Dove sarà la mia casa / e dove il sentiero che ad essa conduce / e quell'alberogrande / e mio padre e mia madre / e la festa nei campi...Claudio Chieffo, «La collina»4 fraternitàemissioneGIUGNOLa corsa più bellaUn ragazzo di campagna, una passione per la corsa,un desiderio inquieto. E un volantino trovato in universitàdi Simone GulminiSono nato a Dogato, un paesino di mille anime, nelBasso Ferrarese. Sono figlio di contadini: il giorno incui sono nato mio padre stava lavorando la terra e,all’annuncio, abbandonò il trattore in mezzo al campo esi precipitò a vedermi. Appena fui in grado di saliresulla bicicletta, mio nonno, segretario socialista, miportò con sé a distribuire il giornale del partito, L’Avanti.La passione per la campagna e per la natura, dallapesca alla caccia, era ciò che mi distingueva sia da miofratello sia dagli amici della piazza. Trascorrevo i pomeriggiaiutando mio padre o lungo i fiumi a pescare. Perquesto motivo i miei risultati scolastici lasciavano moltoa desiderare. Non mi piaceva studiare e preferivo unazappa ad un libro.Il catechismo me lo insegnarono le suore del paese.Di venti ragazzi, rimasi l’unico che continuò ad andare amessa senza mai fare il chierichetto o il lettore. Semplicementeandavo e mi fermavo in fondo alla chiesa. Ciòche mi spingeva non erano i miei familiari, a parte mianonna, ma erano soprattutto le parole di quell’anziano prete,don Antonio. In esse percepivo qualcosa di buono edi vero. Sentire parlare di un uomo che aveva dato la vitaper me e per il mondo, e quindi che mi amava e continuavaad amarmi, era cosa che arrivava dritta al cuore.Era il primo segno della mia vocazione. Per circa un annocontinuai ad andare a messa. Poi abbandonai la Chiesaperché le parole non bastavano più, serviva una compagnia.La domenica diventò il giorno della discoteca.A 16 anni iniziai a praticare l’atletica leggera e presi avincere le gare di corsa domenicali, prima in giro per laprovincia, poi per la regione, fino ad arrivare ai campionatiitaliani. Terminate le scuole superiori a 18 anni, erodeciso a lavorare la terra dei miei genitori ma, ironiadella sorte, furono costretti a venderla. Avrei potuto lavorarela terra di altri, ma la passione per l’atletica preseil sopravvento. I buoni risultati mi facevano sognare ilprofessionismo. Poiché il servizio di leva era alle portee non volevo passare un anno senza correre, un amicomi suggerì di continuare gli studi per ottenere il rinvioSimone Gulmini, 38enne, in missionea Fuenlabrada, sobborgo diMadrid. In alto, giochi con alcunibambini.Una nuova squadraCarissimo Simone,noi che abbiamo avuto la fortuna di vedereil tuo cammino prima di entrare in seminario,abbiamo avuto la percezione evidente che iltuo punto di forza è sempre stato quello diessere figlio, oggetto di un grande amore ricevuto.Ed anche nella tua storia è evidente cheCristo ci raggiunge e salva attraverso lanostra umanità, con i nostri limiti che sonocomunque la strada per arrivare a lui. Cometutti sei sempre stato alla ricerca di "qualcosa"che compie. L'incontro con Cristo, tramite ilClu e poi Gl, ti ha permesso l'aprirsi e approfondirsidi ciò che eri. E, nel tempo, abbiamovisto fiorire la tua paternità nei confronti deitanti ragazzi difficili che incontravi nel tuomilitare. Mi disse anche che l’atletica non mi avrebbedato da mangiare per tutta la vita, mentre lo studio miavrebbe aperto nuove strade. Pur di correre, non ci pensaidue volte e mi iscrissi a Scienze Naturali.Con il passare del tempo mi prese una certa inquietudine.Qualsiasi cosa facessi non mi soddisfaceva.Uscivo con gli amici col desiderio di stare assieme, manon riuscivo mai a stare veramente con qualcuno. Perciòtornavo a casa triste. Oppresso da questo vuoto, ungiorno mi recai in una libreria per cercare un libro cheparlasse della felicità. Volevo capire cosa fosse e dovepotevo incontrarla. Fu così che a 21 anni lessi il mioprimo libro per intero. Ma questo desiderio, questa setedi capire mi stimolò anche nello studio. Capii che, piùdelle piante, degli animali e delle rocce, ciò che mi interessavaera me stesso e quindi l’uomo. Feci la tesi inAntropologia fisica, sull’uomo di Neanderthal.In un momento di piena crisi, decisi di riprendere inconsiderazione le parole che quel vecchio prete pronunciavadal pulpito. Ricordo perfettamente il punto inaperta campagna dove avvenne, la luce rossa del tramontoe il profumo della paglia. Il giorno seguenteandai in libreria a comperare qualche libro che mi parlassedi Gesù, perché di lui non ricordavo più nulla. Miimbattei invece, in università, in un volantino intitolato«Non basta essere nati per vivere»: era l’invito alla presentazionedel libro di don Giussani intitolato Il sensoreligioso.La sera stessa mi presentai nel salone del castello diFerrara e mi sedetti in ultima fila. Rimasi folgorato, quellibro, quelle persone stavano parlando di me, della miadomanda di felicità. Ora non ero più l’unico ad averla,non ero più l’incompreso, non ero più solo. La serastessa andai a cena con quei ragazzi. Una cena stupendache iniziò con un canto e terminò con una preghiera.Durante la cena, quando uno parlava gli altri ascoltavano.Non avevo mai visto una cosa del genere. Ero l’ultimoarrivato, eppure mi sentivo a casa. Mi lanciai inquella compagnia. Capii che dovevo restare con quellepersone per trovare la risposta alle mie domande.Non passò molto tempo che una sera, mentre tornavoa casa in bicicletta dagli allenamenti, mi venne in testal’ipotesi del sacerdozio. All’inizio mi spaventò, perchéero fidanzato; nel tempo diventò un pensiero felice. Fuuna verifica lunga (intanto avevo iniziato a lavorare nell’ambitoeducativo e a insegnare in un centro di formazioneprofessionale). Ma a trent’anni, entrai nella Fraternitàsan <strong>Carlo</strong>.lavoro di educatore che avevi intrapreso, edelle loro famiglie spesso sgangherate. Questonon è mai stato frutto di un tuo buonismod'animo ma il dilatarsi spontaneo della "ricchezza"che avevi incontrato. Di questo haisempre avuto chiara coscienza. E ce l'haitestimoniato partecipando alla nascita delle“Fraternità dei giovani”: luoghi di comunionecon ragazzi che non potevano stare con Gsperché lavoratori precoci. Caro Simone, tipiace correre ed eri una promessa dell'atleticaferrarese. Hai solo cambiato squadra percorrere nel mondo con «Passione per la gloriadi Cristo». Florenskij scrive che «per vivere trai fratelli bisogna avere un amico, anche lontano».Noi vogliamo continuare ad essere nelnovero dei tuoi amici lontani.I tuoi amici ferraresi di CL
Nacque il tuo nome nello stesso istante in cui il cuore divenne l’effige: effigedi verità. / Nacque il tuo nome da ciò che fissavi.Karol WojtyłaGIUGNOfraternitàemissione5Il segreto di un prete feliceLa vocazione passa anche da una vacanza sulla neve, uno speck e quattro grappedi Tommaso Pedrolio sono un prete felice». Onestamente, non avevo«Icapito che quel signore di mezz’età fosse un prete,visto che stavamo quasi tutto il giorno in tuta da sci. D’altrondenon conoscevo nessuno a quella vacanza, trannela ragazza che mi aveva convinto a parteciparvi e ilgruppetto delle sue amiche più strette. Una settimanasulla neve, in Val d’Aosta. Tutto sommato una bella occasione,pensavo.Da piccolo avevo conosciuto diversi preti, perché lamia parrocchia è sede di un convento di frati francescani.Tutte persone che stimavo, uomini di profonda edoperosa fede, che si guardavano con affetto e virilità.Nessuno di loro, tuttavia, si era mai presentato così esplicitamente:«Io sono un prete felice!». Non sapevo nemmenoil suo nome, e ci avrei messo un po’ per impararlo.Era il 6 gennaio del 2001.Un anno e mezzo più tardi, quasi senza nemmenoconoscermi, mi invitò ad una vacanza dei responsabilidi Gioventù studentesca. L’ordine era stato di portarsi ilpranzo al sacco. Dopo un’ora e mezzo di viaggio, tuttavia,il pulmino si fermò presso un promettente ristorantinoaffacciato sul Lago di Como. Ci costrinse a valutarela differenza fra un panino ed un pranzo vero... Pagò luiper tutti e ripartimmo per Saint Moritz. Don Roberto ciha sempre insegnato il gusto delle cose belle, semplicima curate.Quella totale semplicitàPoi mi chiamò ad occuparmi della segreteria di Gs:furono due anni intensi, il nostro rapporto crebbe rapidamente.In quel periodo mi cercava spesso, senza maiessere indiscreto. Voleva sapere come andavano i gesti,le iscrizioni alle vacanze, il lavoro con la segreteria.Quando qualcosa non era curato alla perfezione,quando c’era un ritardo, si arrabbiava. Era esigente, masempre paterno nella correzione.Ma ciò che più mi colpiva di lui era quella totale semplicitàe letizia di fronte al lavoro nella sua grande parrocchiae alla responsabilità di Gs. Una letizia che sorpassavaogni limite e che sorgeva direttamente dal riconoscimentodel compito affidatogli da Dio per il mondointero. Andava a toccare le persone più impensabili elontane. Portava quanti incrociavano il suo cammino ascoprire, insieme a lui, la gioia della vita con Cristo. Equando a scuola di comunità ci raccontava queste vitecambiate le difficoltà erano sempre messe in secondopiano: «Vi ho mai detto che sono un prete felice?». Sì,don Roberto, almeno mille volte… Guardando lui riaffioròil fascino verso la vita sacerdotale, che Dio avevaseminato nel mio cuore sin da quando ero piccolo.Viaggio su una Punto grigiaMa il colpo di grazia avvenne a 18 anni. Finita la settimanadi vacanza all’Alpe di Siusi, stavo per salire sulpullman che ci avrebbe riportati a Varese, pronto peruna dormita colossale dopo cinque notti quasi insonni.Qualcosa, però, ci era sfuggito: tra partenze anticipate earrivi ritardati, mancava un posto per il viaggio diritorno.Don Roberto mi fissò deciso: «Perché non partiamo?».«Ho sbagliato i conti, don, non c’è posto per uno». «Belcolpo. Adesso vieni tu in macchina con me… almeno mifai compagnia».Senza quasi accorgermi salii sulla sua Punto grigia –senza aria condizionata – e ci dirigemmo verso l’autostradae la calda pianura. La macchina, però, invece diimboccare lo svincolo, andò dritta verso un paesino.Arrivammo in una fattoria. Lì comprò dei grossi speck echiese quattro bottiglie della grappa migliore che avevano.Ma cosa stava facendo? Arrivati in macchina, midiede i sacchetti in mano e disse: «Questi sono per te eper gli amici della segreteria, grazie per questi giorni!».Con pazienza e senza alcuna pressione mi accompagnònel cammino vocazionale fino alla fine del liceo.Qualche giorno prima di venire a Roma, mi chiese dovemi sarebbe piaciuto, una volta ordinato prete, andare inmissione. Poi si corresse e disse: «in ogni caso sii unprete felice, altrimenti non vale la pena!».Cercare Cristodi Roberto VergaTommaso ha sempre testimoniato,durante icinque anni di Gs, lasua quasi naturale adesionea Cristo, sperimentandocosì la certezzadella fede. La miaesperienza di amiciziacon lui e con tanti altriamici giessini mi rendesempre più certo cheCristo mantiene semprela promessa della felicità,perché Lui è presenteanche nelle vicendedifficili della vita.<strong>San</strong>t’Agostino ci insegnache Cristo si fa trovareda chi lo cerca:questo è il segreto peressere sempre felici, equesto è il mio appassionatoaugurio.Tommaso Pedroli, varesino, 27anni, entra giovanissimo nellacasa di formazione. In alto, conalcuni bambini in un oratorio romano.