Prof. Emilio Baccarini Alla ricerca del significante. Il sé e il suo futuro
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Ho iniziato queste riflessioni con l’asserto Io sono in cui però l’affermazione <strong>del</strong>la prima<br />
persona non ha ancora <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>la consapevolezza di sé. Perché questa consapevolezza divenga<br />
effettiva occorre duplicare <strong>il</strong> soggetto: io sono io. <strong>Il</strong> principio di identità ha <strong>il</strong> sapore<br />
<strong>del</strong>l’autoaffermazione che produce una sorta di staticità impenetrab<strong>il</strong>e e non ci si rende conto che la<br />
vera identità sorge dalla posizione <strong>del</strong>la differenza. Mi affermo come io perché prendo le distanze, mi<br />
differenzio, dal tu. L’identità non è originaria è preceduta dalla differenza.<br />
In questo secondo passaggio <strong>del</strong>la mia riflessione vorrei riflettere sul senso <strong>del</strong>l’essere-io e lo<br />
farò richiamando queste due figure. Narciso e Abramo, tra di loro assolutamente incommensurab<strong>il</strong>i e<br />
che tuttavia, a mio avviso, hanno strutturato in maniera diversa le modalità con cui l’Occidente ha<br />
pensato l’identità <strong>del</strong> soggetto. Per brevità potemmo dire che uno definisce l’identità statica, mentre<br />
l’altro esprime l’identità dinamica. La differenza tra le due non potrebbe essere più radicale e oggi<br />
rappresenta una sfida di portata epocale, come vedremo. Su Narciso e <strong>il</strong> narcisismo si è molto<br />
esercitata la psicologia, la psicoanalisi e la letteratura, forse meno l’antropologia f<strong>il</strong>osofica. A me<br />
sembra che quella di Narciso sia la malattia fondamentale <strong>del</strong>l’Occidente, addirittura l’alternativa più<br />
radicale alla proposta cristiana. Non è certamente <strong>il</strong> caso di commentare qui la narrazione che Ovidio<br />
fa nelle sue Metamorfori, ma ritengo che un commento f<strong>il</strong>osofico-antropologico sarebbe di grande<br />
ut<strong>il</strong>ità. Un dato che possiamo cogliere nel <strong>suo</strong> senso universale è che l’identità speculare riempie di sé<br />
<strong>il</strong> mondo. La lettura di qualche riga può essere di grande aiuto alla nostra riflessione:<br />
“Qui <strong>il</strong> ragazzo, spossato dalle fatiche <strong>del</strong>la caccia e dal caldo,<br />
venne a sdraiarsi, attratto dalla bellezza <strong>del</strong> posto e dalla fonte,<br />
ma, mentre cerca di calmare la sete, un'altra sete gli nasce:<br />
rapito nel porsi a bere dall'immagine che vede riflessa,<br />
s'innamora d'una chimera: corpo crede ciò che solo è ombra.<br />
Attonito fissa sé stesso e senza riuscire a staccarne gli occhi<br />
rimane impietrito come una statua scolpita in marmo di Paro.<br />
Disteso a terra, contempla quelle due stelle che sono i <strong>suo</strong>i occhi,<br />
i capelli degni di Bacco, degni persino di Apollo,<br />
e le guance lisce, <strong>il</strong> collo d'avorio, la bellezza<br />
<strong>del</strong>la bocca, <strong>il</strong> rosa soffuso sul niveo candore,<br />
e tutto quanto ammira è ciò che rende lui meraviglioso.<br />
Desidera, ignorandolo, sé stesso, amante e oggetto amato,<br />
mentre brama, si brama, e insieme accende ed arde.<br />
Quante volte lancia inut<strong>il</strong>i baci alla finzione <strong>del</strong>la fonte!<br />
Quante volte immerge in acqua le braccia per gettarle<br />
intorno al collo che vede e che in acqua non si afferra!<br />
Ignora ciò che vede, ma quel che vede l'infiamma<br />
e proprio l'<strong>il</strong>lusione che l'inganna eccita i <strong>suo</strong>i occhi.<br />
Ingenuo, perché t'<strong>il</strong>ludi d'afferrare un'immagine che fugge?<br />
Ciò che brami non esiste; ciò che ami, se ti volti, lo perdi!<br />
Quella che scorgi non è che <strong>il</strong> fantasma di una figura riflessa:<br />
nulla ha di <strong>suo</strong>; con te venne e con te rimane;<br />
con te se ne andrebbe, se ad andartene tu riuscissi.”<br />
Narciso suggerisce l’identità statica incapace di attraversare <strong>il</strong> mondo <strong>del</strong>le differenze, neanche<br />
quella che un altro mi rimanda come mia eco, secondo <strong>il</strong> mito. Nella tradizione f<strong>il</strong>osofica e<br />
psicologica occidentale ciò si è tradotto nell’essere in sé e per sé, nella specularità, nell’identità<br />
soddisfatta e che non ha bisogno di null’altro per esistere; identità senza relazione, senza differenze,<br />
identità unica. Se proviamo ad applicare queste note a contesti più ampi, ma anche decisivi, quali<br />
l’identità personale, sociale, nazionale, culturale ci accorgiamo che la staticità e la soddisfazione che<br />
dicevo sono meno innocue o neutre di quanto a prima vista potrebbe sembrare, esiste un narcisismo<br />
culturale, sociale o nazionale che rifiuta ogni differenza. Questa identità senza relazione rischia di<br />
porsi come ripiegamento ster<strong>il</strong>izzante (nel senso <strong>del</strong>la fecondità e <strong>del</strong>l’igiene) che non vuole avere<br />
confronti e che affermandosi come l’unica libertà produce intorno a sé esclusivamente negazione e<br />
violenza. Ogni forma di violenza, infatti, può ridursi ad autoaffermazione, come l’esperienza tragica<br />
<strong>del</strong> Novecento ci ha insegnato.<br />
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