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giugno - Fraternità San Carlo

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Ognuno di noi nasce da un momento di amore totale, da un momento diamore arrivato al grado di non potersi nemmeno più conoscere se non conl’aiuto, l’intervento e la presenza di Dio. Giovanni TestoriGIUGNOfraternitàemissione7Il mio canto liberorima o poi farò il prete!...». Ci sono voluti anni per-questo presentimento, che avevo già da bam-«Pchébino, si chiarisse, prendesse corpo e si trasformassenelle parole: «Sì, eccomi!».La prima immagine che ho è di un sacerdote di Cuneo,don Massimo, che tutti i giorni veniva a casa nostraa trovare mio nonno, per mesi a letto malato, consumatopian piano dal tumore. Facevo la terza elementare. Finoall’ultimo giorno, don Massimo passava da noi, scambiavadue parole in piemontese con lui, dava la comunioneal nonno e prendeva il caffè che mia mamma glioffriva. Ecco cos’era un prete agli occhi di quel bambinodi 7-8 anni: un estraneo, che però si prendeva cura dellamia famiglia gratuitamente. Quasi vent’anni dopo, leggendole lettere di don Francesco Bertolina dalla Siberia,mi son detto: questo è ciò che ho sempre desiderato;anch’io vorrei dare la vita per quelle quattro vecchiettedi un villaggio sperduto nel freddo glaciale!Tutto quello che è successo nel frattempo è stata lastrada paziente con cui Dio mi ha voluto chiamare, attraversotanti segni e persone, a prendere coscienza diquel primo fascino.Innanzitutto la mia famiglia, i miei genitori, i mieinonni. Da loro ho imparato l’onestà, il senso del dovere,il rispetto per gli altri. Poi l’incontro alle medie con ilMovimento di Cl, grazie ad Ezio, mio professore dimusica, che a lezione ci suonava Il gatto e la volpe diBennato all’organo, ma che subito dopo ci faceva ascoltarela Nona sinfonia di Beethoven o il Bolero di Ravel.Con lui la domenica facevamo delle gite, che terminavamosempre cantando, accompagnati dalla chitarra odalla sua fisarmonica. Qualche anno dopo, versoPasqua, Ezio mi invitò a partecipare agli esercizi spiritualiper gli studenti delle superiori, a Rimini. Non avevola minima idea di cosa fossero, ma risposi: «Va bene,perché no?». E fin da subito, ascoltando la lezione di donGiorgio, mi dissi: la risposta a tutte le domande che hosulla mia vita, o è qui, o non c’è da nessuna parte.Nel tempio della liricaNel frattempo, finito il liceo, mi iscrissi all’Università.Ero affascinato dalle lingue, ma alla fine scelsi Filosofia,perché ciò che mi interessava veramente, quello su cuiavrei voluto spendere tutto il mio tempo non erano lelingue, ma la verità, il senso ultimo delle cose.Tuttavia, non avevo fatto i conti con un’altra passione,nata da tempo, e che stava prendendo sempre più spazio:quella del canto lirico. Avevo iniziato ad ascoltaredi Emanuele AngiolaEmanuele nasce a Cuneo 31 annifa. Una fulgida carriera di tenorelo ha portato in trasferta... a Taipei.In alto, con alcuni amici taiwanesie don Paolo Costa (a destra).Preso per la goladi Ezio DelfinoSono stato l’insegnante di musica di Emanuelealle medie a Cuneo. Lo ricordo buono, positivoe disponibile. Diligente anche nella miamateria, ma musicalmente nella norma. Durantel’ultimo mese della terza media proposi, fattoinusuale, l’ascolto di opere liriche di Verdi ePuccini, con l’intento di introdurre gli alunni, seppurper cenni, al mondo affascinante del melodramma.Dopo l’estate seppi da Emanueleche quegli ascolti erano stati per lui una folgorazione:dopo qualche anno avrebbe iniziato astudiare canto lirico presso il Conservatorio diCuneo. È il caso di dire: preso… per la gola!Il talento, nel tempo, mostrava la sua eccezionalitàe durante le superiori spesso lo invitavoa esibirsi nelle nostre feste in comunità.Per due o tre anni preparò anche dei breviascolti musicali la sera di Natale nella sede delmovimento a Cuneo. Erano per noi tutti occasionedi vera commozione.l’opera per caso, ed era stato amore “a primo ascolto”.Non pago delle incisioni di Pavarotti e di Di Stefano, mimisi a cantare anch’io, prendendo lezioni private da unbaritono. Già dagli anni del liceo avevo iniziato a tenereparecchi concerti. Dopo il primo anno di Università aMilano, decisi di iscrivermi al Conservatorio di Cuneo,per imparare a cantare da tenore professionista. Ungiorno arrivò l’intuizione: forse la verità delle cose chestavo cercando nella filosofia, la potevo raggiungere inmodo più immediato ed affascinante nella bellezzadella musica e del canto. Detto, fatto: lasciai l’Universitàper dedicarmi a tempo pieno alla musica.Arrivarono le prime soddisfazioni: a vent’anni mi chiamaronoa cantare come corista in un’opera di Verdi allaScala di Milano, il tempio della lirica! Sembrava cheormai la mia strada fosse stabilita, eppure tutte quellegioie non appagavano ancora i miei desideri. Mi riavvicinaial Movimento, da cui mi ero un po’ allontanato perinseguire i miei sogni di gloria.La felicità di donarsiUna sera del <strong>giugno</strong> 2004 Ezio mi propose di accompagnaredei ragazzi delle medie in una vacanza in Svizzera,a Pontresina. «Va bene, perché no?», fu di nuovo lamia risposta. Sul treno, nel viaggio d’andata, una ragazzinadi prima media, Maria Giulia, mi chiese a bruciapelo:«Ma allora quest’anno fai l’oratorio con noi?!».«Piano - le dico - vediamo come mi fate arrivare alla finedella settimana!». Al ritorno lei insisteva. Le risposi: «Macerto, ormai siamo amici!». Quell’anno il centro dellamia settimana divenne il sabato pomeriggio, in cui preparavoi giochi per l’oratorio guidato con sapienza epassione da don Vittorio. Per la prima volta vissi l’esperienzadi donarmi gratuitamente per la felicità di qualcunaltro. E mi accorsi allora che io, in tutti quegli anni,ero stato già amato gratuitamente da Dio attraverso lepersone che Lui mi aveva messo accanto, e che solo ildonarmi poteva rendermi veramente felice.Nel gennaio 2005, a <strong>San</strong> Galgano, durante la “Promessadei Cavalieri”, insieme ai ragazzi che accompagnavo,ho recitato la preghiera di consacrazione a Cristo,Re dell’Universo. Allora finalmente ho detto: «Sì,eccomi, desidero donarmi a Te, perché la mia vita sicompia e il mondo ti riconosca».Dopo gli anni di studio, mi chiese di parteciparealla scuola di comunità che tenevo aCuneo: la sua presenza era fresca e semplice.Una sera, usciti dalla scuola di comunità,gli chiesi di schianto: «Ema, ma tu non hai maipensato alla vocazione?». Ancora adesso nonso da dove nacque in me quella domanda. Lasua risposta fu immediata: «Ma tu come fai asaperlo?». «Che cosa?». «Da qualche mesesento il desiderio di diventare sacerdote e tusei il primo a cui lo dico». Poco dopo eravamoal bar - lui con una tisana ed io con un buonwhisky (per riprendermi dal contraccolpo) -per dare spazio a quella sua risposta sincera,che mi aveva sorpreso. Gli regalai una copiade «Il treno delle spighe dorate», di FrancescoBertolina, e gli chiesi di pregare e di custodirequella confidenza, affinché la domanda di vocazionediventasse oggettiva.È Dio che fa le cose belle e dà la vocazione.Ma occorre un cuore semplice che rispondadi sì. Questo è ciò che Ema ha portato e porta,oggi, alla mia esperienza del Vero.

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