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IN QUESTO NUMERO - Fondazione Museo Storico del Trentino

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L’arte medievale, legata a soggetti prevalentementesacri, rappresenta il cibo e la tavola soprattutto comesfondo occasionale di episodi sacri, oppure comeelemento centrale di episodi sacri (per esempio leNozze di Cana). In età moderna il cibo e la tavolavengono rappresentati più direttamente, come soggettiche interessano di per sé. Il realismo <strong>del</strong>la “vitaquotidiana”, o quello <strong>del</strong>le “nature morte”, diventaun vero genere artistico. Oggi mi pare che prevalgauna visione piuttosto metaforica <strong>del</strong> cibo, che vienerappresentato soprattutto come immagine di qualcos’altro(stati d’animo, rapporti interpersonali, ecc.).Oggi siamo abituati a fare attenzione ai cibi piùsalutari, più ricchi di sostanze benefiche per ilnostro corpo, in grado di prevenire certe malattie.Questo aspetto caratterizza solo la nostra epocaoppure ha radici più lontane? Quando nasce l’interesseper l’educazione alimentare?Il tema <strong>del</strong>la salute accompagna fin dall’antichitàil rapporto col cibo. Anzi, i medici antichi (fino alMedioevo) erano profondamente convinti che il piaceree la salute sono funzionali l’uno all’altro: chesolo un cibo che piace può fare bene. In ogni caso,la riflessione dietetica è sempre andata di pari passocon l’elaborazione gastronomica: quest’ultima,direttamente o indirettamente, ha sempre recepitoe rielaborato le idee trasmesse dalla scienza dietetica.Molti modi di cucinare, di abbinare le vivande,di ordinarle nel menu hanno avuto, storicamente,origine nella cultura dietetica, che era la prima eprincipale competenza che si richiedeva dai medici.Sbaglieremmo perciò a pensare che l’interesse perla salute sia tipico <strong>del</strong> nostro tempo. Anche se sonocambiati, ovviamente, i modi di interpretare la realtà.Ogni epoca ha avuto una sua dietetica e di conseguenzauna sua gastronomia.Il suo ultimo libro, L’identità italiana in cucina,propone uno studio sulla cucina italiana e sul suocontributo a rafforzare lo spirito identitario degliitaliani. Anche alla luce <strong>del</strong> 150° anniversario <strong>del</strong>l’unificazione<strong>del</strong> Paese, si può parlare di mo<strong>del</strong>li alimentarie gastronomici come elementi che hannoin parte aiutato e sostenuto l’unità d’Italia?Sicuramente sì. Credo che un paese, prima ancorache un’unità politica, si definisca come una realtàculturale. E poiché la cucina è un elemento essenziale<strong>del</strong>la cultura, ritrovare un’identità culinaria “italiana”almeno fin dal Medioevo (come io propongoin questo libro) è un modo per riconoscere che gliitaliani esistevano ben prima <strong>del</strong>l’Italia. Una cucina“italiana” esisteva, fin da allora, come “rete” di saperie di pratiche locali, che però si confrontavano e siconoscevano reciprocamente. Ecco il punto: la culturaitaliana è una rete di realtà locali. Il problema è:chi usa questa rete, chi ne è partecipe? Per moltotempo, poche persone: l’aristocrazia di corte, imaggiorenti cittadini che potevano permettersi dispostarsi, o comunque di frequentare realtà diversedalla loro; questa circolazione di idee, uomini (anchei cuochi), libri (ricettari), prodotti (attraverso i mercaticittadini) era prerogativa di pochi. In età moderna econtemporanea, gli utilizzatori di questa “rete” sonocresciuti di numero e l’unificazione anche politica<strong>del</strong>l’Italia ha certamente aiutato il fenomeno. Decisivoè stato il libro di Pellegrino Artusi, che ha diffusoquesti saperi fra la piccola borghesia. Decisivala prima guerra mondiale, che per la prima volta hamesso fianco a fianco anche gli umili, i contadini, chehanno potuto confrontare le loro abitudini. Attraversotutti questi meccanismi si è allargato il pubblico checondivide una cultura “italiana” <strong>del</strong>la tavola. Ciò chenon è cambiato, e che ancora rimane, è il metodo <strong>del</strong>confronto, <strong>del</strong>la condivisione, <strong>del</strong> mettere insiemele esperienze locali. La cucina italiana, come la culturaitaliana in genere, ha avuto sempre un carattere“dialettale”, senza codificazioni unitarie, omogenee.Questo, credo, è il segreto <strong>del</strong>la sua ricchezza.Il più celebre manuale di cucina italiana è senz’altroLa Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene <strong>del</strong>loscrittore e gastronomo Pellegrino Artusi. Nato aForlimpopoli (provincia di Forlì-Cesena) il 4 agosto1820, pubblicò il testo nel 1891. Dopo un inizialeinsuccesso divenne uno dei libri più letti dagliitaliani e ad oggi conta 111 edizioni, con oltre unmilione di copie vendute. Si tratta di un volume cheraccoglie 790 ricette, dai brodi ai liquori, passandoattraverso minestre, antipasti, secondi e dolci. L’approccioè didattico (“con questo manuale pratico– scrive Artusi – basta si sappia tenere un mestoloin mano”), le ricette sono accompagnate da riflessionie aneddoti <strong>del</strong>l’autore. La scienza in cucinae l’arte di mangiar bene costituì un vero e propriospartiacque nella cultura gastronomica <strong>del</strong>l’epoca.Ad Artusi va il merito di aver dato dignità a quel“mosaico” di tradizioni regionali, di averlo per laprima volta pienamente valorizzato ai fini di unatradizione gastronomica “nazionale”.16

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