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Prof. Emilio Baccarini Alla ricerca del significante. Il sé e il suo futuro

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storia di un diverso paradigma <strong>del</strong>l’umano, sebbene le prime luci <strong>del</strong>l’alba <strong>del</strong> m<strong>il</strong>lennio non siano<br />

propriamente rassicuranti e promettenti.<br />

Vorrei proporre nella mia riflessione un percorso problematico che si faccia carico, senza<br />

pretesa di esaustività, dei molti interrogativi che ci ass<strong>il</strong>lano, <strong>del</strong>le contraddizioni, <strong>del</strong>le ansie e <strong>del</strong>le<br />

speranze. L’unica preoccupazione reale è cercare di reperire un senso che possa rendere significativo<br />

in maniera autenticamente efficace <strong>il</strong> cammino <strong>del</strong>l’uomo nella sua storia perché diventi una storia<br />

autenticamente umana. L’implicito di queste mie affermazioni è che l’umano costituisce una qualità<br />

ontologica che non ha ancora strutturato veramente la riflessione <strong>del</strong>l’uomo su di sé. Cosa significa<br />

pensare umanamente l'uomo? Pensare l’uomo in termini umani significa dare una qualificazione<br />

autoreferenziale a questo termine, che deve trovare in se stesso i criteri di conoscib<strong>il</strong>ità e di<br />

definib<strong>il</strong>ità; questo è <strong>il</strong> senso più autentico <strong>del</strong>l’espressione kat’auto riferita all’essenza <strong>del</strong>l’umano.<br />

L’autoreferenzialità a cui mi riferisco significa semplicemente che per pensare e definire l’umano non<br />

dobbiamo ricorrere a elementi estrinseci, perché <strong>il</strong> criterio di misura o è al di sopra di lui o, in quanto<br />

inferiore, lo sminuisce. L’umanesimo biblico e la prospettiva evangelica potrebbero avanzare la<br />

pretesa di essere paradigmi per pensare altrimenti l’uomo cioè pensarlo umanamente. Detto con<br />

estrema laconicità, nell’ottica biblica pensare umanamente l’uomo significa pensarlo divinamente.<br />

Questa è l’origine di una logica qualitativamente diversa. La logica <strong>del</strong>l’unicità e <strong>del</strong>la sua preziosità.<br />

E tuttavia, pensare ‘divinamente’ non significa rimandare a un immediato riferimento fondativo<br />

teologico, ma si pone come una qualificazione <strong>del</strong> pensiero. <strong>Il</strong> resto <strong>del</strong> mio percorso giustificherà<br />

questa affermazione.<br />

Per pensare <strong>il</strong> senso <strong>del</strong>l’identità umana ricorrerò ad alcune figure <strong>del</strong>la mitologia greca e al<br />

loro superamento nella provocazione biblica: Prometeo – Narciso - Abramo.<br />

L’uomo come vivente nel mondo: Prometeo<br />

Un primo approccio, un primo passo <strong>del</strong> nostro percorso, possiamo farlo considerando che<br />

l’essere umano nella immediatezza <strong>del</strong> <strong>suo</strong> darsi è un vivente spirituale che abita un mondo. Vivente<br />

spirituale vorrebbe essere una traduzione più adeguata <strong>del</strong>la definizione aristotelica <strong>del</strong>l’uomo come<br />

Zoon Logichon. Non siamo soltanto ‘animali ragionevoli’ siamo dei ‘viventi che hanno <strong>il</strong> logos’. Ciò<br />

che mi preme sottolineare è che se ci collochiamo di fronte all’uomo come vivente siamo sempre di<br />

fronte a un participio presente, a un dinamismo inafferrab<strong>il</strong>e e inarrestab<strong>il</strong>e, a un agente che in quanto<br />

attivo non può essere considerato nella sua oggettività di cosa. Se decidessimo di proseguire<br />

nell’analisi di questo dato ci accorgeremmo che <strong>il</strong> vivente in quanto tale sfugge alla riduzione, alla<br />

standardizzazione <strong>del</strong>l’oggetto. <strong>Il</strong> tema <strong>del</strong>la vita nella sensib<strong>il</strong>ità contemporanea ha assunto una<br />

r<strong>il</strong>evanza che non possiamo trattare qui. Essere un vivente significa al tempo stesso avere la vita e<br />

patire la vita. La vita ci sopraggiunge continuamente come qualcosa di assolutamente imprevisto, ci è<br />

data o ci accade, è un dono o è semplice frutto <strong>del</strong> caso, di una combinazione biochimica che si<br />

rinnova in sintesi ininterrotte. <strong>Il</strong> vivente è tale in quanto organismo corporeo 2 . Essere corpo, e non<br />

soltanto avere un corpo, è un guadagno importante <strong>del</strong>l’antropologia <strong>del</strong> XX secolo. E, tuttavia noi<br />

siamo organismi liberi, questo esprime la dimensione <strong>del</strong>lo spirito, ma la libertà dice intrinsecamente<br />

possib<strong>il</strong>ità di bene e di male. La libertà si manifesta attraverso quella soggettività agente che dicevamo<br />

e la prima capacità di esercizio <strong>del</strong>la libertà l’uomo la rivolge a stesso preoccupandosi di sé.<br />

Prendendo a prestito i termini greci abbiamo una duplice forma di ‘preoccupazione’: la cura <strong>del</strong> corpo<br />

(therapeia tou somatou) e <strong>il</strong> prendersi cura <strong>del</strong>l’anima (epimeleia thes psychès). Oggi forse<br />

l’attenzione è sb<strong>il</strong>anciata verso la prima. La cura <strong>del</strong> corpo è la <strong>ricerca</strong> di un ‘benessere’ che ispira una<br />

peculiare arte di vivere che andrebbe indagata per coglierne le valenze profonde (<strong>il</strong> moltiplicarsi dei<br />

centri benessere è un dato eloquente). Prendersi cura <strong>del</strong>la vita è anche <strong>il</strong> senso da cui nasce per<br />

esasperazione <strong>il</strong> grande dibattito sulla tecnicizzazione come gestione <strong>del</strong>la vita. Curare e prendersi<br />

cura non sempre intendono la stessa cosa e soprattutto non sempre perseguono lo stesso fine.<br />

2<br />

Si veda a questo proposito l’opera di H. Jonas, Organismo e libertà.<br />

2

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