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IN QUESTO NUMERO - Fondazione Museo Storico del Trentino

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Rinaldo Dalsasso: “Il vero cuoco deve cercare diricordare e rispettare la tradizione che lo ha preceduto,la storia <strong>del</strong>l’arte culinaria, la cultura <strong>del</strong>lacucina”.Lei lavora in questo settore da più di 40 anni. Ingenerale quali sono stati i principali cambiamentinei mo<strong>del</strong>li alimentari e nel modo di rapportarsi allascienza gastronomica?Negli anni è cambiato l’approccio alla tavola, al servizioe alla presentazione dei piatti. In questi ultimidecenni lo stile di vita <strong>del</strong>le persone si è molto modificatoed ha allargato le opportunità, basti pensarealla tecnologia o alla possibilità di spostarsi, cheprima era molto più limitata di adesso. Lo stesso valeper l’arte culinaria. Oggi possiamo conoscere i gustie i sapori <strong>del</strong>le altre tradizioni e questo permette contaminazionie incroci fra le diverse gastronomie. Inoltreoggi possiamo contare su mezzi impensabili finoa qualche tempo fa dal punto di vista <strong>del</strong>la cottura econservazione dei cibi, come i forni polivalenti, l’abbattitore,il microonde, la tecnica <strong>del</strong> sottovuoto. Tuttiquesti cambiamenti non devono però farci dimenticarela filosofia di base <strong>del</strong>l’arte culinaria che è strettamentelegata all’aspetto storico. Spesso, infatti,abbiamo cose belle ma con meno gusto, oppure citroviamo in luoghi dove non si mangia più nei piattidi foggia tradizionale, ma in quelli con forme geometrichestrane che vogliono solo imitare la moda.Il vero cuoco deve cercare di ricordare e rispettarela tradizione che lo ha preceduto, la storia <strong>del</strong>l’arteculinaria, la cultura <strong>del</strong>la cucina, pur avvalendosi deinuovi mezzi messi a disposizione dalla tecnica. Èin questa filosofia di fondo che io credo profondamenteed è per questo che ho un nome dopo 40 anniche faccio el brusa pa<strong>del</strong>e.Negli ultimi anni assistiamo, anche in <strong>Trentino</strong>, allasempre maggiore attenzione verso cibi genuini, biologicie privi di sostanze chimiche. Come si possonointerpretare questi nuovi bisogni dei consumatori?Bisogna premettere che spesso si tratta più di unaquestione di marketing che non di una reale sensibilitàverso cibi più sani. Io collaboro con la Cooperazionee da anni vado nei supermercati e cerco di aiutarele persone ad acquistare prodotti di qualità, cercandoanche di farli risparmiare. Fino a 5 o 6 anni fac’era solo un piccolo scaffale con la merce biologica,mentre adesso la maggior parte <strong>del</strong>le cose esposteviene presentata con questa etichetta. È chiaro chea questo punto molto dipende da cosa intendiamoesattamente per alimento biologico perché spessovengono semplicemente applicati diversi anticrittogamicialla frutta e alla verdura, ma questo non corrispondead una maggiore qualità. Inoltre, sono glistessi consumatori che vogliono una mela che siaallo stesso tempo biologica e bellissima, senza unaammaccatura. La cosa importante è offrire una realequalità anche al di là <strong>del</strong>le diverse definizioni checambiano in base alle tendenze <strong>del</strong> momento.Un’altra tendenza di quest’ultimo periodo riguardala riscoperta di cibi che facevano parte <strong>del</strong>la cucinapovera di un tempo e che oggi vengono sempre piùapprezzati, grazie anche a iniziative come lo slowfood. È possibile spiegare questo cambiamento?Lo slow food è un progetto buono e lodevole, contribuiscea riscoprire e valorizzare storia e cultura di unterritorio. Uno degli aspetti più rappresentativi <strong>del</strong>laricchezza <strong>del</strong>la nostra tradizione è la grande varietà<strong>del</strong>la proposta culinaria. Mi spiego: se noi proviamolo stesso piatto in due valli diverse <strong>del</strong> <strong>Trentino</strong>, ciaccorgiamo che il primo non avrà lo stesso sapore<strong>del</strong> secondo, anche solo per qualche sfumatura nelgusto. Il tortel di patate <strong>del</strong>la val di Non è diversoda quello <strong>del</strong>la val di Sole e questo vale anche per ilresto d’Italia, perché, ad esempio, il radicchio trevigianoè diverso da quello di Chioggia e di Mantova.La cucina italiana è fatta di dettagli, di maestria, dipaziente preparazione. È un’arte ed è questo chedistingue la nostra cucina dalle altre, nonché quelloche ci rende grandi nel mondo.Per quanto riguarda il <strong>Trentino</strong>, quali sono gliaspetti critici <strong>del</strong>l’offerta <strong>del</strong>la cucina proposta dairistoranti <strong>del</strong> territorio?Io credo che il problema principale stia proprionell’incapacità di puntare sulle nostre specificità e divalorizzare i nostri piatti più tipici. Faccio un esempio:su 100 ristoranti trentini, noi troveremo gli spaghettiallo scoglio in più di 96. Ma solo in 4 o 5 ci sarà sulmenu un canederlo al formaggio o alle verze. Questoperché la tendenza è quella di uniformare tutto,senza offrire una maggiore e più diversificata offerta.17

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