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Prof. Emilio Baccarini Alla ricerca del significante. Il sé e il suo futuro

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per riprendere Kierkegaard e <strong>il</strong> padre di una moltitudine di genti. Questa fiducia-speranza è <strong>il</strong> novum<br />

che fa <strong>del</strong> viaggio di Abramo un continuo evento, una continua risposta agli eventi che parlano e gli<br />

indicano la strada da percorre “verso la terra che io ti mostrerò”. Proviamo a questo punto a dare un<br />

senso all’‘altrove’ <strong>del</strong>la speranza. Qui infatti, non c’è sofferenza, bensì la continua, avvincente, a volte<br />

dolorosa certo, scoperta di una strada che si fa nel <strong>suo</strong> stesso essere percorsa. <strong>Il</strong> senso <strong>del</strong> viaggio è lo<br />

stesso viaggiare. Questa è la connotazione più radicale <strong>del</strong> nomadismo, di un’esistenza nomadica.<br />

L’altrove <strong>del</strong>la speranza, non è in realtà un altrove, non occupa nessuno spazio e nessun<br />

tempo. Non è posto da nessuna intenzione perché assolutamente ‘imprevedib<strong>il</strong>e’. Tenendo conto <strong>del</strong>lo<br />

statuto <strong>del</strong>l’anticipazione intenzionale che Husserl ha definito come ‘anticipazione memorativa’, qui è<br />

impedito lo stesso esercizio <strong>del</strong>l’intenzionalità. Non c’è anticipazione perché non c’è memoria, è puro<br />

<strong>futuro</strong>. Questo è l’evento nella sua espressione più radicale. Abramo abbandona la staticità residente e<br />

si mette in cammino fidandosi di un invito al <strong>futuro</strong>. <strong>Il</strong> tempo si tramuta nell’accadere <strong>del</strong> tempo, nella<br />

temporalizzazione <strong>del</strong>lo spazio che ora si abita e che soltanto in questo ora è significativo. Ma è un<br />

‘ora’ proiettato in avanti, si abita <strong>il</strong> <strong>futuro</strong>. <strong>Il</strong> qui è abitato in vista di un là e di un domani, questo mi<br />

sembra <strong>il</strong> senso più profondo di un’esistenza esodica, nomadica.<br />

La speranza struttura, quindi, una soggettività che non ritorna su se stessa, ma la cui identità<br />

forte consiste nell’ ‘uscire da sé’, nell’abbandonarsi 9 . <strong>Il</strong> ‘verso dove’ <strong>del</strong>la speranza descrive un luogo<br />

e un tempo che non mi appartengono e che, tuttavia, mi riguardano. <strong>Il</strong> tempo accade nella novità<br />

continua <strong>del</strong>l’evento e che definisce <strong>il</strong> tempo messianico 10 .<br />

Di fronte agli altri: l’identità come prossimità. <strong>Il</strong> Samaritano<br />

Nel contesto etico-antropologico <strong>il</strong> pensiero nomade manifesta tutta la sua carica di<br />

provocazione. La <strong>ricerca</strong> <strong>del</strong>la propria identità passa attraverso la differenza. Ciò vuol dire che <strong>il</strong> sé,<br />

come proprio sé, è fuori di sé, senza tuttavia essere alienato. <strong>Il</strong> pensiero nomade, cercando di<br />

riformulare i paradigmi, intende essere una risposta alla «convocazione etica» che mi proviene<br />

dall’altro. Questo percorso identitario si muta in un passaggio epocale: dall'ontologia all'etica; <strong>il</strong><br />

«bisogno ontologico» che costituisce ogni essere umano ha una duplice valenza: da un lato io sono un<br />

essere-di-bisogno, al tempo stesso però ogni altro, in quanto anch'egli essere-di-bisogno, mi chiede di<br />

uscire dal mio isolamento dolente per preoccuparmi <strong>del</strong> <strong>suo</strong> dolore. L'etica oltrepassa l'ontologia. Più<br />

radicalmente, la gratuità mette in questione la necessità <strong>del</strong>l'identico. <strong>Il</strong> bisogno ontologico è <strong>il</strong><br />

bisogno <strong>del</strong>l'altro nell'ambivalenza <strong>del</strong> genitivo. In questa nuova ottica vorrei mostrare come <strong>il</strong><br />

paradigma descritto dalla parabola evangelica <strong>del</strong> samaritano sia perfettamente leggib<strong>il</strong>e e ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e<br />

per una visione etico-antropologica, una nuova identità.<br />

<strong>Il</strong> desiderio <strong>del</strong>la felicità è, secondo Aristotele, ciò che accomuna tutti gli uomini. Scopo<br />

<strong>del</strong>l'etica sarà quindi, come egli dice nell'Etica nicomachea, quello di raggiungere la felicità.<br />

All'eudaimoníá greca, la felicità come raggiungimento di uno stato di beatitudine, corrisponde nella<br />

visione ebraica e poi cristiana, <strong>il</strong> raggiungimento <strong>del</strong>la vita eterna, una vita in cui <strong>il</strong> tempo diviene<br />

pienezza di compimento, tempo senza tempo, tempo compiuto. La vita eterna desiderata e cercata<br />

coinciderà quindi con <strong>il</strong> senso ultimo e intimo <strong>del</strong> proprio essere, <strong>il</strong> compimento di sé.<br />

Questa breve premessa intende inquadrare le riflessioni di carattere antropologico ed etico che<br />

faremo a partire dal testo <strong>del</strong> Vangelo di Luca 10,25-37: la «parabola <strong>del</strong> buon samaritano». <strong>Il</strong><br />

preludio è una domanda: «Maestro che debbo fare per ereditare la vita eterna?». Vale la pena<br />

sottolineare la relazione dinamica che viene istituita nella vita quotidiana intesa come esercizio per<br />

raggiungere <strong>il</strong> proprio telos. L'ortoprassi, l'agire etico sono la via. Gesù, coerentemente alla sua fede<br />

ebraica, rimanda alla Torah: «cos'è scritto nella Legge?». In due passi paralleli (Mt 22,35 e Mc 12,28),<br />

9<br />

Su questo ‘uscire’ hanno scritto pagine di grande forza e provocazione Rosenzweig e Levinas.<br />

10<br />

Non si possono dimenticare le pagine di grande suggestione di Rosenzweig o di Benjamin, ma non si può neanche<br />

dimenticare che soltanto su questo fondamento è possib<strong>il</strong>e una f<strong>il</strong>osofia e una teologia <strong>del</strong>la storia. <strong>Il</strong> “verso dove ti<br />

mostrerò” <strong>del</strong>la promessa ad Abramo inaugura un percorso rivelativo che costituisce anche <strong>il</strong> ‘senso’ <strong>del</strong>la stessa storia. La<br />

strada che si percorre non è soggetta né a un destino cieco, né all’assurdità, ha un senso, si muove verso una direzione<br />

anche se questo senso è nello stesso camminare.<br />

6

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