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Scarica il quaderno - Vicenza Jazz

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Gerry Mulligan e <strong>il</strong> West Coast <strong>Jazz</strong><br />

Things con una forza espressiva ancor oggi sorprendente.<br />

A questi esiti artistici si affiancarono però presto diversi problemi: in<br />

primis quelli legati alla droga, che portarono Mulligan in carcere per<br />

qualche mese, ma anche la separazione da Chet Baker. Ritornato a<br />

New York nel 1954, e poi nuovamente in California, <strong>il</strong> baritonista<br />

portò comunque avanti la formula “pianoless”, sostituendo Baker<br />

con <strong>il</strong> trombettista Jon Eardley o con <strong>il</strong> trombone di Bob<br />

Brookmeyer, allargando poi l’organico a questi due e al sassofono<br />

di Zoot Sims e collaborando con altri giganti del jazz californiano tra<br />

cui Paul Desmond o Dave Brubeck.<br />

Il musicista si trovò così nella curiosa situazione di essere un classico<br />

anzitempo. La sua influenza su alcune direzioni del West Coast<br />

<strong>Jazz</strong> è indiscutib<strong>il</strong>e, ma la forza di questa musica non trovò <strong>il</strong> giusto<br />

appoggio promozionale e critico, tanto che è rimasta in gran parte<br />

una musica di musicisti per musicisti, tanto ricca di idee e talento<br />

quanto poco compresa ed efficace a livello mediatico. Non a caso<br />

alcuni dei più grandi jazzisti della costa occidentale che emersero in<br />

quegli anni, da Charles Mingus a Ornette Coleman, da Eric Dolphy<br />

a Dexter Gordon, hanno trovato la loro fortuna sulla costa opposta.<br />

Anche dal punto di vista strettamente strumentale Mulligan è divenuto<br />

presto un classico: inizialmente orientato verso i più comuni<br />

sax tenore e contralto, si dedicò poi esclusivamente al baritono, cui<br />

diede una statura solistica autonoma. Se infatti fino a allora gli eroi<br />

del baritono erano da ricercare nelle grandi orchestre, un nome per<br />

tutti quello di Harry Carney nella big band di Duke Ellington, con<br />

Mulligan lo strumento diventa un protagonista credib<strong>il</strong>e a trecentosessanta<br />

gradi: <strong>il</strong> suono è ag<strong>il</strong>e ed elegante, in grado di donare alle<br />

frenetiche frasi bop una cantab<strong>il</strong>ità ironica ed efficace senza bisogno<br />

di spingere sull’acceleratore. Se a questo aggiungiamo che l’unico<br />

possib<strong>il</strong>e contendente alla “corona” fu <strong>il</strong> prematuramente<br />

scomparso Serge Chaloff, appare chiaro che <strong>il</strong> ruolo di re dello strumento<br />

non potesse venirgli insidiato da solidi boppers come Cec<strong>il</strong><br />

Payne o Pepper Adams. Sarà poi solo alla fine degli anni Sessanta,<br />

con la definitiva “democratizzazione” di tutti gli strumenti nel jazz<br />

post-coltraniano e in quello europeo più evoluto, che <strong>il</strong> sax baritono<br />

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