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IN QUESTO NUMERO - Fondazione Museo Storico del Trentino

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anno dodicesimo numero trentatre set./dic. 2010<strong>IN</strong> <strong>QUESTO</strong> <strong>NUMERO</strong>LA CIVILTA’ DEI CIBIPoste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) - art. 1, comma 1, D.C.B. Trento - Periodico quadrimestraleregistrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812


Via Torre d’Augusto, 35/4138122 TRENTOTel. +39 0461 230482Fax +39 0461 1860127info@museostorico.itwww.museostorico.itALTRESTORIE – Periodico quadrimestrale di informazionePeriodico registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812Comitato di redazione: Paola Bertoldi, Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani (segretario)Direttore responsabile: Sergio BenvenutiHanno collaborato a questo numero: Quinto Antonelli, Silvia Bertolotti, Stefano Chemelli, Rinaldo Dalsasso, Massimo Montanari,Carlo Pedrolli, Francesca Rocchetti, Maria Letizia Tonelli, Marta Villa.Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN).Stampa: Alcione - Lavis (TN).In copertina, Bartholomeus van der Helst: banchetto <strong>del</strong>la guardia civica di Amsterdam per la celebrazione <strong>del</strong>la pace di Münster2


anno dodicesimo numero trentatre set./dic. 2010<strong>IN</strong> <strong>QUESTO</strong> <strong>NUMERO</strong>LA CIVILTA’ DEI CIBIEditoriale 4Cibo e civiltà: un percorso gastronomico attraverso la storiadi Pietro Gerbore, a cura di Stefano Chemelli 5La “polizia” dei cibi:alimentazione e salute in <strong>Trentino</strong> fra Sette e Ottocentodi Rodolfo Taiani 10Dalla scrivania <strong>del</strong>lo storico al fornello <strong>del</strong> cuoco:interviste con Massimo Montanari e Rinaldo Dalsassoa cura di Paola Bertoldi 14Il cucchiaio <strong>del</strong>lo scapolo di mondo: le ricette di monsieur Momo,al secolo Henri de Toulouse-Lautrec, artista e viveurdi Maria Letizia Tonelli 20Il banchetto 22“Un gioco quasi saporito”di Quinto Antonelli 23A carnevale… ogni cibo valedi Marta Villa 25Mangiare sul lavorodi Carlo Pedrolli 28Cucina a porter: quando l’estetica è nel piattodi Silvia Bertolotti 31Dialogo sulla qualità <strong>del</strong> cibodi Guido Barilla e Carlo Petrini 35Le ricette diventano best sellersdi Paola Bertoldi 38I custodi degli antichi sapori le confraternite enogastronomichedi Paola Bertoldi 39Infomuseo 40Edizioni FMST: novità 453


Non c’è mezzo di comunicazione,a stampa o radioteletegrazione,talvolta sperimentatota occasione di conoscenza e in-Editorialevisivo, che non dia spazio auna prima volta nel corso di unrubriche più o meno approfondite,viaggio e quindi proseguito. Il concettostesso di ricetta è diventatodedicate alla cucina. Molti prodottieditoriali di successo sono spessometafora di corretto metodo diraccolte di ricette gastronomicheagire, dove all’esatta proporzionerivisitate, a seconda dei casi, ine preparazione degli ingredientichiave raffinata o popolare, regionale o internazionale. corrisponde il raggiungimento di risultati eccellentitanto davanti ai fornelli quanto nelle occorrenzeSi tratta di un interesse che attesta una sorta di rivoluzionenelle abitudini alimentari, nelle culture percettive<strong>del</strong> gusto e soprattutto nel modo stesso di vogliono certo sviluppare tutti gli elementi che emer-quotidiane. In questo numero di Altrestorie non siconsumare e vivere i momenti conviviali <strong>del</strong> pasto. gono dalla lettura <strong>del</strong>l’evoluzione <strong>del</strong>la cosiddettaLa preparazione dei cibi, le modalità di servirli e consumarlisono diventati elementi rappresentativi di sti-spunti che possano orientare il lettore in un percorso“civiltà <strong>del</strong>la cucina”, ma solo offrire una serie dili di vita e/o condizioni sociali. Gli spazi <strong>del</strong>l’alimentazionecollettiva, dai ristoranti alle abitazioni private, soprattutto di saperi che accompagnano e riflettonodi approfondimento, inutile dirlo, ricco di sapori, masono diventati luoghi di socializzazione, condivisione l’intera storia <strong>del</strong>l’uomo con tutte le sue implicazionie interscambio di esperienze che valicano lo stretto storico-economiche, storico-sociali e storico-culturali.Si può ben dire che è l’intera storia <strong>del</strong>l’umanitàambito nutrizionale e accolgono contaminazioni diogni genere: il contatto stesso con il cibo <strong>del</strong>l’altro, ad essere servita nei piatti che ogni giorno bandisconole tavole di tutto il mondo oltre che momento di godimento personale, diven-(rt).4


Nell’antichità il lusso <strong>del</strong>lemense cominciò dopo leguerre persiane e raggiunsel’apice nel III secolo a.C.Farao ne, fagiani, pavoni, urogallifurono serviti insieme apiccioni, anatre e oche.I Greci, però, sarebberomorti di fame se il mare nonli avesse generosamentenutriti. Aristotele enumeravacentodieci varietà di pesci.I primi fornai si ebbero soltantonel 170 a.C., ma il panerimase per secoli un cibo dilusso. Dai Greci i Romaniavevano ricevuto la vite e l’olivo;la prugna era già diffusasotto Augusto. Tuttavia fuVirgilio il primo a nominare lacastagna e Lucullo a portarela ciliegia a Roma.Arte di vivere, ideale <strong>del</strong> belloe <strong>del</strong> buono, il kalos kagathosdei Greci, sono tratti ecaratteri <strong>del</strong>l’uomo atenieseche agisce nell’agorà, intessendorelazioni umane sullenote <strong>del</strong>la simpatia. Il pranzo,deipnon, come il simposio,che a esso seguiva, era lascena prelibata <strong>del</strong>la conversazione,dei piacevoli conversari.Il Romano faceva trepasti (jentaculum fra le 7 ele 9, prandium fra le 11 e le12, coena a notte fonda). Unacoena prevedeva l’antipasto(gustatio) ed era formata dacibi, uova, insalate e legumi,tartufi, pesci salati e marinati,ostriche; si beveva mulsum,un vino mescolato con miele.Il pasto includeva un numerosempre più grande di portate.Gli antipasti erano riccidi mare, ostriche crude, molluschi,allodole su asparagi,pollastre, ragù di ostriche emolluschi, crostacei e beccafichi,filetti di capriolo ecinghiale, pollame in crosta,lumache. Piatti forti sonole mammelle di scrofa, latestina di maiale, la fricasseaCibo e civiltàun percorso gastronomicoattraverso la storiadi Pietro Gerborea cura di Stefano ChemelliLe note storico-gastronomiche raccolte nellepagine seguenti sono state curate da StefanoChemelli che ha attinto al ricco materiale diPietro Gerbore conservato presso il GabinettoVieusseux di Firenze. Pietro Gerbore,diplomatico, giornalista, scrittore, è nato aRoma nel 1899 e si è spento a Firenze nel1983. Originario da una famiglia valdostanaall’avvento <strong>del</strong>la Repubblica, per rimanerefe<strong>del</strong>e al giuramento fatto alla Monarchia,si dimise dal servizio diplomatico in cui eraentrato nel 1924. Collaborò a il Borghese dal1951 al 1957 e scrisse successivamente per ilquotidiano Roma. Personaggio di straordinariaerudizione, nonché instancabile scrittore,Pietro Gerbore ebbe modo di occuparsidi svariati argomenti, attingendo alla suafornitissima biblioteca. Fra questi anche lastoria <strong>del</strong>la gastronomia. In particolare perle notizie qui riportate si avvalse dei seguentivolumi: Physiologie du gout, di Jean AnthelmeBrillat-Savarin (Parigi 1826); Le maitre d’hotelfrancais ou parallèle de la cuisine ancienneet moderne di Marie Antoine Careme (Parigi1822); Le cuisinier parisien (Parigi 1828); L’artde la cuisine française au XIXe siècle (Parigi1835-1838); Guide culinaire, di AugusteEscoffier (Parigi 1902); Almanach desgourmands di Alexandre Balthazar LaurentGrimod de La Reynière (Parigi 1803-1810);Manuel des amphitryons (Parigi 1808); Geistder kochkunst di Karl Friedrich von Rumohr(Francoforte 1822).di polli, anitre arrosto e bollite,lepri, pollame, arrosto,torte di formaggio.Un must davvero indimenticabilepoteva essere ilseguente: per una vulva discrofa riempita, preparare unripieno di carne di maiale tritata,pepe pestato e comino,due porri e garum (salsapiccante). Aggiungete pepee pinoli. Riempite la vulvabene lavata, lasciatela bollirenell’acqua con olio, garum,aneto e porri.Il contributo <strong>del</strong>l’artigianogreco all’arte di vivere fu l’anforache permetteva al vinodi giungere gradatamenteall’apice <strong>del</strong>la perfezione. IGreci diedero al vino il nomee sorprendenti sono il suonocome la grafia dei terminiderivati: dal greco oinos provengonoil latino vinum, iltedesco Wein, il russo vinò,l’inglese wine, il francese vin,lo spagnolo vino e il portoghesevinho.La storia <strong>del</strong> vino in Italiacomincia nel 750 a.C. con lacolonia greca di Cuma. Duegenerazioni prima di Plinio,il Falerno era sul mercato,anche se i vini greci eranopiù apprezzati. Giulio Cesarecelebrò i primi trionfi conFalerno e Chios, ma nel suoterzo Consolato egli sorpresei convitati con una listache comprendeva quattrovini: Falerno, Chios, Lesbo eMamertino. Nell’età omericai Greci usavano tappi di terracotta.In Campania si è usataper duemila anni la pozzolanache rivestirà poi anche itappi di sughero.Il poeta Ausonio ha scrittosulle colline <strong>del</strong>la Mosellaversi immortali: «Qualecolore dipinge i guadi deifiumi, quando Espero hasospinto le ombre <strong>del</strong>la serae trascolorato la Mosella con5


morta<strong>del</strong>la, salcicce, formaggio, storioni, allodole,quaglie provenienti da buona parte <strong>del</strong>la penisola.Sotto Luigi XIV la Francia proietta la sua arte gastronomicaa livello internazionale. L’appetito <strong>del</strong>sovrano, attestato da familiari e commensali, era formidabile:spesso il re vuotava quattro sco<strong>del</strong>le pienedi minestre diverse, mangiava un intero fagiano, unapernice, un grande piatto di insalata, due grosse fettedi prosciutto, carne d’agnello con sugo e aglio, unpiatto di pasticceria, frutta e uova bollite.Dieci clisteri quotidiani ovviavano a eventuali indisposizioni.A Versailles il freddo era comunque così intenso dagelare il vino nei bicchieri; spesso i cibi giungevanosulle tavole già senza calore. La Francia è la patriadei potages, ben cinquecento varietà, ma sono leentrées la parte più solida di un pasto, mentre l’arrostoassurge a piatto centrale <strong>del</strong> pasto. Il gelatogiunge a Parigi dall’Italia dopo il 1660 e nel XVIIIsecolo la pasticceria in genere toccherà lo zenith.Cavolfiori, carciofi, spinaci, melanzane, piselli, granoturco,fagioli sono ampiamente apprezzati.La patata debutta come alimento in Europa nel 1573a Siviglia, ma solamente dopo molti decenni il suoconsumo si diffonderà nelle cucine europee, al contrariodi tè, cacao, e caffè. Il primo spopola a partiredal 1658 in Olanda e successivamente a Londra.La pianta di cacao era originaria <strong>del</strong> Messico; la polveretratta dal suo seme fu utilizzata per la primavolta da Antonio Carletti sul finire <strong>del</strong> secoloXVI a Firenze e in seguito entrò lentamentenelle cucine di tutto il continente.Il caffè si afferma definitivamentein Europa a partire dal 1669 aParigi con la sua vendita diffusain vari negozi; nel 1721 i caffèa Parigi erano 300, ma già nelperiodo <strong>del</strong>la Rivoluzione il loronumero era salito a 2.000.I gesuiti Brunoy e Bongeant, nella prefazione a unmanuale di cucina apparso nel 1739, esposero unmo<strong>del</strong>lo di culinaria moderna più semplice, più pulitoe forse ancora più sapiente e consapevole.La scienza <strong>del</strong>l’artista di cucina consiste nell’analisi,nel ricavo <strong>del</strong>l’essenza intima dei cibi, dei sughinutritivi, in una combinazione dove tutto si fa valeree nulla domina. Il suo fine è di conferire ai cibi quellacomposizione che dai diversi ingredienti perseguel’armonia di tutti i sapori riuniti. I cibi divenivano piùfluidi, tendevano a trasformarsi anche in creme, lamasticazione si faceva meno faticosa.Compito <strong>del</strong> cuoco era di mettere in atto un veroprocesso di metamorfosi degli alimenti e degli ingredienti.In una città di provincia francese intorno al1740 il pranzo poteva consistere in tre portate: manzobollito, una entrée di vitello, un hors d’oeuvre – untacchino, legumi, insalata, crema – formaggio, frutta,marmellata. Dopo il 1700, nel corso <strong>del</strong>la guerra perla successione di Spagna, apparvero i primi servizi diporcellana di Sèvres, che si imposero per l’eccelsabellezza e qualità. Con la caduta <strong>del</strong>l’Impero romanoe l’introduzione <strong>del</strong> barile al posto <strong>del</strong>l’anfora s’interrompela produzione <strong>del</strong> vino nobile. Gli azzardi <strong>del</strong>lapolitica estera dopo la rivoluzione inglese <strong>del</strong> 1668ne determinarono la rinascita: questo felice avvenimentoebbe luogo in Portogallo. Dopo la scoperta<strong>del</strong> Brasile nel 1500 i navigatori portoghesi conseguironoil monopolio <strong>del</strong> commercio d’importazioneL’eta dei LumiQuando Luigi XIV morì, nel 1715,si aprì una stagione caratterizzatada colori vivaci, tessuti leggeri,mode e costumi più spigliati. Watteaue le sue tele rappresentanol’emblema di una società nuovacapace di far emergere con evidenzala nota <strong>del</strong>la socievolezzae <strong>del</strong>l’arte <strong>del</strong>la conversazione.Il senso <strong>del</strong> gusto e l’importanza<strong>del</strong> cibo, al di là <strong>del</strong>la mera necessitàdi sussistenza, si affermanoin larghi strati <strong>del</strong>la popolazione.7


<strong>del</strong>le materie transoceaniche.I mercanti<strong>del</strong>l’Europa nordicasi stabilirono nei portiportoghesi per scambiarele loro lane e iloro pesci salati conzucchero, spezie eavorio. In tal modo lostoccafisso divenneil cibo nazionale deiPortoghesi. Ma versola fine <strong>del</strong> secolo XVIIl’Europa settentrionalecominciò a importaredirettamente le merciprima di allora ricevutedal Portogallo. Nelfrattempo i rapporticommerciali fra Inghilterrae Portogallo sierano intensificati e gliesportatori inglesi nonvolevano perdere quelmercato. Quindi andaronoin cerca di altremerci di scambio epensarono al vino. Gliinglesi accordavanoai vini portoghesi unariduzione doganale incambio <strong>del</strong>la quale i Portoghesi permettevano l’importazione<strong>del</strong>le pregiate stoffe inglesi.La bottiglia permetteva di trasportare il vino dalbarile al bicchiere. Piccola e spessa era una variante<strong>del</strong>la caraffa.In Inghilterra già sotto Elisabetta I il vino venivaimbottigliato e tappato con turaccioli di sughero.Poiché all’epoca non era stato ancora inventato ilcavatappi, il sughero veniva introdotto nella bottigliasolo parzialmente; rimanevava all’esterno un’estremitàlunga due centimetri, che poteva essere afferrataper estrarre l’intero tappo.Nel 1639 nacque a Sainte Ménéhoulde, in Francia,Pierre Pérignon. A 19 anni si ritirò nell’abbazia diHautvillers presso Epernay dove visse fino al 1715.Nel 1688 divenne cantiniere grazie anche a un palatosensibile e a un‘eccezionale memoria dei vini.Dom Pérignon fu il primo nella Champagne a procurarsituraccioli di sughero e grazie a questo espedientepotè imbottigliare in primavera il vino <strong>del</strong>leultime vendemmie in bottiglie tappate con sugherifortemente legati. L’Abbazia poté così vendere aprezzi elevati champagne spumeggiante.Nel 1743 Claude-Louis-Nicolas Möet fondò la Möetet Chandon e diecianni più tardi esportavain Inghilterra,Germania, Olanda,Austria e Russia.La Rivoluzione franceseLa Rivoluzione francesefu un periodo digrandi trasformazionianche per la culinaria.Dalle cucine aristocratichei cuochimigrarono nelle trattorie,che aumentaronoin queglianni rapidamente dinumero: se nel 1789a Parigi erano attornoal centinaio, nel 1804erano salite a 600.La trattoria franceseaveva caratteristicheequivalentialla taverna inglese,mentre a un gradosuperiore si collocavanoi restaurants.Ragù con l’aglio, labrandade di merluzzo,ostriche, insalate di pollo, tartufi, acciughe,fagioli di Genova, alcune offerte che infiammavanoil gourmand, ovverossia il buongustaio, la nuovafigura <strong>del</strong> tempo.Impiegare un cuoco eccellente, ordinare la cantinacome una biblioteca, invitare ospiti accuratamenteselezionati a una mensa elegantemente imbanditaerano compiti non secondari nella buona societàfrancese; in questo contesto si inseriscono Grimodde la Reynière e Brillat-Savarin, gli autori dei piùimportanti libri letterari di cucina dei primi decenni<strong>del</strong> XIX secolo. Nasce una dottrina <strong>del</strong> gusto, cioè<strong>del</strong> senso che ci mette in relazione con le cose saporiteattraverso la sensazione che esse provocano.La gastronomia indaga anche l’effetto <strong>del</strong>le vivandesulla mente <strong>del</strong>l’uomo, sulla immaginazione, sullospirito, sul giudizio, sul coraggio e sulle percezioni.L’Ottocento: il secolo <strong>del</strong>l’alta borghesiaLa rispettabilità quale ideale sociale maturò negliultimi due decenni <strong>del</strong> secolo XVIII e raggiunse ilsuo apice tra il 1840 e il 1855, per poi spegnersi gradualmente.Il sostanzioso pasto <strong>del</strong>la sera divenneun vero evento sociale.8


Un ampio numero di prescrizioni sapienziali regolavala vita <strong>del</strong> signore agiato, acculturato, dignitoso: unnumero massimo di dodici commensali per consentireuna conversazione pacata, una scelta accuratadei convitati con affinità di gusti e tratti amabili masenza eccessi, pietanze in numero limitato, vini diprima qualità, con una progressione corretta di cibie bevande a decrescere per forza e sostanza, a mezzanottetutti a letto. Questo mondo, solo per fareun esempio, è vividamente rappresentato nei Buddenbrookdi Thomas Mann.Un’opera letteraria rappresentativa di una nuovamentalità fu il Geist der Kochkunst di Karl Friedrichvon Rumohr (1785-1843), pubblicato nel 1882: l’artedi cucinare viene rappresentata come capacità ditrasformare la natura in cultura rispettando il dogmasecondo il quale bisogna percepire il sapore genuinodi quello che si mangia. Questa nuova concezione,estranea al pensiero francese, proveniva dalla cortedi Hannover, dove non si soffrivano complessi diinferiorità nei confronti di Parigi e dintorni. Qui nel1826 ebbe luogo lo storico pasto al quale Balzacinvitò il suo editore Werdet e nel corso <strong>del</strong> quale ilromanziere divorò cento ostriche di Ostenda, dodicicotolette d’agnello, un’anitra giovane, un paio dipernici arrosto, una sogliola, senza dimenticare gliantipasti e la frutta, mentre l’editore si accontentòdi un potage e di un quarto di pollo. Sainte-Beuve,il Principe Napoleone, lo storico Taine, gli scrittoriAbout, Flaubert e Renan il 10 aprile 1863 non furonoda meno in una colossale mangiata di trote e fagianidivenuta proverbiale.(bollito) di Spagna è quello <strong>del</strong>l’Alava (filetto a la alavesa).Piatto nazionale <strong>del</strong>le Asturie è la fabada, per laquale occorrono salcicce indigene, estongos e fagiolidi prima categoria; in questa ricetta il patriottismolocale ravvisa il prototipo <strong>del</strong>la cassoulette toulousaine.Madrid vanta i callos a la madrilena, una trippaspeciale. In Estremadura gli embustidos, salumi, nellaMancha il pisto. A Burgos la fanno da padrone gliarrosti, a Arèvalo il tostón, il maialino di latte cotto,in Andalusia il gazpacho, a Malaga le cazuelas andaluzas,eccelse minestre. In Inghilterra svettano i pies,pasticci di tradizione medievale, l’Ham and Veal Pie(prosciutto e vitello) e il Partridge Pie, a base di pernici.Per la Francia scegliamo la Borgogna per l’armoniatra cibo e vino e il Périgord, terra di Mointaigne,ma anche di tartufi.In Italia la culinaria regionale è un mosaico di civiltà:a nord <strong>del</strong> Po la terra <strong>del</strong> riso, a sud <strong>del</strong> Volturnoquella dei maccheroni (un libro di Prezzolini ne narrala storia). Altrove la vocazione centralizzatrice <strong>del</strong>lanazione seppe manifestarsi anche in una haute cuisineunitaria; la cucina italiana continuò sempre aessere un’“espressione geografica” e a mantenereforti differenziazioni regionali.Torino fu la prima città d’Italia che ebbe un restaurantdi livello parigino. L’Emilia e la Romagna sono le Fiandre<strong>del</strong>l’Italia: il mercato di Bologna è come quello diAnversa; «alla bolognese» indica un sugo di carnearricchito con pomodori rossi e spessi nonché moltoformaggio. I maccheroni sono una caratteristica <strong>del</strong>vero napoletano, che li mangia soltanto con il formaggio;tuttavia essi sono menzionati nelle fonti più antichelontani dalla Campania, in Sardegna o in Sicilia.In Trinacria, si trovano tutti i dolci citati nelle Mille euna notte.Chiudiamo con il menu di un celebre pranzo tedesco:Vorspeise (antipasto a base di caviale), Suppe (zuppa),Seezunge (sogliola <strong>del</strong> Mare <strong>del</strong> Nord), Masthuhn(pollastro), Süsse Speise (un semifreddo). Prosit.L’epoca dei nazionalismiIl massimo centro gastronomico spagnolo è Bilbao,dove nasce il Gargantua di Rabelais. I suoi piatti caratteristicisono il besugo (pagellus acarne – orata), lesardine, il vitello di mare, le anguille. Il migliore cocido9


“L’attenzione pel vitto non è solamentenecessaria per la conservazione<strong>del</strong>la salute; ella è altresìimportantissima nel governo de’mali”. Così Wilhelm Buchan, nelsuo celebre trattato Medicinadomestica, scritto nella secondametà <strong>del</strong> Settecento, sintetizzavadal punto di vista medico laduplice valenza di una correttaed equilibrata alimentazione: da una parte strumentopreventivo per la tutela <strong>del</strong>l’integrità fisica e dall’altraindispensabile supporto a qualsiasi terapia nella cura<strong>del</strong>le infermità.Già nei secoli precedenti numerosi autori medici sierano occupati di questo tema soffermandosi sullecaratteristiche e le cautele di assunzione dei diversialimenti. Basti citare, a titolo d’esempio, l’illustremedico umbro Castor Durante da Gualdo (1529-1590). Costui nella sua opera Il tesoro <strong>del</strong>la sanità(1586), che conobbe grande diffusione, dedicòampio spazio al tema <strong>del</strong> cibo. Accanto alle normeigieniche per ogni momento <strong>del</strong>la giornata e perogni condizione <strong>del</strong>la vita umana (il sonno, la veglia,il moto, la quiete, i diversi stati d’animo) l’Autore esaminasingolarmente decine e decine di prodotti suddivisiper gruppi: vegetali (frumenti, legumi, erbe,radici, frutti), animali (carni e pesce), condimenti ebevande. Di ognuno indica le proprietà generali edLa “polizia” dei cibialimentazione e salutein <strong>Trentino</strong>fra Sette e Ottocentodi Rodolfo Taianiespone le avvertenze necessarieper la migliore assunzione;sono così ricordate le qualità,gli effetti positivi o negativi sulcorpo umano e gli eventualirimedi.I medici che a più riprese nelcorso <strong>del</strong> Settecento tornaronoad occuparsi di alimentazionericorsero a una modalità espositivaidentica a quella proposta ancora due secoliprima da Castor Durante da Gualdo, sia nei contenuti,sia nei principi di riferimento, quelli <strong>del</strong>la medicinaippocratico-galenica.Qualcosa però era mutato nelle motivazioni e negliobiettivi di chi scriveva. Questi non erano più mossisolo dal desiderio di fornire ai singoli individui unbagaglio di utili suggerimenti per “vivere sano”, reiterandola tradizione medioevale dei regimen sanitatis,ma anche d’istruire la popolazione nel suocomplesso affinché potesse beneficiare dei vantaggigarantiti da un’attenta osservanza <strong>del</strong>le regole suggerite,tanto rispetto al vivere quotidiano quanto, piùnello specifico, all’alimentazione. Si voleva in altritermini saldare l’enunciazione medico-scientifica diprincipi teorici con l’azione politico-amministrativavolta al perseguimento <strong>del</strong> cosiddetto “benesserepubblico”.In questa prospettiva s’inserirono i fondamentali10


lavori <strong>del</strong> già ricordatoBuchan, ma soprattutto diSamuel August Tissot edi Johann Peter Frank. Leloro teorizzazioni esercitaronoun notevole influssoin tutta Europa e contribuironoa <strong>del</strong>ineare una sortadi “mappa dei disordini”sulla cui base esercitareuna preventiva e attentasorveglianza per la tutela<strong>del</strong>la “salute pubblica”anche nel settore alimentare.Tolte le caratteristiche diogni singolo alimento chene suggerivano il consumoin particolari combinazioni,in determinati momenti<strong>del</strong>l’anno o <strong>del</strong>la giornata,in certe preparazioni oquantità, l’assillo costantedi coloro che fra Sette eOttocento si occupano dialimentazione da un puntodi vista politico-sanitario sembra ricondursi univocamenteal potenziale venefico che ogni prodotto, qualorautilizzato ad uno stadio di maturazione imperfetto,“inquinato” da agenti esterni o semplicementedeteriorato a causa di tempi o pratiche di conservazioneinadeguati, poteva sprigionare: così il grano ei vari vegetali, ma anche carni, pesci, grassi e condimentinonché ogni genere di bevanda. Sarebbeoltremodo lungo percorrere l’ampia casistica, che,prodotto per prodotto, i teorici <strong>del</strong>la polizia medicapredispongono a sostegno <strong>del</strong>la visione complessivadi base. In questa sede è sufficiente ricordare quelleche potremmo definire le principali avvertenze.Si sollecita soprattutto l’attenzione nei confronti deigrani, cui si lega la “commestibilità” <strong>del</strong> suo principalee più diffuso derivato, il pane. Le alterazionipatologiche <strong>del</strong>le piante, la presenza di muffe, lacommistione con “erbacce” non meglio specificate,il comportamento <strong>del</strong>iberatamente fraudolento dialcuni rivenditori e panettieri senza scrupoli eranoaltrettante fonti di danno per l’integrità fisica <strong>del</strong>lepersone.Altra eventualità, cui viene ricondotta la casisticadei “disordini” relativi ai vegetali, è il consumo accidentaledi piante tossiche, sul quale inciderebbe,secondo un’opinione diffusa, più l’ignoranza che lamalizia. I funghi, che sono segnalati come la principalecausa di avvelenamento, avrebbero dovuto,secondo Tissot, essere addirittura banditi dallatavola se non proprio dallavendita.Anche il consumo di fruttaimmatura avrebbe comportatorischi per la saluteumana. Una corretta normativaavrebbe dovutogarantire l’abbondanza eil giusto prezzo <strong>del</strong>la fruttafresca e matura contrastandol’usanza <strong>del</strong> passato,ricordata sempre daTissot, di proibire il consumo<strong>del</strong>la frutta maturaalla fine <strong>del</strong>l’estate, quandoinsorgevano maggiormentedissenterie e infermitàintestinali.Dai vegetali alle carni ilgenere di preoccupazionenon cambia. L’avvertenzaprincipale suggerisce lamassima cautela rispettoalla “contaminazione”occulta <strong>del</strong>le carni in casodi animali deceduti permalattia o per tecnica di macellazione errata.Anche per le bevande il timore centrale è semprecostituito dai rischi <strong>del</strong>l’adulterazione. Fra i principaliimputati sono segnalati gli interventi sul vino permigliorarne artificiosamente le qualità e le caratteristichedi bevibilità, ma anche la pratica di diluire illatte con l’acqua, di venderlo scremato o addiritturad’imitarlo con una miscela di acqua, amido e zucchero.Tanto per gli alimenti solidi quanto per quelli liquidisi stigmatizza infine il pericolo di tossicità qualorapreparati e conservati in recipienti non idonei a talescopo: in particolare contenitori di piombo, di peltroo di rame.Il quadro teorico sinteticamente esposto orientavagiocoforza l’osservazione finalizzata a segnalare elementidi rischio reale o presunto per la salute umana.Se ne ha puntuale riscontro guardando ad esempioall’area trentina <strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong>l’Ottocento.In una lettera-rapporto <strong>del</strong> 6 giugno 1812, indirizzataal Podestà di Riva <strong>del</strong> Garda, il medico rivano BenignoCanella denunciava il crescente consumo nellazona in cui operava di pane confezionato con sologranoturco o con grano di cattiva qualità, prevedendo,in mancanza di serie misure di correzione <strong>del</strong>fenomeno, uno sviluppo incontrollato <strong>del</strong>la pellagra(Archivio di stato di Trento, Giudizio distrettuale diVezzano, Sanità, 1822, cart. nn.).A nulla, dunque, sarebbero valsi gli ausili <strong>del</strong>la11


scienza medica e le cure dispensate alla popolazionecontro la malattia che cominciava allora ad affacciarsiappena nella parte meridionale <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> se primanon si fosse riusciti ad assicurare ai poveri contadiniun vitto sicuramente più abbondante, ma soprattuttopiù “sicuro” di quello consumato in quel momento.Ancora Benigno Canella, nel medesimo rapporto,criticava il consumo di una bibita diffusa specie inperiodo di vendemmia. Si trattava <strong>del</strong> cosiddetto“acquarolo”, sorta di “liquore fermentato”, ottenutodalla miscela di tanta acqua con una minima quantitàd’uva di qualità inferiore. Il medico riconduceval’insorgenza di numerosi malesseri all’uso di questabevanda. A tale convincimento sembra far eco unrapporto <strong>del</strong> Giudizio distrettuale di Vezzano <strong>del</strong>l’8marzo 1822, che indicava nella proibizione <strong>del</strong>l’”uso<strong>del</strong> vino derivante da uve immature e quindi acido disua natura” un utile provvedimento per contrastarela temuta diffusione <strong>del</strong>la pellagra (Archivio di statodi Trento, Giudizio distrettuale di Vezzano, Sanità,1822, cart. nn.).In un altro rapporto <strong>del</strong> 16 luglio 1815, nel pieno <strong>del</strong>laterribile carestia che imperversò nel triennio 1814-1816, il medico rivano torna ad esprimere i suoitimori nei confronti <strong>del</strong> drastico peggioramento registratonella quantità e nella qualità dei cibi ordinariamentepresenti sulla mensa <strong>del</strong>le frange più povere<strong>del</strong>la popolazione. Mais e qualche verdura di qualitàscadente formavano la gran parte <strong>del</strong> vitto caratterizzato,dunque, a suo dire da una grave penuria dicarne, pane di frumento, latte e suoi derivati e perfinopatate, la cui coltura doveva essersi già largamenteaffermata (Archivio comunale di Riva <strong>del</strong> Garda, Attiriguardanti la sanità, cart. 45).Quanto testimoniato dal medico Canella in terminidi percezione ed atteggiamenti culturali trova pienacorrispondenza nell’azione intrapresa dalle autoritàpolitico-amministrative, che non solo mostrano diaccogliere le cosiddette avvertenze generali elaboratedai teorici <strong>del</strong>la polizia medica, ma cercano diapplicarle in altrettanti interventi normativi, volti acontrastare quelle che erano ritenute “errate” abitudinialimentari.Un avviso reso noto dal Podestà di Riva <strong>del</strong> Garda il10 maggio 1811, così come un ordine <strong>del</strong> Capitanatocircolare di Trento <strong>del</strong> 23 agosto 1836, proibiva lavendita di frutta fresca non perfettamente matura. Unavviso pubblicato dal Giudizio distrettuale di Vezzanonel 1823 vietava la raccolta e la vendita <strong>del</strong>le “nocciuoleimmature”. Una circolare, infine, <strong>del</strong> Capitanatocircolare di Rovereto, datata 29 settembre 1850, invitavai parroci a far opera di convincimento presso ife<strong>del</strong>i, affinché rinviassero la raccolta dei “prodotti<strong>del</strong> suolo” ancora immaturi a causa di una stagioneparticolarmente inclemente.Altrettanto sentito appare il timore nei confronti<strong>del</strong>l’avvelenamento accidentale causato <strong>del</strong>l’ingestionedi vegetali tossici, specie i funghi. A piùriprese specifici avvisi pubblici con i quali s’invitavala popolazione a prestare la massima attenzione nellaraccolta e nell’ingestione raccomandavano prima diogni consumo la preventiva ispezione da parte di“esperti conoscitori”. Una circolare <strong>del</strong> Capitanatodi Trento, datata 30 dicembre 1820, incaricava i variuffici giudiziali “d’invigilare che non si portino e sivendono sulle pubbliche piazze, che quelle specie difunghi che sono riconosciuti da tutti per innocui, e diordinare ai curatori d’anime <strong>del</strong> proprio distretto diavvertire il popolo dall’altare di non raccogliere e dinon cibarsi d’altra sorte di funghi, che di quelli, chesono riconosciuti generalmente buoni”. Non mancarononeppure suggerimenti circa gli accorgimenti dicottura da adottare per eliminare eventuali tracce diveleno. Un avviso <strong>del</strong> 1837 <strong>del</strong> Capitanato circolaredi Trento invitava a mangiare le spongiole solo dopolunga cottura in abbondante acqua.Particolare riguardo è riservato ai bambini. Il Capitanatocircolare di Trento, ad esempio, avvertivanel 1822 tutti i maestri affinché istruissero adeguatamentei propri scolari sul modo di riconoscerealcune piante ed erbe palesemente pericolose e inparticolare la cicuta, poiché le sue foglie e le sueradici erano spesso confuse rispettivamente con ilprezzemolo e le carote. La circolare appena ricordatarecepiva anche le conclusioni cui era giunta un’appositainchiesta promossa per appurare quale generedi bacche potessero causare “cattive e funeste conseguenze”se ingerite.Altra eventualità da contrastare e <strong>del</strong>la quale si trovapuntuale riscontro nella normativa era il consumo dicarni prelevate da bestie decedute per morbo. Undecreto governativo <strong>del</strong> 13 settembre 1829 stabiliva,nel caso di bestie “crepate”, l’obbligo <strong>del</strong>la preventivaautorizzazione da parte di un medico prima diogni uso alimentare. In simile prospettiva sarebbestato quanto mai opportuno poter attivare in ognipaese o distretto la figura <strong>del</strong> cosiddetto “scorticatore”chiamato a svolgere funzioni di visitatore <strong>del</strong>lecarni e più nello specifico a sorvegliare l’esatta applicazione<strong>del</strong>le norme che proibivano ogni tipo di illecitoutilizzo dei capi di bestiame vittime d’infermitàcontagiosa.Innumerevoli, infine, sono gli “avvertimenti” circa lostato dei recipienti utilizzati per la cottura e la conservazionedei cibi. Già un’ordinanza aulica <strong>del</strong> 14 aprile1771, rinnovata il 2 agosto 1773 e infine nuovamentepubblicata per la Provincia <strong>del</strong> Tirolo il 28 marzo1816, imponeva l’obbligo di stagnare i recipienti dirame. Successivamente un’”ordinazione concernentela vendita di veleni, il traffico di merci, ed erbe12


velenose, l’uso di vasi di cucina, da tavola, e da bere,di lavoro da pentolajo, di rame, e di ottone, e finalmentela falsificazione <strong>del</strong>le bevande”, pubblicato il18 dicembre 1829, insediò speciali commissioni giudizialiincaricate di visitare annualmente le rivenditeautorizzate di veleni, le drogherie, i “trafficanti di prodottichimico-farmaceutici”, i “negozianti d’erbe”, masoprattutto le locande e le osterie per verificare che irecipienti in rame utilizzati per cucinare o conservarei cibi fossero perfettamente stagnati.Anche le disposizioni che si occupano di bevanderiprendono, infine, gli argomenti cari alla cosiddetta“mappa dei disordini” elaborata dai teorici <strong>del</strong>la poliziamedica. Una circolare governativa <strong>del</strong> 10 febbraio1821, ma non è che uno dei tanti provvedimenti, proibivala preparazione di bevande vinose utilizzando lafeccia o vini di qualità inferiore, mentre per quantoriguardava l’acqua l’attenzione era perlopiù concentratada una parte sull’uso promiscuo <strong>del</strong>le acque<strong>del</strong>le fontane e dall’altra sulla scarsa attenzione postanelle operazioni di imbottigliamento <strong>del</strong>le acque difonte destinate alla commercializzazione. In un casos’intervenne con la reiterazione di regolamenti pubbliciche vietavano determinate lavorazioni nellevasche <strong>del</strong>le fontane e dall’altra con l’emanazione diprecise nome sui sistemi di chiusura da adottare osui controlli da effettuare in relazione alle partite ingiacenza nei depositi. Non esistevano altri modi perfar fronte altrimenti al pericolo rappresentato dall’acquaimpura o, con concetto che stava prendendoforma proprio in questo periodo, non potabile.Ad esempio una normale <strong>del</strong>la Reggenza <strong>del</strong> Tiroloitaliano <strong>del</strong> 3 giugno 1853, constatato che in diversiluoghi <strong>del</strong>la città di Trento si vendevano acque aciduledi Rabbi e di Pejo in bottiglie “mal otturate”,ordinava una visita a tutti i depositi di acque minerali<strong>del</strong>la città e il sequestro immediato di tutte le bottigliecon caratteristiche non corrispondenti a quellepreviste dalla normativa.L’intervento volto a favorire la più ampia diffusionepossibile di comportamenti aderenti ai principi teoriciaffidava, tuttavia, le proprie chances di successonon solo allo strumento normativo. Altrettantoimportante era ritenuta l’azione pedagogico-correttivasviluppata attraverso un’agguerrita pubblicisticache suggeriva stili di vita più adeguati alle finalitàdi salute pubblica perseguite. È il caso emblematico<strong>del</strong>l’opera Uberto ossia le serate d’invernopei buoni contadini, scritta dal religioso FrancescoTecini (già autore nel 1805 <strong>del</strong>l’Omelia contro i pregiudiziche ancora s’oppongono alla vaccinazione).In quest’opera l’autore immagina le conversazioni<strong>del</strong> saggio contadino Uberto tenute all’interno <strong>del</strong>lestalle, quando nelle lunghe e fredde serate d’invernole persone s’incontravano a fare filò. Le conversazioni,lasciate da parte quelle che l’Autore definisce“assurde fiabe”, sarebbero dovute diventare occasionepreziosa per lo scambio e apprendimentodi tutta una serie di utili ed elementari precetti nelcampo <strong>del</strong>la medicina, <strong>del</strong>l’igiene, <strong>del</strong>l’agricoltura evia dicendo.Al di là di quanto tratteggiato da alcune teorizzazionie dalle conseguenti norme sembra però che la popolazioneconoscesse il nesso alimentazione-salute esapesse gestire i propri bisogni alimentari meglio diquanto queste fonti non facciano supporre, muovendosicon padronanza fra le risorse offerte dall’ambientein cui vive immerso. Le voci di molti medicio altri testimoni occasionali costituirebbero in talsenso più il segnale di sensibilità e attenzioni particolarmenteaccentuate su determinati aspetti, che nonla rappresentazione reale <strong>del</strong>la gravità di una condizioneo semplicemente <strong>del</strong>la sua esistenza. L’impressioneè che una cosa sia la situazione disegnata dalletrattazioni teoriche e altra quella corrispondente allostato reale <strong>del</strong>le cose, almeno per tutta la prima metà<strong>del</strong>l’Ottocento. La riflessione medica stessa, fe<strong>del</strong>ealle impostazioni <strong>del</strong> passato, scontava una fondamentaleignoranza rispetto ai meccanismi biologici<strong>del</strong>la nutrizione e quindi di una corretta alimentazione.Siamo nel 1871 quando il medico trentinoLeonardo Cloch dà alle stampe i suoi Avvertimential popolo per vivere lungamente sano di corpo e dimente: sono passati tre secoli ma ben poco sembracambiato rispetto al mo<strong>del</strong>lo prospettato da CastorDurante da Gualdo o per citare altro esempio, altrettantonoto, da Baldassarre Pisanelli con il Trattato<strong>del</strong>la natura de’ cibi, et <strong>del</strong> bere (1583).Trattato <strong>del</strong>la natura de’ cibi,et <strong>del</strong> bere è il titolo <strong>del</strong>lafortunata opera scritta dalmedico bolognese BaldassarrePisanelli: apparsa per laprima volta a Roma nel 1583,ebbe più di 25 edizioni fino atutto il Settecento. L’autoreprende in esame i vari prodottialimentari e di ognunodescrive le caratteristiche, “igiovamenti e i nocumenti”che tale alimento può provocare con i relativirimedi. Pisanelli studiò a Bologna, dove si laureòin medicina e insegnò fino al 1562, quando cominciòi suoi viaggi in Tunisia per studiare la peste.Rientrò a Roma, dove fu medico all’ospedale diSanto Spirito di Saxia. La prima edizione <strong>del</strong> fortunatissimoTrattato è seguita da edizioni di formatopiù piccolo, dimostrazione <strong>del</strong>la diffusionepiù popolare <strong>del</strong> testo.13


Abbiamo intervistato, mettendoa confronto fra lorodue diverse visuali, un notoDalla scrivania <strong>del</strong>lo storicoal fornello <strong>del</strong> cuocointerviste a Massimo Montanarie Rinaldo Dalsassostorico <strong>del</strong>l’alimentazioneMassimo Montanari e unapprezzato chef trentino,Rinaldo Dalsasso. MassimoMontanari è professore ordinariodi Storia medievalepresso la Facoltà di Lettere eFilosofia <strong>del</strong>l’Università degli studi di Bologna, doveinsegna anche Storia <strong>del</strong>l’alimentazione e dirige ilMaster europeo in Storia e cultura <strong>del</strong>l’alimentazione(attivato assieme alle università di Tours, Barcellona eBruxelles). È codirettore <strong>del</strong>la rivista Food & History,pubblicata dall’Institut Européen d’Histoire et desCultures de l’Alimentation. Tra le principali pubblicazioni:L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo(1979), Alimentazione e cultura nel Medioevo (1988),La fame e l’abbondanza: storia <strong>del</strong>l’alimentazione inEuropa (1993), Il cibo come cultura (2004), Il formaggiocon le pere: la storia in un proverbio (2008), L’identitàitaliana in cucina (2010). Con Alberto Capatti hascritto La cucina italiana: storia di una cultura (1999).a cura di Paola BertoldiHa curato Il mondo in cucina:storia, identità, scambi (2002);con Jean-Louis Flandrin,Storia <strong>del</strong>l’alimentazione 1996;con Françoise Sabban,Atlante <strong>del</strong>l’alimentazionee <strong>del</strong>la gastronomia 2004. Isuoi lavori sono tradotti innumerose lingue. RinaldoDalsasso è oggi uno dei piùnoti chef <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>, anche se, parlando <strong>del</strong>la suaprofessione, lui preferisce essere chiamato “brusapa<strong>del</strong>e”. Originario di Borgo Valsugana, 58 anni, dallafine degli anni sessanta, dopo la scuola alberghiera,ha sempre operato nel settore e collezionato riconoscimenti.Ha lavorato inizialmente a Verona, poi hagestito la trattoria Celeste di Rovereto, fino a quando,il 27 ottobre 1979, giorno <strong>del</strong> suo compleanno, hainaugurato il ristorante Al borgo di Rovereto, che l’hareso famoso ed è stato il primo in <strong>Trentino</strong> ad ottenerela stella Michelin. Dopo aver lasciato la guida<strong>del</strong> Borgo nel 2004, si è trasferito, l’anno successivo,a Besenello, dove continua a lavorare, tiene corsi dicucina e organizza cene e catering.Massimo Montanari: “Le abitudini alimentari sonolegate alle condizioni naturali, ma anche ai condizionamenticulturali di ogni società”.Dal punto di vista storico, in che periodo il cibosmette di essere solo il soddisfacimento di un bisognoprimario e diventa in qualche modo parte <strong>del</strong>latradizione e <strong>del</strong>la storia di una popolazione? Comee quando si è cioè sviluppata una “cultura <strong>del</strong> cibo”?Io credo che di “cultura <strong>del</strong> cibo” si possa parlareda sempre. In modi diversi, più o meno complessi,più o meno elaborati, gli uomini hanno sempre vissutoil rapporto col cibo come qualcosa di più che unsemplice gesto nutrizionale. Basta pensare alla convivialità,alla spartizione <strong>del</strong> cibo come espressionetipica <strong>del</strong>la specie umana: in quel momento, il cibonon solo s e r v e, ma s i g n i f i c a. Perciò non credoesista un momento storico in cui questo accade. Lastoria <strong>del</strong>l’uomo coincide con la storia <strong>del</strong>la cultura<strong>del</strong> cibo. Allo stesso modo, l’esigenza <strong>del</strong> piacereaccompagna da sempre l’esigenza di nutrirsi. Sonotutte varianti (il bisogno, il piacere, la comunicazione)che si fondono insieme a costruire il patrimonio disaperi e di idee, le “tradizioni”, materiali e intellettuali,che conferiscono identità a un gruppo umano.È quindi possibile analizzare una società, il suo“dna” anche attraverso le abitudini alimentari? Letradizioni gastronomiche non dipendono probabilmentesolo da elementi legati alla natura e all’ambiente,ma avranno a che fare anche con la storia,l’organizzazione sociale, le credenze religiose, leabitudini culturali. Esiste cioè una sociologia <strong>del</strong>lagastronomia?Certamente. Le abitudini alimentari sono legate allecondizioni naturali, ma anche ai condizionamenti culturalidi ogni società. D’altronde, la storia umana vivesempre in questa interazione fra natura e cultura.La cosiddetta “natura” è la pre-condizione su cui sicostruisce la cosiddetta “cultura”. I due termini inte-14


agiscono continuamente: il biologico sul culturale, ilculturale sul biologico.Un aspetto importante <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la gastronomiaè la trasmissione <strong>del</strong> sapere. A questo proposito,quando nascono i primi ricettari e come vengonotramandate le tradizioni culinarie? Prevale unatendenza a divulgare ricette e informazioni oppuresi tende a considerare l’abilità culinaria come unsegreto da custodire e non diffondere?Direi che la tendenza principale (a parte il “gioco”dei segreti, che ogni tanto ci piace fare) è quella ainsegnare e trasmettere i saperi. Ciò è il fondamentodi ogni cultura. La trasmissione avviene, per quantoriguarda la cucina, sia in forma orale, sia in formascritta. Le società che trasmettono i saperi in formaesclusivamente orale tendono a essere più statiche,quelle che si affidano anche allo scritto riescono ad“accumulare” di più, a proporre anche sperimentazioni,a essere insomma più innovative. Però questaregola conosce anche eccezioni. In ogni caso, i ricettari(o almeno, le ricette) sono scritte fin da quando –e là dove – l’uomo usa la scrittura. Ce ne sono perfinonelle tavolette cuneiformi <strong>del</strong>l’antica Mesopotamia.Viceversa, anche le società molto alfabetizzate comequelle moderne amano spesso affidare alla parola, al“consiglio” orale l’apprendimento e l’insegnamentoculinario. Oggi siamo sommersi di libri di cucina, maquando abbiamo bisogno di un’informazione telefoniamoalla mamma o a un conoscente “esperto”.Nella società occidentale sono stati messi a puntouna serie di “canoni gastronomici” in occasioni divarie celebrazioni. Nell’antica Roma si celebrava ilmatrimonio mangiando una focaccia di farro allapresenza <strong>del</strong> pontefice massimo. Da allora è iniziatala tradizione di festeggiare le nozze sedendosi atavola. Come si è evoluta da allora la consuetudine<strong>del</strong> banchetto nuziale, sia dal punto di vista dei cibiche <strong>del</strong>la “scenografia”?Il banchetto di nozze è un momento essenziale <strong>del</strong>lasocialità, ossia di rituali che in tutte le società esprimonoprincipalmente col cibo l’idea <strong>del</strong>la festa e <strong>del</strong>rito. Quindi l’evoluzione <strong>del</strong> banchetto di nozze seguel’evoluzione degli usi culinari: ciò che rimane stabileè l’idea di concentrare in quell’evento una quantità dienergie positive, il “meglio” di ciò che si può elaboraree offrire. Il banchetto di nozze è lo sforzo estremodi produzione e di rappresentazione <strong>del</strong>la propriacultura (alimentare, ma non solo). Aggiungerei che,in passato, questo momento aveva un valore ancorapiù forte di oggi: nel Medioevo, per molti secoli, ilmatrimonio non è concepito come un rito religiosoma, fondamentalmente, come un banchetto in cui lefamiglie si incontrano, si festeggiano, si manifestanoall’esterno.Come sono cambiate nel tempo, le “buone maniere”a tavola o il modo di apparecchiare? Ci sono statesignificative trasformazioni attraverso i secoli?Non si può parlare di “buone maniere” come se sitrattasse di realtà “oggettive”. Ogni società ha le sue.Anzi: all’interno di ogni società, qualcuno definisceche cosa sono le “buone maniere” al fine, principalmente,di distinguere un gruppo, una élite dallamassa: separare chi pratica le “buone maniere”(definite tali dagli stessi che le praticano) da chi nonle pratica. In ogni caso, non credo si possa parlaredi un’evoluzione in questo campo, ma solo di realtàdiverse nel tempo e nello spazio. Ciò che in Europaoggi è definito “buona maniera” può non esserloin Giappone, o poteva non esserlo qui da noi nelMedioevo. E chi giudicherà questa “bontà”? In realtà,soprattutto in casi come questi, siamo costretti adaccettare un relativismo culturale assoluto.Nella storia <strong>del</strong>la società occidentale, il cattolicesimoha spesso considerato peccaminosi i piaceri<strong>del</strong>la buona cucina, imponendo digiuni o limitandoalcuni cibi. In generale, come ha influito la religionesulla tradizione culinaria?In tutte le società, la religione ha avuto un’importanteinfluenza sui modi di vivere e di pensare. La tradizionecristiana è stata da questo punto di vista moltocontraddittoria: da un lato ha condannato la golacome peccato capitale; dall’altro ha tollerato i piaceri<strong>del</strong>la gola come piaceri “minori”. D’altronde proprioi pensatori medievali sottolinearono l’imperiosanecessità di domare i peccati di gola, poiché purcostituendo il primo e più semplice, all’apparenzainnocente, piacere <strong>del</strong>la vita, si trascinava dietro maliben più pericolosi.Altri, però, hanno proposto immagini diverse: nontanto di penitenza, quanto di rispetto <strong>del</strong>la naturae <strong>del</strong> mondo, di sobria moderatezza. La tradizionecristiana insomma propone soluzioni molto diverse.Il cattolicesimo, in particolare, ha accettato generalmentemeglio i piaceri <strong>del</strong>la tavola, mentre il mondoprotestante ha sviluppato una maggiore severità neiconfronti <strong>del</strong> corpo e dei suoi piaceri. La differenzasta nell’interiorizzare di più (per i protestanti) i meccanismi<strong>del</strong>la colpa, mentre il sacramento <strong>del</strong>la confessionelibera il cattolico da questo peso. Ciò nontoglie che, come dicevano le nostre nonne, “più unacosa è cattiva, più fa bene”. Che è un discorso dallaradice moralistica, molto legato all’idea cristiana <strong>del</strong>corpo come qualcosa di cui si deve diffidare.Molto spesso, nella storia, cibi e piatti sono statiimmortalati sulle tele dei pittori. All’inizio <strong>del</strong> Novecentouna <strong>del</strong>le avanguardie, il Futurismo, ha cercatopersino di cambiare la gastronomia. È possibiledescrivere o comunque interpretare il rapportoche nei secoli ha legato l’arte alla gastronomia?15


L’arte medievale, legata a soggetti prevalentementesacri, rappresenta il cibo e la tavola soprattutto comesfondo occasionale di episodi sacri, oppure comeelemento centrale di episodi sacri (per esempio leNozze di Cana). In età moderna il cibo e la tavolavengono rappresentati più direttamente, come soggettiche interessano di per sé. Il realismo <strong>del</strong>la “vitaquotidiana”, o quello <strong>del</strong>le “nature morte”, diventaun vero genere artistico. Oggi mi pare che prevalgauna visione piuttosto metaforica <strong>del</strong> cibo, che vienerappresentato soprattutto come immagine di qualcos’altro(stati d’animo, rapporti interpersonali, ecc.).Oggi siamo abituati a fare attenzione ai cibi piùsalutari, più ricchi di sostanze benefiche per ilnostro corpo, in grado di prevenire certe malattie.Questo aspetto caratterizza solo la nostra epocaoppure ha radici più lontane? Quando nasce l’interesseper l’educazione alimentare?Il tema <strong>del</strong>la salute accompagna fin dall’antichitàil rapporto col cibo. Anzi, i medici antichi (fino alMedioevo) erano profondamente convinti che il piaceree la salute sono funzionali l’uno all’altro: chesolo un cibo che piace può fare bene. In ogni caso,la riflessione dietetica è sempre andata di pari passocon l’elaborazione gastronomica: quest’ultima,direttamente o indirettamente, ha sempre recepitoe rielaborato le idee trasmesse dalla scienza dietetica.Molti modi di cucinare, di abbinare le vivande,di ordinarle nel menu hanno avuto, storicamente,origine nella cultura dietetica, che era la prima eprincipale competenza che si richiedeva dai medici.Sbaglieremmo perciò a pensare che l’interesse perla salute sia tipico <strong>del</strong> nostro tempo. Anche se sonocambiati, ovviamente, i modi di interpretare la realtà.Ogni epoca ha avuto una sua dietetica e di conseguenzauna sua gastronomia.Il suo ultimo libro, L’identità italiana in cucina,propone uno studio sulla cucina italiana e sul suocontributo a rafforzare lo spirito identitario degliitaliani. Anche alla luce <strong>del</strong> 150° anniversario <strong>del</strong>l’unificazione<strong>del</strong> Paese, si può parlare di mo<strong>del</strong>li alimentarie gastronomici come elementi che hannoin parte aiutato e sostenuto l’unità d’Italia?Sicuramente sì. Credo che un paese, prima ancorache un’unità politica, si definisca come una realtàculturale. E poiché la cucina è un elemento essenziale<strong>del</strong>la cultura, ritrovare un’identità culinaria “italiana”almeno fin dal Medioevo (come io propongoin questo libro) è un modo per riconoscere che gliitaliani esistevano ben prima <strong>del</strong>l’Italia. Una cucina“italiana” esisteva, fin da allora, come “rete” di saperie di pratiche locali, che però si confrontavano e siconoscevano reciprocamente. Ecco il punto: la culturaitaliana è una rete di realtà locali. Il problema è:chi usa questa rete, chi ne è partecipe? Per moltotempo, poche persone: l’aristocrazia di corte, imaggiorenti cittadini che potevano permettersi dispostarsi, o comunque di frequentare realtà diversedalla loro; questa circolazione di idee, uomini (anchei cuochi), libri (ricettari), prodotti (attraverso i mercaticittadini) era prerogativa di pochi. In età moderna econtemporanea, gli utilizzatori di questa “rete” sonocresciuti di numero e l’unificazione anche politica<strong>del</strong>l’Italia ha certamente aiutato il fenomeno. Decisivoè stato il libro di Pellegrino Artusi, che ha diffusoquesti saperi fra la piccola borghesia. Decisivala prima guerra mondiale, che per la prima volta hamesso fianco a fianco anche gli umili, i contadini, chehanno potuto confrontare le loro abitudini. Attraversotutti questi meccanismi si è allargato il pubblico checondivide una cultura “italiana” <strong>del</strong>la tavola. Ciò chenon è cambiato, e che ancora rimane, è il metodo <strong>del</strong>confronto, <strong>del</strong>la condivisione, <strong>del</strong> mettere insiemele esperienze locali. La cucina italiana, come la culturaitaliana in genere, ha avuto sempre un carattere“dialettale”, senza codificazioni unitarie, omogenee.Questo, credo, è il segreto <strong>del</strong>la sua ricchezza.Il più celebre manuale di cucina italiana è senz’altroLa Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene <strong>del</strong>loscrittore e gastronomo Pellegrino Artusi. Nato aForlimpopoli (provincia di Forlì-Cesena) il 4 agosto1820, pubblicò il testo nel 1891. Dopo un inizialeinsuccesso divenne uno dei libri più letti dagliitaliani e ad oggi conta 111 edizioni, con oltre unmilione di copie vendute. Si tratta di un volume cheraccoglie 790 ricette, dai brodi ai liquori, passandoattraverso minestre, antipasti, secondi e dolci. L’approccioè didattico (“con questo manuale pratico– scrive Artusi – basta si sappia tenere un mestoloin mano”), le ricette sono accompagnate da riflessionie aneddoti <strong>del</strong>l’autore. La scienza in cucinae l’arte di mangiar bene costituì un vero e propriospartiacque nella cultura gastronomica <strong>del</strong>l’epoca.Ad Artusi va il merito di aver dato dignità a quel“mosaico” di tradizioni regionali, di averlo per laprima volta pienamente valorizzato ai fini di unatradizione gastronomica “nazionale”.16


Rinaldo Dalsasso: “Il vero cuoco deve cercare diricordare e rispettare la tradizione che lo ha preceduto,la storia <strong>del</strong>l’arte culinaria, la cultura <strong>del</strong>lacucina”.Lei lavora in questo settore da più di 40 anni. Ingenerale quali sono stati i principali cambiamentinei mo<strong>del</strong>li alimentari e nel modo di rapportarsi allascienza gastronomica?Negli anni è cambiato l’approccio alla tavola, al servizioe alla presentazione dei piatti. In questi ultimidecenni lo stile di vita <strong>del</strong>le persone si è molto modificatoed ha allargato le opportunità, basti pensarealla tecnologia o alla possibilità di spostarsi, cheprima era molto più limitata di adesso. Lo stesso valeper l’arte culinaria. Oggi possiamo conoscere i gustie i sapori <strong>del</strong>le altre tradizioni e questo permette contaminazionie incroci fra le diverse gastronomie. Inoltreoggi possiamo contare su mezzi impensabili finoa qualche tempo fa dal punto di vista <strong>del</strong>la cottura econservazione dei cibi, come i forni polivalenti, l’abbattitore,il microonde, la tecnica <strong>del</strong> sottovuoto. Tuttiquesti cambiamenti non devono però farci dimenticarela filosofia di base <strong>del</strong>l’arte culinaria che è strettamentelegata all’aspetto storico. Spesso, infatti,abbiamo cose belle ma con meno gusto, oppure citroviamo in luoghi dove non si mangia più nei piattidi foggia tradizionale, ma in quelli con forme geometrichestrane che vogliono solo imitare la moda.Il vero cuoco deve cercare di ricordare e rispettarela tradizione che lo ha preceduto, la storia <strong>del</strong>l’arteculinaria, la cultura <strong>del</strong>la cucina, pur avvalendosi deinuovi mezzi messi a disposizione dalla tecnica. Èin questa filosofia di fondo che io credo profondamenteed è per questo che ho un nome dopo 40 anniche faccio el brusa pa<strong>del</strong>e.Negli ultimi anni assistiamo, anche in <strong>Trentino</strong>, allasempre maggiore attenzione verso cibi genuini, biologicie privi di sostanze chimiche. Come si possonointerpretare questi nuovi bisogni dei consumatori?Bisogna premettere che spesso si tratta più di unaquestione di marketing che non di una reale sensibilitàverso cibi più sani. Io collaboro con la Cooperazionee da anni vado nei supermercati e cerco di aiutarele persone ad acquistare prodotti di qualità, cercandoanche di farli risparmiare. Fino a 5 o 6 anni fac’era solo un piccolo scaffale con la merce biologica,mentre adesso la maggior parte <strong>del</strong>le cose esposteviene presentata con questa etichetta. È chiaro chea questo punto molto dipende da cosa intendiamoesattamente per alimento biologico perché spessovengono semplicemente applicati diversi anticrittogamicialla frutta e alla verdura, ma questo non corrispondead una maggiore qualità. Inoltre, sono glistessi consumatori che vogliono una mela che siaallo stesso tempo biologica e bellissima, senza unaammaccatura. La cosa importante è offrire una realequalità anche al di là <strong>del</strong>le diverse definizioni checambiano in base alle tendenze <strong>del</strong> momento.Un’altra tendenza di quest’ultimo periodo riguardala riscoperta di cibi che facevano parte <strong>del</strong>la cucinapovera di un tempo e che oggi vengono sempre piùapprezzati, grazie anche a iniziative come lo slowfood. È possibile spiegare questo cambiamento?Lo slow food è un progetto buono e lodevole, contribuiscea riscoprire e valorizzare storia e cultura di unterritorio. Uno degli aspetti più rappresentativi <strong>del</strong>laricchezza <strong>del</strong>la nostra tradizione è la grande varietà<strong>del</strong>la proposta culinaria. Mi spiego: se noi proviamolo stesso piatto in due valli diverse <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>, ciaccorgiamo che il primo non avrà lo stesso sapore<strong>del</strong> secondo, anche solo per qualche sfumatura nelgusto. Il tortel di patate <strong>del</strong>la val di Non è diversoda quello <strong>del</strong>la val di Sole e questo vale anche per ilresto d’Italia, perché, ad esempio, il radicchio trevigianoè diverso da quello di Chioggia e di Mantova.La cucina italiana è fatta di dettagli, di maestria, dipaziente preparazione. È un’arte ed è questo chedistingue la nostra cucina dalle altre, nonché quelloche ci rende grandi nel mondo.Per quanto riguarda il <strong>Trentino</strong>, quali sono gliaspetti critici <strong>del</strong>l’offerta <strong>del</strong>la cucina proposta dairistoranti <strong>del</strong> territorio?Io credo che il problema principale stia proprionell’incapacità di puntare sulle nostre specificità e divalorizzare i nostri piatti più tipici. Faccio un esempio:su 100 ristoranti trentini, noi troveremo gli spaghettiallo scoglio in più di 96. Ma solo in 4 o 5 ci sarà sulmenu un canederlo al formaggio o alle verze. Questoperché la tendenza è quella di uniformare tutto,senza offrire una maggiore e più diversificata offerta.17


Questo ha naturalmente <strong>del</strong>le ricadute sul turismoperché a chi decide di passare le vacanze in <strong>Trentino</strong>dovrebbero essere offerte le nostre specialità.Gli spaghetti allo scoglio sono indubbiamente moltobuoni, ma li si può mangiare ovunque. Lo stesso nonvale per un buon piatto di canederli preparato comesi deve.Come si potrebbe fare per rimediare a questo deficit<strong>del</strong>l’offerta locale?È necessario agire sulla preparazione dei cuochiaffinché tutti gli elementi che fanno parte <strong>del</strong>la ricchezzaculinaria e che hanno a che fare con storiae tradizione si radichino e vengano trasmessi. Algiorno d’oggi la maggior parte dei cuochi che lavoranonelle nostre cucine non sono trentini; sonoottime persone con una grande voglia di lavorare,ma non hanno nessuno che insegna loro le ricettetipiche. Io credo che da parte <strong>del</strong>le istituzioni o <strong>del</strong>levarie associazioni di categoria dovrebbe esserci unosforzo per garantire una adeguata formazione. Almomento la situazione è piuttosto stagnante e michiedo cosa succederà fra 10 o 20 anni se nessunoavrà trasmesso alla nuova generazione di professionistiil nostro sapere e le nostre tradizioni culinarie.Quando il 70% o 80% dei cuochi saranno stranieri c’èda un lato la possibilità di avere nuove espressioniculinarie, ma dall’altro anche il rischio di una perditadi un patrimonio importante. Così come è importantevalorizzare le Dolomiti, che rendono unico il nostroterritorio, allo stesso modo dobbiamo salvaguardaree tramandare le ricette di piatti tradizionali, resi unicidalla grande varietà <strong>del</strong>le nostre valli.Salvaguardare le ricette più tradizionali non limitain un certo senso la creatività di un cuoco?Non si tratta di un limite, anzi; questa motivazioneviene usata quasi come scusa facile per evitare diconfrontarsi con la storia che ci ha preceduti. Èappunto in questa sfida che emerge l’intelligenza e lasensibilità di un vero professionista. Faccio un esempio:perché i canederli devono essere grandi comeuna mela? Io preferisco farli più piccoli perché a mioparere sono più belli, più facili da mangiare e hannoun sapore più moderno. E nessuno mi vieta di usare,nell’impasto, <strong>del</strong> prosciutto cotto al posto <strong>del</strong> lardo.Questo non significa snaturare le ricette <strong>del</strong> passato,tutt’altro: è proprio grazie ad una costante ricerca ecuriosità nei confronti <strong>del</strong>la tradizione che è possibilemettere passione nella creazione di piatti tipici e portareavanti il nostro grande patrimonio culturale, chevive anche attraverso le produzioni gastronomiche.Quanto è importante oggi educare le persone ad uncorretto approccio nei confronti <strong>del</strong>la loro alimentazione?Direi che è molto importante, non solo per un discorsoesclusivamente legato alla salute, ma anche per lesue implicazioni sociali. Io non sono contrario a McDonald’s, anzi. Penso che vada bene andarci qualchevolta, ma la cosa fondamentale è non fare propriala “cultura” <strong>del</strong> fast food. Oggi in famiglia entrambii coniugi lavorano e non c’è più molto tempo, maquesto non deve diventare un pretesto per evitaredi sedersi tutti attorno a un tavolo, almeno una voltaal giorno. La mia filosofia in cucina è la semplicità,io non faccio cose straordinarie, però metto moltaattenzione nella scelta <strong>del</strong>le materie prime. Io credoche sia sufficiente un po’ di attenzione per prepararepiatti buoni e sani che contribuiscono, allo stessotempo, a tenere unita la famiglia. Mangiare un minestronefatto in casa, anche se semplice e non buonissimo,non è la stessa cosa che consumare lo stessopiatto fatto con il preparato in busta. Mettere un po’di cuore anche nella preparazione di cibi semplicirappresenta un valore aggiunto che alla lunga puòdare tanto all’unione e armonia <strong>del</strong>la famiglia. Nondobbiamo infatti dimenticare che la cucina è unaspecie di “anticamera”, è forse l’unico luogo <strong>del</strong>lacasa dove si riesce a parlare.Quali sono secondo lei le caratteristiche che deveavere un buon cuoco al giorno d’oggi?Il buon cuoco di oggi deve essere come quello diieri, con il vantaggio di avere a disposizione strumentipiù avanzati. Direi che deve avere un’ottimaconoscenza <strong>del</strong>la materia prima, deve rispettare lacultura, la tradizione e avere una grande sensibilitàin modo da apprezzare e sentire come suo tutto ilpatrimonio di conoscenze e abilità che lo hanno preceduto.E infine, un buon cuoco deve avere cuore,una dote che è il segreto di chi fa bene questo lavorooggi come ieri.18


Le ricette di Rinaldo Dalsasso...Baccalà (stoccafisso) in umido alla trentina di Mamma RosaIngredienti per 6 persone circa: 1,200 Kg di baccalà bagnato (stoccafisso), 1 litro di latte circa, 1 bicchieredi vino bianco, 1 bicchiere di olio extra vergine di oliva, 2-3 patate (pelate, lavate e tagliate a pezzi), 150 gdi sedano rapa (pulito e tagliato a quadretti), 4-5 filetti di acciughe o 2-3 sar<strong>del</strong>le sotto sale lavate e pulite, 1cipolla tritata, 2 spicchi d’aglio tritati, 2 cucchiai di prezzemolo tritato, 100 g di formaggio grana grattugiato,50 g di farina bianca, sale q.b., pepe in abbondanza.Procedimento: In una pentola d’acqua bollente salata mettete i pezzi di baccalà e fateli bollire leggermenteper 3-4 minuti. Scolateli e una volta raffreddati un po’, privateli <strong>del</strong>la pelle e <strong>del</strong>le lische. Ponete il baccalà inuna teglia da forno dai bordi alti e aggiungete la cipolla e l’aglio tritati, le acciughe/sar<strong>del</strong>le, il prezzemolo, lafarina, il grana grattuggiato, le patate, il sedano rapa, sale e pepe. Mescolate bene allargando il tutto nellateglia. Aggiungete il latte, l’olio e il vino e mettete sul fuoco, mescolando con un cucchiaio di legno fino abollore. A questo punto mettete la teglia con il baccalà nel forno a 160°-170°. Lasciate cuocere per circa 1 oramescolando di tanto in tanto. Servite con polenta fumante.Grazie a mamma Rosa che tanti anni fa mi ha insegnato a farlo così!NB: Come tutti gli umidi, se si preparano la mattina per la sera o addirittura il giorno prima, una volta riscaldatisono più buoni.Minestrone di pasta e fagioli alla moda <strong>del</strong> “Borgo”Ingredienti per 6/8 persone circa: 600 g di fagioli borlotti secchi, 1 cipolla pulita e tagliata a pezzi, 1 carotapulita e tagliata a pezzi, 3-4 patate pulite e tagliate a pezzi, ½ gambo di sedano tagliato a pezzi, ½ porro tagliatoa pezzi, 2 spicchi di aglio puliti.Condimento: 250 g di olio extravergine di oliva, 2 rametti di rosmarino (solo gli aghi), 4-5 foglie di salvia, 5spicchi di aglio puliti e tagliati a metà, 1 cipolla pulita e tagliata a julienne, sale e pepe q.b.Procedimento: Mettete a bagno i fagioli secchi in abbondante acqua fredda (per 8-12 ore). Dopo averli scolatimettetene 100 g in una pentola con abbondante acqua fredda (l’acqua deve coprire bene i fagioli) e cuoceteper 45-50 minuti. Poi metteteli da parte aggiungendo il sale a fine cottura. Mentre i fagioli cuociono, in un’altrapentola capiente mettete i rimanenti fagioli e tutte le verdure pulite e tagliate a pezzi, aggiungete abbondanteacqua fredda e cuocete per circa 2 ore, mescolando di tanto in tanto. Se necessario aggiungete altra acqua(anche in questo caso il sale va aggiunto a cottura ultimata). In un pentolino preparare il condimento, mettendol’olio, la cipolla tagliata a julienne, il rosmarino, la salvia e l’aglio, cuocete a fuoco medio-basso finchéle cipolle e il resto <strong>del</strong>le verdure sono ben dorate. Dopo circa 2 ore, una volta cotta la zuppa, passatela alfrullatore o passaverdure, rimettetela nella pentola aggiungendo i 100 g di fagioli cotti separatamente in precedenza(se la zuppa risulta troppo densa si può aggiungete anche l’acqua di cottura dei fagioli). Rimettete sulfuoco e far riprendere il bollore, continuando a mescolare perché il minestrone tende ad attaccare. Mentreil minestrone bolle passate al colino il condimento soffritto e versarlo nel minestrone mescolando finché èben assorbito, aggiustate di sale e pepe. Aggiungete 1 o 2 nidi di pappar<strong>del</strong>le sminuzzate e fate cuocere per3 minuti continuando a mescolare, quindi spegnete e lasciate riposare per almeno mezz’ora. Servite impiattandoaggiungendo un filo di olio extravergine <strong>del</strong> Garda e una macinata di pepe fresco.… e le ricette quattrocentesche di Martino de Rossi rielaborate da Aldo Bertoluzzanel volume Libro di cucina <strong>del</strong> maestro Martino De Rossi, Trento, UCT, 1993, p. 67:Brodetto bianco per dieci minestrePer fare <strong>del</strong> brodetto bianco per dieci minestre piglia mezza libbra di mandorle dolci e pestale bene, unendoviun po’ d’acqua fresca affinché non facciano l’olio. Prendi poi venti bianchi d’uovo, un po’ di mollicadi pane, un po’ d’agresto, un po’ di brodo di carne, o di cappone, un po’ di zenzero bianco e pesta tuttequeste cose assieme con le mandorle, passandole poi per una stamigna e facendole infine cuocere […]Brodetto con pane, formaggio e uovaPer fare un brodetto con pane, formaggio e uova fa bollire <strong>del</strong> pane grattugiato per un quinto di ora nelbrodo di carne. Prendi poi <strong>del</strong> formaggio grattugiato e sbattilo insieme a <strong>del</strong>le uova, mentre lascieraialquanto raffreddare il pane bollito nel brodo. Poi gettavi dentro le uova e il formaggio, e mescola tuttobene assieme. Fa in modo che tale minestra diventi di un colore giallo, per lo zafferano che vi spargerai, ealquanto spessa.19


L’esperienza <strong>del</strong> cibo, e <strong>del</strong>lasua preparazione, non risparmiaalcun essere umano, diqualunque epoca, estrazionee cultura. Lapalissiano, certamente.Eppure molto spessoi ricettari e l’immaginario cheli accompagna rimandanonella maggior parte dei casi adinterni familiari, a massaie d’untempo e a moderne donne dicasa, a cuochi di fama, a cultoridi sapori antichi e a gastronomi amanti di complicateacrobazie <strong>del</strong> gusto, se non a cucchiai d’oroe d’argento, perfino a conventi e a suore, germaneo meno che siano. Ma non occorre essere né ungastronomo né una madre di famiglia per avere unricettario. Scritto o mandato a memoria che sia, pubblicoo segreto, ognuno di noi, anche il più scalcinatodegli umani, ha un proprio ricettario minimo.In quest’epoca di scapoli e donne nubili, separati edivorziati, che godono tutti <strong>del</strong>l’esotica denominazionedi single, e di cibi precotti sempre più diffusi– che siano quattro salti in pa<strong>del</strong>la o tre nel microonde– vogliamo riproporvi la cucina <strong>del</strong>lo scapolod’antan, quando il termine aveva ancora una valenzaa suo modo totalizzante, come il suo equivalentefemminile – seppur iniquo – zitella.Uno scapolo di mondo, certo, nonché d’eccezione:infatti tra le raccolte di ricette di golosi e cucinierid’ogni sorta spicca un’operina di pubblica utilitàcreata da due amici e sodaliche tra l’altro si dilettavano dicucina. Dal loro maschio interesseper la gastronomia nasceun ricettario decisamente fuoridall’ordinario, rivolto peraltroa un interlocutore altrettantooriginale, ovvero il celibe(nell’originale francese, célibataire).Categoria speciale especifica di cuoco e amante<strong>del</strong> gusto, solo miseramentepotremmo tradurne la valenzacon il moderno e malnato terminedi single (ma il francese,curiosamente o più laicamente,ha conservato ancor oggi il terminecélibataire senza variantidi sorta). I suoi desideri e lesue possibilità non sono unicamentedettate, orientate, limitatedalla necessità ed urgenzadi sfamare o dilettare coniugeo figliolanza o altro parentame,se non in rare occasioni. SoloIl cucchiaioegli può, se desidera, mangiarealla sua ora, digiunare e cucinarese e come crede. Volendopuò essere cuoco anticonvenzionalee anarchico, votato alsolo e puro piacere <strong>del</strong>la gola,al godimento di sé medesimoe, se desidera, dei suoi commensalie ospiti. Se mangiarein compagnia è certo un piacere,cucinare e consumare ilpasto da soli può far raggiungere le vette <strong>del</strong> piaceredi solitudini perfette ed incomparabili. Certo, valesolo per gli amanti <strong>del</strong> genere…Il nostro uomo, con il suo originale ricettario, è unoscapolo di mondo nella Parigi <strong>del</strong> tardo Ottocento.Aristocratico di nascita, borghese per scelta, segnatoper destino personale, Henri de Toulouse-Lautrec(1864-1901), meglio noto come monsieur Momonella cerchia degli amici, oltre che grande artista fuanche un amante <strong>del</strong>la buona cucina nonché cuocodilettante ma decisamente capace e originale. Ospitecapace di stupire i suoi invitati con i sapori e l’originalità<strong>del</strong>le pietanze di sua produzione, si dilettava dicucina e dedicava ai fornelli parte <strong>del</strong>le sue artisticheenergie. A testimonianza <strong>del</strong>la sua estrosa maestriarimane un ricettario, opera condotta a due mani, abeneficio di chi si voglia misurare sul campo conil menu <strong>del</strong>lo scapolo mondano <strong>del</strong>la Parigi di fineOttocento: Henri il cuoco e l’artista, il suo fido amicoMaurice l’ideatore <strong>del</strong>la pubblicazione<strong>del</strong>lo speciale ricettario.Perfetta fusione di arte e gastronomia,questo piccolo manuale<strong>del</strong> gusto corredato da bellissimeillustrazioni è uno dei frutti<strong>del</strong> profondo e duraturo rapportodi amicizia che legò i due.Vicinissimo a Toulouse-Lautrecsin dagli anni di scuola, MauriceJoyant (1864-1930) fu amatore econoscitore di cose d’arte, uomobrillante e ben inserito nell’ambientemondano; sostenitorefin dagli esordi <strong>del</strong>le prove artistiche<strong>del</strong>l’amico carissimo, nel1890 sostituì Theo Van Gogh,fratello <strong>del</strong> più celebre Vincent,nella galleria d’arte Boussod &Valdon. Curatore <strong>del</strong>l’eredità diToulouse-Lautrec, Joyant ne fuanche il primo biografo nonchéfondatore <strong>del</strong> monumentalemuseo intitolato all’artista ad<strong>del</strong>lo scapolo di mondole ricette di monsieur Momo,al secolo Henri de Toulouse-Lautrec, artista e viveurdi Maria Letizia Tonelli20


Maurice Joyant, La Cuisinede Monsieur Momo,célibataire, Editions Pellet,Paris 1930 (illustrato con24 acquarelli e disegni diHenri de Toulouse-Lautrec,frontispizio di Vuillard).Successive edizionisono comparse in Francia,Svizzera e in Gran Bretagna.In Italia è stato pubblicato da Mondadorie più di recente (2005) da Ibis edizioni di Pavia.Albi, città d’origine di Henri.Il volume che raccoglie il sapere e l’estro culinario diToulouse-Lautrec fu pubblicato solo nel 1930, dunquemolti anni dopo la morte <strong>del</strong>l’artista, con il titolo diLa Cuisine de Monsieur Momo, célibataire e conuna ricca veste grafica di mano <strong>del</strong>lo stesso Henri.Le ricette propongono sostanzialmente la cucinafrancese classica, pur con molte originali varianti econ un senso estetico degno <strong>del</strong>l’autore. Rampollodi antica famiglia <strong>del</strong>la Francia meridionale, i gusti diHenri erano certo stati educati al desco nobiliare ditradizione, arricchito dai sapori <strong>del</strong>la campagna albigese,poi raffinati alla mensa parigina e rinverditi dallafrequentazione di cucine straniere in occasione deisuoi viaggi. Antipasti, entrée, hors d’oeuvre, relevé,potage, carni e pesci, verdure, salse, dessert e dolci,nulla manca al ricettario <strong>del</strong>lo scapolo di classe, lacui cucina sapeva stupire i commensali, coniugati omeno che fossero, sia per i sapori che per la presentazione<strong>del</strong>le pietanze. La sapienza gastronomica diToulouse-Lautrec si univa ad una vasta conoscenzadei vini di Francia e di liquori di varia natura, anchese il suo gusto per le bevande alcoliche degradò tristementenell’alcolismo. Nonostante la nascita altolocata,le notevoli possibilità economiche e la grandeacutezza d’ingegno, il giovane Henri non ebbe, infatti,vita facile a causa dei suoi gravi problemi di salute.Di lui resta l’esito altissimo <strong>del</strong>la sua esperienza artisticae questo piacevole breviario <strong>del</strong> gusto che benillustra l’uomo, il suo desiderio di godere dei piaceri<strong>del</strong>la vita, la sua privata passione per la cucina, il suomodo di essere parte di una socialità mondana chelo vide tra i protagonisti <strong>del</strong>la scena parigina <strong>del</strong> suotempo. Frequentatore assiduo di ristoranti e di localinotturni – oltre che di case d’appuntamento ove inquanto célibataire amava eleggere il suo domicilio –,l’artista fece di questi luoghi e <strong>del</strong>la fauna umana cheli abitava uno dei principali soggetti <strong>del</strong>la sua opera;molte le scene di sua mano che illustrano gente atavola, che si intrattiene a bere e a mangiare, moltii riferimenti alla convivialità, numerosi gli aneddoti<strong>del</strong>la sua biografia che riportano al profondo rapportoche univa Toulouse-Lautrec al cibo, alla suapreparazione e degustazione, nonché al piacere dicondividerlo con gli altri, come nelle occasioni in cuiamava riunire alla sua tavola una decina di commensaliben assortiti per interessi e spirito e dar loro inpasto le sue golose ricette.21


Il principio <strong>del</strong> nutrire reggeil mondo e corre attraversoil mondo, diceva Goethe. Maè forse nell’opera di Rabelaische assistiamo alla messa inopera più spettacolare <strong>del</strong>leimmagini conviviali legate alcibo e ai riti a esso collegati.Più precisamente al banchetto,che si svolge durante la festapopolare. La strabordante abbondanza<strong>del</strong> bere e <strong>del</strong> mangiare diventa la notadominante, quale lievito sfrenato, gioioso e telluricoquanto il gigantesco pane che lo incorpora. Il corpoche mangia e che è mangiato è il riflesso organico diuno spettro articolato di azioni; la macellazione <strong>del</strong>bestiame ad esempio, ma anche lo smodato spalancare<strong>del</strong>la bocca e il vorace inghiottire e deglutire.Per non parlare di ventri sbracati nell’atto fertile <strong>del</strong>lanascita, che precede la crescita tumultuosa e irregolaredi corpi che sfidano la propria spazialità, lastessa norma di un tempo che è solo proprio.L’incontro <strong>del</strong>l’uomo con il mondo avviene nellapropria bocca: sgranocchiare, dilaniare, masticare,assaporare, sonoazioni che consentonodi assaggiare ilgusto <strong>del</strong> mondo, eaccanto a questo c’èl’incanto <strong>del</strong>la parola,<strong>del</strong>la conversazione,<strong>del</strong>la battutadi spirito, <strong>del</strong> witz.Il mangiare è l’altraparte <strong>del</strong> mondo,l’emisfero che compensail lavoro, unavvenimento socialee individualeinsieme, alieno allatristezza, vicino allafesta vitale, alla pienezza<strong>del</strong> vissuto,lontano dalla morte,che è per definizioneassenza di vita comela perfezione.Il banchetto che siconcepisce comeun’affermazione<strong>del</strong>la vittoria, <strong>del</strong>trionfo, si accompagnaalla conversazioneconviviale,al simposio (nonIl banchettonecessariamente antico o classico,ma pure alla modernità diun Beethoven e ai suoi straordinaridiscorsi conviviali). Mangiaree parlare, cibo e verbo,sembrano essere fraterniamici, origini di un linguaggiocomune. E se il pane <strong>del</strong> Pantagruelè simbolo di abbondanzasmisurata, ecco che l’olio costituisceil simbolo magro <strong>del</strong>laserietà devota, un’accezione estranea alla concezioneliberatoria di Rabelais. Il pane e il vino scatenano laparola, la vivificano dall’interno, in una dimensioneche è tutta terrena e lontana da ogni suggestionemistica, mentre l’alterazione <strong>del</strong>l’ubriachezza portaverso il futuro: l’immaginazione di ciò che deve ancoraessere, nella voce sciolta senza limiti che fluttuain un pensiero dilatato e contagiato di speranza. Ilbanchetto in Rabelais incarna la potenza e l’ardore diuna parola liberata, in grado di andare oltre la pietàe la paura divina, per dirigersi decisamente verso ilgioco gioioso e disinibito. In questo senso il vino eil pane si ergono a paladini di una sazietà possibile,di un’abbondanzagiustificata da unapropria intima verità:la libertà impavida<strong>del</strong>la forza umana,materiale e corporea,dove non vige lapaura ma la temerarietà.Per parte nostramettiamo il Folengo arappresentare la tradizione<strong>del</strong>le nostreterre. Lui descrive lacucina degli dei conil verso; il tono è quiparodico, letterario,e la gioia folle <strong>del</strong>banchetto piega inaltra direzione, il simulacro<strong>del</strong> cibo siprofana nello smascheramentoe neltravestimento, nellasottolineatura <strong>del</strong>maccheronico, metaforicoe parallelouniverso di un’irrisionevertiginosa madiversa dal Rabelais,vicina ma non aderentea essa.22


Germania 1917-1918. Tra ildicembre 1917 e il gennaio 1918,presso il campo di prigionia diCelle (Hannover), vennero inviati2.921 ufficiali e sottoufficiali italianifatti prigionieri durante larotta di Caporetto. Dopo giorni egiorni di viaggio, giunti strematial lager di Celle, furono abbandonatia se stessi e dovetteroaffrontare con mezzi <strong>del</strong> tuttoinadeguati il freddo e la fame. Anche se la loro sortefu migliore di quella dei soldati semplici, il cui livellodi mortalità per fame raggiunse cifre spaventose,pure l’esperienza vissuta dagli ufficiali fu terribile.Il cibo divenne per tutti un pensiero ossessivo: “Lafame continuata non ci faceva pensare che al mangiare,al mangiare, al mangiare; si parlava di questo,si pensava questo, si ricordava questo”. Scrivono isuperstiti nelle loro memorie. “Quando si discorre,l’argomento è sempre lo stesso, e cioè il mangiare”.“La fame, a poco a poco, divenne una vera idea <strong>del</strong>irante:non si parla che di mangiare, non si aspettache l’ora in cui sarà distribuita la misera sco<strong>del</strong>la dibrodaglia”.Inutilmente sperarono nell’intervento <strong>del</strong>lo Statoitaliano che al contrario aveva adottato una politicapunitiva nei confronti dei prigionieri e aveva presola scellerata decisione di impedire l’invio di aiuti siada parte <strong>del</strong>la Croce Rossa, che da parte dei privati.Come scrive Giovanna Procacci “l’attribuzione <strong>del</strong>larotta di Caporetto a un fenomeno di diserzione collettiva– a seguito <strong>del</strong>la nota interpretazione di Cadorna<strong>del</strong> disastro – spinse infatti gran parte <strong>del</strong>l’opinionepubblica, e tra questa Sonnino, a credere che lamaggioranza dei militari catturati si fosse volontariamentearresa al nemico. D’Annunzio bollò i prigioniericon l’attributo di “imboscati d’oltralpe”; su varigiornali – e in particolare su quelli di trincea – essivennero raffigurati come uomini finiti, distrutti dallacolpa e dalla paura”.Durante il lungo inverno, iprigionieri passavano igiorni perlopiù coricati,economizzandole energie,aspettando conansia l’ora <strong>del</strong>lamensa. BonaventuraTecchi,recluso con CarloEmilio Gaddae Ugo Bettinella Baracca15c, scrive che“Un giocoquasi saporito”ricettari di prigioniadi Quinto Antonelli“durante la fame, non si parlòmai d’arte e di letteratura, nédi matematica e neppure didonne, noi che avevamo pocopiù di vent’anni e che, entroil filo spinato, da mesi nonvedevamo più viso di donna.Lugubre, pesante scendeva ilbuio <strong>del</strong>la sera su quelle nostrecucce di legno, ripiene di aghidi abete, allineate in fila comebare; il silenzio era il solo commento <strong>del</strong>la giornatao un parlottìo discreto, che rievocava lontani pranzie cene”. Perché, come ricorda ancora Tecchi, eraun gioco “quasi saporito” mischiare ricordi e fantasie,“come se anche il sogno, nel ricordo lontano,potesse per un momento ingannare la fame”.In altre baracche il gioco “quasi saporito” di rimemorarei cibi di casa e <strong>del</strong>la vita civile prende letteralmentecorpo nei quaderni dei prigionieri che sitrasformano in veri e propri ricettari. Due sottotenenti,Giuseppe Chioni e Giosué Fiorentino, ognunoper conto suo, si fanno promotori di una raccolta diricette interpellando i compagni di baracca. Così che“dallo scambio reciproco di ricordi, rimpianti e desideri”,come scrive Chioni, nascono più di un quadernointitolato all’arte culinaria.“Questa raccolta di ricette di culinaria, fatta nel campodi prigionia di Celle, è il frutto di uno dei più stranifenomeni psicologici senza il quale sembrerebbeinspiegabile come tante giovani energie, come tantorigoglio di vita e di giovanilità fervida non abbia trovatomodo migliore di manifestarsi ed espandersi.E chi non è vissuto fra noi, chi non ha avuto un’idea<strong>del</strong>le nostre sofferenze fisiche e morali potrebbe sorridereironicamente pensando alla metamorfosi checi ha mutato da guerrieri in cuochi; però se si pensaai lunghi digiuni che ci costringono a stare rannichiatiper sentire meno i crampi <strong>del</strong>la fame, a non muoversiper intere giornate onde sprecare meno energie, checi rendono <strong>del</strong>iziosocome una golositàil famosopane Rappa e sesi pensa che lafame presenteha un tristerisalto con l’abbondanzatrascorsasembrerànaturale comeognuno risognandoil domesticofocolareabbia ricordato23


le squisite pietanze e gli intingoli appetitosi preparatidalle mani premurose e <strong>del</strong>icate <strong>del</strong>la mammao <strong>del</strong>la sposa lontana; abbia ripensato ai tempi incui felice presiedeva all’allestimento di essi e dalloscambio reciproco di ricordi, rimpianti e desiderine sia scaturito questo ricettario. L’utilità di esso èdiscutibile, non fosse altro ci farà ricordare di tanteore tristi e monotone in tempi migliori che con unsimile riscontro sapremo salutare traendone insegnamentied esperienza”. Sono ricettari nazionali,forse più rappresentativi <strong>del</strong>le diversità regionali<strong>del</strong>la Scienza in cucina di Pellegrino Artusi. Chioni eFiorentino, genovese il primo e siciliano il secondo,mettono insieme ricette che provengono dal nordcome dal sud, dal Piemonte come dall’Abruzzo odalla Puglia, dal Veneto come dalla Sardegna. Maesprimono, a ben leggere, anche un immaginariodi opulenza, espressione di un sogno che conduceoltre il filo spinato <strong>del</strong>la prigionia, verso un paradisogastronomico dove è possibile mangiare e bere adismisura, un mondo capovolto rispetto a quello<strong>del</strong> campo. Grassi, ripieni e condimenti la fanno dapadroni. Ecco la ricetta <strong>del</strong> riccio al forno: “Si riempieil riccio molto grasso e grosso, con prosciutto,funghi, sedano e qualche pezzetto di corteccia di formaggiopecorino, noce moscata, zenzero. Con dettocomposto si riempie pure la gobba <strong>del</strong> riccio, si cucee si pone in un testo insieme a patate condite conlo strutto, sale, pepe, prezzemolo”. Si aggiungono ilguanciale di maiale all’arrabbiata, la lepre in salmì, ilconiglio ripieno al forno, le costate di maiale al latte,le lasagne imbottite, la polenta con lardo e prosciuttograsso o pasta di salsiccia.Germania 1943-1945. Di nuovo la fame. I prigionieridei nuovi lager nazisti vivono in condizioni materialiancor più precarie, a volte ai limiti <strong>del</strong>la sopravvivenza:sono tormentati da una fame continua cheriappare monotona e ossessiva nelle note dei diariche registrano la pessima qualità <strong>del</strong> cibo, le dosiinsufficienti <strong>del</strong>le razioni alimentari, il rito <strong>del</strong>la divisione<strong>del</strong> pane, e poi la nostalgia dei cibi di casa,l’ansia e la preoccupazioni per i pacchi familiari chenon arrivano. Il pasto principale è una brodaglia dirape con l’aggiunta di una fetta di pane di segala, oin alternativa 20-25 grammi di margarina, un cucchiaiodi marmellata, 25 grammi di zucchero, 500grammi di patate ogni due o tre giorni, crauti crudi,un mestolo di brodo nero detto caffè. L’ossessionealimentare ritorna perfino nei sogni come scrive nelsuo diario Giuseppe Volpe, internato a Sandbostel:“Quante volte mi sogno di trovarmi a casa tra i mieiche mi offrono pietanze su pietanze di ogni specialitàe abbondantemente… Questo perché? Perchéil nostro subcosciente, anche nel sonno, continua abattere sulle nostre necessità impellenti: mangiare.Ieri mi raccontavo il nuovo piatto che certamentedovrà essere squisito: maccheroni al forno. Ieri seraa letto vi ho lungamente pensato. Questa volta hosognato di aver fatto scorpacciate di maccheronicon sugo abbondante. E stamane poi mi sono alzatocon un buco”. Così non è un caso che il ricettariodi prigionia di Ferruccio Fanizza, in appendice al suodiario, sia intitolato “I nostri sogni”: nostri, perchéanche in questo caso si tratta di una raccolta messainsieme trascrivendo le ricette dei commilitoni cheprovenivano da ogni parte d’Italia: troviamo i mezzarellialla siciliana (pasta, pomodoro, melanzanefritte, mozzarella, parmigiano) e l’agliata provenzale;la cucina meridionale <strong>del</strong>l’olio d’oliva e quella settentrionale<strong>del</strong> burro; le verdure mediterranee e lacarne; le minestre e le creme francesi. Le fantasioseannotazioni di ricette, come testimonia una recenteantologia di lettere e diari degli internati militari,sono più frequenti di quello che è dato immaginare,perché, come scrive Riccardo Zipoli a commento<strong>del</strong> ricettario <strong>del</strong> padre, “Piatti casalinghi e locali <strong>del</strong>perfetto gefangene e di Chelm”, la dimensione alimentaree culinaria permea “gran parte <strong>del</strong>la vita siamateriale sia immaginaria <strong>del</strong> lager, configurandosi,tale dimensione, non solo quale aiuto per la sopravvivenzafisica ma anche come sfogo e conforto mentaledegli internati”.Le informazioni sul lager di Celle e la condizione dei prigionieri italiani sono riprese dal volume di GiovannaProcacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande guerra, Torino, Bollati Boringhieri, 2000; la citazionedi Bonaventura Tecchi è tratta dal suo libro Baracca 15c, Milano, Bompiani, 1962; i ricettari di GiuseppeChioni e Giosuè Fiorentino sono pubblicati nel volume La fame e la memoria: ricettari <strong>del</strong>la GrandeGuerra: Cellelager 1917-1918, a cura di Quinto Antonelli e Gianfranco Bettega, con saggi introduttivi diFabio Caffarena e Annarita Caputo, Feltre, Agorà, 2008; il brano di Giuseppe Volpe si trova nell’antologiadi Mario Avagliano e Marco Palmieri, Gli internati militari italiani: diari e lettere dai lager nazisti: 1943-1945, Torino, Einaudi, 2009; il ricettario di Ferruccio Fanizza è conservato, insieme al diario, presso la<strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>-Archivio <strong>del</strong>la scrittura popolare; la citazione di Riccardo Zipoli ètratta dall’introduzione a Gefangenennummer 40148: memorie dai lager nazisti <strong>del</strong> capitano Mario Zipoli,Venezia, Istituto veneziano per la storia <strong>del</strong>la Resistenza e <strong>del</strong>la società contemporanea, 2003.24


Il carnevale è un momento<strong>del</strong>l’anno dove anche per lagola ci sono <strong>del</strong>le deroghe…:alcuni studiosi fanno derivarel’origine <strong>del</strong> nome da carnemlevare indicando in questomodo non la festa ma il periodosuccessivo, quello <strong>del</strong>la Quaresimadove la liturgia cristianaimponeva l’astinenza dal consumodi carne. Gli Statuti diTrento, ad esempio, prescrivevanoche i prezzi <strong>del</strong>la carnedovessero essere regolati daun particolare calmiere soprattuttonel periodo carnevalesco,quando l’aumento <strong>del</strong> consumocausava una lievitazionedei prezzi. Festa probabilmentecristianizzata e quindi inseritaall’interno <strong>del</strong> periodo che vadall’epifania alle ceneri, il carnevaleha però origini più lontane: soprattuttoin area alpina trova ancoraadesso una ritualità legata allafertilità, ai riti agricoli stagionali,alla volontà di scacciarel’inverno e di propiziarsiuna buona stagione.Per Rang si può scorgerel’origine <strong>del</strong>la festanel lontano 3000 a.C. inCaldea; in una <strong>del</strong>le piùantiche epigrafi <strong>del</strong>la storia è scrittoche si celebra una festa dovel’ancella prende ilposto <strong>del</strong>la signora e loschiavo incede nel rango<strong>del</strong> signore e i potenti stavanoin basso come uominicomuni (Florens C. Rang, Psicologiastorica <strong>del</strong> carnevale,Bollati Boringhieri, Torino,2008, p. 49). Per Bachtin, ilcarnevale, in opposizione allafesta ufficiale, era il trionfo, inuna specie di liberazionetemporanea dal regimeesistente, l’abolizione deirapporti gerarchici, di privilegi,regole e anche tabù.Autentica festa <strong>del</strong> tempo e <strong>del</strong>rinnovamento, si opponeva ad ognifissità e ad ogni termine definitivo:era la festa <strong>del</strong>l’avvenire incompiuto.A carnevale…ogni cibo vale!Festa <strong>del</strong>l’uguaglianza pereccellenza, nella piazza carnevalescaregnava la formaparticolare <strong>del</strong> contatto familiaree libero tra le persone(Mikhail Mikhailovich Bachtin,L’opera di Rabelais e lacultura popolare, Einaudi,Torino, 2001, p. 13). Nell’immaginariocollettivo il carnevaleha come caratteristicapeculiare la possibilità dinon sottostare alle regole,anzi di rovesciarle o stravolgerle,per cui erano note findall’epoca moderna crida diautorità cittadine per frenarescherzi e burle. Ne abbiamouna emanata dal principevescovo Sigismondo Francescod’Austria nel 1663 cheimponeva restrizioni tra cui quella di non mascherarsiil volto “occultando e nascondendo lacognizione loro”, “ne manco mutare abitoover travestirsi” pena il pagamento di39 ragnesi, se il malcapitato eratrovato senza armi e <strong>del</strong> doppiose invece le portava.Un tempo carnevale significavaanche trasgressione alimentare,o meglio grande abbuffata: infatti,venivano organizzate, ora non più,<strong>del</strong>le vere e proprie gare per vederechi riusciva a mangiare più polenta,pasta o gnocchi. In molti carnevalistorici abbiamo iperbolilegate al cibo come le salsiccegiganti <strong>del</strong> carnevale dietà moderna di Norimbergao le medievali montagne dimaccheroni al ragù dovecascava una nevicata diparmigiano che riempivanoi sogni <strong>del</strong> paese di cuccagnadescritte dallo stessoBoccaccio. Eco di questeusanze si ritrova ancora ogginella distribuzione gratuita dibigoi o maccheroni al ragùo con le sarde, maltagliati alsugo, gnocchi. I dolci, oltrealla pasta, fanno da sovraninella festa carnevalesca diogni paese: abbiamo ricettetramandate per grostoli, fri-Marta Villa“Il carnevale è un pezzo di storia <strong>del</strong>la religionee il riso carnevalesco, la prima blasfemia.È una pausa, l’interregnum tra un’abdicazionee un’ascesa al trono; perciò è una processione,un corteo; l’immagine di un processoceleste: dalla processione <strong>del</strong>le stelle fino ache l’astro-sovrano <strong>del</strong>l’Anno Vecchio non ècompletamente declinato e l’astro-sovrano<strong>del</strong>l’Anno Nuovo è salito sulla sommità <strong>del</strong>trono”(Florens C. Rang, Psicologia storica <strong>del</strong> carnevale)25


tole, crafuns, krapfen e straboi (o stroboi). Altropiatto tipico <strong>del</strong> giovedì grasso è lo smacafam, uccidila fame, “onto e bisonto soto tera sconto, sconto ‘nte ‘na cassetta se te ‘ndovini ten dago ‘na fieta”: losmacafam viene cotto sotto la cenere e ha comeingredienti farina bianca, latte, olio, lucanica fresca,pancetta affumicata, burro e sale.Un carnevale che non si svolge più è quello dei Gallinari<strong>del</strong>le valli <strong>del</strong> Noce. Interessante perché vedevacoinvolti i ragazzini dai 12 ai 14 anni che dal 17 gennaio,giorno di Sant’Antonio Abate, fino alle Cenerigiravano per le case vestiti da eremiti e recitavanoa memoria il De Profundis e il Miserere in cambiodi offerte di cibo, prevalentemente grasso e farina,che veniva raccolto e poi cucinato il giovedì grasso edistribuito a tutta la comunità dai giovani <strong>del</strong>la zona.A Condino i ragazzi il giovedì grasso giravano travestiticon maschere paurose per il paese trascinandouna slitta con sopra la giubiana (strega) e chiedendoin offerta farina, frutta e fiaschi di vino.Altro carnevale particolare si svolge a Romarzollo,frazione di Arco. La tradizione qui impone la costruzionedei carnevali, <strong>del</strong>le piramidi di legno di bambùdecorate con alloro, gusci d’uovo, salsicce, arance ebiscotti che vengono portati in processione per le vie<strong>del</strong> paese e poi bruciati sul doss <strong>del</strong> carneval, unaaltura sopra la frazione al canto <strong>del</strong>la filastrocca dialettale:“Carneval buta ‘jal/butel bèm. Smaca i ovi nelcapel/‘l capèl l’è descosì./Tuti i ovi for de lì./Viva laQuaresima/che ‘l carneval l’è na./Polenta e pessatine/domanse magnerà!” Al termine <strong>del</strong> falò ora vengonodistribuite torte, frittelle, vino caldo. A Varone,invece, nel comune di Riva <strong>del</strong> Garda, abbiamo laconsueta polenta e morta<strong>del</strong>la, di origini settecentesche,ancora oggi come allora, organizzata da unapposito comitato. La polenta è quella gialla di Storoe la morta<strong>del</strong>la viene confezionata secondo particolariricette segrete sia per la mistura di carne che dispezie, tramandata dagli organizzatori di generazionein generazione, segrete sono le essenze di legno chevengono impiegate per affumicare il salume. Nellevicine Giudicarie invece si prepara il capu(s), che,a dispetto <strong>del</strong>l’assonanza con il termine dialettaleimpiegato per indicare il cavolo cappuccio, non comprendefra gli ingredienti questo ortaggio: sono pacchettinidi pane grattato mescolato a verdura verde,formaggio grana, uova, burro, uva sultanina, sale,pepe e aglio che, dopo una lunga cottura, vengonogustati con saporiti insaccati.In un ricettario <strong>del</strong> Settecento redatto da don FeliceLibera troviamo come ricetta tipica <strong>del</strong> carnevaletrentino la culata di porco fresco cotta in umido e servitacon gnocchi di pane e verza.Dalla vicina Verona il <strong>Trentino</strong> ha assunto la tradizionede el vendro sgnocolàr. Carnevale antico e risalenteal Rinascimento, quello di Verona si impone per grandiositàe partecipazione ancora oggi. Interessante ènotare che avviene una vera e propria elezione conregole, candidati, schede elettorali e pubblicità pernominare el Papà <strong>del</strong> Gnoco, il re <strong>del</strong> Bacanal <strong>del</strong>Gnocco, figura centrale <strong>del</strong>la rappresentazione. L’elezioneavviene circa un mese prima <strong>del</strong>la festa nelquartiere di San Zeno dove vengono allestite lecabine elettorali: i diversi candidati si presentano epubblicizzano con manifesti e grida la loro candidatura.È un onore diventare Papà <strong>del</strong> Gnocco cui siprestano anche i giornali locali che pubblicano a tuttapagina il nome e il volto <strong>del</strong>l’eletto. Migliaia di cittadini,fino agli anni ottanta solo i residenti sanzenatipoi tutti i veronesi, votano nella piazza di San Zeno,attendono con pazienza il proprio turno e ottengonoin cambio un piatto di gnocchi; in città molti ricor-26


dano ancora l’elezione <strong>del</strong> 1984 con il Papà eletto con22.000 preferenze, un vero record.Figura importante, sia nel periodo <strong>del</strong>la festa chedurante tutto l’anno, il Papà deve far conoscere latradizione <strong>del</strong> carnevale, e per un giorno (il venerdì)ha in mano le chiavi <strong>del</strong>la città consegnategli direttamentedal sindaco in piazza Bra all’inizio <strong>del</strong>la sfilata,e insieme ai gobéti, suoi aiutanti, dispensa caramellea tutti i bambini. Cavalca una mula che viene mangiataal termine <strong>del</strong> carnevale sotto forma di pastissadae ha in mano lo scettro con il simbolo <strong>del</strong> suopotere: una forchetta con infilzato un grosso gnocco.Il costume abbonda le sue forme, in particolare evidenzala pancia piena e il volto rubicondo dalla barbafluente. In tutte le case e osterie si cucinano i tradizionalignocchi di patate al sugo o al ragù. La festadi piazza dura parecchie ore e sempre più quartieri<strong>del</strong>la città e paesi <strong>del</strong>la provincia concorrono concarri e maschere. Un altro rito che si svolge il sabatograsso, ma che forse ha poco a che fare con il carnevalecome lo intendiamo oggi, è il Plufziehen di Stilfsin Vinschgau. Letteralmente è il tiro di un vecchioaratro per le strade <strong>del</strong> paesino che vede coinvoltitutti i giovani, maschi, divisi in due gruppi, i contadini,con il Bauer e la Bauerin che guidano l’araturae i loro aiutanti, e dall’altro lato le streghe e i rappresentanti<strong>del</strong>la modernità, ossia tutti quei mestieri fattida ambulanti girovaghi interpretati negativamentedagli abitanti dei masi perché portatori di novità mastranieri. Il rito vede una vera e propria “battaglia”tra i personaggi <strong>del</strong> bene (i contadini) e i personaggi<strong>del</strong> male che tentano di rubare l’aratro e di interromperecosì la semina e la battitura. Vi sono anche deidistributori di uova sode alle ragazze in età da marito,segno propiziatorio anche per l’arrivo <strong>del</strong>la nuovastagione. Il canovaccio nella sostanza è sempreuguale, tramandato oralmente da generazioni, ma c’èun ampio margine di improvvisazione nei dialoghi. Ilrito si conclude sempre nella piazza <strong>del</strong>la chiesa dovec’è, come ultima azione rituale, il furto dei canederlibollenti fatto dalle streghe e impedito dal Bauer. Poiavviene la distribuzione gratuita dei canederli rimastia tutti. Risulta quindi evidente quanto sia importanteil cibo e l’azione <strong>del</strong> mangiare nelle feste carnevaleschee non solo, dove venivano portati in processioneanche gli utensili <strong>del</strong>la cucina o venivano esageratele stesse dimensioni dei cibi preparati. Possiamoallora concludere invitando a curiosare tra i carnevali<strong>del</strong>la nostra regione e con l’eccellente consiglio di unsaggio medico, François Rabelais, per condurre unavita felice:”ho sentito una volta in un bel giardino, inun giardino segreto, sotto un bel frascato, intornoad una bella siepe di bottiglioni, giamboni, pasticci ead alcune quagliette con busto, dei bei musicisti checantavan graziosamente…”.27


Non è molto che l’uomo ricercanel cibo una dimensione collettiva;è probabile che l’uomocacciatore e successivamenteil cosiddetto raccoglitore vivesseroil pasto nella sua dimensionefamigliare e di piccologruppo.L’inizio di una dimensione piùampia trae sicuramente la suaprima esemplificazione nelconvento medievale. I pellegrinaggi,infatti, hanno posto iconventi nella necessità di forniredei pasti a una miriade diviaggiatori, pellegrini, che ad untempo chiedevano un cibo, maerano anche portatori di nuoveabitudini alimentari e anche atipi di preparazioni sconosciuteai monaci o comunque ai responsabili <strong>del</strong>le cucinedi tali istituzioni. Anche le collettività militari hannovia via posto lo stesso problema; soprattutto quelleconfinate in spazi molto ristretti, come per esempiole navi, con oggettive difficoltà di rifornimento e diconservazione degli alimenti.Con la rivoluzione industriale, infine, il problemasi estese progressivamente anche al mondo <strong>del</strong>lavoro. In Italia ciò accadde soprattutto con la cosiddettaseconda rivoluzione industriale, quando l’operaiofu costretto a subire un inquadramento che locollocava in una posizione di netto subordine, in cuile stagioni e le necessità <strong>del</strong>la famiglia non avevanopiù importanza; l’operaio diventa parte di un ingranaggioproduttivo in cui il lavoro si presta 14-16 oreal giorno e all’interno di tale periodo è praticamenteobbligatorio inserire una pausa per mangiare; la cosainteressante è che nel momento iniziale di tale rivoluzioneindustriale pochissime sono le fabbriche dotatenon solo di una mensa, ma neppure di una cucina,per cui la breve pausa pasto viene fisicamente consumatadove si lavorava, in condizioni igieniche e disicurezza assai precarie; spesso i refettori e i dormitori,soprattutto per la manodopera femminile, sonocomunicanti con la sala stessa dove le persone lavorano.In certe industrie tessili <strong>del</strong> Biellese è documentatoche le tessitrici consumavano il loro vitto al telaio conle macchine in funzione! D’altra parte anche le lottesindacali alla fine <strong>del</strong>l’Ottocento avevano ben altro datutelare e difendere che non la pausa pranzo: si pensisolo alla piaga <strong>del</strong> lavoro minorile e alla mancanza diqualsiasi tutela per la donna. Esistevano tuttavia <strong>del</strong>leoasi, <strong>del</strong> cosiddetto paternalismo padronale, doveera prevista una mensa come nell’industria “NuovaSchio” di Alessandro Rossi.Mangiare sul lavoroLe prime mense moderneall’interno degli stabilimentiindustriali fanno la loro comparsanel primo dopoguerra.di Carlo PedrolliÈ <strong>del</strong> 1929 l’inaugurazionea Trento <strong>del</strong>la prima mensapresso la Michelin, assiemeal pensionato femminile perle operaie residenti fuori città;sia la mensa che il pensionatofemminile furono ospitate inun primo tempo (si può immaginarela precarietà <strong>del</strong>la situazione)presso il vicino Palazzo<strong>del</strong>le Albere.In seguito è incominciata ancheper le mense operaie la questione<strong>del</strong> razionamento bellico(si parla <strong>del</strong> secondo conflittomondiale); esso è stato affrontato in vario modo dadiversi stabilimenti industriali; per esempio in Lombardiala Falk, la Vanzetti e l’Unione Industriale detteroorigine al Servizio approvvigionamenti stabilimentiindustriali (SASI), per favorire la fornitura <strong>del</strong>lemense industriali in modo collettivo ed economicamentevantaggioso. Le forze di occupazione tedescheobbligarono altre industrie “storiche” milanesi comela Siemens, la Breda, la Borletti, la Magneti Marelli adaderire alla SASI. Il problema principale era rappresentatoallora dalla disponibilità <strong>del</strong> secondo piatto,obbligatorio per legge, dal momento che ricadevasotto la responsabilità <strong>del</strong>le aziende; il primo invecericadeva sotto la responsabilità <strong>del</strong>la società pubblicaSEPRAL. Nel 1944 il SASI venne d’autorità incorporatonella Sezione provinciale per l’alimentazione(SEPRAL, società pubblica istituita con R.D.L. 18dicembre 1939, n. 2.222, quale organo periferico <strong>del</strong>Ministero <strong>del</strong>l’Agricoltura e <strong>del</strong>le Foreste, per quantoriguardava il “Servizio degli approvvigionamenti perl’alimentazione nazionale in periodo di guerra”, e <strong>del</strong>28


Ministero <strong>del</strong>le Corporazioni, relativamente al “Servizio<strong>del</strong>la distribuzione dei generi alimentari e <strong>del</strong> controllodegli stabilimenti <strong>del</strong>l’industria alimentare”). Lasituazione portò ad un fatto veramente paradossale;gli industriali pur di potersi approvvigionare per i lorooperai erano di fatto autorizzati a ricorrere alla borsanera tanto che si stimò che per il secondo piatto ledisponibilità alimentari provenissero per 1/5 da carteannonarie, e per i restanti 4/5 dalla cosiddetta “borsanera”. Le cronache <strong>del</strong>l’epoca, comunque, parlavanoper gli operai <strong>del</strong>la FIAT motori di Torino di un caloponderale medio, negli anni di guerra, di 10-15 kg.Non va poi taciuto come, di fatto, le mense <strong>del</strong>legrosse concentrazioni industriali di Milano, rimastein piedi durante la guerra, siano diventate un centropolitico di primo livello sia in senso antifascista primache di militanza politica ai tempi <strong>del</strong> CLN poi.La mensa diventò dopo la seconda guerra mondialeun fatto acquisito, ma vissuta dal lavoratore più checome una conquista in sé, come una parte integrante<strong>del</strong> salario che se non veniva goduta doveva esserein qualche modo risarcita; e la cosa divenne benpresto motivo di frizione con i cosiddetti “padroni”<strong>del</strong>la fabbrica che vedevano invece nella mensa unfatto assistenziale che doveva aumentare la produttività<strong>del</strong>la forza lavoro in fabbrica. La cosa portò avivaci vertenze sindacali in cui la mensa si pretendevavenisse inserita nel salario come parte integrante <strong>del</strong>lavoro e quindi computata nella retribuzione imponibileai fini <strong>del</strong> calcolo dei contributi assicurativi; lacosa durò non meno di dieci anni con risposte nonsempre omogenee non solo di tipo legislativo maanche di tipo giuridico. Nel complesso le mense <strong>del</strong>dopoguerra si presentavano in modo molto diverso;si andava dalle mense <strong>del</strong>la Ercole Marelli di SestoSan Giovanni, la Stalingrado di Italia, in cui il vitto eraultra controllato sia nella sua qualità che nella quantitàda un’apposita commissione; gli operai ricevevanoun’indennità mensa mensile di £ 1.500 e per 25 pastial mese spendevano £ 1.970; quindi con £ 470 l’operaiomangiava tutto il mese e talora talmente bene dapreferire il pasto <strong>del</strong>la mensa a quello di casa. Ma giànegli anni sessanta altre industrie “pilota”, come adesempio la Breda di Milano, affidavano per la primavolta in gestione a terzi il servizio mensa, modalitàche venne seguita da altre industrie.Non mancavano i lavoratori che, per ottenere l’indennitàmensa in contanti, preferivano consumareun pasto portato da casa e contenuto nel cosiddetto“baracchino” (chiamato in <strong>Trentino</strong> soprattutto daglioperai edili “gamela” e che era costituito da un contenitoredi alluminio diviso internamente da unasorta di coperchio che separava la parte bassa conil cibo liquido, di solito minestra, dalla parte alta conil secondo piatto e il contorno; il baracchino venivaspesso mal conservato e il contenuto consumato incondizioni igieniche assai precarie, spesso proprionei locali di lavoro, alle temperature più varie.Negli anni sessanta gli operai passarono dalla civiltà<strong>del</strong>la “sussistenza” alla società <strong>del</strong> “benessere”;si incominciò a guardare non solo alla quantità <strong>del</strong>cibo fornito dalla mensa, ma anche alla sua qualità. Iltutto con <strong>del</strong>le contraddizioni stridenti se è vero chelo stabilimento FIAT di Rivalta, inaugurato nel 1967,non prevedeva nel progetto iniziale né sala mensa nécucine. Si incominciavano ad affacciare i primi sistemirivoluzionari di cucina come per esempio i cosiddetticibi surgelati. La mensa nel ‘68 e negli anni <strong>del</strong>le lottesindacali presenta ulteriori peculiarità: alcune rivendicazionispostano l’obiettivo dal diritto alla mensaalla possibilità di monetizzare il valore <strong>del</strong> pasto;diventa quindi sempre meno importante la qualità<strong>del</strong> vitto, passaggio sancito anche dal fatto che progressivamentesi tende ad effettuare un outsourcing<strong>del</strong>la mensa, cioè ad attribuirne la responsabilità ela gestione all’esterno <strong>del</strong>la fabbrica stessa. In altreparole si passa dalla figura di industriale che notoriamenteassaggiava di persona il vitto degli operai ene consentiva la distribuzione solo se di gusto soddisfacente,a un cibo spersonalizzato posto sotto ilcontrollo di personale esterno all’azienda e quindi, intal senso, deresponsabilizzato.Emerge chiaramente dall’analisi dei documenti sindacali<strong>del</strong> tempo come la mensa fosse più sentitacome locale di ritrovo e quindi “spazio di lotta” piuttostoche luogo dove si doveva consumare un pasto.La mensa diventa soprattutto il luogo <strong>del</strong>le assembleesindacali, il luogo dove i lavoratori si trovanoper discutere i proprio diritti, luogo di aggregazioneper ogni forma di lotta, anche clandestina.Finita la stagione <strong>del</strong>le grandi lotte sindacali, incominciatala crisi industriale degli anni ottanta e novanta,la mensa subisce tutti i contraccolpi; molte fabbrichedi grandi dimensioni chiudono o vengono ridimen-29


sionate nei loro organici, prosperano gli stabilimentiindustriali di piccole dimensioni, spesso artigianali,che non sono in grado di fornire da soli il serviziomensa. É tempo allora di altre grandi novità:1. la mensa che serve più di uno stabilimento, nonlegata ad una singola industria ma al distretto dovesi trova; su di essa convergono le maestranze divarie fabbriche, di solito molto vicine e che raggiungonoa piedi la mensa dove consumano unpasto con una compartecipazione <strong>del</strong>la loro dittaed una personale; si tratta di mense che di solitoforniscono un servizio dal punto di vista nutrizionalepiù che dignitoso.2. I cosiddetti buoni pasto: il lavoratore ottiene unvoucher <strong>del</strong> valore di alcuni euro che può spenderepresso bar, ristoranti convenzionati. Se il buononon è sufficiente a coprire la spesa, il lavoratorepaga di tasca propria la quota restante. Spessoquesto sistema ha dato luogo a degli abusi, nelsenso che il lavoratore non si è fatto dare il corrispettivodovuto, ma altri prodotti alimentari dipari prezzo da consumare poi in famiglia; inoltrequesto sistema ha favorito l’utilizzo indiscriminatodei “fast food” peggiorando notevolmente, dalpunto di vista nutrizionale ma anche relazionale, ilmomento <strong>del</strong> pasto.Appare quindi evidente come seguendo le modalità<strong>del</strong> pasto collettivo nei secoli, si riassuma gran parte<strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>l’uomo; quanto poi questo sviluppoabbia significato un reale miglioramento <strong>del</strong>lecondizioni di vita e di relazione <strong>del</strong>l’uomo, lasciamogiudicare al lettore.Proposte di lettura a cura <strong>del</strong>la Biblioteca <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>Identità italiana in cucina, di Massimo Montanari (Laterza, 2010)“L’Italia è fatta, facciamo gli italiani” proclamò Massimo D’Azeglio all’indomani <strong>del</strong>l’unitànazionale. In realtà gli italiani esistevano da secoli, ben prima che l’Italia nascessecome entità politica. Erano pochi, certo: solo una piccola élite. Ma erano e si sentivanoitaliani, pur vivendo in Stati diversi. L’identità <strong>del</strong> paese non coincideva conle sue forme politiche, ma si realizzava piuttosto nei modi di vita, nei gusti letterari,artistici e anche gastronomici. Se per “cucina italiana” vogliamo intendere unmo<strong>del</strong>lo unitario, codificato in regole precise, è abbastanza evidente che essa non èmai esistita e non esiste tuttora. Se però la pensiamo come “rete” di saperi e di pratiche,come reciproca conoscenza diffusa di prodotti e ricette provenienti da città eregioni diverse, è evidente che uno stile culinario “italiano” esiste fin dal Medioevo,soprattutto negli ambienti cittadini che concentrano e rielaborano la cultura alimentare<strong>del</strong>le campagne, e al tempo stesso la mettono in circolazione, attraverso il giocodei mercati e i movimenti di uomini, merci, libri. Si forma così un sentimento “italiano”, un’identità nonteorica né utopistica, ma concreta e quotidiana, fatta di sapori, di prodotti, di gusti. L’unità politica <strong>del</strong> paesenon fa che accelerare questo processo, allargandolo progressivamente a fasce più ampie <strong>del</strong>la popolazione.Cibo, gioco, festa, moda, a cura di Carlo Petrini e Ugo Volli (vol. VI de La cultura italiana, diretta da LuigiLuca Cavalli Sforza, Utet, 2009-2010)Quali sono le discipline, gli ambiti di indagine che hanno contribuito a costituire e modificare quella che oggichiamiamo la cultura italiana <strong>del</strong> cibo? Di quali elementi si compone l’italianità di questa cultura? E ancora:dove occorre andare a ricercare le caratteristiche che la rendono riconoscibile e distinta in quanto culturaitaliana? Queste le domande da cui ha mosso i primi passi il gruppo di lavoro che ha partecipato alla stesuradei 20 saggi che compongono questo sesto volume <strong>del</strong>l’enciclopedia Utet La cultura italiana. L’intentodi ogni singolo saggio, che si concentra su discipline differenti, è quello di rispondere sempre alla stessadomanda: come si è stratificata la cultura italiana rispetto alle questioni ambientali, alle diverse agricolture,al mondo <strong>del</strong> vino, al diritto alimentare, ai consumi, alla ristorazione, all’alimentazione?30


Archistrato di Gela, nato nel IV sec.a.C., può essere considerato unodei più grandi trattatisti gastronomicidi tutti i tempi; contemporaneodi Alessandro, uomo eclettico,colto, poeta e grande viaggiatore,nel 330 a.C. ca. composeun poemetto in esametri dal titoloHedypátheia, I piaceri <strong>del</strong> gusto,o come alcuni molto più liberamentetraducono Vita di <strong>del</strong>izie.La ragione che rende immediatamentesingolare e notevole, masoprattutto ardita, l’operazioneletteraria di Archistrato, è quelladi aver voluto piegare la solennitàe il riconosciuto valore universale<strong>del</strong> verso epico ad una materiaassolutamente umile, quotidianae prosaica. Viaggiare per maree per terra, spingersi sempre piùlontano al fine di scoprire ricettedal valore straordinario, dovequalità e stile si fondono ai massimilivelli, superando così il vincolo<strong>del</strong> pregiudizio e dei campanilismi,sembra essere la più veracifra <strong>del</strong>la ricerca gastronomicadi Archistrato. Tutto ciò facendoincontrare l’alto con il basso, ilserio con il faceto e chiamandoin causa la propria esperienza eun acutissimo senso <strong>del</strong>l’osservazionee una predilezione perle specialità ittiche. Il terminegastronomia, che nasce perciòall’interno <strong>del</strong>l’orizzonte culturale<strong>del</strong>la Grecia antica, significa insenso letterale “leggi-regole <strong>del</strong>ventre”; ma, ci possiamo chiedere, di quali regole edi quali leggi si tratta? Dettate dalla necessità? Dallaragione? In grado di decretare il buono e il bello? L’esattoequilibrio tra gli ingredienti?Il termine gastronomia enuclea la presenza di unadualità teorica e propone senz’ombra di dubbio uninteressante spunto dialettico; il termine racchiudein sé sia un’accezione alimentare e un intrinseco riferimentoalla tecnica di elaborazione dei cibi, sia un’istanzaestetica, che postula la facoltà di assaporare egiudicare il grado di bontà <strong>del</strong>le pietanze medesime.Ecco che la figura di Archistrato, gourmand raffinatoe cosmopolita, ci indica la direzione di un percorsofatto anche di speculazione filosofica. Esteticaed edonismo si incontrano in cucina e da un feliceconnubio nasce una gastronomia sapiente, coltaCucina a porterquando l’esteticaè nel piattodi Silvia Bertolottie, quando involontariamenteingenua, assolutamente straordinaria.Con il binomio Gastronomia-Aestheticail sapere el’esperienza <strong>del</strong>la bottega simescolano alla sensibilità che sacogliere qualità e bellezza, e all’istintopersonale; il “buon gusto”fa da trait d’union autorevole eassoluto. La gastronomia segue(e allo stesso tempo ne è componenteimprescindibile) lo spirito<strong>del</strong> tempo. La cucina futurista diMarinetti (il cui Manifesto uscì inItalia sulla Gazzetta <strong>del</strong> Popolodi Torino il 28 dicembre 1930)propugnava una nuova filosofiaalimentare, una rivoluzione ottimistadei costumi <strong>del</strong>la tavola,un “progetto nutrizionista”, unariforma totale che enunciava trai suoi capisaldi l’abolizione <strong>del</strong>“quotidianismo mediocrista deipiaceri <strong>del</strong> palato”, auspicavauna cucina chimica e dichiaravaguerra alla pastasciutta, cheinduceva a scetticismo, pessimismo,inattività nostalgica, inun’ottica politica, ideologica, maanche estetica; alla pastasciuttasi preferiva il riso. La poeticafuturista è stata per certi aspettiprofetica nel cogliere, infatti, ilprocesso di estetizzazione <strong>del</strong>laprassi e dei riti <strong>del</strong>la vita quotidiana,che ha poi portato ai nostrigiorni ad una sorta di pericolosarisoluzione immateriale e virtuale<strong>del</strong> mondo, un fluttuare infinitodi immagini gettate in rete, una spettacolarizzazione<strong>del</strong>la realtà che si va sostituendo all’anima <strong>del</strong>le cosee al vissuto personale. Nella società post-moderna, apartire dalle classi medie il cibo ha subìto inoltre unforte processo di simbolizzazione, divenendo metaforadi fobie e ossessioni e risponde non più solo alleesigenze biologiche e alle pratiche <strong>del</strong>la necessità,ma a una sorta di rituale estetico in cui si riscontranoforti valenze culturali e identitarie.La cucina oggi assume sempre più i connotati di unmondo aperto, fucina <strong>del</strong> gusto, naturalmente, maanche amplificatore e catalizzatore di suggestioni etensioni contemporanee, ha saputo trasformare sestessa in un laboratorio straordinario spalancandole proprie porte a fotografi, architetti, designer. Lacucina è il cuore pulsante, il fulcro vitale da cui si31


irradiano le esperienze tecnico-artigianali <strong>del</strong>la tradizionee, nel medesimo tempo, le spinte di sperimentazionee di rinnovamento di ciascun milieu culturale.È l’immagine a dominare il mondo <strong>del</strong>l’alimentazionee <strong>del</strong>la nicchia gastronomica e la gastronomia asua volta rientra ormai a buon diritto nell’area <strong>del</strong>lavisual culture, materia privilegiata dei cosidetti visualstudies, un ambito di ricerca sviluppatosi sulla sciadegli studi culturali anglosassoni.Il concetto di design e di applicazione fotograficaall’arte gastronomica, alle pietanze e alle sue materieprime, è un fenomeno fortemente veicolato e diffusoin special modo attraverso i più attuali media,quali web, blog e social network. Canali di comunicazionecostantemente attivi, mutanti e dinamici chein tempo reale registrano mode e umori, rappresentandola più chiara cartina di tornasole di una societàperennemente instabile e alla ricerca <strong>del</strong> propriosenso. Da sempre piace parlare di segreti ai fornelli,sapori, creatività, sensazioni <strong>del</strong> gusto; il mondodegli ingredienti e <strong>del</strong>le preparazioni alimentariintrattiene un rapporto molto stretto con la paginascritta e con il linguaggio, per Roland Barthes il ciborappresenterebbe <strong>del</strong> resto un’unità funzionale dicomunicazione, in possesso di una grammatica propria(le ricette), di un lessico (l’ordine <strong>del</strong>le vivandenel menù) e di una retorica (il comportamento deiconviviali). La gastronomia contemporanea ha compiutoun ulteriore passo avanti, ha coniato un propriovocabolario: foodies, food-design, still-food, foodphotography, food-writers all’interno di una galassiadi fenomeni culturali che vengono ad incrociarsi eciascuno ad apportare un originale contributo, ed ilnuovo codice, ormai alla portata di tutti, è mutuatodalla lingua inglese. È avvertita sempre più inoltre l’esigenzadi conoscere passato e presente dei prodottialimentari, in un’ottica di riscoperta <strong>del</strong>la tradizione,ma anche di grande attenzione al benessere e a unacucina <strong>del</strong>la salute e <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong>l’ambiente; parallelamentela materia gastronomicaintrattiene i lettoricon una infinita serie diargomentazioni tutte mirantialla creazione di atmosfere,scenografie e spazi <strong>del</strong>l’immaginario,di volta in voltasempre nuovi e creati inoccasione e in onore di unatavola esteticamente studiata,una tavola che divieneinnanzi tutto espressioned’arte. E’ chiaro come oggila curiosità per la cucinaabbia una natura duplice econtrastante, se da un latoci si appassiona alla cucina essenziale e di recupero(ammirata per la sua sobria eleganza), spesso legataalla tradizione rurale e ai cicli stagionali, dall’altra,una tensione assolutamente dinamica e centrifugaè alla ricerca di una tavola trasgressiva, pronta adaccogliere neo-ricette e preparazioni fusion. L’editoriagastronomica, che va moltiplicando esponenzialmenteil proprio successo, è lo specchio più veritierodi tutte queste curiosità e tendenze. Aumentano lecase editrici specializzate e le riviste di settore, ancheil pubblico dei fruitori è diversificato, compare un lettoremolto più attento, preparato e sperimentatore; inuovi lettori sono in particolare quelli che vengonochiamati foodies, vale a dire i buongustai <strong>del</strong>l’eramoderna, appassionati insuperabili in grado di rasentarepicchi di vero e proprio fanatismo enogastronomico,e pronti a sobbarcarsi ore e ore di viaggio purdi assaporare un prodotto tipico o una ricetta in viad’estinzione. Tuttavia, il dato forse più rilevante fratutti è che l’immagine fotografica dei cibi conquistaun ruolo di assoluto primo piano. Nel grande calderone<strong>del</strong>l’editoria culinaria i generi, ovvero le categorieattente a rispondere ai miti contemporaneiquali, tra i più ricorrenti, il biologico, la filiera corta,la genuinità, il melange multietnico, il cibo comeelisir di salute e giovinezza, sono indubbiamenteinnumerevoli, ma a essere prediletti dai lettori sonoprincipalmente due filoni, quello narrativo e quellofotografico. La produzione editoriale gastronomicapredilige, sulla scorta <strong>del</strong>l’eredità artusiana, la forma<strong>del</strong> racconto, narrando si tramandano le ricette <strong>del</strong>lamemoria, si descrivono viaggi ed esperienze biograficheche assumono la veste <strong>del</strong> romanzo, si spiegal’incrocio di diverse culture, si racconta <strong>del</strong> territorioattraverso un suo prodotto principe. Lo stesso connubioletteratura-fotografia trova un discreto successoattraverso il recupero, la citazione e lo studio di scrittorie poeti che abbiano tematizzato nella loro operala materia gastronomica. Dall’altra i migliori ricettari<strong>del</strong> mondo, ma anche i piùagili manualetti per dilettanti,sono accompagnati daimmagini di raffinate, goloseo rustiche preparazioniimmortalate da grandi fotografiinternazionali e non. Lagastronomia è sempre piùdi frequente “in posa” e larete è un vero proliferare discatti fotografici che hannoil cibo come unico protagonista.La gastronomia vieneinterpretata e rappresentatada questi creativi <strong>del</strong>l’immaginein modo sempre nuovo32


e personale. La fotografiarappresenta un mediumdalle funzioni molteplici.Incontriamo veri e propri“grand tour fotografici”nel gusto e nel paesaggio,dove i cibi e i prodottiimmortalati si fondonocon la natura e lasuggestione dei luoghi incui trovano origine; sonogeografie <strong>del</strong>l’immaginee dei sapori che traccianoun “atlante <strong>del</strong>leemozioni” e che possonocondurci dalla campagnatoscana al bistrot di Parigi, da Central Park alle coste<strong>del</strong> Nord Africa. Con la food photography si sviluppaun incredibile ventaglio di tipologie fotografiche chevanno dall’ingrediente, al piatto realizzato, dall’utensiledi cucina, al ritratto <strong>del</strong>lo chef al lavoro, senzadimenticare l’ambiente circostante, ovvero la particolarelocation e gli aspetti legati alla mise en place.Il cibo è esperienza squisitamente sensoriale, un’esperienzache inizia innanzi tutto attraverso la vista.I portfolio di molti fotografi ormai includono anchesezioni tutte dedicate allo still life <strong>del</strong> cibo. Pensiamo(solo a titolo di esemplificazione) al “cibo fatale” degliscatti di Daniela Edburg, agli incredibili “paesaggialimentari” <strong>del</strong>l’inglese Carl Warner, alla grazia equilibratae composta di Jacob Stanley, alla sensualitàdi Amelie Lombard. Daniela Edburg con la sua serieDrop Dead Gorgeous ricostruisce set surreali di forteimpatto emotivo, che interpretano il cibo come fattoredi pericolo, di insidia dalla quale è difficile trovarescampo, eleggendo ingredienti ed alimenti ametafora visiva, di quei mostri e fantasmi che abitanol’inconscio <strong>del</strong>la nostra epoca; viaggiando nelsuo portfolio possiamo incontrare giovani donneche fuggono sotto la minaccia di nuvole di zuccherofilato rosa, o sopraffatte da biscotti, gelatine di fruttae altri dolciumi. Amelie Lombard associa invece l’immagine<strong>del</strong> cibo ad una sensualità tutta femminile,sono immagini seducenti, languide, dove i cibi alludonoad atmosfere e giochi voluttuosi. Carl Warnerrealizza straordinari foodscapes luoghi immaginariche mostrano cascate, mari, foreste, montagne, utilizzandopane, verdure, frutta, formaggi e affettati.La “fede estetica” ha perciò convinto celebri stilisti,architetti, ricercatori, designer e grandi realtà aziendaliad investire notevoli risorse nel futuro <strong>del</strong> fooddesign.Questa nuova disciplina trova le sue regole ele sue norme unendo i parametri <strong>del</strong>le arti visive conil concetto di “polisensoriale”. Le applicazioni pratiche<strong>del</strong> food-design sono molte: interior, product eindustrial design, tecnichesempre più aggiornatedi mise en place,creazione di ambienti,fino a influenzare o condizionareil contenutodei piatti stessi. Si comprendecome la finalità<strong>del</strong> food-design siafunzionale-emozionale etrovi la sua matrice e originestorico estetica neimovimenti <strong>del</strong> Bauhaus,<strong>del</strong> futurismo e <strong>del</strong>l’Espressionismo,ma anchetangenze e notevoli puntidi raccordo con la Nouvelle cuisine e la gastronomiamolecolare. Può capitare così che laboratori, studi ecucine operino in una sorta di simbiosi progettualeattraverso la cromatologia, la mo<strong>del</strong>lazione 3D, lachimica, le ricette tradizionali o contemporanee. Unasimbiosi non solo ideale, ma soprattutto operativa,che ha scelto come base sulla quale costruire e applicarele proprie metodologie la cosiddetta “cultura diprogetto” per la quale il food-design lavora in tredirezioni: per il cibo, con il cibo e per la progettazionedi portata. Al food-design sono dedicati “eventi” elocali show-room, si realizzano (solo per menzionarealcuni tra i numerosissimi esempi possibili), articoliper packaging, catering, soluzioni per banqueting,ristorazione e degustazione di finger-food, ovvero itradizionali stuzzichini, ma in chiave estremamenterivisitata. Ecco che i piatti-foglia in morbido siliconetramandano in chiave moderna e contemporaneala tradizione <strong>del</strong>la cultura giapponese, mentre gli“aperitivi luminosi”, ovvero porzioni di molluschi,formaggi o frutta in gelatine, comportandosi comepiccole fibre ottiche diffondono invitanti bagliori.Può capitare che siano gli stessi chef a diventare deifood-designer appropriandosi di ulteriori linguaggitecnico-artistici e creando oggetti d’arte materiatidi sfumature e capaci di rivelare la filosofia che sottendealla preparazione dei piatti, ma non di menoun’interpretazione tutta personale ed originale degliambienti; così nel progetto “Alajmo design” elementie materiali quali il vetro, il legno, il ferro, la modulazione<strong>del</strong>la luce, il diffondersi <strong>del</strong> profumo sono concepiticome ingredienti e concorrono alla ideazionee realizzazione di calici, posate, elementi d’arredoe profumi d’ambiente, in grado di offrire agli ospiti<strong>del</strong>la tavola un’esperienza poli–sensoriale in cui laconvivialità è condivisione di suggestioni, paroleed emozioni, dialogo ininterrotto tra anima immaterialee materiale, ma anche spazio privilegiato per lamemoria.33


Anche chi si occupa, all’interno <strong>del</strong> mondogourmand, <strong>del</strong>la tanto discussa cucina molecolarenon può non fare a meno di riflettere sul quid estetico<strong>del</strong>la gastronomia. La cucina molecolare, com’ènoto, nasce in Francia, presso il Collège de France diParigi, alla fine degli anni Ottanta ad opera <strong>del</strong> fisico egastronomo Hervè This e di Pierre Gilles de Gennes(premio Nobel per la Fisica nel 1991). È una disciplinascientifica che studia e spiega i meccanismiche stanno alla base dei processi di trasformazionedegli alimenti durante la loro preparazione. Rappresentauna nuova frontiera <strong>del</strong>l’alimentazione che sipropone di investigare e studiare i detti e i proverbipopolari, sviluppare le ricette classiche e inventarnedi nuove, introdurre infine nuovi ingredienti, metodie utensili in cucina. Hervè This in un’intervista per ilGambero Rosso spiega che la sua è una cucina fattadi note a note, ovvero tocco su tocco, potremmodire pennellata su pennellata; si tratta fondamentalmentedi arte, e l’arte culinaria non va consideratacome differente dalle altre forme artistiche, le si possonoapplicare le stesse teorie estetiche e il medesimotipo di critica.È la “dimensione” <strong>del</strong>l’arte in cucina a fare la differenza,rispetto ad esempio ad una pratica culinariadi concetto e impostazione artigianale. C’è un’ideadi sublimazione <strong>del</strong>l’ingrediente e una filosofia tuttaspecifica alla base <strong>del</strong>la gastronomia molecolare:innanzi tutto lo scienziato-chef gioca con le “consistenze”degli alimenti, con la loro texture e la lorodestrutturazione. Ma soprattutto si evince una fortissimae prioritaria idea progettuale; è su di una progettazioneben codificata che nasce il piatto molecolare.L’atteggiamento “futurista” degli chef molecolariè inequivocabile, la cucina deve avere un approccioquasi ludico con la materia, deve dominarla e superaredi slancio le ricette “passatiste”. Hervè This,Pierre Gilles De Genne, Ferran Adria, o gli italianiDavide Cassi ed Ettore Bocchia fanno <strong>del</strong>la cucinauna chimica estetica, un’arte che viene definita “multisensoriale”:la cui finalità è anche di confutare ochiarire, dopo averle analizzate, le credenze popolarie di affidare poco alla sapienza misteriosa che ci èstata lasciata in eredità dai nostri avi; una cucina chesembra anche sbarazzarsi <strong>del</strong> cosiddetto “segreto<strong>del</strong>lo chef”; tutto è scientificamente concatenazionedi fenomeni, perciò di relazioni causa-effetto. Compaionoin tavola i “dolci frattali”, dolci con una strutturache si ripete su scala diversa, gli “gnocchi molecolari”,il “rombo assoluto”, filetto di rombo fritto in unamiscela di zuccheri fusi, la “salsa tartara di lecitinadi soia”, il “gelato estemporaneo all’azoto liquido”.Tutt’oggi il dibattito attorno a questa concezione dimettersi ai fornelli con il modus operandi di chimici efisici è estremamente acceso e controverso i detrattoridi tale disciplina scientifico-culinaria richiamanol’attenzione in particolare nei confronti <strong>del</strong>l’utilizzodi additivi chimici e <strong>del</strong>la possibilità di adulterazionee contraffazione <strong>del</strong>le sostanze alimentari, tendentiperciò ad alterare il gusto e la genuinità dei cibi;ma gli chef molecolari si difendono a spada tratta innome di Lavoisier, in nome di un inesausto desideriodi scoperta e apertura al futuro, e in nome di unideale per cui “il bello è il buono”.Filippo Tommaso Marinetti sosteneva: “mangia conarte, per agire con arte”.34


Dialogosulla qualitá<strong>del</strong> ciboGuido Barilla – Carlo PetriniRiprendiamo da La Stampa di domenica28 novembre 2010 pp. 16-17 uninteressante dialogo sul rapportoindustria e stili alimentari, fra GuidoBarilla, noto imprenditore <strong>del</strong>l’industriaalimentare e Carlo Petrini, fondatore,fra le altre cose <strong>del</strong>l’AssociazioneSlow food.Barilla. La nostra idea è portare alla gente alimentitradizionali, con ricette tradizionali, nel modo piùsemplice e diretto possibile. Penso che l’industria alimentareabbia fatto negli ultimi 50 anni passi enormiin questa direzione. La gente ha avuto a disposizionealimenti comunque salubri con ricette sempremigliorabili e migliorate nell’arco <strong>del</strong> tempo, a prezziaccettabili.Petrini. Io penso che siano due cose diverse chehanno diritto tutte e due di stare non solo sul mercatoma anche nella vita quotidiana <strong>del</strong>la gente. Nonc’è dubbio che l’industria ha dato un grande contributoa far uscire il Paese dalla carenza alimentare <strong>del</strong>dopoguerra.Ma la vera questione è un’altra. Strada facendoquesto processo ha mortificato le piccole produzioni.Con un disastro per quel che riguarda l’agricolturamai così grave come oggi.Oggi infatti le piccole produzioni di qualità vanno scemando.Slow Food e il sistema Madre Terra lavoranoper la difesa di questi piccoli produttori. Il che nonvuol dire <strong>del</strong>egittimare gli altri perché in una societàcomplessa hanno tutti diritto di esistere. Guai però seil vaso di coccio viene stritolato. E la piccola produzionein questo momento è il vaso di coccio.Barilla. Condivido i principi teorici di Petrini, nonla colpevolizzazione in termini pratici di una parte<strong>del</strong> settore agroalimentare. L’industria ha fatto unmestiere a cui il mercato la chiamava.Questo imperatore che chiamiamo mercato vivesulla domanda e questa è mediata dalla distribuzioneche svolge un ruolo importante per la capacità di raggiungerei consumatori ma che sovente, attraverso lepromozioni, li alletta con il miraggio di prezzi semprepiù bassi. E quello <strong>del</strong> prezzo è un argomento fondamentalesu cui discutere. L’industria non ha distruttoil piccolo commercio. Ha fatto un percorso a voltedi successo, altre no. In questi anni molte aziende cihanno lasciato le penne. La buona industria si è affermatacon politiche di straordinaria attenzione allaqualità.Che molti piccoli produttori siano scomparsi non dicoche sia nella logica dei fatti, ma forse ha una spiegazionenella mancanza di propositività e di competitività.Rifiuto completamente l’individuazione <strong>del</strong> fantomaticocolpevole nella grande industria e nei suoimarchi.Petrini. Mi sembra una scusa non richiesta. Non hodetto che la colpa è <strong>del</strong>la grande industria.Barilla. Ma lo sottintendi spesso. Hai detto in passatocose abbastanza gravi sulla grande industria.Hai sostenuto che cela informazioni sulle filiere deiprodotti per far sì che siano competitive. È un’accusapesante.Petrini. Ma questo è successo.Barilla. Non da parte di tutti. Dicendo genericamentegrande industria colpevolizzi tutto il settore.Petrini. Allora dirò che la colpa è di Bajon, come cantavamia nonna. O che se dobbiamo individuare uncolpevole va cercato su vari fronti compresi i consumatori,cioè noi tutti. Stiamo vivendo una crisi le cuiproporzioni sono sottovalutate. Una crisi cui si dannorisposte vecchie come l’incitamento a consumare,quasi fosse l’unica strada per risollevare l’economia.Alla crisi bisogna rispondere invece con alleanze cheimpegnino tutti in un processo virtuoso. In primoluogo la difesa <strong>del</strong>l’ambiente, poi quella <strong>del</strong>la biodiversitàe qui c’è anche la diversità culturale dei piccoli.Poi la giustizia sociale perché un Paese come il nostroche mostra sulle televisioni di tutto il mondo cometratta i neri che raccolgono i pomodori non fa unabella figura. Non possiamo però dimenticare che le35


politiche di Bruxelles non sono determinate dai piccoliproduttori ma dalle multinazionali. Poi c’è da direche la distribuzione è quella che mangia la torta piùgrande a scapito sia dei piccoli produttori che <strong>del</strong>leindustrie. La via nuova che tutti dobbiamo seguire ètornare a dare valore al cibo che abbiamo ridotto amerce.Barilla. Su questo ultimo punto sono d’accordo. Ènecessario tornare a dare valore al cibo. Fare capire siaalla gente che alla distribuzione che la corsa al prezzosempre più basso è un meccanismo non virtuoso mafolle. Perché genera un abbassamento <strong>del</strong>la qualità.Inoltre abbiamo avuto la fortuna di un lungo periododi prezzi stabili <strong>del</strong>le materie prime e la crisi porterà infuturo uno strutturale aumento di questi prezzi. Bisognaricominciare a dare alla gente più informazioni sucosa è un cibo di qualità e cosa comporta produrlo.Che cosa sono le filiere, come nascono i vari alimentie quali sono i costi <strong>del</strong>la qualità.Petrini. Sono convinto anch’io che il ruolo <strong>del</strong>l’informazionesarà sempre più importante e anche la pubblicitàda immaginifica dovrà diventare informativa.Non è possibile che alleviamo i nostri figli senza chesappiano cosa significa la fermentazione <strong>del</strong> pane,come si fa la pasta o come si coltivano i pomodori.Si sta diffondendo una forma gravissima di ignoranzache la società contadina non aveva. In Italia e in Americabuttiamo tonnellate di alimenti ogni giorno. Neinostri frigoriferi ci sono cibi che chiedono pietà, licompriamo e poi non li mangiamo. E questo è anchefrutto di prezzi troppo bassi. Ho detto che vendereBarolo a due euro è una follia. Ne sono profondamenteconvinto, significa distruggere i produttori seri.Barilla. Aggiungerei che ci si scandalizza per il prezzodi quel che mangiamo ma si dimenticano i milioni dieuro buttati ogni giorno nel gioco d’azzardo o in altriconsumi superflui.Petrini. Non sono per l’esasperazione <strong>del</strong> Made inItaly. Credo che significhi saper portare il nostro savoirfaire, anche utilizzando materie prime di altri Paesi.Credo che su questo terreno l’industria potrebbe fiancheggiarei piccoli produttori. C’è da sottolineare poiche la nostra tradizione non è genericamente italianama si rifà ai vari territori.Barilla. Il nostro simbolo è quasi un marchio di italianità.Il Made in Italy per noi però non è legatoalla materia prima, ma piuttosto alla competenza ealle macchine che trasformano i prodotti. Pensareche tutta la materia prima di quel che facciamo nelmondo sia italiana è una stupidaggine. I prodotti chedistribuiamo in America escono dai due stabilimentiche abbiamo lì. Sono identici a quelli che esconodagli stabilimenti italiani perché gli standard qualitativinella produzione <strong>del</strong>la pasta sono identici. In piùin America vanno i nostri tecnici e portano competenzeaccumulate in 100 anni di esperienza nel fare lapasta in Italia. Direi che il Made in Italy sta più nell’esportareun concetto, un mo<strong>del</strong>lo ed è questo che civiene riconosciuto.Petrini. Anche se non coltiviamo il caffè, non possiamodire che il nostro caffè non sia Made in Italy.Ma vado in collera quando vedo che i pastori sardisono sempre più poveri perché per fare il pecorinopecorino romano o sardo si usa il latte di pecora cheviene dalla Romania e costa meno di quello locale. Inquesto caso non si tratta di pecorino Made in Italy madi un falso che depaupera i nostri piccoli produttori.Barilla. I nostri prodotti non contengono organismigeneticamente modificati. Sotto questo nome esisteun’enorme varietà di mutazioni genetiche, dalle piùaggressive alle più dolci. La tecnica <strong>del</strong>la ibridazioneè nata con gli Egizi. Dobbiamo chiederci quali passipossa fare la scienza per permetterci di fronteggiarel’incremento <strong>del</strong>la popolazione. Non c’è da esserecontrari all’innovazione e alle possibili scoperte purchégarantiscano la salubrità e non siano un pericolo.Petrini. Gli esiti <strong>del</strong>l’incrocio fra regno animale evegetale né la storia né la pratica né l’osservazione amedio termine possiamo garantirli.Pensa al fenomeno di mucca pazza esploso a 25 annidi distanza dall’inizio <strong>del</strong>l’alimentazione dei bovinicon farine animali. Non demonizzo l’ibridazione: nelsecolo scorso ha salvato i nostri vigneti dalla peronospora.Grave è che siano tre multinazionali a detenerei brevetti degli Ogm. Confondere gli Ogm con lebiotecnologie è un errore. La scienza deve dialogarecon i saperi tradizionali senza pensare che la veritàstia solo da una parte.Slow Food è un’associazione internazionale senza scopo di lucro nata nel 1986 a Bra in provincia di Cuneoe si pone come obiettivo la promozione <strong>del</strong> diritto a vivere il pasto, e tutto il mondo <strong>del</strong>l’enogastronomia,innanzitutto come un piacere. Fondata da Carlo Petrini e pensatacome risposta al dilagare <strong>del</strong> fast food e alla frenesia <strong>del</strong>la vita moderna,Slow Food studia, difende e divulga le tradizioni agricole ed enogastronomichedi ogni parte <strong>del</strong> mondo. Attraverso progetti, pubblicazioni, eventie manifestazioni si è impegnata per la difesa <strong>del</strong>la biodiversità e dei dirittidei popoli alla sovranità alimentare, battendosi contro l’omologazione deisapori, l’agricoltura massiva, le manipolazioni genetiche.36


Academia Barilla nasce a Parma nel 2004 con l’obiettivo di essere centro internazionaledi riferimento dedicato alla diffusione <strong>del</strong>la cultura gastronomica italiana, in gradodi offrire formazione, servizi e prodotti rigorosamente selezionati, scelti dal patrimoniogastronomico regionale e nazionale. Academia Barilla mira all’obiettivo di difenderee tutelare i prodotti alimentari italiani dalle contraffazioni e dagli usi impropri di denominazionie marchi, promuovendo e diffondendo la conoscenza dei prodotti e <strong>del</strong>la cucina italiana nel mondo,cercando di sviluppare e sostenere la gastronomia italiana. La biblioteca gastronomica è ricca di oltre7.500 volumi relativi a tutti i settori e temi <strong>del</strong>l’alimentazione, è organizzata in oltre 825 differenti sezionitematiche, tra cui: vino, pasta, verdure, dolci, pane, cacciagione, frutta, pesce e formaggi sono le piùfornite. Esistono anche sezioni riferite ad aree specifiche <strong>del</strong>l’editoria alimentare, come la storia e lacultura <strong>del</strong> cibo, i ricettari dei grandi chef, gli interessi culinari di uomini famosi, i problemi dietetici eigienico-sanitari, le materie prime alimentari e il loro corretto utilizzo. Vi sono rappresentate le cucineregionali italiane e le principali cucine nazionali <strong>del</strong> mondo. Una sezione comprende volumi storici<strong>del</strong>l’Ottocento. Si possono consultare una quarantina di riviste specializzate in aggiunta a una rassegnasignificativa di pubblicazioni aziendali. I testi sono individuabili al sito: http://opac.unipr.it. Notevolile stampe <strong>del</strong>la collezione Barilla con alcuni pezzi di grande suggestione artistica e immaginativa.Academia Barilla è dotata di una straordinaria serie di attrezzature state of art per la pratica culinariache consentono di saggiare in prima persona la cultura gastronomica italiana sul campo, guidati dachef d’eccezione. Siamo in presenza di un vero centro culturale <strong>del</strong> territorio con respiro internazionale,basti pensare alla rilevanza <strong>del</strong>l’azienda sul mercato <strong>del</strong> grano con un giro d’affari primario alivello internazionale in grado di alimentare il più grande pastificio <strong>del</strong> mondo che si trova a Parma.Per informazioni: www.academiabarilla.it37


Le statistiche ci dicono chenegli ultimi anni è aumentato ilnumero di italiani che sceglieun libro come regalo da metteresotto l’albero. È noto che nelperiodo natalizio le venditesalgono ma se a dicembre <strong>del</strong>loscorso anno si consultavano isiti con le classifiche dei libri piùvenduti, tutti segnalavano unanovità: il successo dei libri dicucina, i protagonisti <strong>del</strong>le topten natalizie. Questo dimostra che le pubblicazionidi carattere culinario non sono più semplici libridove scovare qualche ricetta, ma sono usciti da unsettore di nicchia e, specialmente in certi periodi,riescono a colonizzare il mercato. Nella settimana<strong>del</strong> 20 dicembre 2010, al primo posto <strong>del</strong>la classificadei libri più venduti c’era Benvenuti nella mia cucinadi Benedetta Parodi, al terzo Cotto e mangiato <strong>del</strong>lastessa autrice, mentre al quinto si trovava AntonellaClerici con Le ricette di casa Clerici.È curioso che pubblicazioni di questo tipo diventinobest sellers e tengano testa a “pezzi da novanta” comeUmberto Eco e Ken Follet. E infatti i commenti lasciatida chi naviga in rete non sono spesso molto benevoli.Questi libri vengono accusati di essere raccolte di“ricette nazionalpopolari fatte per vendere ma che nonsi possono certo definire capolavori letterari” e chepropongono una “rassicurante quanto stereotipataversione <strong>del</strong>la donna in cucina, grembiule-munita”.Quindi, come si spiega questo inaspettato successo?Secondo i dati <strong>del</strong>la classifica generale, è evidentel’influenza <strong>del</strong>la televisione e dei suoi personaggi sullescelte <strong>del</strong> grande pubblico. Secondo l’Istat, infatti,25 milioni e 300 mila in Italia sono ilettori abituali, anche se non con cifremolto alte: in media queste personeleggono almeno un libro l’anno,ovvero il 45,1% <strong>del</strong>la popolazione.La fascia d’età col più alto numero dilettori è quella scolare, fra gli 11 e i 17anni, mentre crescendo la tendenzaalla lettura diminuisce sempre di più.Senza dubbio, però, le donne risultanoessere lettrici più accanite, a dispettodi età e zona di residenza, rispettoagli uomini, mentre le percentuali dilettori si concentrano maggiormentenelle regioni <strong>del</strong> Nord Italia. E sealcuni fattori socio-economici restanoindicativi per capire chi e cosa compra,le scelte di lettura degli italiani sonooggi più che mai cambiate in rapportoalle nuove tecnologie: si pensi anchea come sono cambiate le strategieLe ricettedi comunicazione di grandi ediventanopiccoli, vecchi e nuovi editori perpromuovere scrittori e libri.best sellersVa detto anche che questitesti campioni di incassi nondi Paola Bertoldihanno, non solo almeno, unafunzione didattica: lo scopo nonè insegnare come preparare unpiatto ma intrattenere, raccontareuna storia, divertire. Ultimamentela tendenza dei libri di cucina èuscire dal tono <strong>del</strong> semplice ricettario e condire dosie preparazioni con aneddoti e riflessioni personali<strong>del</strong>l’autore. Forse è per questo che vanno a ruba inlibrerie e auto-grill, o forse è perché per muoversinella densa vita di tutti i giorni servono anche incucina dei trucchi salva tempo.Ma una cosa è certa: l’interesse per i libri a sfondoculinario non è in diminuzione ma è anzi ungenere che sta esplorando nuove possibilità econtaminazioni. Solo per fare due esempi, all’inizio<strong>del</strong>l’anno fra le novità editoriali in uscita c’era Volevoessere un grande chef di Loredana Limone, un’operaa metà fra il romanzo e il libro di ricette visto chead ogni capitolo corrisponde una ricetta alla qualeè connesso un piccolo frammento di storia, unracconto, una parte <strong>del</strong> romanzo generale. Tra lenovità di fine gennaio c’era anche il nuovo libro <strong>del</strong>cuoco e scrittore americano Anthony Bourdain, checon Al sangue mette in luce come negli anni moltecose nell’ambito <strong>del</strong>la gastronomia siano cambiate.Lo fa analizzando le cucine dei ristoranti e svelando ailettori cosa nasconde la porta dalla quale i camerierisfilano mentre portano le “prelibatezze” ai tavoli.38


Dalla confraternita <strong>del</strong> caciopecorino a quella <strong>del</strong> prezzemolo,dall’ordine dei cavalieri<strong>del</strong>la grappa all’arcisodalizio perla ricerca <strong>del</strong> culatello supremo:sono centinaia in tutta Italia leassociazioni create con specifichefinalità enogastronomiche.Spesso hanno nomi curiosi ocomici che ricordano la goliardiama il loro obiettivo è nobile eambizioso: difendere i prodottie le ricette dei nostri antenati, che caratterizzano lagastronomia di un paese o di una regione, con l’attenzionedi evitare la tanto odiata globalizzazione.È per questo che esiste addirittura un organismoeuropeo che le rappresenta, il Ceuco, il ConsiglioEuropeo <strong>del</strong>le Confraternite vinicole, gastronomichee dei prodotti agro alimentari.Iniziative di questo tipo non mancano in <strong>Trentino</strong>,terra che vanta numerosi prodotti tipici. La più notaè forse la Confraternita <strong>del</strong>la vite e <strong>del</strong> vino, la piùantica associazione bacchica d’Italia, fondata il 22aprile <strong>del</strong> 1958. Era da poco terminata la ricostruzionepostbellica ed il paese si stava muovendovelocemente per guadagnare posizioni e naturalmentenuove opportunità di lavoro e di sviluppo.Un gruppo di ex allievi <strong>del</strong>l’Istituto agrario di SanI custodi degliantichi saporile confraterniteenogastronomichedi Paola BertoldiMichele all’Adige l’anno primaaveva visitato in Francia le coltivazioniviticole <strong>del</strong> bordolese ed eraentrato in contatto con le associazionebacchiche. La Provinciastava intanto sensibilizzando icontadini per la sostituzione deivecchi ceppi vitati: c’era in quelperiodo molta confusione neivigneti, venivano allevate piantedi vario genere e molte di questeerano poco adatte a produrre vinidi qualità. Nello stesso tempo si pensava alla valorizzazionedei vini, così come alla loro promozione,ed ecco che su questo tema, oltre al rafforzamento<strong>del</strong>l’allora Comitato vitivinicolo, si è pensato allafondazione <strong>del</strong>la Confraternita <strong>del</strong>la vite e <strong>del</strong> vino.Da allora sono trascorsi cinquant’anni, nel corso deiquali la Confraternita, tra alti e bassi, è sempre prosperatapromuovendo incontri, dibattiti, assembleee naturalmente cercando di migliorare e di diffondere,sia tra i propri aderenti che nel pubblico, laconoscenza e la cultura <strong>del</strong> prodotto “vino”.Fondata in anni più recenti a Sporminore, è la Confraternita<strong>del</strong>la torta e <strong>del</strong> tortel de patate, nata nel1998 su iniziativa di un gruppo di amici che ha comemotto quello di far conoscere e divulgare la torta eil tortel de patate. Dai 15 componenti iniziali la Con-39


fraternita conta oggi ben 290 confratelli che abitanoin 3 continenti diversi.A questo proposito è curioso il rituale per l’elezione dinuovi confratelli, che è riservata al Capitolo e avvienenel corso di una cerimonia di intronizzazione.Ogni candidato deve essere presentato da almenodue confratelli che allegano alla proposta un brevecurriculum attestante la personalità <strong>del</strong> candidatoed i suoi meriti. Il candidato, dopo aver promesso dipromuovere e diffondere la ricetta tradizionale, vieneproclamato confratello.Il Gran Maestro recita la formula di rito ponendo lagrattugia (che si usa per la preparazione <strong>del</strong> tortel)sulla spalla destra.Queste non sono le uniche due confraternite presentiin <strong>Trentino</strong>, ma ne esistono altre dedite allamemoria e promozione <strong>del</strong>le specialità tradizionali.Per fare due esempi si possono citare la Confraternita<strong>del</strong>lo Smacafam, depositaria <strong>del</strong>la ricetta originaledi questo piatto rustico e vigoroso che non puòmancare a carnevale, e il Cenacolo roveretano, chesi occupa <strong>del</strong> recupero storico di ricette, <strong>del</strong>la formazionedi cuochi e che ha l’obiettivo di promuovere letradizioni enogastronomiche trentine.ALTRE CONFRATERNITE <strong>IN</strong> ITALIAOrdine obertengo dei cavalieri <strong>del</strong> raviolo e <strong>del</strong> gavi (AL)Confraternita <strong>del</strong> cacio pecorino piceno (AP)Ordine dei cavalieri <strong>del</strong>la polenta (BG)Emerita confraternita <strong>del</strong>la patata di Bologna (BO)Confraternita <strong>del</strong>la nocciola “tonda gentile di langa” (CN)Venerabile confraternita <strong>del</strong> cappellaccio di zuccaalla ferrarese (FE)Ordine dei cavalieri <strong>del</strong>la confraternita <strong>del</strong> pesto (GE)Ordine dei cavalieri <strong>del</strong> “grappolo d’oro” (IM)Confraternita <strong>del</strong> pampascione salentino (LE)Confraternita <strong>del</strong>la chiocciola... detta anche lumaca (MN)Confraternita <strong>del</strong> capunsel (MN)Nobile accademia <strong>del</strong> prezzemolo (MI)Confraternita <strong>del</strong> gorgonzola di Cameri (NO)Confraternita <strong>del</strong> nepente (NU)Eccellente arcisodalizio per la ricerca <strong>del</strong> culatellosupremo (PR)Confraternita <strong>del</strong> cotechino caldo (PV)Confraternita <strong>del</strong> cotechino magro (PV)Venerabile confraternita <strong>del</strong> baccala’ alla vicentina (VI)Confraternita <strong>del</strong>la tagliatella (RA)Circolo “gusto sapiens” (RE)Confraternita <strong>del</strong> bavarolo (RO)Confraternita <strong>del</strong> moscato di Gallura (SS)Confraternita <strong>del</strong> capocollo (TA)Sovrano ordine dei cavalieri <strong>del</strong>la grappa e <strong>del</strong>tomino (TO)Congrega dei radici e fasioi (TV)Confraternita <strong>del</strong> pancucco (VA)Club dei 12 apostoli <strong>del</strong>l’enogastronomia (VE)Confraternita <strong>del</strong> vino e <strong>del</strong>la panissa (VC)Confraternita <strong>del</strong> radicchio rosso veneto (VR)Proposte di lettura a cura <strong>del</strong>la Biblioteca <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>Gli italiani e il cibo: appetiti, digiuni e rinunce dalla realtà contadina alla società <strong>del</strong>benessere, di Paolo Sorcinelli (Clueb, 1995)Attraverso un secolo di storia italiana, questo libro insegue le tracce dei digiuni e degliappetiti insoddisfatti, dei guasti patologici, <strong>del</strong>le culture e dei riti legati al cibo. Dalla“frugalità” e dalla “sobrietà” <strong>del</strong>le polente, fino all’esubero calorico e proteico degliultimi decenni, quando, in concomitanza con il “miracolo economico”, si è potutomangiare di più e meglio e l’abbuffata, che generazioni di italiani avevano sognatoe accarezzato, poteva dirsi a portata di mano. Eppure i nuovi ritmi di vita e di lavorohanno fatto sì che si continuasse a mangiare in maniera precaria, nelle mense, neifast food e nelle tavole calde, o addirittura a saltare i pasti. Anche se non si trattavapiù di una questione di mancanza ma di abbondanza, si riproponevano le regole <strong>del</strong>larinuncia e dei condizionamenti, tanto che l’appagamento <strong>del</strong> mangiare con gusto epiacere forse non è durato neppure il tempo di una generazione. Al desiderio <strong>del</strong> cibo che non si aveva, èsubentrata infatti l’ansia di averne troppo e di non poter soddisfare gli appetiti in nome <strong>del</strong>la “leggerezza”culinaria e <strong>del</strong>la sbrigatività gastronomica, degli effetti dietetici e <strong>del</strong>le conseguenze sanitarie.40


<strong>IN</strong>FOMUSEOSETTEMBRE 2010Storia <strong>del</strong>l’alfabetizzazione in<strong>Trentino</strong>Domenica 5 settembre si è tenutol’ultimo degli appuntamenti per il2010 organizzati alla Frabica <strong>del</strong>lescritture di montagna in Val Canalial Prà <strong>del</strong> Cimerlo. L’incontro, daltitolo “Quando il popolo incominciòa leggere…Note sull’alfabetizzazionein <strong>Trentino</strong>” è statocondotto da Quinto Antonelli,che ha tracciato un profilo storico<strong>del</strong>la scuola trentina e dato contodi una ricerca in corso che cercadi stabilire il grado di alfabetizzazionein <strong>Trentino</strong> nei primi decenni<strong>del</strong>l’Ottocento.Festa di via VenetoAll’interno <strong>del</strong>la tradizionale“Grande festa di via Veneto” chesabato 11 settembre ha animatola via cittadina con mercatino <strong>del</strong>riuso, laboratori per bambini e ragazzi,giochi di una volta e provesportive, la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> ha propostouna piccola mostra foto-documentariasulla costruzione e la vitanei «Casoni», curata da ElenaTonezzer.A tu per tu con il <strong>Museo</strong>Il 22 e il 23 settembre il Laboratoriodi formazione storica <strong>del</strong>la<strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong><strong>Trentino</strong>, in collaborazione con il<strong>Museo</strong> degli usi e costumi <strong>del</strong>lagente trentina, con il MART, conil Castello <strong>del</strong> Buonconsiglio econ il <strong>Museo</strong> tridentino di scienzenaturali, ha organizzato l’iniziativadal titolo “A tu per tu con il<strong>Museo</strong>. Giornate aperte 2010”. Idue pomeriggi di incontro e conoscenzacon insegnanti ed educatoriimpegnati nel sociale si sonosvolti presso le Gallerie di Piedicastello,dove è stato possibileprendere visione in modo unitario<strong>del</strong>le attività didattiche e laboratorialiproposte per l’anno scolastico2010-2011.Parole nel tempo. Piccoli editoriin mostra a BelgioiosoPer la prima volta, anche le pubblicazioni<strong>del</strong> <strong>Museo</strong> storico sonostate presenti alla mostra mercato“Parole nel tempo. Piccolieditori in mostra”, il consuetoappuntamento di fine settembrecon l’editoria di qualità, giunta alventesimo anniversario. Nelle bellesale <strong>del</strong> Castello di Belgioioso(Pavia) il 25 e il 26 settembre èstato possibile trovare quei nomiche ormai da alcuni anni si sonoaffermati nel panorama editoriale,ma anche i marchi emergentida poco affacciatisi sul mercato.OTTOBRE 2010Il Coro Bianche Zime alle Galleriedi PiedicastelloIl 9 ottobre il coro Bianche Zimedi Rovereto, diretto dal MaestroMattia Culmone, ha tenutoun concerto sui canti di trinceapresso le Gallerie di Piedicastello.L’iniziativa ha preso il titolo dallamostra “Parole e musica dei soldati”allestita a Trento nel dicembre2009.La “Strada di De Gasperi” al ReligionToday FilmfestivalIl 9 ottobre, presso il teatro SanMarco di Trento, nell’ambito <strong>del</strong>laXIII edizione <strong>del</strong> Religion TodayFilmfestival (8-21 ottobre 2010), èstato proiettato il documentario“La strada di De Gasperi”, prodottodalla <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> per la regiadi Elena Negriolli. Assieme allaregista hanno partecipato allaserata la figlia <strong>del</strong>lo statista MariaRomana De Gasperi, MaurizioGentilini <strong>del</strong>la Direzione generale<strong>del</strong> Consiglio Nazionale <strong>del</strong>leRicerche di Roma e GiuseppeFerrandi, direttore <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>.Il documentario, attraverso unaserie di testimonianze, raccontala parabola umana di Alcide DeGasperi in modo non cronologicoma geografico, seguendo l’eventostraordinario che fu il viaggio <strong>del</strong>lasua salma da Sella Valsugana aRoma.La vita in uno scattoIl 12 ottobre, presso la residenzasanitaria assistenziale MargheritaGrazioli di Povo, è stata inauguratala mostra “La vita in unoscatto. Immagini, racconti, oggettidi un tempo”. L’esposizione, rimastaaperta fino al 5 novembre2010, è stata realizzata in collaborazionecon il Comune di Trento ela <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong><strong>Trentino</strong>.41


Ora VegliaLa Compagnia aria Teatro e laCompagnia teatroBlu hannomesso in scena il 12 ottobre, alTeatro Cuminetti di Trento, lo spettacolo“Ora Veglia. Il silenzio e laneve” (drammaturgia di SusannaGabos e regia di Nicola Benussi).Lo spettacolo, incentrato sullaResistenza in <strong>Trentino</strong> e in Veneto,è stato realizzato con il sostegno<strong>del</strong>la Provincia Autonoma diTrento, Ufficio per le pari opportunitàe la collaborazione deiComuni di Pergine Valsugana,Trento, Borgo Valsugana e Bolzano,<strong>del</strong>l’Anpi, <strong>del</strong>l’associazioneTerre <strong>del</strong> fuoco e <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>.Mostra fotografica sulla Sloistorico-Piedicastello ed è rimastaaperta al pubblico fino al 30novembre 2010.Attività per gli studenti universitariIl 20 ottobre, nell’ambito <strong>del</strong>lamanifestazione “Associati! Operafuori dall’aula”, dedicata alla presentazione<strong>del</strong>le associazioni studentesche,la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> è stata presentedalle 19.30 alle 23.30 pressoil bar <strong>del</strong>lo Studentato di San Bartolameoa Trento per far conoscereagli studenti universitari leproprie attività didattiche e culturali.In ricordo di Fabio Giacomoni<strong>del</strong>la Cooperazione, Luigi Blanco<strong>del</strong>l’Università di Trento e AlbertoIanes, responsabile <strong>del</strong> Centrosulla storia <strong>del</strong>l’economia cooperativa<strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>.Conferenza su Leopoldo PergherA cinquant’anni dalla scomparsa<strong>del</strong> dott. Leopoldo Pergher, illustremedico chirurgo, la sezionecultura <strong>del</strong> Circolo Comunitario diMontevaccino, il Punto di Prestitodi Montevaccino, la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> e laCircoscrizione Argentario hannoricordato la sua figura proponendoper il 22 ottobre la serata daltitolo “Un medico e il suo tempo:Leopoldo Pergher e le nuove sfide<strong>del</strong> Novecento”. L’incontro, pressoil Centro sociale di Montevaccino,è stato introdotto da Gianko Nar<strong>del</strong>li<strong>del</strong> Centro di documentazionestorica “Ceresa Costa”; inseguito ha presentato la sua relazioneRodolfo Taiani <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>.La mostra fotografica di FrancoVisintainer “A 620 metri da casamia. Sloi, trent’anni dopo” è statainaugurata il 15 ottobre 2010nelle Gallerie di Piedicastello.L’esposizione, che ripercorre l’interno<strong>del</strong>la fabbrica abbandonataex SLOI, oggi luogo spettrale erifugio di disperati, è stata realizzatagrazie alla collaborazione<strong>del</strong>l’Arci <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>, <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>e <strong>del</strong>la Circoscrizione CentroA un anno dalla sua scomparsa,la Biblioteca <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> il 20 ottobreha ospitato l’incontro dedicatoal ricordo di Fabio Giacomoni.La figura di Giacomoni, docente diStoria economica presso l’Universitàdi Trento ed editorialista <strong>del</strong>Corriere <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>, è stata tratteggiatada Giuseppe Ferrandi, direttoregenerale <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>, FrancoPanizza, assessore provincialealla cultura, rapporti europei e cooperazione,Diego Schelfi, presidente<strong>del</strong>la Federazione TrentinaIniziative per i quarant’anni <strong>del</strong>laWhirlpoolLa fabbrica Whirlpool fa parte <strong>del</strong>lastoria <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> dal 1970; perfesteggiare questi quarant’annidi storia, di persone, di lavoro, dipassione, la direzione <strong>del</strong>lo stabilimento,in collaborazione conil Comune di Trento – PoliticheGiovanili, la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> e la <strong>Fondazione</strong>Galleria Civica di Trento, haorganizzato una serie di eventi.Sabato 23 e domenica 24 ottobre,presso lo stabilimento Whirlpool,gli attori Andrea Castelli e AndreaBrunello, volti noti <strong>del</strong>la scena teatraletrentina, hanno proposto lospettacolo “Whirlpool, la fabbrica<strong>del</strong>le emozioni”.Il martedì successivo, alle Galleriedi Piedicastello, è stata inveceinaugurata la mostra “WhirlpoolArt”: 7 giovani artisti trentini emer-42


genti sono stati chiamati a reinterpretare7 frigoriferi Whirlpool. Lesette opere d’arte – realizzate all’interno<strong>del</strong>lo stabilimento di Spini diGardolo da David Aaron Angeli,Flavia Decarli, Ilaria Bassoli, MartaBettega, Federico Lanaro, JacopoMazzonelli e Marco Merulla – sonorimaste esposte al pubblico fino al28 novembre 2010.Storia <strong>del</strong>l’agricoltura in val diNonNell’ambito <strong>del</strong> ciclo di conferenze“Le Radici e il Tempo” i Musei diRonzone e la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> il 29 ottobrehanno organizzato la conferenzadal titolo “Paesaggi agrari. Il cambiamento.Cento anni di storiain Val di Non”, con proiezione<strong>del</strong> docu-film “Paesaggi in movimento.Storia e agricoltura in Val diNon”. Sono intervenuti Alessandrode Bertolini, ricercatore <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>,e il regista Lorenzo Pevarello.La conferenza e il filmato hannopreso spunto dalla mostra, ospitatapresso il Portale <strong>del</strong>la storia e<strong>del</strong>la memoria <strong>del</strong> Val di Non (Loc.Santa Giustina – Tassullo) fino al31 ottobre 2010, che ha illustratoil mutamento <strong>del</strong>la valle nel corsodi un secolo, da fine 800 quandol’agricoltura serviva quasi esclusivamenteper soddisfare i bisognifamiliari, a fine 900 con l’esportazione<strong>del</strong>la frutta sui principalimercati internazionali.Trekking urbanoIl 31 ottobre L’APT Trento, MonteBondone, Valle dei Laghi ha propostola Giornata nazionale <strong>del</strong> trekkingurbano: un percorso ineditoalla riscoperta <strong>del</strong>l’antico quartieredi Piedicastello, intervallatoda degustazioni enogastronomiche,momenti di intrattenimentoe approfondimento storico-culturali.Presso le Gallerie di Piedicastelloun operatore <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>ha condotto i partecipanti in unabreve visita alla galleria nera.NOVEMBRE 2010La fabbrica <strong>del</strong> freddoLa sera <strong>del</strong> 10 novembre il CinemaAstra di Trento ha ospitato la proiezione<strong>del</strong> documentario “La fabbrica<strong>del</strong> freddo”, prodotto dalla<strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong><strong>Trentino</strong>, per la regia di Micol Cossalie Valentina Miorandi. Eranopresenti in sala le registe, GiuseppeFerrandi, direttore <strong>del</strong>la<strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong><strong>Trentino</strong> e Lucia Maestri, assessorealla cultura, turismo e giovani<strong>del</strong> Comune di Trento.Le registe Cossali e Miorandihanno costruito un ritratto digruppo a partire dai racconti soggettividegli uomini e <strong>del</strong>le donneche hanno lavorato e lavoranonello stabilimento Whirlpool, conducendouna campagna di intervistee una ricerca di carattere storicoe sociale che investe gli ultimi40 anni <strong>del</strong> complesso rapportotra società e fabbrica in <strong>Trentino</strong>.L’ombra <strong>del</strong> passato. Seminariosu mass media e memoriaIl seminario annuale su massmedia e memoria, promosso dalla<strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong><strong>Trentino</strong> e giunto alla sua terzaedizione, quest’anno si è tenuto il17 novembre presso la Facoltà diEconomia di Trento. All’incontro,dedicato alla nostalgia tra cinemae televisione, dopo i saluti <strong>del</strong>direttore <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> Giuseppe Ferrandie di Andrea Giorgi, direttore<strong>del</strong> Dipartimento di Filosofia,Storia e Beni Culturali <strong>del</strong>l’Universitàdegli Studi di Trento,hanno presentato le loro relazioniLeonardo Gandini (Università diModena e Reggio Emilia), ConstantineVerevis (Monash University,Melbourne), Vera Dika (NewJersey City University), EmilianoMorreale (Università di Teramo),Sara Zanatta (Università diTrento), Paolo Caneppele (ÖsterreichischesFilmmuseum), GianlucaFarinelli (Cineteca di Bologna),Andrea Bellavita (Universitàdi Trento), Adriano Filippucci (FoxChannels Italy), Micol Cossali(regista).Riflessione sugli anni settantaPrendedo spunto dal testo teatraledi Angela Demattè “Avevoun bel pallone rosso” – dedicatoalla storia di Margherita Cagol eal conflitto generazionale esplosonegli anni settanta – il 29 novembre,presso la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>, si è tenutoun confronto-dibattito dal titolo“Leggere gli anni settanta”, moderatodallo storico Vincenzo Calì. Vihanno partecipato Angela Demattèe Andrea Castelli, interpreti <strong>del</strong>lospettacolo sulla Cagol, RobertoAntolini, autore <strong>del</strong> romanzo “Ivanil terrorista”, Alberto Conci, curatore<strong>del</strong> volume “Sedie vuote: glianni di piombo dalla parte <strong>del</strong>levittime”, Tersite Rossi (pseudonimodi Marco Niro e Mattia Maistri),autore <strong>del</strong> romanzo “È giàsera, tutto è finito”.43


DICEMBRE 2010Convegno sul paesaggioNell’ambito <strong>del</strong> convegno internazionale“Di monti e di acque.Le rughe e i flussi <strong>del</strong>la terra.Paesaggi, cartografie e modi<strong>del</strong> discorso geostorico“ (Trento– Palazzo Geremia e Bibliotecacomunale, 1-4 dicembre 2010) il1° dicembre Alessandro De Bertolini,ricercatore <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>,ha parlato di “Fonti e metodi peruna storia <strong>del</strong> paesaggio. La testimonianzaorale e la fotografia: ilcaso <strong>del</strong>la Val di Non”. Il 3 dicembreVincenzo Calì, vice-presidente<strong>del</strong>l’Associazione <strong>Museo</strong> storicoin Trento, ha presentato invecela relazione dal titolo “Una portad’Italia col tedesco per portiere:Battisti, Tolomei, Salvemini e ilconfine settentrionale”.Mostra sulle chiese tradizionalirumene nelle GallerieIl 4 dicembre nelle Gallerie diPiedicastello, alla presenza <strong>del</strong>Console Onorario di Romaniaper il <strong>Trentino</strong>-Alto Adige, è statainaugurata la mostra fotograficacurata da Aurel Chiriac dal titolo“Miracoli di legno. Chiese tradizionalidi Romania”. Il raccontofotografico e di video-immaginiè rimasto a disposizione <strong>del</strong> pubblicofino al 13 febbraio 2011.anche quest’anno ha dato la possibilitàalle piccole case editrici difar conoscere le proprie proposte.Conferenza su Andreas HoferIl 7 dicembre la Facoltà di Letteree Filosofia di Trento ha ospitatola conferenza <strong>del</strong> Prof. LaurenceCole (University of East Anglia)su “Il mito di Andreas Hofer”. L’incontroè stato realizzato dal Dipartimentodi Filosofia, Storia e BeniCulturali <strong>del</strong>l’Università di Trentoin collaborazione con la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>.Incontri in GalleriaAlle 17 si è tenuto l’incontro conla narratrice di Sarajevo KanitaFocak. A seguire è stata inauguratala mostra, con illustrazionidi Jimi Angelo Trotter e testi diQuinto Antonelli, dal titolo “Quelloche, per tutto il corso di sua lungavita... Scene dalle Memorie diAngelo Michele Negrelli”.Alle 19.30 il Comitato feste S.Apollinare e l’AssociazioneRomeni <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> Alto Adigehanno offerto una cena a basedi specialità trentine e romene.La serata si è conclusa con unospettacolo di musica e danzapopolare romena a cura <strong>del</strong>l’AssociazioneRomeni <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>-Alto Adige, “ARTA-A”.L’invenzione di via VerdiL’11 dicembre la sala di PalazzoCalepini a Trento ha ospitatol’inaugurazione <strong>del</strong>la mostra “L’invenzionedi via Verdi. Una stradadi Trento tra Otto e Novecento”,curata da Elena Tonezzer, ricercatrice<strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico<strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>.L’esposizione, aperta fino al 27 febbraio2011, è composta da oggettioriginali e da grandi riproduzioni diimmagini e mappe. Anche grazieall’uso <strong>del</strong>la moderna tecnologiamultimediale, ha permesso alvisitatore di ripercorrere i cambiamentidi questa importante via<strong>del</strong>la città di Trento.I libri <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong> alla Fiera“Più libri più liberi”Come di consueto un’ampia selezione<strong>del</strong>le opere edite dalla <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>sono state presenti a “Piùlibri più liberi”, la fiera nazionale<strong>del</strong>la piccola e media editoria diRoma, giunta alla nona edizione,che, dal 4 all’8 dicembre pressoil Palazzo dei Congressi <strong>del</strong>l’Eur,Il 10 dicembre le Gallerie di Piedicastellosono state teatro di varieiniziative organizzate dal Forumtrentino per la Pace e i DirittiUmani e dalla <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong>storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>.L’emigrazione italiana in AmericaLa <strong>Fondazione</strong> <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong><strong>Trentino</strong> e la Presidenza <strong>del</strong> Consi-44


glio Regione <strong>Trentino</strong>-Alto Adigehanno inaugurato il 18 dicembrela mostra “Partono i bastimenti”che ripercorre, attraverso fotografiee documenti, la storia <strong>del</strong>l’emigrazioneitaliana oltre Atlantico.Nuova donazione di volumi daparte di UCTL’Associazione Uomo città e territoriodi Trento ha donato alla <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>oltre un migliaio di volumiche documentano i vari settori diindagine e di studio sviluppati intanti anni di attività. Già in passatola medesima Associazione ha contribuitoad accrescere il patrimoniolibrario e documentario <strong>del</strong>la<strong>Fondazione</strong>, versando materialilibrari e archivistici, di UCT confluitinel Centro di documentazioneMauro Rostagno. Rivolgiamo unparticolare ringraziamento per lasua sensibilità al direttore SergioBernardi.EDIZIONIPRESENTAZIONI18 settembre 2010, DarzoNell’ambito <strong>del</strong>la manifestazione“Darzo in sagra”, che dal 17 al 19settembre ha animato il paese<strong>del</strong>la Valle <strong>del</strong> Chiese, è stato presentatoil libro di Andrea Petrella“L’oro bianco di Darzo. Ritratto diun paese”.30 settembre, 2010, Trento”Nagoyo, la vita di don AngeloConfalonieri fra gli aborigenid’Australia 1846-1848”, il volumecurato da Angelo Pizzini, èstato presentato presso la SalaDepero <strong>del</strong> palazzo <strong>del</strong>la Provinciadi Trento, all’interno <strong>del</strong>laseconda edizione di “Sulle rotte<strong>del</strong> mondo”, iniziativa <strong>del</strong>la Provinciaautonoma di Trento e<strong>del</strong>l’Arcidiocesi di Trento che,tra il 27 settembre e il 2 ottobre2010, ha voluto “riportare acasa”, per qualche giorno, i quasi500 missionari trentini impegnatinei cinque continenti.22 novembre 2010, RoveretoIl Palazzo <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong> Cassadi Risparmio di Trento e Roveretoha ospitato la presentazione<strong>del</strong> libro di Andreas Oberhofer“Andreas Hofer (1760-1810).Dalle fonti alla storia”. Assiemeall’autore è intervenuto HansHeiss, archivista e docente distoria moderna e contemporaneaall’Università di Innsbruck.16 dicembre 2010, TrentoPresso il cinema Astra è statopresentato il libro di AlbertoIanes “Cuore di comunità. Alleradici <strong>del</strong>la Cassa Rurale diTrento (1896-1950)”, pubblicatoin occasione <strong>del</strong> 10° anniversario<strong>del</strong>la nascita <strong>del</strong>la Cassa Ruraledi Trento. Contestualmente si ètenuta la presentazione <strong>del</strong> dvddi Lorenzo Pevarello “Testimonidi cooperazione. La Cassa <strong>del</strong>lacittà e la sua gente”, allegatoal volume. Assieme agli autorisono intervenuti Giorgio Fracalossie Michele Sartori, presidentee direttore <strong>del</strong>la CassaRurale di Trento, e Giuseppe Ferrandi,direttore <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>.16 dicembre 2010, TrentoNella biblioteca <strong>del</strong>la <strong>Fondazione</strong><strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> GiuseppeFerrandi, direttore <strong>del</strong>la<strong>Fondazione</strong>, e Günther Pallaver,professore all’Università diInnsbruck, hanno presentato ilvolume “Università e nazionalismi.Innsbruck 1904 e l’assaltoalla Facoltà di giurisprudenza italiana”,curato dallo stesso Pallaver.L’incontro è stato moderatoda Vincenzo Calì.45


EDIZION<strong>IN</strong>OVITÀLorenzo Gardumi (a cura di),Feuer! I grandi rastrellamentiantipartigiani <strong>del</strong>l’estate 1944 traVeneto e <strong>Trentino</strong>, pp. 95, € 12,00Catalogo <strong>del</strong>l’omonima mostrache, tra agosto e settembre2010, il <strong>Museo</strong> storico <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>ha allestito presso masoSpilzi a Costa di Folgaria.La mostra ha posto sotto unadiversa e più approfondita lucei «rastrellamenti antipartigiani»organizzati dalle forze di occupazionenazifasciste tra l’estate el’autunno 1944. Le operazioni direpressione attuate dai Comandimilitari germanici furono direttead annientare le «formazionipartigiane» che, a partire dall’estate1944, avevano messo inpericolo i collegamenti stradalie le vie di transito lungo lafascia di confine tra il Veneto ela Zona d’operazione <strong>del</strong>le Prealpi(Alpenvorland). In gioco viera il controllo strategico <strong>del</strong>lalinea di comunicazione <strong>del</strong> Brenneroattraverso la quale giungevanotruppe e rifornimenti dallaGermania all’esercito tedescoschierato sul fronte italiano.Sono state poste in risalto lediverse formazioni partigianeattive e operanti nell’estate1944. Contemporaneamente,l’attenzione si è concentrata suireparti nazifascisti, sui singolimilitari, impegnati nell’interociclo operativo di rastrellamentoe sulla loro esperienza bellica,di fatto compiutasi sul fronteorientale e nell’Italia centro-settentrionalenei mesi precedenti.È in questo quadro che è statoinserito l’episodio di malgaZonta anche attraverso il difficilee complesso rapportotra civili, tedeschi e partigianisull’altopiano, nonché il tema<strong>del</strong>la «memoria» legata alle variecommemorazioni <strong>del</strong>l’eccidiocompiutosi il 12 agosto 1944.Completa il catalogo un glossarioinformativo e di approfondimento.Leonardo Gandini, Daniela Cecchin,Matteo Gentilini (a curadi), Memorie riflesse: lo schermotra vero e falso, pp. 117, € 10,00(Quaderni di Archivio trentino; 26)La memoria e il cinema hanno,non da oggi, un destino comune,nel segno di un reciproco interessea promuovere la propriaimmagine pubblica e la propriafunzione sociale.Dopo oltre un secolo di percorsie destini paralleli la memoriae il cinema si trovano oggi aun punto di convergenza chesi configura, a tutti gli effetti,come un luogo d’ibridazione. Èancora possibile parlare di unrapporto fra memoria e cinema,alla luce <strong>del</strong> fatto che qualsiasirelazione prefigura un incontro,più o meno articolato, fra dueentità contestuali, ma distinte edifferenziate? O invece le dinamiche<strong>del</strong>la compenetrazionee <strong>del</strong>la contaminazione sonotali da imporre una riflessionelegata in modo imprescindibilealla dimensione memoriale <strong>del</strong>cinema e alla dimensione cinematografica<strong>del</strong>la memoria?A queste domande tentano dirispondere i saggi contenuti inquesto volume che raccogliegli atti <strong>del</strong> convegno svoltosi aTrento nel dicembre 2009.Luigi Blanco e Elena Tonezzer (acura di), L’invenzione di via Verdi.Una strada di Trento tra Ottoe Novecento, pp. 129, € 14,00Catalogo che accompagna lamostra omonima; si avvale diimportanti collaborazioni scientificheed è punto di sintesi e divulgazione<strong>del</strong>le ricerche storiche incorso relative allo scorcio di fineXIX secolo dedicate a Trento.La mostra “L’invenzione di viaVerdi” ci racconta, attraverso lavoce dei protagonisti e la documentazione<strong>del</strong>l’epoca, la storiadi una piccola ma fondamentaleparte <strong>del</strong> centro storico <strong>del</strong>la città.Via Alessandro Vittoria - divenutapoi via Verdi - ha una datadi nascita ben precisa: nel 1888il Municipio decide di abbattereuna casa che si trovava di fronte46


all’entrata <strong>del</strong> Duomo e cosìnasce l’idea <strong>del</strong>la nuova strada.Oggi via Verdi ospita palazzi chesi riconducono prevalentementealla vita universitaria <strong>del</strong>la città,ma nella loro evoluzione hannorivestito funzioni significative<strong>del</strong> momento storico in cui sonostati costruiti.Alberto Ianes, Cuore di comunità.Alle radici <strong>del</strong>la CassaRurale di Trento (1896-1950),pp. 255 + dvd, € 25,00Il libro documenta le origini,i binari di partenza di quattroceppi cooperativi, le Casse diPovo, Villazzano, Vigo Cortesanoe Sopramonte, quattro realtà cherimasero autonome e separateper tutto l’arco temporale quiconsiderato (dal 1896 al 1950)e per un lungo tratto ancora,prima di avviare un percorso chele avrebbe condotte alla sintesiunitaria, dando vita alla CassaRurale di Trento. La storia narrataè anche la storia <strong>del</strong>le donnee degli uomini che hanno fattole quattro Casse, di coloro chehanno scandito i passaggi crucialie vi hanno trovato le formee i modi, molto personali, maanche collettivi <strong>del</strong> riscatto. Illibro è anche (e forse soprattutto)il racconto di una societàche cambia, il riflesso di unafine Ottocento e di una primametà Novecento, segnate da dueguerre mondiali, e, nel caso <strong>del</strong><strong>Trentino</strong>, da un cambio di confini.Ne esce un affresco, unasorta di concerto collettivo in cuile vicende <strong>del</strong>le realtà <strong>del</strong> creditocooperativo non emergono dasoliste, ma da importanti coriste,inserite, come sono, in una amalgamacon il tessuto sociale.Il testo è corredato da un apparatoiconografico che completalo scritto e lo impreziosisce.Beatrice Primerano, Ernesta Bittantie le leggi razziali <strong>del</strong> 1938,pp. 200, € 17,00Il Diario di Ernesta Bittanti è una<strong>del</strong>le rare «cronache» <strong>del</strong>la quotidianainfamia <strong>del</strong>l’applicazione<strong>del</strong>le leggi razziali <strong>del</strong> 1938, raccontataper di più non dalla vocedi chi subiva quell’infamia comeoggetto <strong>del</strong>l’odio razziale, madalla voce di chi, contro la suavolontà e coscienza, assistevaalla tragedia con la consapevolezzadi veder crollare un interoordine etico-giuridico, quellodei valori post-risorgimentali <strong>del</strong>progresso morale e sociale nellalibertà e nell’eguaglianza, sottole garanzie <strong>del</strong>lo Stato di diritto.Il lettore troverà nel volume ilsenso di una viva e umana partecipazione,che sono il segnotangibile <strong>del</strong>la sensibilità storicaverso un documento che restapur sempre la storia di un’anima(e di un’anima grande, quale fuquella di Ernesta Bittanti).DVD Lorenzo Pevarello (regiae sceneggiatura), Testimoni dicooperazione. La Cassa <strong>del</strong>lacittà e la sua gente, 60’, € 8,00In questo documentario rivivono- attraverso una coralità divoci - alcuni momenti fondamentali<strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> novecento<strong>del</strong> <strong>Trentino</strong> e <strong>del</strong>la nostra Città.Sono storie <strong>del</strong> passato, che iSoci <strong>del</strong>la Cassa Rurale raccontanocon lo sguardo rivolto alfuturo perché, anche grazie aqueste testimonianze, le generazioniche verranno sappianocustodire e rivalutare la storia<strong>del</strong>la nostra Comunità.Lorenzo Pevarello (regia e sceneggiatura),Spinale e Manez.Le antiche regole ritrovate, 50’,€ 8,00 (Memorie di comunità; 8)“Nella proprietà collettiva,accanto al primato <strong>del</strong>la cosa,emerge il primato <strong>del</strong>la comunitàsull’individuo... Il regime dei benisi compenetra col regime socialegeneralmente identificato inuna sorta di consorzio soprafamiliare...unintreccio fra lavoro,produzione, sangue e terra...”.Le Carte <strong>del</strong>la Regola (diffuse in<strong>Trentino</strong> in epoca medioevale)erano la trascrizione di anticheusanze, dapprima trasmesse aviva voce e solo in seguito permezzo <strong>del</strong>la scrittura, che regolamentavanole attività agricole,silvo-pastorali e i criteri di convivenzain generale.Il documentario, attraverso latestimonianza di alcuni regolieri(Zeffirino Castellani, MiriamEndrizzi, Elisa Fedrizzi, Pio Ferrari,Livio Giovanella, AngeloCipriano Leonardi, Battista Leonardi,Clemente Lorenzi, CornelioLorenzi, Giovanni Paoli, LivioPaoli), ripercorre la storia recente<strong>del</strong>la “Comunità <strong>del</strong>le Regole diSpinale e Manez”. Una storiafatta di battaglie che questa piccolacomunità ha dovuto sostenerenel corso <strong>del</strong> secolo scorsoper far sopravvivere il suo “altromodo di possedere”.47


FONDAZIONEMUSEO STORICODEL TRENT<strong>IN</strong>Owww.legallerie.tn.itIERI, DUE GALLERIETRAFFICATE.OGGI, UN LUOGOUNICO PERATTRAVERSARELA STORIA.A SOLI700 MT.DALLA STAZIONEDI TRENTOTRENTOLE GALLERIEPIEDICASTELLOLe Gallerie. Scavare nel passato.48

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