaturale vi è un secondo livello, collegato<br />

col primo: il livello dell’unità sui valori. Questa unità si realizza sul<br />

piano etico e culturale e “consiste nella fedeltà alla verità intera sull’uomo,<br />

con le esigenze morali incon<strong>di</strong>zionate e assolute che ne scaturiscono”<br />

24 . E’ una unità che nasce dalla coerenza con la fede e con<br />

il Magistero della Chiesa e che induce spontaneamente i cristiani ad<br />

agire uniti ogni volta che sono in gioco i valori fondamentali dell’uomo<br />

e della convivenza sociale. Proprio questa “unità fondamentale<br />

sui valori è prima <strong>di</strong> ogni pluralismo e sola consente al pluralismo <strong>di</strong><br />

essere non solo legittimo, ma auspicabile e fruttuoso”. 25 Tale unità<br />

morale e culturale si può definire politica con la P maiuscola e <strong>di</strong> per<br />

sé orienta verso la medesima <strong>di</strong>rezione la prassi politica.<br />

In questo senso – come ha riba<strong>di</strong>to Giovanni Paolo II al terzo<br />

convegno nazionale della Chiesa italiana – il legittimo pluralismo<br />

politico “nulla ha a che fare con una <strong>di</strong>aspora culturale dei cattolici,<br />

infatti il cristiano non può ritenere ogni idea o visione del mondo<br />

compatibile con la fede, né può dare una facile adesione a forze politiche<br />

o sociali che si oppongono o non prestano sufficiente attenzione<br />

ai principi della dottrina sociale della chiesa sulla persona e sul<br />

rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la<br />

solidarietà, la promozione della giustizia e della pace” 26<br />

“I cristiani, cioè, sono tenuti a offrire al mondo il servizio e la<br />

testimonianza anche comunitaria della loro fede. Quin<strong>di</strong> l’unità culturale<br />

e morale è un bene da perseguire tra i cristiani. L’unità culturale<br />

si dovrà allora trasformare in unità partitica… Giovanni Paolo II<br />

22<br />

Sorge, B. Per una civiltà dell’amore.La proposta sociale della Chiesa.<br />

Queriniana, Brescia,1996 pagg. 186-187<br />

23<br />

Si veda il testo integrale in “Dalla Rerum novarum a oggi. Atti del Convegno<br />

ecclesiale (Roma, 28-31 ottobre 1981), AVE, Roma 1982, 11-15<br />

24<br />

Ivi, n. 3,13<br />

25<br />

Ivi, n.<strong>14</strong><br />

26<br />

ID., Discorso al III Convegno ecclesiale <strong>di</strong> Palermo (23 novembre 1995),<br />

n.10, in Osservatore Romano, 24 novembre 1995.<br />

– 47


non evita <strong>di</strong> affrontare il tema della possibile unità politica dei cattolici,<br />

ma non parla più <strong>di</strong> unità partitica; si limita soltanto a sottolineare<br />

la utilità <strong>di</strong> una eventuale concor<strong>di</strong>a nell’azione.<br />

La concor<strong>di</strong>a o convergenza dei cattolici nella azione politica è<br />

sempre auspicabile, perché è con<strong>di</strong>zione del servizio cristiano al<br />

mondo… pertanto, la concor<strong>di</strong>a nell’azione è desiderabile, nonostante<br />

la piena legittimità del pluralismo delle scelte” 27<br />

Come hanno precisato anche i vescovi italiani, l’identità cristiana<br />

“a scanso <strong>di</strong> equivoci, non coincide con i programmi <strong>di</strong> azione<br />

culturale, sociale o politica che i cristiani, singoli o associati, perseguono.<br />

Si fonda invece sulla fede e sulla morale cristiana, con il loro<br />

preciso richiamo all’insegnamento della chiesa in campo sociale, si<br />

vive nella comunione ecclesiale e si confronta fedelmente con la<br />

Parola <strong>di</strong> Dio letta nella chiesa. E’ una identità da incarnare (senza<br />

riven<strong>di</strong>carla solo per sé) nel pluralismo delle situazioni, giorno per<br />

giorno” 28<br />

“La fine del mondo cattolico e la crisi <strong>di</strong> identità.. hanno messo<br />

in crisi ineluttabilmente pure l’esistenza dei partiti d’ispirazione cristiana…<br />

(ma) pur nel mutato contesto socioculturale, è giusto riba<strong>di</strong>re<br />

tuttora la piena legittimità teorica e pratica della presenza <strong>di</strong> partiti<br />

d’ispirazione cristiana .. (e questo perché) in regime democratico e<br />

nella società pluralistica, una qualche forma <strong>di</strong> aggregazione si rende<br />

necessaria, se si vuole che i valori in cui si crede possano essere<br />

affermati e <strong>di</strong> fatto contribuiscano in modo efficace alla e<strong>di</strong>ficazione<br />

della Città dell’uomo. La sola testimonianza personale e privata, sebbene<br />

sia in ogni caso necessaria ed efficace, tuttavia non basta a incidere<br />

sulla formazione <strong>di</strong> quel consenso, che si richiede per influire in<br />

modo determinante sulle scelte pubbliche e, in particolare, su quelle<br />

legislative… La storia <strong>di</strong> tante nazioni contemporanee <strong>di</strong>mostra in<br />

modo eloquente quanto sia stato efficace e determinante il contributo<br />

dei partiti d’ispirazione cristiana alla costruzione, alla <strong>di</strong>fesa e alla<br />

crescita della moderna democrazia. Se contro queste affermazioni<br />

non vi possono essere obiezioni serie in linea teorica, tuttavia l’opportunità<br />

o meno <strong>di</strong> dar vita oggi effettivamente a un partito d’ispirazione<br />

cristiana va valutata più attentamente, tenendo presenti le mutate<br />

situazioni storiche <strong>di</strong> tempo e <strong>di</strong> luogo, nonché i nuovi orientamenti<br />

pastorali, a seguito delle acquisizioni dottrinali del Concilio.<br />

27<br />

Ivi, pag.241.<br />

28<br />

Cei, La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, 23 ottobre 1981, n.25<br />

48 –


In ogni caso, dev’essere ben chiaro che una cosa è riconoscere la<br />

legittimità dell’esistenza <strong>di</strong> un partito d’ispirazione cristiana, e un’altra<br />

cosa (del tutto improponibile) sarebbe pretendere <strong>di</strong> dedurre dalla<br />

fede un partito cattolico. Già don Luigi Sturzo – fondatore del primo<br />

partito d’ispirazione cristiana in Italia – spiegava (all’inizio del ‘900”!)<br />

che i due termini (partito e cattolico) sono antitetici; infatti il cattolicesimo<br />

è religione, è universalità; il partito invece è politica, è <strong>di</strong>visione”.<br />

29<br />

Va anche detto che non sembra con<strong>di</strong>visibile la prospettiva politica<br />

<strong>di</strong> chi vorrebbe che i cattolici partecipassero alla costituzione<br />

della gamba moderata all’interno dei due poli. In effetti, la vocazione<br />

dei cattolici moderati non può essere quella <strong>di</strong> rappresentare l’ala<br />

moderata dello schieramento politico. Certo – come ha ben spiegato<br />

il Car<strong>di</strong>nale Martini 30 - vi è uno stile cristiano <strong>di</strong> fare politica, che<br />

rifugge dagli estremismi oggi in voga, comporta invece il rispetto<br />

dell’avversario e rifiuta <strong>di</strong> fare della politica un assoluto; ma questo<br />

tipo <strong>di</strong> moderazione non ha nulla a che vedere con il moderatismo,<br />

tipico della politica conservatrice. Anzi, le encicliche sociali vedono<br />

il cristiano come depositario <strong>di</strong> iniziative coraggiose e <strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a,<br />

anche se questa socialità avanzata ha caratteri <strong>di</strong>versi da quella,<br />

attualmente in auge, <strong>di</strong> tipo ra<strong>di</strong>cal-in<strong>di</strong>vidualistico e libertario – fautore<br />

dei soli <strong>di</strong>ritti in<strong>di</strong>viduali – nella quale per lo più viene fatto<br />

risiedere il progressismo.<br />

Dopo il Convegno ecclesiale <strong>di</strong> Palermo del 1995 è prevalsa nella<br />

chiesa italiana la linea in<strong>di</strong>cata dallo stesso Papa, per cui la chiesa<br />

non si schiera per nessun partito e per nessuna coalizione. Ciò le è<br />

imposto non solo dalla sua missione essenzialmente religiosa, ma<br />

anche dalle con<strong>di</strong>zioni storiche che attualmente sono <strong>di</strong>verse da quelle<br />

del dopoguerra, che indussero la chiesa a svolgere una funzione <strong>di</strong><br />

supplenza.<br />

Sarebbe tuttavia sbagliato confondere la giusta equi<strong>di</strong>stanza con<br />

una impossibile neutralità.<br />

Qualcuno potrebbe essere indotto a credere che per la coscienza<br />

cristiana un programma politico valga l’altro, cosicchè, dopo la fine<br />

delle ideologie, i cattolici potrebbero tranquillamente aderire all’uno<br />

o all’altro partito, con l’unica con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> non scendere mai a com-<br />

29<br />

B. Sorge, op.cit., pagg. 242-244.<br />

30<br />

C.M. Martini, “Coraggio sono io, non abbiate paura”. Discorso per la<br />

Vigilia <strong>di</strong> Sant’Ambrogio, Milano, 6 <strong>di</strong>cembre 1999, Centro Ambrosiano<br />

– 49


promessi con la propria coscienza o con la propria fede. Ora, non vi<br />

è dubbio che, dopo la fine delle ideologie, i partiti in Italia non pongono<br />

più alcuni problemi <strong>di</strong> coscienza. Tuttavia, ciò non vuol <strong>di</strong>re<br />

che tutti i programmi politici si equivalgano e che per il cristiano sia<br />

del tutto in<strong>di</strong>fferente scegliere l’uno o l’altro partito. Infatti, la coerenza<br />

soggettiva con i valori cristiani è necessaria, ma non basta. Vi<br />

è pure una coerenza oggettiva dei programmi con il magistero sociale<br />

della chiesa, che non può essere <strong>di</strong>sattesa. Dunque, equi<strong>di</strong>stanza<br />

sì, neutralità no. Non vi può essere neutralità nei confronti <strong>di</strong> un atteggiamento<br />

che contesta la funzione dello stato nella <strong>di</strong>fesa dei più<br />

deboli, <strong>di</strong> una logica decisionistica che cerca <strong>di</strong> estorcere il consenso<br />

per via plebiscitaria, <strong>di</strong> un neoliberismo utilitaristico che fa del profitto,<br />

della efficienza e della competitività un fine a cui subor<strong>di</strong>nare<br />

le ragioni della solidarietà, <strong>di</strong> una politica che chiede deleghe del<br />

potere sulla base <strong>di</strong> promesse o prospettive generiche, più che sulla<br />

base <strong>di</strong> programmi coerenti.<br />

Vi è il giu<strong>di</strong>zio critico su una leadership populista che incarni la<br />

semplificazione dei problemi, sul cortocircuito antipolitico formato<br />

dalla televisione, dalla personalizzazione, dall’assolutismo del comando,<br />

santificati dal giu<strong>di</strong>zio sommario e preventivo dei sondaggi,<br />

moderna traduzione del consenso.<br />

D’altro canto c’è la necessità, come aveva detto Carlo Levi 50<br />

anni fa, <strong>di</strong> suscitare forze nuove trovando quella parola che butti all’aria<br />

la scacchiera e trasformi il gioco in cosa viva.<br />

Verrebbe da <strong>di</strong>re che noi cattolici questa parola già l’abbiamo,<br />

dovendo solo ritrovare il coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>rla all’uomo d’oggi: essa è il<br />

vangelo della carità.<br />

Come ci hanno ricordato recentemente i Vescovi:<br />

“.. ci sembra importante che la comunità sia coraggiosamente<br />

aiutata a maturare una fede adulta, pensata, capace <strong>di</strong> tenere insieme<br />

i vari aspetti della vita facendo unità <strong>di</strong> tutto in Cristo. Solo così i<br />

cristiani saranno capaci <strong>di</strong> vivere nel quoti<strong>di</strong>ano, nel feriale.. la sequela<br />

del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita…<br />

I cristiani possono fecondare il tempo in cui vivono solo se sono<br />

continuamente attenti a cogliere le sfide che provengono loro dalla<br />

storia, e si esercitano a rispondervi alla luce del Vangelo.<br />

La comunità cristiana deve costituire il grembo in cui avviene il<br />

<strong>di</strong>scernimento comunitario, in<strong>di</strong>cato nel convengo ecclesiale <strong>di</strong> Palermo<br />

del 1995 come scuola <strong>di</strong> comunione ecclesiale e metodo fondamentale<br />

per il rapporto Chiesa-mondo. Oggi più che mai i cristiani<br />

sono chiamati a essere partecipi della vita della città, senza esenzio-<br />

50 –


ni, portando in essa una testimonianza ispirata al Vangelo e costruendo<br />

con gli altri uomini un mondo più abitabile” 31<br />

Il titolo <strong>di</strong> queste brevi riflessioni è volutamente provocatorio.<br />

Non è venato però <strong>di</strong> pessimismo senza speranza, anche se non si<br />

può non applicare all’attuale momento politico quanto ha affermato<br />

David Maria Turoldo in Il sapore del pane (e<strong>di</strong>to dalle Paoline):<br />

“Quando un popolo è in<strong>di</strong>fferente, allora sorgono le <strong>di</strong>ttature e l’umanità<br />

<strong>di</strong>venta un gregge solo, appena una turba senza volto; allora il<br />

bene è uguale al male, il sacro al profano; e l’amore è unicamente<br />

piacere, un male il sacrificio, un peso la libertà e la ricerca”.<br />

Vi è piena consapevolezza delle <strong>di</strong>fficoltà che noi cattolici incontriamo<br />

a vivere il vangelo e ad incarnarlo. Tanto più in uno scenario<br />

politico (anche internazionale: ve<strong>di</strong> Le Pen in Francia) che sembra<br />

muoversi in un orizzonte lontano anni luce dai valori <strong>di</strong> solidarietà<br />

scritti nel patrimonio genetico dei cristiani. Così come non<br />

sfugge la considerazione storica <strong>di</strong> una quasi irrilevante presenza dei<br />

cristiani nella vita politica dei Paesi occidentali (e questo senza trascurare<br />

la specificità del nostro Paese per la presenza della cattedra<br />

<strong>di</strong> Pietro).<br />

Guai, però, a pensare e ad agire senza speranza. Come ammoniva<br />

S.Agostino:<br />

“Cerchiamo sempre con il desiderio <strong>di</strong> trovare e troviamo con il<br />

desiderio <strong>di</strong> cercare ancora”.<br />

31<br />

Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali<br />

dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000. 29 giugno 2001.<br />

– 51


52 –


LE COMUNICAZIONI GLOBALI:<br />

LA VOCE PLURALE DELLA DEMOCRAZIA<br />

PINO MARIO DE STEFANO *<br />

UNA SVOLTA EPOCALE<br />

“Comunicazione” è la parola chiave degli ultimi cinquant’anni:<br />

l’orizzonte <strong>di</strong> pensiero intorno a cui sono ripensati i termini <strong>di</strong> fondo<br />

che definiscono la modernità. Si tratta <strong>di</strong> un vero e proprio terminecostellazione<br />

1 , che abbraccia altri concetti contigui, tra cui, ovviamente,<br />

informazione, conoscenza, informatica, linguaggio ecc.<br />

Anche se l’ambiguità del termine, che si colloca appunto nei movimenti<br />

<strong>di</strong> trasformazione più profon<strong>di</strong> della società contemporanea,<br />

rende <strong>di</strong>fficile definire il concetto, è fuori <strong>di</strong> dubbio che il processo<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>gitalizzazione della società 2 , avviatosi con l’inizio degli anni<br />

settanta, pone la questione su tutt’altro piano. Se, infatti, la comunicazione<br />

me<strong>di</strong>a, per definizione, tutti i rapporti umani tra sistemi <strong>di</strong>fferenti,<br />

oggi appare evidente quanto la <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> <strong>di</strong>gitalizzazione<br />

tenda a inglobare in sé anche questa definizione.<br />

Non è un mistero per nessuno oggi che fra qualche anno il Web<br />

sarà veramente tutt’altra cosa da quello che è attualmente: e cioè un<br />

potentissimo strumento multime<strong>di</strong>ale, commerciale, <strong>di</strong> trasmissione<br />

<strong>di</strong> comando produttivo, intercreativo e assolutamente ipertestuale.<br />

Una vera e propria “noosfera <strong>di</strong>gitale” per <strong>di</strong>rla con Teilhard de<br />

Char<strong>di</strong>n, “un’entità che ha in sé le possibilità <strong>di</strong> trasformarsi veramente<br />

in una sorta <strong>di</strong> intellettuale-mente collettiva, in grado <strong>di</strong> dar<br />

voce anche alle emozioni primarie del pianeta” 3 .<br />

All’inizio del nuovo millennio stiamo vivendo, quin<strong>di</strong>, una svolta<br />

epocale che ha pochi precedenti nella storia della nostra specie,<br />

forse una vera e propria mutazione antropologica, come ha scritto<br />

* Rielaborazione della conferenza tenuta il 15.01.2002 al Centro “La Pira”<br />

<strong>di</strong> Pomigliano D’Arco (Na)<br />

1<br />

Ve<strong>di</strong> R. Scelsi, Comunicazione, in Lessico post-for<strong>di</strong>sta, Feltrinelli, Milano<br />

2001, p. 56<br />

2<br />

Cfr. F. Ciotti - G. Roncaglia, Il mondo <strong>di</strong>gitale, Laterza, Bari, 2000<br />

3<br />

R. Scelsi, cit., p. 60<br />

– 53


qualcuno 4 . Ad<strong>di</strong>rittura una trasformazione dello stesso modo <strong>di</strong> “essere<br />

uomini”, se essere uomini significa porsi in relazione con gli<br />

altri. Forse i nostri posteri chiameranno questa rivoluzione “il periodo<br />

della informatizzazione globale”.<br />

Eppure, nonostante la velocità con cui questa mutazione sta sopravvenendo,<br />

e anche la <strong>di</strong>ffusa consapevolezza <strong>di</strong> alcuni dei fenomeni<br />

più evidenti (almeno tra gli uomini <strong>di</strong> cultura, una parte degli<br />

industriali, una piccola parte dei politici), il più delle volte ci si ferma<br />

a considerazioni parziali, suggerite da questo o quel tassello del<br />

processo in corso. Mentre <strong>di</strong>fficilmente ci si avvicina a una riflessione<br />

e a una visione panoramica del significato e delle implicazioni<br />

sociali, culturali e economiche e politiche del fenomeno in atto.<br />

Il processo in corso è quello, appunto, della trasformazione del<br />

nostro mondo da “società delle merci”, figlia della rivoluzione industriale<br />

iniziata col telaio a vapore alla fine del Settecento, in una società<br />

dell’informazione. Un mondo cioè in cui gli oggetti <strong>di</strong>vengono<br />

sempre più virtuali e vengono rappresentati non più dalla loro tangibile<br />

concretezza, ma da simboli che viaggiano alla velocità della luce<br />

attraverso un tessuto che tende a ricoprire tutto il globo e raggiungere<br />

chiunque, qualsiasi sia la sua attesa. E’ il completamento della<br />

simbolizzazione del mondo, un processo che si è aperto con l’inizio<br />

della civilizzazione umana. Ma forse più importante ancora è il fatto<br />

che questa tecnica comprende e plasma sempre più proprio le attese;<br />

in altre parole innesca una potente retroazione che mo<strong>di</strong>fica (e mo<strong>di</strong>ficherà<br />

sempre più) il modo stesso <strong>di</strong> essere e sentirsi uomini, modella a<br />

propria somiglianza il mondo dell’immaginario umano.<br />

NATURA UMANA, LINGUAGGIO E CULTURA<br />

L’uomo non è infatti soltanto un produttore e consumatore <strong>di</strong><br />

oggetti legati alla sua sopravvivenza biologica. Se fosse solo questo,<br />

la sua <strong>di</strong>fferenza rispetto a altre specie animali complesse sarebbe<br />

modesta. La caratteristica che rende l’uomo unico nel panorama della<br />

vita sul nostro pianeta, è quella <strong>di</strong> essere uno story teller, un narra-<br />

4<br />

F. Pratico, La rete globale, necessità e destino, su Telèma 1/1996. Cfr. J.<br />

Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. L’impatto dei me<strong>di</strong>a elettronici sul comportamento<br />

sociale, Baskerville, Bologna 1993; A. Toffler, La Terza ondata, Cde, Milano<br />

1987; ma ve<strong>di</strong> anche D. Lyon, La società dell’informazione, Il Mulino, Bologna<br />

1991<br />

54 –


tore; e ovviamente, e in misura ancor maggiore, un consumatore <strong>di</strong><br />

storie. Noi organizziamo la nostra esperienza e la nostra memoria<br />

degli eventi umani principalmente sotto forma <strong>di</strong> narrazioni: storie,<br />

spiegazioni, miti, motivi per fare e non fare. Larry Gross 5 , professore<br />

<strong>di</strong> comunicazione presso l’Università della Pennsylvania, scrive:<br />

«La cultura che è costituita dalle narrazioni non è sovraimposta sul<br />

substrato biologico che è la nostra vera natura. La unicità della specie<br />

umana non consiste (solo) nel fatto che siamo esseri sociali. Centinaia<br />

<strong>di</strong> specie, prima <strong>di</strong> quella umana, si organizzano in società.<br />

L’esistenza sociale ha creato l’umanità, non il contrario. Ciò che ci<br />

rende unici è che la cultura è la nostra natura. Ci evolviamo come<br />

animali che creano significati, e le storie che ci raccontiamo rappresentano<br />

il modo primario con cui costruiamo e conserviamo significati<br />

e li con<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo al <strong>di</strong> là dei confini <strong>di</strong> spazio e <strong>di</strong> tempo».<br />

La nostra specie è relativamente giovane. Secondo gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

antropologia contemporanea, ancora centomila anni fa, in quel periodo<br />

che viene definito me<strong>di</strong>o paleolitico, i nostri antenati (ossia i<br />

primi uomini moderni) si affacciavano al <strong>di</strong> là dei confini africani,<br />

con<strong>di</strong>videndo ancora la cultura materiale, e probabilmente anche l’immagine<br />

del mondo, dei loro parenti che da più <strong>di</strong> un milione <strong>di</strong> anni<br />

si erano sparsi in Africa, in Asia, in Me<strong>di</strong>o Oriente e in Europa. E’<br />

possibile ipotizzare pochissimo sui processi che hanno dato ai nostri<br />

antenati una prevalenza schiacciante sugli altri <strong>di</strong>scendenti del<br />

ceppo originario del genere Homo già inse<strong>di</strong>ati da millenni nel mondo,<br />

e che erano <strong>di</strong>venuti, per parere concorde dei paleoantropologi,<br />

sapiens, sia pure arcaici. Ma certamente tra gli elementi <strong>di</strong> superiorità<br />

che hanno consegnato il mondo ai nostri antenati, e fatto sparire<br />

gli altri concorrenti, un ruolo decisivo deve essere stato svolto dal<br />

possesso <strong>di</strong> un linguaggio articolato più evoluto rispetto a quello<br />

degli altri, <strong>di</strong> una capacità <strong>di</strong> comunicazione che appariva per la<br />

prima volta in modo così completo. E’ il linguaggio che ha consentito<br />

ai nostri antenati <strong>di</strong> vivere efficacemente non solo in modo imme<strong>di</strong>ato<br />

il presente, ma <strong>di</strong> proiettarsi anche nel futuro e nel passato;<br />

cioè <strong>di</strong> raccogliere, conservare e tramandare la memoria in<strong>di</strong>viduale<br />

e <strong>di</strong> gruppo, e renderla attuale (appunto, ricordare) nel momento dell’emergenza.<br />

E al tempo stesso <strong>di</strong> proiettarsi nel futuro, progettare,<br />

costruire strategie e soluzioni per eventi <strong>di</strong> là da venire 6 .<br />

5<br />

L. Gross, Mass Me<strong>di</strong>a and their impact on society, relazione all’International<br />

multi<strong>di</strong>sciplinary workshop on the evolution, 1992, citato in F. Prattico, cit.<br />

6<br />

Cfr. E. A. Havelock, Dike, la nascita della coscienza, Laterza, Bari 1990<br />

– 55


Attraverso il linguaggio, infatti, la parola co<strong>di</strong>fica le norme <strong>di</strong><br />

comportamento, descrive il mondo e lo ipotizza, propone le regole<br />

per affrontare le sue trappole, costruisce e conserva conoscenze e<br />

interpretazioni, alle origini sotto forma <strong>di</strong> favole e miti dal fortissimo<br />

contenuto simbolico e normativo. «Tutte le società umane - osserva<br />

ancora Gross - hanno risposto alle fondamentali questioni dell’esistenza<br />

sotto forma <strong>di</strong> storie. Facciamo ancora questo raccontando<br />

storie ai giovani (il processo <strong>di</strong> socializzazione e acculturazione attraverso<br />

cui ogni generazione <strong>di</strong>viene parte <strong>di</strong> una cultura) e ripetendo<br />

alcune <strong>di</strong> queste storie abbastanza spesso per ricordare agli adulti<br />

le credenze fondamentali della società».<br />

E’ un processo <strong>di</strong> rappresentazione e <strong>di</strong>ffusione della cultura<br />

che utilizza favole, miti, credenze religiose per fondare e <strong>di</strong>stribuire<br />

interpretazioni del mondo e veicolare attraverso essi i modelli a<br />

cui, in modo consapevole o meno, ogni membro <strong>di</strong> una data società<br />

storica fa riferimento (che li accetti o cerchi <strong>di</strong> sfidarli) e a cui deve<br />

attenersi. Un compito al quale, nella nostra epoca, assolve ad esempio<br />

massicciamente (e forse con efficacia maggiore <strong>di</strong> altri mezzi) la<br />

televisione.<br />

Per millenni, quin<strong>di</strong>, la nostra specie ha trasmesso il sapere accumulato,<br />

<strong>di</strong> cultura e <strong>di</strong> regole, attraverso la parola (il <strong>di</strong>scorso, il<br />

canto, l’attività educativa, ecc.). Il mondo della civilizzazione orale<br />

ha dominato la maggior parte della vicenda umana, travalicando anche<br />

quel momento <strong>di</strong> crisi che è stata l’invenzione della scrittura<br />

(che si fa risalire ai Sumeri nel sesto millennio avanti Cristo), perché<br />

questa, fino a Gutemberg, è rimasta circoscritta a cerchie privilegiate,<br />

ai detentori del sapere (sacerdoti, legislatori, capi politici e<br />

militari, letterati e filosofi). Il libro, scritto pazientemente a mano in<br />

esemplari unici, rappresentava certo una fonte carica <strong>di</strong> potere magico<br />

ed esoterico (si pensi ad esempio al valore che la Cabala attribuiva<br />

alle lettere dell’alfabeto ebraico, considerato allora il più antico),<br />

una sorta <strong>di</strong> certificazione del sapere: ma la circolazione delle conoscenze<br />

e la capacità <strong>di</strong> modellare le menti e prescrivere i comportamenti<br />

era affidata prevalentemente alla <strong>di</strong>ffusione orale <strong>di</strong> quei contenuti.<br />

7<br />

7<br />

Cfr. per queste analisi Pietro Rossi (cur.) La memoria del sapere, Laterza,<br />

Bari 1988<br />

56 –


LIBRO E MODERNITÀ<br />

La società umana esce quin<strong>di</strong> dal regno dell’oralità solo tra la<br />

fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento con l’invenzione dei<br />

caratteri mobili e del torchio da stampa, che segnano la nascita del<br />

libro nel senso in cui l’inten<strong>di</strong>amo oggi, ossia come un oggetto materiale<br />

riproducibile a volontà. Non più misterioso deposito cristallizzato<br />

del sapere, la parola scritta entra in circolazione, perde il suo<br />

carattere sacrale ed elitario, impone una trasformazione profonda:<br />

masse crescenti <strong>di</strong> uomini, e non i soli ceti privilegiati, imparano a<br />

leggere e scrivere. La cultura, da privilegio, <strong>di</strong>viene bene accessibile<br />

quasi a chiunque. Non senza resistenze da parte dei più tra<strong>di</strong>zionali<br />

detentori del sapere.<br />

Ai primi del Cinquecento, appena mezzo secolo dopo l’invenzione<br />

della stampa, si calcola che fossero in circolazione in Europa<br />

otto milioni <strong>di</strong> libri stampati. Tuttavia, intellettuali raffinati li respingono<br />

con <strong>di</strong>sprezzo: il manoscritto, per loro, è l’unica forma accettabile<br />

del libro, l’unica adatta a un oggetto che è portatore <strong>di</strong> idee.<br />

Quando il tedesco Fust, socio e poi rivale <strong>di</strong> Gutemberg, porta a Parigi<br />

i primi libri stampati da lui stesso, viene espulso per stregoneria,<br />

per or<strong>di</strong>ne degli intellettuali della Sorbona; mentre gli Orleans e Federico<br />

da Montefeltro vietano l’ingresso nelle loro preziose biblioteche<br />

a volumi che non siano manoscritti. E ancora, quasi due secoli<br />

dopo, il filosofo Leibniz arriccia il naso davanti alla marea <strong>di</strong><br />

libri che si stampano ormai in tutta Europa: «Temo - scrive - che la<br />

gente si stanchi delle scienze e, spinta da un fatalistico sconforto,<br />

ripiombi in costumi barbarici. E a questo risultato forse contribuirà<br />

non poco quella orribile massa <strong>di</strong> libri che cresce continuamente...».<br />

Ma la “esplosione” del libro e successivamente delle gazzette,<br />

dei giornali, dei manifesti, insomma dei supporti fisici della cultura,<br />

segna <strong>di</strong> fatto l’ingresso nel mondo moderno, industriale. Da<br />

misterioso ricettacolo del sapere il libro si trasforma in merce, incide<br />

profondamente sui costumi, sui modelli <strong>di</strong> vita, sulle norme<br />

sociali che vanno così incontro a una pro<strong>di</strong>giosa trasformazione: «Con<br />

la stampa - scrive Marshall McLuhan - l’Europa sperimenta la sua<br />

prima fase <strong>di</strong> consumo, non soltanto perché la stampa è un mezzo <strong>di</strong><br />

comunicazione per il consumatore, oltre che una merce, ma in quanto<br />

essa insegnò agli uomini come organizzare ogni altra attività su<br />

una base lineare e sistematica. Mostrò come creare gli eserciti e i<br />

mercati». La Riforma luterana non sarebbe stata possibile se la Bibbia,<br />

tradotta nei volgari e stampata in migliaia <strong>di</strong> copie, non avesse<br />

– 57


scavalcato la interme<strong>di</strong>azione orale fino allora detenuta dalla Chiesa;<br />

la rivoluzione francese, che segna la fine <strong>di</strong> una visione gerarchica<br />

e sacrale dell’organizzazione sociale, la vittoria della società borghese,<br />

capitalistica e industriale, non sarebbe pensabile senza l’Enciclope<strong>di</strong>a<br />

e l’Illuminismo, che attraverso la stampa <strong>di</strong>ffondono una<br />

immagine esaltante della grande potenza manipolatrice dell’intelletto<br />

umano 8 .<br />

LA COMUNICAZIONE ELETTRONICA E L’INTERATTIVITÀ<br />

Oggi è proprio quel mondo che volge al tramonto. Di fronte al<br />

mondo simbolico della cultura scritta torna ad ergersi la prospettiva<br />

dell’oralità. E’ un processo iniziato esattamente un secolo fa, il 1895,<br />

con gli esperimenti <strong>di</strong> Guglielmo Marconi, quando un segnale partito<br />

da un apparecchio emittente viaggia sulle onde elettromagnetiche<br />

per raggiungere una stazione ricevente. Il supporto della parola non<br />

è più solo la carta. Da allora la trasmissione elettromagnetica è<br />

andata via via conquistando nuovi spazi, <strong>di</strong>latando la possibilità <strong>di</strong><br />

comunicazione e la sua velocità, creando nuove attese e nuove<br />

potenzialità.<br />

Può aiutare a comprenderne le potenzialità implicite nell’attuale<br />

processo me<strong>di</strong>atico fare un passo in<strong>di</strong>etro, ed esaminare il concetto<br />

<strong>di</strong> attesa, una categoria che investe sia l’economia sia la psicologia<br />

umana. Una delle nostre caratteristiche come specie è la costruzione<br />

<strong>di</strong> bisogni (che non hanno rapporto <strong>di</strong>retto con la esigenze biologiche<br />

<strong>di</strong> fondo). Il bisogno è, nel mondo culturale che è il mondo umano,<br />

indotto proprio dalla presenza del mezzo che può appagarlo, e<br />

provoca un feed-back, un avvitamento che viaggia continuamente<br />

dal mezzo al fruitore e ritorno. Ad esempio, l’invenzione della stampa<br />

ha moltiplicato, cinque secoli fa, il numero <strong>di</strong> coloro che erano in<br />

grado (e desideravano) <strong>di</strong> fruire <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> comunicazione,<br />

allargando quin<strong>di</strong> la base a cui la parola scritta e stampata faceva<br />

riferimento. L’allargamento della base potenziale <strong>di</strong> utenti della parola<br />

scritta stimolava la produzione <strong>di</strong> messaggi ad essa in<strong>di</strong>rizzati,<br />

e questi a loro volta raggiungevano (venivano richiesti da) un pubblico<br />

sempre più ampio.<br />

8<br />

Cfr per queste analisi M. McLuhan, La Galassia Gutemberg, Armando, Roma<br />

1991; G. Giovannini, Dalla selce al silicio, Gutemberg, Torino 1994<br />

58 –


Il salto <strong>di</strong> qualità e quantità è oggi rappresentato dai me<strong>di</strong>a elettromagnetici,<br />

che a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> libri e giornali non richiedono la<br />

interme<strong>di</strong>azione della lettura (<strong>di</strong>minuiscono cioè la quantità <strong>di</strong> lavoro<br />

necessario alla decifrazione dei messaggi, abbreviando il passaggio<br />

attraverso categorie simboliche da decrittare).<br />

E ciò naturalmente moltiplica la platea a cui il mezzo si riferisce.<br />

Anche se permane comunque la uni<strong>di</strong>rezionalità della comunicazione,<br />

la sud<strong>di</strong>visione tra un centro produttore <strong>di</strong> informazione e un pubblico<br />

sempre più affamato – passivamente- <strong>di</strong> questi messaggi.<br />

Forse anche questa evoluzione è oggi agli sgoccioli. La trasformazione<br />

entro cui stiamo entrando propone altro ancora: tende a<br />

spostare l’accento dal ruolo <strong>di</strong> ascoltatore, fruitore passivo del messaggio,<br />

a quello <strong>di</strong> co-narratore.<br />

E’ l’interattività. La natura dei mezzi elettronici rende oggi possibile<br />

trasformare ognuno <strong>di</strong> noi in centrale che non solo riceve una<br />

serie <strong>di</strong> input, ma contribuisce <strong>di</strong>rettamente a formarli, almeno in<br />

parte, e quin<strong>di</strong> rimetterli in circolo.<br />

E’ con essa che dovremo fare i conti, nel millennio che sta<br />

cominciando.<br />

Alle soglie del terzo millennio, l’interazione globale che unifica<br />

tutti i sistemi <strong>di</strong> relazione si profila non solo come una possibilità,<br />

ma ad<strong>di</strong>rittura come una necessità, una evoluzione “naturale”.<br />

Era iniziata col telefono e il telegrafo senza fili, si era affermata con<br />

la ra<strong>di</strong>o e successivamente con la televisione, aveva raggiunto e<br />

interconnesso Università e laboratori, <strong>di</strong>lagata per case e uffici attraverso<br />

i computer, guadagnato lo spazio con i satelliti da comunicazione.<br />

Oggi telefono, fax, modem, computer, televisione, CD-Rom,<br />

<strong>di</strong>schi ottici, banche dati, comunicazione via cavo, via etere, via fibra<br />

ottica confluiscono per formare un intreccio <strong>di</strong> autostrade informatiche<br />

che collegano o collegheranno tutto a tutti, fasciando<br />

l’intero pianeta, senza tralasciare nessun settore della vita e dell’esperienza<br />

umana 9 .<br />

Prendendo in prestito immagini dalla fantascienza senza, con ciò,<br />

assumere atteggiamenti acriticamente entusiasti, si potrebbe <strong>di</strong>re che<br />

la rete globale cresce e si mo<strong>di</strong>fica come se fosse un organismo<br />

vivente, autonomo, le cui determinazioni sfuggono anche alla volontà<br />

dei suoi creatori e i cui terminali raggiungono ognuno <strong>di</strong> noi<br />

9<br />

Fondamentale su questi sviluppi mi sembra il lavoro <strong>di</strong> Manuel Castells, La<br />

nascita della società in rete, pubblicata delle E<strong>di</strong>zioni dell’Università Bocconi,<br />

Milano 2002<br />

– 59


in mille mo<strong>di</strong>, consapevoli o meno. Si realizza nel concreto una<br />

intuizione <strong>di</strong> Popper: il complesso <strong>di</strong> strumenti e <strong>di</strong> operazioni che si<br />

riferiscono all’informazione, alla sua formulazione e trasmissione,<br />

acquistano autonomia, nella complessità della sua struttura si configura<br />

un quarto mondo che incide e modella i destini e le volontà<br />

degli uomini che pure lo usano.<br />

A questo punto, il mezzo, nel suo potente espandersi, tende ad<br />

avvicinarsi sempre più al suo pubblico: globalizzarsi, quoti<strong>di</strong>anizzarsi.<br />

Infatti, come si è detto, si coniuga col telefono, col computer,<br />

col modem, col fax, per scavalcare le <strong>di</strong>stanze grazie alla rete satellitare<br />

e insieme si miniaturizza per raggiungere qualsiasi combinazione<br />

<strong>di</strong> interazioni possibile. E insieme perde, in parte, il carattere<br />

<strong>di</strong> fiction (salvo laddove la fiction è espressamente richiesta) e assume<br />

il volto della realtà: o meglio, sostituisce la propria realtà a quella<br />

fisica e storica del fruitore. Per ottenere ciò deve coinvolgerlo, renderlo<br />

attore dell’operazione stessa.<br />

L’interattività per ora ha la sua manifestazione più nota con<br />

internet - prototipo delle autostrade informatiche su cui ognuno può<br />

viaggiare in qualsiasi <strong>di</strong>rezione - e con le macchine per la realtà<br />

virtuale - che si rivolgono <strong>di</strong>rettamente al nostro sistema percettivo e<br />

sensoriale. Ma sembra già iniziato il tempo in cui l’interattività assumerà<br />

forme e <strong>di</strong>mensioni ben più vaste: a partire dal telelavoro,<br />

dalla telespesa, dalla telescuola, dal televoto, dalla gestione elettronica<br />

del traffico e così via 10 .<br />

In breve il terzo millennio sembra promettere la più assoluta<br />

libertà <strong>di</strong> comunicare, all’insegna del motto “anywhere, anytime”.<br />

Diventeremo veramente “citta<strong>di</strong>ni del mondo” perché potremo comunicare<br />

“dovunque e in ogni momento”. Ci sposteremo, senza portare<br />

con noi né cellulare, né personal computer, né altri tipi <strong>di</strong> terminali,<br />

e non dovremo avvisare alcuno dei nostri spostamenti. Avremo,<br />

insieme con noi, esclusivamente una “scheda intelligente”, passepartout<br />

per qualsiasi tipo <strong>di</strong> comunicazioni in tutto il pianeta, nonché<br />

mezzo per essere virtualmente “sempre a casa” per i nostri corrispondenti,<br />

maneggevole e tanto piccola che bisognerà soltanto fare<br />

attenzione a non perderla.<br />

10<br />

Ivi, cap. IV<br />

60 –


IL “VILLAGGIO GLOBALE”: CONOSCERE PER COESISTERE MEGLIO<br />

Possiamo a questo punto comprendere meglio il senso <strong>di</strong> un’immagine<br />

oggi molto utilizzata: quella <strong>di</strong> “villaggio globale”.<br />

Il “villaggio globale” è il fortunato ossimoro inventato da Marshall<br />

McLuhan 11 per descrivere la situazione contrad<strong>di</strong>ttoria in cui viviamo.<br />

Così come in festina lente, ovvero “affrettati lentamente”, i<br />

due termini dell’enunciato si contrad<strong>di</strong>cono a vicenda, il “villaggio”<br />

esprime qualcosa <strong>di</strong> piccolo, mentre “globale” sta a significare l’intero<br />

pianeta. Non è possibile affrettarsi lentamente, così come non è<br />

possibile un villaggio grande quanto l’intero pianeta. Il significato è<br />

ovviamente simbolico. McLuhan ha forzato il linguaggio per meglio<br />

esprimere una situazione ine<strong>di</strong>ta e <strong>di</strong>fficilmente rappresentabile.<br />

Da questa angolazione si ha un’idea più completa del fenomeno<br />

della globalizzazione contemporanea come una caratteristica fondamentale<br />

dell’epoca presente e una delle conseguenze più visibili della<br />

modernità 12 . Essa può essere descritta come un insieme <strong>di</strong> processi<br />

collegati in cui si verifica una crescente integrazione su scala mon<strong>di</strong>ale<br />

non solo delle transazioni <strong>di</strong> beni, servizi, capitali, forza lavoro<br />

e materie prime, ma anche dei centri decisionali e delle comunicazioni<br />

materiali (trasporti, infrastrutture) e simboliche (conoscenze,<br />

informazioni, simboli, immagini). È ovvio che senza l’interattività<br />

della rete globale non sarebbe pensabile il fenomeno della<br />

globalizzazione nelle sue <strong>di</strong>mensioni attuali.<br />

La globalizzazione agisce a molti livelli che interagiscono e si<br />

“rinforzano” reciprocamente. Si pensi ad esempio alla possibilità <strong>di</strong><br />

vedere in televisione, praticamente in tempo reale, i fatti e i misfatti<br />

che accadono in tutto il mondo. Riceviamo queste immagini contemporaneamente<br />

alle notizie <strong>di</strong> ciò che succede “sotto casa”.<br />

Soprattutto Internet però può essere considerata la principale<br />

metafora della globalizzazione, la sua “incarnazione” più significativa.<br />

Più rivoluzionaria <strong>di</strong> quanto lo fu, a suo tempo, la televisione.<br />

La sua caratteristica più eclatante è proprio quella <strong>di</strong> azzerare il<br />

fattore spazio-temporale e collegare qualsiasi parte del globo (lo spazio)<br />

istantaneamente (il tempo).<br />

È evidente che i problemi giuri<strong>di</strong>ci, etici, sociali, culturali ed economici<br />

che la “rete” pone sono paragonabili a quelli aperti dalla sco-<br />

11<br />

Cfr. M. McLuhan e B. Powers, Il villaggio globale, SugarCo, Carnago, 1992.<br />

12<br />

Ve<strong>di</strong> R. Robertson, Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale,<br />

Asterios, Trieste, 1999<br />

– 61


perta <strong>di</strong> un nuovo continente. Basta pensare, per esempio, che Internet<br />

- tendenzialmente - non ha centro, né padroni. Al vertice della rete<br />

mon<strong>di</strong>ale infatti non c’è alcun vero proprietario, non c’è un’effettiva<br />

autorità <strong>di</strong> controllo centrale. Questo fatto non è privo <strong>di</strong> conseguenze.<br />

In un’epoca in cui i giganteschi imperi dell’informazione si spartiscono<br />

tutto, Internet è anarchica, ma anche democratica.<br />

È vero che un problema relativo alla rete telematica globale e ad<br />

internet consiste nell’ancora ridotta <strong>di</strong>ffusione e <strong>di</strong>sponibilità per tutti,<br />

ma è altrettanto vero che al suo interno possono trovare ampio spazio<br />

idee sperimentali e non dogmatiche che si contrappongono al<br />

potere centralizzato e alle opinioni ufficiali. La rete è un vasto fenomeno<br />

scarsamente regolamentato e tenuto in esercizio dai suoi utenti,<br />

che potrebbe <strong>di</strong>ventare il sistema <strong>di</strong> comunicazione più potente<br />

della storia.<br />

Non è ovviamente il caso <strong>di</strong> attribuire alla rete poteri salvifici, ma<br />

è pur vero che la vecchia mentalità per cui ci si preoccupa <strong>di</strong> un fenomeno<br />

solo quando colpisce <strong>di</strong>rettamente la nostra esistenza può ricevere<br />

un vero scacco dalla rete non lasciandoci vie <strong>di</strong> scampo perché<br />

ora tutto ci colpisce <strong>di</strong>rettamente: la farfalla che muove le ali nella<br />

foresta amazzonica può produrre effetti macroscopici fin all’altro capo<br />

del mondo. Un altro aspetto, in un certo senso, positivamente inquietante<br />

<strong>di</strong> questa visione “forzatamente” ecologica è che l’Occidente<br />

non potrà ignorare ancora per molto, ad esempio, il fatto che i due terzi<br />

della popolazione mon<strong>di</strong>ale muoiono <strong>di</strong> fame, e comunque non potrà<br />

più fingere che se il resto del mondo ha fame non vi si può porre rime<strong>di</strong>o.<br />

Cosa ciò possa produrre non lo sappiamo ancora ma senz’altro<br />

qualcosa potrà succedere nei rapporti tra gruppi e tra popoli, e non<br />

necessariamente qualcosa <strong>di</strong> negativo. Siamo quasi costretti ad assumere<br />

un’ottica e una responsabilità anche “politica” <strong>di</strong> fronte a un<br />

mondo che è <strong>di</strong>ventato, sotto certi aspetti, il nostro cortile <strong>di</strong> casa.<br />

Un effetto della globalizzazione della comunicazione consiste,<br />

dunque, nel fatto che non si potrà più continuare a coltivare il proprio<br />

orticello ignorando ciò che succede nel resto del mondo proprio<br />

perché il resto del mondo ha invaso il nostro piccolo orto, contaminandolo<br />

o fertilizzandolo a seconda dei casi.<br />

“Stare tutti nello stesso orto” significa essere a stretto contatto<br />

con popoli <strong>di</strong> razze e culture <strong>di</strong>verse. La globalizzazione telematica<br />

perciò ci vieta <strong>di</strong> chiuderci nei nostri piccoli e fragili gusci, imponendoci<br />

<strong>di</strong> spalancare gli occhi su tutto ciò che è “Altro”, vicino a<br />

noi sebbene molto lontano. E questo forse è un segno <strong>di</strong> speranza per<br />

i destini dell’umanità.<br />

62 –


CYBERSPAZIO E CYBERCULTURA<br />

La necessità <strong>di</strong> sottolineare la ra<strong>di</strong>cale novità <strong>di</strong> Internet e in<br />

genere della comunicazione telematica e globalizzata spiega la tendenza<br />

attuale, nella saggistica sociologica e anche filosofica, a sostituire<br />

l’immagine del “villaggio globale” con metafore legate alla<br />

fantascienza come quella <strong>di</strong> cyberspazio e quella analoga <strong>di</strong><br />

cybercultura 13 .<br />

Ma cos’è il ciberspazio È l’interconnessione fra tutti i computer<br />

del mondo. L’interconnessione fisica tra le macchine implica,<br />

virtualmente, la messa in comune delle informazioni immagazzinate<br />

nelle loro memorie e il contatto fra tutti gli in<strong>di</strong>vidui e i gruppi<br />

che si trovano davanti ai loro schermi. Per questo il ciberspazio lungi<br />

dall’essere soltanto una prodezza tecnica, è uno spazio <strong>di</strong> comunicazione<br />

dotato <strong>di</strong> caratteristiche ra<strong>di</strong>calmente nuove.<br />

Questa rete <strong>di</strong> reti, tendenzialmente, non appartiene a nessuno,<br />

non ha un bilancio centrale né un <strong>di</strong>rettore in carica. La sua organizzazione<br />

poggia sulla collaborazione fra macchine e reti <strong>di</strong>sparate.<br />

Possiamo chiarire meglio il significato <strong>di</strong> cyberspazio e cybercultura<br />

con tre concetti.<br />

In primo luogo, cybercultura significa che tutti i testi, tutte le<br />

immagini, tutti i suoni registrati fanno parte ormai virtualmente <strong>di</strong><br />

un unico iperdocumento planetario, accessibile da qualsiasi punto<br />

della rete. Questo immenso iperdocumento (possiamo chiamarlo il<br />

primo, imperfetto, abbozzo <strong>di</strong> una “cultura” mon<strong>di</strong>ale) viene continuamente<br />

letto, consultato, guardato, commentato, ma anche alimentato,<br />

accresciuto e mo<strong>di</strong>ficato dagli “internauti”. Ciascuno, a<br />

un costo minimo, può - o potrà - avere una pagina web e contribuire<br />

così alla tessitura <strong>di</strong> questa grande “tela” mon<strong>di</strong>ale, sfuggendo alla<br />

selezione a priori imposta dagli interme<strong>di</strong>ari tra<strong>di</strong>zionali, cioè e<strong>di</strong>tori,<br />

produttori, addetti stampa, istituzioni scolastiche e altri.<br />

In secondo luogo il cyberspazio è un mezzo <strong>di</strong> comunicazione<br />

interattiva e collettiva del tutto <strong>di</strong>verso da quello uni<strong>di</strong>rezionale e<br />

isolante cui ci hanno abituato i me<strong>di</strong>a classici e in particolare la televisione.<br />

Inoltre l’internauta non deve essere immaginato e rappresentato<br />

come un in<strong>di</strong>viduo solitario, sperduto in una grande e<br />

labirintica banca dati. Al contrario egli è, spesso, accompagnato e<br />

guidato da servizi <strong>di</strong> assistenza <strong>di</strong>sponibili su internet. È invitato a<br />

13<br />

Cfr. per questi concetti H. Rheingold, Comunità virtuali: Parlare, incontrarsi,<br />

vivere nel ciberspazio, Sperling e Kupfer, Milano 1994<br />

– 63


comunicare con altre persone interessate agli stessi argomenti, a<br />

pubblicare, a scambiare, a partecipare in un modo o nell’altro a<br />

<strong>di</strong>versi processi <strong>di</strong> intelligenza collettiva.<br />

Il terzo punto è che Internet non è solo un me<strong>di</strong>um ma un metame<strong>di</strong>um<br />

che sta assorbendo, trasformando e rinnovando non soltanto<br />

i me<strong>di</strong>a già esistenti ma anche un gran numero <strong>di</strong> istituzioni<br />

tra<strong>di</strong>zionali, in particolar modo il mercato e la scuola. Ovviamente,<br />

questo non significa che tutto passerà per Internet ma che il peso<br />

crescente <strong>di</strong> Internet è destinato a cambiare tutto.<br />

Comunque occorre guardare soprattutto alla linea <strong>di</strong> tendenza<br />

più che all’attuale stato <strong>di</strong> sviluppo della rete: e la linea <strong>di</strong> tendenza<br />

è quella <strong>di</strong> un’estensione rapida, più rapida <strong>di</strong> qualsiasi sistema <strong>di</strong><br />

comunicazione esistente. Il che significa che vi saranno sempre meno<br />

“esclusi” dalla rete.<br />

In un certo senso, oggi, il genere umano – nonostante le evidenti<br />

resistenze - sembra tendere alla costituzione <strong>di</strong> un’unica società<br />

(anche se tale concetto andrebbe inteso in un senso più fluido, <strong>di</strong>namico<br />

e “virtuale” <strong>di</strong> quello a cui siamo abituati dalla sociologia<br />

positivistica): <strong>di</strong> fronte a un tale fenomeno gran parte dei nostri concetti,<br />

delle nostre forme culturali e delle nostre istituzioni politiche,<br />

ere<strong>di</strong>tate dai secoli precedenti, appare inadeguata.<br />

Ma c’è dell’altro: gli esseri umani allargano tanto più velocemente<br />

e potentemente il proprio campo d’interazione quanto più<br />

sono interconnessi tra loro. I gran<strong>di</strong> progressi della storia dell’umanità,<br />

a partire dal Neolitico, si sono sempre verificati in stretta relazione<br />

con un processo <strong>di</strong> concentrazione fisica (nelle città e nelle<br />

terre coltivate) e <strong>di</strong> collegamento nel tempo e nello spazio (sistemi<br />

<strong>di</strong> scrittura e <strong>di</strong> comunicazione). Più è aumentata e aumenta la quota<br />

<strong>di</strong> popolazione addetta alle connessioni interne – interne al “cervello”<br />

e al “cuore” dell’umanità – più cresce il potere dell’umanità<br />

sull’ambiente. Con l’accrescimento delle connessioni, non è tanto lo<br />

spazio a restringersi quanto l’essere umano a espandersi.<br />

Ma allora possiamo forse immaginare una sorta <strong>di</strong> “intelligenza<br />

collettiva” nel futuro dell’evoluzione umana anche se essa è solo<br />

agli inizi della sua crescita, come sostiene il filosofo P. Levy <strong>14</strong> , con<br />

un esplicito riferimento alla noosfera <strong>di</strong> Teilhard de Char<strong>di</strong>n<br />

<strong>14</strong><br />

Cfr. Pierre Levy, C’è una “intelligenza collettiva” nel futuro dell’evoluzione<br />

umana, in Teléma, n. 17/18, 1999; inoltre Lévy P., L’intelligenza collettiva,<br />

Feltrinelli, Milano, 1996; Id. Cybercultura, Feltrinelli, Milano 1999.<br />

64 –


Se si volesse tradurre queste riflessioni in un’ottica più “politica”,<br />

si potrebbe, forse, <strong>di</strong>re che la visione <strong>di</strong> una «comunità illimitata<br />

<strong>di</strong> comunicazione» 15 – e Internet <strong>di</strong>lata tale comunità al mondo intero<br />

– è un’utopia che, nella società della comunicazione globale, per<br />

la prima volta, sembra avere qualche chance <strong>di</strong> essere realizzata.<br />

Anche se qui la precisazione che si tratta <strong>di</strong> una «just in time<br />

community», come scrive Habermas, ovvero <strong>di</strong> una comunità che si<br />

forma e si riforma continuamente – perché ciascun partecipante<br />

all’interazione virtuale può non solo unirsi ma anche <strong>di</strong>simpegnarsi<br />

in qualsiasi momento –, ci rende avvertiti della precarietà <strong>di</strong> questa<br />

gran<strong>di</strong>osa utopia.<br />

I RISCHI, LE PAURE E LE ANGOSCE<br />

Ma proprio considerando la rete globale in una prospettiva anche<br />

“politica” emergono - e spesso si traducono, oggi, anche in fenomeni<br />

e movimenti sociali collettivi - sentimenti <strong>di</strong> sospetto, pericolo,<br />

paura e talora anche angoscia, associati all’era dei computer, della<br />

rete telematica, <strong>di</strong> Internet e della globalizzazione.<br />

Perciò, tralasciando le espressioni più rozze e banali <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>sagio,<br />

non si può omettere <strong>di</strong> riflettere soprattutto su qualche questione<br />

che anche tra i più avvertiti e attenti analisti torna spesso in<br />

primo piano.<br />

Un <strong>di</strong>lemma che riempie le riflessioni sull’avvenire culturale del<br />

pianeta, sotto la spinta degli universi simbolici dei consumi <strong>di</strong> massa<br />

e delle comunicazioni in tempo reale è soprattutto: “mcMondo” o<br />

“jihad” Si tratta <strong>di</strong> un interrogativo che ha dato origine anche ad<br />

agguerrite teorie contrapposte 16 .<br />

In altre parole, le prospettive che si confrontano e che hanno una<br />

loro ricaduta anche nell’immaginario collettivo, annunciano, da<br />

un lato, la monocultura e la omogeneizzazione del pianeta, dall’altro<br />

paventano – proprio per questo – fratture ad ogni livello, sociale,<br />

culturale, economico, religioso ecc. e quin<strong>di</strong> la jiahd come possibilità<br />

reale del pianeta della comunicazione globalizzata 17 .<br />

15<br />

Cfr. soprattutto J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino,<br />

Bologna 1986; poi anche Id., Il <strong>di</strong>scorso filosofico della modernità, Laterza, Roma-<br />

Bari 1987; e Id., Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari 1998<br />

16<br />

Cfr. per queste teorie K. Kumar, Le nuove teorie del mondo contemporaneo,<br />

Einau<strong>di</strong>, Torino 2000<br />

17<br />

Ve<strong>di</strong> per esempio le tesi molto <strong>di</strong>scusse <strong>di</strong> S. Huntington in The Clash of<br />

Civilizations, Cambridge 1996; anche G. Ritzer, Il mondo alla McDonald, Il Mulino,<br />

Bologna 1997<br />

– 65


Occorre proprio rassegnarsi a queste prospettive entrambi pessimistiche<br />

O forse è il caso <strong>di</strong> considerare che fin dall’inizio della storia<br />

degli scambi nel mondo, anche i modelli culturali e istituzionali <strong>di</strong>ffusi<br />

dalle potenze egemoni hanno sempre incontrato popoli e culture<br />

che hanno opposto resistenza all’annessione, che sono stati contaminati,<br />

che si sono assimilati e che, spesso, è vero, sono anche scomparsi.<br />

In questi crogioli culturali, però, si sono prodotti anche i<br />

sincretismi o, meglio, le contaminazioni reciproche. Si è verificato<br />

spesso una specie <strong>di</strong> riappropriazione degli elementi delle culture<br />

egemoni da parte <strong>di</strong> altri popoli e culture fino a dare origine a<br />

realtà nuove e creative. Questa riappropriazione è un elemento centrale<br />

<strong>di</strong> ciò che viene chiamato “meticciato”, una <strong>di</strong>mensione, oggi,<br />

considerata una reale possibilità, e, spesso, fatta oggetto <strong>di</strong> analisi a<br />

proposito della globalizzazione culturale 18 .<br />

Da tale punto <strong>di</strong> vista, molti analisti insistono spesso sui rapporti<br />

complessi che si intrecciano tra “globale” e “locale”, ponendosi<br />

in modo <strong>di</strong>ssonante sia con l’idea, spesso proposta, della fatalità<br />

della monocultura, sia con l’altra, opposta ma altrettanto angosciante,<br />

dell’inevitabile scontro delle civiltà. In altre parole, la frammentazione<br />

e la globalizzazione andrebbero viste non in modo statico ma piuttosto<br />

come una coppia in tensione, all’interno della quale si gioca continuamente<br />

la scomposizione- ricomposizione delle identità sociali<br />

e culturali. 19<br />

Secondo molti antropologi l’intensificazione dei flussi culturali<br />

senza frontiere e la innegabile realtà <strong>di</strong> una tendenza alla globalizzazione<br />

della cultura, non portano necessariamente all’omogeneizzazione<br />

culturale del pianeta, ma certamente verso un mondo<br />

sempre più “meticciato”. Le nozioni <strong>di</strong> ibridazione e <strong>di</strong> “meticciato”<br />

rappresentano bene le ricombinazioni e i riciclaggi dei flussi culturali<br />

transnazionali presso le culture locali (anche da qui l’uso del<br />

termine “glo-cale” 20 per rappresentare questo asse <strong>di</strong>alettico).<br />

In breve le culture locali non spariscono necessariamente dalla<br />

carta del mondo, ma possono rielaborarsi integrando il moderno con<br />

18<br />

Per questo concetto e con riferimento anche alla questione religiosa cfr. il<br />

libro <strong>di</strong> J. Au<strong>di</strong>net, Il tempo del meticciato, Queriniana, Brescia 2001<br />

19<br />

Ve<strong>di</strong> A. Mattelart, La comunicazione globale, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1998,<br />

p.123<br />

20<br />

Cfr. U. Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carocci, Roma 2001<br />

66 –


la tra<strong>di</strong>zione, e stabilire nuove basi anche per le proprie industrie<br />

culturali e per la propria capacità <strong>di</strong> creazione. 21<br />

È sempre più vero, in fin dei conti, che ogni in<strong>di</strong>viduo, nel mondo<br />

della comunicazione globalizzata, prende coscienza <strong>di</strong> appartenere<br />

al mondo. Tutti si sentono contemporanei con tutti, ma in un quadro<br />

<strong>di</strong> pluralità.<br />

Per questo oggi occorre piuttosto allenarsi a pensare contemporaneamente<br />

l’unicità del pianeta e la <strong>di</strong>versità dei mon<strong>di</strong> che lo<br />

costituiscono. 22 Può essere utile, per questo, l’utilizzo <strong>di</strong> una categoria,<br />

introdotta dall’antropologo M. Augé, e idonea a rappresentare una<br />

<strong>di</strong>mensione peculiare della nostra esperienza contemporanea, cioè<br />

quella dei “non-luoghi”, spazi esclusivamente <strong>di</strong> passaggio (autostrade,<br />

rotte aeree), <strong>di</strong> consumo (ipermercati) e <strong>di</strong> comunicazione (telefoni,<br />

fax, televisione, reti telematiche). In questi “non-luoghi” si coesiste,<br />

si coabita senza vivere insieme. Questi non-luoghi dell’esperienza,<br />

contribuendo a far ripensare anche l’appartenenza senza annullarla,<br />

fanno nascere atteggiamenti psicologici e forme <strong>di</strong>verse <strong>di</strong> rapporti<br />

tra la gente, per cui la grande metropoli virtuale o<strong>di</strong>erna può<br />

essere vista come “punto centrale, nodo <strong>di</strong> relazioni, <strong>di</strong> emissione e <strong>di</strong><br />

assorbimento nel vasto intreccio che oggi è il pianeta”.<br />

È vero, però, che una prospettiva del genere, pur interessante ed<br />

efficace, non dovrebbe comportare, in modo acritico, la rinuncia a<br />

una lettura attenta dei rapporti tra le culture, che spesso sono <strong>di</strong><br />

subor<strong>di</strong>nazione <strong>di</strong> alcune ad altre, né dovrebbe, semplicisticamente,<br />

annunciare l’avvento del consumatore sovrano, che naviga nell’universo<br />

della cultura globale senza altro limite che la propria libera<br />

scelta. In realtà, se si eliminano dal campo dell’analisi dei fenomeni<br />

della comunicazione contemporanea i rapporti <strong>di</strong> forza e le <strong>di</strong>namiche<br />

socio-economiche, si perde la possibilità <strong>di</strong> comprensione<br />

realistica del mondo globalizzato e rimane spazio solo per una lettura<br />

superficiale e/o un super relativismo culturale che alla fine si<br />

rivelerebbe anche rischioso per la stessa crescita della convivenza e<br />

della comunicazione umana.<br />

Qui si comprende come le questioni relative alle comunicazioni,<br />

in un mondo globalizzato, siano anche, necessariamente, una questione<br />

politica.<br />

21<br />

Interessante sottolineare fenomeni come l’affermazione dell’industria televisiva<br />

e della fiction brasiliana o in<strong>di</strong>ana.<br />

22<br />

Ve<strong>di</strong> M. Augé, Non luoghi. Introduzione a un’antropologia della sur-modernità,<br />

Milano, Eleuthera, 1996<br />

– 67


Tuttavia, sembra che, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> rituali o logori episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica<br />

tra partiti o gruppi <strong>di</strong> potere, la maggioranza delle organizzazioni<br />

politiche e sociali esiti ancora a farsi carico in modo organico ed<br />

efficace dei problemi dei me<strong>di</strong>a e dell’informazione oggi. Basta pensare,<br />

tralasciando dolenti esempi relativi alla situazione italiana attuale,<br />

al fatto che anche gli organizzatori del primo vertice del G7,<br />

de<strong>di</strong>cato all’informazione planetaria, quello del 1995, non vollero<br />

inserire nell’or<strong>di</strong>ne del giorno il tema dei “contenuti” cioè delle <strong>di</strong>versità<br />

culturali, perché ritenuto “troppo polemico”! Su questo versante,<br />

bisogna <strong>di</strong>re che sono soprattutto le cosiddette organizzazioni<br />

non governative quelle più attente, efficaci e capaci <strong>di</strong> trasformare<br />

la loro battaglia in evento pubblico. E forse è a questo livello che<br />

occorre anche immaginare un ruolo più attivo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui, organizzazioni,<br />

Chiese ecc.<br />

È vero che non è facile farsi carico della effettiva rilevanza politica<br />

del problema delle comunicazioni oggi, ma è senz’altro evidente<br />

che le modalità della comunicazione attuale mo<strong>di</strong>ficano i termini e il<br />

contesto della vita politica e democratica. Per cui senza una lucida e<br />

<strong>di</strong>ffusa consapevolezza delle <strong>di</strong>namiche ra<strong>di</strong>calmente nuove della<br />

comunicazione globale <strong>di</strong>fficilmente si arriverà a porre correttamente<br />

le questioni in campo.<br />

E allora forse si potrebbe favorire la nuova consapevolezza cominciando,<br />

da un lato, con l’approntare con<strong>di</strong>zioni che aiutino i citta<strong>di</strong>ni<br />

a riconciliarsi con il mondo della tecnica, per molti ancora<br />

in gran parte estraneo (e questo in tutti gli ambienti da quello politico<br />

a quello produttivo, da quello della cultura a quello delle Chiese),<br />

dall’altro, inventando un “nuovo insieme <strong>di</strong> riferimenti per aprire la<br />

strada a una riappropriazione e riclassificazione simbolica degli<br />

strumenti <strong>di</strong> comunicazione e <strong>di</strong> informazione, al <strong>di</strong> fuori delle<br />

logiche martellanti del marketing”, come auspicava F. Guattari 23 alcuni<br />

anni fa.<br />

Non è meno urgente, infine, orientare la presa <strong>di</strong> coscienza del<br />

citta<strong>di</strong>no, al <strong>di</strong> là anche della padronanza in<strong>di</strong>viduale degli strumenti<br />

multime<strong>di</strong>ali, perché egli sia capace <strong>di</strong> arrivare al livello dove si decide<br />

l’architettura dei sistemi <strong>di</strong> comunicazione. Infatti è a quel<br />

livello che si pongono i problemi più seri e le possibilità più reali per<br />

una ridefinizione della libertà e della democrazia. Poiché, se è<br />

vero che non possiamo chiedere alla tecnica <strong>di</strong> salvare il mondo, non<br />

23<br />

Citato in A. Mattelart, La comunicazione globale, cit., p. 136; ve<strong>di</strong> anche F.<br />

Guattari, Caosmosi, Costa & <strong>Nola</strong>n, Genova 1996<br />

68 –


è meno vero che, oggi, le tecnologie della comunicazione e il loro<br />

controllo rappresentano elementi decisivi anche per la ridefinizione<br />

del contratto sociale e delle istituzioni, tanto sul piano locale che su<br />

scala mon<strong>di</strong>ale.<br />

COMUNICAZIONE GLOBALE E PROBLEMI DELLA DEMOCRAZIA<br />

Ma quali opportunità vengono dalla società della comunicazione<br />

globalizzata per affrontare i nuovi problemi della convivenza civile<br />

e della democrazia<br />

Sicuramente alcune questioni possono ricevere nuova luce in un<br />

contesto <strong>di</strong> rete globale anche se molte questioni relative alle modalità<br />

della democrazia e all’esercizio dei <strong>di</strong>ritti all’autogoverno hanno<br />

sicuramente ancora bisogno <strong>di</strong> analisi, proposte e soluzioni, in un<br />

contesto postnazionale e globalizzato.<br />

Ma, anche senza pretendere <strong>di</strong> proporre compiute analisi <strong>di</strong> filosofia<br />

o scienza politica, proviamo a evidenziare alcuni dei problemi<br />

aperti della convivenza democratica sui quali spesso gli stu<strong>di</strong>osi ritornano.<br />

Lo faremo seguendo le in<strong>di</strong>cazioni soprattutto <strong>di</strong> C. Castoria<strong>di</strong>s 24<br />

e R. Dahl. 25<br />

Secondo questi autori è fondamentale, oggi, ripensare e chiarire,<br />

prima <strong>di</strong> tutto, cosa bisogna intendere per democrazia, se si vogliono<br />

affrontare i problemi che nella società dell’ informazione vengono<br />

in primo piano.<br />

Se la democrazia è, soprattutto, come scrive Castoria<strong>di</strong>s, un regime<br />

dell’autonomia e dell’autolimitazione, un potere che non accetta<br />

<strong>di</strong> essere limitato dall’esterno (al <strong>di</strong> la dei limiti naturali); se è<br />

un potere autoistituente: cioè un regime che si autoistituisce esplicitamente<br />

in modo permanente, o, come ritiene R. Dahl, se la democrazia<br />

è, prima <strong>di</strong> tutto, il <strong>di</strong>ritto all’autogoverno, allora è anche vero<br />

che in una società siffatta nessuno può volere l’autonomia per se<br />

stesso senza volerla per tutti.<br />

Ma, poiché si parla <strong>di</strong> una collettività e una collettività non può<br />

vivere senza leggi, nessuno è effettivamente autonomo, cioè libero,<br />

se non ha l’effettiva possibilità <strong>di</strong> partecipare alla determinazio-<br />

24<br />

C. Castoria<strong>di</strong>s, La rivoluzione democratica, Elèuthera, Milano 2001<br />

25<br />

Ve<strong>di</strong> R. Dahl, Democrazia o tecnocrazia, Il Mulino, Bologna1987; Id.,<br />

Politica e virtù. La teoria democratica nel nuovo secolo, Laterza, Roma-Bari, 2001<br />

– 69


ne <strong>di</strong> quelle leggi. Soprattutto in questo sta il significato dell’uguaglianza<br />

in una società democratica. Libertà e uguaglianza si reclamano<br />

l’un l’altra.<br />

A rigore <strong>di</strong> termini, uguaglianza significa quin<strong>di</strong>: uguale possibilità<br />

per tutti, possibilità effettiva e non teorica, <strong>di</strong> partecipare al<br />

potere.<br />

Non si tratta soltanto <strong>di</strong> entrare nella cabina elettorale, si tratta<br />

anche, per esempio, <strong>di</strong> essere informato, e informato come chiunque<br />

altro, su ciò che deve essere deciso, e contribuire a deciderlo. È<br />

da qui che occorre partire se si vuole onestamente e concretamente<br />

tentare <strong>di</strong> coniugare mondo della comunicazione globale con le libertà<br />

e la democrazia.<br />

Oggi non basta più richiamarsi al voto e al consenso elettorale<br />

per legittimare democraticamente il proprio potere! E non credo debba<br />

essere necessario, a tale proposito, richiamare la lezione <strong>di</strong><br />

Tocqueville!<br />

La democrazia può infatti essere, anche, definita come il “<strong>di</strong>venire<br />

realmente pubblica della sfera, cosiddetta, pubblica/pubblica”,<br />

il luogo cioè in cui si delibera e si decide degli affari comuni,<br />

sfera che negli altri regimi è <strong>di</strong> fatto più o meno privata.<br />

E proprio qui nasce una delle questioni aperte della democrazia<br />

d’oggi che, in un contesto <strong>di</strong> rete globale, potrebbe ricevere qualche<br />

contributo alla soluzione.<br />

Infatti, non è solo nel cosiddetto “antico regime” o sotto il totalitarismo<br />

dell’apparato del Partito che il “pubblico” politico è affare<br />

privato del monarca; in realtà, una delle ragioni per cui <strong>di</strong>venta sempre<br />

più problematico parlare <strong>di</strong> democrazia nella nostra società attuale<br />

è proprio il fatto che, oggi, sempre più spesso, la sfera “pubblica”<br />

sembra <strong>di</strong>ventare, in realtà, “privata”.<br />

Lo è, prima <strong>di</strong> tutto, nel senso che le vere decisioni sono prese a<br />

porte chiuse, nei corridoi o nei luoghi <strong>di</strong> incontro dei “governanti” <strong>di</strong><br />

turno. È <strong>di</strong>ventato, infatti, quasi un luogo comune ritenere che le<br />

decisioni che contano non sono prese nei luoghi ufficiali in cui si<br />

presume che vengano prese; quando arrivano davanti ai Consigli dei<br />

ministri o alle Camere dei Deputati, i giochi sono già fatti.<br />

Inoltre anche le motivazioni ( le vere motivazioni) sono spesso<br />

segrete, e, nella maggioranza dei casi, accedervi è vietato legalmente.<br />

Nei vari paesi europei per esempio, il termine temporale per accedere<br />

agli archivi pubblici è <strong>di</strong> venti, trenta o cinquanta anni. Ma<br />

anche un mese, in ogni caso, sarebbe sufficiente per quello che qui si<br />

vuol <strong>di</strong>mostrare. Aspettate cinquanta o trent’anni e saprete perché<br />

70 –


vostro fratello o vostro figlio sono stati ammazzati in guerra. Sarebbe<br />

questa la democrazia O bisognerebbe parlare <strong>di</strong> oligarchia politica<br />

Sembra questo il “tallone d’Achille” delle democrazie in una<br />

società sempre più complessa e globalizzata come quella attuale.<br />

Che la sfera pubblica/pubblica <strong>di</strong>venti veramente tale implica,<br />

ovviamente, che la collettività e i poteri pubblici siano tenuti a informare<br />

realmente i citta<strong>di</strong>ni su tutto ciò che riguarda le decisioni da<br />

prendere, e che è loro necessario per poterle prendere con cognizione<br />

<strong>di</strong> causa.<br />

Si capisce bene come non si insista mai a sufficienza sia sulla<br />

necessità, oggi, <strong>di</strong> una reale molteplicità delle fonti <strong>di</strong> informazione,<br />

sia sul ruolo fondamentale della <strong>di</strong>ffusione delle informazioni<br />

pertinenti, affinché le decisioni siano prese con cognizione <strong>di</strong> causa,<br />

sia sul carattere essenzialmente politico (e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> servizio pubblico<br />

e quin<strong>di</strong> implicante responsabilità e obbligo <strong>di</strong> rendere conto –<br />

non soltanto attraverso il momento elettorale) delle funzioni <strong>di</strong> raccolta<br />

e <strong>di</strong>ffusione delle informazioni.<br />

È altrettanto ovvio come la soluzione <strong>di</strong> questi problemi non solo<br />

richieda la possibilità per tutti <strong>di</strong> accesso all’informazione ma<br />

implichi altre due con<strong>di</strong>zioni e cioè, da un lato, la capacità effettiva,<br />

per tutti, <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care (si pone perciò anche la questione dell’educazione<br />

e della scuola), dall’altro, il tempo necessario per l’informazione<br />

e la riflessione (e quin<strong>di</strong> la questione del lavoro, della produzione<br />

e dell’economia).<br />

Come si vede, nel mondo globalizzato, anche le varie questioni<br />

della convivenza democratica sono molto più inter<strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> quanto,<br />

<strong>di</strong> solito, si pensi. Ma forse, affrontare una buona volta queste<br />

questioni, può essere anche la strada per contribuire a ridurre quei<br />

sentimenti <strong>di</strong> ansia, paura e angoscia, <strong>di</strong> cui si è detto sopra, e che si<br />

accompagnano spesso, anche con fenomeni, che si potrebbero considerare<br />

<strong>di</strong> nevrosi collettiva, quali l’emergere <strong>di</strong> movimenti<br />

integralistici, xenofobi e populistici, ai processi della globalizzazione.<br />

La realtà effettiva dell’informazione e delle comunicazioni, però,<br />

è molto <strong>di</strong>stante da quella ideale: basta considerare, infatti, che la<br />

maggior parte delle informazioni offerte dalle parti in causa, per<br />

esempio durante le competizioni elettorali, è fortemente influenzata<br />

e manipolata, soprattutto nei contesti, come quello italiano, in<br />

cui, in sostanza, l’informazione vive in assenza <strong>di</strong> vero pluralismo e<br />

in regime <strong>di</strong> quasi monopolio.<br />

È vero che la gente istruita può giungere con una ricerca ostinata<br />

a una conoscenza che si avvicina alla migliore possibile. Molte<br />

– 71


persone istruite però non fanno così, mentre i citta<strong>di</strong>ni con minor<br />

istruzione si basano spesso su informazioni del tutto inadeguate.<br />

Come è possibile allora dar vita a un corpo <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni capaci <strong>di</strong><br />

produrre giu<strong>di</strong>zi adeguatamente illuminati sugli stessi problemi pubblici<br />

o sui termini in cui poter delegare ad altri senza preoccupazione<br />

l’autorità <strong>di</strong> prendere le decisioni.<br />

È possibile utilizzare la tecnologia per incrementare il numero<br />

<strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni politicamente competenti Sembra che il mondo delle<br />

comunicazioni globali renda possibile quello che, finora, sarebbe stato<br />

<strong>di</strong>fficilmente attuabile. Sembra cioè che nel contesto delle comunicazione<br />

globali sia possibile porre in termini nuovi e più possibilistici<br />

la questione della democrazia.<br />

Secondo R. Dahl è possibile, nel contesto della rete globale, proporsi<br />

almeno tre fondamentali obiettivi per ogni democrazia e cioè:<br />

• fare in modo che le informazioni relative ai problemi politici all’or<strong>di</strong>ne<br />

del giorno siano anche facilmente e completamente accessibili<br />

a tutti i citta<strong>di</strong>ni<br />

• creare per tutti i citta<strong>di</strong>ni delle opportunità facilmente realizzabili e<br />

totalmente accessibili per influenzare le informazioni per la compilazione<br />

dell’or<strong>di</strong>ne del giorno, <strong>di</strong> ciò che talora si chiama “agenda<br />

politica” e per prendere parte in modo adeguato alle <strong>di</strong>scussioni<br />

politiche<br />

• fare in modo <strong>di</strong> avere un corpo <strong>di</strong> opinione pubblica molto ben<br />

informato che sia rappresentativo dell’intero corpo citta<strong>di</strong>no 26 .<br />

Rendere possibile ai citta<strong>di</strong>ni una influenza più <strong>di</strong>retta non su<br />

finte questioni ma sull’or<strong>di</strong>ne del giorno della politica potrebbe<br />

essere consentito proprio dal carattere interattivo della tecnologia<br />

dell’informazione. Anche se ci sarebbero, è vero, dei problemi pratici,<br />

non sarebbero, però, insuperabili.<br />

“Il problema oggi, scrive Dahl, è come rivitalizzare la speranza<br />

che l’antica visione, ormai vecchia <strong>di</strong> 25 secoli, del popolo che si<br />

autogoverna me<strong>di</strong>ante il processo democratico e che possiede tutte<br />

le risorse e le istituzioni necessarie per reggersi con saggezza, possa<br />

essere riadattata ancora una volta, come è già successo in passato,<br />

ad un mondo sempre più <strong>di</strong>verso da quello in cui una tale visione<br />

delle cose venne messa in pratica per la prima volta” 27 .<br />

26<br />

Cfr R. Dahl, Democrazia o tecnocrazia, Il Mulino, Bologna1987, p. 107<br />

27<br />

Ibid., p. 123<br />

72 –


Ma a partire da quali caratteri della comunicazione telematica è<br />

possibile pensare a con<strong>di</strong>zioni per una nuova esperienza della democrazia<br />

VERSO UNA NUOVA CITTADINANZA<br />

Da anni, lo abbiamo già sottolineato, ai termini elettronica, informatica,<br />

telematica è stato strettamente associato quello <strong>di</strong> rivoluzione.<br />

Ma questa rivoluzione non si è fermata alle sfere della vita<br />

privata o della produzione: ha investito anche la sfera pubblica, le<br />

istituzioni, la politica e i suoi processi. Ogni ambito della vita associata<br />

è stato invaso e viene dominato dalla potenza dell’informazione<br />

e della comunicazione.<br />

È una situazione questa che costringe a prendere atto dell’inadeguatezza<br />

della tra<strong>di</strong>zione del pensiero politico occidentale. Sembra,<br />

infatti, che il consenso non si crei più attraverso la me<strong>di</strong>azione<br />

delle forme rappresentative e la <strong>di</strong>scussione pubblica, ma attraverso<br />

la tentata “cattura” <strong>di</strong> un’enorme platea me<strong>di</strong>atica: tecniche <strong>di</strong><br />

marketing aziendale si fanno tecnica politica. Anche attraverso<br />

tali modalità si manifesta la tendenza, sopra richiamata, per cui la<br />

sfera pubblica sembra <strong>di</strong>ventare privata, quasi una questione <strong>di</strong> poteri<br />

<strong>di</strong> mercato. In tal modo, la società dell’informazione fornisce <strong>di</strong> sé<br />

una rappresentazione virtuale, che la fa ritenere libera, o liberata, dal<br />

sistema politico, dalla coazione alla forma della rappresentanza sovrana<br />

che la politica moderna aveva pensato 28 . Anzi a qualcuno sembra<br />

che alla volontà generale, costruzione me<strong>di</strong>ata dell’uno attraverso<br />

i singoli secondo il processo della sovranità rappresentativa, si<br />

possa ad<strong>di</strong>rittura contrapporre, nel contesto della società me<strong>di</strong>atica,<br />

un “general intellect” come sfera pubblica non statuale” 29 .<br />

Anche se gli strumenti concettuali <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sponiamo sono ancora<br />

inadeguati per una compiuta e organica riflessione su queste questioni<br />

(e del resto non è questa la sede per questa analisi), ce n’è<br />

abbastanza per pensare che ciò che oggi sta avvenendo riguarda comunque<br />

anche il modo in cui ciascuno può essere citta<strong>di</strong>no.<br />

È a partire da qui che occorre cercare delle linee che <strong>di</strong>ano un<br />

senso alla nostra esperienza <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni nel contesto della rivoluzione<br />

telematica.<br />

28<br />

Cfr. M. L. Lanzillo, Rappresentanza, in Lessico post-for<strong>di</strong>sta, cit., p. 238<br />

29<br />

Ve<strong>di</strong> P. Virno, Mondanità. L’idea <strong>di</strong> “mondo” tra esperienza sensibile e<br />

sfera pubblica, manifestolibri, Roma 1994<br />

– 73


Per comprendere, almeno in parte, il modo in cui la sfera pubblica<br />

sta cambiando, è in<strong>di</strong>spensabile considerare un insieme <strong>di</strong><br />

mezzi, che sinteticamente si possono in<strong>di</strong>care con il termine tecnopolitica<br />

e che operano in forme sempre più intrecciate: la televisione<br />

(via etere, cavo, satellite), le reti telematiche, i personal computer,<br />

il telefono, i sondaggi, il marketing politico, la consultazione <strong>di</strong><br />

gruppi appositamente selezionati. Ora, nel momento in cui la politica<br />

e la democrazia si presentano con le forme della tecnopolitica,<br />

<strong>di</strong>venta necessario esaminare un nuovo concetto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza: la<br />

citta<strong>di</strong>nanza elettronica 30 .<br />

Il concetto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza elettronica, in questa prospettiva, non<br />

riguarda soltanto le nuove modalità d’azione dei citta<strong>di</strong>ni, e la necessità<br />

<strong>di</strong> realizzarle pienamente e per tutti. Deve essere riferito,<br />

come si è detto, anche a una realtà completamente nuova, che riguarda<br />

la possibilità <strong>di</strong> far nascere sulle reti veri e propri soggetti<br />

collettivi elettronici, profondamente <strong>di</strong>versi per natura, organizzazione<br />

e modalità <strong>di</strong> funzionamento dai soggetti collettivi che abbiamo<br />

finora conosciuto, perché liberi da ogni vincolo spaziale e temporale.<br />

In un certo senso, siamo in presenza <strong>di</strong> vere e proprie comunità<br />

virtuali. In una situazione <strong>di</strong> crisi dei tra<strong>di</strong>zionali soggetti politici<br />

(partiti, sindacati) non può essere trascurata questa nuova frontiera<br />

dell’organizzazione sociale, anche se non può essere ignorato<br />

il rischio <strong>di</strong> un conflitto tra comunità virtuale, che utilizza il tempo<br />

mon<strong>di</strong>ale delle telecomunicazioni, e comunità reale, che utilizza il<br />

tempo locale delle attività imme<strong>di</strong>ate. Il costante riferimento al problema<br />

delle reti, quin<strong>di</strong>, consente <strong>di</strong> identificare più analiticamente<br />

una delle caratteristiche della comunicazione elettronica, destinata<br />

ad influenzare <strong>di</strong>rettamente le modalità della citta<strong>di</strong>nanza.<br />

Finora, lo abbiamo già sottolineato, ci siamo trovati quasi esclusivamente<br />

in presenza <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> comunicazione verticale (o<br />

uni<strong>di</strong>rezionale), legate al modello della televisione via etere, e, sostanzialmente<br />

questo modello uni<strong>di</strong>rezionale è stato prevalente anche<br />

nella comunicazione politica. In un modello del genere, la <strong>di</strong>mensione<br />

del citta<strong>di</strong>no è cancellata dalla figura dello spettatore.<br />

Un’ autorità lontana e incontrollabile sceglie momenti, modalità e<br />

linguaggi della comunicazione. Lontani e tra loro separati, i citta<strong>di</strong>ni<br />

assistono passivamente. Questo non significa necessariamente che<br />

il loro assistere sia privo <strong>di</strong> capacità critica o <strong>di</strong> possibilità <strong>di</strong> reazione:<br />

vuol <strong>di</strong>re che non sono in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> intervenire attivamen-<br />

30<br />

Cfr., S. Rodotà, Verso una nuova citta<strong>di</strong>nanza, in Telèma 1/1995<br />

74 –


te nel processo comunicativo che, per questo suo connotato, si presenta<br />

come intimamente autoritario 31 .<br />

Diversa sarebbe la con<strong>di</strong>zione del citta<strong>di</strong>no che ha la possibilità<br />

<strong>di</strong> servirsi <strong>di</strong> una rete, dunque <strong>di</strong> una forma <strong>di</strong> comunicazione che è<br />

non solo orizzontale (o bi<strong>di</strong>rezionale) ma reticolare (o circolare). In<br />

questo caso “esistono molti mittenti e molti destinatari, che possono<br />

scambiarsi <strong>di</strong> ruolo. Ma ciascun agente comunicativo è in grado <strong>di</strong><br />

comunicare con molti altri. Nella comunicazione reticolare infatti si<br />

realizza una interazione collettiva” 32 . Qui non esistono posizioni<br />

<strong>di</strong> supremazia, agende prestabilite, tempi <strong>di</strong> parola imposti.<br />

Una volta riconosciute le modalità <strong>di</strong> accesso nelle forme prima<br />

ricordate, tutti i citta<strong>di</strong>ni si trovano in posizioni paritarie, possono<br />

<strong>di</strong>ventare protagonisti attivi della comunicazione, e questa assume<br />

inequivocabili tratti democratici.<br />

Anche senza voler apparire prigionieri della retorica delle reti,<br />

che in<strong>di</strong>ca in Internet il modello che ci riscatterà da tutti i mali del<br />

mondo, contrapponendo schematicamente la televisione via etere e<br />

le reti telematiche, qui si intende solo mostrare come nell’ambito<br />

delle tecnologie elettroniche siano presenti forme <strong>di</strong>verse <strong>di</strong> comunicazione,<br />

tra loro profondamente <strong>di</strong>verse per protagonisti e effetti.<br />

Tra l’altro, riflettendo sul problema delle reti e sul ruolo che in<br />

esse possono assumere i citta<strong>di</strong>ni, si può anche chiarire un altro tema<br />

oggi assai enfatizzato riguardo alle tecnologie interattive. Considerata<br />

nella <strong>di</strong>mensione della citta<strong>di</strong>nanza, l’interattività viene assai<br />

spesso presentata come la possibilità <strong>di</strong> continui referendum elettronici,<br />

<strong>di</strong> una democrazia rattrappita in un eterno gioco <strong>di</strong> domande e<br />

risposte che, in realtà, non mo<strong>di</strong>ficherebbe la possibilità <strong>di</strong> partecipazione<br />

al potere del citta<strong>di</strong>no. La suggestione populista, versione<br />

volgarizzata dell’attenzione alle nuove tecnologie, che oggi sembra<br />

esercitare molto fascino, non può nascondere l’impoverimento della<br />

democrazia che tutto questo comporterebbe.<br />

La logica vera della rete è invece assai lontana dallo schema<br />

del sì e del no, da un uso dell’elettronica che si limita a <strong>di</strong>latare smisuratamente<br />

la <strong>di</strong>mensione del sondaggio. L’interattività, infatti, si<br />

pone all’origine <strong>di</strong> nuovi e <strong>di</strong>versi processi comunicativi.<br />

In generale, si può <strong>di</strong>re che, all’interno del più vasto campo dei<br />

new me<strong>di</strong>a, ossia dei mezzi <strong>di</strong> comunicazione fecondati dall’infor-<br />

31<br />

Per questi problemi, D. McQuail, I me<strong>di</strong>a in democrazia. Comunicazioni <strong>di</strong><br />

massa e interesse pubblico, Il Mulino, Bologna 1995<br />

32<br />

F. Ciotti – G. Roncaglia, cit., p.300<br />

– 75


matica, le reti occupano un posto privilegiato proprio perché mettono<br />

in questione le forme tra<strong>di</strong>zionali della citta<strong>di</strong>nanza 33 , aprendo<br />

nuove e impensate opportunità.<br />

Perciò, contrariamente a quanto spesso si pensa, i rapporti fra<br />

i comportamenti dei singoli e la esplosiva crescita delle tecnologie<br />

dell’informazione non vanno necessariamente nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> fare<br />

<strong>di</strong> noi singoli citta<strong>di</strong>ni, progressivamente, dei prigionieri dei processi<br />

e degli apparati <strong>di</strong> un più o meno esplicito “grande fratello”<br />

informatico e telematico. Sembra anzi che la molecolarità dei soggetti<br />

e dei comportamenti debba vincere sul totalitarismo invasivo<br />

degli strumenti: basta pensare a quanto sia personalizzato l’uso<br />

delle carte <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, il consumismo dei cellulari telefonici, la navigazione<br />

un po’ solipsistica in Internet. E’ il singolo che riduce<br />

alla propria <strong>di</strong>mensione la grande tecnologia, e non il contrario.<br />

Quali effetti ciò potrà avere per le <strong>di</strong>namiche della democrazia e<br />

del potere<br />

DAL CONFRONTO MEDIATICO ALLA CYBERDEMOCRAZIA<br />

Secondo Pierre Levy la rete globale, la cosiddetta onnivisione, o<br />

la trasparenza <strong>di</strong>gitale, <strong>di</strong>venterà la base <strong>di</strong> una cyberdemocrazia<br />

ancora <strong>di</strong>fficilmente immaginabile 34 .<br />

Infatti, anche se in teoria esiste il rischio ( pensiamo per esempio<br />

al caso <strong>di</strong> Echelon un sistema ultrasegreto che però ora attraverso<br />

internet è conosciuto nei minimi dettagli dal grande pubblico 35 ), non<br />

è il caso tuttavia <strong>di</strong> temere una nuova forma <strong>di</strong> totalitarismo perché<br />

la trasparenza generalizzata, verso la quale ci stiamo <strong>di</strong>rigendo, ha<br />

la tendenza a <strong>di</strong>venire simmetrica. In altre parole, la logica della<br />

rete globale tende a far sì che la libertà <strong>di</strong> espressione e l’accesso<br />

all’informazione aumentino per tutti e non soltanto per gli Stati e<br />

per le gran<strong>di</strong> imprese. Questa, probabilmente, è una considerazione<br />

che ci può far guardare con meno sospetto e timore alla<br />

globalizzazione telematica.<br />

33<br />

Ve<strong>di</strong> per queste questioni, G. Bettetini e F. Colombo, Le nuove tecnologie<br />

della comunicazione, Bompiani, Milano 1994<br />

34<br />

Pierre Levy, Dal confronto me<strong>di</strong>atico alla cyberdemocrazia, in Problemi<br />

dell’informazione/ a. XXVI, n. 2-3, 2001, p.244<br />

35<br />

Ve<strong>di</strong> sito http://www. Wdnet.co.uk.news/specials/2000/06/echelon e inoltre<br />

http://www.aclu.org/echelonwatch/<br />

76 –


In realtà, in termini <strong>di</strong> comunicazione, il potere autoritario si<br />

definisce attraverso l’asimmetria della visibilità: in altre parole coloro<br />

che sono dominati sono trasparenti mentre il centro del potere<br />

resta opaco. Inoltre il totalitarismo si contrad<strong>di</strong>stingue anche per il<br />

carattere verticale e uni<strong>di</strong>rezionale del flusso <strong>di</strong> informazioni. Le<br />

informazioni salgono dalla popolazione, gli or<strong>di</strong>ni e la propaganda<br />

scendono dal potere.<br />

Il tipo <strong>di</strong> comunicazione, invece, reso possibile dal cyberspazio,<br />

è all’esatto opposto della configurazione totalitaria. Possiamo comprendere<br />

meglio ciò che qui si vuol <strong>di</strong>re riflettendo sulle considerazioni<br />

seguenti.<br />

Gli scandali finanziari o sessuali che colpiscono il mondo politico<br />

da molti anni in tutti i Paesi democratici, l’accanimento dei giu<strong>di</strong>ci,<br />

dei giornalisti e degli oppositori a caccia dei minimi errori, delle<br />

gaffes e goffaggini dei <strong>di</strong>rigenti, probabilmente, non sono prevalentemente<br />

il segno <strong>di</strong> una maggiore debolezza morale delle élites politiche,<br />

quanto piuttosto la spia dell’ascesa della volontà e della pratica<br />

della trasparenza democratica, resa possibile, in una modalità<br />

nuova, dalla rete globale. Certo è che questa trasparenza non potrà<br />

essere <strong>di</strong>ssociabile – nonostante qualunque volontà contraria, dalla<br />

libertà <strong>di</strong> stampa e dalla autonomia della giustizia 36 . In effetti, gli<br />

uomini politici sono probabilmente meno corrotti oggi rispetto a quanto<br />

lo erano in passato, solo che questa corruzione oggi è più visibile<br />

e lo sarà sempre <strong>di</strong> più, come qualunque altro aspetto dell’esercizio<br />

del potere.<br />

Dato che la libertà è protetta meglio dalla luce che dall’ombra,<br />

l’aumentata trasparenza permessa dagli strumenti del cyberspazio<br />

sembra, a molti analisti, uno dei fattori determinanti non solo della<br />

transizione dalla democrazia moderna alla cyberdemocrazia, ma<br />

anche della caduta delle <strong>di</strong>ttature alla vecchia maniera.<br />

Questo, beninteso, a con<strong>di</strong>zione che la trasparenza rimanga simmetrica<br />

e che, quin<strong>di</strong>, la rete si capillarizzi e rimanga globale.<br />

Quale <strong>di</strong>ttatura potrebbe resistere in un Paese in cui il 25%<br />

della popolazione ha accesso a internet<br />

36<br />

Il che in altri Paesi, per esempio gli USA, è considerato ovvio anche da parte<br />

<strong>di</strong> uomini politici potenti (ve<strong>di</strong> il caso dei Presidenti come Clinton); mentre <strong>di</strong>rigenti<br />

politici del nostro Paese, pur considerati esperti <strong>di</strong> comunicazione, sembrano,<br />

a quanto pare, non rendersene conto, agendo, in queste questioni, con una logica <strong>di</strong><br />

potere <strong>di</strong> altri tempi; che sia anche questo un segno dell’ arretratezza della nostra<br />

classe <strong>di</strong>rigente<br />

– 77


Nicholas Negroponte, il guru del Me<strong>di</strong>a Lab del MIT, ha sostenuto<br />

un’idea simile quando ha detto: “un sistema <strong>di</strong> comunicazione<br />

come Internet, con le sue possibilità <strong>di</strong> scambio estese e costanti,<br />

non può non avere effetti sui nostri rapporti sociali. Immaginate, per<br />

esempio, la convivenza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ttatura con la rete”. 37<br />

Internet, in altre parole, metterà sempre più in <strong>di</strong>scussione le situazioni<br />

<strong>di</strong> monopolio del potere <strong>di</strong> parola nei vecchi Paesi dell’Europa<br />

occidentale e nell’America del Nord. Ma offrirà, senz’altro,<br />

anche una boccata d’aria e presto probabilmente una capacità <strong>di</strong><br />

gridare e <strong>di</strong> esprimersi ai popoli che soffocano sotto il potere delle<br />

cricche <strong>di</strong>ttatoriali, in vari paesi del mondo. Nella prospettiva della<br />

cyberdemocrazia, l’effetto principale <strong>di</strong> internet è contribuire a indebolire<br />

le <strong>di</strong>ttature <strong>di</strong> ogni genere, che sono sempre essenzialmente<br />

mafiose, che esse si presentino sotto una luce nazionalista, xenofoba,<br />

populista, militare, “comunista”, integralista o altro. Come spiegare<br />

infatti l’opposizione a internet o il tentativo <strong>di</strong> controllarlo da parte<br />

<strong>di</strong> regimi come quello cinese o quelli integralisti musulmani<br />

Internet, con la sua apertura sul mondo e la libertà <strong>di</strong> espressione<br />

che le è propria, pone i gran<strong>di</strong> e i piccoli <strong>di</strong>ttatori in una situazione<br />

<strong>di</strong>fficile. Da una parte, infatti, essi sono costretti a promuovere internet<br />

e il commercio elettronico, pena l’accusa <strong>di</strong> produrre deliberatamente<br />

arretratezza e povertà. Dall’altra parte, essi pretendono <strong>di</strong> resistere<br />

con tutte le loro forze alla libertà <strong>di</strong> espressione che si accompagna<br />

naturalmente con il nuovo me<strong>di</strong>um. Ma come sarebbe possibile fabbricare<br />

un internet “puramente cinese” o “puramente tunisino” dove<br />

poter esercitare la censura<br />

In sostanza, tutte le <strong>di</strong>ttature sono destinate a cadere inesorabilmente<br />

al ritmo dell’espansione della cybercultura, come ha scritto P.<br />

Levy.<br />

Certo, l’idea <strong>di</strong> dare reale citta<strong>di</strong>nanza a chiunque, <strong>di</strong> parlare a<br />

molti e <strong>di</strong>venire, in qualche modo, partner <strong>di</strong> molti ai quali tante altre<br />

persone, singole o in gruppo, si possono rivolgere, è affascinante ed<br />

è un potente strumento <strong>di</strong> democrazia possibile, perché non c’è nessun<br />

monopolio dell’ informazione che alla fine non possa essere<br />

aggirato. Sta pure qui la novità della rete globale! Ed è anche questo<br />

aspetto che rende possibile ripensare i temi della libertà, della democrazia<br />

e della citta<strong>di</strong>nanza oggi.<br />

37<br />

Intervista con Negroponte in Cambiamento culturale e fede cristiana, (a<br />

cura del Servizio nazionale per il progetto culturale della CEI), ELLEDICI Leumann<br />

(Torino), 2000, p.16<br />

78 –


Infine, poiché la libertà e la pluralità delle voci, rese possibili<br />

dalla comunicazione globale, si nutrono anche della capacità, propria<br />

della rete, <strong>di</strong> educare alla ricerca, <strong>di</strong> insegnare un paziente processo<br />

<strong>di</strong> prova ed errore, <strong>di</strong> spingere alla con<strong>di</strong>visione e all’appartenenza<br />

collettiva dei percorsi fatti in comune, <strong>di</strong> creare nuove forme<br />

<strong>di</strong> relazione, enfatizzando l’importanza del comunicarsi ed ascoltarsi,<br />

non è un caso che si parli <strong>di</strong> “intelligenza collettiva” a proposito<br />

della modalità peculiare <strong>di</strong> crescita culturale nella rete. Forse non è<br />

utopistico pensare che - come ha scritto P. Levy - questa effettiva<br />

pluralità delle voci, resa possibile dalla comunicazione telematica<br />

globalizzata, pluralità che si incontra e si esprime attraverso una sorta<br />

<strong>di</strong> iperdocumento planetario, possa veramente dare origine a una<br />

forma <strong>di</strong> nuova “cultura mon<strong>di</strong>ale”, da intendersi non come una<br />

monocultura che neghi o emargini le <strong>di</strong>versità, ma piuttosto come<br />

una “tela” che viene continuamente tessuta insieme, consultata, guardata,<br />

commentata, ma anche alimentata, accresciuta e mo<strong>di</strong>ficata, in<br />

altre parole, come “una voce plurale”.<br />

La metafora continuamente incombente, oggi, del grande fratello,<br />

che domina e manipola l’informazione da un unico centro potrebbe,<br />

dunque, essere sostituita dalla frantumazione - non <strong>di</strong>spersione -<br />

dei luoghi della comunicazione, dando vita a una realtà senz’altro<br />

più democratica, anche sul piano della comunicazione culturale.<br />

Tutto questo non sembri solo utopia o aspirazione perché qualunque<br />

tentativo <strong>di</strong> negare l’abbondanza ininterrotta della conversazione<br />

plurale non resisterebbe - già oggi - al semplice esame della<br />

reale situazione come appare sul Web.<br />

Si tratta <strong>di</strong> uno scenario che occorre imparare ad abitare, uno<br />

scenario che costringe a ripensare forme <strong>di</strong> partecipazione e mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

fare comunicazione, uno scenario che forse renderà obsoleti tanti<br />

nostri mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere presenti sul piano pubblico. Uno scenario che<br />

offre maggiori possibilità <strong>di</strong> partecipazione e creatività, ma che moltiplica<br />

anche le responsabilità, depositandole su ciascun nodo della<br />

rete.<br />

– 79


80 –


LA CREDIBILITA’ DELLA RIVELAZIONE<br />

CARLO GRECO S.I. *<br />

1. LA RELIGIONE CRISTIANA COME RELIGIONE DI RIVELAZIONE<br />

La religione cristiana si definisce come religione rivelata, al fine<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>care in tal modo la propria origine, l’istanza su cui si fonda, il<br />

contenuto <strong>di</strong> ciò che annunzia, le ragioni della sua specificità.<br />

Naturalmente la rivelazione, come termine storico-religioso, non<br />

è esclusivo della religione cristiana. “La scienza delle religioni parla<br />

<strong>di</strong> religioni <strong>di</strong> rivelazione quando il centro vitale <strong>di</strong> una religione è<br />

determinato in maniera essenziale dall’azione esplicita <strong>di</strong> una <strong>di</strong>vinità,<br />

azione volta alla salvezza dell’uomo e del suo mondo” 1 .<br />

La caratterizzazione del cristianesimo come religione rivelata si<br />

afferma soprattutto nell’età moderna contro l’illuminismo, allo scopo<br />

<strong>di</strong> sottolinearne l’origine trascendente e la superiorità rispetto ad<br />

una religione fondata sulla semplice ragione naturale. Tuttavia, la<br />

convinzione dell’origine e del fondamento trascendente del cristianesimo<br />

fa già parte fin dall’inizio dalla confessione e dall’autocoscienza<br />

cristiana. Questa esiste solo perché è avvenuta la rivelazione<br />

<strong>di</strong> Dio nella storia d’lsraele e in Gesù Cristo. Già nel Nuovo Testamento<br />

il termine ‘rivelazione’ viene usato per delimitare e qualificare<br />

il messaggio cristiano in base alla sua origine e al suo contenuto.<br />

Paolo, per esempio, scrive <strong>di</strong> “non aver ricevuto né imparato il vangelo<br />

da uomini, ma per rivelazione <strong>di</strong> Gesù Cristo”(Gal 1,12), e che<br />

il contenuto del suo messaggio non è una “sapienza <strong>di</strong> questo mondo”,<br />

ma una “sapienza <strong>di</strong>vina” (1Cor 2,6 s.).<br />

Nel corso dell’epoca moderna il termine ‘rivelazione’ <strong>di</strong>viene<br />

una categoria teologica universale e trascendentale 2 : il concetto centrale<br />

dell’autocomprensione cristiana, con cui s’intende in<strong>di</strong>carne il<br />

fondamento ontologico, gnoseologico e legittimante. Sono stati soprattutto<br />

i due Concili, Vaticano I e Vaticano II, ad assegnare alla<br />

nozione <strong>di</strong> rivelazione una posizione teologica centrale e, in partico-<br />

* Relazione tenuta il 27 Marzo 2001.<br />

1<br />

J.SCHMITZ “Il cristianesimo come religione <strong>di</strong> rivelazione nella confessione<br />

della Chiesa” in Corso <strong>di</strong> Teologia Fondamentale, II, cit., 13-<strong>14</strong>.<br />

2<br />

H. FRIES, Teologia Fondamentale, Queriniana, Brescia 1987, 206.<br />

– 81


lare il Vat.II, de<strong>di</strong>cando ad essa un’intera costituzione, a promuovere<br />

tale categoria a concetto-base del cristianesimo. “La rivelazione o<br />

Parola <strong>di</strong> Dio all’umanità è la prima realtà cristiana, il primo fatto, il<br />

primo mistero, la prima categoria” 3 . Ogni economia <strong>di</strong> salvezza, nell’or<strong>di</strong>ne<br />

della conoscenza, si basa su questo mistero dell’autocomunicazione<br />

<strong>di</strong> Dio in una confidenza d’amore. E’ il mistero primor<strong>di</strong>ale,<br />

quello che ci comunica tutti gli altri, perché è la manifestazione<br />

del <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> salvezza pensato da Dio da tutta l’eternità e realizzato<br />

in Gesù Cristo (Ef 1,9-10; Rom 16, 25-27). Essa è fondamento<br />

dell’esistenza cristiana come fede, speranza e carità e della riflessione<br />

teologica in senso proprio.<br />

2. LA NECESSITÀ DELLA LEGITTIMAZIONE DELLA FEDE DERIVANTE<br />

DALLA RIVELAZIONE<br />

Questa pretesa del cristianesimo <strong>di</strong> essere una religione rivelata<br />

non è più capita dall’uomo moderno. Dall’epoca dell’illuminismo in<br />

poi l’uomo si è imposto come fondamento, centro e norma della propria<br />

condotta <strong>di</strong> vita, la ragione. Richiamarsi invece ad una rivelazione<br />

significa che almeno alcune nozioni importanti per l’orientamento<br />

e la condotta della vita non possono essere conosciute dall’uomo<br />

me<strong>di</strong>ante la ragione umana. Un tale richiamo a conoscenze<br />

non accessibili a tutti e comunicate in maniera straor<strong>di</strong>naria solo a<br />

pochi eletti, eppure riven<strong>di</strong>canti un carattere vincolante universale,<br />

sembra limitare indebitamente la competenza della ragione nello stabilire<br />

quale sia una condotta umana responsabile, <strong>di</strong>sturba la comunicazione<br />

tra esseri uguali e rende più <strong>di</strong>fficile la convivenza umana.<br />

Per queste e altre ragioni l’uomo moderno avverte <strong>di</strong>sagio e rifiuta<br />

l’idea <strong>di</strong> una rivelazione 4 .<br />

La teologia, in particolare la teologia fondamentale, deve aiutare<br />

non solo i credenti ad accertare, comprendere e approfon<strong>di</strong>re il fatto<br />

che la fede cristiana poggia sulla rivelazione e <strong>di</strong> là attinge la propria<br />

essenza e verità, ma deve legittimare la fede anche verso l’esterno:<br />

cioè non solo davanti alla ragione illuminata dalla fede, ma davanti<br />

alla ragione in generale. Tale legittimazione, che manifesta la cre<strong>di</strong>bilità<br />

della rivelazione davanti a se stessi e agli altri, è inscin<strong>di</strong>bilmente<br />

congiunta alla fede, fa parte della sua essenza. La fede, infatti, non è<br />

solo dono <strong>di</strong> Dio all’uomo, ma anche un atto libero dell’uomo, che<br />

3<br />

R. LATOURELLE, Teologia della rivelazione, Cittadella, Assisi 1967, 5–6<br />

4<br />

Cf. J. SCHMITZ, La rivelazione, Queriniana, Brescia 1991, 8-9.<br />

82 –


egli deve giustificare <strong>di</strong> fronte alla propria coscienza e che presuppone<br />

sempre la consapevolezza e la libertà tipica dell’essere razionale.<br />

Essa non <strong>di</strong>venta un atto umano libero fintanto che è solo un prodotto<br />

derivante dalla casualità delle circostanze storiche della vita. Chi<br />

è stato educato alla fede fin dall’infanzia deve a un certo punto decidersi<br />

a credere in base ad una propria decisione. Se tale atto <strong>di</strong> fede<br />

non deve essere una decisione arbitraria, allora l’uomo deve avere<br />

motivi per prendere tale decisione e deve poterla anche legittimare 5 .<br />

La giustificazione della fede, inoltre, è necessaria a motivo della<br />

pretesa della stessa fede <strong>di</strong> essere assolutamente necessaria alla salvezza<br />

<strong>di</strong> ogni uomo e per tutti i tempi. Solo me<strong>di</strong>ante una continua<br />

<strong>di</strong>sponibilità a dare ragione della fede e farlo in maniera intelletualmente<br />

onesta, affrontando senza riserve tutte le domande e tutte<br />

le critiche, la fede che pretende <strong>di</strong> essere così universale potrà<br />

evitare il fanatismo e l’intolleranza. Occore, per prima cosa, che venga<br />

confutata l’impressione e la convinzione che la fede sia qualcosa <strong>di</strong><br />

irrazionale. “Se anche un non credente deve poter <strong>di</strong>stinguere la fede<br />

nella rivelazione da una irrazionalità superstiziosa, allora deve essere<br />

perlomeno possibile mostrare che essa né afferma quanto la ragione<br />

giustamente contesta, né contesta quanto la ragione giustamente<br />

afferma ed esige” 6 .<br />

Tutto ciò significa che non è sufficiente la testimonianza della<br />

vita e della parola. Una semplice affermazione della certezza della<br />

propria fede può, in un primo momento, suscitare interesse e curiosità,<br />

ma poi occorre anche renderne conto e motivarla, se non si vuole<br />

rischiare <strong>di</strong> apparire strani e <strong>di</strong> non essere più ascoltati. “Oggi l’intelligenza<br />

della fede non può più essere semplice e ingenua, benchè la<br />

fede <strong>di</strong> un ‘povero’ sia sempre benedetta da Dio, ma dev’essere per<br />

quanto possibile ‘critica’, passata al vaglio delle esigenze più rigorose<br />

della ragione” 7 . C’è, infatti, una semplicità che è dono; c’è , però,<br />

una semplicità che è fideismo e ignoranza. C’è un voler sapere che è<br />

presunzione e arroganza, ma c’è anche una scienza che è sapienza,<br />

che è la maturità della fede.<br />

Nel Nuovo Testamento la magna charta <strong>di</strong> qualsiasi giustificazione<br />

della fede è offerta dalla prima lettera <strong>di</strong> Pietro: “E se anche<br />

dovete soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura<br />

<strong>di</strong> loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri<br />

5<br />

Cf. ivi, 201-202.<br />

6<br />

Ivi, 204.<br />

7<br />

«L’uomo <strong>di</strong> oggi <strong>di</strong> fronte al cristianesimo», in Civ. Cattolica 137(1986),325.<br />

– 83


cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi doma<strong>di</strong> ragione della<br />

speranza che è in voi. Tuttavia, questo sia fatto con dolcezza e rispetto,<br />

con una retta coscienza” (1Pt 3,<strong>14</strong>-16). La traduzione letterale<br />

suona meglio così: “Siate sempre pronti all’apologia verso chiunque<br />

v’interroghi sul logos (sulla ragione) della speranza che è in voi”.<br />

Viene richiesta, dunque, una permanente <strong>di</strong>sponibilità alla<br />

legittimazione del logos, cioè del senso (della ragione) della speranza<br />

cristiana. Questo logos non è un prodotto della capacità argomentativa<br />

del credente, perché gli è già dato con la speranza, ma<br />

deve essere lasciato apparire e mostrato all’interpellante. Non si tratta<br />

<strong>di</strong> dare una risposta ad un bisogno <strong>di</strong> informazione a colui che<br />

chiede tale ragione, perché il contesto della lettera <strong>di</strong> Pietro è un<br />

contesto <strong>di</strong> persecuzione; né <strong>di</strong> una <strong>di</strong>scussione accademica; ma <strong>di</strong><br />

quel motivo profondo della speranza cristiana, per la quale ciascuno<br />

è pronto a dare anche la vita.<br />

Applichiamo questo criterio alla riflessione teologica. La giustificazione<br />

della fede che risponde ad una esigenza della fede matura e<br />

alla sua possibilità <strong>di</strong> comunicazione, consisterà allora nel passaggio<br />

fondamentale dalla certezza della coscienza credente, che accoglie<br />

la rivelazione, alla conoscenza riflessa e argomentata <strong>di</strong> fronte alla<br />

ragione critica <strong>di</strong> questa stessa certezza per mezzo dell’esercizio della<br />

ragione teologica. La cura della giustificazione critica della fede è<br />

una questione <strong>di</strong> fedeltà verso noi stessi (per non cedere alla tentazione<br />

della incredulità), <strong>di</strong> rispetto verso il dono della fede (per consentirle<br />

<strong>di</strong> esprimere la destinazione universale della sua verità), e <strong>di</strong><br />

sollecitu<strong>di</strong>ne verso coloro che sono cercatori della verità.<br />

Nel corso recente della sua storia la teologia fondamentale ha<br />

conosciuto tre opposte modalità <strong>di</strong> giustificazione della fede e della<br />

verità della rivelazione, a cui qui vogliamo accennare per meglio<br />

delineare infine quella che ci sembra teologicamente più adeguata.<br />

3. IL MODELLO APOLOGETICO NEOSCOLASTICO DI GIUSTIFICAZIONE<br />

DELLA FEDE<br />

Sorto nel periodo dell’illuminismo razionalista, questo modello<br />

apologetico si sforzava <strong>di</strong> collocarsi sullo stesso piano, e usando gli<br />

stessi strumenti concettuali, del suo interlocutore razionalista, che<br />

negava la possibilità <strong>di</strong> ogni intervento <strong>di</strong>vino soprannaturale. Esso,<br />

aveva la pretesa <strong>di</strong> fornire, appoggiandosi unicamente ad argomentazioni<br />

metafisiche, fisiche e storico-apo<strong>di</strong>ttiche, una prova vera e<br />

propria (demonstratio) della verità della religione cristiana e della<br />

84 –


chiesa cattolica. In questa prospettiva, lo scopo della ragione teologica<br />

era quello <strong>di</strong> fondare una cre<strong>di</strong>bilità “naturale” della fede ( in<br />

linea <strong>di</strong> principio possibile senza la cooperazione della grazia), puramente<br />

razionale ( <strong>di</strong>mostrabile me<strong>di</strong>ante la sola ragione) e oggettiva<br />

(motivabile unicamente in base a criteri esterni) della verità <strong>di</strong> fede.<br />

Di conseguenza, i criteri <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità dovevano essere oggettivi,<br />

universalmente vali<strong>di</strong>, in permanente rapporto con la rivelazione, e<br />

dovevano offrire una certezza filosofica e storica della rivelazione <strong>di</strong><br />

Dio.Tali erano per es. i miracoli, intesi in senso puramente fisico<br />

come eventi che si pongono al <strong>di</strong> fuori delle leggi naturali, le profezie<br />

(e la presenza testimoniante della chiesa nel mondo). L’adempimento<br />

<strong>di</strong> queste con<strong>di</strong>zioni consentiva <strong>di</strong> giustificare la fede <strong>di</strong> fronte<br />

alle esigenze della ragione critica e <strong>di</strong> sottrarla all’isolamento<br />

fideistico. Per ovviare, poi, all’accusa <strong>di</strong> razionalismo si sottolineava<br />

che la conoscenza della cre<strong>di</strong>bilità era soltanto la con<strong>di</strong>zione esterna<br />

o il presupposto della decisione <strong>di</strong> fede, mentre quest’ultima si fondava<br />

sull’autorità <strong>di</strong> Dio rivelante 8 .<br />

Si affermò, così, soprattutto negli ultimi tre secoli, una apologetica<br />

“oggettiva” del cristianesimo e del cattolicesimo basata su tale<br />

cre<strong>di</strong>bilità naturale, razionale, oggettiva, possibile - si riteneva in linea<br />

<strong>di</strong> principio - anche senza l’aiuto della grazia <strong>di</strong>vina. Nelle sue<br />

forme più esasperate, questo modo <strong>di</strong> pensare portò ad<strong>di</strong>rittura alla<br />

teoria della doppia fede: una fede naturale, motivata esclusivamente<br />

da argomenti naturali, e una fede soprannaturale, motivata dalla volontà<br />

<strong>di</strong> rendere omaggio a Dio rivelante ed emessa sotto l’impulso<br />

della grazia.<br />

La critica al razionalismo da parte della fenomenologia e dell’esistenzialismo,<br />

il conseguente superamento <strong>di</strong> un concetto <strong>di</strong> ragione<br />

esclusivamente modellato sulle scienze esatte, il mutamento della<br />

comprensione della rivelazione e del miracolo, hanno determinato la<br />

trasformazione ra<strong>di</strong>cale del problema della cre<strong>di</strong>bilità.<br />

4. L’AUTOFONDAZIONE DELLA FEDE<br />

Reagendo al precedente modello <strong>di</strong> giustificazione della fede, si<br />

elaborò agli inizi del Novecento un modo, autenticamente teologico,<br />

<strong>di</strong> fondare la fede che comportava <strong>di</strong> riportare la fede alla sua origine,<br />

alla sua essenza, che è la rivelazione, mettendone in luce il suo caratte-<br />

8<br />

Cf. H.J. POTTMEYER, “Segni e criteri della cre<strong>di</strong>bilità del cristianesimo” in<br />

Corso <strong>di</strong> Teologia Fondamentale/ 4., Queriniana, Brescia 1990, 449-470.<br />

– 85


e <strong>di</strong> assoluta novità rispetto ad ogni altro evento o fatto umano. Il<br />

teologo, che più <strong>di</strong> ogni altro ha affermato la totale alterità <strong>di</strong> Dio e<br />

l’irriducibilità della fede ad ogni prospettiva umana, è stato senz’altro<br />

K. Barth nel periodo <strong>di</strong>alettico (anni Venti). “Non vi è nessuna<br />

presupposizione umana (pedagogica, intellettuale, economica, psicologica<br />

ecc.) che debba essere compiuta come preliminare della<br />

fede. Non vi è nessuna introduzione umana, nessun itinerario <strong>di</strong> salvezza,<br />

nessuna scala graduata verso la fede che debba essere in qualche<br />

modo percorsa: la fede è sempre l’inizio, la presupposizione, il<br />

fondamento” 9 . Dio non si può <strong>di</strong>mostrare, né a partire dal cosmo, né<br />

dalle profon<strong>di</strong>tà dell’esistenza umana. Egli si <strong>di</strong>mostra da se stesso.<br />

“La rivelazione <strong>di</strong> conseguenza non è una sorgente <strong>di</strong> luce che illumina<br />

la realtà .... bensì è in primo luogo l’autorivelazione <strong>di</strong> Dio, in<br />

cui Dio rivela se stesso tramite se stesso. La sua rivelazione deve<br />

essere allora accettata quale <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> Dio data da lui stesso,<br />

e la <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> Dio non può essere presupposta ulteriormente<br />

nei preambula ad articulos fidei ... La luce in cui la rivelazione<br />

<strong>di</strong> Dio <strong>di</strong>viene comprensibile non è perciò la luce della ‘teologia<br />

naturale’, bensì la luce dello Spirito Santo” 10 .<br />

Dio che si rivela, crea egli stesso la possibilità <strong>di</strong> comprendere la<br />

realtà della sua rivelazione in forza <strong>di</strong> una pneumatologia trinitaria,<br />

che conserva la sovranità <strong>di</strong> Dio anche nel processo della comprensione<br />

e della conoscenza della rivelazione.<br />

“La rivelazione <strong>di</strong>vina, nella quale avviene che l’uomo giunge<br />

alla vera conoscenza <strong>di</strong> Dio, è la decisione <strong>di</strong> Dio - dello stesso Dio<br />

trinitario che egli è anche in se medesimo - <strong>di</strong> operare con noi in<br />

modo tale che, pur essendo noi uomini e non Dio, siamo resi partecipi<br />

della verità della conoscenza che egli ha <strong>di</strong> se stesso” 11 . E’ nella<br />

forza dello Spirito Santo che è possibile intendere la rivelazione <strong>di</strong><br />

Dio. In quanto Dio si fa comprendere, crea pure le con<strong>di</strong>zioni che<br />

rendono possibile il professarlo nella fede ed il conoscerlo, l’ascoltarlo<br />

e l’ubbi<strong>di</strong>rgli.<br />

In questa prospettiva, la fede è fondata (oggettivamente) dalla<br />

rivelazione (intervento gratuito e ra<strong>di</strong>calmente nuovo <strong>di</strong> Dio), ma a<br />

sua volta la rivelazione è fondata (soggettivamente) dalla fede stes-<br />

9<br />

K. BARTH, L’epistola ai Romani, trad. Miegge, Milano 1962, 74<br />

10<br />

Cf. J.MOLTMANN, Prospettive della teologia, Queriniana, Brescia 1973,<br />

p. 23.<br />

11<br />

K. BARTH, Dogmatica ecclesiale, Antologia italiana a cura <strong>di</strong> H.Gollwitzer,<br />

Bologna 1968, p. 31.<br />

86 –


sa. La garanzia dell’evento della rivelazione che fonda la fede è la<br />

fede stessa. Essa è contemporaneamente fondante la rivelazione e da<br />

essa fondata. La fondazione della fede è in realtà un’autofondazione.<br />

Anche se il modello teologico dell’autofondazione sembra garantire<br />

meglio l’assoluta libertà dell’atto <strong>di</strong> fede e rappresenta il rifiuto <strong>di</strong><br />

misurare il <strong>di</strong>vino con l’umano, riducendelo a semplice compimento<br />

dei bisogni e delle attese dell’uomo, tuttavia, la sua struttura argomentativa<br />

appare quella <strong>di</strong> un circolo vizioso.<br />

Si può rispondere a tale critica rilevando che la gratuità stessa<br />

della rivelazione e la sua provenienza <strong>di</strong>vina escludono la possibilità<br />

<strong>di</strong> una fondazione estrinseca alla rivelazione. Non c’è, infatti, alcun<br />

criterio esterno alla fede con cui misurare la stessa fede e la rivelazione.<br />

Infatti, è proprio <strong>di</strong> Dio e solo <strong>di</strong> Dio non poter fare riferimento<br />

ad altri se non a se stesso per farsi conoscere e per convincere.<br />

D’altra parte, se Dio è pensato come il fondamento ultimo della realtà,<br />

non si può dare altro criterio più grande, a cui la fede possa riferirsi<br />

per fondare la propria certezza.<br />

Già il Concilio Vaticano I aveva <strong>di</strong>chiarato, contro il razionalismo,<br />

che il fondamento ultimo della certezza della fede non è l’evidenza<br />

della ragione, ma Dio stesso nella sua rivelazione: “noi cre<strong>di</strong>amo vere<br />

le cose da lui rivelate, non già per la intrinseca verità delle medesime<br />

conosciuta con la luce naturale della ragione, ma per l’autorità dello<br />

stesso Dio rivelante, che non può ingannarsi né ingannare” (DS 3008).<br />

La ragione del credere - osserva in proposito W. Kasper - non è qui<br />

l’autorità del comando <strong>di</strong> Dio (auctoritas Dei imperantis) ma quella<br />

stessa della rivelazione (auctoritas Dei revelantis), che attira e convince.<br />

La fede che ne scaturisce è una luce nuova sulla realtà, un nuovo<br />

modo <strong>di</strong> percezione dotato <strong>di</strong> una sua intrinseca evidenza. Per cui, egli<br />

conclude, richiamandosi ad analoga argomentazione <strong>di</strong> H.U. von<br />

Balthasar: “E questa illuminazione non cala quasi ‘perpen<strong>di</strong>colarmente’<br />

sull’uomo, ma promana dalla figura storica della rivelazione. In ultima<br />

analisi si tratta <strong>di</strong> un’autoevidenza dell’amore <strong>di</strong> Dio, che non possiamo<br />

<strong>di</strong>mostrare dall’esterno ma che è esso stesso a rendersi convincente.<br />

Infatti solo l’amore è cre<strong>di</strong>bile”. 12<br />

Tuttavia, se non si vuole restare prigionieri <strong>di</strong> un circolo vizioso,<br />

in cui la fede risulta essere il fondamento <strong>di</strong> se stessa, è necessario<br />

mostrare come si arriva a conoscere la verità <strong>di</strong> Dio. «Se è vero,<br />

infatti, che la certezza della fede in quanto certezza non può essere<br />

12<br />

W. KASPER, IL Dio <strong>di</strong> Gesù Cnsto, Queriniana, Brescia 1984, 172.<br />

– 87


dedotta da una certezza ancora più grande, e se è vero perciò che Dio<br />

quale verità e fondamento della fede può <strong>di</strong>venire evidente soltanto<br />

attraverso se stesso, allora sorge ancora una volta la domanda circa il<br />

modo con cui compren<strong>di</strong>amo questa luce illuminante ed evidente<br />

della verità. In che modo il credente coglie la verità <strong>di</strong> Dio come<br />

ultimo fondamento della sua fede» 13 . Rimane aperto, cioè, il problema<br />

del raggiungimento della rivelazione nel suo darsi oggettivo.<br />

Ora, l’evento della rivelazione è irraggiungibile nella sua oggettività<br />

assoluta. Esso è raggiungibile solo me<strong>di</strong>atamente, attraverso un processo<br />

ermeneutico, che include inevitabilmente la me<strong>di</strong>azione<br />

dell’interlocutore umano. Ciò, del resto appare evidente nella stessa<br />

Sacra Scrittura, che è insieme parola <strong>di</strong> Dio in parole umane.<br />

D’altra parte, chi garantisce che la fede sia suscitata dallo Spirito<br />

come risposta all’evento della rivelazione Come sfuggire al pericolo<br />

<strong>di</strong> identificare la fede con una scelta arbitraria della nostra volontà,<br />

con una proiezione dei nostri desideri L’autofondazione della<br />

fede, sottraendo la fede ad ogni controllo ad essa esterno, non conduce<br />

ad un fideismo e soggettivismo inaccettabili per la stessa decisione<br />

del credere, che rendono <strong>di</strong> fatto incomunicabile la stessa rivelazione<br />

5. LA GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE ESTRINSECA: LA CATEGORIA<br />

DEL RELIGIOSO, DELL’ETICO E DEL METAFISICO.<br />

Pur riconoscendo la necessità <strong>di</strong> ricondurre la fede ai suoi fondamenti<br />

intrinseci, cioè alla rivelazione e alla tra<strong>di</strong>zione biblica che la<br />

contiene, il terzo modello <strong>di</strong> giustificazione della fede si chiede se la<br />

rivelazione non sia a sua volta fondabile, grazie ad una razionalità non<br />

esclusivamente teologica, cioè con elementi estrinseci alla fede stessa.<br />

E’ possibile, ad es., una fondazione-giustificazione della fede attraverso<br />

il ricorso alla categoria del “religioso” (cf Schleiermacher),<br />

interpretando l’esperienza cristiana come un momento particolare<br />

dell’esperienza religiosa, comune a gran parte dell’umanità. In questo<br />

caso il fenomeno religioso, come fenomeno umano universale,<br />

<strong>di</strong>venta il fondamento, ciò a cui può essere ricondotto il fenomeno<br />

cristiano ( rapporto <strong>di</strong> genere a specie).<br />

A questo punto ci si può fermare, riconoscendo a tale categoria<br />

un’assoluta originarietà, in questo caso l’autofondazione riguarde-<br />

13<br />

W. KASPER, Was alles erkennen ubersteigt. Besinnung auf den christlichen<br />

Glauben, Herder, Freildurg-Basel-Wien 1987, 63.<br />

88 –


ebbe il “religioso” in quanto tale e non più la rivelazione cristiana: il<br />

“religioso” sarebbe una forma della coscienza assolutamente autonoma<br />

rispetto alla morale e alla metafisica (Schleiermacher). Tuttavia,<br />

l’esigenza della razionalità <strong>di</strong> veder chiaro potrebbe richiedere<br />

un ulteriore fondazione del “religioso” e questo può avvenire attraverso<br />

due vie : quella etica, per cui la verità del religioso verrebbe ad<br />

identificarsi con la sua capacità <strong>di</strong> realizzare quei valori etici che<br />

appaiono dotati del carattere <strong>di</strong> universalità. La religione è tanto più<br />

vera quanto più contribuisce a realizzare un compiuto umanesimo.<br />

Qui non è più la fede a fondare l’etica, ma l’etica a fondare la fede<br />

(Kant). Oppure attraverso la via metafisica, che ponendo il problema<br />

ra<strong>di</strong>cale della verità della religione, in quanto fondata sulla rivelazione<br />

<strong>di</strong> Dio, procede attraverso la <strong>di</strong>mostrazione razionale dell’esistenza<br />

<strong>di</strong> Dio e dei suoi attributi. La rivelazione trova così la sua<br />

fondazione ultima sulla base <strong>di</strong> una solida <strong>di</strong>mostrazione metafisica.<br />

Al termine <strong>di</strong> questo processo si è operata certamente una fondazione<br />

della religione- rivelazione con la ragione critica, in grado <strong>di</strong><br />

garantirne la significatività e la intelligibilità, ma essa viene raggiunta<br />

attraverso una serie <strong>di</strong> riduzioni che hanno portato dal particolare<br />

della fede cristiana all’universale: dal cristiano al religioso, dal religioso<br />

all’etico, dall’etico al metafisico. In tale impostazione il cristianesimo<br />

risulterebbe giustificato nella sua essenza e nella sua riven<strong>di</strong>cazione<br />

<strong>di</strong> assolutezza e superiorità, ma questa non gli deriverebbe<br />

più dalla verità della rivelazione, bensì dal fatto che appare<br />

razionalmente come la religione più razionale, più vera, più buona.<br />

Bisogna chiedersi, però, se una siffatta giustificazione razionale della<br />

fede permetta ancora <strong>di</strong> salvare la specificità del cristianeismo o<br />

se invece non ne segni la sua definitiva <strong>di</strong>ssoluzione nell’etica o nella<br />

filosofia <strong>14</strong> .<br />

6. LA GIUSTIFICAZIONE CRITICA DELLA FEDE<br />

6.1 Ragione teologica e ragione critica<br />

Oggi non manca chi ritiene impossibile o almeno teologicamente<br />

ingiustificato il tentativo <strong>di</strong> una giustificazione della fede, depotenziando<br />

in tal modo la teologia al livello <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso puramente<br />

<strong>14</strong><br />

Cf. V. BORTOLIN, “La teologia fondamentale nei suoi rapporti con la filosofia”<br />

in Stu<strong>di</strong>a Patavina XLII (1995), 1, 43-66, <strong>di</strong> cui seguiamo le argomentazioni<br />

qui sintetizzate.<br />

– 89


narrativo, autobiografico e autoespressivo. Sostituendo in tal modo<br />

alla certezza del sapere la certezza della coscienza, si finisce col presupporre<br />

la verità della fede senza offrire alcun argomento per essa.<br />

Le ragioni della cre<strong>di</strong>bilità non vengono più percepite. Per evitare<br />

questo rischio non si può fare riferimento soltanto alla certezza soggettiva<br />

della fede, ma occorre anche indagare sulle sue ragioni e i<br />

suoi contenuti.<br />

La riflessione teologica attuale ha maturato una rinnovata consapevolezza<br />

del proprio compito e del rapporto con le altre forme del<br />

sapere. Essa riconosce <strong>di</strong> non avere potere sulla verità che le viene<br />

offerta nella forma della rivelazione. Lo statuto scientifico della teologia<br />

non può essere quello <strong>di</strong> una scienza apo<strong>di</strong>ttica e <strong>di</strong>mostrativa,<br />

ma <strong>di</strong> una scienza ermeneutica, cioè <strong>di</strong> una intelligenza recuperatrice<br />

<strong>di</strong> un senso donato e <strong>di</strong> una verità rivelata. “Fare teologia significa<br />

rifare criticamente il processo <strong>di</strong> comprensione che si produsse all’interno<br />

della storia della rivelazione e della interpretazione <strong>di</strong> essa<br />

da parte della tra<strong>di</strong>zione ecclesiale. Pertanto, la teologia è essenzialmente<br />

re-interpretazione d’un processo interpretativo previamente<br />

dato” 15 .<br />

L’esercizio della ratio theologica, perciò, non ha un compito <strong>di</strong><br />

fondazione, ma <strong>di</strong> verifica e <strong>di</strong> articolazione critica del sapere della<br />

fede e <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione della sua verità. Precisamente per questo aspetto<br />

la teologia fondamentale o<strong>di</strong>erna ha fatto registrare i più significativi<br />

mutamenti rispetto alla tra<strong>di</strong>zionale impostazione dell’apologetica<br />

neoscolastica.<br />

La teologia è chiamata innanzi tutto a in<strong>di</strong>viduare il fondamento<br />

della fede. Esso non è un prodotto dalla riflessione teologica, ma<br />

un’offerta storica. Si tratta del libero e gratuito rivelarsi <strong>di</strong> Dio, a cui<br />

corrisponde da parte dell’uomo l’accoglienza (l’obbe<strong>di</strong>enza) della<br />

fede. La teologia, in quanto sapere critico, dovrà giustificare la scelta<br />

della rivelazione come concetto fondamentale ed essenziale della fede<br />

cristiana; in secondo luogo, dovrà mostrare l’umana pensabilità del<br />

rivelarsi <strong>di</strong> Dio nella sua propria possibilità, necessità e verità per la<br />

fede medesima, esplicitandone al tempo stesso le ragioni <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità<br />

incluse nell’assenso <strong>di</strong> fede. La consapevolezza critica così raggiunta<br />

consisterà nel passaggio fondamentale dalla certezza vissuta<br />

della coscienza credente, che accoglie la rivelazione, alla conoscen-<br />

15<br />

A. GESCHE’, «Teologia dogmatica» in Aa.Vv. Iniziazione alla pratica della<br />

teologia. Introduzione, Queriniana, Brescia 1986, 291-292).<br />

90 –


za riflessa e argomentata <strong>di</strong> questa stessa certezza per mezzo dell’<br />

esercizio dell’ intellectus fidei.<br />

Questa modalità argomentativa deriva anche dalla peculiare<br />

problematica epistemologica della rivelazione e dalla <strong>di</strong>alettica ad<br />

essa intrinseca. Ve<strong>di</strong>amola.<br />

La TF, infatti, in quanto intellectus fidei si propone come una<br />

riflessione condotta all’interno dell’ orizzonte <strong>di</strong> senso costituito dalla<br />

rivelazione, allo scopo <strong>di</strong> esplicitarlo, rendendolo intelligibile e cre<strong>di</strong>bile<br />

a partire dai contenuti stessi della fede. La gratuità della rivelazione<br />

e la sua provenienza <strong>di</strong>vina escludono la possibilità <strong>di</strong> una<br />

fondazione estrinseca della fede e costituiscono la garanzia ultima e<br />

definitiva della sua verità. A partire da tale presunzione la teologia,<br />

in quanto riflessione razionale, si costituisce e porta le sue argomentazioni<br />

come forma <strong>di</strong> razionalità autonoma e specifica.<br />

Tuttavia, la presunzione <strong>di</strong> verità ad essa intrinseca è imme<strong>di</strong>atamente<br />

evidente soltanto per la fede, ma non lo è altrettanto e imme<strong>di</strong>atamente<br />

per la ragione critica. Per es. non è evidente che la negazione<br />

dei contenuti della fede comporti contrad<strong>di</strong>zione. “Ciò significa<br />

che quanto alla sua forma epistemologica, la fede e quin<strong>di</strong> la presunzione<br />

<strong>di</strong> verità che le è implicita, non può avere il carattere dell’<br />

universalità” 16 . Per tale motivo la verità della fede è totalizzante e<br />

assoluta, in quanto orizzonte <strong>di</strong> senso ultimo e definitivo della realtà<br />

e proposta <strong>di</strong> salvezza ra<strong>di</strong>cale, ma nello stesso tempo appare come<br />

particolare e possibile <strong>di</strong> fronte alle sollecitazioni della razionalità<br />

critica, soprattutto se quest’ultima intenda porre il criterio della propria<br />

verità nell’assoluta incontrovertibilità.<br />

“Le affermazioni della teologia, pur esprimendo un sapere, non<br />

esprimono il sapere, non essendo evidenti al logos <strong>di</strong> una ragione<br />

autonoma dalla fede, e perciò non hanno imme<strong>di</strong>atamente il carattere<br />

della universalità” 17 . L’evidenza della fede non può venire fondata<br />

sull’ evidenza della ragione autonoma; la fede non può che trovare in<br />

se stessa le ra<strong>di</strong>ci ultime della propria evidenza.<br />

A conclusioni analoghe si arriva anche muovendo dal riconoscimento<br />

della natura della rivelazione come autocomunicazione<br />

<strong>di</strong> Dio e dalla fede che l’accoglie. E’ la fede che qui riconosce come<br />

dovuta all’autoapertura <strong>di</strong>vina la conoscenza <strong>di</strong> Dio che essa possiede.<br />

La fede funge da categoria ermeneutica: è un’opera d’interpreta-<br />

16<br />

Cf. V. BORTOLIN, “La teologia fondamentale nei suoi rapporti con la filosofia”<br />

in Stu<strong>di</strong>a Patavina XLII (1995),1,59.<br />

17<br />

Ivi, 64.<br />

– 91


zione del soggetto credente, in base alla quale egli ritiene appunto<br />

che la conoscenza <strong>di</strong> Dio posseduta è derivata dalla stessa autocomunicazione<br />

<strong>di</strong>vina. Da qui il suo carattere ambivalente sul piano<br />

epistemico. L’interpretazione credente <strong>di</strong> una conoscenza <strong>di</strong> Dio derivata<br />

da una rivelazione, riconosciuta come tale nella fede, non conferisce<br />

a quest’ultima alcuna certezza indubitabile sul piano del sapere<br />

in generale. Si possono dare altre interpretazioni. Dio non si<br />

rivela in modo da non ammettere più alcun dubbio razionale a riguardo<br />

della realtà <strong>di</strong> tale evento. Sta in ciò il carattere <strong>di</strong> libertà, che<br />

la teologia ha riven<strong>di</strong>cato sempre all’assenso <strong>di</strong> fede 18 .<br />

Questa situazione epistemologica comporta forse che la fede derivante<br />

dalla rivelazione sia un’interpretazione arbitraria, puramente<br />

illusoria e irrazionale Intanto è da <strong>di</strong>re che la fede ha tramite la<br />

rivelazione storica un riferimento realistico costituito dall’esperienza<br />

religiosa da essa stessa determinata. La ragione teologica non può<br />

<strong>di</strong>mostrare che questa interpretazione dell’esperienza della rivelazione<br />

è razionalmente vincolante. Ma essa può e deve mostrare che è<br />

giustificata razionalmente, cioé che l’esperienza <strong>di</strong> fede è fondamentalmente<br />

affidabile, rimuovendo per quanto possibile le obiezioni<br />

sollevate contro tale affidabilità e in positivo esplicitandone le ragioni<br />

e lo specifico logos.<br />

E’ sufficiente, tale percorso per sod<strong>di</strong>sfare le esigenze della ragione<br />

critica E qui occorre riflettere sulla figura <strong>di</strong> questa razionalità<br />

critica e tentare <strong>di</strong> definirla. Tale razionalità per essere veramente<br />

critica non può partire dalla presunzione <strong>di</strong> verità che è propria della<br />

fede, perché è appunto tale presunzione che deve essere sottoposta a<br />

critica. Ma analogamente, non deve partire nemmeno dalla presunzione<br />

della non verità della fede. Deve essere in grado <strong>di</strong> argomentare,<br />

almeno inizialmente in maniera autonoma, partendo unicamente<br />

da se stessa e dal criterio che essa accetta: l’evidenza razionale, che<br />

ha il carattere della incontrovertibilità e quin<strong>di</strong> della necessità: il vero<br />

è solo il necessariamente vero, vale a <strong>di</strong>re ciò che è necessariamente,<br />

non potendo essere altrimenti da come é.<br />

Tuttavia, questo tipo <strong>di</strong> razionalità è solo ideale. La razionalità<br />

non è mai assoluta, incon<strong>di</strong>zionata, ma sempre storica, situata e incarnata<br />

in una determinata cultura. Essa si esercita sempre all’interno<br />

<strong>di</strong> un contesto ed è orientata da una precomprensione: in questo<br />

senso l’esercizio della razionalità critico-riflessiva è sempre seconda<br />

18<br />

Cf. P. SCHMIDT-LEUKEL, “Sulla cre<strong>di</strong>bilità dell’annuncio cristiano” in<br />

La Scuola Cattolica CXXV ( 1997), 3-4, pp.469-477.<br />

92 –


all’esperienza e al suo vissuto. Una delle conquiste della filosofia<br />

contemporanea è stata la scoperta della storicità, come costitutiva<br />

dell’uomo e della sua razionalità, anche se la ragione è in grado <strong>di</strong><br />

trascendere o <strong>di</strong> “sospendere” tali presupposti, prendendo le <strong>di</strong>stanze<br />

e sottoponendo a critica l’esperienza.<br />

Inoltre, grazie agli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> K. Popper e della sua scuola il<br />

concetto moderno <strong>di</strong> razionalità ha subito profonde revisioni. L’ideale<br />

<strong>di</strong> una <strong>di</strong>mostrabilità indubitabile come presupposto del consenso<br />

razionale è stato decisamente abbandonato come non realizzabile,<br />

in quanto resta prigioniero <strong>di</strong> un infinito regresso <strong>di</strong>mostrativo relativo<br />

alle premesse su cui si fonda ogni <strong>di</strong>mostrazione. Se non è possibile<br />

una <strong>di</strong>mostrazione certa della verità, sono pensabili due alternative,<br />

che rimagono <strong>di</strong>pendenti da questa idea-guida: o la ricerca<br />

della più alta verosimiglianza o, almeno, il tentativo della limitazione<br />

dell’errore. La prima via è quella percorsa dalle <strong>di</strong>verse forme<br />

dell’induttivismo e del probabilismo; la seconda via è quella del<br />

razionalismo critico e del fallibilismo. In entrambi i casi viene abbandonata<br />

non solo la connessione della razionalità e del sapere certo,<br />

ma nel contempo anche una comprensione sostanzialistica della<br />

ragione in favore <strong>di</strong> una sua comprensione <strong>di</strong>sposizionale.<br />

La razionalità secondo i recenti orientamenti epistemologici non<br />

<strong>di</strong>pende dal possesso della verità, ma dalla tensione ad essa, seria e<br />

adeguata. In un senso <strong>di</strong>sposizionale la razionalità contrassegna in<br />

un certo qual modo l’etica delle nostre persuasioni intellettuali, cioè<br />

la domanda normativa circa l’esercizio corretto delle nostre capacità<br />

intellettuali, del nostro potere <strong>di</strong> conoscenza. In altri termini il passaggio<br />

da una comprensione sostanzialistica della religione ad una<br />

<strong>di</strong>sposizionale comporta che la ragione non è più una fonte primaria<br />

<strong>di</strong> conoscenza, ma una sorta d’istanza <strong>di</strong> controllo, una <strong>di</strong>sposizione<br />

appunto ad una verifica critica delle nostre persuasioni circa il loro<br />

contenuto veritativo, che come tale solo secondariamente possiede<br />

una funzione me<strong>di</strong>atrice <strong>di</strong> conoscenza. 19<br />

In questa prospettiva, come ragione critica che interroga la fede,<br />

la ragione potrebbe avere una funzione unicamente negativa: ricorderebbe<br />

alla fede che il suo sapere non è mai assoluto e incon<strong>di</strong>zionato,<br />

fondato sull’evidenza razionale. D’altra parte, non riconoscendosi<br />

in grado <strong>di</strong> poter determinare tutto l’ambito del vero, manterrebbe<br />

aperto e fonderebbe lo spazio della fede, offrendone le con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> pensabilità e <strong>di</strong> possibilità.<br />

19<br />

Cf. ivi, 465<br />

– 93


6.2 Il metodo della giustificazione critica della fede<br />

Ve<strong>di</strong>amo a questo punto come argomentare la cre<strong>di</strong>bilità della<br />

rivelazione.<br />

Contestando l’estrinsecismo e il razionalismo dell’apologetica<br />

neoscolastica, la teologia contemporanea ricerca nello stesso evento<br />

rivelativo le ragioni dell’assenso <strong>di</strong> fede e della sua certezza. E ciò<br />

per un duplice motivo. Il primo per il carattere assolutamente gratuito<br />

della rivelazione <strong>di</strong> Dio: l’uomo non può né esigerla né dedurla<br />

dai dati generali del mondo. Il secondo motivo sta nella constatazione<br />

che è proprio <strong>di</strong> Dio e solo <strong>di</strong> Dio non poter fare riferimento ad<br />

altri se non a se stesso per farsi conoscere e convincere. D’altra parte,<br />

se Dio è pensato come il fondamento ultimo della realtà, non si<br />

può dare altro criterio più grande, a cui la fede possa riferirsi per la<br />

propria certezza. Tuttavia, questa tesi teologica non risolve, ma pone<br />

con maggiore forza il problema teologico-fondamentale. Se non si<br />

vuole restare prigionieri <strong>di</strong> un circolo vizioso, in cui la fede risulta<br />

essere il fondamento <strong>di</strong> se stessa, è necessario mostrare gli elementi<br />

e le con<strong>di</strong>zioni per la formulazione <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità, tenendo<br />

conto della <strong>di</strong>fferenza tra la certezza incon<strong>di</strong>zionata della fede<br />

(certitudo fidei) e la certezza limitata della conoscenza razionale della<br />

sua cre<strong>di</strong>bilità (certitudo cre<strong>di</strong>bilitatis) a causa della fallibilità della<br />

ragione umana.<br />

Per fondare la cre<strong>di</strong>bilità della fede non si può far ricorso agli<br />

abituali meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> tipo induttivo e deduttivo. È necessario, invece,<br />

argomentare mostrando la coerenza interna dell’avvenimento della<br />

rivelazione e la sua capacità d’interpretazione autentica dell’esperienza<br />

della realtà. A siffatta esigenza sembra ben corrispondere, a<br />

giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> H.J. Pottmeyer, il modello basato su una «struttura cumulativa<br />

<strong>di</strong> fondazione» (‘kumulative’ Begrundungsstruttur) 20 . Sul piano<br />

formale esso risulta costituito da una serie <strong>di</strong> argomenti veri, strettamente<br />

connessi tra loro e capaci <strong>di</strong> sostenersi e <strong>di</strong> illuminarsi a<br />

vicenda. Inoltre, deve possedere i requisiti della comprensibilità, della<br />

correttezza e coerenza, e della intelligibilità dei suoi rapporti essenziali,<br />

senza far ricorso a presupposti <strong>di</strong> fede. L’insieme <strong>di</strong> questi elementi<br />

produce un contesto fondativo che consente un giu<strong>di</strong>zio razionale<br />

responsabile e adeguato 21 . Applicando questo modello alla rive-<br />

20<br />

Cf. H.I.POTTMEJER, cit., 470-472.<br />

21<br />

Questo tipo <strong>di</strong> argomentazione sembra avere una certa somiglianza strutturale<br />

con la posizione <strong>di</strong> J. H. NEWMAN (Grammatica dell’assenso, Jaca Book,<br />

94 –


lazione si può coglierne la corrispondenza e l’efficacia. La rivelazione,<br />

infatti, è un avvenimento complesso in cui i <strong>di</strong>versi aspetti s’integrano<br />

e si sostengono a vicenda.<br />

L’articolazione metodologica <strong>di</strong> questo itinerario consta <strong>di</strong> vari<br />

momenti.<br />

Poiché la rivelazione è offerta in una storia ed è custo<strong>di</strong>ta in una<br />

tra<strong>di</strong>zione religiosa e <strong>di</strong> essa occorre accertarne il senso, il primo<br />

momento del metodo sarà fenomenologico-ermeneutico. D’altra parte,<br />

poiché <strong>di</strong> questa stessa rivelazione s’intende dare ragione in quanto<br />

rivelazione <strong>di</strong> Dio per la salvezza dell’uomo, il secondo momento<br />

sarà critico-veritativo.<br />

Accenniamo brevemente ai due momenti:<br />

a) il momento fenomenologico-ermeneutico.<br />

Se la rivelazione ha necessariamente in Dio il suo principio e il<br />

suo fondamento in quanto è la sua autocomunicazione salvifica, il<br />

compito primo della ragione teologica è quello <strong>di</strong> rilevare tale essenza<br />

nelle stesse testimonianze della esperienza <strong>di</strong> tale evento, cioè<br />

nella Scrittura e nella Tra<strong>di</strong>zione.<br />

Il momento fenomenologico ha come scopo <strong>di</strong> raccogliere in<br />

un’unità intelligibile le <strong>di</strong>verse esperienze della rivelazione, registrate<br />

dalla testimonianza biblica dell’AT e NT, per in<strong>di</strong>viduarne una struttura<br />

in base alla quale poter determinare l’essenza della rivelazione<br />

stessa. Ma poiché l’eidos cercato è se<strong>di</strong>mentato nei testi religiosi che<br />

costituiscono la Sacra Scrittura, esso si presenta come un dato nella<br />

forma <strong>di</strong> un significato, che perciò va accertato per via ermeneutica.<br />

In altri termini si tratta <strong>di</strong> sviluppare un’ermeneutica delle origini,<br />

che risalendo alla fase costitutiva della stessa rivelazione indaghi le<br />

modalità e le ragioni della sua accoglienza nella fede da parte dell’uomo.<br />

Milano 1980), per il quale i singoli motivi <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità non riescono a provare con<br />

certezza logica la fede, né con la loro accumulazione, né con la loro convergenza.<br />

Essi, però, garantiscono una probabilità e una sicurezza spirituale, grazie alle quali<br />

la decisione per la fede <strong>di</strong>viene umanamente possibile, intellettualmente responsabile<br />

e moralmente vincolante. La certezza si raggiunge soltanto quando la convergenza<br />

del singoli elementi viene considerata alla luce della grazia della fede. Tuttavia,<br />

c’è una fondamentale <strong>di</strong>fferenza tra i due tipi <strong>di</strong> argomentazione: mentre in<br />

quella <strong>di</strong> Newman si tratta <strong>di</strong> una convergenza <strong>di</strong> probabilità nella struttura cumulativa<br />

<strong>di</strong> fondazione, invece, è l’accumulazione <strong>di</strong> singoli argomenti veri (e non soltanto<br />

probabili) che nella loro reciproca connessione e interrelazione, consentono<br />

un glu<strong>di</strong>zio motivato <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità.<br />

– 95


Elaborare una ermeneutica delle origini non è sufficiente per la<br />

TF, occorrerebbe anche sviluppare il potenziale apologetico inerente<br />

alla rivelazione, mostrandone la relazione all’uomo e al suo bisogno<br />

<strong>di</strong> salvezza (me<strong>di</strong>azione antropologica) e l’adeguatezza a interpretare<br />

l’esperienza della realtà. Ciò comporta l’elaborazione <strong>di</strong> un’ermeneutica<br />

della rilevanza, che ponga in rapporto il carattere intrinseco<br />

<strong>di</strong> universalità della rivelazione storica con l’autocomprensione dell’uomo<br />

<strong>di</strong> oggi, con le sue domande e le sue attese. Ma una siffatta<br />

ermeneutica, per quanto pastoralmete utile e necessaria, resta con<strong>di</strong>zionata<br />

dal destinatario a cui è rivolta, dalla sua cultura, e dalla situazione<br />

storica in cui vive, e risulta perciò geograficamente molto <strong>di</strong>fferenziata:<br />

una TF elaborata in America Latina appare <strong>di</strong>fferente da<br />

una costruita in Occidente.<br />

Allo scopo <strong>di</strong> ovviare alla <strong>di</strong>fficoltà derivante da una marcata<br />

contestualizzazione storico-culturale del <strong>di</strong>scorso teologico è in ogni<br />

caso possibile e inelu<strong>di</strong>bile per la fondazione della cre<strong>di</strong>bilità della<br />

rivelazione il confronto con le esigenze della ragione critica. E’ questo<br />

propriamente il momento critico-veritativo del metodo della TF,<br />

orientato per un aspetto alla fondazione della cre<strong>di</strong>bilità e quin<strong>di</strong> della<br />

ragionevolezza dell’assenso <strong>di</strong> fede e per l’altro al rapporto della<br />

rivelazione con la verità.<br />

96 –<br />

b) il momento critico-veritativo<br />

Presupposta la fattualità storica della rivelazione secondo la testimonianza<br />

della fede, si tratta <strong>di</strong> renderne ragione, investigandone<br />

a posteriori le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> possibilità e le modalità <strong>di</strong> attuazione. Si<br />

tratta <strong>di</strong> un momento sistematico-dottrinale e al tempo stesso criticoveritativo,<br />

dove la ragione teologica, riprendendo riflessivamente il<br />

dato fenomenologico, argomenta la me<strong>di</strong>azione della universalitàverità<br />

della rivelazione.<br />

La necessità <strong>di</strong> questa legittimazione critica è necessaria perché<br />

la fede si ra<strong>di</strong>ca nella rivelazione storica <strong>di</strong> Dio, cioé nella particolarità<br />

e singolarità, ma al tempo stesso avanza la pretesa <strong>di</strong> essere verità<br />

e salvezza per tutti gli uomini <strong>di</strong> tutti i tempi, cioè <strong>di</strong> avere un<br />

valore e una destinazione universali. Ciò richiede un’intelligenza<br />

critica della sua complessa singolarità e della pretesa <strong>di</strong> assolutezza<br />

ad essa intrinseca.<br />

Ma la cre<strong>di</strong>bilità della rivelazione come autocomunicazione <strong>di</strong><br />

Dio, che nella sua in<strong>di</strong>sponibile libertà ha la propria esclusiva origine,<br />

non è in primo luogo il frutto <strong>di</strong> un’argomentazione della ragione


teologica, ma è il modo costitutivo, l’effettualità, <strong>di</strong> quella fede che<br />

è accoglienza della rivelazione <strong>di</strong> Dio 22 . La teologia fondamentale ha<br />

il compito <strong>di</strong> riprendere e <strong>di</strong> esplicitare criticamente nella <strong>di</strong>mensione<br />

del pensare, ad essa propria, la rivelazione offerta nella forma<br />

della fede testimoniale e la sua intrinseca cre<strong>di</strong>bilità in stretta relazione<br />

alla verità rivelata. Ciò richiederà in primo luogo, l’elaborazione<br />

dello statuto ontologico ed epistemologico della rivelazione<br />

con il compito previo <strong>di</strong> risolvere due aporie. La prima, inerente alla<br />

stessa pensabilità della rivelazione, può essere formulata nel seguente<br />

interrogativo: come può il trascendente, il totalmente altro, rivelarsi<br />

senza cessare <strong>di</strong> essere tale, perdendo nell’immanenza alterità e<br />

trascendenza Il concetto specifico <strong>di</strong> trascendenza, espresso dalla<br />

realtà trinitaria del Dio cristiano, in<strong>di</strong>cherà la soluzione <strong>di</strong> questa<br />

aporia.<br />

La seconda, inerente alla conoscibilità della rivelazione da parte<br />

dell’uomo, può essere formulata nel seguente interrogativo: In che<br />

modo una realtà trascendente ogni umana esperienza può essere percepita<br />

e conosciuta dall’uomo Come può l’autocomunicazione del<br />

Dio infinito essere accolta e fatta propria dall’uomo finito, senza che<br />

perda il suo carattere <strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong> Dio L’inevitabile me<strong>di</strong>azione<br />

simbolica della rivelazione e la specifica modalità della conoscenza<br />

simbolica in<strong>di</strong>cheranno la soluzione <strong>di</strong> questa seconda aporia.<br />

Sulla base <strong>di</strong> questi presupposti, si dovranno vagliare criticamente<br />

le me<strong>di</strong>azioni della rivelazione <strong>di</strong> Dio: la creazione, la parola e gli<br />

eventi (in particolare i miracoli e la risurrezione), saggiandone non<br />

solo la loro concreta capacità e modalità me<strong>di</strong>ativa, ma contestando<br />

argomentativamente le eventuali obiezioni della ragione critica. In<br />

particolare, per la persona <strong>di</strong> Cristo, occorrerà giustificare attraverso<br />

un preciso itinerario ermeneutico e ontologico-veritativo la pretesa<br />

<strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione unica e universale del Cristo sul piano rivelativo e<br />

salvifico, a fronte dell’obiezione illuministica perdurante nella nostra<br />

cultura che non riconosce ad un concreto uomo storico la possibilità<br />

<strong>di</strong> essere portatore <strong>di</strong> valori assoluti e universali, e <strong>di</strong> quella più<br />

attuale derivante dal pluralismo delle religioni.<br />

22<br />

Essa è “la forma dell’evidenza in cui la fede identifica la verità <strong>di</strong> Dio degna<br />

<strong>di</strong> essere riconosciuta come tale…L’evidenza della cre<strong>di</strong>bilità non è una possibilità<br />

della fede: è semplicemente la sua effettualità… La rivelazione <strong>di</strong> Dio in Gesù, la<br />

verità che istituisce la fede cristiana, consiste nella cre<strong>di</strong>bilità <strong>di</strong> Gesù, è semplicemente<br />

il modo costitutivo <strong>di</strong> quella fede.”, P.A. SEQUERI, “Ragione teologica e<br />

analysis fidei.Idee per una teologia fondamentale pura”, in La Scuola cattolica,<br />

CXXV (1997), n. 3-4, 496.<br />

– 97


Questo itinerario riflessivo- lo riba<strong>di</strong>amo- non intende sostituire<br />

il credere con prove razionali, ma far emergere dalle testimonianze<br />

la cre<strong>di</strong>bilità della fede come inerente alla sua stessa effettualità 23 . In<br />

tal modo apparirà “l’intima compatibilità tra la fede e la sua esigenza<br />

essenziale <strong>di</strong> esplicarsi me<strong>di</strong>ante una ragione in grado <strong>di</strong> dare in libertà<br />

il proprio assenso” (Fides et ratio, n.67).<br />

Ovviamente il fondamento della certezza incon<strong>di</strong>zionata della<br />

fede è solo la rivelazione storica <strong>di</strong> Dio, che resta l’unico motivo<br />

dell’assenso <strong>di</strong> fede. Essa viene riconosciuta e affermata come fondamento<br />

della fede, solo nell’atto soprannaturale <strong>di</strong> fede. L’assenso<br />

che ne scaturisce è quin<strong>di</strong> essenzialmente un’opera dello Spirito Santo<br />

(1 Cor 2,10-16). Tuttavia, possiamo assentire in maniera responsabile<br />

alla rivelazione <strong>di</strong> Dio, perché essa è un evento che comunica da<br />

se stesso in maniera convincente al credente la propria verità. La<br />

verità della rivelazione, poi, può essere conosciuta dal credente e<br />

criticamente verificata dalla ragione. Perciò, può anche essere esposta<br />

al non credente in maniera tale che egli possa presagirne la<br />

sensatezza, anche se l’assenso alla verità della rivelazione non è un<br />

puro atto della ragione. “In tal modo la fede, dono <strong>di</strong> Dio, pur non<br />

fondandosi sulla ragione, non può certamente fare a meno <strong>di</strong> essa; al<br />

tempo stesso, appare la necessità per la ragione <strong>di</strong> farsi forte della<br />

fede, per scoprire gli orizzonti ai quali da sola non potrebbe giungere”<br />

(Fides et ratio, n.67).<br />

23<br />

Per lo sviluppo <strong>di</strong> questo itinerario, come anche per la giustificazioni delle<br />

argomentazioni suesposte, mi permetto <strong>di</strong> rinviare al mio trattato: C. GRECO, La<br />

rivelazione. Fenomdenologia, dottrina e cre<strong>di</strong>bilità, ed. S.Paolo, Cinisello Balsamo<br />

(MI) 2000.<br />

98 –


L’«IMPETO FECONDO».<br />

LA POESIA DI CLEMENTE REBORA<br />

CIRO RICCIO *<br />

Il compito che devo assolvere questa sera è parlare della poesia<br />

<strong>di</strong> Clemente Rebora. Compito abbastanza insi<strong>di</strong>oso, visto che Rebora<br />

è davvero un poeta <strong>di</strong>verso.<br />

Voglio <strong>di</strong>re che parlare della poesia <strong>di</strong> Clemente Rebora costringe<br />

a rifiutare l’offerta prospettica entro la quale, almeno usualmente,<br />

viene, o veniva, organizzato il <strong>di</strong>scorso critico intorno alla poesia<br />

italiana del Novecento. E questo perché la poesia <strong>di</strong> Rebora fonda,<br />

per <strong>di</strong> più in anticipo, come vedremo dopo, un modello contrastante<br />

con quello che <strong>di</strong>verrà lo schema profondo, programmatico,<br />

endoletterario, che orienta una parte cospicua dei versi novecenteschi.<br />

Parafrasando il celebre formalista russo Jacobson, si potrebbe <strong>di</strong>re<br />

che la poesia <strong>di</strong> Rebora è una violenza organizzata ai danni della<br />

poesia tra<strong>di</strong>zionale (tra<strong>di</strong>zionale per il ‘900). E ciò vale in riferimento<br />

sia alla lingua che Rebora usa sia all’ideologia naturalmente incorporata<br />

in quella stessa lingua. Dico «naturalmente incorporata»<br />

poiché Rebora, come più avanti spiegherò, è un poeta senza poetica.<br />

E tale deficienza riveste un enorme significato a fronte dei comportamenti<br />

letterari dominanti nel ‘900. Rebora è, insomma, un degno<br />

rappresentante dell’«antinovecento», <strong>di</strong> quel novecento sotterraneo,<br />

umbratile, defilato, <strong>di</strong> cui già riferiva Baldacci a proposito della poesia<br />

<strong>di</strong> Carlo Betocchi. E non è un caso che Betocchi rimanga tra i<br />

più fervi<strong>di</strong> ammiratori della poesia reboriana, anche se egli fu attratto<br />

soprattutto dai Canti anonimi <strong>di</strong> Rebora, mentre a noi preme ora <strong>di</strong><br />

rivolgere l’attenzione ai Frammenti lirici, per in<strong>di</strong>viduare l’impeto<br />

fecondo che li nutre.<br />

I Frammenti lirici furono pubblicati nel 1913. È stupefacente che<br />

a quell’altezza cronologica del secolo, Rebora, eludendo non solo le<br />

gran<strong>di</strong> suggestioni crepuscolari e futuriste, ma anche i richiami eterogenei<br />

amalgamati da quella cosiddetta “cultura vociana” che pure<br />

favorì l’apparizione dei Frammenti lirici, offrì con i suoi versi il magistrale<br />

e precoce documento <strong>di</strong> fondazione <strong>di</strong> una poesia controcor-<br />

* Relazione tenuta il 24 Aprile 2001.<br />

– 99


ente, <strong>di</strong> una poesia <strong>di</strong>versa. È una <strong>di</strong>versità anzitutto stilistica: penso<br />

alla “martellatura potente” <strong>di</strong> cui già parlava Serra, alle violente<br />

impennate verbali, a proce<strong>di</strong>menti come lo stilismo verbale già in<strong>di</strong>viduato<br />

da Contini, e che si può spiegare come l’applicazione <strong>di</strong> un<br />

verbo fisicamente concreto a nozioni astratte, un verbo che deroga<br />

dal normale contesto in cui <strong>di</strong> solito è usato (alcuni esempi: «sdraiare<br />

passi d’argilla», «lo spazio zonzando scintilla», «sguscia fulminea<br />

la vita», «Il sol schioccando si spàmpana»). E allo stilismo verbale<br />

si lega un altro proce<strong>di</strong>mento frequentissimo nei Frammenti, e cioè<br />

la trasformazione dei verbi intransitivi in transitivi (esempi: «ma ragionarono<br />

il mondo», «ciascun apra suo gorgo e lo fluisca/ruscello<br />

all’acqua altrui», ecc). Penso poi all’applicazione analogica del verbo<br />

(esempi: «rumina l’ozio e aduna i suoi cocci», «il minuto… s’ingorga»,<br />

«ciel che… contro la noia sguinzaglia l’eterno»,ecc), all’utilizzo<br />

<strong>di</strong> verbi parasintetici sul modello <strong>di</strong> quelli danteschi (esempi:<br />

infognare, infoscare, incielarsi, inspeloncarsi). E si ba<strong>di</strong> che tutto<br />

ciò non è il risultato <strong>di</strong> una stu<strong>di</strong>ata volontà <strong>di</strong> rottura con la tra<strong>di</strong>zione,<br />

ma, secondo tutt’altra prospettiva, il prodotto <strong>di</strong> chi ebbe sempre<br />

un rapporto <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficante scontrosità con la lingua, <strong>di</strong> chi sempre<br />

cercò <strong>di</strong> “spremere” la lingua fino al fondo, per ricavarne il massimo<br />

<strong>di</strong> energia. Rebora non fu mai un cultore raffinato della parola splen<strong>di</strong>da<br />

ed esatta, non con<strong>di</strong>vise mai la <strong>di</strong>chiarazione dannunziana che<br />

«(…) <strong>di</strong>vina è la parola/e il verso è tutto», ma non per questo professò<br />

la sua fede in una parola <strong>di</strong>messa - e in realtà altrettanto orgogliosa<br />

– come ad esempio quella crepuscolare. Né, d’altra parte, caricò<br />

la parola <strong>di</strong> un significato avanguar<strong>di</strong>stico che, in terra nostrana, palesava<br />

allora l’adesione ai programmi futuristi. Eppure, la parola<br />

poetica reboriana riesce egualmente rivoluzionaria, e rivoluzionaria<br />

senza alcun bersaglio da in<strong>di</strong>care, senza alcuna autorità da deporre:<br />

basti pensare a quale polare <strong>di</strong>stanza dalla tra<strong>di</strong>zione poetica essa si<br />

situi, nonostante Rebora abbia ricuperato e reinventato alcuni stilemi<br />

e sintagmi della poesia tra<strong>di</strong>zionale 1 . È perciò anche, necessariamente,<br />

una <strong>di</strong>versità tematica, ideologica. Rebora è una sorta <strong>di</strong> poeta<br />

duplex, poeta che con i Frammenti lirici, riflettendo sulla serie <strong>di</strong><br />

1<br />

È un <strong>di</strong>scorso, questo, che vale sia per la metrica che per il linguaggio. Rebora<br />

infatti ha sí utilizzato il verso libero ma ha pure adottato alcuni metri della tra<strong>di</strong>zione.<br />

Inoltre è stato uno degli ultimi poeti italiani a comporre sonetti. Per quanto<br />

riguarda il linguaggio si pensi ad alcuni calchi carducciani o dannunziani od anche,<br />

come si vedrà poi, alla ripresa <strong>di</strong> alcune espressioni leopar<strong>di</strong>ane (come <strong>di</strong> derivazione<br />

leopar<strong>di</strong>ana è l’unione <strong>di</strong> endecasillabo e settenario). Una riflessione a parte<br />

meriterebbe poi la presenza dantesca in Rebora (Orelli, Cicala, etc).<br />

100 –


antinomie che impacciano l’esistenza, ha innegabilmente concorso a<br />

plasmare il volto della modernità poetica e, <strong>di</strong> contro, poeta che non<br />

rinuncia a cantare il presente, che non ab<strong>di</strong>ca all’idea <strong>di</strong> magnificarne<br />

le sorti. Dovendo ricorrere a una formula, mi verrebbe da <strong>di</strong>re<br />

«nuova poesia del desiderio». Il desiderio è lo stato che ne propizia<br />

la venuta, e con tutte le conseguenze <strong>di</strong> una stretta aderenza alla necessità<br />

etimologica del nome: desiderio, che è de-siderium (suffisso<br />

sottrattivo de + sîds, eris), ovvero in assenza <strong>di</strong> stelle. La con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> chi desidera è quella <strong>di</strong> chi è in assenza <strong>di</strong> un riferimento astrale,<br />

cioè orfano <strong>di</strong> Dio. In questo senso il de-siderium è il denominatore<br />

comune a ogni visione poetica del mondo. Rebora ha però interrotto,<br />

relativamente alle sorti novecentesche in Italia della poesia della crisi,<br />

il modo <strong>di</strong> traduzione letteraria del de-siderium, che, se continua a<br />

essere versificato, non esaurisce il destino della sua poesia. Rebora,<br />

cioè, realizza una formidabile acrobazia tenendo coesi il fulcro della<br />

modernità, ovvero il pensiero poetante che smette <strong>di</strong> credere nell’unitarietà<br />

dell’io, nel sapere oggettivo, nella gnoseologia romantica, nella<br />

“scrittura transitiva” riflettente un opus perfectum, con l’antica aspirazione<br />

alla totalità, con l’aspirazione a chiedere quella che Rebora<br />

ancora chiama «la verità della vita», a riscoprire l’integrazione dell’uomo<br />

a tutto l’universo, secondo quella lex continui che dominava<br />

nella concezione romantica.<br />

Ma è forse meglio passare alla lettura <strong>di</strong> alcuni dei Frammenti<br />

lirici, per intenderne <strong>di</strong>rettamente il valore. Nei fogli a vostra <strong>di</strong>sposizione<br />

la numerazione in numeri romani rispetta quella presente nella<br />

raccolta; è però <strong>di</strong>satteso il normale avanzamento numerico, poiché<br />

ho cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre, attraverso la lettura, un certo tipo <strong>di</strong> ragionamento.<br />

Devo anche <strong>di</strong>re che, per ragioni <strong>di</strong> tempo, non potrò fermarmi<br />

su tutti quanti i frammenti che voi troverete sui fogli. Obbligato a<br />

fare perciò una cernita, essendo l’impeto fecondo rintracciabile e per<br />

via linguistica e per via contenutistica, seguirò la seconda traccia,<br />

anche perché vorrei dopo saldare l’analisi poetica con una breve riflessione<br />

su Rebora e il Novecento. Pertanto mi riferirò ai fr. 1, 39,<br />

62, 63, 60, <strong>di</strong> nuovo 39, e poi 28, 50, e 71.<br />

Possiamo cominciare dal primo frammento, che è già rappresentativo<br />

<strong>di</strong> un organismo poetico che non assumerà in seguito una<br />

conformazione molto <strong>di</strong>ssimile da quella mostrata all’avvio.<br />

L’egual vita <strong>di</strong>versa urge intorno;<br />

Cerco e non trovo e m’avvio<br />

Nell’incessante suo moto:<br />

A secondarlo par uso o ventura<br />

– 101


Ma dentro fa paura.<br />

Perde, chi scruta,<br />

L’irrevocabil presente;<br />

Né i melliflui abbandoni<br />

Né l’oblioso incanto<br />

Dell’ora il ferreo battito concede.<br />

E quando per cingerti io balzo<br />

- Sirena del tempo –<br />

Un morso appena e una ciocca ho <strong>di</strong> te:<br />

O non ghermita fuggi, e senza grido<br />

Nel pensiero ti uccido<br />

E nell’atto mi annego.<br />

Se a me fusto è l’eterno,<br />

Fronda la storia e patria il fiore,<br />

Pur vorrei maturar da ra<strong>di</strong>ce<br />

La mia linfa nel vivido tutto<br />

E con alterno vigore felice<br />

Suggere il sole e pro<strong>di</strong>gar il frutto;<br />

Vorrei palesasse il mio cuore<br />

Nel suo ritmo l’umano destino,<br />

E che voi <strong>di</strong>veniste – veggente<br />

Passïone del mondo,<br />

Bella gagliarda bontà –<br />

L’aria <strong>di</strong> chi respira<br />

Mentre rinchiuso in sua fatica va.<br />

Qui nasce, qui muore il mio canto:<br />

E parrà forse vano<br />

Accordo solitario;<br />

Ma tu che ascolti, rècalo<br />

Al tuo bene e al tuo male:<br />

E non ti sarà oscuro<br />

Siamo davanti a un attacco quasi epico, almeno in senso tecnico,<br />

un attacco in me<strong>di</strong>as res, che denuncia l’ingovernabilità del flusso<br />

vitale; non a caso, il primo verbo che s’incontra, urge, restituisce<br />

integra l’ansietà dell’in<strong>di</strong>viduo travolto dal magma del <strong>di</strong>venire, nel<br />

quale è così arduo destreggiarsi che: «Cerco e non trovo e m’avvio/<br />

Nell’incessante suo moto». L’appercezione reboriana fa imme<strong>di</strong>atamente<br />

i conti con la corrosiva nozione <strong>di</strong> tempo, che è un inarginabile<br />

scorrere <strong>di</strong> attimi internamente pauroso: «a secondarlo par uso o ventura/Ma<br />

dentro fa paura». Ma il presente essendo “irrevocabil” e la<br />

“sirena del tempo” fuggente poiché non ghermita, non rimane che<br />

tuffarsi nel precipizio dell’atto («e nell’atto mi annego»).<br />

Il verbo urge, forse non per nulla primo verbo del verso primo, è<br />

fortemente denotativo della sollecitu<strong>di</strong>ne che accompagna il poeta<br />

102 –


nella sua esperienza del reale. Esso anticipa altri verbi cari a Rebora,<br />

e in abbandonza <strong>di</strong>sseminati nella raccolta, che ugualmente <strong>di</strong>cono<br />

dell’energia rovente sprigionata dalle <strong>di</strong>sarmonie dell’attuale (i vari<br />

preme, attanaglia, freme, pulsa, palpita, tumultua).<br />

Viene poi fronteggiata la spinosa questione del tempo, la cui<br />

metafisica prepotenza più volte sarà oggetto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tazione. Proprio<br />

la cognizione <strong>di</strong> quanto deciduo e transeunte sia il possesso del tempus<br />

che, orazianamente, è un frammento <strong>di</strong> aetas, induce a esaltare il<br />

presente come arena dell’azione <strong>di</strong> riscatto. Perciò, se da una parte<br />

l’atto, termine che spesso ricorre nei Frammenti, e che tra<strong>di</strong>sce la<br />

memoria <strong>di</strong> una giovanile adesione alla filosofia <strong>di</strong> Bergson, è<br />

l’escamotage necessario per una salvifica incoscienza delle <strong>di</strong>stonie<br />

del reale («e nell’atto mi annego»), dall’altra esso è fonte <strong>di</strong> impeto<br />

battagliero: «(…) e rivivi/Nell’atto la fede», come <strong>di</strong>rà nel fr. II.<br />

Fin qui il negativum dell’indagine poetica. Ma, lo accennavo prima,<br />

quando ricordavo la grande acrobazia <strong>di</strong> questa poesia, il pensiero<br />

reboriano non si accontenta <strong>di</strong> ratificare gli immobilistici corollari<br />

<strong>di</strong> lamenti tanto sofisticati - e i suoi, peraltro, non sono mai tali –<br />

quanto in sé conclusi. C’è sempre un fine che esige <strong>di</strong> essere realizzato<br />

e le cui basi progettuali sono, credo, già rintracciabili nella seconda<br />

parte del primo frammento. I versi 19-20 professano la volontà<br />

<strong>di</strong> integrarsi attivamente – a un livello sia biologico che spirituale<br />

– nel meccanismo della vita universale. Una volta descritte le metafore<br />

<strong>di</strong> provenienza botanica, Rebora <strong>di</strong>ce «(…) vorrei maturar da<br />

ra<strong>di</strong>ce/La mia linfa nel vivido tutto», ovvero esprime l’intenzione <strong>di</strong><br />

proiettarsi ed espandersi in un tutto che, pur riecheggiando quello<br />

leopar<strong>di</strong>ano, non è poeticamente e malinconicamente infinito, bensì<br />

vivido, cioè brillante e rigoglioso. Questa aspirazione è premessa alla<br />

seconda <strong>di</strong>chiarazione d’intenti, con la quale si tocca uno dei nervi<br />

centrali della poesia non solo dei Frammenti ma reboriana in genere:<br />

«Vorrei palesasse il mio cuore/Nel suo ritmo l’umano destino,/E che<br />

voi <strong>di</strong>veniste – veggente/Passïone del mondo,/Bella gagliarda bontà<br />

- /L’aria <strong>di</strong> chi respira/Mentre rinchiuso in sua fatica va».<br />

C’è quin<strong>di</strong> in Rebora l’ambizione, per <strong>di</strong>rla con Saba, <strong>di</strong> «aderire<br />

alla calda vita <strong>di</strong> tutti». In più egli invoca un nome, bontà, la cui<br />

ricerca non finirà mai <strong>di</strong> accendere la sua passione (e voglio ricordare<br />

l’emistichio «e sol bontà è vita» del Curriculum vitae, la biografia<br />

in versi ancora <strong>di</strong> là da venire): la comprensione dei mali altrui, che<br />

sono anche i propri, è il commovente risultato <strong>di</strong> una dote morale<br />

<strong>di</strong>nanzi alla quale la poesia stessa si deve inchinare. Illuminante a<br />

tale proposito un passo del fr. XXXIX, che è riportato <strong>di</strong> seguito:<br />

– 103


104 –<br />

XXXIX<br />

Ma qui c’è amore e vorrebbe<br />

Altro amore infiammare;<br />

Mentre rapace artiglia<br />

Nel cervello e nel senso<br />

La fame e la sciagura<br />

La voglia e l’ansietà,<br />

Vien qua tu, poesia maledetta,<br />

A veder la bellezza<br />

A provar la bontà:<br />

Ma qui c’è aiuto e vorrebbe<br />

Altro aiuto invocare. (vv. 13-23)<br />

Ecco, così come è la poesia a doversi redarguire, a doversi recriminare<br />

per la sua ritrosia a scoprire bellezza e bontà, allo stesso modo,<br />

sostiene Rebora contro ogni forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>singanno post-umanistico, è<br />

all’uomo che spetta <strong>di</strong> correggere la <strong>di</strong>sarmonia tra se stesso e la<br />

natura, tra io e mondo. Alcuni versi del fr. 62 denunciano proprio<br />

l’inadeguatezza dell’uomo moderno ad integrarsi ai ritmi naturali:<br />

LXII<br />

Stella in baglior <strong>di</strong> nebulosa avvinta,<br />

Notte succhiata dal cuor dei tramonti,<br />

Goccia in<strong>di</strong>stinta nel grido del mare,<br />

Rupe sommersa nel clivo dei monti,<br />

Pianta <strong>di</strong>spersa mentre inseni fonda,<br />

Forza agli or<strong>di</strong>gni nascosta e feconda,<br />

Anonima rozza che il carro trascini,<br />

Dite <strong>di</strong>te l’arcana maniera<br />

Dell’invisibile amore<br />

A noi, che meschini<br />

Coniamo dei nostri suggelli<br />

Il lavoro <strong>di</strong> Dio<br />

Gridando: Io, io ,io! (vv. <strong>14</strong>-26)<br />

È quin<strong>di</strong> compito dell’uomo rintracciare la via arcana dell’amore,<br />

la via che rende partecipi del <strong>di</strong>vino; e il <strong>di</strong>vino è coscienza della<br />

vita che è l’essere tra cose che sono, terrestre operosità illuminata<br />

dalla logica celeste, futura memoria <strong>di</strong> un ribattezzato essere da sempre<br />

che non fa neppure per un attimo balenare l’i<strong>di</strong>ozia, avrebbe detto<br />

Cioran, <strong>di</strong> “lanciarsi nell’appren<strong>di</strong>stato dell’altrove”.<br />

Il fr. LXIII è ancor più para<strong>di</strong>gmatico della volontà <strong>di</strong> integrarsi<br />

naturalmente al ritmo della vita:


LXIII<br />

Il mio passo è la traccia dell’erba,<br />

Il mio cuor è la specie del luogo,<br />

E tutto si palesa e nulla è vano<br />

Nel grande andar del mondo.<br />

Vil trastullo <strong>di</strong> sé,<br />

Orrenda solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> sé,<br />

Sulla mia forza piena<br />

Breve conquista vi resta:<br />

Siete un batter <strong>di</strong> ciglio<br />

Sul perenne guardare.<br />

Tu, <strong>di</strong>vin senso palpitante e intriso<br />

Del sangue quoti<strong>di</strong>ano;<br />

Tu, <strong>di</strong>vin senso che irraggi<br />

La vita e più la doni e più n’accresci:<br />

Se nelle prove oscure m’incoraggi<br />

E sull’arduo cammino che mi piacque<br />

La mia forza costrinsi all’altrui forza,<br />

Tu nella tregua m’accalori i polsi<br />

E per te spazia il consenso che nacque<br />

Innavvertito agli uomini e alle cose (vv. 25-44)<br />

E inutilmente tu, gravoso spazio,<br />

Dall’infeconda nuvolaglia premi<br />

L’in<strong>di</strong>cibile fervore:<br />

La bigia terra inerte<br />

Dai tronchi ai rami ascende;<br />

La bigia anima inerte<br />

Nell’amore e nell’atto più s’intende,<br />

E sugge dal tormento<br />

Le sue gioie più certe. (vv. 75-83)<br />

La fatica <strong>di</strong> captare il <strong>di</strong>vino, la male<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> rincorrerlo ad<br />

infinitum nel nostro finito, sono ricompensate dalla gioia <strong>di</strong> essere<br />

dal <strong>di</strong>vino irra<strong>di</strong>ati, come per una sorta <strong>di</strong> stilnovistica teoria <strong>di</strong> metafisica<br />

della luce:<br />

Il <strong>di</strong>vino si alimenta del proprio donarsi, e cresce per quanto il<br />

dono <strong>di</strong> sé è ricevuto senza conoscerlo. Il <strong>di</strong>vino è questa pienezza <strong>di</strong><br />

vita che ci apparterrebbe se fossimo nella potenza <strong>di</strong> pensarla con<br />

sapiente naturalezza:<br />

LX<br />

Divino è l’esser tra cose che sono<br />

E il pensarlo, e con pace<br />

Accogliere ignorando<br />

La misterïosa armonia,<br />

Mentre in un fluido eguale<br />

Spazia ineffabile il tempo. (vv. 16-21)<br />

– 105


Va da sé che il dolore è tuttavia presente; è presente, per esempio,<br />

nelle imprecazioni <strong>di</strong> Rebora contro la città vorace, le quali, superando<br />

l’adesione a un maledettismo urbano allora <strong>di</strong> moda per alcuni,<br />

traducono un <strong>di</strong>sagio dell’esistenza corrotta dai ritmi antinaturali.<br />

È poi anche il dolore prodotto dall’ansia del, <strong>di</strong>ce Rebora, «<strong>di</strong>venir<br />

tremendo che non cura l’opporsi/e si fa natura e storia». Ma il dolore<br />

è una questione troppo seria e non può, non potrebbe, non dovrebbe,<br />

sfociare nella gran<strong>di</strong>osa trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> un’intelligenza in<strong>di</strong>viduale che,<br />

non riuscendo a tollerare il peso della vita – la sua variegata ricchezza<br />

– tenta <strong>di</strong> soffocarlo, <strong>di</strong> eliminare il mondo.<br />

Il dolore per Rebora c’è, è denso, fitto, esteso, implacabile, e che<br />

serva a qualche cosa perlomeno:<br />

106 –<br />

XXXIX<br />

Il dolor plachi come la stanchezza<br />

Che reca sonno a riprodur la veglia,<br />

Il dolor sno<strong>di</strong> come la giornata<br />

Che rovinando crea l’indomani,<br />

Il dolor viva come buona madre<br />

Che trae dal penar la sua speranza,<br />

Il dolor fiammi come la lanterna<br />

Che dal nostro il cammin svela degli altri.<br />

Ciascun apra suo gorgo e lo fluisca<br />

Ruscello all’acqua altrui. (vv. 27-36)<br />

Se solo si pensa a ciò che la cognizione del dolore implica nella<br />

poesia <strong>di</strong> ogni tempo (in genere), già spicca la <strong>di</strong>sarmante e schietta<br />

propositività <strong>di</strong> un tal modo d’intendere il fare poetico. Quella che<br />

per alcuni è stata la sterzata in limine che ha scongiurato l’incidente<br />

nichilistico è in Rebora nozione preliminare al fatto stesso <strong>di</strong> non<br />

pensare mai l’essere come pena <strong>di</strong> essere. Rebora è nutrito dal senso<br />

<strong>di</strong> una vita sana che in nessun momento si lascia catturare dal piacere<br />

elegiaco della querimonia. Lo testimonia senza tregua questa poesia<br />

così straor<strong>di</strong>nariamente antiletteraria, che conosce basse durezze, che<br />

fa lo sberleffo ai dotti avvolgimenti <strong>di</strong> un pensiero aristocratico, perché<br />

ne sospetta l’inganno:<br />

XXVIII<br />

A me, che siete, o spregi insofferenti<br />

Del comun senso, o dotti avvolgimenti,<br />

O smanie ben pasciute,<br />

Se nel cuore le forme conosciute<br />

Degli uomini e del mondo<br />

Mi rivelano il pro<strong>di</strong>gio (vv. <strong>14</strong>-19)


A che possono valere le trappole <strong>di</strong> un pensiero ricercato, che<br />

esiste anzitutto per testimoniare il proprio inarrivabile splendore. Non<br />

è forse meglio, come <strong>di</strong>ce Rebora nel fr. L:<br />

L<br />

Esistere e pensare,<br />

Cinger <strong>di</strong> sé l’ignoto<br />

Universo e amare,<br />

Per ri<strong>di</strong>scender domani<br />

Umanamente pronti<br />

Al terribile giorno. (vv. 103-108)<br />

E si può concludere questa lacunosa lettura con alcuni versi del<br />

fr. LXXI, che riba<strong>di</strong>scono, con sintetica e asciutta irruenza, la volontà<br />

<strong>di</strong> non rassegnarsi mai:<br />

LXXI<br />

Al nostro polmon sano<br />

Anche poc’aria basta<br />

Per respirar profondo,<br />

Se turbini con Dio<br />

La volontà nutrita<br />

Di ricrear nel mondo<br />

Questa angoscia gioita,<br />

Quest’impeto fecondo,<br />

Questo veggente oblio:<br />

Questa vita che è vita. (vv. 75-84)<br />

Così i Frammenti lirici.<br />

Vorrei a questo punto esprimere alcune considerazioni riguardo<br />

la figura <strong>di</strong> Rebora nel nostro Novecento. Mi sembra che Rebora sia<br />

giunto a comunicare un’angoscia tipicamente novecentesca pur non<br />

essendo uomo <strong>di</strong> pena, o meglio, essendolo in un altro modo: restando<br />

ancorato alla storia grazie a una sua “rozzezza” che gli ha sempre<br />

impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> scovare nella parola un baluardo contro la violenza del<br />

reale. La parola è sempre in lui fasti<strong>di</strong>osamente ingombrante, impregnata<br />

<strong>di</strong> scorie repellenti, incapace <strong>di</strong> raffinare il dolore per mezzo <strong>di</strong><br />

una sua forma preziosa.<br />

Dev’essere una sensazione alquanto <strong>di</strong>ffusa, provata da molti,<br />

quella <strong>di</strong> un incomodo, <strong>di</strong> un irritante <strong>di</strong>sagio avvertito al primo contatto<br />

con la poesia reboriana. Il lettore non è abituato, non è allenato<br />

a ricevere un’energia che è <strong>di</strong>fficile gestire. Secondo una bella meta-<br />

– 107


fora un poeta, in realtà, non si legge. Un poeta si accosta, si avvicina,<br />

con una serie <strong>di</strong> manovre avvedute che servono a propiziare il momento<br />

dell’incontro. Ebbene, questo tipo <strong>di</strong> operazione <strong>di</strong>fficilmente<br />

vale nel caso <strong>di</strong> Rebora. È stato forse Giovanni Raboni a spiegare<br />

nella maniera più chiara la causa dell’incidente comunicativo che<br />

guasta il primo appuntamento con il poeta: è vero, come egli nota,<br />

che le parole usate da Rebora sono “impure”, sono parole che nella<br />

poesia continuano a significare qualcosa che hanno già significato<br />

prima, parole crudemente segnate da un uso anteriore, così come, <strong>di</strong><br />

contro, sono “pure” le parole usate da Montale, Ungaretti, Quasimodo,<br />

parole drammaticamente isolate nello sforzo <strong>di</strong> essere solo se stesse<br />

e la propria apparizione e non già anche il proprio significato e la<br />

propria storia.<br />

È forse in questo modo d’intendere il mestiere poetico che matura<br />

quella grandezza tempestivamente intuita da Boine, precoce <strong>di</strong>fensore<br />

dei Frammenti. Di certo Rebora si è applicato con lungo sacrificio<br />

alla composizione dei versi; è naturale – come lo è per chiunque<br />

scriva qualcosa che sarà letto da altri, e perciò più ancora lo è per<br />

il poeta, che intuisce nella responsabilità della parola il suo vincolo –<br />

che egli abbia assiduamente rivisitato le sue poesie, fino alla convinzione<br />

che nulla più andava aggiunto o sottratto. Meno ovvio è che<br />

Rebora abbia rinunciato a una qualsivoglia “presentazione” della sua<br />

opera. Nessuna introductio ad auctorem, nemmeno in separata sede.<br />

Voglio <strong>di</strong>re: in un periodo storico in cui il prodotto letterario e artistico<br />

assume importanza soprattutto per il valore programmatico che<br />

ne favorisce la genesi, per il progetto <strong>di</strong> una risposta alla modernità<br />

che esso contiene (e si pensi alle avanguar<strong>di</strong>e, ma poi anche al<br />

vocianesimo, al ron<strong>di</strong>smo, all’ermetismo, ecc., insomma, al tentativo,<br />

variamente declinato, <strong>di</strong> ricercare una forma d’arte che testimoni<br />

lo scandalo della storia), Rebora non avverte la necessità <strong>di</strong> giustificare<br />

la sua poesia, <strong>di</strong> inscriverla in una cornice intellettuale che le<br />

<strong>di</strong>a un senso per la storia del tempo.<br />

Va da sé che la poesia non ha necessità alcuna <strong>di</strong> essere introdotta,<br />

giustificata, chiarita. È un prodotto dello spirito. La poesia è. E<br />

basta. Altri s’impegnerà a <strong>di</strong>vulgarla o a chiosarla. Ma il punto, accennato<br />

sopra, è questo: nel corso del ‘900, e specificamente nella<br />

prima metà del secolo, i poeti, più <strong>di</strong> tutti, recepiscono con acutezza<br />

il bisogno <strong>di</strong> attribuire alla propria parola un carattere <strong>di</strong> “sperimen<br />

tazione”. I drammatici eventi contemporanei, le guerre, e poi, soprattutto,<br />

il riconoscimento integrale della frattura procurata dalla<br />

modernità, esortano a intravedere e ad e<strong>di</strong>ficare nella poesia uno scher-<br />

108 –


mo che protegga dal gratuito esibirsi della storia. In casi <strong>di</strong> forte entusiasmo<br />

la risposta della poesia non sarà un riparo ma, <strong>di</strong> contro,<br />

una reazione.<br />

Ad ogni modo, più che la poesia in sé acquista rilievo, per così<br />

<strong>di</strong>re, la poetica che ne legittima l’esistenza. Perfino Saba, appartato<br />

almeno quanto Rebora, scriverà nel 1948 una Storia e cronistoria del<br />

Canzoniere, vero e proprio saggio critico sulla sua opera in versi, la<br />

sua «tesi <strong>di</strong> laurea» come si <strong>di</strong>sse. Ma poi, si pensi alle Ragioni d’una<br />

poesia <strong>di</strong> Ungaretti, all’Intervista immaginaria <strong>di</strong> Montale, ai <strong>di</strong>scorsi<br />

sulla poesia <strong>di</strong> Quasimodo. Una specie <strong>di</strong> amara autoesegesi completa<br />

a <strong>di</strong>stanza il senso dei versi poetici, rendendoli così, se possibile,<br />

ancor più <strong>di</strong>sperati e autentici.<br />

Diversamente, Rebora, senza bisogno <strong>di</strong> escogitare un modus<br />

poetan<strong>di</strong> rispecchiante il <strong>di</strong>sastro storico, si <strong>di</strong>rebbe che giunga con<br />

spontaneità a pensare una poesia che, a parte l’in<strong>di</strong>scussa originalità<br />

linguistica, si pone come tipicamente novecentesca per via dell’inquietu<strong>di</strong>ne<br />

che la sostenta, e sia pure così operosamente governata<br />

nei mo<strong>di</strong> che prima abbiamo visto. Ma l’idea che Rebora sia un poeta<br />

orfano <strong>di</strong> poetica, insensibile ai richiami teorici <strong>di</strong> una qualunque<br />

ars poetan<strong>di</strong>, è poi rinfrancata da un’altra osservazione: in lui intercorre<br />

una <strong>di</strong>fferenza quasi impercettibile tra l’uso della lingua in poesia<br />

e in prosa, e per impellenze che nulla hanno a che vedere con<br />

l’adesione a un frammmentismo lirico <strong>di</strong> derivazione vociana. La<br />

parola in prosa gode della stessa impervia consistenza che governa<br />

quella poetica. La scrittura in versi non si oppone a tutto ciò che<br />

prosaicamente è altro da sé; i sostantivi, gli avverbi, gli aggettivi<br />

impiegati nelle composizioni poetiche sono i medesimi che Rebora<br />

utilizza in altri momenti della comunicazione. Il modo <strong>di</strong> torcere la<br />

lingua, <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporla a un uso quanto più materiale possibile, non cambia<br />

nel passaggio tra registri espressivi <strong>di</strong>fferenti. La poesia <strong>di</strong> Clemente<br />

Rebora non cresce in un laboratorio linguistico separato, costruito<br />

ad hoc. Essa abita quasi sempre nello stesso spazio grammaticale,<br />

sintattico, verbale destinato ad altri usi linguistici. Lo si può<br />

acclarare leggendo il suo epistolario, leggendo le sue prose, come ad<br />

esempio quelle che ho riportato sui vostri fogli. Io non ho ora il tempo<br />

<strong>di</strong> commentarle, ma vorrei almeno soffermarmi sull’ultimo scritto,<br />

perché, trattandosi <strong>di</strong> un articolo, si sottrae anche all’ipotesi <strong>di</strong><br />

una consonanza con il linguaggio poetico in quanto documento <strong>di</strong><br />

una prosa d’arte.<br />

È un articolo del 1910, la cronaca <strong>di</strong> una serata tipo in un teatro<br />

milanese dell’epoca:<br />

– 109


110 –<br />

Gli spettatotori dell’ultimo piano (1910)<br />

(…) Poi la folla aumenta. Allora si arrischia qualche passettino<br />

in avanti, e adagio adagio ci si stipa, quasi inavvertitamente. (…).<br />

Talvolta si ammorza subito; ma spesso circola, si trasforma, si drappeggia<br />

<strong>di</strong> rime<strong>di</strong> e consigli.<br />

Poi si consultano orologi, quando si possa giungere fino al panciotto<br />

nella pressura che si è fatta più gagliarda (…).<br />

E giunge il gran momento: la calca fluttua dentro i primi che<br />

spruzzano dentro la porta spalancatasi. (…).<br />

Quando l’uscio s’apre, l’assalto si fa rabbioso e brutale; le povere<br />

donne gridano in un tramestìo <strong>di</strong> braccia e petti stringenti (…).<br />

Quando infine comincia lo spettacolo, chi può vedere bene s’accovaccia<br />

nella propria attenzione (…). Calato il sipario, dopo l’ansietà<br />

della rappresentazione, la gola pizzica e si sente bisogno <strong>di</strong> bere<br />

e mangiucchiare qualcosellina.<br />

Poi, alla fine dell’atto, scattan su gli applau<strong>di</strong>tori e fischiatori<br />

arrabiati, e s’affaticano quasi per missione; e rigurgitano i commenti.<br />

Ci sono i cani da fiuto del plagio, che assordano: «questo c’è nel<br />

tal punto della tale opera; si ricorda – Ma che! – (…).<br />

Basta considerare il folto numero <strong>di</strong> analogie preposizionali<br />

(«tramestìo <strong>di</strong> braccia», «i cani da fiuto del plagio», ecc.), l’alterazione<br />

delle forme verbali consuetu<strong>di</strong>narie, la conversione <strong>di</strong> verbi<br />

transitivi in intransitivi-assoluti («spruzzano dentro la porta»), una<br />

formula a metà tra una voce parasintetica e un’analogia preposizionale<br />

come «si drappeggia <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>», un hapax come «qualcosellina»: è<br />

evidente allora come le parole poetiche non siano sottoposte a nessuna<br />

azione detergente che le ripulisca delle incrostazioni quoti<strong>di</strong>ane.<br />

Un’identica e innata concezione linguistica presiede agli interventi<br />

in prosa e in poesia.<br />

Guardare allora a Rebora come a un poeta senza poetica, accertare<br />

in lui l’assenza <strong>di</strong> una poetica, nei termini in cui ho prima inteso<br />

quest’ultima, e cioè come momento fondativo d’una poesia agglutinata<br />

a una sorta <strong>di</strong> apparato critico che ne commenta la forma esclusiva<br />

assunta <strong>di</strong> fronte all’irragionevole corso della storia, induce ad<br />

apprezzare maggiormente la considerevolezza del risultato ottenuto<br />

dai Frammenti lirici. È cioè sbalor<strong>di</strong>tivo che da una concezione così<br />

“artigianale” del lavoro poetico, così genuina e schietta, voglio <strong>di</strong>re<br />

così poco “aristocratica”, letteraria, derivi una poesia che non solo<br />

con<strong>di</strong>vide le più gran<strong>di</strong> controversie impegnanti l’ontologia novecentesca,<br />

ma che anche, in qualche modo, ne anticipa l’avvento.


Quanto ho detto non sembrerà forse inclinare verso un’incauta<br />

apologia se si ricordano le parole <strong>di</strong> Mario Luzi: «i Frammenti lirici<br />

restano la più alta investitura spirituale che la poesia del Novecento<br />

potesse chiedere e augurare». Dev’essere un motivo profondo, assai<br />

consistente, quello che ha indotto Luzi a esprimere un pensiero tanto<br />

netto, inequivocabile, perentorio. Un motivo sul quale conviene soffermarsi<br />

poiché il poeta fiorentino si può considerare un po’ come la<br />

coscienza poetica del secolo, l’ultimo rappresentante delle generazioni<br />

passate (soprattutto per il fatto che egli è ancora vivo). Il motivo,<br />

spiega Luzi, è che i Frammenti lirici, come i Canti orfici <strong>di</strong> Campana,<br />

consumano ancora un’esperienza totale, evadono cioè da quella che si<br />

può definire l’«episteme leopar<strong>di</strong>ana», ovvero la grande ere<strong>di</strong>tà del<br />

pensiero leopar<strong>di</strong>ano nel ‘900, che si riflette nella poesia modellata<br />

unicamente sulla propria coscienza, cui è chiaro che il derelitto apparato<br />

post-umanistico è stato per sempre abbandonato dall’umanesimo.<br />

Se il reale è antinomico rispetto alla coscienza soggettiva, alla coscienza<br />

soggettiva non resta che ridurlo al suo proprio limite, anziché aprirsi<br />

alla inesauribile trasformazione del reale stesso.<br />

Esattamente l’opposto <strong>di</strong> quello che a ogni passo i Frammenti<br />

lirici <strong>di</strong>cono ed esaltano.<br />

– 111


112 –


SULLE TRACCE DELLA POESIA DI MARIO LUZI<br />

RACHELE SIBILLA*<br />

1. PELLEGRINO DELL’ASSOLUTO<br />

NEL CONTATTO COL FIUME VIVENTE DELLA VITA.<br />

E’ nel nome dell’uomo, nel volerci pienamente umani, lucidamente<br />

attenti alla concretezza dei suoi bisogni e capaci <strong>di</strong> intercettare<br />

domande ra<strong>di</strong>cali <strong>di</strong> valore e <strong>di</strong> senso della vita e della storia che<br />

non si esauriscono nella sfera privata ma investono atteggiamenti<br />

culturali e sociali <strong>di</strong> rilevanza pubblica, che proponiamo quest’incontro<br />

con la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi.<br />

Non è una riflessione accademica, ma uno spazio <strong>di</strong> largo respiro<br />

umanistico, aperto al <strong>di</strong>alogo tra poesia e teologia, o meglio, tra il<br />

poeta e il teologo.<br />

Sui sentieri della Parola entrambi s’incontrano, ascoltatori e me<strong>di</strong>atori<br />

<strong>di</strong> una parola che ciascuno spezza agli uomini, con la specificità<br />

del suo linguaggio: il poeta fiducioso nella parola poetica con<br />

cui scava nei meandri sotterranei ed esplora frammenti e grumi <strong>di</strong><br />

vita; il teologo, fedele alla Parola che illumina <strong>di</strong> senso le parole<br />

della vita, accende il <strong>di</strong>namismo dell’interpretazione, del <strong>di</strong>scernimento,<br />

della ricerca che restituisce all’uomo la sua verità.<br />

In un contesto <strong>di</strong> frantumazione del sapere e <strong>di</strong> omologazione, in<br />

cui si fa fatica ad osare domande e ad attraversare i gua<strong>di</strong> dell’esistenza,<br />

senza fughe dalla responsabilità, è significativo e, sotto certi<br />

aspetti, provocatorio, l’incontro con la poesia <strong>di</strong> Luzi.<br />

Questa, infatti, è cifra della problematicità esistenziale, testimonianza<br />

<strong>di</strong> una fede costante nel valore della scrittura poetica, itinerario<br />

cognitivo, etico, filosofico, tensione veritativa che l’unisce al filo<br />

rosso che si <strong>di</strong>pana da Agostino a Dante, a Pascal, a Leopar<strong>di</strong>, a<br />

Montale, per quella ricerca densa <strong>di</strong> interrogativi, non <strong>di</strong>ssimile da<br />

poeti e pensatori pur <strong>di</strong>versissimi da lui.<br />

Luzi è una stella <strong>di</strong> prima grandezza nell’universo della lirica<br />

contemporanea, che non si finisce mai <strong>di</strong> esplorare: la sua produzione<br />

poetica è un contatto con il fiume della vita vivente, con le sue<br />

* Relazione tenuta il 16 Aprile 2002.<br />

– 113


sfide, le sue provocazioni e sfugge ad ogni rigida interpretazione, ad<br />

ogni storicizzazione, ad ogni “etichetta”.<br />

Ora energica ed occulta nel suo preziosismo stilistico, ora<br />

profetica, nella sua apparente semplicità, lungi da ogni “sistemazione”,<br />

s’impone per la sua voce e per la sua testimonianza <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione<br />

umana affacciata sul Mistero, sul senso ultimo del proprio<br />

consistere che resta inesplorato e costantemente sollecita l’intelligenza<br />

indagante ad aprirsi all’avvento dell’altro e alla novità della<br />

storia, senza cedere alla tentazione <strong>di</strong> ridurre le <strong>di</strong>fferenze o <strong>di</strong> catturarle<br />

negli schemi delle proprie proiezioni.<br />

Il poeta scava nel paradosso, nelle contrad<strong>di</strong>zioni della vita, nelle<br />

trasformazioni della storia, con l’umiltà <strong>di</strong> chi non presume <strong>di</strong> possedere<br />

risposte ma si sforza <strong>di</strong> ascoltare e <strong>di</strong> comprendere, <strong>di</strong> passare<br />

dalla contingenza del fenomeno al fondamento, capace <strong>di</strong> imprimervi<br />

un senso, in un perenne atto d’amore per l’uomo.<br />

Non troveremo, nei suoi testi, soluzioni o sovrapposizioni<br />

interpretative, l’intento <strong>di</strong> comunicare messaggi, ma uno spessore<br />

esistenziale ed una compromissione con la storia guardata da una<br />

prospettiva sapienziale che non è rifugio consolatorio e tranquillizzante,<br />

ma tensione che continuamente spinge al largo, per una ricognizione<br />

più vasta in cui supera, per evoluzione, senza tuttavia rinnegarli,<br />

i presupposti <strong>di</strong> partenza.<br />

Lo stesso atteggiamento si traduce in una ricerca formale che,<br />

pur attraversando i fermenti culturali del suo tempo approda ad esiti<br />

nuovi, a svolte ra<strong>di</strong>cali in cui si va precisando la sua vocazione poetica:<br />

le tappe esistenziali sono un’occasione per mettere a fuoco un’immagine<br />

del mondo e trovare un centro unitario, un filo <strong>di</strong> luce che la<br />

rischiari, quella sua “integrale vocazione metastorica” 1 e quella religiosa<br />

ricerca della verità che non si arresta <strong>di</strong> fronte a nessun fallimento<br />

e <strong>di</strong>namicamente la proietta verso nuove soluzioni stilistiche<br />

ed una coerente ricerca poetica.<br />

2. LA POESIA DI LUZI: CARMEN FLORENTINUM<br />

L’approccio alla poesia <strong>di</strong> Luzi è come il primo contatto con la<br />

città <strong>di</strong> Firenze, con il suo paesaggio che penetra negli occhi e nel<br />

cuore con la forza perentoria della sua antica bellezza: è come trovarsi<br />

in un cantiere a cielo aperto in cui confluisce l’opera e l’inge-<br />

1<br />

Mengaldo – Poeti italiani del Novecento – Mondadori, pag. 653<br />

1<strong>14</strong> –


gno <strong>di</strong> artefici e <strong>di</strong> artisti; nell’intreccio poderoso e armonico <strong>di</strong> linee<br />

e <strong>di</strong> <strong>di</strong>segni svettano monumenti, quasi ponti gettati verso l’alto, in<br />

cui vibra e si riconosce l’anima antica e sempre nuova <strong>di</strong> una città<br />

così raccolta e così aperta al mondo, così <strong>di</strong>screta e così maestosa. Di<br />

volta in volta, la luce radente o un velo <strong>di</strong> nebbia te la fa scoprire<br />

nella sua semplicità intrigante e misteriosa, nella profon<strong>di</strong>tà spirituale<br />

delle sue voci che sembrano venire da lontano ma sono cariche<br />

dell’oggi, <strong>di</strong> tutto l’umano, della leggerezza pensosa delle cose concrete,<br />

delle infinite possibilità <strong>di</strong> una comunicazione continuamente<br />

adeguata alla molteplicità delle esperienze e ad una pluralità che è<br />

garanzia <strong>di</strong> una verità non parziale e <strong>di</strong> una ricchezza inventiva inesauribile.<br />

Si avvia, così, un colloquio sommesso che entra nel sangue e<br />

parla all’anima coinvolgendola in quella che il poeta chiama “vicissitu<strong>di</strong>ne<br />

sospesa”.<br />

Proprio nella Firenze degli anni Trenta, insieme ad un folto gruppo<br />

<strong>di</strong> intellettuali, per lo più <strong>di</strong> estrazione cattolica, ed intorno al<br />

alcune riviste come “Frontespizio”, “Campo <strong>di</strong> Marte”, “Letteratura”<br />

inizia l’avventura poetica <strong>di</strong> Luzi. Intellettuale <strong>di</strong> punta, con<br />

Bigongiari, Parronchii, Gatto, Macrì, Contini, Bo e tanti altri, fa parte<br />

<strong>di</strong> quella generazione che, nel solco del rinnovamento avviato dagli<br />

ermetici della prima e della seconda generazione e sollecitato<br />

dalle esperienze simboliste, surrealiste ed esistenzialistiche, apre un<br />

<strong>di</strong>battito culturale che, per la vivacità dell’elaborazione e l’intensità<br />

dell’invenzione fa maturare una nuova sensibilità sulla funzione della<br />

letteratura e dell’esercizio poetico ed apre prospettive a percorsi<br />

poetici originali.<br />

Nel 1958, Carlo Bo, su “Frontespizio” pubblica una saggio significativo<br />

del nuovo in<strong>di</strong>rizzo: “Letteratura come vita” che, rovesciando<br />

l’estetismo e la retorica dannunziana, già denunciata dai movimenti<br />

<strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a, e andando oltre gli esiti <strong>di</strong> quel linguaggio<br />

assoluto, avulso da contenuti sociali e culturali e rivolto non a comunicare<br />

messaggi ma solo a tradurre l’illuminazione lirica ed una concezione<br />

in<strong>di</strong>viduale del mondo, identifica vita e letteratura.<br />

E’ evidenziata una tensione conoscitiva ed autoconoscitiva che<br />

non è tanto un processo intellettuale, analitico ed introspettivo <strong>di</strong><br />

progressiva acquisizione <strong>di</strong> conoscenze, ma domanda <strong>di</strong> verità, <strong>di</strong>sponibilità<br />

ad accogliere una rivelazione ed ascoltare il reale, nell’attesa<br />

<strong>di</strong> ciò che possa dare senso al vivere.<br />

La letteratura, afferma il critico, “è forse la strada più completa<br />

per la conoscenza <strong>di</strong> noi stessi ….. per la vita della nostra coscienza<br />

– 115


…..; per noi in egual misura letteratura e vita sono strumenti <strong>di</strong> ricerca<br />

e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> verità: mezzi per raggiungere l’assoluta necessità <strong>di</strong><br />

sapere qualcosa <strong>di</strong> noi, o meglio <strong>di</strong> continuare ad attendere con <strong>di</strong>gnità,<br />

con coscienza, una notizia che ci superi e ci sod<strong>di</strong>sfi ….. un<br />

golfo <strong>di</strong> attesa metafisica”. 2<br />

Molto acutamente un fine stu<strong>di</strong>oso dell’ermetismo come Silvio<br />

Ramat osserva: “è la concezione stessa <strong>di</strong> vita che va approfon<strong>di</strong>ta:<br />

ve<strong>di</strong>amo che nell’or<strong>di</strong>ne intellettuale dell’ermetismo essa contempla<br />

una verità come primum, intuita in interiore homine, <strong>di</strong> densa e ardua<br />

esprimibilità proprio per il suo stare confitta all’interno della<br />

coscienza personale; è una verità che teme <strong>di</strong> <strong>di</strong>sintegrarsi al contatto<br />

con i fenomeni così come essi brutalmente appaiono, e, pertanto,<br />

li evita proponendo l’assenza; ma anche spesso li sussume in una<br />

sintesi mentale, li <strong>di</strong>alettizza, cioè, verso la nozione. L’assenza mantiene<br />

desto il senso dell’attesa che s’incarna variamente nei singoli<br />

poeti del movimento, ivi compreso Montale che viveva a Firenze, in<br />

familiare rapporto coi giovani i quali vedevano già in lui un maestro<br />

anche sotto il rispetto etico, sentivano la sua lezione <strong>di</strong> docenza quoti<strong>di</strong>ana”<br />

3 .<br />

La poesia dell’assenza e dell’attesa non è, pertanto, <strong>di</strong>simpegno<br />

e chiusura nella torre d’avorio delle lettere, è piuttosto esplicita volontà<br />

<strong>di</strong> non compromissione col fascismo, <strong>di</strong>fesa dell’autonomia degli<br />

artisti e <strong>di</strong> un’attiva ricerca della verità, una scelta che si colloca in<br />

una prospettiva <strong>di</strong>versa da quella <strong>di</strong> Bargellini e <strong>di</strong> quei tra<strong>di</strong>zionalisti<br />

che si pongono nella linea avviata dal Concordato.<br />

In questo contesto Luzi s’impegna a creare una nuova parola poetica,<br />

mai <strong>di</strong>sgiunta dall’intelligenza del reale, dalla chiarificazione<br />

delle ragioni dell’arte e della poesia che non s’identifica con nessuna<br />

cultura, con nessuna ideologia ed è, tuttavia, portatrice <strong>di</strong> una speranza,<br />

spinta trepida ed insieme fiduciosa verso un bene ed un bello<br />

a cui tendere.<br />

E’ una speranza aperta alla ricerca del fondamento, ponte tra la<br />

precarietà e la crisi del presente e la possibilità <strong>di</strong> una pienezza che<br />

spinge verso un oltre.<br />

E’ una fiducia non tanto nell’assoluto della parola e delle sue<br />

possibilità conoscitive, quanto, piuttosto, nel valore della vita e della<br />

2<br />

Carlo Bo – Letteratura come vita – in “Frontespizio”<br />

3<br />

Silvio Ramat – Ermetismo – in Dizionario critico della letteratura italiana –<br />

UTET, pag. 41<br />

116 –


storia che la poesia può cogliere, nella certezza <strong>di</strong> un senso e <strong>di</strong> una<br />

verità profonda da scandagliare.<br />

E’ qui la novità e l’originalità <strong>di</strong> Luzi, la forza della sua testimonianza<br />

poetica, capace <strong>di</strong> esprimere il significato della vita e del<br />

mondo, <strong>di</strong> attraversarlo con lo spirito del viandante, dell’apri – pista<br />

che, a confronto con le trasformazioni e le brucianti contrad<strong>di</strong>zioni<br />

della contemporaneità, rimette continuamente in <strong>di</strong>scussione le antiche<br />

certezze, con un’interrogazione meto<strong>di</strong>ca, profondamente religiosa,<br />

poeticamente feconda per gli esiti a cui approda.<br />

Già la poesia giovanile rivela una maturità che è sorprendente:<br />

nella raccolta “La barca” (1955) si delinea una visione <strong>di</strong> sintesi,<br />

rara in un giovane. La figura della barca lascia intuire quella prospettiva<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza da cui il poeta osserva la realtà: c’è il tempo della<br />

storia e dei fatti contingenti che si <strong>di</strong>panano tra presente, passato e<br />

futuro, c’è il tempo della cultura che, ormai priva <strong>di</strong> quadri <strong>di</strong> riferimento<br />

si sfalda nei mille rivoli <strong>di</strong> interpretazioni soggettive in cui la<br />

poesia ricerca ciò che è stabile, il fulcro unitario e rende possibile la<br />

proiezione delle esperienze in un presente acronico, in una <strong>di</strong>mensione<br />

spazio – temporale che è fuori dal tempo. La poesia <strong>di</strong>venta, in<br />

tal modo, esperienza totalizzante.<br />

Sotto tale profilo <strong>di</strong>venta emblematico il testo “L’immensità<br />

dell’attimo”: “quando tra estreme ombre profonde/ in aperti paesi<br />

l’estate/ rapisce il canto degli armenti/ è la memoria dei pastori e<br />

ovunque tace/ la segreta alacrità della specie/ i nascituri avvallano<br />

nella dolce volontà delle madri/ e preme i rami dei colli e le pianure/<br />

arido il progressivo essere dei frutti. Sulla terra accadono senza luogo,/<br />

senza perché le indelebili/ verità, in quel soffio ove affondan/<br />

leggero il peso le fronde/ le navi inchinano il fianco/ e l’ansia dei<br />

naviganti a strane coste,/ il suono d’ogni voce/ perde sé nel suo grembo,<br />

al mare, al vento”.<br />

Quell’acca<strong>di</strong>mento “senza luogo e senza perché” delle indelebili<br />

verità è contemplato a <strong>di</strong>stanza, in una sorta <strong>di</strong> conoscenza che tende<br />

a capire e a ritrovare una realtà attraverso barlumi ed una tensione<br />

spirituale con cui il poeta fa rapide incursioni in un passato più o<br />

meno lontano. L’impressine che si riceve è quella <strong>di</strong> un’atemporalità<br />

<strong>di</strong> una vicenda quoti<strong>di</strong>ana attraverso cui il poeta ritrova realtà fuggite<br />

o cancellate: nonostante l’immobilismo delle immagini la vita non<br />

cessa <strong>di</strong> propagarsi perpetuando il suo ciclo universale e indecifrabile.<br />

Nel tessuto analogico del linguaggio è <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria suggestività<br />

l’analogia tra il piegarsi dei rami sotto il peso dei giorni e il vigore<br />

delle navi dei marinai desiderosi <strong>di</strong> esplorare nuove terre, <strong>di</strong>spersi al<br />

– 117


mare e al vento, all’infinito e all’indefinito. E’ comunicata una sorta<br />

<strong>di</strong> ritualità in un linguaggio raffinato ma lontano da esternazioni, cifra<br />

<strong>di</strong> quella stessa tensione euristica e stilistica dell’autore.<br />

La <strong>di</strong>sponibilità a scandagliare una con<strong>di</strong>zione umana <strong>di</strong>fficile<br />

da decifrare, il contrasto fra tempo ed eternità, tra la vita del soggetto<br />

e il tutto, il tema della presenza/ assenza, il sentimento <strong>di</strong> un vuoto,<br />

<strong>di</strong> una notte della conoscenza che può essere vissuta solo dall’immaginazione<br />

poetica danno vita alla raccolta <strong>di</strong> “Avvento notturno”<br />

(1940) che è l’espressione più alta dell’ermetismo.<br />

Nelle immagini poetiche, nel paesaggio popolato <strong>di</strong> cipressi (“parla<br />

il cipresso equinoziale” 4 ), <strong>di</strong> “oscuri e montuosi caprioli” 5 , <strong>di</strong> rose<br />

<strong>di</strong> “esistenti città” e <strong>di</strong> “giar<strong>di</strong>ni tormentosi” 6 , <strong>di</strong> “rispecchio degli<br />

opali” 7 <strong>di</strong> cristalli e “<strong>di</strong> occhi <strong>di</strong> mica”, <strong>di</strong> “pallide arene” e <strong>di</strong> “ortiche”<br />

che comunicano freddezza e immobilità, si scorge sempre una<br />

traccia della storia, una visione cupa della vita, investita da un senso<br />

<strong>di</strong> angoscia e <strong>di</strong> precarietà. Ogni immagine è il corrispettivo <strong>di</strong> una<br />

verità esistenziale, <strong>di</strong> un’esperienza sofferta, sicché il suo linguaggio<br />

anche quando è così raffinato e ricercato attraverso l’intarsio <strong>di</strong> termini<br />

colti, tecnici o esotici non si risolve nella pura ricerca tecnica,<br />

nell’assoluto della parola, ma è cifra <strong>di</strong> una problematica esistenziale<br />

affrontata attraverso l’aspirazione costante al suo valore universale.<br />

Il simbolo, allora, nella poesia <strong>di</strong> Luzi, va oltre quel lirismo totalizzante,<br />

quell’assoluto della parola che si carica <strong>di</strong> significati ulteriori,<br />

va oltre gli esiti montaliani caratterizzati da istanze esistenziali<br />

e dalla sfiducia nella sua possibilità <strong>di</strong> stabilire un’apertura verso<br />

l’Altro, in una linea che è lontana dal simbolismo e ne evidenzia la<br />

crisi. L’originalità dell’ermetismo luziano è, dunque, tutta nella fiducia<br />

e nella consapevolezza che il valore dell’atto poetico non è nella<br />

parola in sé, nella sua autoreferenzialità, ma nella possibilità <strong>di</strong> comunicare<br />

il senso e la verità profonda dell’uomo e della storia.<br />

Immagini, suggestioni, oggetti, presenze umane <strong>di</strong>ventano perciò<br />

occasione per una me<strong>di</strong>tazione metastorica, per una spiritualizzazione<br />

delle esperienze quoti<strong>di</strong>ane. “Quaderno gotico”, la raccolta<br />

del 1947, è, appunto, un documento rappresentativo della tendenza<br />

a comunicare un mondo sensibile ed insieme impalpabile, molto<br />

4<br />

Cfr. Avvento notturno – Avorio – Poeti italiani del Novecento a cura <strong>di</strong><br />

Mongaldo, pag. 654<br />

5<br />

Ibidem<br />

6<br />

Ibidem<br />

7<br />

Cfr. Avvento notturno – Città lombarda<br />

118 –


vicino a movenze stilnovistiche, ad una maniera gotica, ben evidenziata<br />

dal titolo. Centrale è, qui, il tema dell’apparizione della donna,<br />

<strong>di</strong> una epifania che richiama alla mente la Beatrice <strong>di</strong> Dante e la<br />

donna – angelo, la Clizia <strong>di</strong> Montale.<br />

Il poeta genovese recupera il modello stilnuovistico della donna<br />

– angelo, portatrice <strong>di</strong> una salvezza: Clizia è la nuova Beatrice, dal<br />

carattere sociale, personificazione <strong>di</strong> salvezza e occasione <strong>di</strong> esperienza<br />

del <strong>di</strong>vino, <strong>di</strong> riscatto per tutti gli uomini, non solo per il poeta<br />

e per pochi eletti. In lei si condensano, come per la Beatrice dantesca,<br />

sentimenti privati e valori ideologici oggettivi <strong>di</strong> carattere religioso,<br />

anche se <strong>di</strong> una religiosità laica, assunta come campo <strong>di</strong> valori, come<br />

momento <strong>di</strong> attesa e <strong>di</strong> speranza, da incarnare nella storia. Clizia,<br />

infatti, è per il poeta l’allegoria <strong>di</strong> una vicenda spirituale: è Clizia<br />

che il poeta ha conosciuto in un lontano passato e poi ha perduto, ma<br />

da lei riceve messaggi, parole e segnali quasi incomprensibili per la<br />

<strong>di</strong>stanza; è lei l’intrepida messaggera tra il poeta e un Dio invisibile,<br />

nella cui assenza o muta presenza si svolge il dramma della storia. Di<br />

fronte al male del mondo la donna – angelo assume una funzione<br />

sacrificale, come quella <strong>di</strong> Cristo, <strong>di</strong>venta “Cristofora”: il sacrificio<br />

<strong>di</strong> Cristo si trasforma e si perpetua nel sacrificio dell’uomo. E’<br />

un’apertura <strong>di</strong> Montale all’oltre, al Mistero che esclude un’adesione<br />

esplicita ed ogni risposta positiva.<br />

L’epifania della donna, come “presenza che s’aggira” come evento<br />

salvifico che apre alla speranza è centrale anche nella poesia <strong>di</strong> Luzi,<br />

ma la forza evocativa con cui ogni riferimento concreto è smateriallizato,<br />

fino a farne una presenza misteriosa, quasi un’ombra evanescente,<br />

è assolutamente nuova. L’atmosfera rarefatta squisitamente<br />

petrarchesca fa da sfondo al vagheggiamento della donna e al senso<br />

dell’attesa, attraverso immagini lievi che rendono la <strong>di</strong>mensione psicologica<br />

e introspettiva dell’amore. In un testo che è tra le realizzazioni<br />

più alte della poesia ermetica 8 , in una cornice che ha i tratti<br />

emblematici della pittura gotica, un cielo proteso verso l’apparire<br />

della luna, una brezza leggera che scompiglia l’erba del prato, appare<br />

una donna, una “vaga essenza”. La sua presenza, invisibile appare<br />

vibrante, è simile ad un vento sottile che rigenera un arbusto appassito<br />

e varca la “Siepe dell’infinito”, la barriera tra sogno e realtà, tra<br />

presente e passato: come il vento va oltre la siepe, così la donna<br />

<strong>di</strong>schiude la porta alla speranza, ad un futuro <strong>di</strong>verso come “lucciola<br />

8<br />

“Oscillano le fronde” da “Quaderno gotico” – in M. Luzi: Tutte le poesie –<br />

ed. Garzanti, Milano, 1988<br />

– 119


che vola rapida ad accendersi e a sparire” che sfiora il pergolato in un<br />

contrasto <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong> ombre, <strong>di</strong> fugace mobilità ed incisiva presenza,<br />

simbolo <strong>di</strong> quel segreto desiderio <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> gioia, così fragile, così<br />

provvisorio, che rimane inappagato, non colto e “lascia intatta la tenebra”;<br />

per un attimo si accende un barlume, si percepisce un’intensa<br />

emozione ma subito sparisce, quasi una perenne metamorfosi del<br />

<strong>di</strong>venire <strong>di</strong> ogni cosa.<br />

Le immagini stilizzate della cornice e dei suoi luoghi emblematici,<br />

il portico, il prato, la siepe, i significati metaforici <strong>di</strong> cui sono caricate<br />

le immagini, la perizia tecnica e lo scarto del linguaggio ermetico<br />

traducono, oltre quell’epifania, il sentimento religioso del poeta proteso<br />

tra coscienza del limite e tensione verso l’Assoluto, nella certezza<br />

<strong>di</strong> una speranza, nella possibilità <strong>di</strong> un futuro nuovo che va<br />

oltre la montaliana allegoria umanistica e sociale <strong>di</strong> Clizia. La poesia<br />

supera il limite del reale e giunge alla salvezza attraverso il sublime.<br />

3. LA SVOLTA DECISIVA<br />

Finora Luzi affronta senza miti consolatori e con una religiosità<br />

che lo rende più sensibile al dramma esistenziale, il tema del rischio<br />

e delle lacerazioni che tormentano la coscienza: un dramma antico<br />

quanto l’uomo, ricorrente nei Greci, eccitato dal Cristianesimo, complicato<br />

dalle filosofie moderne.<br />

Senza mai ripu<strong>di</strong>are la precedente esperienza <strong>di</strong> fronte agli avvenimenti<br />

della guerra e al travaglio della storia collettiva, proprio per<br />

le premesse implicite nel suo percorso, Luzi abbandona i toni più<br />

astratti e metafisici per una nuova attenzione alla realtà, sente <strong>di</strong> dover<br />

rivolgere la sua indagine e la sua luci<strong>di</strong>tà critica e poetica a ciò<br />

che sconvolge e smarrisce l’uomo.<br />

La produzione degli anni cinquanta è densa <strong>di</strong> riferimenti agli<br />

eventi della guerra, agli interrogativi e alle incertezze che suscita.<br />

Anche questa trage<strong>di</strong>a, questa “bufera” che provoca un’irruzione sconvolgente<br />

del reale nel mondo della poesia, come simbolo <strong>di</strong> un male<br />

più vasto che sconvolge la stessa civiltà umana <strong>di</strong> un dolore e <strong>di</strong> una<br />

violenza ineliminabili e dà voce alla sfiducia, ad una visione cupa in<br />

un poeta come Montale, lascia sempre uno spazio all’abbandono<br />

fiducioso nella visione <strong>di</strong> Luzi.<br />

Quella “notte del mondo” nella quale “gli dei sono fuggiti e la<br />

stessa poesia, ultima <strong>di</strong>vinità per Montale, rischia <strong>di</strong> soccombere,<br />

può essere ancora” aperta alla luce <strong>di</strong> un’alba nuova.<br />

120 –


In un testo che chiude la raccolta <strong>di</strong> “Brin<strong>di</strong>si” 9 il poeta dà un<br />

messaggio <strong>di</strong> speranza <strong>di</strong> un’alba nuova che lascia intravedere un<br />

“monte che ride illuminandosi”, “barlumi dall’acqua” mentre si riflette<br />

“negli specchi un sorriso, sui vetri aperto un brivido”. Una giovane,<br />

lasciata nell’indeterminatezza per rendere più suggestivo il suo<br />

valore simbolico <strong>di</strong> giovinezza, “contrad<strong>di</strong>ce in un tratto la morte”.<br />

Allo stesso modo da una porta aperta – la porta della fede e della<br />

speranza – irrompono “felici i colori”, le tenebre si <strong>di</strong>ssolvono ed un<br />

nuovo soffio <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> luce sospinge verso l’alto. Nella contemplazione<br />

del creato il poeta ritrova, dopo i segni <strong>di</strong> morte, quelli della<br />

vita che rinasce e lo comunica con quella raffinatezza stilistica e con<br />

quelle cifre simboliche che connotano ormai, la sua scrittura, meno<br />

rarefatta, meno intellettualistica, più attraversata dal brivido dell’esperienza<br />

storica.<br />

E’ abbandonata, infatti, la poesia oscura, densa <strong>di</strong> trame analogiche<br />

per una comunicazione meno cifrata e più attenta ai temi del<br />

rinnovamento, dell’attesa e delle trasformazioni del mondo, alle domande<br />

sul ruolo del poeta, sul suo andare incontro agli uomini, ad<br />

un’alterità che si svela, che provoca ed interpella.<br />

Attraverso un tema profondamente religioso come quello dell’Epifania<br />

10 , il poeta coglie quei segni <strong>di</strong> turbamento e <strong>di</strong> speranza <strong>di</strong><br />

sfascio e <strong>di</strong> rinnovamento che sono nella realtà.<br />

La notte dell’Epifania è descritta come “notte d’ansia e <strong>di</strong> vertigine”<br />

quando il tempo “sgrana i germi del nuovo” nel vento della<br />

mutazione e del cambiamento ra<strong>di</strong>cale che immerge la realtà in un<br />

processo costante <strong>di</strong> metamorfosi, tra passato e futuro, vita e morte,<br />

luce e tenebre, in un intreccio <strong>di</strong> contrari: “in una notte come questa<br />

l’anima mia ….. fiutò la notte tumida/ <strong>di</strong> semi che morivano, <strong>di</strong> grani/<br />

che scoppiavano, ravvisò stupita/ i fuochi in lontananza dei bivacchi/<br />

più vivi<strong>di</strong> che astri”.<br />

Sono questi contrari che rinviano alla ricerca dell’unità e segnano,<br />

anche per gli stilemi nuovi, più scarni ed essenziali, una via altra<br />

dai moduli ermetici, ma sempre aperta al mistero e densa <strong>di</strong> valenze<br />

metafisiche.<br />

Il recupero della <strong>di</strong>mensione realistica non significa, tuttavia,<br />

imme<strong>di</strong>ata adesione ai problemi socio – politici ma a quella verità<br />

che è nelle cose più semplici della vita quoti<strong>di</strong>ana, nei gesti meno<br />

clamorosi e lo stesso superamento dei precedenti moduli poetici av-<br />

9<br />

Diana, Risveglio – cfr.Tutte le poesie <strong>di</strong> M. Luzi, ed. Garzanti, Milano, 1988<br />

10<br />

Epifania: Tutte le poesie, Garzanti<br />

– 121


viene, non per elaborazione <strong>di</strong> una nuova poetica, ma all’interno <strong>di</strong><br />

quella stessa ragione del poetare, inteso come investigazione sulle<br />

ragioni più profonde e sulla <strong>di</strong>mensione più autentica della vita, segnata<br />

da una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> sospensione, <strong>di</strong> attesa: la me<strong>di</strong>tazione<br />

sull’effimero del tempo della storia e sul non senso della vita postula<br />

una riflessione più alta e partecipata sulla sorte dell’uomo, uno sguardo<br />

non ripiegato intimisticamente, ma proteso verso l’eterno.<br />

4. NEL MAGMA DELLA STORIA<br />

Fin dagli anni sessanta il poeta avverte <strong>di</strong> trovarsi ad una svolta<br />

della civiltà: la società sta cambiando; la volontà <strong>di</strong> ripresa e <strong>di</strong> ricostruzione<br />

nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un benessere economico evidenzia un<br />

impoverimento <strong>di</strong> valori e <strong>di</strong> quadri <strong>di</strong> riferimento. La massificazione<br />

della cultura determina il declino della civiltà occidentale e mette in<br />

crisi la funzione degli intellettuali, emarginati dalla mercificazione e<br />

dalla reificazione dei processi in atto. E’ significativo a tale riguardo,<br />

la polemica sorta tra Pasolini e Montale, il primo sostenitore <strong>di</strong><br />

un’omologazione culturale che, assunta passivamente dal popolo porta<br />

ad un imborghesimento e ad una per<strong>di</strong>ta dei valori popolari; il secondo<br />

sostenitore <strong>di</strong> una massificazione che, mercificando tutto, stabilisce<br />

e degrada la cultura borghese; nel magma informe che costituisce<br />

lo squallido mondo della vita non c’è posto per la poesia e l’unica<br />

scelta possibile è quella del silenzio.<br />

Luzi si confronta più <strong>di</strong>rettamente con quanto sta avvenendo,<br />

coglie la falsità dei miti illusori del consumismo e del benessere della<br />

società industrializzata e tecnologica ed assume il magma informe<br />

e caotico della vita per rappresentarlo nel magma formale <strong>di</strong> un nuovo<br />

linguaggio poetico che infrange ogni separazione tra vita e poesia.<br />

La sua ricerca poetica si rivolge ai temi dell’esistenza e ai problemi<br />

sociali, tenendo sempre <strong>di</strong>stinti i due piani della riflessione<br />

ideologica e dell’attività poetica, senza chiusure e senza <strong>di</strong>stanze,<br />

tipiche della prima stagione.<br />

In un raffinato poemetto della raccolta “Nel magma” (1966), intitolato<br />

“Presso il Bisanzio”, un affluente dell’Arno, Luzi affronta<br />

una tematica scottante in quegli anni, quella delle lotte sindacali, da<br />

una prospettiva che non è solo ideologica e riconduce al senso vero<br />

della storia.<br />

In un paesaggio urbano, avvolto dalla nebbia, deserto, fangoso,<br />

con pali e antenne dove sorge una conceria un uomo, lasciato<br />

122 –


nell’anonimato, incontra quattro compagni “pigri nell’andatura, pigri<br />

anche nel fermarsi” che si portano dentro la rabbia delle<br />

riven<strong>di</strong>cazioni e lo rimproverano <strong>di</strong> non aver con<strong>di</strong>viso la loro battaglia,<br />

fissandolo con occhi furenti ed ironici, <strong>di</strong> non aver compreso il<br />

significato <strong>di</strong> riscatto <strong>di</strong> scelte ideali e morali.<br />

L’uomo tace e poi spiega al compagno più giovane ed incerto:<br />

“E’ <strong>di</strong>fficile spiegarti. Ma sappi che per me il cammino/ era più lungo<br />

che per voi/ e passava da altre parti”. Il suo non è <strong>di</strong>simpegno, è<br />

una scelta più alta, è una scelta metafisica il cui giu<strong>di</strong>zio è riservato<br />

ai poveri: “Mentre pensi/ e accor<strong>di</strong> le sfere d’orologio della mente/<br />

sul moto dei pianeti per un presente eterno/ che non è il nostro, che<br />

non è <strong>di</strong>venuto/ poni mente a che cosa questo tempo ti richiede,/ non<br />

la profon<strong>di</strong>tà, né l’ar<strong>di</strong>mento,/ ma la ripetizione <strong>di</strong> parole/ la mimesi<br />

senza perché né come,/ dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitu<strong>di</strong>ne/<br />

morsa dalla tarantola della vita, e basta”.<br />

Mentre Montale è convinto che non c’è più spazio per la poesia,<br />

Luzi è convinto che il poeta ha la possibilità o <strong>di</strong> limitarsi a ripetere<br />

parole, ad invitare i gesti delle masse, integrandosi nella corrente,<br />

oppure può conservare una fedeltà assoluta alla poesia, l’unica che<br />

salva, non riducibile alla logica del mercato perché atto d’amore gratuito,<br />

espressione altissima <strong>di</strong> umanità. La poesia non può schierarsi<br />

da una parte o dall’altra e, perciò, “le sfere dell’orologio della mente”<br />

sono in sintonia non con il “qui ed ora” della storia, ma con il<br />

“movimento dei pianeti”, con una prospettiva più ampia. Il poeta,<br />

dunque, lavora anche per chi lotta, per amore loro.<br />

Per questo nessuno dei compagni potrà “giu<strong>di</strong>care a cuore duro<br />

<strong>di</strong> questi anni vissuti….. potranno farlo altri, in un tempo <strong>di</strong>verso”<br />

con libertà interiore e con una “pietà più perfetta”.<br />

Il poeta legge la storia da una prospettiva sapienziale in cui si<br />

riafferma la sua vocazione metastorica attraverso un linguaggio che<br />

tende sempre più alla prosa e si fa più oscuro, non più per la concentrazione<br />

analogica e l’evocazione mallarmeana, ma per un<br />

adeguamento alle figure, agli oggetti, alle presenze del reale; è un<br />

brulicare <strong>di</strong> vita, <strong>di</strong> forme che rivelano ancora una volta una sete <strong>di</strong><br />

conoscenza e <strong>di</strong> ulteriorità.<br />

I temi relativi a problematiche civili, come quelle del “terrorismo”<br />

e “degli anni <strong>di</strong> piombo” rinviano sempre ad una visione <strong>di</strong><br />

fede e ad una verifica storica; il problema della violenza, del male,<br />

del dolore del mondo rimane senza risposta, ma in ogni frammento<br />

senza senso si rivela una Presenza, l’incarnazione <strong>di</strong> Cristo che riscatta<br />

e trasfigura: “e lui forse è là” fermo nel nocciolo dei tempi/ là<br />

– 123


nel suo esercito <strong>di</strong> poveri/ acquartierato nel protervo campo in variabili<br />

uniformi” 11 .<br />

Nessuna rassegnazione ma una fede incarnata, problematica e<br />

provocata da quella presenza è garanzia <strong>di</strong> un’armonia del mondo<br />

che libera dallo scetticismo e dall’in<strong>di</strong>fferenza.<br />

La conoscenza della realtà, l’essenza <strong>di</strong> sé non è frutto <strong>di</strong> chissà<br />

quali ragionamenti; questa conoscenza solo in parte può essere enunciata<br />

nelle forme ufficiali della cultura; l’arte stessa cerca <strong>di</strong> esprimerla,<br />

ma le tracce si perdono nella complessità dell’elaborazione<br />

artistica: “non le tracce nei libri/ nulle o quasi le impronte,/ e se mai<br />

troppo nascoste, nella materia dell’arte” 12 .<br />

Tale conoscenza può solo essere intuita come nello sguardo sfuggente<br />

che la madre rivolge al figlio o nel sorriso <strong>di</strong> una donna, ma è<br />

un’intuizione fragile <strong>di</strong> cui facilmente si smarrisce il senso.<br />

Alla storia come certezza collettiva, alla possibilità <strong>di</strong> fondarla<br />

solo negativamente subentra in Luzi la consapevolezza <strong>di</strong> un fondamento<br />

invisibile per cui il mistero della vita coincide con la vita stessa<br />

e le sue contrad<strong>di</strong>zioni: la vita non può essere compresa né spiegata,<br />

ma solo vissuta (“vita fedele alla vita/ tutto questo che le è cresciuto<br />

in seno/ dove va, mi chiedo, <strong>di</strong>scende o sale a sbalzi verso il<br />

suo principio,/ ….. sebbene non importi, sebbene sia la nostra vita e<br />

basta” 13 .<br />

Lo stesso desiderio <strong>di</strong> felicità che nasce da una assenza, da una<br />

mancanza si rivela impossibile e non si sa da dove venga e a chi si<br />

volga, ma proprio quando è risospinto nei meandri dell’io si apre un<br />

varco (che richiama “l’anello che tiene” <strong>di</strong> Montale), un’apparizione<br />

miracolosa. L’acqua, presenza casta e purificatrice, viene a ristorare<br />

da ogni arsura, è il sorso <strong>di</strong> felicità atteso e raccolto nelle mani congiunte,<br />

quasi a conservarlo come un tesoro.<br />

Forse si tratta <strong>di</strong> un’illusione, <strong>di</strong> una resa al fascino <strong>di</strong> quell’incanto:<br />

“e vedo <strong>di</strong> lì a poco, mentre un po’ dormo e un po’ penso,/<br />

un’acqua meravigliosa raccogliersi in due mani fini e trepide, serrate/<br />

nella loro giumella un po’ infantile, un’acqua azzurra mi sembra,/<br />

giù dalle fen<strong>di</strong>ture <strong>di</strong> un’antica roccia dolorosa stillando./ A meno<br />

non sia parte dell’inganno/ ….. <strong>14</strong><br />

11<br />

“A che pagina della storia” da “Al fuoco della Controversia”<br />

12<br />

“Detto Non taciuto appena. Duro” da “Al fuoco della Controversia<br />

13<br />

“Vita fedele alla vita” da “Su fondamenti invisibili”<br />

<strong>14</strong><br />

“Dammi il mio sorso <strong>di</strong> felicità prima che sia tar<strong>di</strong>” da “Su fondamenti invisibili”<br />

124 –


Non è <strong>di</strong>fficile notare la novità <strong>di</strong> un linguaggio poetico che senza<br />

indulgere al lirismo, appare spezzato e contratto nel suo impianto<br />

ritmico e sintetico, più duro o attraversato da una dolente tensione.<br />

Sul piano formale ora il <strong>di</strong>scorso poetico si frantuma: è ricorrente<br />

la mancanza <strong>di</strong> punteggiatura la struttura a “scalino” dei versi per<br />

isolare le varie espressioni linguistiche e renderle più incisive. Come<br />

la vita sembra pacificarsi nell’attesa, che immerge nel flusso della<br />

storia e <strong>di</strong>lata l’orizzonte così la poesia si fa ricerca <strong>di</strong> un significato<br />

possibile che rimane aperto e rifiuta ogni definizione conclusiva.<br />

5. IL FASCINO ORIENTALE<br />

Col passare del tempo la poesia <strong>di</strong> Luzi sembra <strong>di</strong>latarsi in intensità<br />

ed estensione, acquistare sempre più spessore a vantaggio <strong>di</strong> un<br />

adeguamento ai toni del <strong>di</strong>alogo e del monologo con cui cerca <strong>di</strong> cogliere<br />

le tracce dell’eterno nel “grembo dell’oscurità che ci fascia”.<br />

Tra i numerosi viaggi fatti in America, in Cina, in Georgia ha un<br />

particolare rilievo quello in In<strong>di</strong>a. La conoscenza del mondo e della<br />

cultura in<strong>di</strong>ana ha certamente influito sui poemetti dei “Fondamenti<br />

invisibili”, in particolare “Nel corpo oscuro delle Metamorfosi” e<br />

nel “Gorgo <strong>di</strong> salute e malattia”.<br />

Dagli appunti del Diario, in cui l’autore ha annotato quell’esperienza,<br />

pubblicato a cura <strong>di</strong> Roberto Car<strong>di</strong>ni si può rilevare la svolta,<br />

la conversione maturata nel poeta. Il poeta ammette <strong>di</strong> essere arrivato<br />

a Bombay con una serie <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zi con quell’atteggiamento<br />

tipico dell’uomo occidentale, chiuso nei suoi schemi mentali. Avverte<br />

l’enorme contrad<strong>di</strong>zione tra lo splendore dei templi, la magnificenza<br />

e lo sforzo dei palazzi del Maharajah e la miseria <strong>di</strong> infinite<br />

moltitu<strong>di</strong>ni. E’ proprio nel contatto con i poveri, con i questuanti<br />

ricoperti <strong>di</strong> stracci lungo la strada che portava a Benares, in quel<br />

pellegrinaggio che egli fa l’esperienza evangelica, comprende la situazione<br />

in cui si trova il Signore nella Galilea, quando incontra le<br />

folle bisognose, gli straccioni che attendono il Messia e il riscatto<br />

della loro povertà. Quei poveri meritano attenzione, rispetto e soprattutto<br />

uno sguardo d’amore che spinge ad assumerli, a con<strong>di</strong>viderne<br />

l’ansia <strong>di</strong> salvezza e <strong>di</strong> liberazione.<br />

Il contatto con i poveri lo cambia, lo apre alla totalità dell’umano<br />

all’accettazione del mondo e della <strong>di</strong>versità, alla scoperta <strong>di</strong> una cultura<br />

ricca <strong>di</strong> fascino e <strong>di</strong> spontaneità, non intellettualistica ed aprioristica,<br />

come quella occidentale.<br />

– 125


Il contatto con quella povertà e quella <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> riti, <strong>di</strong> cultura<br />

lo converte: dal pregiu<strong>di</strong>zio e dalla chiusura passa alla <strong>di</strong>sponibilità<br />

della mente e del cuore ad aderire a quella realtà umana e naturale,<br />

alla contemplazione <strong>di</strong> una verità da cogliere non solo dentro <strong>di</strong> sé<br />

ma nelle trasformazioni del mondo e nella creazione continua dell’universo.<br />

Con un felice ossimoro si potrebbe <strong>di</strong>re che l’esperienza<br />

in<strong>di</strong>ana lo fa “restare pellegrino” nell’umanità per un desiderio <strong>di</strong><br />

compagnia con gli uomini <strong>di</strong> oggi con la consapevolezza che ogni<br />

itinerario è illuminato da un “topografo” <strong>di</strong> eccezione, lo Spirito, ed<br />

è iscritto nell’impreve<strong>di</strong>bilità che <strong>di</strong>schiude nuovi sentieri e pagine<br />

ine<strong>di</strong>te <strong>di</strong> storia.<br />

Negli scritti del poeta vibra il cuore <strong>di</strong> uno che cerca sempre: la<br />

sua ricerca è un andare verso, mai casa in cui prendere fissa <strong>di</strong>mora,<br />

mai assicurata, ma sempre rinnovata ed ogni volta conquistata.<br />

La visione del credente non emerge come questione privata, ma<br />

come prospettiva da cui leggere ed interpretare il mondo, come testimonianza,<br />

come identità credente che non si chiude mai in un colloquio<br />

che esclude l’altro e sempre si risolve in un vincolo <strong>di</strong> agape, <strong>di</strong><br />

caritas che va oltre i “pragmata”, il puro profitto utilitaristico ed è<br />

capace <strong>di</strong> assoluta gratuità.<br />

6. OPUS FLORENTINUM<br />

Una ra<strong>di</strong>cale visione <strong>di</strong> fede e un grande amore per la sua città<br />

danno voce a quel canto sacro che è uno degli ultimi testi “Opus<br />

florentinum” 15 .<br />

Qui il poeta, dopo aver immaginato un <strong>di</strong>alogo tra gli operai e gli<br />

artisti che hanno costruito la cattedrale <strong>di</strong> santa Maria del Fiore,<br />

un’opera a cui ha posto mano cielo e terra, fino a farne il simbolo più<br />

alto del patrimonio artistico, culturale e spirituale non solo <strong>di</strong> Firenze,<br />

ma del mondo intero, fa parlare la cattedrale stessa, il “Fiore della<br />

fede”. Artisti sommi come Arnolfo, Giotto, ser Filippo e un popolo<br />

<strong>di</strong> artisti ha reso possibile quel miracolo <strong>di</strong> un’opera in cui si esprime<br />

l’anima più autentica <strong>di</strong> Firenze e della fede cristiana.<br />

In occasione dell’anno giubilare la Chiesa, madre <strong>di</strong> tutte le altre,<br />

fa una sorta <strong>di</strong> esame <strong>di</strong> coscienza: “officina delle anime fui per molti<br />

secoli ….. chi si introduce nel mio ventre/ esce/ lavorato dal sapere<br />

15<br />

Mario Luzi: Opus florentinum, ed. Passigli, 2000.<br />

126 –


cristiano e dalla preghiera/ <strong>di</strong> molte e molte generazioni: si ricoverano<br />

qui gli sperduti, si ritemprano in questa penombra./ Ma anche si<br />

raccolgono i relitti/, si raggiustano i rottami,/ si fabbricano ali per<br />

volo in questa officina./ Hanno qui trovato asilo e lavorato la parola/<br />

che oggi vi offro i santi <strong>di</strong> Firenze./ Ma quanto è necessario/ che sia<br />

sempre infuocato questo laboratorio, delle anime/ e io giustificata<br />

dalla mia attiva opera!/ Vorrei, figli miei presenti nella città e nel<br />

tempo,/ e voi figli defunti nelle epoche recenti/ e in quelle più remote/<br />

formassimo tutti insieme un corpo unico/ che si offre all’avvenire/<br />

il quale si approssima sotto specie misteriosa <strong>di</strong> millennio/ e già<br />

sta per entrarmi dalla porta./ Viene con volto imperscrutabile/ ad avere<br />

il mio battesimo/ ed insieme il forte viatico/ per il suo dubbio cammino.<br />

Viene anche/ a portare nuove angosce ed ansie,/ nuova preghiera,<br />

nuove beatitu<strong>di</strong>ni al mio antico magistero. E forse ne rinnova<br />

in me/ la ragione prima e l’anima….. Vorrei essere forte/ <strong>di</strong> tutti i<br />

miei slanci e <strong>di</strong> tutti i miei peccati/ <strong>di</strong> tutte le mie miserevoli omissioni/<br />

e delle mie tribolate penitenze/ per accogliere con fede e con<br />

esperienza/ questo advena, questo sopravvenuto tempo./ viene forse<br />

duro ed impietoso a chiedere ragione/ del grande patrimonio che<br />

abbiamo <strong>di</strong>ssipato, viene/ forse smarrito a men<strong>di</strong>care un po’ <strong>di</strong> quella<br />

povera sostanza./ Vorrei fossimo uniti tutti insieme, figli miei, per<br />

essere una roccia/ su cui posso posare il piede/ chi arriva/ e prendere<br />

slancio per il volo…../ Abbiamo noi, chiesa cristiana,/ trasmesso/<br />

integro il Vangelo,/ ma non siamo qui soltanto per commemorare/<br />

bensì per attuare…../ sia il millennio un allarme temporale/ all’intemporalità<br />

che noi viviamo/ da poveri, umilmente giorno per giorno,/<br />

sia esso un incremento/ senza fine del Verbo e del suo senso./<br />

Figli miei voglio essere il luogo per la crescita degli uomini,/ tutti, <strong>di</strong><br />

ogni provenienza e origine…./ O secolo che vieni/ su un secolo nostro/<br />

nell’or<strong>di</strong>ne della cristiana previsione/ <strong>di</strong> fede e <strong>di</strong> certezza…../<br />

Quella che si <strong>di</strong>spone al rito festoso del riconoscimento,/ figli è una<br />

chiesa penitenziale. Molti hanno operato in me/ e in nome mio non<br />

onesta/ ma anzi perfida e maliziosa gente./ In molti hanno abusato<br />

del mio limpido sigillo,/ e io chiesa materna mi affliggo <strong>di</strong> tutte le<br />

magagne./ Perdono, chie<strong>di</strong>amo a mani giunte”.<br />

Da tutto il monologo promana un profondo senso ecclesiale ed<br />

una passione per la comunione che rivelano la sensibilità <strong>di</strong> un credente<br />

proteso alla ra<strong>di</strong>calità della fede e all’unitarietà non solo come<br />

tensione al superamento <strong>di</strong> separatezze, frammentazioni ma alla ricerca<br />

<strong>di</strong> una comune umanità che ci rende fratelli in una <strong>di</strong>mensione<br />

universale, aperta, cor<strong>di</strong>ale. E’ una fede che cresce attraverso l’inter-<br />

– 127


ogazione e si illumina attraverso un pensiero che lo <strong>di</strong>lata ed una<br />

testimonianza provata.<br />

E’ una fede che si fa coltivazione dell’uomo che cresce nella<br />

ricerca intelligente e libera della verità, nella comprensione del mondo<br />

e della storia dove non si stanca <strong>di</strong> scorgere i germi <strong>di</strong> speranza, pur<br />

nelle sue contrad<strong>di</strong>zioni ed incoerenze.<br />

E’ la fede nel Mistero della chiesa, della sua maternità, della sua<br />

forza <strong>di</strong> redenzione e <strong>di</strong> trasfigurazione destinata a farsi incessantemente,<br />

sotto l’azione <strong>di</strong> Dio, nonostante i limiti e le omissioni.<br />

E’ espressione <strong>di</strong> fede l’esercizio faticoso <strong>di</strong> una continua assunzione<br />

del vissuto, del suo dolore, delle sue contrad<strong>di</strong>zioni, dei suoi<br />

enigmi, per lasciarlo avvolgere dalla luce <strong>di</strong> quel Mistero, della luce<br />

della Pasqua del Signore, per scoprire la vita come luogo dove Cristo<br />

e la Sua Croce sono presenti perché la resurrezione e la vita nuova<br />

s’inscrivono nella cronaca e nell’esperienza <strong>di</strong> ogni giorno.<br />

Il segno inequivocabile del rinnovamento è, pertanto, nella conversione<br />

– riconciliazione: è una svolta ra<strong>di</strong>cale, mai definitiva e capace<br />

<strong>di</strong> mostrare ad ogni uomo il volto della compassione e della<br />

misericor<strong>di</strong>a. In una realtà segnata da <strong>di</strong>visioni e conflitti, da o<strong>di</strong>o e<br />

da violenza la profezia della Chiesa che è, insieme, annuncio e sfida<br />

da accogliere, provocazione e responsabilità è la riconciliazione: solo<br />

un’umanità riconciliata non più <strong>di</strong>visa e lacerata in se stessa, può<br />

celebrare la vita, riscoprire il dono della fraternità, può integrarsi<br />

armonicamente nel tutto nel quadro <strong>di</strong> una nuova citta<strong>di</strong>nanza universale<br />

in cui ciascuno è accolto, riconosciuto, tutelato, aiutato a crescere.<br />

Chiedere perdono a mani giunte è la via per nuove relazioni<br />

come fondamento <strong>di</strong> una nuova soggettività non autoreferenziale,<br />

ma aperta al <strong>di</strong>alogo, al confronto, alla responsabilità verso l’altro, è<br />

il tramite <strong>di</strong> accesso ad una nuova umanità, e quell’homo humanus<br />

trasfigurato dalla luce trinitaria.<br />

Il testo si configura, pertanto, non solo come scritto ispirato da<br />

un evento significativo come quello giubilare, ma come una tappa<br />

ulteriore <strong>di</strong> un itinerario umano e poetico coerente che rimette al<br />

centro l’uomo, il suo sforzo <strong>di</strong> autocomprensione, in un atteggiamento<br />

costruttivo <strong>di</strong> fronte ai <strong>di</strong>sagi e ai cambiamenti in corso per<br />

convertirli con fiducia e realismo, col magistero <strong>di</strong> una voce autorevole<br />

perché densa <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong>stante dai toni perentori del pre<strong>di</strong>catore<br />

o del moralista, carico <strong>di</strong> esperienza in una visione dolorosa. Colpisce<br />

soprattutto il senso e il valore dello sperare che il poeta trasmette<br />

nella sua comunicazione lirica, quell’apertura su un orizzonte infinito<br />

in cui si rivela la sua visione <strong>di</strong> credente che non imprigiona negli<br />

128 –


assoluti, alla fine deludenti, delle piccole speranze quoti<strong>di</strong>ane e costituisce<br />

un’ala <strong>di</strong> riserva per il progetto <strong>di</strong> una società nuova, capace<br />

<strong>di</strong> tenere desto l’appello profetico e <strong>di</strong> tradurlo in scelte storico –<br />

politiche e restituisce l’uomo alla sua umanità più profonda.<br />

La lettura stimola sempre, attraverso la commozione e il<br />

coinvolgimento che provoca, una riflessione sul senso della storia e<br />

sul fondamento del vivere, suscita nuovi interrogativi sul futuro della<br />

convivenza e sui valori che possono orientarla e rimuoverla.<br />

7. IN MEMORIA DI VALENTINA: QUASI UN COMPENDIO<br />

Tutta la poesia <strong>di</strong> Luzi è una costante comunicazione <strong>di</strong> quel rapporto<br />

profondo con la problematicità e la complessità della con<strong>di</strong>zione<br />

umana: la suggestione <strong>di</strong> ogni occasione è strumento<br />

fenomenologico per una me<strong>di</strong>tazione storica, per una conoscenza non<br />

intellettualistica, ma per “cifre e per barlumi” dell’essenza trascendente<br />

del mondo e dell’uomo e riafferma l’integrale vocazione<br />

metastorica della sua poesia. Alle contrad<strong>di</strong>zioni, agli enigmi, al dolore<br />

e al male del mondo non si possono dare soluzioni, interpretazioni<br />

elaborate secondo schemi razionali, ideologici, moralistici. Essi<br />

possono solo essere attraversati, con<strong>di</strong>visi nel coinvolgimento <strong>di</strong> ogni<br />

esperienza <strong>di</strong> vita, dando voce autentica alle cose.<br />

E’ per questo che la poesia luziana è espressione irripetibile ed<br />

incisiva della crisi e della speranza, “tenta il <strong>di</strong>agramma della turbata<br />

avventura spirituale dell’uomo contemporaneo, ne descrive la storia<br />

attraverso i segni dello smarrimento dell’invocazione, della speranza<br />

….. e la sua religiosità si presenta come nozione <strong>di</strong> una sofferenza<br />

che non ha conforto qui, ora, che ha fiducia assoluta nella storia e<br />

conseguente scetticismo verso tentativi <strong>di</strong> soluzione storica” 16 .<br />

Il senso e il fondamento <strong>di</strong> ogni problema e <strong>di</strong> ogni sofferenza è<br />

oltre la soglia dei ricorrenti messianismi ideologici e utopici, è in<br />

quella zona <strong>di</strong> Mistero e <strong>di</strong> Paradosso dove l’umano si scopre nella<br />

sua <strong>di</strong>mensione più autentica, nella sua debolezza e nella sua forza,<br />

nel suo limite ontologico, creaturale, nella sua essenzialità e nella<br />

sua con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> esodo, <strong>di</strong> eternità, entrata nel tempo.<br />

In questa prospettiva possono essere considerati una poderosa<br />

sintesi i versi ine<strong>di</strong>ti che Luzi ha scritti per Valentina, vittima della<br />

16<br />

Cfr. Barberi Squarotti in Giacalone: storia della letteratura italiana e critica<br />

letteraria “Da Svevo ai nostri giorni” ed. Signorelli, pag. 409<br />

– 129


ecente trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Linate 17 : “Bruciarono con quelle del velivolo/<br />

Valentina, le tue ali. Si erano/ teneramente aperte al primo vento/<br />

oscillavano felici/ volavano con te i pensieri dei tuoi cari,/ le ansie, le<br />

attese, i desideri./ Tutto fu crudelmente preparato/ per le vampe <strong>di</strong><br />

quel rogo/ d’amore e <strong>di</strong> dolore. Ad<strong>di</strong>o, Vale.<br />

Valentina è una giovanissima <strong>di</strong> ventisei anni che stu<strong>di</strong>ava a Pisa<br />

ingegneria elettronica, doveva <strong>di</strong>scutere solo la tesi <strong>di</strong> laurea e, poiché<br />

aveva vinto una borsa <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o ad Aalberg in Danimarca era su<br />

quell’aereo maledetto che avrebbe spezzato la sua vita, come “flos<br />

succisus aratro”. Con delicatissima sensibilità che richiama alla mente<br />

accenti virgiliani, densi <strong>di</strong> tenerezza e <strong>di</strong> lacrime, il poeta porta alla<br />

luce la verità <strong>di</strong> un paradosso, razionalmente indecifrabile ma che si<br />

<strong>di</strong>ce attraverso la “tenebra luminosa” del Mistero e della Croce, scandalo<br />

per gli intelligenti e sapienza per chi impara l’umiltà dell’abbandono.<br />

Quel rogo “d’amore e <strong>di</strong> dolore” in cui bruciano le ali che oscillano<br />

felici, è cifra dell’infinito dolore del mondo, attraverso il quale<br />

s’impara a stare nel mondo con amore, ad aprirsi ad una relazionalità<br />

– reciprocità che <strong>di</strong>cano il nostro essere costitutivamente trascendente.<br />

I nostri occhi si fissano su quelle ali: le ali dell’aereo protese al<br />

grande volo nello spazio, le ali della giovinezza spiegate verso un<br />

ra<strong>di</strong>oso futuro ricco <strong>di</strong> progetti e <strong>di</strong> promesse. Attraverso le sue immagini<br />

il poeta spinge il nostro sguardo oltre la fiamma <strong>di</strong> quel rogo,<br />

dove la linea dell’orizzonte risplende nella serena <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> un cielo<br />

terso.<br />

Il miracolo della poesia luziana è in questa capacità <strong>di</strong> coinvolgere,<br />

<strong>di</strong> introdurre nell’evento e <strong>di</strong> condurre al largo ed oltre, <strong>di</strong> suscitare<br />

passione e “pietas” per ogni uomo, <strong>di</strong> sollecitare a procedere, a<br />

fare quel passo oltre che per il credente è l’atto <strong>di</strong> fede, della fede<br />

pagata a caro prezzo, quasi a riba<strong>di</strong>re che l’essere credente è un caso<br />

serio.<br />

E’ per questo che abbiamo chiesto ad un teologo della statura e<br />

della sensibilità <strong>di</strong> don Bruno Forte <strong>di</strong> introdurci nel mondo poetico<br />

<strong>di</strong> Luzi al quale il nostro teologo è legato da affinità elettive e da<br />

vincoli <strong>di</strong> profonda amicizia.<br />

E’ per noi un dono questa testimonianza e alla mensa della sua<br />

parola ci <strong>di</strong>sponiamo ad accogliere tutta la ricchezza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni e<br />

17<br />

Cfr. Corriere della Sera del 13.08.02<br />

130 –


suggestioni che possono far luce sull’itinerario umano e poetico dell’autore.<br />

Fin da ora gli <strong>di</strong>ciamo un grazie vivissimo per il suo essere tra<br />

noi, per la sua testimonianza e per quello che saprà suscitare ed, in<br />

particolare, per quella nostalgia del bello, per quei frammenti <strong>di</strong> luce<br />

che saprà far guizzare nel cuore e nell’intelligenza <strong>di</strong> noi tutti.<br />

– 131


BIBLIOGRAFIA<br />

• M. Luzi: Tutte le poesie, ed. Garzanti, 1988.<br />

• Frasi ed incisi <strong>di</strong> un canto salutare, Garzanti, Milano, 1990.<br />

• Viaggio terrestre e celeste <strong>di</strong> Simone Martini, Garzanti, Milano ,<br />

1992.<br />

• Luzi – Dante – Leopar<strong>di</strong> e le modernità, ed. Riuniti, Roma, 1992<br />

• Opus florentinum, Passigli Poesia, 2000.<br />

Su Luzi<br />

• G. De Benedetti: Poesia italiana del ‘900, Garzanti, Milano, 1974,<br />

pp. 107 – 124.<br />

• Pasolini: Le poesie <strong>di</strong> Luzi in laboratorio in “Passione e ideologia”,<br />

Milano, Garzanti, 1960 pp. 453 – 457.<br />

• Fortini – Luzi in “Saggi italiani” Bari, De Donato, 1975 pp. 37- 68.<br />

• Pautasso – Luzi: Storia <strong>di</strong> una poesia, Milano, Rizzoli, 1981.<br />

• G. Mariani: Il lungo viaggio verso la notte – Itinerario poetico <strong>di</strong><br />

M. Luzi, Padova – Livorno, 1982.<br />

• M. Luzi: Atti del Convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, Siena 9 e 10 maggio a cura <strong>di</strong><br />

Serrao, ed. dell’Ateneo, Roma, 1983.<br />

• G. Quiriconi: Il fuoco e la metamorfosi, Cappelli, Bologna, 1980.<br />

• L. Rizzoli – G. Morelli: Mario Luzi, Mursia, Milano, 1992.<br />

• Philippe Renard: Mario Luzi Framenti e totalità. Saggio su “Per il<br />

battesimo dei nostri frammenti” Bulzoni, Roma, 1995.<br />

• Fabiano d’Avigo: Gozzano e Luzi - il Viaggio in Oriente in Nuova<br />

secondaria, La scuola del 15 <strong>di</strong>cembre 1999.<br />

132 –


LA VERITA’ NELLA POESIA DI MARIO LUZI<br />

BRUNO FORTE *<br />

Ringrazio il Signore, innanzitutto, <strong>di</strong> questa possibilità <strong>di</strong> pensare<br />

con voi, ringrazio il Vescovo, per la cui parola e il cui invito sono<br />

qui, grazie naturalmente alla signora Sibilla, coor<strong>di</strong>natrice della sezione<br />

letteraria della biblioteca, al <strong>di</strong>rettore della biblioteca e a tutti<br />

voi. In realtà, io non ho titoli particolari per poter parlare <strong>di</strong> Mario<br />

Luzi, poeta, se non il titolo <strong>di</strong> una ormai antica amicizia e <strong>di</strong> un <strong>di</strong>alogo<br />

ricco e profondo con lui, che si è espresso, da parte sua, nei due<br />

testi che lui ha scritto sui due miei volumi <strong>di</strong> poesia, “Di te ricordo<br />

quando” e “Il silenzio <strong>di</strong> Tommaso”, e, da parte mia, nella relazione<br />

che tenni al Congresso “Gli intellettuali italiani e la poesia <strong>di</strong> Mario<br />

Luzi”, che si tenne a Montepulciano e che doveva essere il momento<br />

celebrativo con cui, a fine secolo, in qualche modo, si cercava <strong>di</strong><br />

riconoscere la straor<strong>di</strong>naria incidenza e testimonianza che la poesia<br />

<strong>di</strong> Mario Luzi rappresenta per la cultura italiana.<br />

Le cose che stasera vi <strong>di</strong>rò sono anche quelle che, in qualche<br />

modo, ho cercato <strong>di</strong> presentare quella sera, nel contesto <strong>di</strong> molti altri<br />

interventi, da quello <strong>di</strong> Massimo Cacciari a quelli <strong>di</strong> letterati e critici<br />

come Bo e <strong>di</strong> tanti altri, che, devo <strong>di</strong>re, trovarono in Mario Luzi un<br />

profondo consenso. In qualche modo, vorrei <strong>di</strong>re che l’interpretazione<br />

che vi propongo è autentica, perché è l’Autore stesso che, avendola<br />

prima ascoltata e poi letta, mi ha più volte confermato <strong>di</strong> ritrovarsi<br />

in questo tentativo <strong>di</strong> lettura della sua opera.<br />

E’ dato <strong>di</strong> fatto, <strong>di</strong>rei, evidente, che la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi attraversa<br />

per intero il secolo breve, il secolo che si è appena concluso, e<br />

ne è, in qualche modo, nella nostra società italiana e per la nostra<br />

cultura, una sorta <strong>di</strong> controcanto, <strong>di</strong> coscienza riflessa, <strong>di</strong> voce critica<br />

al tempo stesso espressiva e inquietante; dall’altra parte, bisogna anche<br />

riconoscere che la ricerca religiosa <strong>di</strong> Mario Luzi e anche la sua esplicita<br />

confessione <strong>di</strong> Fede sono elementi che rendono questa poesia<br />

particolarmente intrigante per la sensibilità del teologo e in generale<br />

del credente.<br />

* Relazione tenuta il 16 Aprile 2002. Testo trascritto dalla registrazione non<br />

rivisto dall’Autore.<br />

– 133


Mario Luzi è un credente, non ne fa mistero, ed, anzi, molti dei<br />

suoi testi sono esplicitamente attraversati non solo dalla tematica della<br />

ricerca <strong>di</strong> Dio, ma anche da quella della esplicita confessione <strong>di</strong> Dio.<br />

Pensiamo, per esempio, ai testi, certamente singolari, della Via Crucis<br />

che lui ha scritto per la celebrazione al Colosseo presieduta dal Papa<br />

e che sono, certamente, anche una voce poetica assolutamente singolare<br />

in questo caso.<br />

Procederò, dunque, anzitutto dalla domanda che pongo alla poesia<br />

<strong>di</strong> Mario Luzi, e poi dalla rivisitazione <strong>di</strong> cinque metafore che, in qualche<br />

modo, mi sembra ci aiutino a trovare la risposta alla domanda. La<br />

domanda è quella del procuratore <strong>di</strong> Galilea al prigioniero: “Che cos’è<br />

la verità”. Io parto da questo interrogativo <strong>di</strong> Giovanni (18,38), perché<br />

mi sembra che in questo interrogativo sia compen<strong>di</strong>ata la ricerca<br />

umana nella sua valenza più profonda. In realtà, conoscere la verità è<br />

conoscere il senso, è orientarsi nella notte del mondo. Voi sapete che<br />

nella redazione del racconto <strong>di</strong> Giovanni a questa domanda Gesù non<br />

dà nessuna risposta. Il suo silenzio, davanti al Procuratore romano, è la<br />

sua risposta quasi a <strong>di</strong>re che il medesimo, quale si esprime nel linguaggio,<br />

non è capace <strong>di</strong> contenere l’altro. La verità non si <strong>di</strong>ce nella parola,<br />

la verità si testimonia nella presenza.<br />

E questa interpretazione del silenzio è talmente, vorrei <strong>di</strong>re, forte,<br />

auto-evidente, che, come sapete, i Me<strong>di</strong>evali avevano anagrammato<br />

l’interrogativo <strong>di</strong> Pilato. E la domanda “Quid est veritas” era <strong>di</strong>ventata<br />

“Est vir qui adest”, “Che cos’è la verità” “E’ l’uomo che ti sta<br />

davanti”. Io vorrei avvicinarmi a questa domanda e vorrei anche<br />

misurare la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi non solo sulla domanda stessa, ma<br />

sulla risposta che l’anagramma dei Me<strong>di</strong>evali ci fa intuire. In altre<br />

parole, vorrei misurare la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi non solo sulla verità<br />

greca, che certamente è presente in tutta la sua opera e in tutto il suo<br />

pensiero, figlio della cultura occidentale, della nostra cultura, e come<br />

tale segnato nel profondo dall’anima greca, ma al tempo stesso vorrei<br />

cogliere in lui quell’altra voce della verità, che ci viene dall’Oriente<br />

e che ci raggiunge e <strong>di</strong>venta linfa della nostra cultura, nell’incontro<br />

con la novità cristiana e con l’avvento del Vangelo.<br />

Dunque, rintraccio nella poesia <strong>di</strong> Mario Luzi - abbraccio, in<br />

qualche modo, l’intera sua produzione poetica fino alle ultimissime<br />

cose, anche “Sottospecie umana”, che è l’ultimo testo più rilevante<br />

<strong>di</strong> Mario Luzi - cinque metafore fondamentali: la metafora della luce,<br />

la metafora della donna, la metafora del viaggio, la metafora del silenzio,<br />

e la metafora della soglia. Ecco, mi sembra che, attraverso<br />

queste cinque metafore, sia possibile tracciare un percorso <strong>di</strong> rispo-<br />

134 –


sta alla grande domanda “Che cos’è la verità”, cogliendovi, <strong>di</strong> volta<br />

in volta, l’eco <strong>di</strong>versa, <strong>di</strong>fferente, che Mario Luzi, poeta e testimone<br />

della coscienza del nostro Paese, nell’intera sua evoluzione in questo<br />

fati<strong>di</strong>co secolo che si è compiuto, ha saputo esprimere.<br />

I. LA METAFORA DELLA LUCE<br />

Parto, dunque, dalla prima metafora: la metafora della luce. La<br />

metafora della luce è per eccellenza la metafora della verità nella<br />

tra<strong>di</strong>zione occidentale. Come sapete, il termine greco per <strong>di</strong>re “verità”<br />

è “alétheia”, e “alétheia” deriva da “lanthàno”, la parola del<br />

nascon<strong>di</strong>mento, della latenza. Anche in latino noi abbiamo la stessa<br />

etimologia nel verbo “lateo” <strong>di</strong> “latère”, essere latente, nascondersi.<br />

La parola “alétheia”, con quella alfa privativa strappa alla latenza<br />

ciò che è originariamente nascosto e lo esibisce. Ma, attenzione, lo<br />

esibisce a che cosa<br />

Lo esibisce alla visione. La verità per il greco è soprattutto visione,<br />

cioè è soprattutto luce. La conferma straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> questo, l’abbiamo<br />

nel predominio greco dell’idea. “Idea” viene dal tema “id”<br />

del verbo “orào”, vedere. L’idea è propriamente la visione. Allora<br />

che cos’è la verità per il greco La verità è l’oggetto della visione e,<br />

dunque, la verità è il totalmente baciato dalla luce ed è il totalmente<br />

uscito, sortito dalla latenza, per offrirsi alla visione e allo sguardo.<br />

Lo straor<strong>di</strong>nario è che per il greco, in questo concetto della verità, si<br />

ritrova anche totalmente il concetto <strong>di</strong> bellezza. Sapete che in greco<br />

“bello” è “kalòs” e “kalòs” ha la stessa etimologia <strong>di</strong> “kaleìn”, cioè<br />

<strong>di</strong> chiamare, richiamare. Che cos’è, allora, la bellezza per il greco<br />

E’ l’esibirsi dell’oggetto nella sua potenza <strong>di</strong> richiamo della visione.<br />

Quando l’oggetto si offre e si impone alla visione, quando la sua<br />

forma, la sua “morphè”, in qualche modo, riesce ad attrarre la sua<br />

visione su <strong>di</strong> esso in modo che, nel frammento che è l’oggetto, si<br />

riconosca la forma, la proporzione del tutto, quello è la “bellezza”.<br />

Se dovessimo definire la bellezza con il concetto greco, che è poi il<br />

concetto pitagorico che domina tutto l’Occidente (pensate che ancora<br />

Agostino nel “De pulchro”, l’opera perduta, ma poi nel “De musica”,<br />

definirà così la bellezza: la bellezza è “convenientia, proportio,<br />

forma”). I numeri del cielo si riproducono nel piccolo del frammento,<br />

per cui c’è un’esatta corrispondenza fra il frammento dell’oggetto<br />

bello e il tutto dei numeri del cielo grazie alla corrispondenza proporzionata<br />

della forma. Tant’è vero, osserverà Agostino, che bello si<br />

<strong>di</strong>ce “formosus”, bello è ciò che ha forma.<br />

– 135


Questa è la concezione greca della verità e della bellezza. Ecco<br />

perché la tra<strong>di</strong>zione greca e Plotino - questo è soltanto la sintesi <strong>di</strong> una<br />

tra<strong>di</strong>zione secolare - parlerà del bello come splendore del vero, “Veritatis<br />

splendor” in realtà è la bellezza. La bellezza è lo splendore. Ora tutta<br />

questa tra<strong>di</strong>zione è una tra<strong>di</strong>zione che inonda, in qualche modo, la<br />

nostalgia dell’Occidente. In un certo senso noi siamo assetati <strong>di</strong> luce.<br />

L’Occidente, plasmato dall’anima greca, porta in sé questa sete <strong>di</strong> visione,<br />

questa sete <strong>di</strong> luce. Il trionfo <strong>di</strong> questo processo è nella modernità<br />

illuminata. L’Illuminismo, come <strong>di</strong>ce la stessa parola, non è che il<br />

compimento <strong>di</strong> questa nostalgia della visione e della luce, che l’anima<br />

greca ha immesso nella nostra cultura sin dalle sue origini. La parola<br />

magica, la parola dominante della stagione dei lumi è appunto la “luce”,<br />

“siècle des lumières”, “Illuminismo”, “Enlightement”, “Aufklärung”,<br />

“Illustration”; in tutte le lingue europee è il tema della luce quello che<br />

domina e la metafora <strong>di</strong> tutto questo ce la dà il gran<strong>di</strong>ssimo poeta Goethe<br />

quando sul letto <strong>di</strong> morte pronuncia quelle parole che sono, in qualche<br />

modo, la “pointe”, l’espressione <strong>di</strong> un’epoca, “Licht mehr Licht”, luce<br />

più luce: la sete <strong>di</strong> luce della ragione moderna è l’estremo compimento<br />

<strong>di</strong> questa ansia.<br />

Bene, questo tema della luce come verità, della luce come comprensione<br />

totale, è un tema che troviamo sin dall’inizio nell’opera <strong>di</strong><br />

Mario Luzi. Vorrei <strong>di</strong>re che, in questo senso, lui è totalmente figlio<br />

della modernità occidentale. Egli stesso, in una bellissima conversazione<br />

pubblicata alcuni anni fa in un libro intitolato “La porta del<br />

cielo: Conversazione sul Cristianesimo” a cura <strong>di</strong> Mario Luzi, confessa:<br />

“La luce mi ha occupato molto <strong>di</strong> più negli ultimi anni rispetto<br />

agli inizi, dove la luce associata ai colori dà sostanza ai colori, poi<br />

mi sono reso conto che la luce è un mondo a sé, autonomo, che crea<br />

l’altro, cioè una specie <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>osità o fulgore avvertito come tale,<br />

avvertito come mistero”. Con queste parole, in realtà, Luzi non ci<br />

<strong>di</strong>ce semplicemente che la luce è apparsa ad un certo punto nella sua<br />

opera, ci <strong>di</strong>ce che lui ha preso coscienza <strong>di</strong> questo predominio della<br />

luce presente, tuttavia sin dall’inizio, una specie <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>osità o fulgore,<br />

avvertito come tale, avvertito come mistero.<br />

Dunque, che cos’è la luce nell’opera <strong>di</strong> Luzi E’ la sete <strong>di</strong> verità,<br />

<strong>di</strong> comprensione, è la sete <strong>di</strong> lettura <strong>di</strong> questa realtà ferita, frammentata,<br />

per cogliere in essa, in qualche modo, l’orizzonte <strong>di</strong> un senso.<br />

Per darvene, quin<strong>di</strong>, una testimonianza citerò alcuni brani <strong>di</strong> Luzi.<br />

Mi sembra <strong>di</strong> poter prendere come altissima testimonianza, proprio<br />

la conclusione <strong>di</strong> questo libro “Il viaggio terrestre e celeste <strong>di</strong> Simone<br />

Martini” che è anche una straor<strong>di</strong>naria opera <strong>di</strong> teologia poetica.<br />

136 –


Noi siamo <strong>di</strong> fronte alla gran<strong>di</strong>ssima metafora della ricerca del cielo;<br />

e questa ricerca del cielo è la ricerca della luce. Il grande pittore<br />

toscano <strong>di</strong>venta, in qualche modo, la figura del cercatore della luce e<br />

non è un caso che Simone, morente, alla conclusione del lungo itinerario,<br />

che è una sorta <strong>di</strong> pellegrinaggio, <strong>di</strong>ce così - sono le parole<br />

conclusive dell’opera - : “Tutto, senza ombra, placa. E’ essenza, avvento,<br />

apparenza; tutto trasparentissima sostanza. E’ forse il Para<strong>di</strong>so<br />

questo Oppure luminosa insi<strong>di</strong>a, un nostro, oscuro ab origine,<br />

mai vinto sorriso”. Ecco la grande domanda del poeta. La ricerca <strong>di</strong><br />

tutta la sua vita, la ricerca della luce, la sete della luce, che è poi,<br />

l’abbiamo detto, sete della bellezza. Pensate alla definizione che la<br />

teologia orientale dava dell’uomo: “L’uomo è sete del bene”; e per il<br />

greco la sete della bellezza è la sete della luce. Ebbene tutto questo<br />

Mario Luzi lo confessa nelle parole conclusive <strong>di</strong> Simone Martini.<br />

Tuttavia, con un dubbio, notate: “E’ forse il Para<strong>di</strong>so questo Oppure<br />

luminosa insi<strong>di</strong>a, un nostro, oscuro ab origine, mai vinto sorriso”<br />

Strano, paradossale.<br />

Questo poeta della luce che riconosce la luce, Leit-motiv <strong>di</strong> tutta<br />

la sua ricerca, conclude con un dubbio la sua opera, tra le più alte, e<br />

certamente l’opera della sua più alta maturità. Oserei <strong>di</strong>re che<br />

“Sottospecie umana” è una sorta <strong>di</strong> decadenza rispetto a questo vertice<br />

costituito da “Il viaggio terrestre e celeste <strong>di</strong> Simone Martini”.<br />

Voi <strong>di</strong>rete che è proprio dei gran<strong>di</strong> ed è proprio dei vecchi il dubbio.<br />

Noi sappiamo come anche i più gran<strong>di</strong> testimoni della Fede hanno<br />

conosciuto, nell’età più avanzata della loro vita, la notte della domanda<br />

oscura: la Fede trovata è la Fede che è stata segnata dal cammino<br />

della vita Dunque, potremmo <strong>di</strong>re che è anche molto naturale<br />

che la domanda sorga a conclusione del cammino. Qui c’è qualcosa<br />

<strong>di</strong> più profondo, secondo me, ed è che il dubbio, è che la luce sia<br />

tutto; il dubbio che la luce solare, in comprensiva sia veramente il<br />

Para<strong>di</strong>so; è un dubbio che ha preso Luzi ben prima della sua esistenza.<br />

Ed è il grande dubbio della crisi della modernità.<br />

Che cosa ha prodotto questa sete <strong>di</strong> luce della ragione moderna,<br />

questo voler comprendere tutto, spiegare tutto Pensate ai vari campi<br />

in cui questa sete <strong>di</strong> luce si è applicata: il campo dell’ideologia, la<br />

sfera della rivoluzione, della politica, le ideologie <strong>di</strong> destra e <strong>di</strong> sinistra,<br />

luminose perfino nelle loro metafore, il sole dell’avvenire, metafora<br />

del socialismo, la svastica che è il sole, la metafora dell’ideologia<br />

<strong>di</strong> destra; queste ideologie hanno, in realtà, inseguito la luce.<br />

Ma che cosa hanno prodotto Hanno prodotto uno straor<strong>di</strong>nario cumulo<br />

<strong>di</strong> violenza. Che cosa non funziona, allora, in questa sete <strong>di</strong><br />

– 137


luce. Ecco, potremmo <strong>di</strong>re che la luce, quando è sete <strong>di</strong> totalità, <strong>di</strong>venta<br />

totalitarismo e violenza. Ma pensate a quello che avviene, per<br />

fare soltanto un altro esempio, nel campo della psiche umana.<br />

La sete <strong>di</strong> luce spinge la ricerca su questo campo, alla straor<strong>di</strong>naria<br />

scoperta <strong>di</strong> Freud, la scoperta dell’inconscio. La grande operazione,<br />

che la psicanalisi avalla, è quella <strong>di</strong> far emergere alla luce gli<br />

abissi dell’inconscio. Questo è il grande progetto che Freud avanza,<br />

ed è un progetto certamente geniale perché fa conoscere quello che,<br />

con intuizione letteraria straor<strong>di</strong>naria, Dostoevskij aveva chiamato<br />

“i doppi pensieri”, cioè il sottofondo dell’anima. Ma qual è il risultato<br />

finale <strong>di</strong> questa operazione <strong>di</strong> sete <strong>di</strong> luce applicata agli abissi, alle<br />

memorie del sottosuolo, per usare la metafora <strong>di</strong> Dostoevskij. E’, lo<br />

sappiamo, una ancor più travagliata e complessa con<strong>di</strong>zione umana.<br />

Oggi, siamo tutti d’accordo, anche i più convinti sostenitori, che la<br />

psicanalisi, così come proposta da Freud, è una forma <strong>di</strong> ideologia;<br />

cioè è una forma della presunzione <strong>di</strong> comprendere totalmente il<br />

mondo anche negli abissi delle caverne dell’inconscio. Ora, è questo<br />

che altre forme <strong>di</strong> lettura della psiche umana cercheranno <strong>di</strong> superare,<br />

<strong>di</strong> temperare. Faccio solo l’esempio <strong>di</strong> Jung come valorizzazione<br />

della componente religiosa, come componente che lascia nel rispetto<br />

dell’insondabile gli abissi, alcuni abissi della coscienza.<br />

Ma tutto questo per <strong>di</strong>re che cosa Che il dubbio con cui Mario<br />

Luzi conclude l’itinerario <strong>di</strong> Simone Martini “E’ Para<strong>di</strong>so questo o è<br />

luminosa insi<strong>di</strong>a, un nostro, oscuro ab origine, mai vinto sorriso” ci<br />

porta veramente alla bellezza ultima e senza tramonto, o è qualcosa<br />

<strong>di</strong> nostro, oscuro, una sorta <strong>di</strong> ferita dell’anima che, in realtà, non<br />

sarà mai saziata e <strong>di</strong>mostra soltanto la nostra fragilità e caducità<br />

Bene, è in questa domanda che io colgo il passaggio ad un altro mondo,<br />

che opera nell’anima <strong>di</strong> Luzi. Luzi è stato il testimone del Novecento,<br />

il secolo tragico, “il secolo breve”, lo definisce Eric Hobsbawm<br />

nella sua opera “The short twenty century”, breve, perché sta tra il<br />

19<strong>14</strong> e il 1989, fra lo scoppio della prima guerra mon<strong>di</strong>ale e il crollo<br />

del muro <strong>di</strong> Berlino; ma proprio nella sua brevità è un secolo tragico,<br />

un secolo violento, lo stesso Hobsbawm ci <strong>di</strong>ce che, alla fine del<br />

Novecento, un terzo dell’umanità, degli abitanti del pianeta degli<br />

inizi del Novecento, era stato sterminato da guerre, genoci<strong>di</strong> e violenze.<br />

Questo è stato il Novecento: un secolo tragico, un secolo <strong>di</strong><br />

straor<strong>di</strong>naria violenza, il secolo dei gran<strong>di</strong> racconti ideologici. Allora<br />

il dubbio che Luzi avanza sulla luce non è forse il dubbio <strong>di</strong> un’intera<br />

epoca, che mette in <strong>di</strong>scussione se stessa<br />

Questa è la mia domanda. Luzi è stato il testimone <strong>di</strong> quest’epo-<br />

138 –


ca. E proprio perché l’ha vissuta tutta, partecipando attivamente, anche<br />

in maniera critica, alla coscienza, alla cultura del suo tempo, egli ha<br />

saputo esprimere, non in forma <strong>di</strong> saggio e analisi, come <strong>di</strong>re, concettuale,<br />

ma in forma poetica, come è del genere della poesia, la crisi<br />

<strong>di</strong> questo sogno della luce che era stato il sogno dell’epoca moderna.<br />

E questo io lo colgo in una poesia, “Il pensiero fluttuante della felicità”,<br />

che vi leggo e che poi cerco <strong>di</strong> interpretare con voi. E’ una poesia<br />

che è tratta da “Sui fondamenti invisibili”, dunque scritta negli<br />

anni ‘60, quando cominciano già ad avviarsi alcuni processi <strong>di</strong> denuncia<br />

critica della ideologia nelle sue varie realizzazioni storiche.<br />

Che cosa Luzi ci <strong>di</strong>ce Ascoltiamo: “I morti male” - i morti male,<br />

vedete già questa è formula potente: ci sono i morti bene, cioè quelli<br />

che corrispondono a come bisogna vivere e morire secondo l’ideologia,<br />

ma ci sono anche i morti male cioè quelli la cui morte sembra<br />

semplicemente per<strong>di</strong>ta alla luce dell’ideologia. “I morti male, coloro<br />

che cadono quando non ci sono più lacrime, se non i lucciconi del<br />

piccolo, dopo Hiroshima, dopo Mathausen” - Capite chi sono i morti<br />

male: sono gli sterminati dei campi <strong>di</strong> concentramento della Shoà,<br />

sono le vittime della bomba atomica - “ah, vorrei almeno intravederlo<br />

il Dio accecante che avanza da crimine a crimine e penetra<br />

l’umano <strong>di</strong> una chiarità dell’Empireo ” .<br />

Qui la luce è la luce del Dio della violenza. Terribile questo, no<br />

Lui che prende luce dalle sue vittime e cresce tanto fermo da cicala a<br />

cicala dell’estate nella maturità dei tempi, nella pienezza della storia,<br />

<strong>di</strong>cono. Guardate che questo è un testo poetico <strong>di</strong> bellezza straor<strong>di</strong>naria,<br />

perché in esso Luzi ci <strong>di</strong>ce, in poche parole, quella che è<br />

stata la grande trage<strong>di</strong>a del Novecento. Il Novecento ha creduto ai<br />

gran<strong>di</strong> miti ideologici <strong>di</strong> destra e <strong>di</strong> sinistra, dallo stalinismo al fascismo,<br />

al nazismo; ha inseguito questi miti, ha inseguito il Dio accecante<br />

che penetra l’umano <strong>di</strong> una chiarità <strong>di</strong> Empireo e ha preteso<br />

che questo fosse la maturità dei tempi. Capite Non <strong>di</strong>menticate che<br />

tutte le follie ideologiche hanno sognato <strong>di</strong> essere il compimento della<br />

storia, fino alla futilità, <strong>di</strong>rei anche provinciale, <strong>di</strong> iniziare una nuova<br />

datazione degli anni a partire, per esempio, nel caso della nostra provincia,<br />

dall’avvento dell’era fascista. Questa è stata la tipica tentazione<br />

<strong>di</strong> tutte le ideologie, per il nazismo era ad<strong>di</strong>rittura il “Terzo<br />

Reich”, che è, in realtà, una categoria prestata dalla storia della teologia.<br />

Chi è che aveva inventato il terzo Reich Era Gioacchino da<br />

Fiore, era il terzo Stato che veniva con l’era dello spirito, e il nazismo<br />

ha secolarizzato questa dottrina che, attraverso gli Spirituali<br />

francescani, era passata attraverso le ideologie moderne, fino a farla<br />

– 139


<strong>di</strong>ventare la terribile categoria dell’avvento <strong>di</strong> un nuovo mondo che<br />

la violenza totalitaria avrebbe dovuto imporre. Allora quando Luzi<br />

<strong>di</strong>ce: “nella maturità dei tempi, nella pienezza della storia, <strong>di</strong>cono,<br />

c’è una finissima ironia <strong>di</strong> questa presunzione dei mon<strong>di</strong> ideologici<br />

<strong>di</strong> aver potuto con la loro luce, non solo interpretare il mondo, ma<br />

anche trasformarlo”. Un<strong>di</strong>cesima tesi marxiana, no non basta interpretare<br />

il mondo, bisogna trasformarlo. Così lo abbiamo trasformato,<br />

con la violenza <strong>di</strong> una luce che ha voluto imporsi a tutte le cose e<br />

in tal modo ha forzato le cose. Allora è in questa crisi, che non è più<br />

la crisi soltanto <strong>di</strong> un uomo o <strong>di</strong> un poeta, ma è la crisi <strong>di</strong> un’epoca -<br />

perciò visitare la poesia <strong>di</strong> Mario Luzi significa ripercorrere il nostro<br />

Novecento - che si affaccia un’altra metafora. Ecco la seconda delle<br />

mie metafore.<br />

II. LA METAFORA DELLA DONNA<br />

La seconda metafora è la metafora della donna. Che cosa significa<br />

propriamente la metafora della donna Ascoltiamola. Ve la leggo nella<br />

stessa poesia, cioè nella stessa raccolta <strong>di</strong> poesie <strong>di</strong> cui fa parte “Il<br />

pensiero fluttuante della felicità”. Anzi, devo <strong>di</strong>rvi, è ad<strong>di</strong>rittura lo stesso<br />

componimento; quin<strong>di</strong>, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> pochi versi da quello che abbiamo<br />

ascoltato, da questa finissima ironia della presunzione moderna <strong>di</strong><br />

una luce onnicomprensiva, Luzi <strong>di</strong>ce: “Finché una luce senza margini<br />

d’ombra illumini l’oscurità del tempo, risale ad uno ad uno i suoi<br />

tornanti e m’accorgo <strong>di</strong> te, entrata nella mia vita, neppure mi chiedo<br />

da che parte e quando e se lo sei o se invece non sei sorta su dalla sua<br />

profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> notte in notte, affiorando”. Allora qual è l’elemento nuovo,<br />

dunque, che entra in questa luce che va tramontando E’ l’elemento<br />

della donna. “Di te entrata nella mia vita”. Perché Che cosa rappresenta<br />

la donna La donna rappresenta l’altro. Fuor <strong>di</strong> metafora,<br />

l’ideologia moderna è il trionfo della identità, è l’io della ragione che<br />

presume <strong>di</strong> comprendere tutto e <strong>di</strong> trasformare tutto.<br />

La grande alternativa all’ideologia è la riscoperta della alterità:<br />

l’io non è tutto, l’altro; l’altro che ti guarda con il suo volto, <strong>di</strong>rebbe<br />

Levinas, è la misura dei limiti del tuo io; dunque l’altro è la metafora<br />

<strong>di</strong> un’altra verità, che non è più la verità ideologica, la verità violenta,<br />

ma è la verità, oserei <strong>di</strong>re duale, la verità relazionale, la verità del<br />

rapporto, la verità dell’amore. Ecco la metafora della donna intesa<br />

come metafora <strong>di</strong> questo altro che entra nella tua vita e ti strappa alla<br />

solitu<strong>di</strong>ne gonfia del tuo io, che ha prodotto violenza e morte. Ebbene,<br />

qual è la concezione della verità che si esprime in questa metafo-<br />

<strong>14</strong>0 –


a della donna Io non esito a <strong>di</strong>re che è la concezione biblica, la<br />

concezione ebraica e cristiana. L’ebraico vero, non l’ebraico artificiale<br />

oggi parlato in Israele, l’ebraico biblico è una lingua povera <strong>di</strong><br />

vocaboli; ci sono solo 6750 vocaboli, eppure con questi pochissimi<br />

vocaboli - confrontateli al milione <strong>di</strong> vocaboli dell’arabo o ai<br />

centomila- centoventimila vocaboli in me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> tutte le lingue moderne<br />

europee, a cominciare dall’italiano - l’ebraico riesce ad esprimere,<br />

in maniera straor<strong>di</strong>naria, tutti i gran<strong>di</strong> sentimenti umani: basta<br />

leggere i Salmi, basta leggere l’Antico Testamento.<br />

Ora l’ebraico biblico non ha una parola per <strong>di</strong>re verità, o meglio<br />

ha una parola, ma questa, in realtà, significa un’altra cosa. Questa<br />

parola è “emet”, che propriamente significa “fedeltà”. Allora –attenzione!<br />

- per il greco la verità è ciò che è latente, che viene esibito alla<br />

visione tanto che tu lo possie<strong>di</strong> con lo sguardo e lo domini; la verità<br />

è la “adaequatio rei et intellectus”, cioè è l’intelletto che domina la<br />

cosa, la comprende, come noi <strong>di</strong>ciamo anche comprende, lo stesso<br />

termine in tedesco “enthalten”, concepire, prendere in sé. Nel mondo<br />

biblico, invece, la verità è “emet”, che è rapporto, relazione, la<br />

verità è pattizia, duale, non è una verità monastica, totalitaria, violenta.<br />

Quando la verità comprende l’altro come elemento costitutivo,<br />

allora è una verità “debole”, aggettivo che va colto nella sua giusta<br />

accezione: non è una verità che giustifica la violenza, ma è una verità<br />

che fonda patti <strong>di</strong> relazione, patti <strong>di</strong> pace. Le citazioni potremmo<br />

prenderle non solo dall’Antico Testamento, dove il termine “emet” è<br />

ovviamente quello della lingua in cui esso si esprime, ma anche, e<br />

questo è straor<strong>di</strong>nario, dalla testimonianza del Nuovo Testamento,<br />

perché <strong>di</strong>etro la parola greca “alètheia”, che vuol <strong>di</strong>re verità, nel<br />

Nuovo Testamento c’è però il concetto ebraico <strong>di</strong> “emet”, <strong>di</strong> “fedeltà”.<br />

Ve ne dò un esempio: “Chi opera la verità viene alla luce” (Gv<br />

3, 21). La verità non è qualcosa che si concepisce, è qualcosa che si<br />

fa, che si pone nella relazione, cioè, tu operi quando ti relazioni all’altro,<br />

al fuori <strong>di</strong> te, in un esodo da te senza ritorno, oppure (Gv 8,<br />

31) : “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete miei <strong>di</strong>scepoli, conoscerete<br />

la verità e la verità vi farà liberi. La via che ci apre la<br />

verità è la fedeltà”. Perfino la Vulgata traduce spesso “veritas” con<br />

“fidelitas”. “Fidelitas domini manet in aeternum”. “La verità del Signore<br />

rimane in eterno”, e il culmine <strong>di</strong> questo processo noi lo troviamo<br />

nel testo <strong>di</strong> Giovanni <strong>14</strong>,6, dove <strong>di</strong>ce Lui, Cristo: “Io sono la<br />

via, la verità e la vita”; è chiarissimo qui che la verità non è qualcosa<br />

che tu puoi possedere, la verità è qualcuno, e qualcuno non è mai un<br />

oggetto da possedere, è l’altro cui relazionarsi, cui corrispondere.<br />

– <strong>14</strong>1


La grande <strong>di</strong>fferenza fra l’alètheia e l’emet, verità in senso <strong>di</strong><br />

fedeltà, è che mentre l’alètheia sbocca nel possesso e quin<strong>di</strong> nella<br />

violenza, come ha <strong>di</strong>mostrato Heidegger, l’emet sbocca nella relazione,<br />

nella sequela, nel patto o, per usare la grande categoria biblica,<br />

nell’alleanza. Ecco l’altra grande idea <strong>di</strong> verità. Dunque, se la verità<br />

greca trionfa nel suo culmine nell’idea del “cogito, ergo, sum”, io<br />

penso, dunque io esisto, dunque io sono, cartesiano, la verità-emet<br />

biblica, al limite, potrebbe culminare in quest’altra formulazione<br />

“cogitor, ergo, sum”, cioè, io esisto, perché un altro mi pensa, o meglio,<br />

dovremmo <strong>di</strong>re “amor, ergo, sum”, esisto perché sono amato da<br />

un altro, cioè è l’altro la con<strong>di</strong>zione della mia esistenza, della mia<br />

permanenza. Allora capite che questa verità non è qualcosa che <strong>di</strong>viene<br />

semplicemente in te, ma è qualcosa, o meglio, qualcuno che<br />

viene a te, come è esattamente la figura della donna. “M’accorgo <strong>di</strong><br />

te, entrata nella mia vita, neppure mi chiedo da che parte e quando,<br />

se lo sei, se non sei sorta su dalle profon<strong>di</strong>tà, <strong>di</strong> notte in notte, affiorando”.<br />

Dalle profon<strong>di</strong>tà della vita affiora nella notte questo avvento,<br />

questa figura che viene a noi.<br />

A me sembra che questa intuizione è un’intuizione <strong>di</strong> grande<br />

importanza, <strong>di</strong> grande bellezza, che attraversa, peraltro, l’intera opera<br />

<strong>di</strong> Luzi e culmina nel parlare <strong>di</strong> una donna in particolare. La donna<br />

in particolare, <strong>di</strong> cui lui parla presto, <strong>di</strong> cui lui parla spesso, è Maria,<br />

la madre <strong>di</strong> Cristo, la madre <strong>di</strong> Gesù. Pensate, per esempio, a questa<br />

poesia del 1938, “Annunciazione”. Il poeta <strong>di</strong>ce così: “La mano al<br />

suo tepore abbandonata, nelle lacrime spenti i desideri, forse è questo<br />

una donna. Un tempo esangue nell’ombra la bontà opaca <strong>di</strong> ieri.<br />

Poi <strong>di</strong> luna, un inane fianco rosa, teso al vento gremito del Tuo nome,<br />

la sua caducità bianca <strong>di</strong> chiome, quella povera luce che ci opprime”.<br />

Ecco chi è la donna: la donna è l’altro accogliente, è l’altro che<br />

non invade, che non opprime, è l’altro che crea spazio <strong>di</strong> vita, come<br />

la Vergine dell’Annunciazione crea in sé, nel suo grembo accogliente,<br />

lo spazio per la vita che viene. Allora qui è la crisi <strong>di</strong> un’epoca che<br />

si affaccia, è la fine dei mon<strong>di</strong> ideologici, è il bisogno <strong>di</strong> una nuova<br />

ricerca <strong>di</strong> verità, che non si esprima nella verità solare, totalitaria,<br />

violenta, <strong>di</strong>etro cui c’è, come già denunciava Nietsche, la volontà <strong>di</strong><br />

potenza, ma la verità che sia liberante, relazionale. Ed è a questo<br />

punto che emerge una terza metafora, quella del viaggio.<br />

<strong>14</strong>2 –<br />

III. LA METAFORA DEL VIAGGIO<br />

Se la verità non è possesso, qualcosa che si possiede, ma è qualcuno<br />

a cui rapportarsi, in una relazione sempre nuova d’amore, allora<br />

nella verità non si è mai arrivati. Ecco perché la grande metafora


che esprime tutto questo è la metafora del viaggio. Qui ci sarebbe da<br />

<strong>di</strong>re tantissimo, poiché la metafora del viaggio attraversa tutta la Bibbia,<br />

l’Esodo, “il viaggio <strong>di</strong> Gesù, che indurì la sua faccia”, per andare<br />

a Gerusalemme (Lc 9,51). E’ la grande metafora anche della letteratura<br />

greca, quella del viaggio <strong>di</strong> Ulisse, con una <strong>di</strong>fferenza fondamentale,<br />

però, che il viaggio del greco è circolare, è la metafora dell’eterno<br />

ritorno (Ulisse ritorna all’inizio), il viaggio dell’ebreo, invece,<br />

è lineare, senza ritorno, verso l’infinito, è “Il viaggio terrestre e<br />

celeste <strong>di</strong> Simone Martini”. Sin dal titolo, quest’opera della piena<br />

maturità del poeta, questa metafora della ricerca umana <strong>di</strong> Dio, è la<br />

metafora del viaggio. Siamo tutti dei “viatores”, siamo tutti dei pellegrini.<br />

Un altro testo è un testo del ’47, in cui la metafora della donna e<br />

la metafora del viaggio si intrecciano. Egli, dopo aver attraversato la<br />

desolazione della guerra e aver sperimentato i fragili ottimismi delle<br />

ideologie, scrive versi che si illuminano con le parole rilasciate dall’Autore<br />

stesso nell’intervista citata: “Io ho sempre inteso il nostro<br />

destino <strong>di</strong> viventi sotto la specie del viaggio; <strong>di</strong> un viaggio che va<br />

fatto a partire dal nostro percorso vitale e terreno, e credo possa<br />

avere un fine e un senso”. Ma ecco come questo <strong>di</strong>venta commento<br />

alla storia del nostro Novecento. “E’ questa”, scrive nel ’47 - la poesia<br />

si intitola “Ne il tempo”- “è questa la nostra regione senza limiti,<br />

cogline i fiori tristi, le erbe opache, messe che oscilla intentate, riposa.<br />

E quel grano non so che sia, pallido, nel campo abbandonato<br />

dove niente rimane da sperare. Ora falcia le reste grigie, il triste<br />

velo a per<strong>di</strong>ta d’occhio delle spighe, inoltrati nel folto senza fine.<br />

Riconosco la nostra patria, desolata, della nascita nostra senza origine,<br />

della nostra morte senza fine. E questa l’avevo chiamata il<br />

caso, l’avevo chiamata l’avventura, o la sorte o la notte o con quei<br />

noi inquieti che mi dettava l’angoscia, non la pietà che penetra, che<br />

vede”. E’ la descrizione della nostra patria desolata, dell’Italia del<br />

dopoguerra, dell’Italia <strong>di</strong>strutta, dove la follia delle ideologie ha prodotto<br />

il dramma della guerra e della <strong>di</strong>struzione. Ma anche qui la<br />

metafora del viaggio ritorna come una metafora <strong>di</strong> possibile novità,<br />

<strong>di</strong> possibile speranza.<br />

Allora la verità non è semplicemente l’altro, ma è l’altro verso<br />

cui tu ti muovi, in una incessante ricerca, è l’altro che entra nella<br />

vita, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> tutti gli esiti, <strong>di</strong> tutti i naufragi, <strong>di</strong> tutte le solitu<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong><br />

tutte le stanchezze. Così, questo cammino verso la verità è espresso<br />

nella figura dell’ “éstu<strong>di</strong>ant”, del giovane studente che accompagna<br />

Simone Martini e parla la langue d’oc (“éstu<strong>di</strong>ant” è il suo nome, in<br />

– <strong>14</strong>3


quella lingua). Scrive così: “Chi è Improvvisamente non conosce<br />

costui che, invece, sua e sotto sua parvenza subentra nel Creato. Lui<br />

non fu mai rigidamente lui, ma un ceppo brulicante <strong>di</strong> ogni vita,<br />

immaginata, vissuta, futura, passata”. Chi è questo lui <strong>di</strong> cui<br />

l’éstu<strong>di</strong>ant sta parlando E’ Cristo, Cristo che è colui che ha fatto il<br />

viaggio verso <strong>di</strong> noi, ha fatto suo questo viaggio. E dove porta questo<br />

viaggio “Inchiodami alla croce della mia identità, così come fu fatto<br />

per te e per la tua, da cui prende colore e senso ogni crocifissione,<br />

ciascuno ai bracci della sua persona”. Cristo <strong>di</strong>venta la rivelazione<br />

dell’uomo, e <strong>di</strong>venta la rivelazione dell’uomo perché facendosi uomo,<br />

entrando nel nostro viaggio, Lui ha aperto il nostro viaggio ad un’altra<br />

sponda, ad un’altra patria.<br />

Qui, Luzi è l’erede <strong>di</strong> una straor<strong>di</strong>naria tra<strong>di</strong>zione teologica che è<br />

la tra<strong>di</strong>zione delle trasgressioni <strong>di</strong> Dio. Il più grande testimone <strong>di</strong><br />

questo è Tommaso d’Aquino. Tutta l’opera <strong>di</strong> Tommaso si raccoglie<br />

nelle due gran<strong>di</strong> trasgressioni: l’”exitus a deo”, trasgressione in senso<br />

etimologico, varcare la soglia, Dio che esce da sé, crea il mondo,<br />

si fa uomo; e il “re<strong>di</strong>tus ad deum”, il Crocifisso che risorge alla vita<br />

e riporta al Padre l’universo intero, che con sè ha portato nell’abisso<br />

della morte. Ecco allora, il viaggio non è più solo metafora della<br />

nostra solitu<strong>di</strong>ne, della nostra ricerca al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> tutti i naufragi, <strong>di</strong><br />

tutti i frammenti da battezzare (cfr. “Per il battesimo dei nostri frammenti”),<br />

ma è il viaggio <strong>di</strong> Dio, che, facendosi uomo, ha assunto il<br />

nostro viaggio e lo ha aperto alle sue sponde, alla sua patria, alle sue<br />

promesse.<br />

IV. LA METAFORA DEL SILENZIO<br />

E questo ci porta ad una quarta potente metafora, che è la metafora<br />

del silenzio. Sì, proprio quella del silenzio, perché la Bibbia non<br />

è soltanto il libro della parola <strong>di</strong> Dio - come mostra André Neher, in<br />

quel bellissimo libro “Esilio della parola”, e come mostra un’intera<br />

schiera <strong>di</strong> autori ebrei francesi, per esempio Claude Viget, fra gli<br />

altri - la Bibbia è anche il libro del silenzio <strong>di</strong> Dio. Perché Ve lo <strong>di</strong>co<br />

in maniera rapida con le parole <strong>di</strong> Neher, perché nella Bibbia ci sono<br />

almeno due concezioni <strong>di</strong> Dio: c’è il Dio dei ponti sospesi, cioè il<br />

Dio che sull’abisso che ci separa da lui lancia il ponte della sua parola,<br />

che ci rassicura, che ci conforta; e poi c’è il Dio dell’arcata spezzata,<br />

cioè il Dio che lascia che il tuo tentativo <strong>di</strong> varcare l’abisso resti<br />

interrotto, è il Dio che tace davanti alla prova <strong>di</strong> Abramo, è il Dio che<br />

nasconde la sua faccia quando tu lo invochi, è il Dio che quando tu<br />

<strong>14</strong>4 –


sei sulla croce e gri<strong>di</strong> “Perché mi hai abbandonato”, resta nel silenzio,<br />

è il Dio che ad Elia che sale sul monte per fare la sua esperienza,<br />

si rivela non nel fuoco, non nel vento, ma in una brezza, in un vento<br />

sottile: il termine ebraico è “koldamannà”, che significa “voce del<br />

silenzio”. Dio si rivela nella voce del silenzio. Questo significa che<br />

se Dio, così commenta Neher, fosse solo parole, la Fede sarebbe nient’altro<br />

che una certezza, un’ideologia, una comoda e tranquillante<br />

rassicurazione. Solo il Dio, che si rivela nascondendosi, lascia l’uomo<br />

libero, gli lascia il rischio della libertà. Ora, commentando il<br />

silenzio <strong>di</strong> Dio, Neher – e tutta una serie <strong>di</strong> pensatori ebraici come<br />

Levinas - <strong>di</strong>ce la stessa cosa in “Difficile liberté”: il silenzio <strong>di</strong> Dio<br />

non è che lo spazio della libertà dell’uomo.<br />

Ecco, questo motivo ritorna anche nell’opera <strong>di</strong> Luzi. Al pellegrino,<br />

al cercatore in viaggio, che cerca la verità, non la verità monastica,<br />

violenta, ma la verità duale, pattizia, a cui corrispondere, Dio<br />

si manifesta anzitutto come silenzio. Vi leggo un altro dei suoi testi,<br />

del 1945: “Tu non resti inerte nel tuo cielo, e la via si ripopola d’allarmi,<br />

poiché la tua imminenza respira contenuta, dal silenzio <strong>di</strong><br />

lucide pareti, dai vetri che fissano l’inverno. Camminare e venirti<br />

incontro, vivere e progre<strong>di</strong>re a te, tutto è fuoco e sgomento. E quante<br />

volte, prossimo a svelarti, ho tremato <strong>di</strong> un viso repentino <strong>di</strong>etro i<br />

battenti <strong>di</strong> un’antica porta, nella penombra o a capo delle scale”. La<br />

rivelazione <strong>di</strong> Dio, qui, non è una esibizione, una “Offenbarung”,<br />

come si <strong>di</strong>ce in tedesco, cioè una manifestazione totale; la rivelazione<br />

<strong>di</strong> Dio, qui, è quella <strong>di</strong> un Dio che parla nel silenzio, <strong>di</strong> un Dio,<br />

cioè, che lascia l’uomo esposto al rischio della sua libertà, e tuttavia<br />

<strong>di</strong> un Dio che parla, che parla.<br />

Ancora una volta, ecco, ascoltiamo questo testo dove silenzio,<br />

parola, donna, le varie metafore si intrecciano: “Non più lunghi poemi,<br />

suppongo, l’anima brucia rapidamente la sua scorza, la mente<br />

<strong>di</strong>vora la metafora, il significato è fulmineo, maturo, forse al suo<br />

apice, perciò credo in <strong>di</strong>sarmo, mentre lei, catturata dal bosco non<br />

gli risponde, non gli volge uno sguardo <strong>di</strong> antica complicità, sorride<br />

ad altro, tra le torce <strong>di</strong> luce e i molti pozzi <strong>di</strong> oscurità, nel folto, nel<br />

folto”. Questo è un testo - “Al fuoco della controversia” - degli anni<br />

’70, che riassume in un’unica potente immagine la metafora del viaggio,<br />

la metafora della luce, dell’oscurità, la metafora della donna, e<br />

ci fa capire che l’uomo pellegrino nel folto, cioè nell’oscurità, sente<br />

il bisogno non solo <strong>di</strong> una parola che <strong>di</strong>ca, ma anche <strong>di</strong> un silenzio<br />

eloquente. E qual è la forma <strong>di</strong> un silenzio eloquente E’ l’amore; <strong>di</strong><br />

cui, per Luzi, l’espressione più alta è la carità, ed è la carità, che lui<br />

– <strong>14</strong>5


iannoda alla figura, ancora una volta, della donna, <strong>di</strong> Maria e anche<br />

della madre. Pensate a questa poesia de<strong>di</strong>cata alla madre: “Ed eccolo<br />

da un punto perduto del cuore, risale in lui quel timore antico, e<br />

quella povera, umbilicale carità, per ogni vita creata e per le<br />

nasciture”. Questa è la verità, è la verità <strong>di</strong> un amore materno, proprio<br />

per questo, silenzioso; l’amore materno non è quello che si esprime<br />

nelle parole vuote, bensì quello che si esprime nella umbilicale<br />

carità, cioè in quella carità viscerale, in quel darsi che non chiede<br />

ragioni. E poi l’espressione richiama l’ebraico “rahamim”, per <strong>di</strong>re<br />

l’amore <strong>di</strong> Dio: Dio non ci ama, <strong>di</strong>ceva San Bernardo, perché siamo<br />

buoni e belli; Dio ci rende buoni e belli, perché ci ama; il suo amore<br />

è un amore gratuito.Questa è la verità silenziosa, cioè la verità la cui<br />

eloquenza non è la parola ma è il gesto dell’amore, della compassione,<br />

della pura gratuità.<br />

V. LA METAFORA DELLA SOGLIA<br />

La quinta metafora è quella della soglia. Qualunque approdo è<br />

sempre uno stare sulla soglia: la verità non è mai un possesso scontato<br />

e tranquillo, ma uno stare sulla soglia. Anche il credente, voglio<br />

<strong>di</strong>re, lo <strong>di</strong>co spesso, è come un ateo che ogni giorno si sforza <strong>di</strong> cominciare<br />

a credere; perché la verità della Fede non è un possesso<br />

scontato e tranquillo, ma è la verità del pellegrino che deve ogni<br />

giorno cominciare ad arrendersi al Dio vivente, perciò ogni giorno<br />

abbiamo bisogno <strong>di</strong> parlare e tacere con Dio, <strong>di</strong> pregare e <strong>di</strong> affacciarci<br />

a lui. Ecco, questo è molto presente nell’opera <strong>di</strong> Luzi e nella<br />

sua poesia. I nostri frammenti, cioè le nostre solitu<strong>di</strong>ni, le nostre notti,<br />

hanno bisogno <strong>di</strong> un sempre nuovo battesimo, così si intitola una<br />

delle sue raccolte: “Per il battesimo dei nostri frammenti”; e tutta la<br />

poesia <strong>di</strong> Luzi è un continuo cercare questa verità, questa luce, altro,<br />

esodo, viaggio, silenzio, senza mai pretendere <strong>di</strong> averla catturata e<br />

posseduta. Qui, in un certo senso, la poesia <strong>di</strong> Luzi si offre come una<br />

sorta <strong>di</strong> educazione alla <strong>di</strong>screzione e al pudore davanti alla verità.<br />

Se la verità non è qualcosa che tu possie<strong>di</strong>, ma qualcuno da cui senti<br />

<strong>di</strong> dover lasciarti possedere, allora la verità esige <strong>di</strong> essere accostata,<br />

in punta <strong>di</strong> pie<strong>di</strong>, sulla soglia. Davanti alla verità, se è la verità, tutti<br />

siamo chiamati ad essere umili. Non <strong>di</strong>menticatelo mai quello che<br />

<strong>di</strong>ceva il Car<strong>di</strong>nale Bea: “La verità non ha bisogno <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>fesa,<br />

la verità si <strong>di</strong>fende da sé stessa”. Questo è un principio straor<strong>di</strong>nario,<br />

perché ci fa capire che, se la verità avesse bisogno <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>fesa,<br />

sarebbe un nostro possesso, una nostra ideologia, ma se la verità è la<br />

<strong>14</strong>6 –


verità, essa va servita, essa va amata, essa va testimoniata, ma mai<br />

dovremmo presumere <strong>di</strong> possederla come qualcosa <strong>di</strong> nostro. Noi<br />

siamo soltanto i servi della verità; e la poesia, più che ogni altro<br />

<strong>di</strong>scorso umano, è consapevole <strong>di</strong> questa umiltà: la poesia <strong>di</strong>ce la<br />

verità tacendo, la poesia la rivela nascondendo, la poesia è quella<br />

parola ferita che sa che ogni detto è evocazione dell’al<strong>di</strong>là del detto,<br />

e solo così è veramente poesia, solo così è <strong>di</strong>sciplina e <strong>di</strong>scorso che<br />

schiude verso gli abissi della verità.<br />

VI. A MO’ DI CONCLUSIONE<br />

Tutto quello che ho cercato <strong>di</strong> esprimere con le cinque metafore<br />

non è che si trovi in Mario Luzi come in un trattato: esso si trova in<br />

Luzi nell’evoluzione <strong>di</strong> una vita e con tutte le involuzioni della vita.<br />

Amici, non <strong>di</strong>menticatelo mai: Se un autore è grande, se è veramente<br />

grande, è pieno <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni: solo i minori, solo i me<strong>di</strong>ocri sono<br />

assolutamente coerenti con il loro pensiero, perché <strong>di</strong>cono poche idee<br />

e quin<strong>di</strong> è facile incollarle insieme. Ma i gran<strong>di</strong>, tutti i gran<strong>di</strong>, sono<br />

percorsi dall’inquietu<strong>di</strong>ne, dalla ricerca, dal dubbio. Pensate Agostino,<br />

pensate Paolo, gli anacoluti Paolini, per fare un esempio biblico, cioè<br />

questa potenza, il magma che vuole esprimere, ma che non riesce ad<br />

esprimere. Pensate Tommaso d’Aquino nella tensione fra l’anima<br />

apofatica <strong>di</strong> Dionigi l’Areopagita, da cui lui è enormemente influenzato,<br />

e la filosofia aristotelica, e così via.<br />

Dunque, anche Luzi è vivo; il suo è un percorso fatto <strong>di</strong> tensioni<br />

e contrad<strong>di</strong>zioni; un testo, ne prendo uno a caso, che ho appena aperto<br />

adesso, <strong>di</strong> questo libro “Il viaggio terrestre e celeste <strong>di</strong> Simone<br />

Martini”, ve lo leggo, ma questo testo certamente, Luzi non lo avrebbe<br />

scritto: “Durissimo silenzio tra noi uomini e il cielo, arido per<br />

ari<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> mente o scomparsa degli angeli rientrati nel verde, muti<br />

alla sorgente…anche morte dei profeti, ma colmato da nuvole, da<br />

pietre, da alberi, da animali, da quel loro ininterrotto afflato tutto<br />

creaturalmente, o anima del mondo da tutto ferita, da tutto risarcita,<br />

non piangere, non piangere mai, <strong>di</strong>ce nel sonno la sua amorosa lungimiranza”.<br />

Che cos’è quest’esperienza E’ un’esperienza che si fa<br />

nella maturità della vita, quando quel Dio a cui tu ti rivolgi ti appare<br />

un durissimo silenzio, e quando ciononostante, la sua presenza che,<br />

a volte, ti sembra un rientrare gli angeli muti nel verde alla sorgente,<br />

ti parla attraverso tanti altri segni silenziosi, per cui è paradossalmente<br />

ancora più eloquente che la sua parola del tempo dell’entusiasmo.<br />

– <strong>14</strong>7


Questa è la con<strong>di</strong>zione del credente pellegrino, e qui Luzi è la<br />

metafora non solo della vita umana in ricerca, ma anche della Fede,<br />

perché, a parte la sua vicenda personale, lui è stato sempre credente,<br />

ma certamente c’è stato un cammino progressivo della scoperta della<br />

Fede: lui mi ha sempre detto che, per lui, due riferimenti sono stati<br />

fondamentali: sua madre, perché era una donna <strong>di</strong> una Fede profonda,<br />

ma che si esprimeva nella carità, nell’amore, soprattutto ai più<br />

poveri, ai più deboli; e un vecchio prete, alla cui Messa lui andava<br />

sempre, a Pienza, che è una città che Luzi ha scelto un po’ come<br />

patria d’elezione, che con la sua Fede campagnola, genuina, dura, lo<br />

ha aiutato a capire che Dio non è una verità comoda, tranquillizzante,<br />

ideologica, ma esattamente quel Dio sempre più grande, che anche<br />

quando è venuto a visitarti, in Cristo, e ha parlato in Cristo, ti<br />

chiama ad una soglia oltre la quale l’abisso del suo silenzio è ancora<br />

più grande.<br />

Perciò ecco, una tesi come quella che io credo <strong>di</strong> dover sostenere,<br />

e che sostengo da ormai molti anni, anche nei miei libri, in teologia<br />

della storia, cioè che la rivelazione cristiana non è assolutamente<br />

“Offenbarung”, come spesso <strong>di</strong>co quando mi capita <strong>di</strong> fare conferenze<br />

in Paesi <strong>di</strong> lingua tedesca, vale a <strong>di</strong>re che la grande trage<strong>di</strong>a della<br />

teologia cristiana degli ultimi due secoli, è stata <strong>di</strong> essere pensata in<br />

tedesco. E poi spiego: noi abbiamo pensato il Cristianesimo come<br />

una religione da “Offenbarung”, “Rivelazione”, che Lutero sceglie e<br />

che <strong>di</strong>venta epocale. Allora quando Hegel interpreta questa parola<br />

<strong>di</strong>ce: “La religione Cristiana è la religione della Offenbarung”: traduzione<br />

italiana della “Rivelazione”, dove tutto è manifesto, ma questo<br />

è impreciso. Noi sappiamo non solo che Dio è, ma anche chi Dio è,<br />

la Offenbarung è la rivelazione totale. Questo non è il Cristianesimo.<br />

Il Cristianesimo è la religione dell’ “Apokalypse” Revelatio. Pren<strong>di</strong>amo<br />

la parola latina “revelare”, significa due cose: togliere il velo,<br />

ma anche revelare, cioè nuovamente mettere il velo.<br />

Voglio <strong>di</strong>re che la rivelazione non è mai una rivelazione totale <strong>di</strong><br />

Dio, ma è l’apertura che consente l’accesso agli abissi del mistero,<br />

cioè Cristo ci introduce nel seno del Padre. Ecco perché la primitiva<br />

teologia Cristiana, il Padre, in rapporto al Figlio, che chiamiamo<br />

Logòs, lo chiamava “sighè”, cioè “silenzio”, così Ignazio d’Antiochia.<br />

Poi questo linguaggio è stato abbandonato, perché sembrava avesse<br />

un sapore agnostico; era, invece, un linguaggio bellissimo, perché ci<br />

faceva capire che Gesù è la porta delle pecore, a cui non potremo<br />

mai rinunciare, che ci introduce negli abissi della vita, del silenzio<br />

<strong>di</strong>vino, impren<strong>di</strong>bili dalla parola. Ora, in una concezione del genere,<br />

<strong>14</strong>8 –


teologia e poesia si scoprono sorelle, perché si trovano nella con<strong>di</strong>zione<br />

che <strong>di</strong>ce il famoso “Inno” <strong>di</strong> Tommaso: “Adoro te devote, latens<br />

deitas, quae sub his figuris vere latitas”, cioè la <strong>di</strong>vinità sarà sempre<br />

presente sotto figure, le figure del linguaggio, le figure dei sacramenti:<br />

per noi pellegrini in questo mondo la verità non sarà mai <strong>di</strong><br />

Dio, non sarà mai un possesso tranquillizzante e comodo, perché se<br />

fosse tale sarebbe ideologia, non sarebbe più la verità <strong>di</strong> Dio; Dio è<br />

più grande del nostro cuore. Allora, dove se ne va, che ne sarà della<br />

singolarità <strong>di</strong> Gesù Cristo E’ chiaro che la singolarità <strong>di</strong> Cristo è<br />

fuori <strong>di</strong>scussione, ma la sua singolarità non sta nel fatto che lui esibisce<br />

tutta la verità, ma nel fatto che lui è la porta, la via irrinunciabile<br />

per entrare negli abissi della verità.<br />

Ringrazio <strong>di</strong> nuovo il Vescovo e tutti voi. Avendo percorso questa<br />

sera un comune cammino, chie<strong>di</strong>amo a Dio <strong>di</strong> aiutarci a cercare<br />

sempre la verità, a vivere nella verità e a fare la verità.<br />

– <strong>14</strong>9


150 –


ORIGINE ED EVOLUZIONE DELL’UNIVERSO:<br />

GLI ULTIMI SVILUPPI<br />

ANTONINO F. LANZA*<br />

1. INTRODUZIONE<br />

La cosmologia, intesa come la scienza che si occupa dello stu<strong>di</strong>o<br />

delle caratteristiche dell’universo fisico nel suo insieme, ha conosciuto<br />

nel XX secolo un notevole sviluppo. Nell’ultimo decennio,<br />

l’incremento delle conoscenze è stato senza precedenti e ulteriori<br />

risultati <strong>di</strong> grande rilievo sono attesi per il prossimo decennio, grazie<br />

al lancio <strong>di</strong> missioni spaziali de<strong>di</strong>cate.<br />

Non è possibile illustrare gli ultimi sviluppi in Cosmologia senza<br />

ripercorrere almeno brevemente le tappe fondamentali che hanno<br />

condotto ai risultati osservativi più importanti nel corso del XX secolo.<br />

Nel secondo decennio del XX secolo <strong>di</strong>venne chiaro che le<br />

nebulose a spirale che si osservavano tramite i gran<strong>di</strong> telescopi erano<br />

sistemi stellari esterni alla nostra Galassia, posti a <strong>di</strong>stanze dell’or<strong>di</strong>ne<br />

dei milioni o delle decine <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> anni luce. Edwin Hubble<br />

alla fine degli anni ‘20 si rese conto che le galassie si allontanano le<br />

une dalle altre con una velocità che cresce proporzionalmente alla<br />

<strong>di</strong>stanza che le separa (espansione dell’Universo).<br />

Intorno alla metà degli anni ‘40 George Gamow e i suoi collaboratori<br />

formularono il modello cosmologico detto del Big Bang, che<br />

spiega l’espansione dell’universo come il risultato <strong>di</strong> un’esplosione<br />

primor<strong>di</strong>ale. L’Universo, secondo tale modello, iniziò la sua evoluzione<br />

a partire da una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> altissima temperatura (> 10 9 K) e<br />

densità, cui fece seguito una fase <strong>di</strong> espansione che dura tuttora, caratterizzata<br />

da un progressivo raffreddamento e da una sempre maggiore<br />

rarefazione su grande scala (ovvero per <strong>di</strong>stanze maggiori delle<br />

centinaia <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> anni luce).<br />

Il modello <strong>di</strong> Gamow e collaboratori conteneva due notevoli pre<strong>di</strong>zioni:<br />

a) l’esistenza <strong>di</strong> un fondo cosmico <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione, dovuto alla<br />

ra<strong>di</strong>azione termica presente all’inizio, <strong>di</strong>luita dalla espansione cosmica<br />

fino a livelli molto bassi; b) una precisa abbondanza degli elementi<br />

chimici <strong>di</strong> basso numero atomico e dei loro isotopi nelle stelle (in<br />

particolare deuterio e elio).<br />

* Relazione tenuta il 20 Febbraio 2001.<br />

– 151


Tali previsioni furono verificate rispettivamente negli anni ‘50 e<br />

‘60. In particolare la scoperta della ra<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> fondo avvenne in<br />

modo del tutto inatteso nel 1965 da parte <strong>di</strong> due scienziati che lavoravano<br />

allo sviluppo <strong>di</strong> nuovi ricevitori ra<strong>di</strong>o. L’espansione dell’Universo,<br />

infatti, è stata tale da portare il fondo <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione a una temperatura<br />

<strong>di</strong> circa 3 K (solo tre gra<strong>di</strong> sopra lo zero assoluto), e a tale<br />

temperatura l’emissione è rivelabile praticamente solo nel campo<br />

ra<strong>di</strong>o.<br />

Possiamo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>re che il modello del Big Bang, proposto da<br />

Gamow e perfezionato da altri scienziati, già alla fine degli anni ‘70<br />

risultava essere con<strong>di</strong>viso dalla maggioranza dei cosmologi poiché<br />

spiegava:<br />

a) l’espansione dell’Universo;<br />

b) l’esistenza del fondo cosmico a 3 K;<br />

c) l’abbondanza degli elementi leggeri (in particolare deuterio ed<br />

elio);<br />

d) le osservazioni sull’evoluzione delle galassie, che in<strong>di</strong>cano<br />

una mo<strong>di</strong>ficazione delle loro proprietà nel corso del tempo.<br />

A partire dalla seconda metà degli anni ‘70 inizia la storia più<br />

recente della cosmologia moderna, <strong>di</strong> cui intendo delineare brevemente<br />

gli aspetti principali.<br />

2. GLI SVILUPPI PIÙ RECENTI<br />

2.1 La materia oscura<br />

Nella seconda metà degli anni ‘70 ci si rese conto che la maggior<br />

parte della materia dell’Universo non emette luce visibile né altre<br />

forme <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione elettromagnetica. Essa fa sentire la sua presenza<br />

soltanto tramite gli effetti gravitazionali. Le misure sempre più accurate<br />

condotte negli anni ‘80 e negli anni ‘90 hanno condotto a stabilire<br />

che tale materia oscura è almeno 5-10 volte più abbondante della<br />

materia luminosa che forma le stelle e le nebulose osservabili.<br />

Secondo i modelli cosmologici più recenti, tale materia sarebbe<br />

composta solo in piccola parte da oggetti astronomici privi <strong>di</strong> sorgenti<br />

<strong>di</strong> energia (pianeti, nane bianche, stelle <strong>di</strong> neutroni, buchi neri);<br />

essa consisterebbe per la maggior parte <strong>di</strong> particelle subatomiche<br />

che interagiscono molto debolmente con la materia e la ra<strong>di</strong>azione<br />

or<strong>di</strong>naria, al punto da non risultare rilevabili. Esse sarebbero state<br />

prodotte durante le primissime fasi <strong>di</strong> vita dell’Universo quando esso<br />

aveva meno <strong>di</strong> un milionesimo <strong>di</strong> secondo <strong>di</strong> età.<br />

152 –


Qualunque sia la sua natura, resta comunque il fatto che la maggior<br />

parte della materia dell’Universo sfugge alla nostra capacità <strong>di</strong><br />

rilevazione. Quella che possiamo osservare è solo una piccola frazione<br />

(10% - 15%) della massa totale.<br />

2.2 Le fluttuazioni del fondo cosmico<br />

Una fondamentale caratteristica del fondo cosmico è l’altissimo<br />

livello <strong>di</strong> isotropia che riflette la quasi perfetta uniformità della temperatura<br />

e della densità della materia cosmica quando l’universo aveva<br />

un’età <strong>di</strong> circa trecentomila anni, nel momento in cui esso <strong>di</strong>venne<br />

trasparente alla ra<strong>di</strong>azione. Le misure più recenti hanno mostrato che<br />

le deviazioni dalla isotropia, cioè le fluttuazioni del fondo cosmico,<br />

sono dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> una parte su 30.000.<br />

Nel corso degli ultimi anni sono state de<strong>di</strong>cate molte ricerche<br />

alle misure <strong>di</strong> tali fluttuazioni. Lo scopo fondamentale è quello <strong>di</strong><br />

verificare le proprietà previste dai modelli teorici proposti all’inizio<br />

degli anni ‘80 e che vanno sotto il nome <strong>di</strong> inflationary cosmological<br />

models, infelicemente tradotto in Italiano con “modelli cosmologici<br />

inflazionari”. Secondo tali modelli, originariamente proposti da Alan<br />

Guth, l’Universo primor<strong>di</strong>ale attraversò una fase <strong>di</strong> espansione accelerata<br />

durante i suoi primissimi istanti (circa 10 -35 s dopo l’inizio).<br />

Tale espansione accelerata, denominata tecnicamente inflation (dall’Inglese<br />

“to inflate”, cioè gonfiare) ridusse enormemente le <strong>di</strong>fferenze<br />

<strong>di</strong> temperatura e densità presenti nell’Universo primor<strong>di</strong>ale,<br />

conferendogli il carattere <strong>di</strong> altissima uniformità e isotropia rispecchiato<br />

nel fondo cosmico. In realtà il modello inflazionario prevede<br />

che le fluttuazioni non si riducano esattamente a zero. Quelle rimaste,<br />

sebbene estremamente piccole (circa una parte su centomila),<br />

mostrano delle proprietà caratteristiche nella loro intensità e <strong>di</strong>stribuzione<br />

spaziale che possono essere utilizzate per sottoporre a verifica<br />

il modello stesso.<br />

Queste misure sono estremamente delicate e solo negli ultimi<br />

due o tre anni si sono ottenuti alcuni risultati preliminari. In particolare,<br />

l’esperimento denominato Boomerang ha fornito i primi dati a sostegno<br />

del modello inflazionario.<br />

I modelli teorici prevedono ulteriori interessanti proprietà delle<br />

fluttuazioni. In particolare, esse contengono informazioni sulle con<strong>di</strong>zioni<br />

iniziali dell’Universo e su alcune delle sue proprietà globali,<br />

come la velocità <strong>di</strong> espansione iniziale, la geometria dello spaziotempo<br />

e l’abbondanza <strong>di</strong> materia or<strong>di</strong>naria.<br />

– 153


Si può quin<strong>di</strong> affermare che lo stu<strong>di</strong>o delle fluttuazioni del fondo<br />

cosmico è lo strumento privilegiato per la comprensione dell’origine<br />

e delle proprietà dell’Universo. Per questa ragione nei prossimi anni<br />

due importanti missioni spaziali saranno specificamente de<strong>di</strong>cate a<br />

queste ricerche: MAP della NASA e Planck dell’ESA, l’Agenzia<br />

Spaziale Europea, in cui l’Italia gioca un ruolo fondamentale. Quando<br />

queste missioni avranno completato le loro misure e i dati saranno<br />

analizzati, ovvero intorno al 2012-2015, avremo un quadro molto<br />

più preciso dell’Universo e delle sue caratteristiche globali.<br />

2.3 L’accelerazione dell’espansione<br />

Le misure effettuate negli ultimi anni sulla velocità <strong>di</strong> espansione<br />

delle galassie più lontane hanno condotto al risultato sorprendente<br />

che l’espansione cosmica, accelera nel tempo, ovvero l’Universo si<br />

espande tanto più velocemente quanto più invecchia. La probabilità<br />

che tale risultato sia dovuto a errori sistematici non ancora evidenziati<br />

è abbastanza piccola.<br />

Questa scoperta è in <strong>di</strong>saccordo con i modelli cosmologici classici<br />

i quali prevedono che l’espansione debba rallentare nel tempo<br />

per effetto della forza <strong>di</strong> attrazione gravitazionale che agisce tra le<br />

masse dell’Universo.<br />

La presenza <strong>di</strong> un’espansione accelerata implica che vi sia una<br />

sorgente <strong>di</strong> energia ignota che incrementa la velocità <strong>di</strong> espansione.<br />

Sulla natura <strong>di</strong> tale energia oscura si possono solo proporre delle<br />

speculazioni sulla base della proprietà che la Fisica teorica prevede<br />

per i campi <strong>di</strong> forze. In ogni caso la sua densità <strong>di</strong> energia è molto più<br />

piccola delle forme <strong>di</strong> energia or<strong>di</strong>naria che si manifestano nei nostri<br />

esperimenti <strong>di</strong> laboratorio, per cui la sua <strong>di</strong>retta rilevazione sperimentale<br />

è al <strong>di</strong> là delle attuali possibilità.<br />

2.4 Le proprietà antropiche<br />

L’esistenza della vita intelligente risulta strettamente legata alle<br />

proprietà globali dell’Universo, determinate dalle costanti fondamentali<br />

della Fisica (costanti <strong>di</strong> natura) e dalle con<strong>di</strong>zioni iniziali a partire<br />

dalle quali l’Universo stesso si è evoluto. Ad esempio, se le costanti<br />

che regolano l’intensità relativa delle forze nucleari e delle<br />

forze elettriche nei nuclei atomici fossero <strong>di</strong>verse solo dell’1-2% dal<br />

valore osservato, non sarebbe possibile l’esistenza <strong>di</strong> stelle stabili in<br />

grado <strong>di</strong> emettere energia per miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> anni e quin<strong>di</strong> l’evoluzione<br />

154 –


della vita sui pianeti fino alle forme più avanzate. Inoltre l’esistenza<br />

del Carbonio, l’elemento fondamentale per la biochimica, è connessa<br />

con una serie <strong>di</strong> delicate coincidenze tra i valori delle costanti che<br />

regolano le energie dei livelli dei nuclei atomici coinvolti nel suo<br />

processo <strong>di</strong> formazione all’interno delle stelle.<br />

Le con<strong>di</strong>zioni iniziali hanno un ruolo altrettanto importante. Se<br />

la velocità <strong>di</strong> espansione del cosmo fosse stata <strong>di</strong>versa dal valore<br />

attuale <strong>di</strong> circa una parte su <strong>di</strong>eci milioni, il destino del cosmo sarebbe<br />

stato quello <strong>di</strong> ricollassare prima che la vita potesse sorgere sulla<br />

Terra, ovvero la materia si sarebbe <strong>di</strong>spersa troppo velocemente per<br />

potersi aggregare in galassie ed in stelle. Anche la quantità <strong>di</strong> energia<br />

oscura presente all’inizio è fondamentale perché se questa fosse stata<br />

troppo elevata avrebbe condotto ad una accelerazione dell’espansione<br />

troppo rapida perché potessero formarsi galassie e stelle.<br />

Un’analisi dettagliata del profondo legame tra proprietà cosmiche<br />

ed esistenza della vita intelligente è stata condotta dai cosmologi Barrow<br />

e Tipler nel loro trattato “The Anthropic Cosmological Principle”, che<br />

ha segnato l’inizio del <strong>di</strong>battito moderno su questa interessantissima<br />

questione, il cui impatto trascende l’ambito strettamente tecnico della<br />

cosmologia per acquistare una rilevanza culturale generale.<br />

3. UN’IPOTESI INTERPRETATIVA UNITARIA E I SUOI ATTUALI LIMITI<br />

I risultati osservativi che ho brevemente descritto sollecitano lo<br />

sviluppo <strong>di</strong> un quadro interpretativo unitario che possa renderne ragione.<br />

Come osservava recentemente James Peebles, uno dei padri<br />

della cosmologia contemporanea, sebbene i risultati osservativi siano<br />

ormai generalmente consolidati, le interpretazioni teoriche sono<br />

ancora in uno sta<strong>di</strong>o iniziale. Purtroppo accade sempre più spesso <strong>di</strong><br />

vedere, veicolate dai mass me<strong>di</strong>a, volgarizzazioni delle speculazioni<br />

avanzate da questo o quel cosmologo che vengono spacciate come<br />

nuove, sicure acquisizioni della scienza moderna. Peebles ricorda<br />

che le caratteristiche <strong>di</strong> una seria <strong>di</strong>vulgazione devono essere almeno:<br />

a) rispecchiare le idee <strong>di</strong> una comunità scientifica competente e<br />

qualificata e non le ipotesi o le opinioni <strong>di</strong> un singolo, per quanto<br />

influente egli possa essere; b) presentare adeguatamente i meto<strong>di</strong><br />

con cui sono stati ottenuti i risultati descritti, i loro limiti e le questioni<br />

ancora aperte.<br />

Possiamo con ragionevole certezza affermare che l’Universo si è<br />

evoluto da una situazione <strong>di</strong> altissima temperatura e densità espandendosi<br />

alle <strong>di</strong>mensioni attuali in circa 15 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> anni, ma sui<br />

– 155


processi accaduti prima del primo minuto possiamo solo fare delle<br />

ipotesi. In questo senso possiamo affermare che i risultati più recenti<br />

pongono con forza tre questioni fondamentali: a) perché l’Universo<br />

mostra un altissimo grado <strong>di</strong> omogeneità a grande scala b) qual è la<br />

natura della materia oscura e della energia oscura c) perché l’Universo<br />

è così adatto allo sviluppo della vita intelligente<br />

Le ipotesi su cui sono basati gli inflationary cosmological models<br />

forniscono un tentativo <strong>di</strong> risposta alla domanda a), ma <strong>di</strong>pendono<br />

da notevoli estrapolazioni delle leggi della fisica non ancora confermate<br />

da esperimenti <strong>di</strong> laboratorio. Si tratta comunque <strong>di</strong> un tentativo<br />

serio che potrebbe essere sottoposto a verifica in futuro, sia tramite<br />

le misure della ra<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> fondo che con esperimenti <strong>di</strong> laboratorio<br />

<strong>di</strong> nuova concezione.<br />

Per quanto riguarda la questione b), le nostre conoscenze sono<br />

ancora più limitate e si può solo sperare che i progressi nelle teorie e<br />

nuovi esperimenti <strong>di</strong> fisica delle particelle, che utilizzano l’Universo<br />

stesso come laboratorio, ci forniscano un giorno qualche elemento<br />

per tentare una soluzione del problema.<br />

La questione c) è forse quella più importante perché coinvolge il<br />

significato del nostro essere qui ed ora e costringe la ragione umana<br />

a recuperare quell’ambito <strong>di</strong> problemi, fondamentali che una visione<br />

ideologica della vita tende a considerare come privi <strong>di</strong> senso e indegni<br />

<strong>di</strong> un’intelligenza evoluta ed adulta. La scienza non può dare<br />

risposta alla fondamentale domanda <strong>di</strong> conoscenza e <strong>di</strong> senso che<br />

sorge nell’impatto della ragione umana con la realtà perché il suo<br />

oggetto e il suo metodo sono troppo specifici e limitati. Tuttavia,<br />

come ogni serio tentativo <strong>di</strong> rapporto con la realtà, essa pone questioni<br />

che trascendono il suo ambito specifico e chiamano in causa<br />

altre <strong>di</strong>scipline e altri meto<strong>di</strong> della conoscenza.<br />

La serietà dell’impresa scientifica e il rispetto del valore della<br />

ragione esigono che non si sospenda l’indagine prima <strong>di</strong> avere tenuto<br />

conto <strong>di</strong> tutti i fattori del problema e che si eviti accuratamente ogni<br />

argomentazione che muova da ipotesi pregiu<strong>di</strong>ziali ed ideologiche,<br />

ovvero non fondate sull’esperienza o senza possibilità <strong>di</strong> verifica<br />

sperimentale.<br />

In questo senso è particolarmente istruttivo considerare brevemente<br />

la soluzione proposta alla questione c) a partire dai modelli<br />

cosmologici recentemente sviluppati dal cosmologo Andrei Linde e<br />

dai suoi collaboratori.<br />

156 –


4. TENTATIVI IDEOLOGICI<br />

Il modello proposto da Linde e collaboratori va sotto il nome <strong>di</strong><br />

chaotic inflation ed assume una particolare estrapolazione delle leggi<br />

fisiche secondo la quale il nostro Universo sarebbe una bolla in<br />

espansione in un insieme infinito ed eterno <strong>di</strong> bolle che <strong>di</strong>fferiscono<br />

per le con<strong>di</strong>zioni iniziali e le costanti fisiche fondamentali. La maggior<br />

parte <strong>di</strong> tali universi-bolla evolvono senza raggiungere le con<strong>di</strong>zioni<br />

necessarie allo sviluppo della vita cosciente, per cui in essi non<br />

vi sarà mai alcuno che possa porsi la domanda su come mai le con<strong>di</strong>zioni<br />

iniziali e le costanti fisiche abbiano proprio quei precisi valori.<br />

Solo in un numero piccolissimo <strong>di</strong> tali universi-bolla si realizzano<br />

casualmente le con<strong>di</strong>zioni opportune per lo sviluppo <strong>di</strong> esseri coscienti<br />

i quali, a un certo punto della loro storia, cominceranno a porsi la<br />

domanda su come mai il loro universo appaia così sorprendentemente<br />

ben calibrato per lo sviluppo della vita intelligente.<br />

Il modello della chaotic inflation ha avuto notevole fortuna nelle<br />

volgarizzazioni dei mass-me<strong>di</strong>a perché viene presentato come una<br />

grande scoperta della scienza moderna, la quale avrebbe così finalmente<br />

<strong>di</strong>mostrato che il nostro essere qui ed ora è frutto <strong>di</strong> un cieco<br />

caso. Questa operazione culturale è sostenuta da coloro che ritengono<br />

che la domanda sulla ultima natura e struttura <strong>di</strong> ciò che esiste e<br />

sulla sua relazione con noi sia una questione priva <strong>di</strong> senso. Tale<br />

posizione filosofica è ben nota nella storia del pensiero occidentale e<br />

si può far risalire ad Epicuro.<br />

Le sue conseguenze negative sullo sviluppo della scienza, e della<br />

cultura in generale, sono ben note. In effetti, alla vasta <strong>di</strong>ffusione<br />

della idea dei molti universi nelle pubblicazioni <strong>di</strong>vulgative, corrisponde,<br />

per contro, una puntuale critica della comunità scientifica<br />

sulle riviste specialistiche, essendo state riconosciute gravi limitazioni<br />

metodologiche a questo tipo <strong>di</strong> approccio ai problemi della cosmologia.<br />

Esse si possono così brevemente riassumere: a) i modelli a<br />

molti universi sono basati su estrapolazioni estreme delle leggi fisiche,<br />

in particolare delle proprietà quantistiche dei campi, non ancora<br />

verificabili sperimentalmente; b) gli altri universi non possono essere<br />

sperimentalmente osservati (è impossibile quin<strong>di</strong> il fondamentale<br />

paragone con i risultati osservativi e sperimentali); c) metodologicamente<br />

si pone una indebita barriera all’indagine scientifica poiché,<br />

se le proprietà del nostro universo sono frutto del caso, allora<br />

non ha senso investigarle ulteriormente per comprenderne l’origine.<br />

– 157


Esiste nella storia della cosmologia moderna un interessante precedente<br />

che <strong>di</strong>mostra come l’introduzione <strong>di</strong> una spiegazione basata<br />

su un evento casuale sia limitativa e si ritorca contro il progresso<br />

della conoscenza. Si tratta dell’osservazione, già nota a partire dagli<br />

anni ‘50, che la velocità <strong>di</strong> espansione dell’universo è calibrata in<br />

modo molto preciso per consentire lo sviluppo <strong>di</strong> strutture complesse<br />

come le galassie, le stelle, i pianeti e i viventi (v. § 2.4). Alcuni<br />

ricercatori proposero che tale fatto fosse <strong>di</strong> natura casuale, poiché se<br />

non si fosse verificato noi non saremmo qui a porre la domanda, e<br />

molti scienziati aderirono a tale posizione ritenendola ragionevole.<br />

Fu solo agli inizi degli anni ‘80 che Alan Guth e collaboratori svilupparono<br />

i primi inflationary cosmological models che permettevano<br />

<strong>di</strong> spiegare tale proprietà senza far ricorso al caso, ma a partire da<br />

leggi fisiche deterministiche, anche se ancora in attesa <strong>di</strong> una completa<br />

verifica sperimentale. In conseguenza <strong>di</strong> questo fatto, l’opinione<br />

della maggioranza dei cosmologi cambiò, e si riconobbe che era<br />

stato un grave errore l’avere introdotto una spiegazione basata sulla<br />

casualità poiché essa aveva precluso per decenni l’investigazione su<br />

una questione fondamentale.<br />

Allo stesso modo nella cosmologia moderna è <strong>di</strong> fondamentale<br />

importanza mantenere vive le questioni ancora aperte cui ho prima<br />

fatto cenno. Le nuove teorie fisiche che puntano alla unificazione<br />

delle forze fondamentali della natura potrebbero aprire una nuova<br />

prospettiva, consentendo <strong>di</strong> dedurre il valore delle costanti <strong>di</strong> natura<br />

e delle con<strong>di</strong>zioni iniziali a partire da principi più generali. Occorre<br />

comunque tenere presente il carattere specifico e contingente delle<br />

leggi fisiche e i limiti intrinseci dell’approccio ipotetico-deduttivo<br />

su cui si basano le nostre teorie, riconosciuto dai matematici e dai<br />

fisici teorici proprio nel corso del XX secolo. Ciò implica che le<br />

teorie e i modelli che la scienza può sviluppare non potranno mai<br />

esaurire la comprensione della realtà fisica.<br />

5. CONCLUSIONI: LA CATEGORIA DELLE POSSIBILITÀ E LA RICERCA SCIENTIFICA<br />

La riflessione sul metodo scientifico e la storia della scienza<br />

moderna ci rivelano come la ricerca scientifica deve sempre essere<br />

dominata dalla categoria della possibilità e dalla concezione della<br />

ragione come energia conoscitiva che non può ritenersi sod<strong>di</strong>sfatta<br />

finché non ha tenuto conto <strong>di</strong> tutti i fattori della realtà. Nel considerare<br />

quin<strong>di</strong> le acquisizioni della cosmologia moderna, bisogna sempre<br />

ricordare che la realtà dell’Universo è più grande <strong>di</strong> ciò che noi<br />

158 –


conosciamo. Tutte le volte che l’uomo ha preteso <strong>di</strong> affermare che il<br />

confine del cosmo era stato raggiunto, si è trovato <strong>di</strong> lì a poco smentito<br />

da nuove scoperte.<br />

In questo senso, al <strong>di</strong> là degli errori metodologici commessi da<br />

alcuni cosmologi nelle loro speculazioni, la possibilità che l’Universo<br />

sia infinito o che esistano altri universi non può essere esclusa a<br />

priori. In effetti il grande storico della scienza Pierre Duhem ha posto<br />

come inizio della scienza moderna proprio l’affermazione <strong>di</strong> tale<br />

possibilità da parte del vescovo <strong>di</strong> Parigi, Étienne Tempier, nel 1277.<br />

Contro la concezione aristotelica che vedeva nella ragione la misura<br />

del reale e che pretendeva <strong>di</strong> dedurre e imporre l’unicità dell’universo,<br />

il vescovo riba<strong>di</strong>va la fondamentale importanza della categoria<br />

della possibilità nella ricerca della verità e la libertà ultima della<br />

sorgente misteriosa della realtà, non sottoposta alle limitazioni che<br />

pretendeva <strong>di</strong> imporle la filosofia umana.<br />

La questione del significato ultimo dell’esistenza e della struttura<br />

dell’Universo non può dunque essere affrontata solo con mezzi<br />

scientifici, e tuttavia l’importanza della questione è tale da non poter<br />

essere elusa. Un’ipotesi <strong>di</strong> risposta deve dunque partire da una<br />

valorizzazione <strong>di</strong> altri meto<strong>di</strong> conoscitivi e <strong>di</strong> ogni aspetto della realtà,<br />

<strong>di</strong> tutti i dati così come ci si presentano.<br />

Su questa posizione è il grande cosmologo John Wheeler, che<br />

nella prefazione al trattato <strong>di</strong> Barrow e Tipler, così esor<strong>di</strong>va:<br />

«Consideriamo un Universo per sempre privo <strong>di</strong> vita» – «Naturalmente<br />

no!», avrebbe risposto un antico filosofo, aggiungendo,<br />

mentre si allontanava, declinando <strong>di</strong> considerare una tale questione:<br />

«Non ha senso parlare <strong>di</strong> un Universo, a meno che non ci sia qualcuno<br />

in esso a parlarne».<br />

Un tale rifiuto dell’idea <strong>di</strong> un Universo privo <strong>di</strong> vita non risulta<br />

così semplice dopo Copernico. Egli detronizzò l’uomo dal suo posto<br />

centrale nell’or<strong>di</strong>ne delle cose. Il suo modello del moto dei pianeti e<br />

della Terra ci ha insegnato a guardare il mondo alla stregua <strong>di</strong> una<br />

macchina. Da quell’inizio è scaturita una scienza che sembra non<br />

avere alcun posto particolare da assegnare all’uomo, alla mente e<br />

alla domanda sul significato. L’uomo Pura biochimica! La mente<br />

una memoria riproducibile me<strong>di</strong>ante circuiti elettronici! Il significato<br />

Perché chiedersi qualcosa <strong>di</strong> così intangibile e complicato! «Sire»<br />

– qualcuno oggi potrebbe <strong>di</strong>re parafrasando la famosa risposta <strong>di</strong><br />

Laplace a Napoleone – «Io non ho alcun bisogno <strong>di</strong> tale concetto».<br />

Che cosa è l’uomo perché l’Universo si debba curare <strong>di</strong> lui I<br />

telescopi raccolgono la luce <strong>di</strong> lontanissime sorgenti quasi-stellari<br />

– 159


che sono esistite miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> anni prima della comparsa della vita<br />

sulla Terra, ad<strong>di</strong>rittura ancor prima che ci fosse la Terra [...]. Un termometro<br />

e l’abbondanza relativa degli elementi più leggeri che oggi<br />

misuriamo ci danno informazioni sulla correlazione fra la densità e<br />

la temperatura dell’Universo durante i suoi primi tre minuti. Con<strong>di</strong>zioni<br />

ancora più violente ed estreme appren<strong>di</strong>amo dallo stu<strong>di</strong>o della<br />

fisica delle particelle elementari. Nella prospettiva <strong>di</strong> tali violenze<br />

della materia e dei campi <strong>di</strong> forze, <strong>di</strong> questi valori estremi <strong>di</strong> temperatura<br />

e <strong>di</strong> pressione, <strong>di</strong> queste estensioni <strong>di</strong> spazio e <strong>di</strong> tempo, non è<br />

l’uomo una trascurabile particella <strong>di</strong> polvere su un pianeta insignificante,<br />

in una insignificante galassia, in una insignificante regione<br />

perduta nell’immensità dello spazio<br />

No! L’antico filosofo aveva ragione! La questione del significato<br />

è importante, è ad<strong>di</strong>rittura centrale. Non è che l’uomo si sia appena<br />

adattato all’Universo. L’Universo è adatto alla vita dell’uomo. Immaginiamo<br />

un Universo in cui l’una o l’altra delle costanti fondamentali<br />

della fisica sia mo<strong>di</strong>ficata in più o meno <strong>di</strong> pochi punti percentuali.<br />

L’uomo non sarebbe mai potuto apparire in un Universo<br />

siffatto. Questo è il punto centrale del Principio antropico. Secondo<br />

tale principio, un fattore che produce la vita sta al centro dell’intera<br />

macchina e dello schema del mondo.<br />

Qual è l’attuale con<strong>di</strong>zione ed il ruolo del Principio antropico Si<br />

tratta <strong>di</strong> un teorema No. Si tratta <strong>di</strong> una mera tautologia, equivalente<br />

all’affermazione banale «L’Universo deve essere tale da permettere<br />

lo sviluppo della vita, da qualche parte, in una qualche fase della<br />

sua evoluzione, perché noi siamo qui» No. È una proposizione che<br />

possa essere sottoposta a verifica sperimentale Forse. [...].<br />

Nel processo <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> un nuovo settore <strong>di</strong> ricerca fino al<br />

punto in cui esso <strong>di</strong>viene una parte ben stabilita e definita della scienza,<br />

è spesso più <strong>di</strong>fficile porre le domande giuste piuttosto che trovare le<br />

risposte giuste, e in nessun altro caso questo risulta così cruciale come<br />

nel trattare del Principio antropico. Soprattutto risulta necessario un<br />

retto modo <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care, giu<strong>di</strong>care nel senso in cui lo intendeva George<br />

Graves: «Una consapevolezza <strong>di</strong> tutti i fattori in gioco nella situazione<br />

e una corretta valutazione della loro importanza relativa».<br />

Ripercorrendo la storia della ricerca recente in cosmologia e in<br />

astronomia, rimaniamo umanamente stupiti nel constatare come<br />

l’Universo intero cooperi alla nostra esistenza: le stelle che ve<strong>di</strong>amo<br />

in una notte serena stanno lavorando per noi, sintetizzando gli elementi<br />

chimici che serviranno alla formazione <strong>di</strong> nuovi pianeti ed allo<br />

sviluppo dell’attività biologica su <strong>di</strong> essi. Contemplando anche solo<br />

160 –


quel poco che conosciamo dell’Universo intorno a noi, credo non si<br />

possa evitare la riflessione del fisico teorico Freeman Dyson:<br />

Quando osserviamo l’Universo e identifichiamo le tante coincidenze<br />

fisiche ed astronomiche che hanno lavorato a nostro beneficio,<br />

sembra quasi che l’Universo avesse saputo che noi stavamo per arrivare.<br />

6. NOTA BIBLIOGRAFICA<br />

In quest’ultima sezione sono in<strong>di</strong>cati alcuni riferimenti che permettono<br />

<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re i concetti e i temi prima accennati. Si tratta<br />

per la maggior parte <strong>di</strong> opere a livello <strong>di</strong>vulgativo. Non sempre si<br />

tratta <strong>di</strong> testi in Italiano, dato che ormai la maggior parte della <strong>di</strong>vulgazione<br />

scientifica si pubblica in Inglese. Si tratta comunque <strong>di</strong> testi<br />

che ogni biblioteca specialistica dovrebbe avere o poter reperire.<br />

1. Una descrizione dei fondamentali risultati osservati su cui si<br />

basa la cosmologia del XX secolo si può trovare in ogni buon testo<br />

generale <strong>di</strong> introduzione all’Astronomia (ve<strong>di</strong>, per es., H. L. Shipman,<br />

1984, Introduzione all’Astronomia, Zanichelli, Bologna; J. Hermann,<br />

1992, Atlante <strong>di</strong> Astronomia, Sperling & Kupfer, Milano). Si veda<br />

anche: D. W. Sciama, 1973, Cosmologia moderna, E.S.T. Mondadori,<br />

Milano.<br />

Questi testi sono accessibili anche a chi non ha conoscenze specifiche<br />

<strong>di</strong> Fisica e <strong>di</strong> Matematica. D’altra parte, un testo recente che<br />

introduce gli aspetti tecnici della Cosmologia per chi ha approfon<strong>di</strong>te<br />

conoscenze <strong>di</strong> Fisica a livello universitario, è: A. Braccesi, 2000,<br />

Dalle stelle all’Universo, Zanichelli, Bologna.<br />

2. Informazioni sugli ultimi sviluppi in Cosmologia si possono<br />

trovare in testi <strong>di</strong>vulgativi recentemente pubblicati come: B. Green,<br />

2000, L’Universo elegante, Einau<strong>di</strong>, Torino; L. Amendola, 2000, Il<br />

cielo infinito, Sperling & Kupfer, Milano. Un aggiornamento sulle<br />

ricerche correnti a livello <strong>di</strong>vulgativo si può trovare anche nei seguenti<br />

articoli:<br />

a) C. Lamberti, 1998, Universo: un’esplosione senza fine, L’Astronomia<br />

n. 191, p. 6.<br />

b) C. J. Hogan, R.P. Kirshner, N.B. Suntzeff, 1999, Il mistero<br />

delle supernovae lontane, Le Scienze, marzo 1999, n. 367, p. 40.<br />

c) L.M. Krauss, 1999, L’antigravità cosmologica, Le Scienze,<br />

marzo 1999, n. 367, p. 47.<br />

d) M.A. Bucher, D.N. Spergel, 1999, Inflazione in un Universo a<br />

bassa densità, Le Scienze, marzo 1999, n. 367, p. 55.<br />

– 161


e) C. Lamberti, 2000, Il Boomerang conferma il Big Bang con<br />

Inflazione, L’Astronomia, n. 210, p. 4.<br />

f) R.R. Caldwell, M. Kamionkowski, 2001, Echoes from the Big<br />

Bang, Scientific American, January 2001, p. 28.<br />

g) J.P. Ostriker, P.J. Steinhardt, 2001, The Quintessential Universe,<br />

Scientific American, January 2001, p. 37.<br />

Esistono anche siti Internet con notizie ed aggiornamenti sulla<br />

Cosmologia. Uno dei più interessanti è all’in<strong>di</strong>rizzo:<br />

http://www.atro.ucla.edu/%7Ewright/cosmolog.htm<br />

Esso contiene anche una interessante introduzione alla Cosmologia<br />

<strong>di</strong> cui esiste una versione italiana (sebbene meno ricca ed aggiornata<br />

dell’originale) all’in<strong>di</strong>rizzo: http://www.vialattea.net/cosmo/<br />

Per quanto riguarda la ra<strong>di</strong>azione cosmica <strong>di</strong> fondo e le sue fondamentali<br />

proprietà si veda anche il sito Internet: http://<br />

background.uchicago.edu/<br />

Le missioni Planck e MAP (Microware Anisotropy Probe) hanno<br />

i loro rispettivi siti Internet agli in<strong>di</strong>rizzi:<br />

http://astro.estec.esa.nl/SA-general/Projects/Planck<br />

http://map.gsfc.nasa.gov<br />

Il testo <strong>di</strong> riferimento per gli aspetti relativi alle proprietà<br />

antropiche dell’Universo è: J.D. Barrow, F.J. Tipler, 1986, The<br />

Anthropic Cosmological Principle, Oxford University Press, Oxford.<br />

Vedasi anche: F. Bertola, U. Curi (a cura <strong>di</strong>), 1993, The Anthropic<br />

Principle, Cambridge University Press, Cambridge, dove sono trattati<br />

anche alcuni aspetti che interessano la riflessione filosofica e<br />

teologica.<br />

3. Una breve e autorevole <strong>di</strong>scussione critica dei più recenti modelli<br />

cosmologici si può trovare in: P.J.E. Peebles, 2001, Making Sense<br />

of Modern Cosmology, Scientific American, January 2001, p. 44. È<br />

anche interessante leggere le considerazioni <strong>di</strong> Sir Martin Rees, uno<br />

dei maggiori astronomi contemporanei, pubblicate in: M. Rees, 1999,<br />

Esplorare il nostro e altri universi, Le Scienze, <strong>di</strong>cembre 1999, n.<br />

376, p. 58.<br />

4. Una introduzione <strong>di</strong>vulgativa ai modelli proposti da Linde è<br />

stata recentemente pubblicata dall’autore stesso: A. Linde, 1995, Un<br />

Universo inflazionario che si autoriproduce, Le Scienze, gennaio<br />

1995, n. 317, p. 26.<br />

5. Una presentazione delle basi metodologiche e delle linee principali<br />

<strong>di</strong> sviluppo delle scienze fisiche moderne si può trovare in:<br />

F.T. Arecchi, I. Arecchi, 1990, I simboli e la realtà, Jaca Book,<br />

Milano.<br />

162 –


Sono anche <strong>di</strong> notevole interesse le considerazioni <strong>di</strong> Feyerabend<br />

sul ruolo della scienza nella cultura moderna, in P.K. Feyerabend,<br />

1987, Galileo e la tirannia della verità, L’Astronomia, n. 71, p. 28.<br />

Una <strong>di</strong>scussione elementare delle limitazioni dell’approccio basato<br />

sul metodo scientifico nella cosmologia moderna si può trovare<br />

nell’intervento <strong>di</strong> J.D. Barrow in L’uomo, i limiti, le speranze, a cura<br />

<strong>di</strong> G. Giorello e E. Sindoni, Piemme, 1998, p. 105; si noti la prospettiva<br />

neo-empirista, che caratterizza la posizione <strong>di</strong> Barrow, e la<br />

sottolineatura dei limiti intrinseci del metodo ipotetico-deduttivo su<br />

cui si basano le teorie fisiche. Questi ultimi costituiscono un campo<br />

<strong>di</strong> ricerca estremamente interessante, e sono <strong>di</strong>scussi, tra l’altro, nel<br />

saggio: D.J. Barrow, 1988, The World within the World, Oxford<br />

University Press, Oxford. Un’introduzione alla figura <strong>di</strong> Gödel e al<br />

ruolo del suo teorema nell’ambito della matematica si può trovare<br />

in: J.W. Dawson, Jr., 1999, Gödel e i limiti della logica, Le Scienze,<br />

ottobre 1999, n. 374, p. 88.<br />

Il pronunciamento del vescovo <strong>di</strong> Parigi sulla pluralità dei mon<strong>di</strong><br />

possibili è presentato e <strong>di</strong>scusso, tra gli altri, da: E. Grant, 1974, A<br />

Source Book in Me<strong>di</strong>eval Science, Harvard University Press, Harvard,<br />

p. 45. Si veda anche: M.J. Crowe, 1986, The Extraterrestrial Life<br />

Debate 1750-1900, Cambridge University Press, Cambridge, Ch. 1.<br />

Le considerazioni <strong>di</strong> Wheeler compaiono nella prefazione del trattato<br />

<strong>di</strong> Barrow e Tipler, The Anthropic Cosmological Principle. La<br />

citazione <strong>di</strong> Dyson è tratta da: R. Breuer, 1991, The Anthropic<br />

Principle, Birkhäuser, Boston, p. VI.<br />

Ringraziamenti: Sono grato al Dr. Vincenzo Antonuccio De Logu<br />

dell’Osservatorio Astrofisico <strong>di</strong> Catania per l’aiuto a reperire le più<br />

recenti immagini che ho presentato nel corso <strong>di</strong> questa conferenza e<br />

per le interessanti <strong>di</strong>scussioni su alcuni aspetti della cosmologia<br />

moderna.<br />

– 163


164 –


LA VALORIZZAZIONE ED IL RESTAURO<br />

DEI BENI CULTURALI DELLA CHIESA NELLA<br />

DIOCESI DI NOLA<br />

BILANCI E PROSPETTIVE<br />

GIUSEPPE MOLLO E ANTONIA SOLPIETRO*<br />

O Dei proles genitrixque rerum,<br />

Vinculum mun<strong>di</strong>,stabilisque nexus,<br />

gemma terrenis, speculum caducis,<br />

Lucifer orbis.<br />

Pax, amor,virtus,regimen,potestas,<br />

ordo,lex,finis,via,dux,origo,<br />

vita, lux, splendor, species, figura,<br />

Regula mun<strong>di</strong>.<br />

(Alanus ab Insulis (1128c.-1202), De Planctu naturae,<br />

ed. N. Häring, Centro Italiano <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> sull’Alto Me<strong>di</strong>oevo,1978, p. 831.)<br />

E’ una piacevole novità assistere ormai da qualche anno ad una<br />

particolare premura per i problemi inerenti la conservazione dei beni<br />

culturali ecclesiastici. Basti qui ricordare i quattro Corsi per la Conservazione<br />

e la Valorizzazione dei Beni Culturali della Chiesa attivati<br />

dall’Istituto Superiore <strong>di</strong> Scienze Religiose <strong>di</strong> questo Seminario e<br />

il III Convegno Regionale <strong>di</strong> Liturgia promosso dalla Conferenza<br />

Episcopale Campana su “Gli spazi della celebrazione liturgica” che<br />

nel 1995 vide protagonista la nostra <strong>di</strong>ocesi favorendo il <strong>di</strong>battito<br />

sugli innumerevoli problemi connessi con questo tema, e coinvolgendo<br />

quanti hanno responsabilità <strong>di</strong> committenza, <strong>di</strong> progettazione,<br />

<strong>di</strong> esecuzione e <strong>di</strong> fruizione degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto.<br />

A tal proposito giova ricordare quanto <strong>di</strong>sse S. E. Mons. Garlato<br />

al Convegno <strong>di</strong> Milano (4-7 maggio 1987) imperniato sul tema “La<br />

Chiesa Italiana per i beni culturali”: “I beni culturali ai quali la<br />

Chiesa ha dato origine nel suo bimillenario cammino per le finalità<br />

che le sono proprie non possono né devono essere valutati secondo<br />

una lettura esclusivamente storicistica o estetica: in essi convergono<br />

* Relazione tenuta il 12 Febbraio 2002.<br />

– 165


inseparabilmente componenti storiche, teologiche, iconografiche,<br />

ecclesiologiche, liturgiche e pastorali prescindendo dalle quali si<br />

finirebbe per penalizzare non solo la testimonianza religiosa in quanto<br />

tale, ma anche la storia e la civiltà stessa <strong>di</strong> un paese, <strong>di</strong> una regione,<br />

<strong>di</strong> una città, <strong>di</strong> un territorio insomma in cui tale testimonianza si<br />

è potuta realizzare”.<br />

Di contro corre l’obbligo <strong>di</strong> richiamare anche l’esortazione della<br />

Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium del 4 <strong>di</strong>cembre<br />

1963: “I chierici, durante il corso filosofico e teologico, siano istruiti<br />

anche sulla storia e lo sviluppo dell’Arte Sacra, come pure sui<br />

sani principi su cui devono fondarsi le opere d’Arte Sacra, in modo<br />

che siano in grado <strong>di</strong> stimare e conservare i venerabili monumenti<br />

della Chiesa e offrire opportuni consigli agli artisti nella realizzazione<br />

delle loro opere”.<br />

Riportiamo altresì quanto affermava, nel 1990, nell’introduzione<br />

al lavoro Domine Servavi Decorem Domus Tuae, Mons. Franco<br />

Strazzullo responsabile per l’Arte Sacra della <strong>Diocesi</strong> napoletana :<br />

“Se in tutti i Seminari d’Italia,…, si fosse insegnato anche Arte Sacra,<br />

non staremmo a lamentare tanti scempi perpetrati ai danni delle<br />

antiche chiese e la me<strong>di</strong>ocre produzione artistica <strong>di</strong> chiese nuove<br />

costruite e decorate in questo ultimo quarto <strong>di</strong> secolo”.<br />

Perché si chiedeva, e ci chie<strong>di</strong>amo, tanta insensibilità, eppure<br />

nelle Norme per la tutela del patrimonio storico artistico della chiesa<br />

in Italia, deliberate dalla X Assemblea generale della CEI il <strong>14</strong> giugno<br />

1974 e riba<strong>di</strong>te nelle intese concluse a norma dell’articolo 12<br />

dell’Accordo <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazione del Concordato lateranense firmato il<br />

18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 25 marzo 1985,<br />

n.121 (articolo 19 del T.U. delle <strong>di</strong>sposizioni legislative in materia <strong>di</strong><br />

beni culturali ed ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8<br />

ottobre 1997, n.352.) sono messi in evidenza “i valori storici e teologici<br />

delle opere d’arte” e opportunamente si esalta l’aspetto teologico-pastorale<br />

dell’Arte Sacra: “La storia dell’Arte Sacra, in ogni tempo,<br />

testimonia la teologia della fede, il rapporto tra vita e religione,<br />

l’adesione dell’umano al <strong>di</strong>vino, sempre con riferimento a Dio, me<strong>di</strong>ante<br />

il Cristo vivente nella Chiesa”.<br />

A seguito dell’Intesa del 13 settembre 1996 tra il Presidente della<br />

C.E.I. card. Camillo Ruini ed il Ministro per i Beni Culturali ed<br />

Ambientali, On. Walter Veltroni, si è rafforzata l’opera <strong>di</strong> tutela e<br />

valorizzazione del patrimonio dei beni culturali ecclesiastici. La stessa<br />

Intesa <strong>di</strong>sciplina, altresì, i rapporti intercorrenti tra le <strong>Diocesi</strong> e gli<br />

Enti pubblici: Comuni, Province, Regioni e Soprintendenze.<br />

166 –


Ancora oggi, purtroppo, l’antico si vende arbitrariamente, e il<br />

più becero artigianato è messo al servizio del culto.<br />

Anche il Santo Padre nel Discorso rivolto agli artisti nell’aprile<br />

del 1999, ha sottolineato l’importanza <strong>di</strong> conservare gelosamente il<br />

patrimonio artistico.<br />

Prima <strong>di</strong> rimuovere un altare, una balaustra, un tabernacolo, un<br />

fonte battesimale, un antico pavimento maiolicato, magari consunto<br />

dal tempo, non è forse opportuno consultare i competenti uffici<br />

<strong>di</strong>ocesani<br />

Nell’attuale fase <strong>di</strong> decentramento <strong>di</strong> competenze dallo Stato alle<br />

Regioni, le Consulte costituite dai delegati delle singole <strong>di</strong>ocesi e da<br />

autorevoli giuristi, tuteleranno gli interessi della Chiesa nella <strong>di</strong>fesa,<br />

gestione e protezione dei suoi beni culturali, promuoveranno e coor<strong>di</strong>neranno<br />

convegni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, l’organizzazione <strong>di</strong> un catalogo del<br />

patrimonio storico-artistico degli Enti Ecclesiastici ed il restauro delle<br />

opere d’arte.<br />

Ammessa l’urgenza <strong>di</strong> salvare un patrimonio culturale nel quale<br />

le Comunità ecclesiali riconoscono gli elementi più originali delle<br />

loro identità storiche, è già stato avviato un <strong>di</strong>scorso puntuale e scientifico<br />

nel più aperto spirito <strong>di</strong> collaborazione con le Soprintendenze<br />

e la Regione affinché si salvaguar<strong>di</strong>no, non solo l’entità, ma lo stesso<br />

valore spirituale, oltre che artistico, dei beni culturali ecclesiastici.<br />

Presenza e impegno nel rispetto del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà che da secoli<br />

vanta la Chiesa cattolica sul suo patrimonio <strong>di</strong> beni culturali, che<br />

rappresentano tanta parte della storia e della civiltà delle nostre comunità<br />

locali.<br />

LA TUTELA: UNA RIFLESSIONE SUI PROBLEMI<br />

L’esame che abbiamo tentato <strong>di</strong> fare per quanto parziale e superficiale,<br />

vuole dare l’idea della eccezionale varietà e ricchezza <strong>di</strong> questo<br />

patrimonio culturale. Esso però, non sarebbe completo se non<br />

accennassimo ai problemi enormi della conservazione e tutela che<br />

comporta una così vasta ed eterogenea quantità <strong>di</strong> beni.<br />

I motivi della conservazione dei beni culturali della chiesa sono<br />

ben comprensibili.<br />

Le gravi <strong>di</strong>struzioni e <strong>di</strong>spersioni degli ultimi decenni sono conseguenza<br />

della tumultuosa e, spesso, <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata crescita delle nostre<br />

città: si pensi agli effetti legati alla smobilitazione della struttura parrocchiale<br />

più periferica, ai furti nei luoghi incusto<strong>di</strong>ti, alle alienazioni<br />

abusive, ai guasti dell’antiquariato <strong>di</strong> rapina, che sono riuscite ad<br />

– 167


intaccare la consistenza <strong>di</strong> questo immenso patrimonio. Il patrimonio<br />

storico della chiesa è, soprattutto, insi<strong>di</strong>ato dai gran<strong>di</strong> mutamenti<br />

socio-economici e culturali che hanno investito e investono costantemente<br />

il nostro territorio e le nostre città.<br />

Il declino numerico del clero, soprattutto regolare, costringe alla<br />

chiusura totale o parziale <strong>di</strong> imponenti e<strong>di</strong>fici, mentre, il mutare del<br />

costume religioso ha decretato già da tempo la morte <strong>di</strong> quella rete<br />

fittissima <strong>di</strong> cappelle private, <strong>di</strong> oratori pubblici, <strong>di</strong> confraternite<br />

laicali, che, se sopravvivono ancora, come struttura e<strong>di</strong>lizia nel territorio<br />

ed in ogni strada dei centri storici, sono ormai ridotti, tranne<br />

poche eccezioni, a gusci vuoti, privi <strong>di</strong> officiatura, costantemente<br />

chiusi, con la suppellettile in rovina, quando non alienata o <strong>di</strong>spersa.<br />

Se si considera poi, che la riforma liturgica (Concilio Vaticano II,<br />

1962-1965), non <strong>di</strong> rado interpretata e applicata in maniera ra<strong>di</strong>cale<br />

e frettolosa, ha provocato il <strong>di</strong>suso e quin<strong>di</strong> il rapido degrado <strong>di</strong> molti<br />

arre<strong>di</strong> sacri, insieme a mo<strong>di</strong>fiche strutturali spesso rovinose all’interno<br />

<strong>di</strong> chiese e complessi ecclesiastici<br />

Ma in concreto che cosa è possibile fare per impe<strong>di</strong>re o almeno<br />

attenuare gli effetti più gravi dei fenomeni prima in<strong>di</strong>viduati<br />

Pur consapevoli che fra i costi della civiltà moderna c’è quello <strong>di</strong><br />

una inevitabile <strong>di</strong>spersione delle testimonianze del nostro passato,<br />

anche religioso, possiamo in<strong>di</strong>care che le strade che si stanno percorrendo,<br />

ancora, con insufficiente <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> uomini e mezzi, ma<br />

con convinzione e sempre crescente armonia <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> e intenti fra<br />

autorità ecclesiastiche e uffici della tutela, sono sostanzialmente due.<br />

Innanzi tutto il catalogo scientifico dei beni, e non sarà inutile<br />

ricordare che gli arre<strong>di</strong> storici delle chiese sono sottoposti alla vigente<br />

Legge <strong>di</strong> tutela (Decreto Legislativo N. 490 del 1999 - Testo Unico).<br />

In secondo luogo la musealizzazione <strong>di</strong> quella parte, ed è vastissima,<br />

del patrimonio che non può essere più conservato “in situ” per<br />

comprensibili ragioni <strong>di</strong> tutela e <strong>di</strong> sicurezza dei luoghi <strong>di</strong> origine.<br />

Le recenti Carte del Restauro propongono che i meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> intervento<br />

siano quelli del moderno restauro scientifico a fondamento storico-critico,<br />

che garantisce insieme alla <strong>di</strong>fesa del bene culturale, il<br />

suo inserimento nella vita attuale, senza che si adottino pericolose<br />

scorciatoie o semplificazioni operative, celate alle volte sotto l’equivoca<br />

<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> recupero.<br />

Accanto ad un intervento filologicamente rigoroso, che richiede<br />

perizia e competenza tecnica dei progettisti, bisogna leggere quelle<br />

matrici storico-religiose, che hanno determinato la nascita <strong>di</strong> “un’architettura<br />

sacra”.<br />

168 –


Ci pare che, in questo settore, sia necessario un grosso sforzo<br />

culturale e che la strada da percorrere sia ancora lunga. Infatti se ci<br />

mettiamo nel giusto punto <strong>di</strong> vista dobbiamo riconoscere vali<strong>di</strong>tà a<br />

una sorta <strong>di</strong> mutamento deontologico: dal restauro come teoria estetica<br />

e scienza storica, alla conservazione come scienza e tecnica della<br />

prevenzione e della manutenzione.<br />

LA NECESSITÀ DELLA CATALOGAZIONE<br />

La sbalor<strong>di</strong>tiva capacità <strong>di</strong> ogni cellula religiosa <strong>di</strong> trascinare<br />

davanti ai nostri occhi oggetti e memorie <strong>di</strong> ogni materia, giustifica,<br />

ancora oggi, il fervore delle accuse rivolte ai naturali amministratori<br />

del patrimonio delle chiese, così come ad un governo politico e amministrativo<br />

che a più <strong>di</strong> cento anni dall’unità nazionale, non ha condotto<br />

quell’opera <strong>di</strong> ricognizione del patrimonio che oggi ci appare,<br />

nonostante spora<strong>di</strong>ci episo<strong>di</strong>, come una lontana chimera.<br />

Affreschi, stucchi, sculture, metalli, vetri, legni, tarsie, intagli,<br />

decorazioni, <strong>di</strong>pinti d’ogni forma e misura,incorporati nello spazio<br />

sacro, sono elementi <strong>di</strong> lettura delle vicende storico – culturali e religiose<br />

<strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto.<br />

Una volta che una corretta anagrafe del patrimonio ecclesiastico<br />

fosse solidamente costituita, certamente, sarebbero anche minori, le<br />

preoccupazioni nei riguar<strong>di</strong> del trasferimento <strong>di</strong> oggetti dal loro luogo<br />

<strong>di</strong> origine, nei depositi. Non si deve mai <strong>di</strong>menticare, che un filo<br />

soltanto, assicura l’opera alla sua origine culturale, e cioè, la<br />

persistenza locale dell’oggetto attraverso la trama contestuale del<br />

patrimonio artistico circostante. In questo senso una sollecita carta<br />

delle aree culturali è obbligo irrinunciabile e prioritario.<br />

La catalogazione consentirebbe, anche, alle comunità una più attenta<br />

considerazione verso la stessa entità estetica, oltre che quella più<br />

intima <strong>di</strong> natura sacra e liturgica, a <strong>di</strong>fesa della sua conservazione.<br />

Ciò contribuirebbe a porre un riparo all’abuso e alla <strong>di</strong>lagante<br />

scorreria dei ladri. A promuovere la tutela e la conservazione del<br />

patrimonio mobile delle nostre chiese, vi è la citata Intesa del 1996,<br />

che ha previsto l’inventario informatizzato, secondo precisi parametri,<br />

in accordo con l’I.C.C.D. (Istituto Centrale per il Catalogo e la<br />

Documentazione).<br />

– 169


LA CONSERVAZIONE COME DISCIPLINA GLOBALE<br />

Da tempo, le metodologie, l’azione conservativa hanno abbandonato<br />

ogni criterio monoliticamente qualitativo, per abbracciare,<br />

invece, un criterio più largamente integrativo, nella certezza che una<br />

selezione forzata del patrimonio, qual è quella, che <strong>di</strong>scende dall’uso<br />

del giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> qualità formale, danneggi irreparabilmente la<br />

mirabile complessità del patrimonio stesso.<br />

Anche un oggetto minore, infatti, specie se preservato nel contesto<br />

che l’ha visto nascere, detiene una capacità <strong>di</strong> informazione generale<br />

e specifica assolutamente insostituibile, e non soltanto ai fini<br />

della storia dell’arte, ma pure e soprattutto ai fini <strong>di</strong> un corretto processo<br />

ricostruttivo dell’importanza dell’azione della Chiesa presso<br />

le popolazioni che ebbero ad esprimerlo e crearlo.<br />

La conservazione come <strong>di</strong>sciplina globale porta, naturalmente, in<br />

primo piano, anche, il problema della conservazione degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong><br />

culto. Di questa constatazione sono o dovrebbero esserlo interpreti gli<br />

ingegneri, gli architetti e gli urbanisti che specie in questi ultimi anni,<br />

si sono applicati ad opportune ricerche in ambito <strong>di</strong> pianificazione territoriale.<br />

Essi, ben conoscono, infatti, l’importanza che nella vicenda<br />

tanto dei centri storici, quanto del rapporto tra città e territorio assumono<br />

le strutture architettoniche <strong>di</strong> culto, il reticolo parrocchiale, gli<br />

spazi sacri, il secolare taglio territoriale della <strong>di</strong>ocesi.<br />

Non si sbaglia nel ritenere la parrocchia come l’ultima trincea <strong>di</strong><br />

un antico assetto territoriale <strong>di</strong> eccezionale equilibrio sociale, economico<br />

e culturale.<br />

L’adozione <strong>di</strong> una “griglia <strong>di</strong>ocesana” nel vasto <strong>di</strong>segno comprensoriale,<br />

potrebbe consentire l’acquisizione <strong>di</strong> elementi preziosi<br />

sotto il profilo della storia delle arti.<br />

Sarà dunque, auspicabile che opportuni stu<strong>di</strong> determinino, per<br />

tempo, le reali necessità e le virtuali possibilità <strong>di</strong> nuovi musei: conducendo,<br />

in tal modo, alla definizione <strong>di</strong> un vero standard museografico,<br />

verificando la possibilità <strong>di</strong> numerose vocazioni museografiche<br />

che domani potrebbero rivelarsi come un nuovo contributo<br />

alla depauperazione delle zone più emarginate.<br />

Non deve sfuggire, infatti, come negli ultimi anni si stia toccando<br />

il punto più basso <strong>di</strong> una involuzione che vede degrado, furti e<br />

abusi, circondare l’intero nostro patrimonio territoriale, che è per<br />

eccellenza patrimonio ecclesiastico. Può dunque, sembrare spontaneo,<br />

il ricorso a musei <strong>di</strong>ocesani come istituti <strong>di</strong> tutela e raccolta. Un<br />

e<strong>di</strong>ficio può domani ritornare a nuova vita: l’azione congiunta della<br />

170 –


Chiesa, dello Stato e degli enti locali, può consentire alla comunità<br />

una più sicura conservazione del patrimonio.<br />

Infatti, ogni moderna <strong>di</strong>sciplina conservativa, non intende fare<br />

dell’oggetto conservato una vitrea ostentazione <strong>di</strong> feticismo<br />

storicistico, quanto piuttosto, inserire l’oggetto stesso in una realtà<br />

più legata e complessa, completa, dunque, come esperienza storica e<br />

quin<strong>di</strong> vitale.<br />

IL PROBLEMA DEL PATRIMONIO CULTURALE ECCLESIASTICO:<br />

CONOSCENZA REALE PER UNA PROGRAMMAZIONE DIFFICILE<br />

Mentre, in gran parte, degli e<strong>di</strong>fici laici, pubblici e privati, gli<br />

oggetti <strong>di</strong> decorazione e d’uso sono stati sostituiti o <strong>di</strong>strutti, alienati<br />

e <strong>di</strong>spersi, con ritmo continuo e per le occasioni più varie (esigenze<br />

del gusto e della moda, mutamenti economici e politici, vicende<br />

patrimoniali, <strong>di</strong>visioni ere<strong>di</strong>tarie, continua evoluzione dei sistemi<br />

abitativi, delle tecniche e dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> produzione, ecc.), nei luoghi<br />

<strong>di</strong> culto, per l’assenza o la minore incidenza <strong>di</strong> queste motivazioni,<br />

tale fenomeno è stato più lento e le sue conseguenze assai meno ra<strong>di</strong>cali.<br />

Non c’è, si può <strong>di</strong>re, chiesa, per quanto rinnovata, che non<br />

abbia trasmesso fino ai giorni nostri qualche documento del suo primitivo<br />

stato, sia esso una scultura o un’oreficeria, una lastra tombale<br />

o una lapide; oggetti giunti sino a noi per esigenze devote, per scrupolo<br />

documentario o, semplicemente, per pura inerzia conservativa.<br />

All’eccezionale sopravvivenza quantitativa della suppellettile sacra<br />

corrisponde, poi, una altrettanto eccezionale funzione culturale.<br />

C’è da <strong>di</strong>re, infine, che l’arredo sacro delle nostre chiese è espressione<br />

dell’arte religiosa dell’Occidente cattolico e consente una straor<strong>di</strong>naria<br />

pluralità <strong>di</strong> conoscenze della storia politica, sociale, economica,<br />

religiosa e culturale del territorio <strong>di</strong> pertinenza <strong>di</strong>ocesana.<br />

Di fronte alle necessità <strong>di</strong> possedere maggiori informazioni, circa<br />

il problema reale delle chiese e delle loro con<strong>di</strong>zioni, sarebbe <strong>di</strong><br />

grande utilità spe<strong>di</strong>re a tutti i parroci un questionario contenente una<br />

nutrita serie <strong>di</strong> domande. Le risposte costituirebbero una prima base<br />

per una sommaria valutazione del problema, al fine <strong>di</strong> identificare<br />

modelli <strong>di</strong> comportamento per una futura programmazione degli<br />

interventi.<br />

E’ fondamentale la pubblicazione sul Bollettino Diocesano dei<br />

documenti riguardanti i beni culturali ecclesiastici, per far conoscere<br />

e <strong>di</strong>vulgare ai religiosi, quali sono le in<strong>di</strong>cazioni, gli uffici e le persone<br />

competenti ad agire su tali beni.<br />

– 171


LE COMPETENZE<br />

Il problema delle competenze e del rispetto <strong>di</strong> esse, non è la parola<br />

vana della lingua burocratica, ma l’esatta constatazione della profon<strong>di</strong>tà<br />

dei livelli, della necessaria preparazione tecnica e scientifica.<br />

Il lavoro conservativo, <strong>di</strong> questi tempi e <strong>di</strong> fronte a simili impegni,<br />

esige un confronto tanto <strong>di</strong> metodo quanto <strong>di</strong> prassi.<br />

Ogni chiesa progettata, costruita, ornata, è un frutto molto complesso<br />

della nostra cultura e, non soltanto, <strong>di</strong> quella più larga e vasta<br />

cultura, che si annoda attorno ai gran<strong>di</strong> centri ecumenici del potere,<br />

ma anche, dell’infinita cultura dei luoghi che rende tanto nobile l’arte<br />

italiana, variabili e mutevoli le sue espressioni.<br />

La scelta <strong>di</strong> questo incontro che vorrebbe costruire un progetto <strong>di</strong><br />

comportamento, è quella che si in<strong>di</strong>rizza a cercare <strong>di</strong> recuperare la<br />

chiesa, il suo corpo intriso <strong>di</strong> contenuti <strong>di</strong>versi, le sue opere <strong>di</strong> cultura<br />

e arte, entro un più generale e comprensivo recupero urbanistico e<br />

territoriale, così che esse possano ritrovare la <strong>di</strong>mensione più giusta<br />

e più originaria in quella nozione <strong>di</strong> contesto e <strong>di</strong> rapporto che per<br />

secoli le ha sorrette.<br />

Per <strong>di</strong>rla con Emiliani “ Le chiese (…) sono fuochi <strong>di</strong> frequenza<br />

immensamente presente, <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità altissima; apparizioni molteplici<br />

per materia, forma e finalità, accumuli giganteschi <strong>di</strong> lavoro e <strong>di</strong><br />

storia del lavoro, coaguli <strong>di</strong> pietà in<strong>di</strong>vidua e collettiva, segnali <strong>di</strong><br />

devozione ma anche <strong>di</strong> elevatissima norma estetica. (…). In queste<br />

navate, sotto queste volte, fu figurata e narrata la nuova terra promessa,<br />

consolazione per i deboli, illustrazione per i potenti, messaggio<br />

sempre <strong>di</strong> altissima <strong>di</strong>gnità culturale ed artistica. Occorre ripercorrere<br />

questo lungo, lunghissimo viaggio.” [A. EMILIANI (a cura <strong>di</strong>),<br />

Chiesa città campagna. Il patrimonio artistico e storico della Chiesa<br />

e l’organizzazione del territorio, Bologna 1981, pp. 11-<strong>14</strong>].<br />

UN ESEMPIO: IL MUSEO DIOCESANO DI NOLA<br />

Il Museo Diocesano <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> inaugurato l’11 marzo 2000 da mons.<br />

Beniamino Depalma è concepito come realtà integrata e <strong>di</strong>ffusa sul<br />

territorio. La finalità del progetto <strong>di</strong> allestimento e <strong>di</strong> organizzazione<br />

degli spazi museali è ispirata ad una nuova forma <strong>di</strong> accostamento<br />

172 –


alle opere d’arte, non più raccolte in un unico contenitore, snaturate<br />

dal loro contesto <strong>di</strong> origine, ma visibili nei propri luoghi <strong>di</strong> culto che<br />

si caratterizzano come strutture museali organizzate e decentrate sul<br />

territorio <strong>di</strong>ocesano. Il percorso si articola in due itinerari: il primo si<br />

svolge intorno all’insula del duomo e raggiunge i maggiori monumenti<br />

sacri del centro citta<strong>di</strong>no; il secondo percorso ruota intorno<br />

all’erigendo Museo del Seminario, toccando gli antichi conventi siti<br />

sulle colline circostanti la città. Il nucleo espositivo del Museo<br />

Diocesano è ospitato negli spazi a<strong>di</strong>acenti alla cattedrale: le strutture<br />

della trecentesca chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni Battista, la cinquecentesca<br />

cappella dell’Immacolata e gli antichi ambienti dell’Episcopio concorrono<br />

con le collezioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa natura a rappresentare la millenaria<br />

storia della <strong>Diocesi</strong> nolana.<br />

Le sale sono de<strong>di</strong>cate all’esposizione <strong>di</strong> preziosi argenti, <strong>di</strong> eleganti<br />

paramenti, <strong>di</strong> opere scultoree in marmo e legno, nonché <strong>di</strong> <strong>di</strong>pinti<br />

dal XV al XVIII secolo.<br />

Interessante la sezione documentaria e libraria, parte del patrimonio<br />

dell’attiguo Archivio Storico Diocesano. Il Museo ospita perio<strong>di</strong>camente<br />

mostre tematiche allestite nella sala dei Medaglioni,<br />

così denominata per i ritratti dei vescovi nolani <strong>di</strong>pinti nei ton<strong>di</strong> delle<br />

pareti.<br />

– 173


DOCUMENTI<br />

Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione su la sacra liturgia<br />

Sacrosanctum Concilium, 4 dec. 1963<br />

Discorso agli artisti <strong>di</strong> Martini C.M., Voi artisti siete un tramite attraverso<br />

cui il <strong>di</strong>vino parla, in “Rivista Diocesana Milanese” Milano, 3, (1983)<br />

Conferenza Episcopale Italiana, Commissione episcopale per la Liturgia,<br />

La Progettazione <strong>di</strong> Nuove Chiese. Nota pastorale, Quaderni “ La vita in Cristo<br />

e nella Chiesa” Documenti 1, Roma 1993.<br />

Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti: I beni culturali della chiesa<br />

in Italia, n.25, E<strong>di</strong>zioni Dehoniane, Bologna 1993.<br />

Commissione Episcopale per la Liturgia della CEI, Nota pastorale:<br />

L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, n.57, E<strong>di</strong>zioni<br />

Dehoniane, Bologna 1996.<br />

Conferenza Episcopale Campana, Commissione per la Liturgia, Gli Spazi<br />

della celebrazione liturgica, III° Convegno regionale <strong>di</strong> Liturgia, <strong>Nola</strong> 13-<strong>14</strong><br />

ottobre 1995, Napoli 1997.<br />

Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, Necessità ed urgenza<br />

dell’inventariazione e catalogazione dei Beni Culturali della Chiesa,<br />

Città del Vaticano, 8 <strong>di</strong>cembre 1999.<br />

Lettera <strong>di</strong> Giovanni Paolo II agli artisti, da “L’Osservatore Romano” sabato<br />

24 aprile 1999, stampato da L.E.R. Napoli – Roma 1999.<br />

Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, La funzione pastorale<br />

dei Musei Ecclesiastici, Città del Vaticano, 15 agosto 2001.<br />

Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />

Beni Culturali, Anno II, n.3, Gennaio 1998<br />

Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />

Beni Culturali, Anno III, n.4, Aprile 1999<br />

Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />

Beni Culturali, Anno III, n.9, Aprile 1999<br />

Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />

Beni Culturali, Anno IV, n.5, Gennaio 2000<br />

Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario dell’Ufficio Nazionale<br />

Beni Culturali, Anno IV, n.6, Dicembre 2000<br />

Intesa Programmatica tra la Regione Campania e la Conferenza Episcopale<br />

Campana per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali appartenenti ad<br />

enti ed istituzioni ecclesiastiche, Napoli 13 maggio 2002.<br />

174 –


BIBLIOGRAFIA<br />

AA.VV., L’architettura sacra oggi, Atti del congresso internazionale <strong>di</strong><br />

Perugia, 1989.<br />

AA.VV., Arte e Liturgia. L’arte sacra a trent’anni dal Concilio, E<strong>di</strong>zioni<br />

San Paolo, Torino 1993.<br />

AA.VV., Architettura e spazio sacro nella modernità, Catalogo della mostra,<br />

Biennale <strong>di</strong> Venezia 1992, E<strong>di</strong>trice Abitare Segesta, Milano 1992.<br />

AA.VV., Concorsi per nuovi complessi parrocchiali nelle <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Milano,<br />

Perugia e Lecce. 1998-1999, 22 Progetti per Nuove Chiese commissionati<br />

dalla Conferenza Episcopale Italiana, Electa, Milano 1999.<br />

AA.VV., Concorsi per nuovi complessi parrocchiali nelle <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Modena<br />

- Nonantola, Foligno e Catanzaro - Squillace, 2000-2001, 24 Progetti per<br />

Nuove Chiese commissionati dalla Conferenza Episcopale Italiana, Electa,<br />

Milano 2001.<br />

AA.VV., Segni del Novecento. Architettura e arti per la liturgia in Italia,<br />

Catalogo della mostra fotografica itinerante, Cierre Grafica, Caselle <strong>di</strong><br />

Sommacampagna (VR) 2001.<br />

AMARI G., GATTI G., CENI G., FABBRETTI N., GRESLERI G.,<br />

NONNIS P.G., PIAZZI A., RUGGERI C., Progettare lo spazio del sacro (le<br />

giornate dell’arte sacra 1988-1989 - Marmocchine S. Ambrogio <strong>di</strong> Volpicelli<br />

Verona). Percorso iconografico Glauco Gresleri, Ente Fiere <strong>di</strong> Verona, Verona.<br />

Beni Culturali nelle Chiese. Suggerimenti per la buona conservazione (a<br />

cura <strong>di</strong> Maria Teresa Binaghi Olivari), vol. I, Beni artistici e storici, Curia Arcivescovile<br />

<strong>di</strong> Milano, Milano 1992.<br />

BOUYER L., Architettura e Liturgia, E<strong>di</strong>zioni Qiqajon Comunità <strong>di</strong> Bose,<br />

Magnano (VC) 1994.<br />

CHENIS C., Fondamenti teorici dell’arte sacra. Magistero post-conciliare,<br />

Las, Roma 1991.<br />

GRASSO G., Tra teologia e architettura, E<strong>di</strong>zioni Borla, Roma 1988.<br />

GRASSO G.,Chiesa e Arte. Documenti della Chiesa testi canonici e commenti,<br />

E<strong>di</strong>zioni San Paolo, Torino 2001.<br />

Luce e Chiese, (a cura della Reggiani S.p.a. Illuminazione), Sovico (MI)<br />

1998.<br />

JOHNSON C., JOHNSON S., Progetto Liturgico, Guida pratica liturgica<br />

al riadattamento delle chiese, CLV E<strong>di</strong>zioni Liturgiche, Roma 1992.<br />

KIDDER SMITH G. E., Nuove chiese in Europa, E<strong>di</strong>zioni Comunità, Milano<br />

1964.<br />

– 175


MIARI E.G., MARIANI P., I musei religiosi in Italia, R. Viola E<strong>di</strong>tore,<br />

Roma 2001.<br />

NAPOLITANO E., L’arte sacra immagine dell’invisibile, in “Teologia e<br />

Vita”, N. 5. Quaderni dell’Istituto Superiore <strong>di</strong> Scienze Religiose “G. Duns<br />

Scoto”, <strong>Nola</strong>, LER, Marigliano 1999.<br />

PONTI G., Amate l’architettura, E<strong>di</strong>tore Vitali e Ghianda, Genova 1957<br />

SANTI G., Il luogo della celebrazione del sacramento della penitenza, in “<br />

Rivista <strong>di</strong> pastorale liturgica”, 5, (1979).<br />

SANTI G., I Beni Culturali nello sviluppo e nelle attese della società italiana,<br />

in “Arte Cristiana”, 69, (1980), 205.<br />

SCHMIDT H., La vita sacramentale nello spazio interno dell’e<strong>di</strong>ficio per<br />

il culto, in “Architettura e Liturgia” , (a cura <strong>di</strong>) P. Ciampani, Pro Civitate<br />

Christiana, Assisi 1965.<br />

SODI M., Gli spazi della celebrazione rituale, (a cura <strong>di</strong>) Facoltà Teologica<br />

<strong>di</strong> Sicilia, OR, Milano 1984.<br />

VALENZIANO D., Sei tesi per l’arte cristiana, in “Rivista Liturgica”, 1,<br />

(1996).<br />

VARALDO G., Arte sacra e sacra suppellettile, in AA.VV. “La Costituzione<br />

sulla sacra liturgia”, Torino, L.D.C., 1967.<br />

Vicariato <strong>di</strong> Roma, Concorso europeo 50 chiese per Roma 2000, E<strong>di</strong>zione<br />

l’Arca, 2000.<br />

176 –


APPENDICE 1<br />

L’INTESA C.E.I.<br />

MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI<br />

Il 13 settembre 1996 il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana,<br />

Car<strong>di</strong>nale Camillo Ruini, e il Ministro per i beni culturali e ambientali,<br />

Onorevole Walter Veltroni, hanno firmato l’Intesa per la tutela dei beni<br />

culturali ecclesiastici, prima attuazione delle <strong>di</strong>sposizioni contenute nell’art.<br />

12 dell’Accordo 18 febbraio 1984.<br />

CONSULTA NAZIONALE<br />

PER I BENI CULTURALI ECCLESIASTICI<br />

CIRCOLARE N. 1<br />

L’INTESA PER LA TUTELA<br />

DEI BENI CULTURALI ECCLESIASTICI<br />

13 settembre 1996<br />

1. Contenuti<br />

2. Primi adempimenti<br />

3. Suggerimenti per facilitare l’avvio delle nuove procedure<br />

Allegati:<br />

1) Suggerimenti per la costituzione dell’Ufficio <strong>di</strong>ocesano per l’arte<br />

sacra e i beni culturali<br />

2) Schema <strong>di</strong> statuto della Commissione <strong>di</strong>ocesana per l’arte sacra e i<br />

beni culturali<br />

3) Schema <strong>di</strong> statuto della Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici<br />

Premessa<br />

Come è noto, il 13 settembre 1996 il Ministro per i beni Culturali e<br />

Ambientali e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana hanno sottoscritto<br />

l’Intesa per la tutela dei beni culturali ecclesiastici (cf. Notiziario<br />

della Conferenza Episcopale Italiana, n. 9, 20 novembre 1996, pp. 336-<br />

347). Con la stipula dell’Intesa, come ebbe a <strong>di</strong>re il Car<strong>di</strong>nale Camillo Ruini<br />

in occasione della firma, «si consolida la già viva collaborazione tra Stato e<br />

Chiesa in questa materia, <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssima importanza nel nostro paese, e<br />

– 177


vengono poste le premesse perché tale collaborazione si sviluppi e si precisi<br />

ulteriormente in futuro». L’Intesa, frutto <strong>di</strong> una trattativa avviata nel 1987,<br />

costituisce il primo atto del processo normativo che dà attuazione all’articolo<br />

12 dell’Accordo <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazione del Concordato Lateranense firmato<br />

il 18 febbraio 1984 tra l’Italia e la Santa Sede. Essa, infatti, riguarda<br />

soltanto i primi due commi del n. 1 del citato articolo 12; si prevede che<br />

saranno stupulate altre intese, in particolare, in materia <strong>di</strong> archivi e <strong>di</strong> biblioteche<br />

ecclesiastiche.<br />

1. I contenuti dell’Intesa<br />

Vengono illustrate, in sintesi, le <strong>di</strong>sposizioni contenute nell’Intesa firmata<br />

il 13 settembre 1996 che precisa quali sono i soggetti chiamati a collaborare<br />

(art. 1), quali le forme e gli strumenti per attuare la collaborazione<br />

tra Chiesa e Stato (artt. 2-7), quali prospettive si aprono in vista <strong>di</strong> eventuali<br />

intese da stipulare tra gli enti ecclesiastici, le Regioni e gli altri enti autonomi<br />

territoriali (art. 8).<br />

a) Quanto ai soggetti chiamati a collaborare, l’art. 1, n. 1 precisa che<br />

essi sono: a livello centrale, per parte statale, il Ministro per i beni culturali<br />

e ambientali e i Direttori generali degli Uffici centrali del Ministero da lui<br />

designati e, per parte ecclesiastica, il Presidente della Conferenza Episcopale<br />

Italiana e le persone da lui eventualmente delegate. A livello locale, i Soprintendenti<br />

e i Vescovi <strong>di</strong>ocesani o le persone delegate dai Vescovi stessi.<br />

In relazione al patrimonio culturale <strong>di</strong> rispettiva competenza anche gli<br />

Istituti <strong>di</strong> vita consacrata e le Società <strong>di</strong> vita apostolica concorrono con i<br />

soggetti ecclesiastici nella collaborazione con gli organi statali in<strong>di</strong>cati a<br />

determinate con<strong>di</strong>zioni (che, cioè, siano civilmente riconosciuti e si tratti <strong>di</strong><br />

articolazioni a livello non iinferiore alla provincia religiosa) e secondo le<br />

<strong>di</strong>sposizioni emanate dalla Santa Sede. Tali <strong>di</strong>sposizioni sono attualmente<br />

in corso <strong>di</strong> definizione.<br />

b) L’Intesa prevede numerose forme e strumenti <strong>di</strong> collaborazione.<br />

* Nell’art. 2 si prevedono apposite riunioni tra gli organi ministeriali e<br />

quelli ecclesiastici in<strong>di</strong>viduati dall’art. 1, sia a livello centrale, sia a livello locale.<br />

Tali riunioni sono indette dagli organi del Ministero e hanno come oggetto i<br />

programmi statali <strong>di</strong> interventi per i beni culturali e i relativi piani <strong>di</strong> spesa. Lo<br />

scopo delle riunioni è molteplice:<br />

– consentire agli organi ministeriali <strong>di</strong> informare gli organi ecclesiastici<br />

in merito agli interventi che si intendono intraprendere a favore dei beni<br />

culturali <strong>di</strong> interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche;<br />

– mettere gli organi del Ministero nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> acquisire dagli<br />

organi ecclesiastici eventuali proposte <strong>di</strong> interventi;<br />

– consentire agli organi del Ministero <strong>di</strong> acquisire da quelli ecclesiastici<br />

valutazioni in or<strong>di</strong>ne alle esigenze <strong>di</strong> carattere religioso comunque connesse<br />

alle iniziative statali.<br />

178 –


In occasione <strong>di</strong> tali riunioni gli organi ecclesiastici informano gli organi<br />

ministeriali circa gli interventi che a loro volta intendono intraprendere.<br />

* Nell’art. 3 è prevista la possibilità che gli organi ministeriali e gli<br />

organi ecclesiastici stipulino accor<strong>di</strong> allo scopo <strong>di</strong> «realizzare interventi ed<br />

iniziative che prevedono, in base alla normativa vigente, la partecipazione<br />

organizzativa e finanziaria rispettivamente dello Stato e <strong>di</strong> enti e istituzioni<br />

ecclesiastici, oltre che, eventualmente, <strong>di</strong> altri soggetti».<br />

* Nell’art. 4 è prevista la più ampia informazione tra gli organi ministeriali<br />

e quelli ecclesiastici in merito ai programmi statali <strong>di</strong> intervento pluriennali e<br />

annuali e i relativi piani <strong>di</strong> spesa <strong>di</strong> cui all’art. 2, oltre che in merito agli<br />

interventi e alle iniziative oggetto degli accor<strong>di</strong> tra gli organi ministeriali e<br />

quelli ecclesiastici, <strong>di</strong> cui all’art. 3.<br />

* Per favorire la collaborazione tra Chiesa e Stato, gli artt. 5 e 6 dell’Intesa<br />

prevedono nuove procedure.<br />

In particolare è stata definita una nuova procedura per regolare nel<br />

loro complesso i rapporti tra enti ecclesiastici e Soprintendenze (art. 5) in<br />

base alla quale il Vescovo <strong>di</strong>ocesano assume un ruolo centrale ed esclusivo.<br />

Gli enti ecclesiastici, d’ora in poi, potranno presentare le loro richieste ai<br />

Soprintendenti solo per il tramite del Vescovo <strong>di</strong>ocesano (o suo delegato),<br />

che è tenuto a valutarne congruità e priorità. Il Vescovo <strong>di</strong>ocesano<br />

territorialmente competente presenta ai Soprintendenti anche le richieste<br />

degli Istituti <strong>di</strong> vita consacrata e delle Società <strong>di</strong> vita apostolica: in questo<br />

caso, però, senza valutarne congruità e priorità. A loro volta le Soprintendenze<br />

si rivolgeranno agli enti ecclesiastici solo per il tramite del Vescovo<br />

<strong>di</strong>ocesano.<br />

Con l’art. 6, l’Intesa introduce anche una nuova e specifica procedura in<br />

relazione ai problemi relativi alle esigenze <strong>di</strong> culto (come ad esempio i progetti<br />

<strong>di</strong> adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica) che sono tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

motivo <strong>di</strong> tensioni e <strong>di</strong> conflitti: si precisa che i provve<strong>di</strong>menti<br />

amministrativi previsti dall’art. 8 della legge 1° giugno 1939, n. 1089<br />

sono assunti dal competenti organo ministeriale “previa intesa” con l’Or<strong>di</strong>nario<br />

<strong>di</strong>ocesano competente.<br />

* Infine, l’art. 7 dell’Intesa istituisce l’«Osservatorio centrale per i beni<br />

culturali <strong>di</strong> interesse religioso <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica» allo scopo <strong>di</strong> verificare<br />

con continuità l’attuazione delle forme <strong>di</strong> collaborazione previste<br />

dall’Intesa, esaminare i problemi <strong>di</strong> comune interesse e suggerire orientamenti<br />

per il migliore sviluppo della reciproca collaborazione fra le parti.<br />

c) Quanto ad eventuali intese, che le Regioni e gli enti autonomi territoriali<br />

(come le Province e i Comuni) da una parte e gli enti ecclesiastici<br />

dall’altra, intendessero stipulare, nell’ambito delle rispettive competenze,<br />

l’art. 8 dell’Intesa si limita a un cenno, senza entrare nel merito. In relazione<br />

ai contenuti <strong>di</strong> tali eventuali intese, le <strong>di</strong>sposizioni contenute nell’Intesa<br />

13 settembre 1996 vengono proposte semplicemente come possibile “base<br />

<strong>di</strong> riferimento”.<br />

– 179


2. Adempimenti previsti dall’Intesa<br />

Dopo avere brevemente presentato l’intesa sulla tutela dei beni culturali<br />

ecclesiastici è opportuno fornire qualche informazione in merito agli<br />

adempimenti da essa previsti.<br />

In particolare, in attuazione all’art. 7, n. 2 dell’Intesa, il Ministro per i<br />

beni Culturali e Ambientali e il Presidente della C.E.I. hanno nominato i<br />

rispettivi rappresentanti nell’«Osservatorio». L’Osservatorio si è inse<strong>di</strong>ato<br />

in data 28 maggio 1997.<br />

In accordo con il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, le <strong>di</strong>sposizioni<br />

contenute negli artt. 5 e 6 dell’Intesa entreranno in vigore a partire<br />

dal 1° luglio 1997. Dal momento che tali <strong>di</strong>sposizioni interessano <strong>di</strong>rettamente<br />

i Vescovi e sono destinate a innovare fortemente la prassi e la mentalità<br />

ecclesiale, i Vescovi stessi sono tenuti a due adempimenti <strong>di</strong> notevole<br />

importanza <strong>di</strong> loro stretta competenza: nominare un delegato che Li rappresenti<br />

nei rapporti con i Soprintendenti e avviare le <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> collaborazione<br />

previste dall’Intesa.<br />

a) Secondo l’art. 1 dell’Intesa, a livello locale sono competenti per l’attuazione<br />

delle forme <strong>di</strong> collaborazione «i Soprintendenti e i Vescovi<br />

<strong>di</strong>ocesani o le persone delegate dai Vescovi stessi»; i successivi artt. 5 e 6<br />

prevedono che i rapporti tra enti ecclesiastici e Soprintendenti avvengano<br />

secondo una nuova procedura, in base alla quale il Vescovo assume un<br />

ruolo centrale.<br />

È urgente perciò che ogni vescovo provveda a in<strong>di</strong>viduare una persona<br />

dotata <strong>di</strong> particolare competenza in materia <strong>di</strong> beni culturali e a nominarla.<br />

Suo delegato a tenere i rapporti con i Soprintendenti (a questo riguardo,<br />

sembra da escludere che, in ragione delle specificità della materia, il delegato<br />

sia dotato solo <strong>di</strong> competenze amministrative). Tale delegato, <strong>di</strong> norma,<br />

dovrebbe essere la stessa persona che in <strong>di</strong>ocesi ha la responsabilità<br />

dell’Ufficio per i beni culturali e l’arte sacra (cfr. allegato n. 1). In situazioni<br />

particolari il delegato potrebbe rappresentare anche più <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ocesi.<br />

Poiché i progetti da presentare ai Soprintendenti dovranno essere<br />

preventivamente valutati quanto a congruità e priorità, è necessario che,<br />

laddove essa non esista già, venga istituita o rinnovata la Commissione<br />

<strong>di</strong>ocesana per l’arte sacra e i beni culturali (cfr. allegato n. 2). Tale Organismo,<br />

che può essere anche a livello inter<strong>di</strong>ocesano, dovrà preventivamente<br />

valutare le richieste presentate dagli enti ecclesiastici soggetti alla giuris<strong>di</strong>zione<br />

del Vescovo e, successivamente, presentare al Vescovo stesso una<br />

relazione dalla quale risultino congruità e priorità degli interventi.<br />

b) Quanto alle <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> collaborazione previste dagli artt. 2, 3<br />

e 4 dell’Intesa è necessario che, con la gradualità richiesta dalla situazione,<br />

fin da ora venga colta ogni possibilità perché tra gli Organismi competenti<br />

della <strong>di</strong>ocesi e i rispettivi uffici delle Soprintendenze competenti per territorio<br />

vengano avviati contatti e scambi <strong>di</strong> informazione. In questo modo si<br />

180 –


potrà favorire la graduale messa a regime dei meccanismi <strong>di</strong> collaborazione<br />

previsti dall’Intesa, in particolare per quanto riguarda gli incontri indetti<br />

dai Soprintendenti allo scopo <strong>di</strong> formulare i piani annuali e pluriennali <strong>di</strong><br />

interventi a favore dei beni culturali.<br />

3. Alcuni suggerimenti<br />

Per consentire l’avvio delle nuove procedure previste dagli artt. 5 e 6<br />

dell’Intesa, oltre alla nomina del delegato e all’istituzione dell’Ufficio e<br />

della Commissione per l’arte sacra e i beni culturali, è opportuno informare<br />

tempestivamente gli amministratori degli enti ecclesiastici e i responsabili<br />

delle comunità religiose maschili e femminili del fatto che, a partire del 1°<br />

luglio 1997, le richieste <strong>di</strong> qualunque natura da sottoporre alle Soprintendenze<br />

dovranno essere inviate al competente Ufficio <strong>di</strong> Curia – l’unico<br />

soggetto abilitato a trasmettere ai Soprintendenti – e che, a loro volta, i<br />

Soprintendenti comunicheranno le loro determinazioni al competente Ufficio<br />

<strong>di</strong> Curia, il quale provvederà a trasmetterle al responsabile dell’ente<br />

ecclesiastico interessato.<br />

In conclusione sembra utile suggerire alcune iniziative da attuare nella<br />

fase <strong>di</strong> avvio dell’Intesa e comunque prima del 1° luglio 1997.<br />

È molto opportuno che dell’Intesa per i beni culturali si parli nell’ambito<br />

della Conferenza episcopale regionale; che i delegati dei Vescovi si<br />

incontrino a livello regionale nell’ambito della Consulta regionale per i<br />

beni culturali (cfr. allegato n. 3) per coor<strong>di</strong>nare le loro attività; che i delegati<br />

dei Vescovi il cui territorio ricade nella competenza della medesima Soprintendenza<br />

mantengano costanti contatti tra <strong>di</strong> loro; che il Vescovo incontri<br />

i Soprintendenti competenti per territorio e, in quella occasione, presenti<br />

loro il Suo delegato. Sarà il caso, inoltre, che la graduale attuazione<br />

dell’Intesa sia seguita con grande attenzione sia in ambito <strong>di</strong>ocesano me<strong>di</strong>ante<br />

l’apposito Ufficio e Commissione, sia in ambito regionale me<strong>di</strong>ante<br />

la Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici.<br />

La prima Intesa sui beni culturali, stipulata per facilitare la collaborazione<br />

tra Chiesa e Stato, richiede alle <strong>di</strong>ocesi italiane un rinnovato impegno<br />

anche <strong>di</strong> natura organizzativa a favore dei beni culturali eccllesiastici; sarebbe<br />

molto positivo che questo impegno venisse assunto quale parte qualificante<br />

del progetto culturale che le Chiese che sono in Italia stanno promuovendo<br />

in modo unitario.<br />

Dal momento che in questa fase qualche <strong>di</strong>sagio sarà inevitabile, l’Ufficio<br />

nazionale per i beni culturali ecclesiastici rimane a <strong>di</strong>sposizione per<br />

eventuali consulenze e chiarimenti.<br />

– 181


ACCORDO DI REVISIONE<br />

DEL CONCORDATO LATERANENSE<br />

18 febbraio 1984<br />

Art. 12<br />

1. La Santa Sede e la Repubblica Italiana, nel rispettivo or<strong>di</strong>ne, collaborano<br />

per la tutela del patrimonio storico e artistico.<br />

Al fine <strong>di</strong> armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze<br />

<strong>di</strong> carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno<br />

opportune <strong>di</strong>sposizioni per la salvaguar<strong>di</strong>a, la valorizzazione e il<br />

go<strong>di</strong>mento dei beni culturali <strong>di</strong> interesse religioso appartenenti ad enti ed<br />

istituzioni ecclesiastiche.<br />

La conservazione e la consultazione degli archivi <strong>di</strong> interesse storico e<br />

delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate<br />

sulla base <strong>di</strong> intese tra i competenti organi delle due Parti.<br />

182 –


APPENDICE 2<br />

INTESA PROGRAMMATICA<br />

TRA<br />

LA REGIONE CAMPANIA<br />

E<br />

LA CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA<br />

PER LA TUTELA<br />

E LA VALORIZZAZIONE DI BENI CULTURALI<br />

APPARTENENTI AD ENTI ED ISTITUZIONI ECCLESIASTICHE<br />

Napoli, 13 maggio 2002<br />

– 183


L’anno duemiladue, il giorno tre<strong>di</strong>ci del mese <strong>di</strong> maggio alle ore 16.00,<br />

presso la Sede della Giunta Regionale della Campania in via S. Lucia, 81 -<br />

Napoli;<br />

La Regione Campania, nella persona del Presidente On.le Antonio<br />

Bassolino;<br />

La Conferenza Episcopale Campana, nella persona <strong>di</strong> S. E. Card. Michele<br />

Giordano, in conformità agli in<strong>di</strong>rizzi della Giunta Regionale della<br />

Campania ed all’autorizzazione, espressa all’unanimità nella sessione dell’8<br />

aprile 2002, da parte della Conferenza Episcopale Campana, costituita dagli<br />

Or<strong>di</strong>nari <strong>di</strong>ocesani <strong>di</strong>: Acerra, Alife-Caiazzo, Amalfi-Cava de’ Tirreni,<br />

Ariano Irpino-Lacedonia, Avellino, Aversa, Benevento, Capua, Caserta,<br />

Nocera Inferiore-Sarno, <strong>Nola</strong>, Pompei, Pozzuoli, Salerno, Sant’Angelo dei<br />

Lombar<strong>di</strong>-Nusco-Conza-Bisaccia, Santissima Trinità <strong>di</strong> Cava, Sessa<br />

Aurunca, Sorrento-Castellammare <strong>di</strong> Stabia, Teano-Calvi, Teggiano-<br />

Policastro, Vallo della Lucania, al fine <strong>di</strong> sottoscrivere il presente protocollo<br />

d’intesa e <strong>di</strong> assumere espressamente l’impegno <strong>di</strong> adempiere a quanto<br />

<strong>di</strong> propria competenza.<br />

PREMESSO che:<br />

– tra i fini istituzionali della Regione Campania (<strong>di</strong> seguito denomin ata<br />

Regione) c’è la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio<br />

storico, artistico e culturale <strong>di</strong> interesse regionale (art. 5 - Statuto<br />

Regione Campania);<br />

– il patrimonio culturale <strong>di</strong> proprietà degli Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti<br />

e operanti nel territorio regionale campano, riveste un considerevole<br />

interesse nell’ambito dell’esercizio delle succitate competenze<br />

regionali statutarie;<br />

– la Conferenza Episcopale Campana (<strong>di</strong> seguito denominata C.E.C.), è<br />

l’organo <strong>di</strong> governo della Regione Ecclesiastica Campana, Ente civilmente<br />

riconosciuto, cui compete mantenere i rapporti con le istituzioni<br />

politiche della Regione Campania in rappresentanza degli interessi religiosi<br />

cattolici, secondo l’art. 2 del suo Regolamento. Essa promuove,<br />

presso gli Enti ecclesiastici proprietari dei beni <strong>di</strong> interesse culturale presenti<br />

sul territorio regionale, l’impegno per la conservazione e la<br />

valorizzazione degli stessi, testimonianza della storia, della cultura e della<br />

tra<strong>di</strong>zione della popolazione campana;<br />

– le <strong>di</strong>sposizioni dell’art. 12 dell’accordo sottoscritto in data 18 febbraio<br />

1984 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, comportante mo<strong>di</strong>fiche<br />

al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, ratificato e portato ad<br />

esecuzione con la Legge 25 marzo 1985, n. 121, prevedono rapporti <strong>di</strong><br />

reciproca collaborazione fra la Pubblica Amministrazione e l’Autorità<br />

ecclesiastica per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali <strong>di</strong> interesse<br />

religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche;<br />

184 –


– il <strong>di</strong>scorso dell’art. 8 del D.P.R. n. 571 del 26-9-1996 relativo all’intesa tra<br />

il Ministro per i Beni Culturali e Ambientali e il Presidente della Conferenza<br />

Episcopale Italiana prevede che le <strong>di</strong>sposizioni in essa contenuta<br />

“possono costituire base <strong>di</strong> riferimento per le eventuali intese stipulate<br />

nell’esercizio delle rispettive competenze tra le Regioni e gli Enti autonomi<br />

territoriali ecclesiastici”.<br />

VALUTATO che si rende necessario un intervento coor<strong>di</strong>nato tra Autorità<br />

ecclesiastica e Governo regionale al fine <strong>di</strong> armonizzare ed ottimizzare<br />

gli interventi tesi alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali <strong>di</strong> interesse<br />

regionale e locale <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica.<br />

VISTO:<br />

– l’art. 12, n. 1 della L. 25 marzo 1985, n. 121 (Mo<strong>di</strong>ficazioni al Concordato<br />

lateranense dell’11 febbraio 1929);<br />

– il D.P.R. 26 settembre 1996, n. 571 (Intesa fra il Ministero per i beni<br />

culturali e ambientali ed il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana,<br />

sottoscritta in data 13 settembre 1996, relativa ai beni culturali<br />

ecclesiastici);<br />

– il Tit. I del D. Leg.vo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle <strong>di</strong>sposizioni<br />

in materia <strong>di</strong> beni culturali e ambientali);<br />

– la delibera <strong>di</strong> Giunta Regionale della Campania n. 4571 del 9 novembre<br />

2000 (Criteri e in<strong>di</strong>rizzi per gli interventi <strong>di</strong> tutela e valorizzazione dei<br />

beni culturali), che determina, in analogia con quanto stabilito a livello<br />

statale e in altre regioni italiane, per quanto riguarda gli interventi relativi<br />

ai beni culturali <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica, che vada stabilita la forma<br />

<strong>di</strong> consultazione regolata con protocollo d’intesa tra la Regione<br />

Campania e la Conferenza Episcopale della Campania, sul modello della<br />

sopraccitata intesa tra Stato e Chiesa del 13/9/96, autorizzando l’assessore<br />

con delega per i beni culturali a definire e firmare protocolli<br />

d’intesa con la Conferenza Episcopale Campana.<br />

PRESO ATTO del documento della Conferenza Episcopale Italiana<br />

«I beni culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti», approvato dalla<br />

XXXVI Assemblea Generale dei Vescovi italiani (26-29 ottobre 1992)<br />

ed in conformità agli in<strong>di</strong>rizzi dell’Autorità ecclesiastica.<br />

Tutto ciò premesso, le parti, come sopra costituite, convengono sull’opportunità<br />

<strong>di</strong> definire un accordo, atto a coor<strong>di</strong>nare gli interventi rientranti<br />

nelle rispettive competenze e tesi alla salvaguar<strong>di</strong>a e valorizzazione<br />

dei beni culturali <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica, al fine <strong>di</strong> ottimizzare il<br />

perseguimento dei comuni obiettivi. Tale accordo viene definito sulla base<br />

dei princìpi dell’intesa sottoscritta fra il Ministero per i beni culturali e<br />

– 185


ambientali ed il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana in data 13<br />

settembre 1996 e portata ad esecuzione con D.P.R. 26 settembre 1996, n.<br />

571, per le finalità <strong>di</strong> cui all’art. 12, n. 1, comma 1 dell’Accordo <strong>di</strong> revisione<br />

del Concordato Lateranense.<br />

Quanto sopra costituisce parte integrante della presente Intesa.<br />

186 –<br />

Si conviene quanto segue:<br />

Articolo 1<br />

Finalità<br />

Scopo della presente Intesa è l’attivazione <strong>di</strong> reciproche forme <strong>di</strong> collaborazione<br />

permanente fra la Regione e la Conferenza Episcopale, al fine<br />

<strong>di</strong> concordare opportune <strong>di</strong>sposizioni per armonizzare ed ottimizzare gli<br />

interventi sul patrimonio storico, artistico e culturale appartenente ad Enti<br />

ed istituzioni ecclesiastiche.<br />

Articolo 2<br />

Soggetti sottoscrittori<br />

Sono competenti, per l’attuazione delle presenti <strong>di</strong>sposizioni:<br />

a) il Presidente della Giunta Regionale della Campania, o persona da<br />

lui delegata;<br />

b) il Presidente della Conferenza Episcopale della Campania o persona<br />

da lui delegata.<br />

Gli Or<strong>di</strong>nari <strong>di</strong>ocesani territorialmente competenti, ciascuno nell’ambito<br />

della propria giuris<strong>di</strong>zione ecclesiastica e secondo le <strong>di</strong>sposizioni<br />

emanate dalla Santa Sede, fungono da tramite tra il Presidente della Conferenza<br />

Episcopale Campana o persona da lui delegata, con gli Istituti <strong>di</strong><br />

vita consacrata, le Società <strong>di</strong> vita apostolica e le loro articolazioni, che<br />

siano civilmente riconosciute.<br />

Articolo 3<br />

Accor<strong>di</strong><br />

Per il raggiungimento degli obiettivi comuni <strong>di</strong> cui all’art. 1, la Regione<br />

e la Conferenza Episcopale Campana promuovono, altresì, accor<strong>di</strong> e<br />

programmi congiunti con gli organi periferici del Ministero per i Beni e le<br />

Attività culturali, nonché con Comuni e Province.<br />

Detti accor<strong>di</strong> potranno definire anche la realizzazione <strong>di</strong> interventi ed<br />

iniziative che richiedono una partecipazione organizzativa e finanziaria<br />

congiunta, in<strong>di</strong>viduando le forme, i mo<strong>di</strong>, i tempi e le risorse finanziarie<br />

attivabili da ciascuna delle Parti interessate.


Articolo 4<br />

Reciprocità <strong>di</strong> informazione<br />

Le Parti si impegnano reciprocamente ad assicurare ogni utile scambio<br />

<strong>di</strong> informazioni per il perseguimento dei compiti prioritari <strong>di</strong> cui all’art. 1.<br />

In particolare, fra i soggetti competenti ai sensi dell’art. 2, è assicurata<br />

la più ampia informazione in or<strong>di</strong>ne alla pianificazione annuale e<br />

pluriennale, ai piani <strong>di</strong> spesa e alle determinazioni finali, nonché allo<br />

svolgimento e alla conclusione degli interventi e delle iniziative <strong>di</strong> cui<br />

agli artt. 1 e 3.<br />

Articolo 5<br />

Osservatorio regionale per i beni culturali<br />

<strong>di</strong> proprietà ecclesiastica<br />

Al fine <strong>di</strong> favorire lo scambio <strong>di</strong> informazioni, <strong>di</strong> suggerire orientamenti<br />

per sviluppare forme <strong>di</strong> collaborazione, <strong>di</strong> esaminare problematiche<br />

<strong>di</strong> comune interesse, <strong>di</strong> verificare con continuità l’attuazione delle presenti<br />

<strong>di</strong>sposizioni e <strong>di</strong> contribuire in tal modo alla concreta attuazione del<br />

presente accordo, le Parti si impegnano a costituire, entro trenta giorni<br />

dalla data <strong>di</strong> pubblicazione della presente Intesa, un organismo paritetico<br />

denominato “Osservatorio regionale per i beni culturali ecclesiastici”.<br />

Attraverso tale organismo, la Regione e la Conferenza Episcopale<br />

Campana, oltre a scambiarsi reciproche informazioni in or<strong>di</strong>ne ai piani e<br />

programmi <strong>di</strong>sciplinati dalla normativa vigente e/o a quelli pre<strong>di</strong>sposti<br />

dall’Autorità ecclesiastica, alle iniziative sostenute me<strong>di</strong>ante l’erogazione<br />

<strong>di</strong> contributi europei, nazionali, regionali o della Conferenza Episcopale<br />

Italiana, provvederanno a relazionare, con cadenza almeno trimestrale, sul<br />

loro stato <strong>di</strong> attuazione.<br />

L’Osservatorio è composto dall’Assessore alla Tutela dei Beni<br />

Paesistico-Ambientali e Culturali o suo delegato, dal Dirigente del Settore<br />

Tutela Beni Paesaggistici, Ambientali e Culturali e da un funzionario designato<br />

dalla Giunta Regionale della Campania, dal Vescovo delegato dalla<br />

Conferenza Episcopale della Campania, dall’Incaricato Regionale della<br />

Conferenza Episcopale Campana per i Beni Culturali e da un componente<br />

designato dalla Conferenza Episcopale Campana.<br />

Articolo 6<br />

Procedure<br />

Ciascun Soggetto sottoscrittore, nello svolgimento delle attività <strong>di</strong> propria<br />

competenza, si impegna ad utilizzare tutti gli strumenti <strong>di</strong> semplificazione<br />

e <strong>di</strong> snellimento dell’attività amministrativa prevista dalla vigente<br />

normativa e ad utilizzare appieno e in tempi rapi<strong>di</strong> tutte le risorse finanzia-<br />

– 187


ie destinate agli interventi connessi al presente Protocollo d’Intesa. Le<br />

Parti concordano, altresì, che i piani relativi ad interventi e/o iniziative <strong>di</strong><br />

interesse regionale afferenti i beni culturali saranno presentati alla Regione<br />

Campania per il tramite del Presidente della Conferenza Episcopale<br />

Campana o persona da lui incaricata.<br />

188 –<br />

Articolo 7<br />

Interventi <strong>di</strong> manutenzione straor<strong>di</strong>naria e <strong>di</strong> restauro<br />

Relativamente agli interventi <strong>di</strong> manutenzione straor<strong>di</strong>naria e <strong>di</strong> restauro<br />

<strong>di</strong> beni culturali nella <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> Enti ed Istituzioni soggetti<br />

alla loro giuris<strong>di</strong>zione, gli Or<strong>di</strong>nari <strong>di</strong>ocesani territorialmente competenti<br />

presenteranno un piano annuale, evidenziando le priorità e l’eventuale partecipazione<br />

finanziaria all’intervento <strong>di</strong> altri Enti pubblici e/o privati. Tali<br />

priorità, se corredate dalla documentazione prevista dalla Delibera <strong>di</strong> Giunta<br />

Regionale n. 4571 del 9/11/2000 citata in Premessa e nel rispetto dei criteri<br />

e degli in<strong>di</strong>rizzi in essa contenuti, avranno valore <strong>di</strong> richiesta <strong>di</strong> finanziamento<br />

ai sensi della Legge Regionale 9 novembre 1974, n. 58.<br />

Articolo 8<br />

Fruizione e accessibilità al pubblico.<br />

Recupero funzionale <strong>di</strong> immobili in <strong>di</strong>suso<br />

La Regione e la Conferenza Episcopale Campana si impegnano ad<br />

in<strong>di</strong>viduare, <strong>di</strong> comune accordo, modalità ed ambiti operativi al fine <strong>di</strong><br />

assicurare le più idonee con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> fruizione pubblica e valorizzazione<br />

dei beni culturali <strong>di</strong> proprietà ecclesiastica, nel rispetto delle esigenze <strong>di</strong><br />

culto.<br />

La Conferenza Episcopale Campana si impegna a favorire la stipula <strong>di</strong><br />

Convenzioni con gli Enti proprietari per l’utilizzo <strong>di</strong> beni immobili ecclesiastici<br />

attualmente in <strong>di</strong>suso.<br />

Per le destinazioni e i nuovi usi degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto, che rivestono<br />

carattere <strong>di</strong> riconosciuta importanza storico-artistica ed in <strong>di</strong>suso, si esigerà<br />

che la loro sistemazione, convenientemente stu<strong>di</strong>ata in collaborazione<br />

con le competenti Soprintendenze, corrisponda al titolo della <strong>di</strong>gnità originaria.<br />

Articolo 9<br />

Modalità <strong>di</strong> attuazione<br />

L’attuazione della presente Intesa, nel rispetto degli in<strong>di</strong>rizzi e dei suggerimenti<br />

che saranno forniti dall’Osservatorio <strong>di</strong> cui al precedente art. 5,<br />

è rispettivamente demandata alle strutture e organi regionali e agli organismi<br />

ecclesiastici competenti per la materia e sarà, <strong>di</strong> volta in volta,<br />

regolamentata da apposite Convenzioni.


Articolo 10<br />

Decorrenza<br />

La presente Intesa entrerà in vigore dalla data <strong>di</strong> pubblicazione ed avrà<br />

durata <strong>di</strong> cinque anni, rinnovabile tacitamente <strong>di</strong> legislatura in legislatura,<br />

salvo <strong>di</strong>verso inten<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> una delle parti espresso con formale comunicazione.<br />

Durante il periodo <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà la presente intesa potrà comunque essere<br />

oggetto <strong>di</strong> verifica perio<strong>di</strong>ca e mo<strong>di</strong>ficata <strong>di</strong> comune accordo.<br />

PER LA REGIONE CAMPANIA<br />

On.le Antonio Bassolino<br />

PER LA CONFERENZA<br />

EPISCOPALE CAMPANA<br />

S. E. Card. Michele Giordano<br />

– 189


190 –


LUCA 1, 39-56 NELLE PARAFRASI DI<br />

GIOVENCO (1, 80-104) E PAOLINO (carm. 6, 139-78)<br />

ANTONIO V. NAZZARO *<br />

1. Luca è l’evangelista che fornisce la maggiore quantità <strong>di</strong> notizie<br />

su Giovanni Battista nelle tre gran<strong>di</strong> sezioni in cui possiamo <strong>di</strong>videre<br />

i suoi scritti: e cioè, il Vangelo dell’infanzia (Lc 1-2: il primo<br />

capitolo de<strong>di</strong>cato a Giovanni, il secondo a Gesù); il Vangelo della<br />

vita pubblica <strong>di</strong> Gesù (Lc 3-24) e gli Atti (Act 1, 5; 1, 22; 10, 37; 11,<br />

16; 13, 24; 19, 4).<br />

Luca è l’evangelista che spinge forse più avanti il suo progetto <strong>di</strong><br />

assimilazione <strong>di</strong> Giovanni con Gesù. Il Battista non solo è sin dall’inizio<br />

perfettamente inserito nel piano <strong>di</strong> Dio, ma risulta ad<strong>di</strong>rittura<br />

per via <strong>di</strong> madre, parente <strong>di</strong> Gesù (1, 36). Luca, pur riducendone il<br />

significato rispetto a Marco, conserva il ricordo del battesimo ricevuto<br />

da Gesù. Con la scena della visitazione è Gesù stesso l’origine<br />

prima e significativa <strong>di</strong> quel battesimo. Perciò al momento del battesimo<br />

<strong>di</strong> Gesù, la presenza del Battista è secondaria nel racconto, tanto<br />

che il «battezzarsi» <strong>di</strong> Gesù è stato inteso da alcuni esegeti come<br />

una sorta <strong>di</strong> autobattesimo.<br />

Il gioco <strong>di</strong> parallelismi fra Giovanni e Gesù risponde al doppio<br />

scopo <strong>di</strong> “cristianizzare” il Battista e <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>narlo in modo definitivo<br />

a Gesù. La scena dell’incontro dei nascituri è architettata per<br />

cancellare ogni sospetto che Gesù, in quanto destinato a essere battezzato<br />

da Giovanni, gli sia in qualche modo inferiore, ovvero che<br />

abbia bisogno del battesimo per ricevere lo Spirito. Luca è attento<br />

alla Visitazione, per rendere accettabile il dato, che gli crea un problema<br />

teologico, del battesimo <strong>di</strong> Gesù. E’ Gesù che, generato dallo<br />

Spirito-potenza <strong>di</strong> Dio, comunica lo Spirito a Giovanni al sesto mese<br />

dal <strong>di</strong> lui concepimento (straor<strong>di</strong>nario, ma pur sempre naturale). Da<br />

tale comunicazione <strong>di</strong> Spirito trae efficacia il battesimo <strong>di</strong> Giovanni,<br />

che anche per Luca toglie i peccati (3, 3; 1, 77), ma esso non serve a<br />

Gesù. Perciò, probabilmente, la scena del battesimo <strong>di</strong> Gesù è evitata<br />

da Luca, e la <strong>di</strong>scesa dello Spirito non avviene in concomitanza<br />

* Conferenza tenuta il 28 Maggio 2002.<br />

– 191


con esso, ma dopo, mentre Gesù prega (3, 21). Il Cristo nasce però<br />

da una vergine, per opera dello Spirito santo (Lc 1, 26-38) e il <strong>di</strong>vario<br />

fra i due personaggi lucani è incolmabile .<br />

A Giovanni Battista, “precursore del Signore”, “porta sacra del<br />

Vangelo” e “punto d’arrivo della Legge”, uno dei più significativi<br />

personaggi <strong>di</strong> confine tra Antico e Nuovo Testamento 1 , Paolino <strong>di</strong><br />

<strong>Nola</strong> ha de<strong>di</strong>cato il carme VI, in 330 esametri. In esso è cantata la<br />

storia del Battista, dall’apparizione angelica e promessa della nascita,<br />

fatta a Zaccaria, fino alla vita penitente nel deserto e alla sua attività<br />

<strong>di</strong> battezzatore presso le rive del Giordano.<br />

Il fatto che il carme s’interrompa bruscamente sulla soglia dell’incontro<br />

<strong>di</strong> Giovanni con il Messia e trascuri il suo glorioso martirio<br />

è stato spiegato o con la per<strong>di</strong>ta della parte finale o con l’ipotesi<br />

che il componimento sia incompiuto. Entrambe le ipotesi si scontrano<br />

contro l’ovvia considerazione che il carme è sostanzialmente una<br />

parafrasi <strong>di</strong> Lc 1, 5-80. Il tema <strong>di</strong> Giovanni, precursore <strong>di</strong> Cristo, è da<br />

considerarsi concluso con la sua attività <strong>di</strong> battezzatore presso le rive<br />

del Giordano, che costituisce la sua vera missione anche rispetto alla<br />

precedente vita penitente nel deserto.<br />

Il carme VI fu composto tra gli anni 389-394, o, se vogliamo<br />

essere più precisi, nel 389/90 in Gallia, nell’imminenza del battesimo<br />

per mano <strong>di</strong> Delfino o, più verosimilmente, in Spagna, poco dopo<br />

il battesimo . È in questo contesto <strong>di</strong> esperienza personale che il carme<br />

s’inquadra ed è dalla teologia battesimale che esso riceve luce.<br />

Ben presto - sempre che il Carme VI sia anteriore - Paolino si<br />

cimenta con la parafrasi del Salterio, a sua volta retractatio poetica<br />

dei precedenti libri biblici. Del <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> versificazione del Salterio,<br />

che è il libro biblico più utilizzato da Paolino, ci resta la parafrasi dei<br />

soli Salmi 1 (carme VII in trimetri giambici), 2 (carme VIII in<br />

esametri) e 136 (carme IX in esametri). Non essendo verisimile che<br />

questi siano tre pezzi isolati, quasi massi erratici, nella produzione<br />

poetica paoliniana, si può ragionevolmente ipotizzare sia la per<strong>di</strong>ta<br />

degli altri Salmi, sia la rinuncia del parafraste a proseguire nella<br />

versificazione del Salterio, e non necessariamente perché s’accorse<br />

che l’assunto era superiore alle sue forze. Quanto poi alla successione<br />

cronologica dei tre Carmi, o Paolino, dopo aver parafrasato i primi<br />

due Salmi, ha fatto un ultimo tentativo con il famoso Salmo 136,<br />

1<br />

Paolino, accennando alle reliquie conservate nel tempio <strong>di</strong> Felice, così definisce<br />

Giovanni: Hic et praecursor domini et baptista Iohannes / idem euangelii<br />

sacra ianua metaque legis (carm. XXVII 411s.).<br />

192 –


oppure proprio dalla parafrasi <strong>di</strong> quest’ultimo Salmo gli è nata l’idea<br />

<strong>di</strong> estenderla a tutto il Salterio e ha abbandonato il progetto dopo i<br />

primi due Salmi. La parafrasi salmica <strong>di</strong> Paolino è il primo esempio<br />

<strong>di</strong> poesia parafrastica veterotestamentaria in Occidente e l’unica<br />

retractatio - sia pure assai limitata - del Salterio.<br />

Quanto al genere (o ai generi letterari), è innegabile che il carme<br />

VI appartenga alla parafrasi esametrica biblica, un genere poetico<br />

sul quale Paolino riflette nella praefatio. Il parafraste cristiano segue,<br />

infatti, come ipotesto fondamentale del suo carme il primo capitolo<br />

del vangelo dell’infanzia <strong>di</strong> Luca (in particolare, i versetti 5-45 e<br />

57-80), integrandolo con Lc 3, 2-5, Mt 3, 4 ; 11, 7-11 e Mc 1, 2-6.<br />

Altrettanto innegabile è la sua appartenenza all’agiografia, genere<br />

letterario che Paolino non mancherà <strong>di</strong> trattare anche in versi 2 .<br />

A questo genere rimandano, infatti, sia gli sviluppi parafrastici<br />

del testo evangelico, riguardanti soprattutto il Battista fanciullo, la<br />

sua eccezionale docilità e serietas, che preannuncia il futuro penitente<br />

(vv. 205ss.); sia l’impiego <strong>di</strong> topoi agiografici, quali sono, a<br />

esempio, la voce celeste che invita il Battista a compiere la sua missione<br />

sulle rive del Giordano (vv. 255-69) e l’apparizione a Zaccaria<br />

dell’Angelo, che lascia <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé l’aria impregnata <strong>di</strong> profumi; sia,<br />

infine, la descrizione della vita nel deserto con una spiccata<br />

accentuazione dei tratti ascetici della figura <strong>di</strong> Giovanni, considerato<br />

dalla tra<strong>di</strong>zione monastica princeps degli anacoreti e modello della<br />

vita perfetta, che si realizza nel monachesimo. 3 Nel descrivere la<br />

vita ascetica del Battista Paolino utilizza lo stesso lessico, con il quale<br />

definirà più tar<strong>di</strong> la sua vita <strong>di</strong> monaco.<br />

Il carme VI si ricollega, infine, al genere poetico del panegirico<br />

cristiano, <strong>di</strong>scendente dalla laus o encomio: il cod. Paris. Lat. 7558,<br />

del sec. IX., reca come titolo Laus sancti Iohannis, che, anche se<br />

non è originale, conferma tuttavia il carattere <strong>di</strong> encomio, con cui<br />

manifestamente si chiude il carme (vv. 315-330). Certamente Paolino<br />

2<br />

Su Paolino agiografo vd. G. LUONGO, Lo specchio dell’agiografo. S. Felice<br />

nei carmi XV e XVI <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>, Napoli 1992.<br />

3<br />

Cfr. Hier. epist. 22, 6 Iohanes princeps nostri dogmatis, ipse monachus . Sulla<br />

presenza del Battista nella letteratura cristiana antica e me<strong>di</strong>evale si vedano G.<br />

PENCO, S. Giovanni Battista nel ricordo del monachesimo me<strong>di</strong>evale , « Stu<strong>di</strong>a<br />

Monastica» 3 , 1961, pp. 9ss., ed. E. LUPIERI, Felices sunt qui imitantur Iohannem<br />

(Hier. Hom. in Io.), «Augustinianum» 24, 1984, pp. 33-71. Dello stesso autore<br />

sono due fondamentali saggi sul Battista apparsi nel 1988 presso la Paideia E<strong>di</strong>trice<br />

<strong>di</strong> Brescia (Giovanni Battista nelle tra<strong>di</strong>zioni sinottiche e Giovanni Battista fra<br />

storia e leggenda ).<br />

– 193


sperimenta in questo carme una laudatio in versi <strong>di</strong> un uir Dei, non<br />

<strong>di</strong>menticando i moduli delle laudationes funebres e dei panegirici<br />

imperiali. 4<br />

2. Con la presente relazione proseguo l’analisi della riscrittura<br />

metrica del carme 6 <strong>di</strong> Paolino comparato con la corripondente<br />

riscrittura metrica <strong>di</strong> Giovenco (autore degli Euangeliorum libri IV,<br />

composti nel 330 ca), che segue - come vedremo - ad uerbum<br />

l’ipotesto lucano.<br />

E passo alla pericope lucana, che è l’ oggetto <strong>di</strong> questa relazione:<br />

la visita <strong>di</strong> Maria a Elisabetta e l’incontro - prima della loro nascita<br />

- <strong>di</strong> Giovanni e Gesù.<br />

Maria fa visita a Elisabetta, accogliendo con pronta generosità<br />

le parole con cui l’angelo le ha rivelato il progetto <strong>di</strong> Dio. Essa corre<br />

là dove questo progetto comincia a realizzarsi, per riconoscere, adorare<br />

e cantare.<br />

Luca concentra il tutto intorno a due <strong>di</strong>scorsi: quello <strong>di</strong> Elisabetta<br />

che proclama la beatitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Maria (vv. 41-45) e quello <strong>di</strong> Maria,<br />

che magnifica la potenza del Signore (vv. 46-55).<br />

2. 1. Le notizie storiche sono precise ed essenziali: in quei giorni<br />

Maria si reca in fretta verso la regione montuosa, in una città <strong>di</strong> Giuda;<br />

entra nella casa <strong>di</strong> Zaccaria e saluta Elisabetta; il figlio non ancora<br />

nato si muove nel seno <strong>di</strong> Elisabetta, che è ricolma <strong>di</strong> Spirito Santo.<br />

Il dono dello Spirito la rende capace <strong>di</strong> comprendere e <strong>di</strong> interpretare<br />

il significato profondo <strong>di</strong> quanto sta avvenendo:<br />

Lc 1, 39 Exsurgens autem Maria in <strong>di</strong>ebus illis abiit in montana<br />

cum festinatione in ciuitatem Iuda. (40) Et intrauit in domum<br />

Zachariae et salutauit Elisabeth. (41) Et factum est ut au<strong>di</strong>uit<br />

salutationem Mariae Elisabeth,/exsultauit infans in utero eius /et<br />

repleta est Spiritu sancto Elisabeth 5 .<br />

4<br />

È appena il caso <strong>di</strong> ricordare che Paolino è autore <strong>di</strong> un panegirico perduto a<br />

Teodosio; su questo scritto informa compiutamente Y.-M. DUVAL, Le panégyrique<br />

de Théodose par Paulin de Nole. Sa date, son sens, son influence, in G. LUONGO<br />

(ed.), Anchora uitae. Atti del II Convegno Paoliniano nel XVI centenario del ritiro<br />

<strong>di</strong> Paolino a <strong>Nola</strong> (<strong>Nola</strong>-Cimitile 18-20 maggio 1995), Napoli-Roma, LER, 1998,<br />

pp. 137-58 . Per R. P. H. GREEN (The Poetry of Paulinus of <strong>Nola</strong>. A Study of his<br />

Latinity , Bruxelles 1971, p. 22): « The opening prayer and the frequent speechs are<br />

paralleled in the contemporary panegyrics of Clau<strong>di</strong>an».<br />

5<br />

Lc 1, 39-41: « In quei giorni Maria, messasi in viaggio, si recò in fretta verso<br />

la regione montagnosa, in una città <strong>di</strong> Giuda. Ed entrò nella casa <strong>di</strong> Zaccaria e<br />

salutò Elisabetta. E accadde che appena Elisabetta ebbe ascoltato il saluto <strong>di</strong> Maria,<br />

le balzò in seno il bambino ed Elisabetta fu ripiena <strong>di</strong> Spirito santo».<br />

194 –


I versetti 39-41 sono parafrasati quasi alla lettera da Giovenco:<br />

Illa dehinc rapi<strong>di</strong>s Iudaeam passibus urbem<br />

Zachariaeque domum penetrat grauidamque salutat<br />

Elisabet, clausae cum protinus anxia prolis<br />

membra uteri gremio motu maiore resultant.<br />

Et simul exiluit mater concussa tremore,<br />

<strong>di</strong>uinae uocis conpleta est flamine sancto 6 .<br />

Il presbitero spagnolo segue paene ad uerbum l’ipotesto lucano,<br />

trascurando il solo dettaglio in montana: rende cum festinatione con<br />

rapi<strong>di</strong>s passibus 7 ; muta ciuitatem Iuda in Iudaeam urbem; aggiunge<br />

grauidam a Elisabeth; e al sussulto del figlio nel grembo della<br />

madre fa seguire quello della stessa madre, che dalla voce <strong>di</strong> Maria<br />

riceve lo Spirito.<br />

A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Giovenco, che come s’è visto si attiene strettamente<br />

all’ipotesto lucano, Paolino lo sviluppa con maggiore libertà,<br />

apportando a esso variazioni e trasposizioni interessanti:<br />

Interea grauidam soboles quamquam e<strong>di</strong>ta necdum<br />

instigat Mariam sanctam, ut progressa reuisat<br />

Elisabeth, longo quae iam uenerabilis aeuo<br />

<strong>di</strong>lectum domino puerum paritura gerebat.<br />

Auscultat nato genitrix ( uis tanta fidei!)<br />

et quo iussa uenit; mouit materna Iohannes<br />

uiscera et inpleuit <strong>di</strong>uino pectora sensu.<br />

Iam uates necdum genitus conclusus in aluo<br />

iamque propheta prius gesta et uentura uidebat 8 .<br />

6<br />

Iuuenc. 1, 80-85 (CSEL 24, 7) : « Ella poi con rapi<strong>di</strong> passi entra nella città<br />

<strong>di</strong> Giuda e nella casa <strong>di</strong> Zaccaria e saluta Elisabetta incinta, mentre le membra<br />

ansiose del figlio racchiuso nel grembo dell’utero rimbalzano con un più intenso<br />

movimento. E nel contempo balzò la madre scossa dalla paura ed è riempita dal<br />

santo soffio della voce <strong>di</strong>vina»<br />

7<br />

Il nesso ricorre in Verg. Aen. 7, 156 festinant iussi rapi<strong>di</strong>sque feruntur/passibus<br />

(sono i cento oratori inviati in ambasceria da Enea a re latino) e, nella stessa sede<br />

metrica, in Val. Fl. Arg. 6, 489 e Stat. Theb. 3, 410.<br />

8<br />

Paul. Nol. carm. 6, 139-47 : « Frattanto il figlio, sebbene non ancora venuto<br />

alla luce, sprona la santa Maria in stato <strong>di</strong> gravidanza a mettersi in viaggio e a far <strong>di</strong><br />

nuovo visita a Elisabetta, che, ormai venerabile per l’età avanzata portava nel grembo<br />

ed era prossima a partorire il fanciullo caro al Signore. La madre dà ascolto al figlio<br />

(tanta è la forza della fede !) e venne là dove le era stato comandato; Giovanni<br />

mosse le viscere della madre e le riempì il cuore <strong>di</strong> ispirazione <strong>di</strong>vina. Già il profeta,<br />

non ancora nato e ancora racchiuso nel ventre, e già il profeta vedeva le cose<br />

passate e future».<br />

– 195


Paolino, a cui poco interessano le coor<strong>di</strong>nate temporali e spaziali<br />

della narratio lucana, sottolinea il ruolo attivo che i due figli non<br />

ancora nati svolgono in essa: Gesù, non ancora nato, svolge una funzione<br />

<strong>di</strong> stimolo (instigare è però comunemente impiegato in accezione<br />

negativa!) nei riguar<strong>di</strong> della madre incinta a mettersi in viaggio<br />

per far visita (progressa reuisat) 9 a Elisabetta prossima a partorire,<br />

non ostante l’età avanzata, il fanciullo caro al Signore e Maria si<br />

mette in viaggio, non per sciogliere un dubbio o verificare la verità<br />

delle parole dell’angelo (v. 36), ma per obbe<strong>di</strong>enza al figlio appena<br />

concepito (v. <strong>14</strong>3). Giovanni, il profeta (si noti la repetitio anaforica<br />

<strong>di</strong> iam e la uariatio sinonimica uates /propheta), non ancora nato,<br />

mosse le viscere della madre e le riempì il cuore della <strong>di</strong>vina ispirazione.<br />

In Luca (1, 41 e, nella sua scia, Giovenco) al saluto <strong>di</strong> Maria<br />

Giovanni sussulta nel grembo <strong>di</strong> Elisabetta e questa è nel contempo<br />

ripiena dello Spirito santo; in Paolino, invece, è Giovanni, che all’ascolto<br />

del saluto <strong>di</strong> Maria, muove le viscere della madre e a essa<br />

trasmette lo Spirito.<br />

Lo scarto paoliniano dall’ipotesto lucano si spiega alla luce <strong>di</strong><br />

un’interessante pagina del Commento a Luca <strong>di</strong> Ambrogio:<br />

Vocem prior Elisabet au<strong>di</strong>uit, sed Iohannes prior gratiam sensit: illa<br />

naturae or<strong>di</strong>ne au<strong>di</strong>uit, iste exultauit ratione mysterii, illa Mariae, iste<br />

domini sensit aduentum, femina mulieris et pignus pignoris [… ]<br />

Exsultauit infans, repleta mater est. Non prius mater repleta quam<br />

filius, sed cum filius esset repletus spiritu sancto, repleuit et matrem<br />

[…] Exsultante Iohanne repletur Elisabet» 10 .<br />

2. 2. Elisabetta risponde al saluto proclamando a gran voce Maria<br />

benedetta fra le donne a motivo della presenza nel suo seno <strong>di</strong> un<br />

frutto benedetto. Considera, poi, gli effetti che la visita, <strong>di</strong> cui si sente<br />

indegna, provoca in lei. Il bambino le sussulta in seno: è un pic-<br />

9<br />

Il verbo reuisere sottolinea una consuetu<strong>di</strong>ne nello scambio <strong>di</strong> visite <strong>di</strong> cortesia<br />

tra le due parenti.<br />

10<br />

Ambr. in Luc. 2, 23 (SAEMO 11, 164-66) : «Elisabetta per prima sentì la<br />

voce, ma Giovanni per primo sperimentò la grazia: quella sentì secondo l’or<strong>di</strong>ne<br />

della natura, questo esultò per effetto del mistero, quella avvertì la venuta <strong>di</strong> Maria,<br />

questi avvertì la venuta del Signore, la donna avvertì la venuta dell’altra donna, il<br />

figlio quella dell’altro figlio[…] Esultò il bambino, fu ripiena la madre. Né la madre<br />

fu ripiena prima del figlio, ma, essendo il figlio ripieno dello Spirito Santo, ne<br />

ricolmò anche la madre […] Mentre Giovanni esulta, Elisabetta è ripiena.»<br />

196 –


colo segno che le fa intuire chi è che le sta davanti. Lo Spirito Santo,<br />

poi, le fa conoscere e confessare il mistero: Maria è madre del Messia,<br />

nel suo seno porta il santo, colui che è fonte <strong>di</strong> ogni bene<strong>di</strong>zione<br />

e sorgente della gioia messianica. Elisabetta conclude proclamandola<br />

beata per la fede con la quale ha reagito alla proposta <strong>di</strong>vina: è<br />

beata, perché fedele, perché u<strong>di</strong>trice della parola del Signore:<br />

Lc 1, 42. et exclamauit uoce magna et <strong>di</strong>xit:/Bene<strong>di</strong>cta tu inter mulieres<br />

et bene<strong>di</strong>ctus fructus uentris tui. (43) Et unde hoc mihi ut ueniat mater<br />

Domini mei ad me (44) Ecce enim ut facta est uox salutationis tuae<br />

in auribus meis,/exsultauit in gau<strong>di</strong>o infans in utero meo (45) et beata<br />

quae cre<strong>di</strong><strong>di</strong>sti/quoniam perficientur ea quae <strong>di</strong>cta sunt tibi a Domino<br />

11 .<br />

I quattro versetti <strong>di</strong> Luca sono metricamente ritrascritti da<br />

Giovenco:<br />

et magnum clamans: ‘Felix o femina, salue,<br />

felicem gestans uteri sinuamine fetum.<br />

Unde meam tanto uoluit Deus aequus honore<br />

illustrare domum, quam mater numinis alti<br />

90. uiseret Ecce meo gaudens in uiscere proles<br />

exultat, Mariae cum prima adfamina sensit.<br />

Felix, qui cre<strong>di</strong>t finem mox adfore uerbis,<br />

quae Deus ad famulos magnum <strong>di</strong>gnando loquetur 12 .<br />

È appena il caso <strong>di</strong> far notare come Giovenco segua pe<strong>di</strong>ssequamente<br />

la narratio lucana, sia nella ripresa degli incipit dei singoli<br />

versetti (1, 42 et exclamauit uoce magna ~ v. 86 et magnum clamans;<br />

43 Et unde ~ v. 88 Vnde; 44 Ecce ~ v. 90 Ecce; 45 et beata quae<br />

cre<strong>di</strong><strong>di</strong>t ~ v. 92 Felix, qui cre<strong>di</strong>t), sia nella rielaborazione accurata<br />

del lessico.<br />

Nei vv. 86-87 il presbitero spagnolo esplicita a livello sintattico<br />

l’evidente rapporto <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione esistente tra i due stichi paral-<br />

11<br />

Lc 1, 42-45: «Ed escamò a gran voce e <strong>di</strong>sse: “Benedetta tu tra le donne e<br />

benedetto il frutto del tuo ventre. E perché mi accade ciò, che venga a me la madre<br />

del Signore mio Ecco, infatti, che appena il suono del tuo saluto è giunto alle mie<br />

orecchie, il bambino m’è balzato in seno per la gioia. E benedetta colei che ha<br />

creduto che si realizzeranno le cose che ti sono state dette dal Signore».<br />

12<br />

Iuuenc. 1, 86-93 : «E ad alta voce <strong>di</strong>ce: O donna benedetta, salve, tu che porti<br />

un frutto benedetto nella sinuosa cavità dell’utero. Perché il giusto Dio volle illustrare<br />

con tanto onore la mia casa, che la madre dell’alto Nume venisse a visitarla<br />

Ecco per la gioia esulta il figlio nelle mie viscere, appena ha sentito le prime parole<br />

rivolte da Maria. Beato colui che crede che avranno presto compimento le parole<br />

che Dio con grande degnazione <strong>di</strong>rà ai suoi servi»<br />

– 197


leli del versetto 42 Bene<strong>di</strong>cta tu inter mulieres /et bene<strong>di</strong>ctus fructus<br />

uentris tui (Maria è benedetta, perché porta nel suo seno un frutto<br />

benedetto). Con sinuamine il poeta spagnolo sottolinea la nozione <strong>di</strong><br />

cavità (gr. koiliva), che inerisce a uterus, così detto «quod duplex sit<br />

et ab utraque in duas se <strong>di</strong>uidat partes, quae in <strong>di</strong>uersum <strong>di</strong>ffusae ac<br />

replexae circumplicantur in modum cornu arietis; uel quod interius<br />

impleatur foetu» (Isid. or. 11, 1, 135).<br />

Nei vv. 88-89 la riscrittura esametrica dell’interrogatio del versetto<br />

43 sottolinea l’onore che la visita della madre del sommo Dio<br />

arreca alla casa <strong>di</strong> Elisabetta. Il nesso Deus aequus rinvia a Verg.<br />

Aen. 6, 129 s. pauci quos aequus amauit/Iuppiter; in entrambi i testi<br />

aequus è da intendere nell’accezione <strong>di</strong> propitius: la giustizia spinge<br />

Giove e Dio a essere propizi rispettivamente ai pochi eroi destinati<br />

dalla <strong>di</strong>vinità a risalire dagli inferi e alla casa, pur essa pre<strong>di</strong>letta, <strong>di</strong><br />

Elisabetta. Quanto alla clausola, dal sapore pagano, numinis alti ,<br />

essa ricorre in Ilario, De euangelio 2, 19 e in Cipriano poeta, Gen.<br />

798. 1086 e Deut. 31.<br />

Nei vv. 90-91 è sottolineato il rapporto tra le parole (adfamina è<br />

un hapax giovenchiano) pronunciate da Maria e il sussulto per la<br />

gioia del bambino (versetto 44); nei vv. 45-46 passando dal femminile<br />

dell’ipotesto (versetto 45) (et beata quae cre<strong>di</strong>t) al maschile (Felix<br />

qui) il poeta spagnolo conferisce al makarismòs un’intonazione <strong>di</strong><br />

carattere universale e introduce il concetto della <strong>di</strong>gnatio <strong>di</strong>vina nei<br />

riguar<strong>di</strong> dell’uomo.<br />

Nella parafrasi dei versetti lucani, Paolino procede con grande libertà,<br />

spiegando il testo e realizzandolo con ad<strong>di</strong>tiones interessanti:<br />

Illa ubi concepto fulgentem lumine longe<br />

conspexit Mariam, celeri procul incita gressu<br />

obuia progre<strong>di</strong>tur uenerataque brachia tendens:<br />

salue, o mater, ait, domini, salue, pia uirgo,<br />

inmunis thalami coitusque ignara uirilis,<br />

sed paritura deum; tanti fuit esse pu<strong>di</strong>cam,<br />

intacta 13 ut ferres titulos et praemia nuptae.<br />

Cur mihi non meritae nec tanto munere <strong>di</strong>gnae<br />

officii defertur honos Cur gloria caeli<br />

in nostros delata Lares et uilia tecta<br />

13<br />

Accolgo l’emendazione intacta proposta da D. R. Shakleton Bailey (Critical<br />

Notes on the Poems of Paulinus <strong>Nola</strong>nus , «Am. Journ. Philol.» 1976p. 4 s.) sulla<br />

base della considerazione che lo stato <strong>di</strong> nupta intacta non è in sé stesso miracoloso<br />

e non comporta alcun titolo o premio. Il senso è: Maria, pur rimanendo vergine,<br />

aveva <strong>di</strong>ritto al nome e ai privilegi della donna sposata e madre.<br />

198 –


obscuris tantum lumen penetralibus infert<br />

Sed mitis placidusque suis cultoribus adsit,<br />

praestet et hunc genitus quem praestitit ante fauorem.<br />

Dixit et amplexus ulnis circumdata iunxit<br />

iamque deum uenerata pio de<strong>di</strong>t oscula uentri <strong>14</strong> .<br />

Nella scena inondata dalla luce irra<strong>di</strong>ata da Maria il <strong>Nola</strong>no colloca<br />

Elisabetta, che, non appena la vede da lontano, le va subito incontro<br />

e le tende le braccia in atto <strong>di</strong> venerazione (brachia tendens ).<br />

La lontananza tra le due donne, esclusa da Luca (v. 40) e sottolineata<br />

invece da Paolino attraverso l’impiego <strong>di</strong> longe al v. <strong>14</strong>8 e procul al<br />

v. <strong>14</strong>9, è un motivo epico, probabilmente mutuato da Virgilio 15 e dal<br />

suo predecessore Giovenco. 16<br />

Il saluto <strong>di</strong> Elisabetta (secondo stico del versetto 42) è sviluppato<br />

nei vv. 151-54 da Paolino, che, riprendendo da Giovenco il termine<br />

classico salue e impiegandolo due volte nello stesso verso, saluta<br />

Maria, come madre <strong>di</strong> Dio e pia vergine. 17<br />

L’interrogatio lucana (versetto 43) si sdoppia in Paolino in due<br />

interrogationes, che sottolineano l’omaggio <strong>di</strong> Elisabetta, che nella<br />

prima si <strong>di</strong>chiara indegna della visita della congiunta e nella seconda<br />

(nella scia <strong>di</strong> Giovenco) si stupisce che il Signore abbia voluto con la<br />

sua presenza illuminare la sua oscura <strong>di</strong>mora. Il motivo della luce<br />

riprende e sviluppa l’accenno contenuto nel v. <strong>14</strong>8 e ha indubbi punti<br />

<strong>di</strong> contatto con il luogo parallelo <strong>di</strong> Giovenco 1, 88s. Unde meam<br />

tanto uoluit deus aequus honore /illustrare domum .<br />

<strong>14</strong><br />

Paul. Nol. carm. 6, <strong>14</strong>8-62: «Ella appena vide da lontano Maria fulgente<br />

della luce che aveva concepito, le va incontro da lontano muovendosi con passo<br />

veloce e, tendendo le braccia in atto <strong>di</strong> venerazione, <strong>di</strong>ce : “Salve, o madre <strong>di</strong> Dio,<br />

salve, o pia vergine, libera da nozze e ignara <strong>di</strong> rapporti con uomo, ma destinata a<br />

partorire <strong>di</strong>o; fu tanto importante per te l’essere pu<strong>di</strong>ca, che da vergine portavi i<br />

titoli e i privilegi della donna sposata. Perché a me che non lo merito e non sono<br />

degna <strong>di</strong> un dono così grande viene offerto l’onore della tua visita Perché la<br />

gloria del cielo portata nella nostra famiglia e nella nostra umile casa introduce<br />

negli oscuri penetrali una luce così intensa Ma il figlio assista mite e placido i suoi<br />

devoti e garantisca il favore che già prima aveva concesso”. Disse e circondata<br />

dalle sue braccia ricambiò gli abbracci e, già venerando Dio, dette baci al santo<br />

seno».<br />

15<br />

Cf. Verg. Aen. 6, 684s. Isque ubi tendentem aduersum per gramina ui<strong>di</strong>t /<br />

Aenean, alacris palmas utrasque teten<strong>di</strong>t .<br />

16<br />

Cf. Iuuenc. 2, 110 illum ubi tendentem longe respexit Iesus .<br />

17<br />

Cf. P. Flury, Das sechste Ge<strong>di</strong>cht des Paulinus von <strong>Nola</strong>, «Vig. Chr.» 27,<br />

1973, p. 138.<br />

– 199


Segue l’invocazione al redentore dell’umanità, che con l’incarnazione<br />

ha già manifestato il suo favore, ad assistere i suoi devoti .<br />

La preghiera è modellata su quella dei fanciulli ad Apollo nel Carmen<br />

saeculare <strong>di</strong> Orazio (33s Con<strong>di</strong>to mitis placidusque telo / supplices<br />

au<strong>di</strong> pueros) più che su quella <strong>di</strong> Enea a Mercurio (Verg. Aen. 4, 578<br />

Adsis o placidusque iuues).<br />

Paolino conclude la parafrasi dei versetti lucani con l’ine<strong>di</strong>to<br />

particolare del mutuo abbraccio delle due donne (Maria per prima<br />

abbraccia Elisabetta, che risponde con un abbraccio e con il bacio al<br />

santo grembo <strong>di</strong> Maria). 18<br />

2. 3. La pericope della visita <strong>di</strong> Maria a Elisabetta si conclude<br />

con il Magnificat, che, con abbondanti riferimenti alle profezie<br />

veterotestamentarie, celebra le gesta misericor<strong>di</strong>ose <strong>di</strong> Dio lungo l’arco<br />

della storia della salvezza, che trovano nella pienezza dei tempi la<br />

loro definitiva realizzazione.<br />

Nel cantico, che si ispira a quello <strong>di</strong> Anna (1 Samuele 2, 1-10),<br />

Maria, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Elisabetta, si rivolge <strong>di</strong>rettamente a Dio e lo<br />

saluta come salvatore.<br />

Maria esprime la sua gioiosa gratitu<strong>di</strong>ne per il favore ricevuto<br />

(46-48), canta la misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio verso tutti quelli che lo temono<br />

(49-50) e il suo speciale amore per gli umili (51-53) e per Israele<br />

(54-55):<br />

Lc 1, 46. Et ait Maria: Magnificat anima mea Dominum (47) et<br />

exsultauit spiritus meus in Deo salutari meo. (48) Quia respexit<br />

humilitatem ancillae suae; ecce enim ex hoc beatam me <strong>di</strong>cent omnes<br />

generationes. 49. Quia fecit mihi magna qui potens est; et sanctum<br />

nomen eius.50. Et midericor<strong>di</strong>a eius a progenie in progenies timentibus<br />

eum. 51. Fecit potentiam in brachio suo, <strong>di</strong>spersit superbos mente<br />

cor<strong>di</strong>s sui. 52. Deposuit potentes de sede et exaltauit humiles. 53.<br />

Esurientes impleuit bonis et <strong>di</strong>uites <strong>di</strong>misit inanes. 54. Suscepit Israhel<br />

puerum suum, recordatus misericor<strong>di</strong>ae suae, 55. sicut locutus est ad<br />

patres nostros, Abraham et semini eius in saecula. 56. Mansit autem<br />

Maria cum illa quasi mensibus tribus, et reuersa est in domum suam 19 .<br />

18<br />

Il primo emistichio del v. 161 è mutuato da Verg. Aen. 8, 615 Dixit et amplexus<br />

nati Cytherea petiuit .<br />

19<br />

Lc 1, 46-56: «E Maria <strong>di</strong>ce: L’anima mia magnifica il Signore e il mio Spirito<br />

esultò in Dio, mio Salvatore. Perché ha considerato l’umiltà della sua ancella; ecco<br />

infatti da questo momento tutte le generazioni mi chiameranno beata.Perché gran<strong>di</strong><br />

cose mi ha fatto il Potente; e santo è il suo nome, e la sua misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> generazione<br />

in generazione va a quelli che lo temono. Ha messo in opera la potenza del suo<br />

braccio, ha <strong>di</strong>sperso i superbi con i <strong>di</strong>segni da loro concepiti. Ha rovesciato i potenti<br />

dal trono e innalzato gli umili. Ha ricolmato <strong>di</strong> beni gli affamati e rimandato i<br />

200 –


Il Magnificat è stato parafrasato da Giovenco in un<strong>di</strong>ci versi:<br />

Illa trahens animum per gau<strong>di</strong>a mixta pudore<br />

subpressae uocis pauitantia <strong>di</strong>cta uolutat:<br />

“Magnificas laudes animus gratesque repen<strong>di</strong>t<br />

inmensi Domino mun<strong>di</strong>. Vix gau<strong>di</strong>a tanta<br />

spiritus iste capit, quod me <strong>di</strong>gnatus in altum<br />

erigit ex humili celsam cunctisque beatam<br />

gentibus et saeclis uoluit Deus aequus haberi.<br />

Sustulit ecce thronum saeuis fregit superbos,<br />

largifluis humiles opibus <strong>di</strong>tauit egentes”.<br />

Tunc illic mansit trinos ex or<strong>di</strong>ne menses<br />

ad propriamque domum repedat iam certa futuri 20 .<br />

Nei versi 94-95, costruiti con materiali poetici 21 , il presbitero<br />

spagnolo dà voce alla contenuta gioia <strong>di</strong> Maria, che si esprime attraverso<br />

la voce rotta dall’emozione.<br />

La parafrasi procede, quin<strong>di</strong>, nella scia dell’ipotesto, <strong>di</strong> cui riprende<br />

concetti e lessico.<br />

Giovenco sviluppa nei vv. 96-97 il versetto 47, aggiungendo il<br />

motivo della gratitu<strong>di</strong>ne al Signore dell’immenso mondo (inmensi<br />

mun<strong>di</strong>) 22 ; accentua nella riscrittura del versetto 47 l’umana incontenibilità<br />

dell’esultanza <strong>di</strong> Maria (97-98 uix ... /... capit ); unisce in<br />

un rapporto <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione sintattica i due stichi paratattici del<br />

versetto 48 trasformando la considerazione <strong>di</strong> Dio dell’umiltà della<br />

sua ancella in degnazione per il suo stato (vv. 98-99) e accentuando il<br />

ruolo <strong>di</strong> Dio (anche qui definito aequus) nella proclamazione della<br />

ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericor<strong>di</strong>a,<br />

come aveva promesso ai nostri padri a favore <strong>di</strong> Abramo e della sua <strong>di</strong>scendenza,<br />

per sempre. Maria rimase con lei circa tre mesi, poi ritornò a casa sua.».<br />

20<br />

Iuuenc. 1, 94-104: «Ella respirando con gioia mista a pudore emette parole<br />

con la voce smorzata dal timore: “L’animo rende magnifiche lo<strong>di</strong> e ringraziamenti<br />

al Signore dell’immenso mondo. A stento questo spirito contiene una gioia sì grande,<br />

perché il Dio giusto si è degnato <strong>di</strong> innalzare in alto me che stavo in basso e ha<br />

voluto che fossi ritenuta beata da tutti i popoli nei secoli. Ecco ha tolto il trono ai<br />

malvagi, ha abbattuto i superbi, ha arricchito con abbondanti ricchezze gli umili<br />

bisognosi”. Allora rimase lì tre mesi <strong>di</strong> seguito e ritorna alla propria casa ormai<br />

certa del futuro»<br />

21<br />

Nel v. 94 il poeta spagnolo riusa il primo emistichio <strong>di</strong> Varrone, Arg. 8, 400<br />

Ille trahens spiritum e le clausole <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o met. 9, 527 e Stat. silu. 5, 1, 65 mixta<br />

pudori e nel v. 95 rielabora le immagini <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o met. 5, 192s. pars ultima uocis<br />

/ in me<strong>di</strong>o suppressa sono est e trist. 3, 3, 21 suppressaque lingua palato .<br />

22<br />

Il nesso è mutuato da Ou. met. 2, 35 o lux immensi publica mun<strong>di</strong>: è Fetonte<br />

che così appella il padre Febo.<br />

– 201


sua beatitu<strong>di</strong>ne da parte <strong>di</strong> tutte le genti (vv. 99-100); dei versetti 49-<br />

52 ritiene al v. 101 - accostandole asindeticamente - solo le due immagini<br />

contenute dai versetti 52 1 e 51 2 ; ricrea poeticamente nel v.<br />

102 il primo stico del versetto 53 23 ; omette i versetti 54 e 55; e parafrasa<br />

quasi ad uerbum il versetto 56 nei vv. 103-04 con due non insignificanti<br />

ad<strong>di</strong>tiones: i circa tre mesi <strong>di</strong>ventano tre mesi senza interruzione<br />

(la clausola ex or<strong>di</strong>ne menses è mutuata da Verg. georg. 4,<br />

507) e Maria ritorna con la certezza <strong>di</strong> ciò che le avverrà (la clausola<br />

iam certa futuri sembra richiamare la clausola in litote <strong>di</strong> Verg. Aen.<br />

4, 508 haud ignara futuri).<br />

Omessa la riscrittura del Magnificat <strong>di</strong> Maria (Lc 1, 46-56), il<br />

<strong>Nola</strong>no rivolge ex abrupto un’apostrofe alla Giudea, rea <strong>di</strong> non aver<br />

creduto alle profezie scritturistiche (vv. 163-72) e inserisce nei vv.<br />

173-78 <strong>di</strong>chiarazioni che valgono a integrare il quadro del programma<br />

poetico, quale emerge dalla praefatio.<br />

Riporto il primo brano:<br />

Dic age nunc, Iudaea nocens et sanguine regis<br />

conmaculata tui, uerbis si nulla priorum<br />

est adhibenda fides, sacros si fallere uates<br />

cre<strong>di</strong>tis et Moysen ipsum, si fallere Dauid<br />

inpia peruersae putat inclementia gentis,<br />

cre<strong>di</strong>te non genitis; materna clausus in aluo<br />

quid uideat, sancto matris docet ore Iohannes.<br />

Quis, precor, hunc docuit quem casto uiscere uirgo<br />

contineat, quantus maneat noua saecula partus<br />

Sed sanctis abstrusa patent nec uisa profanis 24 .<br />

23<br />

Cf. Lc 1, 53 1 Esurientes impleuit bonis ~ v. 102 largifluis humiles opibus<br />

<strong>di</strong>tauit egentes ; questo verso - impreziosito da un aggettivo poetico (cf. Lucr. 5,<br />

598 largifluum fontem) - è armonioso grazie alla prevalenza dei dattili, alla triplice<br />

scansione delle cesure, e alla corrispondenza delle due coppie <strong>di</strong> aggettivi e sostantivi.<br />

24<br />

Paul. Nol. carm. 6, 163-72: « Orsù rispon<strong>di</strong>, o Giudea funesta e macchiata del<br />

sangue del tuo re, se non bisogna prestar fede alle parole degli antenati, se credete<br />

che i sacri profeti e lo stesso Mosè siano ingannatori, se l’empia inclemenza del tuo<br />

popolo perverso ritiene che Davide sia un ingannatore, prestate allora fede a coloro<br />

che non sono ancora nati; Giovanni ci comunica attraverso la santa bocca della<br />

madre ciò che vede mentre è racchiuso nel ventre materno. Chi, ti prego, gli mostrò<br />

chi sia colui che la santa vergine contiene nelle caste visceri e quanto grande sia il<br />

figlio riservato alla nuova età. Ma le cose segrete sono manifeste ai santi, mentre<br />

quelle viste non lo sono ai profani».<br />

202 –


Nell’improvvisa apostrofe alla Giudea, definita funesta e regicida,<br />

25 Paolino invita con un ragionamento sillogistico, che ha del paradossale,<br />

i Giudei che si rifiutano <strong>di</strong> credere ai sacri profeti, a Mosè<br />

e a Davide 26 , a credere a Giovanni che dal seno materno comunica<br />

ciò che vede. E da chi è informato Giovanni, se non da colui che è<br />

destinato ai noua saecula 27 . Il brano si chiude con un’antitesi, marcata<br />

dal chiasmo, tra i santi che vedono le cose segrete, e i profani<br />

che non vedono neppure quelle palesi.<br />

Riporto il secondo brano:<br />

Verum egressa modum latos petit orbita campos<br />

atque oblita mei procurrere longius audet.<br />

Spero, erit ut possim firmato robore quondam<br />

hoc quoque per spatium fortes agitare quadrigas.<br />

Nunc coeptum repetamus iter; mortalia <strong>di</strong>cat<br />

pagina mortalis, dominum <strong>di</strong>uina loquantur 28 .<br />

La quadriga <strong>di</strong> Paolino, oltrepassando i suoi limiti, tende verso<br />

campi spaziosi, e, <strong>di</strong>mentica delle capacità dell’auriga, osa spingersi<br />

troppo lontano.<br />

L’auriga non rinuncia, però, alla speranza <strong>di</strong> poter un giorno, quando<br />

avrà raggiunto una maggiore sicurezza nelle sue capacità, cimentarsi<br />

su questo più ampio terreno. Già in Tacito il campo nel quale gli<br />

oratori debbono muoversi con piena libertà è assimilato agli ampi<br />

campi che mettono alla prova la bravura e la classe dei cavalli 29 .<br />

25<br />

I vv. 163-64, nei quali è possibile scorgere l’eco <strong>di</strong> Giovenco 3, 419s. si<br />

fratrem proprium delicto commaculatum/ cernis, sono tenuti presente da Aratore 1,<br />

1 Vt sceleris Iudaea sui polluta cruore e 2, 958 O Iudaea nocens .<br />

26<br />

Il v. 164s. è modellato sull’incipit <strong>di</strong> Auson. epist. 2 (ed. Mon<strong>di</strong>n, Venezia<br />

1995, p. 6 ) Si qua fides falsis umquam est adhibenda poetis (si questa inuitatio<br />

vd. Mon<strong>di</strong>n , p. 66s.). Per Paolino, insomma, i giudei porrebbero sullo stesso piano<br />

i sacri uates e i falsi poetae .<br />

27<br />

Questo nesso è, a mio avviso, l’eco dell’interpretazione cristiana <strong>di</strong> Verg.<br />

buc. 4, 4-7. Cf., anche, Prud. cath. 11, 57-60 O quanta rerum gau<strong>di</strong>a/aluus pu<strong>di</strong>ca<br />

continet, /ex qua nouellum saeculum/ proce<strong>di</strong>t et lux aurea!<br />

28<br />

Paul. Nol. carm. 6, 173-78 : «Ma la mia quadriga, superando i suoi limiti, si<br />

<strong>di</strong>rige verso campi spaziosi e <strong>di</strong>mentica <strong>di</strong> me osa spingersi più lontano. Verrà il<br />

tempo - lo spero- in cui potrò, consolidate le mie forze, lanciare le forti quadrighe<br />

anche su questo terreno. Ripren<strong>di</strong>amo ora il cammino intrapreso; la pagina scritta<br />

da un mortale parli <strong>di</strong> cose mortali, gli scritti <strong>di</strong>vini parlino del Signore».<br />

29<br />

Cf. Tac. <strong>di</strong>alogus de oratoribus 39 Nam quo modo nobiles equos cursus et<br />

spatia probant, sic est aliquis oratorum campus, per quem nisi liberi et soluti ferantur,<br />

debilitatur ac frangitur eloquentia.<br />

– 203


Fuor <strong>di</strong> metafora, il poeta, preso atto della sua inadeguatezza a<br />

cantare temi teologicamente più elevati, ne rimanda la trattazione a<br />

quando avrà irrobustito le sue competenze teologiche (a queste mi<br />

pare che sia da riferire il sintagma firmato robore più che alla capacità<br />

poetica, <strong>di</strong> cui aveva chiara coscienza). Per il momento è meglio<br />

proseguire il cammino intrapreso, lasciando che lo scritto <strong>di</strong> un uomo<br />

canti avvenimenti mortali e gli scritti sacri parlino del Signore. Il che<br />

significa che Paolino, pur continuando a lavorare alla pagina mortalis,<br />

coltiva la segreta (ma non tanto!) aspirazione a un carme teologicamente<br />

più impegnato che lo trasformi in poeta <strong>di</strong>uinus .<br />

In quest’ottica la Laus sancti Iohannis può ben essere considerata<br />

come la premessa <strong>di</strong> una «storia evangelica» in versi, che avrebbe<br />

dovuto avere inizio con il Vangelo della nascita e infanzia <strong>di</strong> Cristo.<br />

3. Al termine dell’esame comparativo delle due riscritture metriche<br />

<strong>di</strong> Lc 1, 39-56 è opportuno formulare qualche sia pur provvisoria<br />

conclusione:<br />

1. Alla pericope lucana Giovenco ha de<strong>di</strong>cato 25 esametri, vale a<br />

<strong>di</strong>re il 62,5% <strong>di</strong> quelli de<strong>di</strong>cati da Paolino (40); alla <strong>di</strong>versa ampiezza<br />

corrispondono un <strong>di</strong>verso approccio e una <strong>di</strong>versa prospettiva.<br />

2. Le coincidenze verbali tra i due testi, non riconducibili all’ipotesto<br />

lucano, depongono a favore della <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> Paolino da<br />

Giovenco.<br />

3. Virgilio è utilizzato more centonario da Giovenco e in maniera<br />

più significativa da Paolino.<br />

4. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Paolino o <strong>di</strong> Sedulio, più proclivi alle ekphraseis,<br />

alle amplificazioni retoriche e patetiche, nonché agli sviluppi<br />

esegetici e me<strong>di</strong>tativi, Giovenco si matiene più aderente alla narratio<br />

evangelica, che egli ‘traduce’ hexametris uersibus paene ad uerbum<br />

(Hier. uir. ill. 84). La sua parafrasi può essere qualificata come letterale<br />

o grammaticale, a con<strong>di</strong>zione che con tale definizione si voglia<br />

sottolineare solo la pronunciata fedeltà degli Euangeliorum libri<br />

all’ipotesto sacro e non invece presentarli come il frutto <strong>di</strong> una versificazione<br />

pe<strong>di</strong>ssequa priva <strong>di</strong> ogni pregio poetico.<br />

204 –


IL DRAMMA DELLA CONVERSIONE<br />

NEL DIBATTITO TRA AUSONIO E PAOLINO<br />

GIOVANNI SANTANIELLO 1<br />

PREMESSA<br />

Negli anni della sua biografia, compresi tra la fine del suo governatorato<br />

campano (381) e il definitivo ritiro a <strong>Nola</strong> (395), Paolino<br />

maturò gradualmente la ra<strong>di</strong>cale “conversione” alla fede cristiana.<br />

Negli scritti <strong>di</strong> questo periodo egli ci fornisce puntuali e precisi riscontri.<br />

Ed anche in seguito egli farà ricorso alla sua “memoria” per<br />

“rileggere” la sua esperienza ascetica. 2 Infatti nello sketch autobiografico<br />

abbozzato nel carme XXI Paolino passa in rassegna gli avvenimenti<br />

più importanti della sua vita. 3 Ma più puntuale, per la cronologia,<br />

era stato già nella lettera 5 a Severo. 4<br />

Questi tre lustri della vita <strong>di</strong> Paolino sono nettamente <strong>di</strong>stinti in<br />

due fasi: la prima, quella aquitana (381-389), che Paolino, rientrato<br />

in patria da Roma, trascorre per lo più nel suo podere <strong>di</strong> Ebromago<br />

presso Bordeaux; la seconda, quella spagnola (389-395), segna il<br />

ritiro <strong>di</strong> Paolino in Spagna, nei suoi posse<strong>di</strong>menti presso Barcellona.<br />

Infatti Paolino, ricevuto il battesimo, nel 389, si ritira con la moglie<br />

Terasia in Spagna. Qui assapora la gioia della paternità con la nascita<br />

del figlio Celso, morto dopo appena otto giorni e sepolto a<br />

Complutum (Alcalà de Henares); matura insieme con la moglie la<br />

decisione <strong>di</strong> una vita ascetica, che comporta la ven<strong>di</strong>ta dell’immenso<br />

patrimonio per darne il ricavato ai poveri; <strong>di</strong>venta sacerdote su<br />

pressante richiesta del popolo <strong>di</strong> Barcellona, nel Natale del 394. Il<br />

ritiro spagnolo <strong>di</strong> Paolino è documentato soprattutto dalla corrispondenza<br />

col suo maestro Ausonio. 5<br />

1<br />

Relazione tenuta al Convegno svoltosi al Centro “Resurrexit” <strong>di</strong> Pompei (22<br />

Giugno 2002) sul tema “Mondo classico e mondo cristiano: Contnuità e<br />

<strong>di</strong>scontinuità.<br />

2<br />

Così, per esempio, nella lettera 5 a Severo, del 395, e nel carme XXI, del<br />

407.<br />

3<br />

Cf. PAVL. NOL. c. XXI, nat. 13, 344-450.<br />

4<br />

Cf. ID. epist. 5, 4-6 a Severo.<br />

5<br />

A questo periodo spagnolo appartengono anche altri scritti <strong>di</strong> Paolino, come<br />

– 205


I - DUE PROTAGONISTI<br />

Ausonio e Paolino, due personaggi <strong>di</strong> primo piano sull’orizzonte<br />

occidentale dell’impero romano alla fine del IV secolo. La loro corrispondenza<br />

costituisce “un episo<strong>di</strong>o della fine del paganesimo”. 6 Il<br />

maestro e l’alunno, vissuti per decenni in piena sintonia e concor<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> arte, <strong>di</strong>mostrandosi stima ed affetto reciproci, immersi<br />

nel mondo aristocratico e letterario dei gran<strong>di</strong> proprietari terrieri della<br />

Gallia imperiale, ad un certo momento si ritrovano a dover constatare<br />

che le loro esistenze hanno imboccato decisamente strade <strong>di</strong>verse<br />

e che, anzi, adesso le loro vite procedono in <strong>di</strong>rezione opposta.<br />

Da una parte, Ausonio, il maestro, il retore più illustre ed il poeta<br />

più raffinato del suo tempo, il cantore convinto <strong>di</strong> un mondo mitologico<br />

e <strong>di</strong>vino, mondo che ora appare svuotato del suo significato<br />

religioso. Egli è <strong>di</strong> certo uno dei rappresentanti più in vista, stimato<br />

ed onorato, della società aristocratica dell’impero, i cui ricchi proprietari<br />

terrieri trascorrevano il tempo nelle loro villae <strong>di</strong> campagna<br />

tra gli svaghi e gli ozi letterari, e che, una volta battezzati, consideravano<br />

e vivevano anche la loro fede come motivo e occasione <strong>di</strong><br />

intrattenimento e <strong>di</strong> svago, senza che la nuova religione coinvolgesse<br />

e permeasse in profon<strong>di</strong>tà la loro vita: era la classe dei demichrétiens,<br />

<strong>di</strong> cui parlava già il Guignebert. 7 Ausonio, chiamato a<br />

corte dall’imperatore Valentiniano I, è impegnato per <strong>di</strong>versi anni<br />

nella formazione umana e intellettuale dell’erede al trono Graziano:<br />

il poeta, da quella posizione <strong>di</strong> prestigio e <strong>di</strong> potere, <strong>di</strong>spensa favori<br />

le epistt. 35 e 36 a Delfino e ad Amando per la morte <strong>di</strong> un suo fratello, il carme<br />

XXXI per il piccolo Celso, i carmi VI-IX con la Laus Sancti Iohannis e la parafrasi<br />

<strong>di</strong> tre salmi, oltre al Panegirico <strong>di</strong> Teodosio (perduto) e alle lettere (perdute) a<br />

Girolamo e ai Vescovi Africani.<br />

6<br />

Cf. A. PUECH, De Paulini <strong>Nola</strong>ni Ausoniique epistolarum commercio et<br />

communibus stu<strong>di</strong>is, Paris 1887; P. DE LABRIOLLE, La correspondance d’Ausone et<br />

de Paulin de Nole: Un épisode de la fin du paganisme, Paris 1910; R. P. H. GREEN,<br />

The Correspondence of Ausonius, in L’Antiquité classique 49 (1980), pp. 191-<br />

211, e G. GUTTILLA, Ausonio e Paolino: rapporti letterari ed umani,in <strong>Impegno</strong> e<br />

<strong>di</strong>alogo 10 (1992-94), pp. 177-189.<br />

7<br />

CH. GUIGNEBERT, Les demi-chrétiens et leur place dans l’Église antique, in<br />

Revue de l’hist. des religions 88 (1923), pp. 65-102. Sul cristianesimo <strong>di</strong> Ausonio,<br />

cf. C. RIGGI, Il cristianesimo <strong>di</strong> Ausonio, in Salesianum 30 (1968), pp. 642-695; P.<br />

LANGLOIS, Les poèmes chrétiens et le christianisme d’Ausone, in Revue de philologie<br />

43 (1969), pp. 39-58, e R. P. H. GREEN, The Christianity of Ausonius, in Stu<strong>di</strong>a<br />

Patristica 28 (1993), pp. 39-48.<br />

206 –


a parenti e amici ed anche al suo pupillo Paolino. Egli, alla morte <strong>di</strong><br />

Graziano, ritorna in patria e trascorre gli ultimi anni della vita nei<br />

<strong>di</strong>letti ozi letterari e poetici nel suo podere aquitano <strong>di</strong> Lucaniacum o<br />

<strong>di</strong> Pagus Novarus, presso Bordeaux, in corrispondenza epistolare<br />

con gli amici <strong>di</strong> sempre e con il suo <strong>di</strong>scepolo pre<strong>di</strong>letto. 8<br />

Dall’altra parte, Paolino, l’alunno, giovane speranza dell’impero<br />

romano, nobile e straor<strong>di</strong>nariamente ricco, davanti al quale brillano<br />

gran<strong>di</strong> progetti futuri. Il giovane <strong>di</strong>scepolo, <strong>di</strong>ligente e precoce, suscita<br />

l’ammirazione del maestro, perché assetato <strong>di</strong> sapere ed appassionato<br />

nella ricerca della verità: nella sua formazione intellettuale<br />

ed umana egli si è letteralmente immerso ed impregnato <strong>di</strong> quello<br />

stesso mondo mitico ed eroico incarnato e trasmesso a lui dal suo<br />

maestro, <strong>di</strong>venuto amico fedele e compagno <strong>di</strong> vita. Paolino, membro<br />

del senato romano, ha percorso una brillante carriera politica, il<br />

suo cursus honorum, in seno all’impero, fino a raggiungere il consolato<br />

e il governatorato della Campania (380/381). 9<br />

Orbene, in seguito all’assassinio dell’imperatore Graziano,<br />

Paolino con tutta la sua famiglia viene fatto segno <strong>di</strong> gravi calunnie<br />

da parte dell’usurpatore Massimo, per cui anche lui è costretto a ritornare<br />

in Aquitania. Qui vive ritirato nel suo podere <strong>di</strong> Ebromago,<br />

presso Bordeaux, rimanendo anche lui in corrispondenza epistolare<br />

con gli amici e con il maestro. Nel frattempo il giovane senatore<br />

sposa la nobildonna spagnola Terasia e si pone seriamente il problema<br />

della fede, lui che ancora non è battezzato. Sono gli anni in cui<br />

Paolino, affascinato da Cristo, si orienta decisamente verso la nuova<br />

religione: chiede il battesimo al vescovo <strong>di</strong> Bordeaux Delfino, che lo<br />

affida al suo presbitero Amando per farlo istruire nella fede. Alla<br />

fine viene battezzato e subito dopo con la moglie Terasia si ritira in<br />

Spagna presso Barcellona. Siamo nel 389. Da questo momento per<br />

più <strong>di</strong> tre anni Paolino non riceve notizie del suo maestro. 10<br />

Quin<strong>di</strong> il <strong>di</strong>alogo riprende e si intreccia in un autentico “<strong>di</strong>battito”<br />

sulla scelta <strong>di</strong> fede, nel quale però i due amici stentano a capirsi,<br />

perché espressione ormai <strong>di</strong> due mon<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi, incarnando Ausonio,<br />

8<br />

Cf. AVSON. Epistt. 5, 36 a Teone; 22, r. 11 e v. 43 a Paolino; Epigr. 30, 7. Sul<br />

sito <strong>di</strong> Lucaniacus, cf. R. ETIENNE, Bordeaux antique, Bordeaux 1962, pp. 354-<br />

357. Cf., inoltre, AVSON. Epist. 25, 95 a Paolino per il Pagus Novarus. Cf.<br />

A.PASTORINO, Opere <strong>di</strong> Decimo Magno Ausonio, Torino 1971, pp. 24-25, nota 36.<br />

9<br />

Cf. D. E. TROUT, Paulinus of <strong>Nola</strong>: Life, Letters and Poems, Berkeley-Los<br />

Angeles-London 1999, pp.23-52.<br />

10<br />

Ibid. pp. 53-77.<br />

– 207


la vecchia generazione, quella pagana o cristiana solo in superficie,<br />

e Paolino, la nuova, quella cristiana, che fa del Vangelo la legge fondamentale<br />

della propria vita. I due amici, che hanno camminato concor<strong>di</strong><br />

e felici per lungo tratto <strong>di</strong> strada, ad un certo punto si ritrovano<br />

su posizioni ra<strong>di</strong>calmente opposte, quasi costretti a separarsi, a rompere<br />

l’antica amicizia, soprattutto perché il maestro non riesce a capire<br />

né a con<strong>di</strong>videre le scelte <strong>di</strong> fede del <strong>di</strong>scepolo, che intende dare<br />

una svolta decisiva alla sua vita e alla sua attività poetica, de<strong>di</strong>candosi<br />

anima e corpo all’ideale ascetico. Ausonio, invece, della sua<br />

fede in Cristo e dei risvolti nella propria vita mostra <strong>di</strong> avere una<br />

concezione tutt’altro che autentica e seria. I due amici parlano ormai<br />

linguaggi <strong>di</strong>versi. Si delinea ormai nella loro corrispondenza e nella<br />

loro vita una frattura insanabile, che riproduce quella tra il mondo<br />

classico delle Muse, e il mondo cristiano, dominato da Cristo, unico<br />

magister virtutum. 11<br />

Un’opposizione, questa, che apparirà ancora più decisa e drammatica<br />

nella prima lettera <strong>di</strong> Paolino a Sulpicio Severo, l’amico <strong>di</strong><br />

sempre, del 395. E solo in seguito questa posizione così rigida andrà<br />

mitigandosi in Paolino, che riuscirà a conciliare il vecchio e il nuovo,<br />

“rivitalizzando” e “riconcettualizzando” l’ormai anemico mondo<br />

del mito e della poesia classica con i nuovi contenuti teologici e<br />

morali, quelli della religione cristiana. Resteranno sempre in vigore<br />

e operanti le antiche forme classiche della poesia e dell’arte, che<br />

però verranno “rivitalizzate” dalle verità <strong>di</strong> fede e dalla nuova morale<br />

instaurata dal Vangelo. 12<br />

II - PAOLINO IN SPAGNA TRA OTIUM RURIS E CONVERSIONE<br />

All’indomani dell’eliminazione dell’usurpatore Massimo da<br />

parte dell’imperatore Teodosio (388), Paolino insieme con la moglie<br />

Terasia si ritira presso Barcellona in Spagna ed interrompe drasticamente<br />

ogni contatto con il mondo e la consuetu<strong>di</strong>ne epistolare con<br />

gli amici <strong>di</strong> un tempo. Anche col suo maestro Ausonio. Si ha l’impressione<br />

che siasi trattato <strong>di</strong> vera e propria “fuga” dal suo podere <strong>di</strong><br />

Ebromago presso Bordeaux, dove aveva compiuto la iniziazione cristiana<br />

e maturato l’antico sogno ascetico balenatogli nella mente<br />

presso la tomba <strong>di</strong> S. Felice fin dalla sua prima giovinezza. Non sap-<br />

11<br />

ID. c. X, 52: magister hic virtutum.<br />

12<br />

Cf. D. E. TROUT, Paulinus of <strong>Nola</strong>… cit., pp. 78 e 89.<br />

208 –


piamo se sia stato proprio il suo “padre” spirituale Delfino oppure<br />

qualche altro cui stava a cuore la sua vita, a consigliargli il ritiro in<br />

incognito e lontano dalla patria <strong>di</strong>letta. Forse nella città <strong>di</strong> Bordeaux<br />

continuava a spirare aria e voci <strong>di</strong> persecuzione nei confronti suoi e<br />

della famiglia: calunnie e mal<strong>di</strong>cenze infondate porteranno all’uccisione<br />

<strong>di</strong> un suo fratello. Anche la morte precoce del figlio Celso avrà<br />

contribuito a mettere i suoi giovani genitori <strong>di</strong> fronte alla scelta vitale<br />

della loro esistenza: consacrare il proprio cuore a Cristo me<strong>di</strong>ante<br />

la perfezione evangelica.<br />

II.1 - Le due lettere superstiti <strong>di</strong> Ausonio<br />

Della corrispondenza intercorsa tra Ausonio e Paolino nel ritiro<br />

spagnolo dal 389 al 394 ci sono giunte tre lettere <strong>di</strong> Ausonio (23.24.25<br />

Schenkl) e due <strong>di</strong> Paolino (carmi X e XI).<br />

Le tre epistole superstiti <strong>di</strong> Ausonio facevano parte <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong><br />

almeno cinque, spe<strong>di</strong>te dal maestro al <strong>di</strong>scepolo nel periodo 389-393/<br />

394: delle cinque missive, tre giunsero a Paolino nel 393 in un unico<br />

plico: delle tre ce ne rimane una sola, la 23 Schenkl, a cui se ne aggiunse<br />

una quarta, la 24 Schenkl, spe<strong>di</strong>ta da Ausonio, ancora nel 393,<br />

ma prima <strong>di</strong> ricevere alcun riscontro da parte <strong>di</strong> Paolino. Quest’ultimo<br />

subito dopo, col carme X, risponde <strong>di</strong>rettamente a queste due lettere <strong>di</strong><br />

Ausonio, che, a sua volta, riba<strong>di</strong>sce poi le sue posizioni critiche con<br />

l’epistola 25 Schenkl, a cui Paolino farà seguito con il carme XI. A<br />

questo punto il carteggio tra i due si interrompe e nel contempo si<br />

spezzano definitivamente i vincoli della loro antica amicizia.<br />

Come già si può intuire, si tratta <strong>di</strong> uno scambio epistolare <strong>di</strong><br />

notevole importanza per comprendere il cammino <strong>di</strong> conversione <strong>di</strong><br />

Paolino. Ma nello stesso tempo esso evidenzia anche l’incapacità<br />

del maestro ad entrare ed accettare la ra<strong>di</strong>cale metànoia dell’allievo.<br />

Perciò la rottura dell’amicizia tra l’ottuagenario uomo <strong>di</strong> lettere e<br />

l’ancora giovane suo <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong>venta come il “tipo”, il simbolo,<br />

delle tante fratture che certamente Paolino dovette operare con gli<br />

amici <strong>di</strong> un tempo, fratture che rispecchiavano la lotta finale tra l’antico<br />

mondo e le nuove forze spirituali ed intellettuali, che alla fine<br />

del IV secolo andavano trasformando la società occidentale.<br />

Nel ritiro spagnolo (389-395) Paolino ha continuato, almeno all’inizio,<br />

a condurre la vita del grande proprietario terriero nella sua<br />

villa <strong>di</strong> campagna. Ma nel contempo egli è impegnato a riflettere<br />

sulle conseguenze del battesimo, appena ricevuto, sulle sue scelte<br />

religiose e sulla nuova condotta <strong>di</strong> vita.<br />

– 209


Nelle prime tre lettere, giunte a Paolino in Spagna in un unico<br />

plico, Ausonio, tra aspre critiche e amari rimproveri, si lamentava in<br />

modo particolare del lungo silenzio del suo <strong>di</strong>scepolo. E non avendo<br />

ricevuto alcuna risposta, ne scrisse una quarta, più lunga e fremente<br />

<strong>di</strong> sdegno e <strong>di</strong> delusione: il suo <strong>di</strong>scepolo non lo ha degnato nemmeno<br />

<strong>di</strong> un saluto nel lungo periodo dei tre anni trascorsi. Perché Chi<br />

gli impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> comunicare con l’amico Sarà quella Tanaquilla <strong>di</strong><br />

sua moglie Terasia, sempre gelosa e piena <strong>di</strong> sospetti, oppure Paolino<br />

si è imposto da sé la lex tacen<strong>di</strong>, <strong>di</strong>menticando i doveri dell’antica<br />

amicizia e mettendo da parte la buone abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> un tempo,<br />

allorquando con regolarità e stima reciproca i due si scambiavano<br />

doni e graziose lettere <strong>di</strong> accompagnamento, composte secondo i<br />

canoni classici della retorica e dell’arte poetica, e nel contempo ricche<br />

<strong>di</strong> sentimenti <strong>di</strong> amicizia schietti e profon<strong>di</strong> Oppure il suo <strong>di</strong>scepolo<br />

ha deciso <strong>di</strong> allontanarsi dalla patria e dagli amici per vivere<br />

in luoghi deserti un sereno otium ruris lontano dallo strepito del foro<br />

e dalle preoccupazioni per i beni del mondo, sull’esempio <strong>di</strong> filosofi<br />

e poeti impegnati a vivere in solitu<strong>di</strong>ne per meglio de<strong>di</strong>carsi alle<br />

attività dello spirito e della poesia Oppure Paolino si è ritirato in<br />

luoghi selvaggi in o<strong>di</strong>o al genere umano, ad imitazione del mitico<br />

cavaliere <strong>di</strong> Pegaso, Bellerofonte, o per seguire le orme del rigorismo<br />

ascetico del vescovo <strong>di</strong> Avila Priscilliano<br />

Tutti questi interrogativi e questi dubbi affollavano la mente e le<br />

epistole <strong>di</strong> Ausonio, che evidentemente non conosceva i nuovi progetti<br />

<strong>di</strong> Paolino e della moglie Terasia. Infatti dal giorno in cui i due<br />

giovani sposi avevano lasciato l’Aquitania per la Spagna, la corrispondenza<br />

tra i due amici si era interrotta. Ed Ausonio aveva<br />

<strong>di</strong>ffusamente esposto i suoi dubbi e gridato la sua amara delusione<br />

nelle sue epistole, dando corpo alle malevole <strong>di</strong>cerie (rumores) che<br />

pur erano trapelate sull’improvvisa “fuga” <strong>di</strong> Paolino da Bordeaux.<br />

Nell’epistola 23 Schenkl, infatti, Ausonio ripete i rimproveri rivolti<br />

al suo pupillo nella lettera precedente (perduta) per il suo silenzio<br />

e nello stesso tempo gli suggerisce stratagemmi, tratti dal mito e<br />

dalla storia, per poter eludere la vigilanza <strong>di</strong> un eventuale “tra<strong>di</strong>tore”<br />

o in<strong>di</strong>screto testimone della loro corrispondenza. Quin<strong>di</strong> punta i suoi<br />

strali <strong>di</strong>rettamente contro Terasia in<strong>di</strong>viduando in lei l’imperiosa e<br />

scaltra Tanaquilla, in quanto forse condannava il crimen amicitiae<br />

del suo sposo. Quest’accusa contro la moglie aveva ferito profondamente<br />

il cuore <strong>di</strong> Paolino.<br />

Nella parte finale del carme Ausonio richiama Paolino ai suoi<br />

doveri affettivi, che ancora lo legano al suo maestro, cui deve peren-<br />

210 –


ne gratitu<strong>di</strong>ne ed affetto per la formazione umana e intellettuale ricevuta:<br />

“Lascia perdere gli altri, ma non avere a <strong>di</strong>sdegno il <strong>di</strong>alogo<br />

con tuo padre. Sono io che ti ho allevato, che ti ho istruito, io che per<br />

primo ti ho fatto beneficiare degli antichi onori, per primo ti ho condotto<br />

nell’assemblea delle Muse”. 13<br />

E nell’epistola 24 Schenkl, sempre in riferimento all’ostinato silenzio<br />

del <strong>di</strong>scepolo, Ausonio sottolinea la “tendenza naturale <strong>di</strong> tutti<br />

gli esseri a far sentire la loro voce”. <strong>14</strong> Tutti, tranne il suo <strong>di</strong>letto<br />

Paolino, che caparbiamente si ostina nel suo silenzio. 15 Orbene, “anche<br />

una breve risposta, annota il Maestro, è <strong>di</strong> certo migliore del<br />

silenzio, dal momento che egli “non chiede che una pagina intessa<br />

lunghi versi e nemmeno che riempia le tavolette <strong>di</strong> prosa copiosa…<br />

V’è infatti un certo piacere nella brevità… E mai nessuno è piaciuto<br />

per il silenzio, molti invece per la brevità <strong>di</strong> eloquio (nemo silens<br />

placuit, multi brevitate loquen<strong>di</strong>)”. 16 Nella parte centrale dell’epistola,<br />

poi, Ausonio chiede al suo destinatario: “Hai dunque cambiato<br />

carattere (mores), mio dolcissimo Paolino”, avendo Paolino preferito<br />

le selvagge regioni della Guascogna alle civili e colte contrade<br />

dell’Aquitania e al tranquillo otium ruris <strong>di</strong> Ebromago. 17<br />

Perciò il vecchio poeta male<strong>di</strong>ce la Spagna per aver allontanato<br />

Paolino dal cielo della sua patria per spingerlo in regioni impervie<br />

dei Pirenei. In questo modo Paolino ha seguito l’esempio del mitico<br />

Bellerofonte, la cui figura <strong>di</strong> demente rende più in<strong>di</strong>viduabili e concreti<br />

gli stessii sospetti <strong>di</strong> Ausonio: colui che ha consigliato al suo<br />

alunno il ritiro in luoghi selvaggi e il silenzio prolungato è un empio,<br />

un violatore della pietas: “triste, povero, egli frequenti i deserti, percorra<br />

muto i luoghi alpestri, che si incurvano, così come un tempo<br />

Bellerofonte – <strong>di</strong>cono – andò vagando per luoghi impervi, privo <strong>di</strong><br />

ragione, evitando il contatto e le tracce degli uomini”. 18<br />

13<br />

AVS. epist. 23 Schenkl, vv..32-35: Tu contemne alios nec de<strong>di</strong>gnare parentem<br />

/ adfari verbis. Ego sum tuus altor et ille / praeceptor primus, veterum largitor<br />

honorum, / primus in Aonidum qui te collegia duxi.<br />

<strong>14</strong><br />

ID. epist. 24Schenkl, 17: Nil mutum natura de<strong>di</strong>t.<br />

15<br />

ID. epist. 24, 26-28.<br />

16<br />

Ibid. 34-44: Non ego longinquos ut texat pagina versus / postulo<br />

multiplicique oneret sermone tabellas /… Est etenim comis brevitas… O certa<br />

loquen<strong>di</strong> / regula… Nemo silens placuit, multi brevitate loquen<strong>di</strong>.<br />

17<br />

Ibid. 50: Vertisti, Pauline, tuos dulcissime mores / Vasconis hoc saltus et<br />

ninguida Pyrenaei / hospitia et nostri facit hoc oblivio caeli<br />

18<br />

Ibid. 69-72.<br />

– 211


Ausonio conclude il suo carme con la preghiera alle Muse della<br />

Beozia, affinché riportino il giovane poeta alle Camene del Lazio:<br />

“Muse della Beozia, vi prego: accogliete questa preghiera, questo<br />

grido e richiamate il vostro vate alle Camene del Lazio”. 19<br />

II.2 - Tanaquilla e Bellerofonte<br />

Tra mito e realtà<br />

Due figure della leggenda, quasi due icone fontali del testo, dominano<br />

nell’una e nell’altra lettera <strong>di</strong> Ausonio come metafore della<br />

condotta <strong>di</strong> Paolino e della moglie Terasia, in<strong>di</strong>viduati rispettivamente<br />

nell’eroe Bellerofonte <strong>di</strong> Corinto (= Efira <strong>di</strong> Omero) e nella<br />

donna <strong>di</strong> Tarquinia (città fondata da coloni corinzi), Tanaquilla, moglie<br />

del leggendario re <strong>di</strong> Roma Tarquinio Prisco ed esperta <strong>di</strong> riti<br />

magici etruschi. Sia l’uno che l’altro personaggio risultano familiari<br />

al vecchio poeta e presenti anche altrove nella sua opera.<br />

a). La storia <strong>di</strong> Tanaquilla, moglie del re Tarquinio Prisco, è presentata<br />

con dovizia <strong>di</strong> particolari dallo storico Tito Livio nel lungo<br />

capitolo 34 del I libro della sua opera Ab Urbe con<strong>di</strong>ta: Lucumone,<br />

“uomo ambizioso e potente per le sue ricchezze”, figlio <strong>di</strong> Demarato<br />

<strong>di</strong> Corinto, “ban<strong>di</strong>to dalla patria in seguito ad una rivoluzione”, era<br />

venuto a vivere a Tarquinia, città etrusca, dove aveva preso moglie.<br />

Gli erano nati due figli, Lucumone ed Arunte. Arunte muore prima<br />

del padre, lasciando la moglie incinta. Lucumone invece gli sopravvive,<br />

ere<strong>di</strong>tando l’immenso patrominio paterno. Ma il giovane<br />

Lucumone <strong>di</strong>viene ancora più ricco sposando appunto l’etrusca<br />

Tanaquilla, donna <strong>di</strong> nobile stirpe ed oltremodo ambiziosa. Costei<br />

induce il marito ad emigrare da Tarquinia a Roma, al fine <strong>di</strong> impossessarsi<br />

del regno. Lucumone, avido anche lui <strong>di</strong> onori e <strong>di</strong> gloria,<br />

asseconda i desideri della moglie: abbandona Tarquinia e, giunto alle<br />

porte <strong>di</strong> Roma, riceve un buon auspicio da parte degli dei: un’aquila,<br />

uccello sacro a Giove, sorvolando sul capo del giovane sposo, seduto<br />

accanto alla moglie sul carro, gli porta via il copricapo: per<br />

Tanaquilla, esperta nell’interpretazione degli auspici (perita, ut vulgo<br />

Etrusci, caelestium pro<strong>di</strong>giorum mulier), è il segno dell’inelu<strong>di</strong>bile<br />

volere degli dei in loro favore. Frattanto Lucumone e la moglie, sta-<br />

19<br />

Ibid. 73-74: Haec praecor, hanc vocem, Boeotia numina Musae, / accipite<br />

et Latiis vatem revocate Camenis.<br />

212 –


ilitisi nella città <strong>di</strong> Roma, si conquistano ben presto le grazie ed i<br />

favori del re Anco Marzio. E alla morte del re, Lucumone, preso il<br />

nome <strong>di</strong> Lucio Tarquinio Prisco, con la sua facon<strong>di</strong>a riesce a convincere<br />

il popolo ad eleggerlo re dei Romani. E fu il quinto re nella serie<br />

dei re <strong>di</strong> Roma. 20<br />

La storia-leggenda dell’imperiosa Tanaquilla, narrata dallo storico<br />

romano, trova ampio riscontro nella tra<strong>di</strong>zione poetica latina.<br />

Accenniamo soltanto a qualche esempio.<br />

Così nei Fasti <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o, Tanaquilla, come regina e moglie <strong>di</strong><br />

Tarquinio Prisco, presiede alla celebrazione dei riti sacri indetti dal<br />

re in seguito all’incen<strong>di</strong>o del tempio della dea Fortuna. La regina è<br />

assistita dalla sua ancella Ocresia, oriunda da Cornicoli, antica località<br />

del Lazio: la bellissima Ocresia, in questa occasione, rovistando<br />

tra le macerie ancora fumanti, si unisce al <strong>di</strong>o Vulcano e concepisce<br />

Servio Tullio, che sarà appunto il successore <strong>di</strong> Tarquinio Prisco. 21<br />

Anche in questo testo ovi<strong>di</strong>ano risalta la peculiare attività <strong>di</strong><br />

Tanaquilla come donna esperta dell’arte mantica, in cui erano maestri<br />

gli antichi Etruschi.<br />

Né poteva mancare Tanaquilla nella famosa <strong>di</strong>atriba della sesta<br />

Satira <strong>di</strong> Giovenale contro le donne. Qui, però, la moglie <strong>di</strong> Tarquinio<br />

Prisco appare nelle vesti <strong>di</strong> una donna malefica che consulta un famoso<br />

astrologo, relegato in un’isoletta delle Cicla<strong>di</strong>, nel mare Egeo:<br />

Tanaquilla vuole essere informata “sulla morte troppo lenta della<br />

madre itterica... e vuol sapere quando potrà accompagnare al cimitero<br />

la sorella e gli zii e se sopravvivrà l’amante: quali grazie maggiori<br />

potrebbero elargire gli dei...”. 22<br />

Negli scritti <strong>di</strong> Ausonio Tanaquilla compare almeno due volte e<br />

nella sua duplice immagine <strong>di</strong> donna <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> virtù (ingenitis pollens<br />

virtutibus), accanto alla figura <strong>di</strong> donna sospettosa ed intrigante. Innanzi<br />

tutto la incontriamo nell’ultimo componimento dei Parentalia<br />

(...Urbica, Censoris nobilitata toro, / ingenitis pollens virtutibus<br />

auctaque et illis /... / quas habuit Tanaquil...). In questo carme, de<strong>di</strong>cato<br />

a Pomponia Urbica, suocera <strong>di</strong> una figlia <strong>di</strong> Ausonio e sposa <strong>di</strong><br />

Giuliano Censore, Tanaquilla, celebre per prudenza e perizia negli<br />

auspici, Ausonio la presenta come modello <strong>di</strong> virtù egregie, accanto<br />

a Teano, figlia o <strong>di</strong>scepola <strong>di</strong> Pitagora, e all’eroina Alcesti, che ri-<br />

20<br />

LIV. I, 34.<br />

21<br />

OVID. Fast. VI, 629-636.<br />

22<br />

IVV. Sat. VI, 565-571.<br />

– 213


scattò dal destino fatale, con la propria vita, la vita del marito<br />

Admeto. 23<br />

Nel secondo passaggio ausoniano, invece, appare l’altra faccia,<br />

quella negativa, del personaggio Tanaquilla. Ed è proprio nella lettera<br />

23 <strong>di</strong> Ausonio a Paolino. Si tratta appunto del luogo in cui la moglie<br />

<strong>di</strong> Paolino Terasia è presentata da Ausonio nelle vesti <strong>di</strong> Tanaquilla,<br />

donna bisbetica e ambiziosa, gelosa e in<strong>di</strong>screta sulle scelte<br />

del suo marito.<br />

b). Quanto alla figura <strong>di</strong> Bellerofonte, presente nell’epistola 24<br />

<strong>di</strong> Ausonio a Paolino, essa appare nella leggenda narrata per la prima<br />

volta da Omero nel VI libro dell’Iliade: figlio <strong>di</strong> Glauco, a sua<br />

volta <strong>di</strong>scendente <strong>di</strong> Sisifo e <strong>di</strong> Eolo, Bellerofonte, eroe <strong>di</strong> Efira<br />

(Corinto), avendo ucciso Bellero, tiranno <strong>di</strong> Corinto, fu costretto ad<br />

abbandonare la città. Esule, fu accolto dal re <strong>di</strong> Tirinto Preto. Qui la<br />

moglie del re, Stenebea (Omero la chiama Antea), si invaghì dell’eroe,<br />

che respinse sdegnosamente il suo amore. Bellerofonte, perciò,<br />

accusato dalla donna <strong>di</strong> aver tentato <strong>di</strong> sedurla, venne dal re<br />

esiliato presso il suocero Iobate, re <strong>di</strong> Licia, in Asia Minore. Qui<br />

Bellerofonte, sempre protetto e guidato dagli dei, fu impegnato dal<br />

re in una serie <strong>di</strong> imprese, alle quali <strong>di</strong>fficilmente sarebbe sopravvissuto,<br />

se con l’aiuto <strong>di</strong> Atena non fosse riuscito a domare il cavallo<br />

alato Pegaso: uccise così la Chimera, vinse i Solimi, le Amazzoni e i<br />

più valorosi guerrieri degli stessi Lici, finché il re Iobate, ammirato,<br />

gli concesse il <strong>di</strong>ritto a succedergli sul trono, sposando sua figlia<br />

Filonoe. Da costei Bellerofonte ebbe tre figli: Isandro, Ippoloco e<br />

Laodamia, tutti ben poco fortunati nella loro vita. D’altra parte, lo<br />

stesso Bellerofonte, insuperbitosi per i suoi successi, in groppa al<br />

cavallo Pegaso, volle salire sull’Olimpo. Ma, <strong>di</strong>sarcionato da Giove,<br />

precipitò nella pianura <strong>di</strong> Alea, in Licia, dove, fuori <strong>di</strong> sé e nella più<br />

squallida solitu<strong>di</strong>ne, andò errando per il resto della sua vita. 24 Quest’ultimo<br />

aspetto della vita dell’eroe, aspetto che sarà sottolineato<br />

nella tra<strong>di</strong>zione latina, viene così descritto da Omero: “Ma quando<br />

anch’egli fu in o<strong>di</strong>o a tutti i numi, allora errava, solo, per la pianura<br />

Alea, consumandosi il cuore, fuggendo orma d’uomini”. 25 Al <strong>di</strong> fuo-<br />

23<br />

AVSON. Parent. 32, 1-6: Ut generis clari, veterum sic femina morum, / Urbica,<br />

Censoris nobilitata toro, / ingenitis pollens virtutibus auctaque et illis, / quas<br />

docuit coniunx, quas pater et genetrix:/ quas habuit Tanaquil, quas Pythagorea<br />

Theano, / quaeque sine exemplo pro nece functa viri.<br />

24<br />

HOM. Il. VI, 152-211.<br />

25<br />

Ibid. 200-202.<br />

2<strong>14</strong> –


i del racconto omerico, la vicenda <strong>di</strong> Bellerofonte è strettamente<br />

legata al cavallo Pegaso, con l’aiuto del quale l’eroe compie le gloriose<br />

imprese, ed anche l’ultimo tentativo che, però, lo porterà alla<br />

rovina.<br />

Ad ogni modo soprattutto due elementi sono posti in risalto nella<br />

tra<strong>di</strong>zione del mito: da una parte, la casta integrità dell’eroe, che lo<br />

rende grato agli dei e glorioso fra gli uomini e che accomuna la sua<br />

vicenda a quella <strong>di</strong> altri eroi mitici, come Ippolito e Peleo, e a quella<br />

del biblico Giuseppe, figlio <strong>di</strong> Giacobbe, e, dall’altra parte, l’empia<br />

demenza, che alla fine lo perderà. 26<br />

Presso gli autori latini, poi, la figura <strong>di</strong> Bellerofonte esercitò un<br />

grande fascino, 27 e la sua complessa e tragica vicenda umana ebbe il<br />

suo tramite in Cicerone, che nelle Tusculanae Disputationes, richiamandosi<br />

ad Omero, sottolineava la tragica fine dell’eroe <strong>di</strong> Corinto. 28<br />

Certamente l’opera <strong>di</strong> Cicerone costituisce la fonte <strong>di</strong>retta, a cui<br />

attinse anche Ausonio nella sua lettera metrica a Paolino, dove il vecchio<br />

poeta riba<strong>di</strong>va il vagare in solitu<strong>di</strong>ne dell’eroe caduto in <strong>di</strong>sgrazia<br />

degli dei per la sua superbia (coetus hominum et vestigia vitans). 29<br />

In molti altri luoghi ausoniani, poi, la figura dell’eroe corinzio<br />

ritorna legata al cavallo alato Pegaso, che lo accompagna nella realizzazione<br />

delle sue gloriose imprese. 30<br />

Anche Rutilio Namaziano, circa 25 anni dopo Ausonio, utilizzerà<br />

la figura <strong>di</strong> Bellerofonte per accusare gli asceti cristiani e scagliarsi<br />

contro i monachi che, in fuga dal mondo e dalla luce, vivevano<br />

sull’isola <strong>di</strong> Capraia, al largo della costa settentrionale italiana. 31<br />

26<br />

Quanto alla tra<strong>di</strong>zione greca, anche ESIODO, nella Teogonia (v. 325), ricorda<br />

l’eroe <strong>di</strong> Corinto. Ma è soprattutto LUCIANO che nei Dialoghi continua la tra<strong>di</strong>zione<br />

omerica (33, 42; 36, 13; 58, 18; 59, 26; 80, 254).<br />

27<br />

Cf. HOR. Cc. III, 12, 8; III, 7, 15; IV, 11, 28; IVV. Sat. X, 324-328.<br />

28<br />

CIC. Disp. III, 26, 63: ut ait Homerus de Bellerophonte: Qui miser in campis<br />

maerens errabat Aleis, / ipse suum cor edens, hominum vestigia vitans.<br />

29<br />

AVSON. Epist. 24, 69-72: Tristis, egens deserta colat tacitusque pererret /<br />

alpini convexa iugi, ceu <strong>di</strong>citur olim / mentis inops coetus hominum et vestigia<br />

vitans / avia perlustrasse vagus loca Bellerophontes.<br />

30<br />

ID. epist. 4, 9 a Teone; epistt. 21, 8-10 e 19-22; Epitaph. 32, 9; Grat. Actio<br />

18, 15-16.<br />

31<br />

NAMAT. De re<strong>di</strong>tu suo I, 448-452. Sulla figura <strong>di</strong> Bellerofonte nella tra<strong>di</strong>zione<br />

cristiana, cf. Y.-M. DUVAL, Recherches sur la langue et la litterature latines:<br />

Bellérophon et les ascètes chrétien:” Melancholia” ou “otium”, in Caesarodunum<br />

3 (1968), 183-190; M. SIMON, Bellérophon chrétien, in Mélanges d’archéologie,<br />

d’épigraphie et d’histoire offerts à Jérome Carcopino, Paris 1966, pp. 889-904.<br />

– 215


II.3 - La prima risposta <strong>di</strong> Paolino: carme X<br />

Allorquando, nel 393, Paolino riceve, il plico inatteso e legge le<br />

lettere del suo vecchio maestro, rimane molto sconcertato e profondamente<br />

amareggiato per il forte risentimento, per le accuse e le insinuazioni<br />

emergenti dai versi del <strong>di</strong>letto “padre”: un’amarezza ed<br />

una critica che certamente tormentano e preoccupano l’ormai ottuagenario<br />

precettore, ma che pungono nell’intimo soprattutto la sensibilità<br />

del <strong>di</strong>scepolo.<br />

Pertanto la risposta <strong>di</strong> Paolino è imme<strong>di</strong>ata e decisa. In essa il<br />

giovane neofita riba<strong>di</strong>sce con forza che egli, insieme con la moglie<br />

Terasia, nel 393, stavano maturando seriamente la decisione <strong>di</strong> cambiare<br />

vita per seguire Cristo, in attuazione del nuovo progetto <strong>di</strong> perfezione<br />

evangelica.<br />

Consideriamo brevemente i passaggi più significativi della risposta<br />

<strong>di</strong> Paolino nel carme X, <strong>di</strong> 331 versi, composto appunto nel<br />

393, che si articola in tre parti, <strong>di</strong>stinte da ritmi poetici <strong>di</strong>versi:<br />

- vv. 1-18, la propositio o argumentum, in <strong>di</strong>stici elegiaci, in cui<br />

Paolino accusa ricevuta delle tre lettere dell’amico e presenta il piano<br />

letterario della sua epistola;<br />

- vv. 19-102, l’expositio, in <strong>di</strong>stici giambici (senario seguito da<br />

quaternario), in cui il poeta espone il suo progetto <strong>di</strong> vita spirituale e<br />

ascetica, che parte e si incentra nella sequela <strong>di</strong> Cristo;<br />

- vv. 103-331, la confutatio, in esametri dattilici, in cui Paolino<br />

confuta e ribatte, l’una dopo l’altra, le accuse e le insinuazioni del<br />

maestro.<br />

Di primo acchito colpisce la struttura e la varietà polimetrica del<br />

carme. Ma la scelta formale compiuta da Paolino doveva servire non<br />

solo a compiacere il vecchio Maestro, ma soprattutto a <strong>di</strong>mostrargli<br />

concretamente che nell’allievo <strong>di</strong> un tempo non era affatto venuto<br />

meno il poeta, e che anzi questo era più vivo ed operoso che mai,<br />

pronto a spingere la sua quadriga ad arare nuovi campi e ad esplorare<br />

più vasti orizzonti, a cantare, cioè, nelle antiche forme poetiche i<br />

nuovi argomenti della sua fede. 32<br />

Questa viva “contrad<strong>di</strong>zione” o, meglio, “opposizione” tra rifiuto<br />

della poesia pagana e composizioni cristiane in metri classici è <strong>di</strong><br />

32<br />

Cf. PAVL. NOL. Carm.. VI, 173-176: “Il mio cammino, oltrepassando il giusto<br />

limite, percorre vasti campi e, <strong>di</strong>mentico delle mie forze, osa spingersi troppo<br />

lontano. Lo spero: verrà il tempo in cui potrò ccn forza sicura guidare le forti<br />

quadrighe anche su questo terreno”.<br />

216 –


certo uno degli elementi più costanti <strong>di</strong> continuità tra mondo pagano<br />

e mondo cristiano: questo <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o interiore accompagnerà tutta la<br />

vita e l’opera <strong>di</strong> Paolino convertito al cristianesimo.<br />

Paolino, dopo l’introduzione, nella sezione giambica del carme X<br />

(19-102), prende l’avvio per il suo canto proprio dalla preghiera alle<br />

Muse con cui Ausonio aveva concluso l’epistola 24: invocare le Muse,<br />

per Paolino, andava bene in altri tempi, allorquando il maestro e il<br />

<strong>di</strong>scepolo, in piena sintonia <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> arte e con uguale ardore “chiamavano<br />

fuori dalla sua caverna <strong>di</strong> Delfi il sordo Apollo, invocavano le<br />

Muse come esseri <strong>di</strong>vini, chiedevano alle foreste ed ai gioghi montani<br />

il dono dell’eloquio, conferito solo dalla munificenza <strong>di</strong>vina”. 33 Ma<br />

chiedere alle Muse il suo ritorno all’antico mondo <strong>di</strong> favole, ora che,<br />

battezzato, egli ha de<strong>di</strong>cato a Cristo il suo cuore, risulta del tutto vano,<br />

perché le Muse, così come tutti gli dei dell’Olimpo, non sono che<br />

nomina sine numine, e le preghiere a loro rivolte si fermano sulle nubi,<br />

vengono <strong>di</strong>sperse dal vento e non giungono nella reggia stellata del<br />

Dio del cielo. 34 Questo Dio, unico, noi dobbiamo pregare, perché Lui<br />

solo è l’Onnipotente in grado <strong>di</strong> intervenire nelle vicende dell’uomo,<br />

così come <strong>di</strong> fatto è intervenuto con somma efficacia a cambiare la<br />

vita <strong>di</strong> Paolino. 35 E’ il Dio, sostegno e sorgente del vero e del bene,<br />

Dio che nessuno vede se non in Cristo (…veri bonique fomitem et<br />

fontem deum, quem nemo nisi in Christo videt), che è luce <strong>di</strong> verità,<br />

via <strong>di</strong> vita, forza mente mano e potenza del Padre, sole <strong>di</strong> giustizia,<br />

nato da Dio e creatore del mondo. E’ un Dio esclusivo e geloso che<br />

reclama tutto per sé, noi stessi e tutti i nostri beni. 36<br />

Pertanto non può essere considerato empio e perverso - così come<br />

ha fatto il suo maestro - chi, come Paolino, si è offerto a Dio con<br />

amore e de<strong>di</strong>zione ed in Lui ha riposto ogni sua cosa. Proprio per<br />

questo nel vero cristiano non può mai venir meno la “pietà”, che è la<br />

<strong>di</strong>sponibilità piena nei confronti <strong>di</strong> Dio e soprattutto dei i fratelli. 37<br />

33<br />

ID. Carm. X, 23-28: Fuit ista quondam non ope, sed stu<strong>di</strong>o pari / tecum<br />

mihi concor<strong>di</strong>a / ciere surdum Delphica Phoebum specu, / vocare Musas numina<br />

/ fan<strong>di</strong>que munus munere indultum dei / petere e nemoribus aut iugis.<br />

34<br />

Cf. ibid. 109-118.<br />

35<br />

Ibid. 128-130: Quid me accusas Si <strong>di</strong>splicet actus / quem gero agente<br />

deo, prius est, si fas, reus auctor, / cui placet aut formare meos aut vertere sensus.<br />

36<br />

Ibid. 45-66: Questi versi che si presentano come un vero e proprio inno<br />

cristologico, altamente poetico e profondamente connotato in senso teologico,<br />

mostrano già ad evidenza il notevole cristocentrismo che caratterizzerà poi tutto il<br />

pensiero e l’opera <strong>di</strong> Paolino.<br />

37<br />

Cf. Ibid. 83-85.<br />

– 217


Subito dopo Paolino proclama la sua conversione, confessa cioè<br />

<strong>di</strong> avere ormai aderito anima e corpo all’invito <strong>di</strong> Cristo e <strong>di</strong> essere<br />

orientato e deciso ad abbracciare il nuovo ideale <strong>di</strong> vita: “Ora una<br />

forza <strong>di</strong>versa soggioga la mia anima, un <strong>di</strong>o più potente che pretende<br />

altri costumi <strong>di</strong> vita, reclamando per sé dall’uomo il dono che gli<br />

concesse, <strong>di</strong> vivere cioè per il padre della vita”. 38 Adesso bisogna<br />

dunque vivere solo per Dio: le ricchezze e tutto il resto, filosofia,<br />

retorica e la stessa poesia, tutto è vanità, futilità, menzogna che non<br />

porta alla salvezza ed oscura la sola Verità (… qui corda falsis atque<br />

vanis imbuunt / tantumque linguas instruunt, / nihil ferentes, ut<br />

salutem conferant, / quod veritatem detegat), 39 Verità che è Cristo<br />

che vi conduce, Cristo che adesso reclama tutto <strong>di</strong> noi, ma che ci<br />

ripagherà con usura gli interessi <strong>di</strong> tutto ciò che gli avremo riconsegnato<br />

nutrendo i suoi poveri. 40<br />

D’altronde, l’intervento <strong>di</strong> Dio nell’esistenza e nell’esperienza<br />

<strong>di</strong> Paolino ha trasformato ra<strong>di</strong>calmente il suo modo <strong>di</strong> essere, il suo<br />

modo <strong>di</strong> pensare e <strong>di</strong> vivere. Lo stesso Paolino <strong>di</strong>chiara espressamente<br />

<strong>di</strong> non essere più quello <strong>di</strong> un tempo: Dio ha suscitato in lui,<br />

rigenerato o cambiato nel profondo i suoi sentimenti: “Infatti se tu<br />

pensi che la mia condotta sia quella <strong>di</strong> prima, che tu conosci, spontaneamente<br />

ti confesserò che io non sono quello che sono stato in quel<br />

tempo, allorquando non ero ritenuto perverso, ma ero perverso tuttavia,<br />

poiché non vedevo che attraverso la caligine dell’errore, possedendo<br />

quella saggezza che per Dio è follia, e vivendo nei pascoli<br />

della morte”. 41 La sua “rigenerazione”, dunque, iniziata col battesimo,<br />

è da attribuire al Sommo Padre, che ha suscitato in lui una “volontà<br />

nuova, una volontà non mia, non mia una volta (quondam), ma<br />

mia ora (nunc) per ispirazione <strong>di</strong>vina (auctore deo)”. 42<br />

38<br />

Ibid. 29-32: Nunc alia mentem vis agit, maior deus, / aliosque mores postulat,<br />

/ sibi reposcens ab homine munus suum, / vivamus ut vitae patri.<br />

39<br />

Cf. Ibid. 33-42.<br />

40<br />

Ibid. 70-80: Si evidenzia già da questo testo del 393 l’atteggiamento <strong>di</strong><br />

Paolino nei confronti dei beni del mondo, che la fede “non rigetta come profani o<br />

<strong>di</strong> nessun valore, ma ci insegna a riporli nel cielo, come più preziosi, dopo averli<br />

affidati a Cristo Dio, il quale promise una ricompensa maggiore <strong>di</strong> ciò che doniamo,<br />

in modo da restituire con grande interesse me<strong>di</strong>ante la sua presenza ciò che è<br />

stato <strong>di</strong>sprezzato o meglio rimesso nelle sue mani. Custode fedele, da buon debitore,<br />

restituirà accresciute le ricchezze a chi ha avuto fiducia in lui, e come Dio,<br />

nella sua grande munificenza, renderà con molto frutto il denaro <strong>di</strong>sprezzato (…<br />

multaque spretam largior pecuniam / restituet usura deus)”.<br />

41<br />

Ibid. 131-135.<br />

42<br />

Ibid. 137-<strong>14</strong>3: … agnosci datur a summo genitore novari / quod non more<br />

218 –


Tra il “quondam” ed il “nunc”, opposizione che caratterizza il<br />

<strong>di</strong>panarsi del testo paoliniano, che si <strong>di</strong>batte tra il vecchio mondo<br />

della mitologia e della favola, ispiratore della poesia classicheggiante<br />

<strong>di</strong> Ausonio, ed il nuovo mondo della vita e della esperienza del Dio<br />

incarnato in Cristo, nuovo Apollo, ispiratore del canto <strong>di</strong> Paolino,<br />

c’è ancora una volta una chiara e netta contrapposizione, che Paolino,<br />

tuttavia, considera in una continuità <strong>di</strong> fondo e saldamente ra<strong>di</strong>cata<br />

nella sua formazione umanistica, una continuità evidente non solo<br />

nella variegata polimetria formale dei suoi versi, ma soprattutto<br />

allorquando egli afferma senza mezzi termini che “<strong>di</strong> tutto il bene<br />

che Dio ha tratto ed operato in lui, trovando nella sua anima qualcosa<br />

<strong>di</strong> degno per i suoi doni, la gratitu<strong>di</strong>ne e la gloria vanno attribuite<br />

soprattutto ad Ausonio, perché dai suoi alti insegnamenti ha avuto<br />

origine ciò che Cristo avrebbe amato”. 43 Il cristianesimo, con la<br />

nuova fede e la sua morale, anche per il nostro Paolino, presuppone<br />

la natura umana e si innesta vitalmente sulla formazione spirituale<br />

dell’uomo, insieme sublimandole.<br />

E il grande merito del maestro Ausonio è appunto quello <strong>di</strong> aver<br />

preparato un terreno fertile e ben <strong>di</strong>sposto all’azione della grazia <strong>di</strong><br />

Dio nel cuore del suo pre<strong>di</strong>letto <strong>di</strong>scepolo. Un merito, questo, che il<br />

vecchio poeta adesso non può e non deve assolutamente sciupare.<br />

Paolino, da parte sua, si mostra infinitamente riconoscente al suo<br />

amico e maestro: “Perciò tu devi piuttosto rallegrarti che lamentarti<br />

- gli <strong>di</strong>ce - perché io, il tuo Paolino, formato dai tuoi insegnamenti e<br />

dalle tue virtù (tuis stu<strong>di</strong>is et moribus ortus), al quale tu non devi<br />

negare <strong>di</strong> essere padre, neppure adesso che lo cre<strong>di</strong> traviato, ho così<br />

cambiato i miei pensieri da meritare <strong>di</strong> appartenere a Cristo pur rimanendo<br />

<strong>di</strong> Ausonio. Egli renderà la sua ricompensa alla tua gloria,<br />

e a te offrirà il primo frutto della tua pianta. Perciò, ti prego, abbi<br />

opinione migliore e non perdere il più grande premio, detestando i<br />

beni scaturiti dalle tue sorgenti”. 44<br />

meo geritur; non, arbitror, istic / confessus <strong>di</strong>car mutatae in prava notandum /<br />

errorem mentis, quoniam sim sponte professus / me non mente mea vitam mutasse<br />

priorem. / Mens nova mi, fateor, mens non mea, non mea quondam,, / sed mea<br />

nunc auctore deo,…<br />

43<br />

Ibid. <strong>14</strong>3-<strong>14</strong>6: …[deus], qui si quid in actu / ingeniove meo sua <strong>di</strong>gnum ad<br />

munia vi<strong>di</strong>t, / gratia prima tibi, tibi gloria debita ce<strong>di</strong>t, / cuius praeceptis partum<br />

est quod Christus amaret.<br />

44<br />

Ibid. <strong>14</strong>7-155.<br />

– 219


D’altra parte, Paolino non è ancora fuggito lontano dagli uomini,<br />

sull’esempio dei filosofi e poeti antichi, in ritiro dal mondo per de<strong>di</strong>carsi<br />

alla me<strong>di</strong>tazione e alle Muse, ma soprattutto non vive ancora<br />

l’esperienza dei gran<strong>di</strong> asceti cristiani appartati in luoghi deserti e<br />

silenziosi per “me<strong>di</strong>tare Cristo con mente pura” (castis /… animis:<br />

160s.). Anche se egli nutre vivo nel suo cuore il desiderio <strong>di</strong> imitare<br />

quegli illustri amatores Christi. Paolino perciò non si considera affatto<br />

un Bellerofonte, che mens demens vive in solitu<strong>di</strong>ne e nega con<br />

forza <strong>di</strong> essere fuor <strong>di</strong> senno, dal momento che egli non abita nei<br />

luoghi selvaggi della Guascogna né sulle vette innevate dei Pirenei,<br />

bensì in città illustri e civili della Spagna, che Ausonio mostra <strong>di</strong><br />

non conoscere affatto. D’altra parte Paolino non ha <strong>di</strong>menticato il<br />

cielo della patria, ora che lo contempla nel Dio del cielo. Tanto meno<br />

egli ha per moglie una imperiosa Tanaquilla, bensì una virtuosa<br />

Lucrezia. 45<br />

Orbene - osserva Paolino - un padre vigile e buono riprende e<br />

corregge il figlio, che è “passato dalla rettitu<strong>di</strong>ne alla cattiveria, dalla<br />

religiosità ad una vita profana, dall’onestà alla turpitu<strong>di</strong>ne”: è giusto<br />

che l’ira spinga il padre benigno a riportare l’amico caduto ai<br />

retti costumi (…blandum licet ira parentem / excitet, ut lapsum rectis<br />

instauret amicum / moribus et monitu reparet meliora severo)”. “Ma<br />

se il figlio - continua il Poeta - ha scelto e segue Cristo, ha consacrato<br />

cioè il suo cuore al Dio della bontà seguendo il venerabile comando<br />

<strong>di</strong> Cristo con docile fede e persuaso dagli insegnamenti <strong>di</strong>vini che<br />

all’uomo mortale sono preparati doni eterni acquistati attraverso le<br />

sofferenze presenti, non penso che ciò costituisca motivo <strong>di</strong> dolore<br />

per un padre buono fino al punto da ritenere colpa il vivere per Cristo,<br />

come Cristo ha stabilito” (ut errorem credat sic vivere Cristo, /<br />

ut Christus sanxit). 46<br />

Il giovane Paolino è giunto ormai alla piena convinzione che l’uomo<br />

e tutto ciò che gli appartiene è fugace e <strong>di</strong> breve durata e che<br />

l’uomo senza Cristo è polvere ed ombra (homo… sine Christo pulvis<br />

et umbra). Perciò la cosa più importante per lui adesso è quella <strong>di</strong><br />

vivere secondo il precetto <strong>di</strong> Cristo Signore (At nisi, dum tempus<br />

45<br />

Ibid. 156-195: In questa parte centrale del carme, sezione che si prolunga<br />

fino al verso 259, Paolino, attraverso la rigorosa confutazione e il netto rifiuto<br />

delle gravi accuse mossegli da Ausonio, chiarisce e mette a fuoco con luci<strong>di</strong>tà il<br />

suo propositum ascetico-monastico da vivere e realizzare sulle orme dei gran<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> Cristo.<br />

46<br />

Cf. ibid. 278-285.<br />

220 –


praesens datur, anxia nobis / cura sit ad domini praeceptum vivere<br />

Christi, / sera erit…), senza prestare ascolto alle accuse e alle sollecitazioni<br />

<strong>di</strong> tutti quelli che vivono lontani da questo suo ideale, fosse<br />

pure l’antico maestro e padre. 47<br />

Il nuovo Poeta cristiano chiude il suo canto con la scena gran<strong>di</strong>osa<br />

del Giu<strong>di</strong>zio finale, quando il Cristo glorioso tornerà in tutta la<br />

sua maestà <strong>di</strong>vina per giu<strong>di</strong>care con equo giu<strong>di</strong>zio tutte le genti e<br />

concedere le ricompense dovute alle <strong>di</strong>verse opere (…regem… /<br />

venturum, ut cunctas aequato examine gentes / iu<strong>di</strong>cet et variis referat<br />

sua praemia gestis). 48<br />

In attesa dell’avvento finale <strong>di</strong> Cristo, il cuore <strong>di</strong> Paolino è in<br />

ansia e “trema nelle trepide fibre temendo fin d’ora che, legato alle<br />

dolorose cure del corpo e gravato dal peso delle cose terrene, quando<br />

nel cielo aperto risuonerà la tromba potente, non possa levarsi nell’etere<br />

su agili ali incontro al Re, volando tra le schiere gloriose dei<br />

santi nel cielo”. Timore e preoccupazione <strong>di</strong> Paolino, dunque, è che<br />

“l’ultimo giorno lo sorprenda inattivo oppure immerso nelle tenebre<br />

del mondo intento a compiere azioni inutili e dannose”. Orbene, soprattutto<br />

per evitare questa tragica sventura, Paolino “ha deciso <strong>di</strong><br />

prevenire gli eventi colla scelta ascetica (propositum) e nella vita<br />

che gli resta porre termine alle agitazioni e, affidate a Dio tutte le sue<br />

cose, per il tempo futuro aspettare col cuore tranquillo la morte crudele<br />

(trucem mortem)”. 49<br />

Questa prospettiva escatologica, in cui Paolino ha già collocato<br />

la sua vita con le sue scelte religiose, questa nuova visione del mondo<br />

e della propria esperienza <strong>di</strong> vita, considerata ormai sub specie<br />

aeternitatis, non poteva <strong>di</strong> certo allettare il vecchio Ausonio. Costui<br />

invece <strong>di</strong> congratularsi con il <strong>di</strong>scepolo, ormai avviato su altre strade<br />

e ad altre vette, avverte la profonda frattura che si è generata in loro<br />

due nei confronti della loro tra<strong>di</strong>zionale concezione dell’amicizia e<br />

della pietà. Una frattura, questa, che <strong>di</strong> fatto viene sancita da Paolino<br />

come da un epitaffio e scan<strong>di</strong>ta dai due esametri conclusivi del suo<br />

carme, che hanno tutto il sapore <strong>di</strong> un ultimatum irrevocabile: Si<br />

placet hoc, gratare tui spe <strong>di</strong>vite amici: / si contra est, Christo tantum<br />

me linque probari: “Se ti è gra<strong>di</strong>to ciò, rallegrati della ricca speranza<br />

del tuo amico; se invece no, lascia che io sia approvato da Cristo”. 50<br />

47<br />

Cf. ibid. 288-295.<br />

48<br />

Ibid. 299-301.<br />

49<br />

Cf. ibid. 304-329.<br />

50<br />

Ibid. 330-331.<br />

– 221


Come cristiano io sto e vivo con Cristo e con gli uomini, ma non con<br />

gli uomini senza Cristo, sembra ripetere Paolino a se stesso e al <strong>di</strong>letto<br />

maestro, a conclusione del suo articolato <strong>di</strong>scorso, in questa<br />

fase così importante della sua ricerca e del suo ritiro spagnolo.<br />

III - LA FINE DI UNA CORRISPONDENZA<br />

III.1 - La risposta <strong>di</strong> Ausonio: Il giogo e l’amante respinto<br />

Ausonio accusa ricevuta del carme X <strong>di</strong> Paolino, e ne avverte<br />

subito il drammatico messaggio <strong>di</strong> chiarimento, che egli legge e rilegge<br />

in chiave <strong>di</strong> una frattura definitiva della loro antica amicizia:<br />

voci e <strong>di</strong>cerie popolari, insinuazioni malvagie, che pur erano giunte<br />

al suo orecchio, ormai non hanno più motivo <strong>di</strong> esistere, data<br />

l’inequivocabile chiarezza e decisione del <strong>di</strong>scorso del <strong>di</strong>scepolo.<br />

Egli perciò risponde con l’epistola metrica 25, l’ultima in<strong>di</strong>rizzata a<br />

Paolino, nella quale fra l’altro accusa con viva amarezza l’amico<br />

come l’unico colpevole e responsabile del loro vincolo <strong>di</strong> amicizia<br />

infranto.<br />

Un giogo leggero, quello che li ha tenuti uniti in dolce concor<strong>di</strong>a<br />

per lunghi anni, un giogo che i loro stessi genitori avevano portato<br />

con gioia per tutta la vita, trasmettendolo poi ai loro figli ed ere<strong>di</strong><br />

pre<strong>di</strong>letti, Paolino e Ausonio: “Ecco, noi scuotiamo il giogo, Paolino,<br />

quel giogo che la nota moderazione rendeva facile… guidato da una<br />

dolce concor<strong>di</strong>a (concor<strong>di</strong>a mitis), mai scosso da falsa <strong>di</strong>ceria, da<br />

lamentela o rimprovero, questo giogo dolce (mite iugum) che hanno<br />

portato i nostri due padri dalla loro infanzia fino alla sera della loro<br />

vita; essi l’hanno trasmesso ai loro ere<strong>di</strong> nella speranza che persistesse<br />

sino al giorno lontano della fine della loro esistenza… Ed ecco<br />

che noi lo scuotiamo, ma la colpa non è reciproca, ma soltanto tua, o<br />

Paolino”. 51<br />

La metafora del “giogo”, da cui prende l’avvio l’epistola <strong>di</strong> Ausonio,<br />

richiama la nota espressione del Vangelo (Mt 11, 30: “Il mio<br />

giogo infatti è dolce (suave) e il mio carico leggero (leve)”, afferma<br />

Cristo, invitando i suoi <strong>di</strong>scepoli a prenderlo su <strong>di</strong> sé e a portarlo con<br />

51<br />

AVSON. Epist. 25, 1-21:Discutimus, Pauline, iugum… / … leve quod positu<br />

et venerabile iunctis / tractabat paribus concor<strong>di</strong>a mitis habenis; / … tam placidum,<br />

tam mite iugum,, quod utrique parentes / ad senium nostri traxere ab origine vitae<br />

/ inpositumque piis here<strong>di</strong>bus usque manere / optarunt, dum longa <strong>di</strong>es <strong>di</strong>ssolveret<br />

aevum. /… Discutitur, Pauline, tamen: non culpa duorum / ista, sed unius tantum<br />

tua.<br />

222 –


gioia). E l’immagine evangelica domina la prima parte dell’epistola<br />

e risulta quanto mai appropriata ed efficace anche sulle labbra <strong>di</strong> un<br />

cristiano superficiale come Ausonio: all’inizio il giogo è leggero<br />

(leve), perché guidato con briglie uguali da una concor<strong>di</strong>a, che è dolce<br />

(mitis) (vv. 1-3); ma poco dopo il giogo appare così tranquillo<br />

(placidum) e dolce (mite) (vv. 9 e 16), che sarebbe stato sopportato<br />

facilmente e con docile collo (docili cervice) anche dai destrieri più<br />

focosi e bizzarri della tra<strong>di</strong>zione mitica. 52<br />

D’altra parte sembra che Ausonio abbia accolto l’invito <strong>di</strong> Paolino<br />

a rivolgere le sue preghiere non agli dei falsi e bugiar<strong>di</strong>, bensì all’unico<br />

e vero Dio dei cristiani, per ottenere concretamente il ritorno<br />

in “patria” e alle Muse del suo <strong>di</strong>scepolo. 53 Ed invece anche questa<br />

sua ultima epistola è tutta tramata <strong>di</strong> richiami al mondo del mito e<br />

della favola, quasi a sottolineare ancora una volta che i due corrispondenti<br />

si muovono ormai su piani profondamente <strong>di</strong>versi ed opposti<br />

tra loro e parlano linguaggi che non possono incontrarsi.<br />

Pertanto l’elogio dell’amicizia che segue, con la rassegna <strong>di</strong> personaggi<br />

<strong>di</strong>ventati famosi, nella leggenda e nella storia, per il loro legame<br />

<strong>di</strong> amicizia - un mondo questo, in cui anche Ausonio e Paolino<br />

nell’opinione dei contemporanei erano destinati ad entrare, per esservi<br />

immortalati alla stregua del grande Scipione e del vecchio Lelio<br />

- lascia intravedere, attraverso il richiamo alla tra<strong>di</strong>zione letteraria,<br />

la sofferenza del poeta deluso ed amareggiato, che non riesce a capire<br />

e a recepire le nuove istanze religiose del <strong>di</strong>scepolo, né tantomeno<br />

a sintonizzarsi col lucido e nuovo <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Paolino, per cui egli si<br />

limita a prendere atto e a registrare l’ormai avvenuta rottura dell’amicizia<br />

col suo ex-alunno. 54<br />

A conclusione del suo epillio, Ausonio si libra sulla fantasia,<br />

contempla e segue, con la sua immaginazione, il <strong>di</strong>scepolo che ritorna<br />

in patria nei suoi posse<strong>di</strong>menti presso Bordeaux e conclude riportando<br />

il penultimo verso dell’VIII Bucolica <strong>di</strong> Virgilio: è realtà oppure<br />

sogno <strong>di</strong> innamorati<br />

52<br />

Ibid. 16-19: Hoc tam mite iugum docili cervice subirent / Martis equi<br />

stabuloque feri Diome<strong>di</strong>s abacti / et qui mutatis ignoti Solis habenis / fulmineum<br />

Phaethonta Pado mersere iugales. Cf. OVID. Met. II, 19-300.<br />

53<br />

Cf. PAVL NOL. Carm. X, 109-128 con AVSON. Epist. 25, 112-1<strong>14</strong>: Certa est<br />

fiducia nobis, / si genitor natusque dei pia verba volentum / accipiat, nostro<br />

red<strong>di</strong> te posse precatu,…<br />

54<br />

Cf., in modo particolare, AVSON. Epist. 25, 34-57.<br />

– 223


III. 2 - Il carme XI <strong>di</strong> Paolino:<br />

dulcis amicitia aeterno mihi foedere tecum<br />

Con la risposta del carme XI <strong>di</strong> Paolino cala definitivamente il<br />

sipario sulla figura <strong>di</strong> Ausonio e sul saldo rapporto <strong>di</strong> amicizia che<br />

fin dai più teneri anni ha tenuto legato il giovane proprietario terriero<br />

col maestro e padre della sua formazione intellettuale.<br />

E Paolino, col carme XI, <strong>di</strong> appena 68 versi complessivi, composto<br />

alla fine del 393 o agli inizi del 394, risponde all’ultima epistola<br />

metrica <strong>di</strong> Ausonio, e, pur lasciando aperto il <strong>di</strong>alogo col vecchio<br />

maestro, non può fare a meno <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re la sua decisione ascetica,<br />

che ormai lo impegna totalmente alla sequela <strong>di</strong> Cristo.<br />

Anche quest’ultimo carme <strong>di</strong> Paolino ad Ausonio si svolge in<br />

versi polimetrici: 1-48 esametri e 49-68 <strong>di</strong>stici giambici (trimetri e<br />

<strong>di</strong>metri giambici). Nella prima sezione il Poeta, dopo aver accennato<br />

<strong>di</strong> nuovo alle accuse lanciategli dal maestro nelle lettere precedenti,<br />

accuse che “lacerano” il suo cuore e “offendono” la sua coscienza <strong>di</strong><br />

amico fedele, sottolinea con forza che i suoi profon<strong>di</strong> sentimenti <strong>di</strong><br />

stima e <strong>di</strong> affetto nei confronti dell’amico non sono venuti mai meno.<br />

Anzi essi ora sono più vivi che mai perché fondati e messi sullo<br />

stesso piano dell’amore a Cristo: “Lascia, ti prego, <strong>di</strong> tormentare chi<br />

ti appartiene, e non mescolare parole amare con espressioni paterne,<br />

come assenzio con il miele. Fu sempre mia cura, e ancora rimane, <strong>di</strong><br />

onorarti con tutti i riguar<strong>di</strong> e rispettarti con amore fedele”. 55<br />

Egli pertanto non ha scosso affatto il giogo dei “dotti stu<strong>di</strong>”, che<br />

- al <strong>di</strong>re <strong>di</strong> Ausonio - lo teneva unito al “santo genitore”. Questo<br />

giogo letterario in realtà egli non l’ha mai portato, perché del tutto<br />

inferiore al suo maestro, col quale a stento un Cicerone e un Virgilio<br />

avrebbero potuto stare alla pari sotto il medesimo giogo. Invece da<br />

sempre Paolino è sotto il dolce giogo <strong>di</strong> un’amicizia sincera e fedele,<br />

lui e tutti quelli della sua casa, con il suo maestro <strong>di</strong> un tempo. Un<br />

giogo, quest’ultimo, che non è stato mai scosso, e che anzi adesso<br />

potrà e dovrà essere rinsaldato dallo stesso amore <strong>di</strong> Cristo. 56<br />

Questa nuova amicizia, che è l’amicizia cristiana, “fondata sull’eterna<br />

alleanza con te ed uguale sempre per la reciproca legge della<br />

corrispondenza dell’affetto, pone insieme il piccolo con il grande<br />

55<br />

PAVL. NOL. Carm. XI, 6-9: Parce, precor, lacerare tuum nec amara paternis<br />

/ admiscere velis ceu melli absinthia verbis.<br />

56<br />

Ibid. 17-19: Hoc mea te domus exemplo coluitque colitque, / inque tuum<br />

tantus nobis consensus amorem, / quantus et in Christum conexa mente colendum.<br />

224 –


con re<strong>di</strong>ni appaiate” 57 e tende all’”amore <strong>di</strong> unità” 58 , perché proiettata<br />

e tutta protesa verso orizzonti celesti, fuori dei confini del tempo<br />

e dello spazio. In questa dolce visione del nuovo vincolo <strong>di</strong> carità<br />

che ci unisce al fratello nel tempo e per l’eternità, la cara immagine<br />

paterna del vecchio maestro rimarrà impressa indelebilmente nel<br />

cuore del suo <strong>di</strong>scepolo. E’ questa la vera “novità” e il senso profondo<br />

dell’autentica amicizia, sottolineato da Paolino nella sezione<br />

giambica del suo carme: finché e dovunque vivrà “e quando, liberato<br />

dal carcere del corpo e dalla terra, volerà via, in qualunque parte del<br />

cielo lo collocherà il Padre comune”, Paolino conserverà nell’intimo<br />

del cuore l’immagine dell’antico maestro e lo abbraccerà a lui presente<br />

con affettuoso pensiero (mente complectar pia / ubique<br />

praesentem mihi)”. 59 Proiettando ormai il suo “nuovo” amore sullo<br />

sfondo escatologico, Paolino proclama solennemente la sua fede<br />

incrollabile nella immortalità dell’anima umana, “che, essendo <strong>di</strong><br />

origine celeste, sopravvive alla corruzione del corpo, necessariamente<br />

conserva insieme i suoi sentimenti ed affetti, come la sua propria<br />

vita, e non ammette né morte né oblio, eternamente viva e memore”. 60<br />

Tutto questo è proclamato da Paolino forse in sottile polemica<br />

proprio col suo maestro, che, non molti anni prima, aveva concluso<br />

l’elogio del professore <strong>di</strong> Bordeaux, Tiberio Vittore Minervio, amato<br />

e pianto come un padre, insinuando appunto il dubbio sulla sopravvivenza<br />

dell’anima umana. 61<br />

57<br />

Ibid. 39-43: Si iungar amore, / hoc tantum tibi me iactare audebo iugalem,<br />

/ quo mo<strong>di</strong>cum sociis magno conten<strong>di</strong>t habenis / dulcis amicitia aeterno mihi<br />

foedere tecum / et paribus semper redaman<strong>di</strong> legibus aequa.<br />

58<br />

D. SORRENTINO, L’amore <strong>di</strong> unità: Amicizia spirituale ed ecclesiologia in<br />

Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>, in <strong>Impegno</strong> e <strong>di</strong>alogo 9 (1991-1992), pp. <strong>14</strong>9-169.<br />

59<br />

PAVL. NOL. Carm. XI, 49-62: Ego te per omne quod datum mortalibus / et<br />

destinatum saeculum est, / claudente donec continebor corpore, / <strong>di</strong>scernar orbe<br />

quolibet, / nec ab orbe longe nec remotum lumine / tenebo fibris insitum, / videbo<br />

corde, mente conplectar pia / ubique praesentem mihi. / Et cum solutus corporali<br />

carcere / terraque provolavero, / quo me locarit axe communis pater / illic quoque<br />

animo te geram. / Neque finis idem qui meo me corpore / et amore laxabit tuo :<br />

Paolino, sguardo e cuore protesi verso il futuro immortale, riba<strong>di</strong>sce che nel tempo<br />

che vivrà e per tutta l’eternità, dovunque il Padre comune vorrà collocarlo nel<br />

suo regno infinito, conserverà per sempre il suo amore per Ausonio.<br />

60<br />

Ibid. 63-68.<br />

61<br />

Cf. AVSON. Prof. I, 39-42: Et nunc, sive aliquid post fata extrema superfit,<br />

/ vivis adhuc, aevi, quod periit, meminens; / sive nihil superest nec habent longa<br />

otia sensus, / tu tibi vixisti: non tua fama iuvat.<br />

– 225


La risposta <strong>di</strong> Paolino segna pertanto la fine <strong>di</strong> un’amicizia umana<br />

e <strong>di</strong> un rapporto <strong>di</strong> “pietà”, che non sono riusciti a sublimarsi<br />

nella carità <strong>di</strong> Cristo né a proiettarsi sull’orizzonte dell’eternità, per<br />

vivere un’esperienza <strong>di</strong> vita nuova. 62<br />

IV - ALL’OMBRA DEL “VASTO FAGGIO”: TITYRUS CHRISTIANUS 63<br />

Ausonio e Paolino in questa loro corrispondenza finale, che anima<br />

il vivace <strong>di</strong>battito sulla conversione ascetica del <strong>di</strong>scepolo, si<br />

muovono ambedue costantemente sullo sfondo virgiliano: il<br />

Mantovano domina ancora l’immaginario e l’espressione poetica dei<br />

due autori. Soprattutto con le vicende dei protagonisti <strong>di</strong> due delle<br />

Bucoliche, la prima e l’ottava, che costituiscono le icone germinali<br />

dell’epistola metrica 25 <strong>di</strong> Ausonio e del carme XI <strong>di</strong> Paolino.<br />

Ausonio, a sancire la presa d’atto della frattura del vincolo d’affetto<br />

col <strong>di</strong>scepolo, che, da solo, ha rotto la loro antica amicizia,<br />

conclude l’epistola 25 con la descrizione del suo sogno fantastico <strong>di</strong><br />

rivedere e riabbracciare il suo Paolino. A questo punto egli riporta il<br />

penultimo verso dell’VIII Bucolica <strong>di</strong> Virgilio: Cre<strong>di</strong>mus an qui<br />

amant, ipsi sibi somnia fingunt= “Devo crederci Oppure questi<br />

sono sogni che coloro che amano s’inventano per loro consolazione”.<br />

64<br />

Orbene, l’ottava egloga virgiliana, in 109 esametri, tratta il tema<br />

dell’amore respinto, in una gara <strong>di</strong> canto tra due pastori, Damone e<br />

Alfesibeo, e svolge due opposti drammi amorosi: nel canto <strong>di</strong> Damone<br />

(1-62) è un giovane pastore, che, respinto e tra<strong>di</strong>to dall’amatissima<br />

Nisa, chiude col suici<strong>di</strong>o la propria vita infelice; in quello <strong>di</strong> Alfesibeo<br />

(62-109), invece, è una giovane donna, che, abbandonata dall’amante<br />

Dafni, ricorre a molteplici scongiuri ed incantesimi, per ottenere il<br />

ritorno del suo uomo. E alla fine ci riesce. Perciò il Poeta mantovano<br />

al vecchio ritornello “Ducite ab urbe domum, mea carmina, ducite<br />

Daphnim”, che ha scan<strong>di</strong>to il <strong>di</strong>panarsi del canto <strong>di</strong> Alfesibeo, sostituisce<br />

in ultima sede, a suggello del suo carme, il nuovo esametro<br />

62<br />

Anche se l’opera poetica <strong>di</strong> Ausonio continua ad essere presente e molto<br />

attiva negli scritti del suo <strong>di</strong>scepolo: cf. G. GUTTILLA, La presenza <strong>di</strong> Ausonio nella<br />

poesia dell’ultimo Paolino, in Orpheus <strong>14</strong> (1993), pp. 275-297.<br />

63<br />

W. SCHMID, Tityrus Christianus: Probleme religiöser Hirten<strong>di</strong>chtung an<br />

der Wende vom vierten zum fünften Jahrhundert, in Rheinisches Museum für<br />

Philologie 96 (1953), pp. 101-165.<br />

64<br />

VERG. Ecl.. VIII, 108.<br />

226 –


“Parcite, ab urbe venit, iam parcite, carmina, Daphnis” (109), che<br />

presenta appunto il compimento favorevole dell’evento.<br />

Pertanto Ausonio, che intende presentarsi nelle vesti dell’amante<br />

tra<strong>di</strong>to, trascura che nell’ultimo verso virgiliano l’Incantatrice<br />

mostra <strong>di</strong> aver ormai avvertito i segni dell’avvenuto ritorno dell’amante<br />

che era fuggito in città. Ma ad Ausonio premeva soprattutto sottolineare<br />

la sua amara delusione e turbare i “sogni” del suo <strong>di</strong>scepolo.<br />

Paolino, da parte sua, risponde per le rime all’epistola 25 del suo<br />

maestro. Accoglie la sfida del precettore, ma non accetta la sua immagine<br />

<strong>di</strong> amante respinto. E nel suo carme XI si richiama anche lui<br />

al mondo pastorale virgiliano, ma spazia in modo speciale nell’ambito<br />

e sullo sfondo della prima Bucolica del Mantovano. In realtà<br />

non mancano richiami espliciti <strong>di</strong> questo testo virgiliano nei versi <strong>di</strong><br />

Paolino. 65<br />

Ma in modo particolare il <strong>Nola</strong>no si rifà alla “situazione” dei due<br />

pastori, protagonisti della prima egloga, Titiro e Melibeo, la cui <strong>di</strong>versa<br />

con<strong>di</strong>zione esistenziale è stata sancita dall’intervento del giovane<br />

Ottaviano, venerato come un <strong>di</strong>o da Titiro, che, sdraiato all’ombra<br />

del vasto faggio, si gode tranquillamente la pace e il possesso<br />

dei suoi campi, insieme con i suoi greggi. Anche Paolino, come<br />

Titiro a Melibeo, potrebbe <strong>di</strong>chiarare ad Ausonio: “deus nobis haec<br />

otia fecit” (I, 6): un <strong>di</strong>o, quello che Titiro ha avuto modo <strong>di</strong> contemplare<br />

e venerare nel suo viaggio a Roma e che gli ha conservato<br />

l’otium nel suo podere, e un Dio, quello che Paolino ha accolto nel<br />

suo cuore e nella sua vita e che ha trasformato il suo otium ruris in<br />

ritiro ascetico, un Dio, il cui volto rimarrà impresso indelebilmente e<br />

per sempre nel cuore e del giovane pastore e del neofita cristiano.<br />

Paolino, da parte sua, riconosce nella <strong>di</strong>versa con<strong>di</strong>zione dei due<br />

pastori virgiliani l’immagine <strong>di</strong>retta della situazione che si è creata<br />

tra lui e il suo maestro, nel momento in cui il Signore Dio è intervenuto<br />

nella sua vita cambiandola ra<strong>di</strong>calmente e spezzando tutti i legami<br />

col mondo ed anche i vincoli delle antiche amicizie: come<br />

l’otium concesso a Titiro dal suo <strong>di</strong>o romano ha spezzato il suo<br />

consortium con l’amico Melibeo, costretto dagli eventi bellici ad<br />

abbandonare la patria e i suoi campi, così la decisione <strong>di</strong> vivere in<br />

ritiro cristiano (otium), ispirata da Dio a Paolino, ha comportato la<br />

necessità <strong>di</strong> rompere ed abbandonare le vecchie amicizie, nate e rimaste<br />

sul piano puramente umano. Orbene, un poeta cristiano e <strong>di</strong><br />

65<br />

ID. Ecl. I, 25. 63.<br />

– 227


fede ardente come Paolino non poteva non proiettare sul vasto orizzonte<br />

celeste della vita immortale anche l’antica amicizia col suo<br />

patrono, maestro e padre. Sarebbe bastato che quest’ultimo avesse<br />

<strong>di</strong>sposto il suo cuore a seguire il <strong>di</strong>scepolo sulla nuova via del Vangelo,<br />

perché la loro unione e corrispondenza <strong>di</strong> amorosi affetti assumesse<br />

i caratteri perenni dell’immortalità.<br />

E’ evidente che la poesia e il mondo fantastico <strong>di</strong> Virgilio costituiscono<br />

ancora “un ponte vitale” tra i due mon<strong>di</strong> che si trovano a<br />

confronto ed in netta opposizione: quello, vecchio, <strong>di</strong> Ausonio e quello,<br />

nuovo, <strong>di</strong> Paolino. Ausonio in realtà rappresenta la cultura e la<br />

società letteraria dell’aristocrazia del tardo Impero, immersa nel<br />

mondo della mitologia e della favola, ma del tutto incapace <strong>di</strong> procurare<br />

all’uomo la salvezza e la felicità.<br />

Ma, nello stesso tempo, la corrispondenza, intercorsa in questo<br />

periodo spagnolo tra il maestro e il <strong>di</strong>scepolo, evidenzia che i due<br />

elementi essenziali alla sopravvivenza dei loro rapporti umani, vale<br />

a <strong>di</strong>re un’amicizia nata e costruita in modo tra<strong>di</strong>zionale ed una letteratura<br />

puramente secolare e fantastica, appaiono al nostro Paolino,<br />

già in questa fase della sua vita, del tutto insufficienti ed inadeguate<br />

ad esprimere il nuovo mondo della fede e della morale del Vangelo.<br />

Per Paolino, convertito ormai all’ideale della perfezione evangelica,<br />

occorrono adesso ben altre fonti e ben altri personaggi per rivitalizzare<br />

e riconcettualizzare la cultura classica, che si avvia a <strong>di</strong>ventare<br />

cristiana ed a produrre i suoi frutti maturi: sarà la Bibbia ed il<br />

suo ricco e complesso mondo religioso a fornire materia nuova alla<br />

vita e al canto in prosa ed in versi <strong>di</strong> Paolino.<br />

Questo nuovo orientamento <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> arte, Paolino lo sta già<br />

realizzando nel suo ritiro spagnolo con la composizione <strong>di</strong> poesie <strong>di</strong><br />

contenuto religioso, databili appunto agli anni 389-394. 66<br />

V - NOVITA’ E CONTINUITÀ: UN PERCORSO TUTTO IN SALITA<br />

L’atteggiamento leale e nello stesso tempo deciso, tenuto da<br />

Paolino nei confronti del suo maestro ed amico, <strong>di</strong>venta ancora più<br />

rigoroso dopo l’or<strong>di</strong>nazione sacerdotale, avvenuta nel Natale del 394.<br />

Subito dopo infatti egli scrive l’epist. 1 a Severo, appena convertito<br />

all’ideale ascetico, e lo esorta a fuggire lontano dagli amici <strong>di</strong> un<br />

tempo, che, opponendosi alle scelte dei due amici, devono essere<br />

66<br />

Si tratta dei Carmi VI-IX, del Carme XXXI, delle Epistole 35 e 36 a Delfino<br />

e ad Amando e del Panegirico <strong>di</strong> Teodosio.<br />

228 –


ecisi dalla comunità cristiana. 67 E qualche anno dopo egli rivolgerà<br />

gli stessi consigli ad un altro amico <strong>di</strong> gioventù, Apro, che, insieme<br />

con la moglie ha deciso <strong>di</strong> seguire l’esempio <strong>di</strong> Paolino (epistt.<br />

38.39.44 ad Apro e Amanda). 68<br />

A proposito dei carmi X e XI abbiamo sottolineato l’opposizione<br />

netta che nel pensiero <strong>di</strong> Paolino si era ormai consolidata, già<br />

nella prima fase del suo ritiro spagnolo, tra mondo classico e mondo<br />

cristiano. Ma in essi egli sottolinea con forza anche gli elementi e i<br />

segni <strong>di</strong> continuità tra le due visioni del mondo. Infatti, oltre alle<br />

<strong>di</strong>verse forme poetiche classiche, <strong>di</strong> cui egli continua a servirsi per<br />

esprimere i nuovi contenuti spirituali e morali, illustrati e narrati attraverso<br />

l’assidua utilizzazione della Sacra Scrittura, Paolino sostiene<br />

con convinzione che il Signore Dio ha innestato la nuova realtà ed<br />

esperienza della sua vita cristiana e della sua arte sull’antica formazione<br />

classica ricevuta appunto ad opera <strong>di</strong> Ausonio. Egli non ha<br />

ancora messo in atto il suo profondo desiderio, oggetto della sua<br />

preghiera, <strong>di</strong> seguire l’esempio dei gran<strong>di</strong> filosofi e asceti in ritiro<br />

dal mondo per me<strong>di</strong>tare Cristo, ma è questa la meta che ormai brilla<br />

davanti alla sua mente e lo alletta in modo particolare. In Spagna ora<br />

Paolino sta vivendo ancora in città famose e ricche, ma già il suo<br />

pensiero è fisso a S. Felice e alla sua Coemeterium.<br />

Sotto l’apparentemente logico e sereno itinerario <strong>di</strong> maturazione<br />

cristiana <strong>di</strong> Paolino, si intuisce la drammatica tensione delle sue scelte,<br />

il tormento e le <strong>di</strong>fficoltà che insieme con la moglie Terasia deve<br />

affrontare e superare per tradurle in pratica. Paolino poi è profondamente<br />

convinto che il battesimo costituisce l’atto <strong>di</strong> santificazione<br />

fondamentale, rigenerativo, fondante della vita cristiana, vissuta in<br />

sintonia con la legge del Vangelo: consacrata a Dio ed innestata in<br />

Cristo, la vita spirituale col sacramento del battesimo compie ap-<br />

67<br />

PAVL. NOL. epist. 1, 5: “Sia pur esso un tuo fratello ed un amico a te unito<br />

più della tua destra e più caro dei tuoi occhi, se però è a te estraneo e nemico in<br />

Cristo, sia per te un pagano e un pubblicano. Sia reciso dal tuo corpo come inutile<br />

destra chi non è unito a te nel corpo <strong>di</strong> Cristo; sia cavato come occhio dannoso, chi<br />

con la sua immondezza o cecità ottenebra tutto il tuo corpo. Infatti è preferibile<br />

che un solo membro perisca per la salvezza <strong>di</strong> tutto il corpo, piuttosto che tutto il<br />

corpo, come <strong>di</strong>ce il Signore, vada nella Geenna per amore <strong>di</strong> un solo membro<br />

<strong>di</strong>fettoso”.<br />

68<br />

Soltanto in un secondo momento, Paolino mitigherà alquanto il suo atteggiamento<br />

<strong>di</strong> fronte agli amici che <strong>di</strong> fatto si sono rifiutati <strong>di</strong> seguirlo e <strong>di</strong> abbracciare<br />

l’ideale ascetico. Così nell’epist.16 e nel carme XXII in<strong>di</strong>rizzati a Giovio,<br />

suo parente, oppure nelle lettere 40 e 41 a Santo, amico d’altri tempi.<br />

– 229


punto il suo primo passo, quello <strong>di</strong> ingresso nel circuito ad alta tensione<br />

della comunità cristiana.<br />

Una volta entrato a far parte della Chiesa, il cristiano è chiamato<br />

a compiere comunque le sue scelte personali <strong>di</strong> “conversione”: “Convertitevi<br />

e credete al Vangelo” (Mc 1,15), è il messaggio che Cristo<br />

rivolge a tutti i suoi seguaci, all’inizio del suo ministero salvifico.<br />

Ebbene, il suo <strong>di</strong>scepolo può senz’altro fermarsi all’esperienza “or<strong>di</strong>naria”,<br />

che si realizza in una sequela <strong>di</strong> Cristo che potremmo in<strong>di</strong>care<br />

<strong>di</strong> primo grado, limitata cioè all’osservanza scrupolosa dei comandamenti,<br />

che <strong>di</strong> certo non contrad<strong>di</strong>ce né si oppone ad una completa<br />

e perfetta esperienza umana in tutte le sue legittime possibilità<br />

offerte dal mondo.<br />

Ma il cristiano può anche consacrare anima e corpo al Maestro<br />

ed abbracciare con decisione l’invito alla perfezione evangelica proposta<br />

da Cristo al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, ven<strong>di</strong><br />

quanto possie<strong>di</strong>, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi” (Mt 19, 21).<br />

Questa strada <strong>di</strong> totale consacrazione a Cristo è quella scelta da<br />

Paolino: rifiuto dei beni del mondo riconsegnandoli a Cristo nei suoi<br />

poveri; rifiuto dei propri beni interni, vale a <strong>di</strong>re l’intelletto con la<br />

sua ricca formazione culturale e la volontà con i suoi sentimenti più<br />

profondamente umani e vitali come l’amore coniugale, l’amicizia e<br />

la grande passione per la cultura umanistica. “Chi vuol venire <strong>di</strong>etro<br />

a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”, sottolinea<br />

Gesù nel Vangelo (Mc 8, 34).<br />

Paolino dunque, già in questi anni spagnoli, si è impegnato seriamente<br />

in una “conversione” piena, in un completo quanto ra<strong>di</strong>cale<br />

cambiamento della propria vita materiale, culturale e spirituale, un<br />

cambiamento, questo, che è frutto <strong>di</strong> una “mentalità” nuova, un nuovo<br />

modo <strong>di</strong> sentire e <strong>di</strong> vivere, che è proprio <strong>di</strong> chi ha abbracciato<br />

l’ideale ascetico-monastico: contemptus mun<strong>di</strong> e sequela Christi,<br />

come egli stesso sottolineerà poi all’amico Sulpicio Severo. 69<br />

Il percorso è lungo e <strong>di</strong>fficile, soprattutto nella fase <strong>di</strong> spogliamento<br />

e purificazione interiori, e Paolino lo proclama a chiare lettere<br />

negli intimi colloqui epistolari con i suoi numerosi corrispondenti.<br />

E’ un percorso duro che il suo antico maestro e sempre caro padre<br />

Ausonio non riuscirà mai a comprendere in pieno. Perciò anche quan-<br />

69<br />

PAVL. NOL. epist. 5, 4 a Severo: “Allontanato a poco a poco il mio animo dai<br />

torbi<strong>di</strong> del mondo ed applicatolo ai precetti del Signore, lottai con più facilità per<br />

il <strong>di</strong>sprezzo del mondo e per la sequela <strong>di</strong> Cristo, come se provenissi da una strada<br />

già molto vicina a questo nuovo progetto <strong>di</strong> vita”.<br />

230 –


do finalmente riceve notizie del <strong>di</strong>scepolo in ritiro ai pie<strong>di</strong> dei Pirenei,<br />

la sua reazione rimane alla superficie, così come alla superficie<br />

era sempre stata la sua scelta cristiana.<br />

Tutti questi elementi sono già presenti nei due carmi <strong>di</strong>retti ad<br />

Ausonio: Paolino non ha scosso il giogo dell’antica amicizia col<br />

maestro, patrono e padre che l’ha nutrito ed allevato fin dai più teneri<br />

anni; egli non vive ancora in luoghi deserti, pre<strong>di</strong>letti da asceti e da<br />

anime nobili de<strong>di</strong>te alla poesia e alla filosofia; non è un Bellerofonte<br />

fuor <strong>di</strong> senno, né è alla mercé della moglie, che non è una Tanaquilla,<br />

bensì una Lucrezia. Ancora non si è liberato dei beni terreni, ma ha<br />

capito benissimo che essi devono essere rimessi nelle mani <strong>di</strong> Cristo<br />

per farne usufruire con interesse centuplicato i poveri. Paolino ha<br />

davvero dato una svolta decisiva alla sua esistenza. Egli non è più<br />

quello <strong>di</strong> una volta. Non intende più seguire le Muse e le vuote favole<br />

dei poeti, ma neppure i sofismi dei filosofi e gli artifici degli oratori.<br />

Ispiratore del suo canto d’ora in poi sarà solo Cristo.<br />

– 231


232 –


I N D I C E<br />

G. SANTANIELLO - P. SCAFURO, Introduzione . . . . . . .<br />

G. RAVASI, L’uomo pellegrino dell’assoluto . . . .<br />

F. PASTORE, Il potere nella politica: risorsa o tentazione . .<br />

P. CASILLO, Le fatiche <strong>di</strong> Sisifo dei cattolici in politica . . .<br />

P.M. DE STEFANO, Le comunicazioni globali: la voce plurale<br />

della democrazia. . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

C. GRECO S.I., La cre<strong>di</strong>bilità della rivelazione . . . . . .<br />

C. RICCIO, L’«impeto fecondo». La poesia <strong>di</strong> Clemente Rebora<br />

R. SIBILLA, Sulle tracce della poesia <strong>di</strong> Mario Luzi . . . .<br />

B. FORTE, La verità nella poesia <strong>di</strong> Mario Luzi . . . . . .<br />

A. F. LANZA, Origine ed evoluzione dell’universo: gli ultimi<br />

sviluppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

G. MOLLO, A. SOLPIETRO, La valorizzazione ed il restauro dei<br />

beni culturali della Chiesa nella <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Bilanci e<br />

prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Appen<strong>di</strong>ce 1<br />

L’Intesa C.E.I. - Ministero per i Beni Culturali e Ambientali<br />

Appen<strong>di</strong>ce 2<br />

Intesa Programmatica tra la Regione Campania e la Conferenza<br />

Episcopale Campana . . . . . . . . . . . .<br />

A.V. NAZZARO, Luca 1, 39-56 nelle parafrasi <strong>di</strong> Giovenco (1,<br />

80-104) e Paolino (Carm. 6, 139-78). . . . . . . . .<br />

G. SANTANIELLO, Il dramma della conversione nel <strong>di</strong>battito tra<br />

Ausonio e Paolino . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Pag. 5<br />

» 09<br />

» 21<br />

» 31<br />

» 53<br />

» 81<br />

» 99<br />

» 113<br />

» 133<br />

» 151<br />

» 165<br />

» 177<br />

» 183<br />

» 191<br />

» 205<br />

– 233


PUBBLICAZIONI<br />

CENTRO DI STUDI E DOCUMENTAZIONE<br />

SU PAOLINO DI NOLA<br />

Collana «Strenae <strong>Nola</strong>nae»<br />

<strong>di</strong>retta da Antonio V. Nazzaro<br />

S. PRETE, Motivi ascetici e letterari in Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> (Strenae<br />

<strong>Nola</strong>nae 1), LER, Napoli/Roma 1987, L. 20.000.<br />

T. PISCITELLI CARPINO, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Epistole ad Agostino (Strenae<br />

<strong>Nola</strong>nae 2), LER, Napoli/Roma 1989, L. 30.000.<br />

A. RUGGIERO (a cura <strong>di</strong>), Il ritorno <strong>di</strong> Paolino. 80° dalla traslazione<br />

a <strong>Nola</strong>. Atti, documenti, testimonianze letterarie (Strenae <strong>Nola</strong>nae<br />

3), LER, Napoli/Roma 1990, L. 30.000.<br />

G. SANTANIELLO, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Le Lettere, 2 voll. (Strenae <strong>Nola</strong>nae<br />

4-5), LER, Napoli/Roma 1992, L. 90.000.<br />

A. RUGGIERO, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. I Carmi, 2 voll. (Strenae <strong>Nola</strong>nae 6-<br />

7), LER, Napoli/Roma 1996, L. 90.000.<br />

AA.VV, Atti del II Conveno. XVI Centenario del ritiro <strong>di</strong> Paolino a<br />

<strong>Nola</strong> (395-1995), <strong>Nola</strong> 18-20 maggio 1995, a cura <strong>di</strong> G. Luongo<br />

(Strenae <strong>Nola</strong>nae 8), LER, Napoli/Roma 1998, L. 60.000.<br />

SAVERIO DE RINALDIS, Paolineide, a cura <strong>di</strong> Andrea Ruggiero (Strenae<br />

<strong>Nola</strong>nae 9), LER, Napoli 2002, Euro 12,00.<br />

AA.VV., Gianstefano Remon<strong>di</strong>ni, Atti del Convegno nel III Centenario<br />

della nascita, <strong>Nola</strong>, 19 maggio 2001, a cura <strong>di</strong> Carlo Ebanista<br />

e Tobia R. Toscano (Strenae <strong>Nola</strong>nae 10), LER, Napoli 2003,<br />

Euro 26,00.<br />

234 –


VOLUMI PUBBLICATI<br />

DALLA BIBLIOTECA S. PAOLINO<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 1<br />

Atti Sommari 1981-82<br />

G. SANTANIELLO, Aspetti religiosi e socio-culturali dell’età <strong>di</strong> Paolino;<br />

G. M. RUGGIERO, Paolino in <strong>Nola</strong> Pelagiana; A. V. NAZZARO, Il Carme<br />

IX <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. RUGGIERO, Carme XXI, <strong>Nola</strong> Crocevia dello<br />

spirito; A. RUGGIERO, Carme XVII, Il Canto dell’Amicizia cristiana;<br />

G. GRIMALDI, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>: una proposta spirituale per il nostro<br />

tempo; V. DE FALCO, L’uomo in Erich Fromm; B. SCHETTINO, L’uomo<br />

in E. Mounier; L. SIMONETTI, L’uomo in Antonio Gramsci; P. LA MAR-<br />

CA, L’uomo in Rudolf Carnap; M. FABBROCINI, L’uomo in Teilhard de<br />

Char<strong>di</strong>n; L. VASSALLO, Il contesto storico-sociale dell’Enciclope<strong>di</strong>a;<br />

D. SORRENTINO, L’Encyclope<strong>di</strong>e; G. MERCOGLIANO, La filosofia<br />

dell’illuminismo; D. SORRENTINO, Gli illuministi e il problema <strong>di</strong> Dio;<br />

C. ROBERTO, Interpretazione e rappresentazione della natura; S. DE<br />

FALCO, La chimica all’epoca degli illuministi; W. SORRENTINO - V. CON-<br />

FETTO, Gli strumenti chirurgici del ‘700; F. MANGANELLI, L’economia<br />

dell’Enciclope<strong>di</strong>a; L. MUCERINO, L’illuminismo oggi; E. IORIO, «Premi<br />

Letterari»: Il Campiello ‘81: «Diceria dell’untore» <strong>di</strong> G. Bufalino; E.<br />

CAPPA, Il Bancarella ‘81, Socialista <strong>di</strong> Dio, <strong>di</strong> Sergio Zavoli; E. CAPPA,<br />

«Narrativa flash»: «La sopravvivenza» <strong>di</strong> Dante Troisi; E. CAPPA,<br />

«Severina» <strong>di</strong> Ignazio Silone; E. IORIO, Leonardo Sciascia: La letteratura<br />

come verità; T. TOSCANO, Rilettura della narrativa <strong>di</strong> Mario<br />

Pomilio; R. SIBILIA, Vita e morte nell’itinerario umano e artistico <strong>di</strong> G.<br />

Testori; E. IORIO, Dolore e speranza nell’opera <strong>di</strong> Giorgio Saviane; G.<br />

MINIERI (a cura <strong>di</strong>), <strong>Nola</strong> Millenaria; C. NAPOLITANO, Casamarciano<br />

nei secoli; M. ACIERNO, Nella realtà delle cose.<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 2<br />

Incontri Culturali 1983-85<br />

A. MONTICONE, L’impegno culturale del cristiano; M. POMILIO, Il dolore<br />

nel Manzoni; S. PRETE, La povertà in Paolino: estetismo letterario<br />

o sincerità <strong>di</strong> convertito; T. PISCITELLI CARPINO, Tra Classicismo e<br />

Cristianesimo: Le Epistole <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> ad Agostino; A.<br />

RUGGIERO, <strong>Nola</strong> e San Paolino nei Carmi <strong>di</strong> Gennaro Aspreno Galante;<br />

G. COSTANZO - S. IOVINO, Tavola Rotonda su: Alle ra<strong>di</strong>ci culturali e<br />

sociali della camorra; C. PETRELLA - A. M. DI GENIO, Droga: problemi,<br />

prospettive, esperienze; E. SANTUCCI - G. DEVASTATO, L’esperienza<br />

– 235


236 –<br />

della comunità «Il pioppo» <strong>di</strong> Somma Vesuviana; A. DI CARO, Levi-<br />

Strauss: i segni e il potere; M. PRISCO, La provincia addormentata:<br />

1949-1984; R. SIBILLA - S. LUMINELLI, Ra<strong>di</strong>ci crisitane nell’opera <strong>di</strong><br />

Rocco Scotellaro; E. CAPPA, Eugenio Corti e il Cavallo Rosso; E. IORIO,<br />

Per un ripensamento delle unità aristoteliche: Il teatro <strong>di</strong> T. Wilder;<br />

R. SIBILLA, La poesia <strong>di</strong> Giuseppe Centore; E. CAPPA, Umano e <strong>di</strong>vino<br />

nella narrativa <strong>di</strong> L. Santucci; C. MASUCCI, Ecologia. fondamenti e<br />

prospettive; G. MASCIO, Ecologia e salute: aspetti generali e situazione<br />

dell’area nolana; F. MANGANELLI, Inquinamento e <strong>di</strong>sinquinamento;<br />

G. COSTANZO, Alle ra<strong>di</strong>ci del male, a cura <strong>di</strong> A. MONSURRÒ; G. GIUSTI,<br />

Nazareno, una storia del Sud, a cura <strong>di</strong> C. TESONE; E. CAPPA, Le rime<br />

del silenzio, a cura dell’Autrice; L. AMMIRATI, Ambrogio Leone nolano,<br />

a cura <strong>di</strong> TOBIA R. TOSCANO; D. CAPOLONGO, Momenti <strong>di</strong> storia dell’Agro<br />

<strong>Nola</strong>no; G. FULCO - T. TOSCANO - D. CAMPANELLI, Stu<strong>di</strong> in onore<br />

<strong>di</strong> Pietro Manzi, a cura degli Autori.<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 3<br />

Incontri Culturali 1985-86<br />

G.COSTANZO, La Biblioteca Diocesana «San Paolino»; Statuto della<br />

Biblioteca; Statuto del Centro <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> e Documentazione su Paolino<br />

<strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. CORTESE ARDIAS, Biblioteca e territorio: per una politica<br />

della cultura in Campania; M. G. MALATESTA PASQUALITTI, La Biblioteca:<br />

da luogo <strong>di</strong> consultazione a centro <strong>di</strong> animazione culturale; D.<br />

SORRENTINO, Biblioteca S. Paolino: <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> attività; M. G. MARA,<br />

Ricchezza e povertà nel cristianesimo primitivo; G. SANTANIELLO, L’opera<br />

missionaria della Chiesa tra il IV e il V secolo: La lettera 18 <strong>di</strong><br />

Paolino a Vittricio <strong>di</strong> Rouen ed il Carme 17 a Niceta <strong>di</strong> Remesiana;<br />

trad. <strong>di</strong> G. SANTANIELLO, Le due lettere <strong>di</strong> Paolino a Vittricio; D.<br />

SORRENTINO, La «democrazia» <strong>di</strong> Luigi Sturzo; L. SIMONETTI, La democrazia<br />

in Karl Marx e Antonio Gramsci; M. FABBROCINI, Karl Raimund<br />

Popper e la società aperta; G. DE RITA, La complessità sociale e le<br />

nuove povertà; R. SIBILLA, Incontro con Domenico Rea; E. CAPPA, Attualità<br />

<strong>di</strong> Carlo Levi; R. SIBILLA, Calvino: una biografia intellettuale;<br />

F. MANGANELLI, Incontro con i poeti del Gambrinus; R. DE LUCA,<br />

Libroforum su V. Quin<strong>di</strong>ci, <strong>Nola</strong> antica; A. DRAGO, Quale alternativa<br />

alla <strong>di</strong>fesa nucleare; G. RAGOZZINO, Il Car<strong>di</strong>nale Bartolomeo D’Avanzo<br />

nell’ine<strong>di</strong>to «Chronicon» <strong>di</strong> Gennaro Aspreno Galante.<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 4<br />

Incontri Culturali 1986-87<br />

F. BELLA, Una scienza per l’uomo; S. D’ELIA, Sullo sfondo storicoculturale<br />

dell’opera <strong>di</strong> S. Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. RUGGIERO, Paolino cantore<br />

<strong>di</strong> Cristo; E. IORIO, Leonardo Sciascia; P. DI SOMMA, Clemente<br />

Rebora: Tormento e poesia; M. CONDORELLI, Eutanasia: approccio eti-


co-me<strong>di</strong>co-giuri<strong>di</strong>co; G. GIULIANO, L’Eutanasia: approccio teologicomorale;<br />

A. NEGRO, L’omeopatia: una me<strong>di</strong>cina per tutto l’uomo; Me<strong>di</strong>cina<br />

omeopatica Hahnemanniana: un’esperienza della dr.ssa Alma<br />

Rodriguez; R. RAIMONDI, Premesse metodologiche per le ricerche <strong>di</strong><br />

Storia locale; D. CAPOLONGO, Brevi considerazioni sull’attuale situazione<br />

storiografica del nolano; F. R. DE LUCA, L’archivio storico<br />

<strong>di</strong>ocesano <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; F. MIANO, Etica ed esistenza nella filosofia <strong>di</strong> Karl<br />

Jaspers; M. MALATESTA, La logica e il problema <strong>di</strong> Dio; P. CASILLO,<br />

Che cosa pensano i giovani della vocazione sacerdotale e religiosa;<br />

A. RUGGIERO, Libroforum su: M. Piciocchi, Quattro conversazioni su<br />

Giordano Bruno; S. GAETA, Libroforum su: D. Sorrentino, Giuseppe<br />

Toniolo. Una Chiesa nella storia.<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 5<br />

Incontri Culturali 1987-88<br />

B. SORGE, Cattolici e politica oggi in Italia; D. SORRENTINO, Chiesa,<br />

cattolici e politica in Italia tra la caduta del fascismo e il referendum<br />

istituzionale nel <strong>di</strong>ario ine<strong>di</strong>to <strong>di</strong> Egilberto Martire; F. MANGANELLI,<br />

Alla ricerca del senso della cultura popolare; G. ZARONE, Su essere e<br />

verità in Heidegger; E. SGRECCIA, Ingegneria genetica umana: problemi<br />

etici; P. DE STEFANO, Leopar<strong>di</strong> tra linguistica e semiotica; E. CAPPA,<br />

La sfida ne «L’ultima valle» <strong>di</strong> Carlo Sgorlon; Incontro con l’autore:<br />

Dante Troisi.<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 6<br />

Incontri Culturali 1988-89<br />

G. CAMPANINI, Il contributo dei cattolici alla Costituzione; D.<br />

SORRENTINO, La rivoluzione francese e la cultura politica dei cattolici<br />

italiani; V. DINI, La società post-industriale e la crisi dei linguaggi; A.<br />

D’ACUNTO, L’emergenza “ambiente” in Campania; G. SAVERESE, La<br />

filosofia del Leopar<strong>di</strong>; M. T. SCALA - P- D. SOMMA, La poesia: il potere<br />

<strong>di</strong> immaginare nella società tecnologica; L. FERRAGINA - A. MASULLO,<br />

La situazione documentaria concernente S. Felice Vescovo <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>;<br />

V. CIMMELLI, La chiesa arcipretale nullius <strong>di</strong> S. Pietro a Scafati; P.<br />

LUCIANO, Il Vallo <strong>di</strong> Lauro nei documenti <strong>di</strong> una Commenda del S.M.O.<br />

<strong>di</strong> Malta.<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 7<br />

Incontri Culturali 1989-90<br />

F. CASAVOLA, Democrazia: da potere del popolo a bene comune; E.<br />

MAZZARELLA, La crisi del socialismo reale e i no<strong>di</strong> della democrazia<br />

occidentale: quali prospettive Tavola rotonda: Per un nuovo sviluppo<br />

del Mezzogiorno: la sfida della solidarietà. interventi <strong>di</strong>: Giuseppe<br />

– 237


238 –<br />

Costanzo, Antonio Auriemma, Gennaro Ferrara, Carlo Biffi; D.<br />

SORRENTINO, Moralità e prassi politico-amministrativa; P. G. DONINI,<br />

Islam e Occidente; M. ABRAH, Nuovi aspetti del crescente fermento<br />

religioso sciita; O. MARRA, Sul rapporto tra scienza arabo-islamica e<br />

scienza occidentale; L. D’ONOFRIO, Dall’utopia alla speranza. L’esperienza<br />

teologico-poetica <strong>di</strong> Charles Péguy; M. T. SCALA - S. M. MARTINI<br />

- E. MICCINI, La poesia visiva: parole ed altro...; G. NAPPI, Il concetto<br />

<strong>di</strong> stress nello sviluppo delle neuroscienze; D. CAPOLONGO - B. MORALDO<br />

- V. CAPUTO, Il parco del Partenio: una valenza ecologica della<br />

Campania; P. MOSCHIANO, Il brigantaggio nel nolano e nel Vallo <strong>di</strong><br />

Lauro; A. RUGGIERO, Il culto dei santi e delle loro reliquie nei carmi <strong>di</strong><br />

Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. FRANCHI DE BELLIS, Intorno al cippo abellano.<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 8<br />

Incontri Culturali 1990-91<br />

S. ZAVOLI, Mass me<strong>di</strong>a e impegno per la democrazia. Una testimonianza;<br />

Tavola rotonda: Rinnovamento della politica e «questione<br />

morale». Interventi <strong>di</strong> Raffaele Cananzi e Ennio Pintacuda; D.<br />

SORRENTINO, Dalla Rerum Novarum alla Centisimus Annus. Profilo<br />

storico del magistero sociale; A. TORTORA, <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> e mondo<br />

del lavoro. Situazione e prospettive; P. DE STEFANO, Il linguaggio della<br />

politica; P. PIFANO, L’uomo nella cultura mitteleuropea; E. CAPPA, Cesare<br />

Pavese: Un approccio esistenziale; M. T. SCALA - A. IZZO,<br />

Dadaismo per iniziare; M. DE MARIA; I trapianti d’organo; G. GIULIA-<br />

NO, Trapianti d’organo: approccio etico; G. MOLLO, Il convento <strong>di</strong> S.<br />

Angelo in Palco a <strong>Nola</strong>; M. NUNZIATA, Fer<strong>di</strong>nando Fuga e la caserma<br />

Principe Amedeo; A. RUGGIERO, Agostino, Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> e l’epigrafe<br />

per Cinegio, C. IANNICELLI, Note al lessico paoliniano. Indagine su<br />

alcuni appellativi riferiti a S. Felice.<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 9<br />

Incontri Culturali 1991-92<br />

B. FORTE, Cristianesimo ed Europa: oltre la modernità, i fondamenti<br />

della speranza; R. GATTI, La crisi della democrazia e le prospettive<br />

dell’umanesimo politico; G. SALVINI, Rapporti Nord-Sud del mondo:<br />

una sfida per il 2000; G. ACONE, Le nuove frontiere dell’educazione;<br />

L. CUCCURULLO, Scienze-Scientismo e valori dell’uomo; V. DE LUCA, Il<br />

caso <strong>di</strong> Primo Levi: un particolare rapporto tra Ebraismo e letteratura;<br />

M. T. SCALA, Lo specchio trasparente. Introduzione al surrealismo;<br />

M. FRANCO, Dada e surrealismo al cinema; A. RUGGIERO, <strong>Nola</strong> e il<br />

Beato Giovanni Duns Scoto; F. R. DE LUCA, I documenti relativi a<br />

Giovanni Duns Scoto conservati nell’Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong><br />

<strong>Nola</strong>; A. CACCAVALE, La Compagnia <strong>di</strong> Gesù a <strong>Nola</strong>; G. D’ERRICO,


Dottrina e poesia nelle Lettere <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Note critiche; R.<br />

MARANDINO, I dolci colloqui <strong>di</strong> Paolino nell’Epistolario; D. SORRENTINO,<br />

L’amore <strong>di</strong> unità - Amicizia spirituale ed ecclesiologica in Paolino <strong>di</strong><br />

<strong>Nola</strong>; C. IANNICELLI, Il miracolo in Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Saggio <strong>di</strong> sintesi;<br />

T. PISCITELLI CARPINO, La figura <strong>di</strong> Maria nell’opera <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>.<br />

IMPEGNO E DIALOGO/10<br />

Incontri Culturali 1992-94<br />

P. GIUNTELLA, Il «muro italiano» Nord-Sud: crisi sociale e prospettive<br />

del Paese; S. CECCANTI, Crisi dei partiti e riforme istituzionali; A.<br />

RIGOBELLO, Libertà e verità nell’o<strong>di</strong>erno orizzonte culturale; A.<br />

ABIGNENTE, Democrazia e partecipazione: spunti per una riflessione;<br />

B. ULIANICH, La Chiesa nel mutamento della politica italiana; S. VAS-<br />

SALLO, Dinamismo elettorale e nuovi soggetti politici; G. V. COYNE, Il<br />

punto sulle teorie cosmologiche; G. MELANDRI, La <strong>di</strong>fesa dell’ambiente<br />

dopo la conferenza <strong>di</strong> Rio de Janeiro; G. NERI, All’origine della vita<br />

umana, scenza ed etica a confronto; E. CAPPA, La poesia religiosa nel<br />

Novecento; G. AGNISOLA, Disperazione e speranza <strong>di</strong> Padre Turoldo;<br />

A. SERRA, Invito alla lettura <strong>di</strong> Pasquale Maffeo; P. MAFFEO, Il mio<br />

lavoro <strong>di</strong> scrittore; R. SIBILLA, Ritratti <strong>di</strong> donne nella letteratura e nella<br />

cultura contemporanea; A. SENA, La mosca e la bottiglia; R. LA<br />

CAPRIA, Il ruolo dell’intellettuale nel Sud, oggi nel laboratorio <strong>di</strong> «Ferito<br />

a Morte»; G. GUTTILLA, Ausonio e Paolino: rapporti letterari ed<br />

umani; A. SALVATORE, Riflessioni sulla poetica <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; G.<br />

SANTANIELLO. La spiritualità <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>: Il cammino ascetico e<br />

mistico del convertito; A. NAZZARO, Orazio e Paolino; B. ULIANICH,<br />

Eucherio <strong>di</strong> Lione e il «De contemptu mun<strong>di</strong>»; C. IANNICELLI, Deus<br />

operatus est. Sull’autore del miracolo in Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> e in alcuni<br />

scritti agiografici greco-latini; C. RUBINO, La poesia <strong>di</strong> Luigi Tansillo;<br />

D. NATALE, Angelo Mozzillo ed i suoi rapporti con <strong>Nola</strong>; R. PINTO,<br />

Considerazioni critiche sull’opera pittorica <strong>di</strong> Angelo Mozzillo; G.<br />

MOLLO, Metodologia per un restauro. La Chiesa <strong>di</strong> S. Chiara in <strong>Nola</strong>;<br />

F. MILO, <strong>Nola</strong>, la rinascita <strong>di</strong> una città nel secolo dei lumi; F. TRIFUOGGI,<br />

Giovanni Rinal<strong>di</strong>, S. Maria delle Grazie, Insigne Collegiata in<br />

Marigliano. Cinquecento anni <strong>di</strong> storia ed arte.<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 11<br />

Incontri Culturali 1994-96<br />

D. SORRENTINO - G. SANTANIELLO, Introduzione; P. SCOPPOLA, Presente e<br />

futuro della democrazia in Italia; A. MONTICONE, Il ruolo della cultura<br />

nell’attuale momento storico; D. MONGILLO, Etica e fede; D.<br />

SORRENTINO, Cattolici e politica: che fare; A. MARZANO, Politica ed<br />

economia; F. MANGANELLI, La <strong>di</strong>soccupazione giovanile; G. IORIO, Di-<br />

– 239


soccupazione giovanile a <strong>Nola</strong>: Un’indagine con meto<strong>di</strong> qualitativi;<br />

C. R. MASUCCI - A. CICCONE - M. FUSCO, La <strong>di</strong>ffusione delle patologie<br />

nel territorio nolano; F. FABBROCINI, Intelligenza artificiale, sistemi<br />

esperti e appren<strong>di</strong>mento automatico: tecniche, problemi, prospettive;<br />

A. DRAGO, Scienza ed etica in fisica e biologia; A. CARANDENTE, La<br />

letteratura: Quale futuro; M. T. SCALA, I <strong>di</strong>ritti del lettore; R. SIBILLA,<br />

Da donne... verso il terzo millennio; G. VITOLO, Federico II: Imperatore<br />

me<strong>di</strong>evale o sovrano moderno; G. LORIZIO, Il duplice volto della<br />

morte nel pensiero post-moderno; T. R. TOSCANO - F. TRIFUOGGI, La<br />

Stampa perio<strong>di</strong>ca a Napoli dalla rivoluzione del 1799 al nonimestre<br />

del 1820-21, nella ricerca <strong>di</strong> G. Addeo; V. D. IASEVOLI, Significativa<br />

presenza fiamminga a Pomigliano nel XVI secolo. Ripercussioni della<br />

strage <strong>di</strong> San Bartolomeo nell’arte del ‘500 a Napoli; G. SANTANIELLO,<br />

Momenti del percorso teologico <strong>di</strong> Paolino nel <strong>di</strong>alogo epistolare con<br />

Agostino; C. IANNICELLI, Rassegna <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> paoliniani (1980-1997).<br />

IMPEGNO E DIALOGO / 12<br />

Incontri Culturali 1996-98<br />

D. SORRENTINO - G. SANTANIELLO, Introduzione; B. SORGE, Quale speranza<br />

per la politica; S. ZAMAGNI, Lavoro, occupazione, economia<br />

civile; L. CORRADINI, Presenza Cristiana nella scuola che cambia; E.<br />

SGRECCIA, Dalla procreazione artificiale alla clonazione. Considerazioni<br />

etiche; Sulla clonazione a scopi “terapeutici”. Documento del<br />

Centro <strong>di</strong> Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; P.<br />

CASILLO, Pluralismo delle scelte politiche e unità dei valori; F. MAN-<br />

GANELLI, Una esperienza: dalla Società civile al Parlamento; F. CA-<br />

STELLI, Gesù nella letteratura contemporanea; M. MIELE, Gli anni <strong>di</strong><br />

Giordano Bruno a Napoli. L’ambiente conventuale e i maestri; S.<br />

RIONERO, Il ruolo della matematica nella scienza moderna; G. SANTO,<br />

Il Seminario Vescovile <strong>di</strong> <strong>Nola</strong> dopo il Remon<strong>di</strong>ni; G. SANTO, Angelo<br />

Mozzillo e il Seminario Vescovile <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; M. C. CAMPONE, La lastra<br />

tombale <strong>di</strong> Monsignor Gallo: un’ipotesi ricostruttiva sulla Cripta <strong>di</strong><br />

S. Felice nel Duomo <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; G. ADDEO, Il territorio nolano e la Repubblica<br />

Napoletana del 1799; A. D’AVANZO, L’associazionismo<br />

<strong>Nola</strong>no nell’ultimo ventennio dell’800; B. D’ANIELLO - C. R. MASUCCI,<br />

Aspetti naturalistici ed impatto antropico nel territorio <strong>Nola</strong>no; A.<br />

FUSCO, Le colline <strong>di</strong> Cicala; G. SANTANIELLO, Il presbitero Uranio testimone<br />

oculare della morte <strong>di</strong> Paolino; G. SANTANIELLO (a cura <strong>di</strong>),<br />

Lettera del presbitero Uranio a Pacato sulla morte <strong>di</strong> Paolino; D.<br />

SORRENTINO, L’immagine ideale del Vescovo nell’Epistola De obitu<br />

Sancti Paulini <strong>di</strong> Uranio; T. LEHMANN, Alarico in Campania: un nuovo<br />

Carme <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; A. RUGGIERO, La teologia dell’arte sacra<br />

negli scritti <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>.<br />

240 –


IMPEGNO E DIALOGO / 13<br />

Incontri Culturali 1998/2000<br />

G. SANTANIELLO, Introduzione; A. RIGOBELLO, I nuovi saperi del contesto<br />

culturale ed educativo <strong>di</strong> oggi; G. DE RITA, La società italiana <strong>di</strong><br />

fine Millennio; G. BREGANTINI, Quale chiesa per il sud; F. MANGANELLI,<br />

Capitalismo e “capitalità”: la Laborem exercens e il conflitto capitale-lavoro;<br />

R. SIBILLA, La narrativa italiana dagli anni settanta agli<br />

anni novanta; V. PLACELLA, Giubileo e pellegrinaggio in Dante; M. T.<br />

SCALA, Il viaggio nel mondo femminile; F. MANGANELLI, Ri<strong>di</strong>stribuzione<br />

della ricchezza: generosità o giustizia; P. POUPARD, Purificazione della<br />

memoria e cultura della persona nel Terzo Millennio; G. ROMEO, La<br />

condanna <strong>di</strong> Giordano Bruno alla luce dei più recenti stu<strong>di</strong> sull’inquisizione<br />

romana; G. CIOFFARI, Giordano Bruno e la tra<strong>di</strong>zione teologica<br />

domenicana; B. DEPALMA, La nostra chiesa locale s’interroga; L.<br />

MUCERINO, Giordano Bruno, quale misticismo; G. SANTANIELLO, La figura<br />

ideale del Vescovo nell’opera <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; G. GUTTILA,<br />

Spunti <strong>di</strong> “teologia politica” nei Carmi <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>; M. C.<br />

CAMPONE, Testimonianze iconografiche <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>. Ine<strong>di</strong>ti<br />

aspetti della fortuna del Santo: l’Inventio della vera croce; A. V.<br />

NAZZARO, La Laus Sancti Iohannis <strong>di</strong> Paolino <strong>di</strong> <strong>Nola</strong>: tra parafrasi ed<br />

esegesi; G. GUTTILLA, L’esor<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Paolino come poeta “dotto” cristiano.<br />

Il propempticon a Niceta (Carm. 17).<br />

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