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WE.ARE.ABLE, social wearable augmented reality - Accademia di ...

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<strong>Accademia</strong> Di Belle Arti Di CarraraScuola <strong>di</strong> Nuove Tecnologie dell'ArteBiennio <strong>di</strong> Net Art e Culture Digitali<strong>WE</strong>.<strong>ARE</strong>.<strong>ABLE</strong><strong>social</strong> <strong>wearable</strong> <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong>can<strong>di</strong>dato: Antonino Cartisanorelatore: Massimo Citta<strong>di</strong>nico-relatore: Massimiliano Menconia.a. 2011-2012Sessione <strong>di</strong> tesi del 5 ottobre 2012


INTRODUZIONE _____________________________________ 9CAPITOLO PRIMO:Dal computer calcolatore al computer “comunicatore”1. La macchina <strong>di</strong> Anticitera e i padri dell’informatica “moderna”1.1 La mano, il primo computer “<strong>di</strong>gitale” _________________ 161.2 Il primo calcolatore analogico ________________________ 171.3 La prima macchina aritmetica ________________________ 181.4 Leibniz e il sistema binario __________________________ 191.5 XIX secolo: Rivoluzione Tecnologica __________________ 211.6 I primi computer meccanici __________________________ 221.7 Alan Turing ______________________________________ 251.8 “As We May Think” secondo Vannevar Bush ____________ 282. La “visione” utopistica <strong>di</strong> Engelbart e Licklider2.1 I “Giant brain” degli anni ‘40 ________________________ 312.2 Engelbart e il potenziamento dell’intelletto umano _______ 342.3 Licklider e la simbiosi uomo computer _________________ 412.4 La <strong>di</strong>mostrazione dell’esistenza dei sogni <strong>di</strong> Engelbart eLicklider ___________________________________________ 453. La Rete nata dalle reti3.1 La commutazione <strong>di</strong> pacchetto <strong>di</strong> Paul Baran e LeonardKleinrock ___________________________________________ 543.2 Il time-sharing e l’Intergalactic Network _______________ 563.3 Arpanet per un milione <strong>di</strong> dollari ______________________ 593.4 “The Computer as a Communication Device” ___________ 625


3.5 Lo Xerox Parc e la nascita <strong>di</strong> internet __________________ 65CAPITOLO SECONDO:Socializzare al tempo della “Rete”4. Comunicazione e con<strong>di</strong>visione del Sé in Rete4.1 La Teoria dell’informazione e della comunicazione _______ 724.2 La comunicazione me<strong>di</strong>ata dal computer e Identità in rete __ 754.3 Nomofobia e <strong>di</strong>sturbi da <strong>social</strong> ad<strong>di</strong>ction _______________ 83CAPITOLO TERZO:Dalle Realtà Virtuali alle Realtà Aumentate5. L’Ultimate Display e i primi passi in Realtà Virtuale5.1 Il teatro dell’esperienza e “la realtà per un nichelino” <strong>di</strong>Heilig. _____________________________________________ 915.2 L’Ultimate Display <strong>di</strong> Ivan Sutherland. _________________ 965.3 Ambienti Virtuali interattivi: Myron Kreuger ___________ 1065.4 L’ingresso nel Cyberspazio _________________________ 1216. Augmented Reality6.1 Virtual Reality vs. Augmented Reality ________________ 1416.2 Enabling Display Tecnologies _______________________ 1456.3 I continuum <strong>di</strong> Paul Milgram _______________________ 1496.4 Che cos’è la Realtà Aumentata? E <strong>di</strong> cosa si occupa? _____ 155CAPITOLO QUARTO:Il progetto we.are.able: <strong>social</strong> <strong>wearable</strong> <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong>Introduzione ________________________________________ 1776


BibliografiaSitografiaMotivazioni e obiettivi del progetto _____________________ 179Descrizione del progetto we.are.able _____________________ 182Risultati raggiunti ___________________________________ 192Conclusione ________________________________________ 2017


INTRODUZIONELa prima parte dell'elaborato tratta l'evoluzione della tecnologia, dai primistrumenti <strong>di</strong> calcolo, succeduti alla mano come primo calcolatore, ai più attuali<strong>di</strong>spositivi elettronici che, oltre ad aver contribuito al progresso umano con unnuovo tipo <strong>di</strong> comunicazione (Internet), hanno fornito l'interazione con un nuovomondo, parallelo al nostro.Il mondo della Realtà Aumentata."Il primo computer <strong>di</strong>gitale" è attribuito alla mano (dattilonomia). Nonsorprende quin<strong>di</strong> il fatto che il termine inglese "<strong>di</strong>git" (cifra), utilizzato nellinguaggio <strong>di</strong> moderni computer, derivi dalla parola latina "<strong>di</strong>gitus" (<strong>di</strong>to).Il suo utilizzo però, dopo millenni <strong>di</strong> calcoli, si fece da parte, grazie allosviluppo dei primi strumenti <strong>di</strong> calcolo analogici, come la Macchina <strong>di</strong>Antikythera, la Pascalina e la Macchina a Scatti <strong>di</strong> Leibniz.Si arriva <strong>di</strong>fatti ad introdurre il mondo ad un nuovo punto <strong>di</strong> vista teoricomatematico,quello dell'aritmetica binaria <strong>di</strong> Leibniz (1701) e dell'utilizzo <strong>di</strong>schede perforate (Telaio Jacquard ). Nascono così i primi computer meccanici,ideati per agevolare l'uomo nel risolvere calcoli, tra cui la Macchina Differenziale<strong>di</strong> Charles Babbage (1820) e la Tabulatrice <strong>di</strong> Hollerith (1890). Una vera e propriarivoluzione per l'epoca.Grazie allo straor<strong>di</strong>nario progre<strong>di</strong>re delle tecnologie informatiche nel XXsecolo, come la Macchina <strong>di</strong> Turing e Colossus, Bush riuscì a risollevare il paese,segnato dalla fine del secondo conflitto mon<strong>di</strong>ale, con As We May Think e ilMemex.I computer iniziarono così ad essere visti non più come macchine in sé macome strumenti per aumentare l'intelletto. Gli anni '60 furono infatti caratterizzatidalla simbiosi tra l'uomo e i computer, dettata da Licklider, e dalla creazionedell'ARPA (ARPANET, 1967 con Licklider e Bob Taylor, antenata dell'attualeInternet), potenziata dal time-sharing <strong>di</strong> Bob Berner e dalla commutazione apacchetto <strong>di</strong> Kleinrock e Davies ("Sai Larry, questa rete sta <strong>di</strong>ventando troppocomplessa per essere <strong>di</strong>segnata sul retro <strong>di</strong> una busta").Parallelamente alla nascita <strong>di</strong> queste idee geniali, nel 1968 Engelbart vive lasua storica conferenza "Madre <strong>di</strong> tutte le demo" ed Alan Key con Smart-Talk(1968-1972) introduce il desktop, il primo mondo virtuale in cui l'uomo si puòimmergere e navigare.Il progre<strong>di</strong>re tecnologico porterà così alla creazione <strong>di</strong> Xerox ALTO (1973), ilprimo personal computer della storia, e la nascita <strong>di</strong> INTERNET (1980), in cuichiunque può crearsi un'identità online (che può rispecchiare o meno la vita reale),fornirsi <strong>di</strong> una propria homepage o attaccare un post sui Social Network.Questo avvento delle nuove tecnologie e l'abbattimento dei costi, oltre ad avereun aspetto più che positivo, mostra anche l'aspetto negativo, provocando9


un'esigenza sempre più forte <strong>di</strong> <strong>social</strong>izzare, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> rimare in rete (Nomofobia o<strong>di</strong>sturbi da Social Ad<strong>di</strong>ction o Friendship Ad<strong>di</strong>ction).Le rivoluzioni tecnologiche portano così ad un progresso umano e quin<strong>di</strong>all'esplorazione <strong>di</strong> nuovi orizzonti. Si fanno i primi passi verso il mondo in RealtàVirtuale e in Realtà Aumentata.Uno dei primi fu Heiling che <strong>di</strong>ede vita al Sensorama Simulator, un'esperienzamultisensoriale mai provata prima. Susseguirono Sketchpad e The UltimateDisplay, entrambe <strong>di</strong> Sutherland, in cui pose le basi per l'avvento della realtàvirtuale.Nel 1968 completato l'Head Mounted Three Dimensional Display (spada <strong>di</strong>Democle), Sutherland e il suo staff svilupparono il matrix multiplier e il clipping<strong>di</strong>vider.A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Shuterland, Myron Krueger concepì un'idea <strong>di</strong>versa <strong>di</strong> realtàvirtuale: non sarebbero stati ingombranti ed isolanti marchingegni a condurrel'uomo in mon<strong>di</strong> artificiali, ma una stanza appositamente stu<strong>di</strong>ata. Nascono cosìparallelamente altri esperimenti <strong>di</strong> realtà virtuale, come Put that there (1980),sotto la supervisione <strong>di</strong> Richard Bolt, con interfaccia a comando gestuale-vocale,come Aspen Movie Map, una sorta <strong>di</strong> evoluzione del Sensorama <strong>di</strong> Hollerith eascendente dell'attuale Google Street View (immersività), come Moondust, ideatoda Janor Lanier.Nel 1981 si assaggiò quello che oggi definiamo <strong>wearable</strong> computer. DifattiThomas Zimmerman, appassionato <strong>di</strong> musica come Lanier, ideò Dataglove("quella mano fluttuante era qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> una mano. Ero io"), un guantosensoreimpiegato nella realtà virtuale.Si respirava così una nuova aria. Un'aria <strong>di</strong> una nuova era dalle potenzialitànon meno affascinanti e suggestive: l'era della Realtà Aumentata.Nata per agevolare l'uomo (manutenzione Boeing 747), prese subito campome<strong>di</strong>atico. Brevettato da Sportvision, 1st & Ten è il primo esempio <strong>di</strong> AR adessere utilizzato nei broacasting televisivi.Si ha così la prima esplosione me<strong>di</strong>atica del concetto AR.Esplosione favorita dall'uscita <strong>di</strong> ARToolKit e successivamente <strong>di</strong> FLARToolkit(2004), grazie alle quali si potevano creare applicazioni in AR (alcuni esempisono il 3-D stethoscope per l'ambito me<strong>di</strong>co, IARM per quello militare eN'Buil<strong>di</strong>ng per quello architettonico).Anteprima <strong>di</strong> ciò che ci potrebbe riservare il futuro, è data da Pranav Mistry,con la creazione del <strong>di</strong>spositivo <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> <strong>wearable</strong>, Sixth Sense. Questo<strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> interfaccia gestuale <strong>wearable</strong> aumenta il mondo fisico <strong>di</strong>informazioni <strong>di</strong>gitali, attraverso l'utilizzo <strong>di</strong> movimenti e gesture naturali dellamano per interagire con i contenuti virtuali.Si ritorna così,dopo un excursus <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> anni, alla mano, da strumentocalcolatore a strumento <strong>di</strong> realtà aumentata.Mano che avrà un ruolo anche nella seconda parte del mio elaborato, quellade<strong>di</strong>cata al progetto.10


La seconda parte dell'elaborato tratta il concetto <strong>di</strong> <strong>wearable</strong> computer.Verrà utilizzato <strong>di</strong>fatti un guanto,attraverso il quale si potrà interagire in<strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> e si potranno scambiare informazioni e dati, tramite <strong>di</strong>spositiviNFC. Informazioni che riguarderanno il nostro status emotivo oppure datisull'ambiente che ci circonda (es. temperatura, luminosità), tracciate dai sensori<strong>di</strong>sposti sull'apposito guanto.Tutte informazioni reali, dettate dal nostro corpo e da ciò che ci circonda, noncaratteristiche <strong>di</strong> false personalità come per lo più accade nei Social Network.Questo mio progetto vuole così portare il "<strong>social</strong>e" che è in rete, in quello incui "tutti si è amici <strong>di</strong> tutti", nella vita reale. Quin<strong>di</strong>, siccome lo scambio <strong>di</strong> dati sieffettuerà solo tramite contatto fisico, utilizzando un guanto, quale migliorecontatto c'è che una sincera stretta <strong>di</strong> mano tra "amici virtuali"?11


CAPITOLO PRIMO:Dal computer calcolatore al computer “comunicatore”1. La macchina <strong>di</strong> Anticitera e i padri dell’informatica “moderna”In senso Engelbartiano 1 un computer, oltre che <strong>di</strong>gitale o analogico, può essereinteso come strumento in grado <strong>di</strong> “aumentare” l’intelletto, accrescere cioè lecapacità umane nella risoluzione e comprensione <strong>di</strong> complesse problematiche esituazioni (professionali, scientifiche, <strong>social</strong>i, politiche ecc..) che inevitabilmentesi (ri)presentano nella vita <strong>di</strong> tutti i giorni.By "augmenting human intellect" we mean increasing the capability of a man to approach acomplex problem situation, to gain comprehension to suit his particular needs, and to derivesolutions to problems. ("Augmenting Human Intellect: A Conceptual Framework" DouglasEngelbart, 1962)Si tratta <strong>di</strong> una “way of life” dove le intuizioni umane, i presentimenti e lecapacità <strong>di</strong> sentire le situazioni (feel for situations) coesistono simbioticamente adun più complesso sistema-mondo fatto <strong>di</strong> tecnologia ed aiuti ad alto potenzialecognitivo. In poche parole, un sistema dove le macchine per pensare 2 e l’intellettoumano si integrano perfettamente.Secondo questa concezione per rintracciare nella storia dell’umanità quello chepuò essere in<strong>di</strong>cato come il primo computer, occorre guardare ad una tecnologiaremota ed innata, ma in uso ancora oggi: la mano.1Termine che deriva da Douglas Carl Engelbart (Portland, 30 gennaio 1925), inventorestatunitense e pioniere dell'interazione uomo-macchina.2La macchina ci permette <strong>di</strong> lavorare con la conoscenza, allargando l'area delle capacitàumane.15


1.1 La mano, il primo computer “<strong>di</strong>gitale”Le nostre mani senza dubbio rappresentano la prima forma, seppur primitiva,<strong>di</strong> amplificatore dell’intelletto (e non solo): sono la chiave che ha aperto all’essereumano la porta dell’evoluzione, <strong>di</strong>stinguendolo così dagli altri esseri viventi.La mano ci ha permesso <strong>di</strong>: costruire utensili e strumenti <strong>di</strong> caccia, riprodurregraficamente e simbolicamente ciò che i nostri occhi o la nostra mente vedevano(grotte <strong>di</strong> Lascaux), e soprattutto <strong>di</strong> calcolare.Grazie all’uso della dattilonomia 3 i nostri antenati potevano fare calcoliaritmetici e, tramite sistemi <strong>di</strong> rappresentazione, potevano visualizzare numericomplessi semplificando notevolmente il lavoro che la mente (<strong>di</strong>versamente daquesta tecnologia) avrebbe dovuto compiere. Sebbene non ci siano prove concretee le sue origini siano del tutto oscure, del sistema <strong>di</strong>ta-mente si hanno tracce in<strong>di</strong>verse epoche storiche.Quintiliano (35-96 d.C.), maestro <strong>di</strong> retorica e oratore romano, per esempio,afferma che un oratore sarebbe stato considerato ignorante se avesse sbagliato uncalcolo o se avesse utilizzato gesti con le <strong>di</strong>ta in modo errato mentre eraimpegnato nella risoluzione del medesimo.Gli Arabi (abilissimi matematici) chiamavano la dattilonomia “aritmetica deino<strong>di</strong>” 4 , ampiamente utilizzata per tutto il Me<strong>di</strong>oevo Islamico. Tale tecnica venneinserita tra i cinque meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> espressione umana e preferita a qualsiasi altrosistema <strong>di</strong> calcolo perché non richiedeva materiali né strumenti particolari oltreche a un arto. Si hanno tracce anche nel Me<strong>di</strong>oevo Europeo dove il teologoanglosassone Beda (672-735 a.C, monaco <strong>di</strong>venuto santo inglese), nel primocapitolo del “De computa vel loquela <strong>di</strong>gitorum”, <strong>di</strong>mostra la possibilità <strong>di</strong>esprimersi ed eseguire calcoli con numeri da 1 a 9999 utilizzando la mano.3Arte ormai (quasi del tutto) abbandonata del conteggio aritmetico tramite l’uso delle <strong>di</strong>ta,adoperando invece dei caratteri le varie inflessioni e movimenti <strong>di</strong> quest’ultime in modo darappresentare cifre e calcoli complessi.4Aritmetica basata sull'utilizzo <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong> cor<strong>di</strong>celle, annodate tra loro, <strong>di</strong> <strong>di</strong>versicolori,che rappresentavano dei numeri e dalla loro reciproca posizione se ne potevano ricavare leunità, le decine, le centinaia e le migliaia.16


Non sorprende quin<strong>di</strong> il fatto che il termine inglese “<strong>di</strong>git” (cifra), utilizzatocomunemente nel linguaggio dei moderni computer, derivi dalla parola latina“<strong>di</strong>gitus” (<strong>di</strong>to).Per calcoli <strong>di</strong> natura più complessa e problematiche sempre più pressanti,l’uomo nel corso della sua storia ha cercato <strong>di</strong> costruire strumenti “per pensare”sempre più tecnologicamente avanzati, allo scopo sia <strong>di</strong> automatizzare che <strong>di</strong>velocizzare determinati processi, sollevando così la mente dal compiere azioniripetitive considerate <strong>di</strong> basso livello (calcoli aritmetici), lasciandola cioè libera <strong>di</strong>comprendere meglio e <strong>di</strong> operare su scelte decisionali e valutative. L’aumentodell’intelletto <strong>di</strong>venta così maggiore libertà nelle scelte da compiere e maggiorepossibilità <strong>di</strong> prendere decisioni corrette e più in fretta.Nascono quin<strong>di</strong> strumenti con logiche e caratteristiche più articolate, atte allarisoluzione <strong>di</strong> problematiche e situazioni sempre più <strong>di</strong>fficili (che possiamocollocare nella preistoriadell’informatica), come: gli antichiabachi, la scrittura e successivamente leprime macchine ad ingranaggi per ilcalcolo astronomico. La più famosa <strong>di</strong>quest’ultime è la macchina <strong>di</strong>Antikythera 5 .1.2 Il primo calcolatore analogicoDefinita come il primo calcolatoreanalogico della storia, la macchina <strong>di</strong>Antikythera risulta essere qualcosa <strong>di</strong>Fig. 1 - Scansione a raggi-X degli ingranaggiche compongono il frammento principale dellamacchina <strong>di</strong> Anticitera.veramente unico nel suo genere. Secondo uno dei suoi più autorevoli stu<strong>di</strong>osi, il5Nota anche come meccanismo <strong>di</strong> Antikythera, (150-100 a.C). Si tratta <strong>di</strong> un sofisticatoplanetario mosso da ruote dentate, che serviva per il calcolo delle fasi lunari, del sorgere del soleed altri eventi astronomici (eclissi, movimenti dei pianeti allora conosciuti ecc...).Trae il nome dall'isola greca <strong>di</strong> Anticitera (Cerigotto) presso cui è stata rinvenuta. È conservatapresso il Museo archeologico nazionale <strong>di</strong> Atene.17


prof. Michael Edmunds, insegnante <strong>di</strong> astrofisca presso l'Università <strong>di</strong> Car<strong>di</strong>ff,siamo <strong>di</strong> fronte ad un “device straor<strong>di</strong>nario” in cui l’assoluta precisione meccanicaed astronomica è talmente elevata, considerando la datazione presuntadell’oggetto (I secolo a.C.), da “lasciare letteralmente a bocca aperta”.La minuziosità e complessità dei suoi elementi costruttivi è paragonabile agliorologi costruiti dai maestri del XIX secolo. La sua logica <strong>di</strong> funzionamentorisulta essere <strong>di</strong> gran lunga superiore a qualsiasi altra tecnologia similare econtemporanea alla sua creazione: basti pensare che con pochissime mo<strong>di</strong>ficheavrebbe potuto funzionare come calcolatore matematico e che la stessa tecnologiasarà utilizzata molti secoli dopo nei calcolatori meccanici.1.3 La prima macchina aritmetica...The first arithmetic machine presented to the public was from Blaise Pascal, born inClermont, Auvergne on June 19, 1623; he invented it at the age of 19 [...] Pascal's machine is theoldest one; it could have served as model to all the others; this is why we preferred it.("Encyclope<strong>di</strong>a" Diderot e D'Alembert, 1751)Il primo calcolatore aritmetico meccanico, come si legge nell'Encyclope<strong>di</strong>a 6 , èla “Pascalina”, ideata dal genio <strong>di</strong> Blaise Pascal (1623-1662), matematico efilosofo francese, all’età <strong>di</strong> 19 anni come <strong>di</strong>spositivo che alleviasse il carico <strong>di</strong>lavoro che il padre (intendente della finanza) doveva affrontare quoti<strong>di</strong>anamente.L’esempio perfetto del mezzo meccanico (frutto dell’ingegno umano) che viene inaiuto per operazioni e compiti ripetitivi, lasciando alla mente l’onere <strong>di</strong> valutare irisultati prodotti e confrontarli, inserendoli in contesti e situazioni reali.Per la sua realizzazione Pascal ha dovuto combattere oltre che con la sua saluteanche contro l’ignoranza del suo tempo. Come spesso accade alle gran<strong>di</strong> ideerivoluzionarie anche l’invenzione <strong>di</strong> Pascal si <strong>di</strong>mostrò prematura rispetto allepossibilità economiche, tecniche e meccaniche dell’epoca. Per funzionare meglio6L' Encyclopae<strong>di</strong>a è una vasta enciclope<strong>di</strong>a in lingua francese, pubblicata da un consistentegruppo <strong>di</strong> intellettuali, sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Diderot e D'Alembert, e rappresenta un significativopunto <strong>di</strong> arrivo <strong>di</strong> un percorso teso a creare un compen<strong>di</strong>o universale del sapere.18


e a lungo necessitava <strong>di</strong> maggiore precisione e forza, ma ciò non toglie il fatto chela macchina calcolatrice realizzata da Pascal, segnò l’inizio <strong>di</strong> una corsainarrestabile che porterà fino ai moderni calcolatori.Il principio meccanico della Pascalina non è molto <strong>di</strong>verso dalla suddettamacchina <strong>di</strong> Antikythera e fondamentalmente si basa, come per gli abachi, sulsistema <strong>di</strong> numerazione posizionale, in cui i simboli (cifre) usati per scrivere inumeri, assumono valori <strong>di</strong>versi a seconda della posizione che occupano nellanotazione. La Pascalina era in grado <strong>di</strong> computare solo semplici ad<strong>di</strong>zioni esottrazioni, un limite che nel 1670 Gottfried Wilhelm von Leibniz 7 cercò <strong>di</strong>superare grazie al prototipo della sua macchina a scatti, dotata <strong>di</strong> tecnologia pereseguire anche calcoli più complessi, come moltiplicazioni e <strong>di</strong>visioni.Fig. 2 - La Pascalina1.4 Leibniz e il sistema binarioNonostante fosse un enorme progresso rispetto alla Pascalina, la macchina ascatti risulta essere un’innovazione che passa in secondo piano se confrontata aquello che lo stesso Leibniz, dal punto <strong>di</strong> vista teorico-matematico, stavaintroducendo al mondo.Per molti anni infatti Leibniz de<strong>di</strong>cò i suoi stu<strong>di</strong> all’aritmetica binaria 8 (1701),compiendo così uno dei passi più importanti e significativi nella storia dellemacchine elaboratrici: oltre a co<strong>di</strong>ficare un alfabeto appropriato per la logica7Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) era un matematico tedesco, oltre che scienziato efilosofo, noto più come precursore dell'informatica e del calcolo automatico.8Il sistema numerico binario è definito un sistema numerico posizionale in base 2, cioè cheutilizza 2 simboli, tipicamente 0 e 1, invece dei 10 del sistema numerico decimale tra<strong>di</strong>zionale.19


inaria che permette <strong>di</strong> scrivere tutti i numeri con due sole cifre (0 e 1), descrissecompiutamente anche le regole che la governano. Il matematico tedescointrodusse, dettandone le norme principali, il mondo alla soglia del nuovo mondo(abbozzando quello che oggi costituisce il linguaggio ufficiale dell’informatica),ma anche ad una sua visione <strong>di</strong>fferente.La concezione binaria infatti è riconducibile alle sue ricerche <strong>di</strong> naturafilosofica dualista, dove vide una spiegazione matematica della creazione <strong>di</strong> tuttol’universo fisico a partire dal nulla (0) e da Dio (1): "Omnibus ex nihilo ducen<strong>di</strong>ssufficit unum" 9 . Le regole che governano la natura sono le stesse che verrannosuccessivamente utilizzate per il linguaggio dell’informatica, dove è dalla somma<strong>di</strong> energia e non energia, materia e non materia, <strong>di</strong> 1 e <strong>di</strong> 0, che si crea tutto.Il passo che Leibniz aveva compiuto si rivelò precursore e quin<strong>di</strong> determinanteper il futuro del pensiero tecnologico, tuttavia le sue idee rivoluzionarie rimaseronel <strong>di</strong>menticatoio per molti anni. Furono infattiriscoperte e rivitalizzate solo nel 1847 dalmatematico inglese George Boole (1815-1864),il fondatore della logica matematica. Nel suolibro “The Mathematical Analysis of Logic”Boole descrive un sistema algebrico (oggiconosciuto come algebra booleana 10 ) basatosulla logica binaria ,derivata dal lavoro <strong>di</strong>Leibniz e suoi predecessori, in cui una serie <strong>di</strong>istruzioni (yes-no e on-off) e operazioni <strong>di</strong> baseFig. 3 - Il medaglione “ImagoCreationis” <strong>di</strong>segnato da Leibniz(AND, OR e NOT) consentono <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ficare in unlinguaggio più prossimo alla macchina qualsiasi tipo<strong>di</strong> funzione logica.9"Per trarre tutte le cose dal nulla basta l'Uno". Così è scritto su una medaglia intitolata“Imago Creationis”, <strong>di</strong>segnata da Leibniz nel XVII secolo, per “Mostrare alla posterità, in argento”la sua scoperta del sistema binario.10Un insieme <strong>di</strong> regole dettate per la manipolazione e le operazioni su espressioni logiche,definite dall'insieme { 0 , 1}, dove: + somma logica (operatore binario logico OR ), • prodottologico (operatore binario logico AND ), l’operazione unaria NOT, ovvero espressioni che possonorisultare in due soli valori possibili, vero e falso (true e false).20


1.5 XIX secolo: Rivoluzione TecnologicaIl passo evolutivo degli elaboratori meccanici, grazie al lavoro costante <strong>di</strong>matematici, inventori e scienziati, sembra accelerare notevolmente già a partiredai primi anni del XIX secolo. Società, economia, politica, stili <strong>di</strong> vita ed ogniaspetto della realtà in questo preciso momento storico cambia ra<strong>di</strong>calmente(nascono il telegrafo e successivamente il telefono, la lampa<strong>di</strong>na, la ra<strong>di</strong>o, lafotografia, il cinema, la locomotiva ecc...), frutto <strong>di</strong> una forza incontrollabilegenerata dalla (seconda grande) Rivoluzione Industriale.Sebbene non sia ascrivibile a questo secolo la nascita effettiva dei computer percome li inten<strong>di</strong>amo noi oggi, senza dubbio va quantomeno riconosciuto come ilmomento storico che ha segnato un evidente accelerazione culturale, giustificataanche dallo sviluppo <strong>di</strong> nuove tecnologie <strong>di</strong> base, e come un passo evolutivonecessario. In termini darwiniani questo periodo può essere <strong>di</strong>stinto come l’anello<strong>di</strong> congiunzione tra le macchine meno evolute <strong>di</strong> concezione tipicamentemeccanica-analogica e quelle più evolute che seguiranno.Un passaggio dalle semplici calcolatrici agli elaboratori elettronici, non<strong>di</strong>ssimile a quello avvenuto per l’uomo milioni <strong>di</strong> anni fa (da scimmia a Homosapiens).Nel 1801 l’impren<strong>di</strong>tore francese Joseph-Marie Jacquard (1752-1834)introdusse nella sua azienda tessile un particolare tipo <strong>di</strong> telaio automatizzato, incui i <strong>di</strong>segni venivano “programmati” me<strong>di</strong>ante schede <strong>di</strong> cartone perforate,conosciuto ancora oggi come il Telaio Jacquard. In corrispondenza del foro gliaghi potevano attraversare e ricamare la trama desiderata. L’intuizione <strong>di</strong> Jacquardsi basava (probabilmente senza rendersi conto delle possibilità che avrebbeintrodotto) sull’applicazione pratica della logica binaria ad un sistemaautomatizzato che poteva essere facilmente programmabile: 1 = foro presente (ilfilo passa), 0 = foro assente (il filo non passa). Sebbene storicamente non sia deltutto riconosciuto come <strong>di</strong>retto ascendente dei moderni computer calcolatori, il21


telaio <strong>di</strong> Jacquard rappresenta comunque uno sta<strong>di</strong>o evolutivo tecnologico <strong>di</strong>interessante rilievo e <strong>di</strong> notevole importanza per le future applicazioni. Unesempio da seguire.1.6 I primi computer meccaniciAscendenti <strong>di</strong>rette invece possono essere definite e considerate a tutti gli effetticome i primi computer meccanici della storia, le macchine <strong>di</strong> Charles Babbage(1791-1871), matematico inglese e scienziato proto-informatico.Rispetto ai suoi predecessori che hanno sempre cercato <strong>di</strong> costruire macchinecalcolatrici capaci essenzialmente <strong>di</strong> eseguire le quattro operazioni principali(ad<strong>di</strong>zione, sottrazione, <strong>di</strong>visione, moltiplicazione), il matematico inglese volevacreare calcolatori universali dotati <strong>di</strong> memoria, <strong>di</strong> una parte operativa e <strong>di</strong> un’unità<strong>di</strong> controllo (concettualmente e “architetturalmente” molto simili a quellimoderni), capaci <strong>di</strong> svolgere sequenze <strong>di</strong> calcoli determinati dall’esecuzione <strong>di</strong>uno specifico programma. I calcolatori numerici presentati da Babbage hannointrodotto il concetto per la quale una macchina può imitare molto da vicinoalcune azioni umane, semplicemente istruendole tramite apposite tavole <strong>di</strong>istruzioni programmate.to “programme a machine to carry out operation A” means to put the appropriate instructiontable into the machino so that it will do A ("Computing Machinery and Intelligence" A.M. Turing,1950)Al tempo <strong>di</strong> Babbage i tabulati numerici (prevalentemente ad uso astronomico)erano calcolati da operatori umani che venivano chiamati “computers”(chesignifica dall'inglese “colui che calcola”, così come il termine “conductor”significa “colui che guida”) e naturalmente erano soggetti ad un elevato tasso <strong>di</strong>errori. Il suo obiettivo <strong>di</strong>venne quin<strong>di</strong> quello <strong>di</strong> annullare tali imprecisioni tramitel’utilizzo <strong>di</strong> macchine calcolatrici.22


I was sitting in the rooms of the Analytical Society, at Cambridge, my head leaning forward onthe table in a kind of dreamy mood, with a table of logarithms lying open before me. Anothermember, coming into the room, and seeing me half asleep, called out, "Well, Babbage, what areyou dreaming about?" to which I replied "I am thinking that all these tables" (pointing to thelogarithms) "might be calculated by machinery". (Babbage)Babbage a partire dal 1820 iniziò a lavorare su un prototipo <strong>di</strong> macchina<strong>di</strong>fferenziale 11 che, secondo i suoi progetti, doveva elaborare e compiereoperazioni meccanicamente, sfruttando il principio del metodo delle <strong>di</strong>fferenze 12 .Pubblicò i suoi stu<strong>di</strong> in un documentointitolato "Note on the application ofmachinery to the computation of astronomicaland mathematical tables" che presentò allaRoyal Astronomical Society il 14 giugno del1823. L’idea fu riconosciuta talmente brillanteda ottenere imme<strong>di</strong>atamente fon<strong>di</strong> necessari perrealizzarla, ma la sua costruzione non fu maidel tutto ultimata.I problemi ricorrenti che Babbage riscontròdurante tutto l’arco del suo lavoro, furonoessenzialmente dovuti alla meccanica degliingranaggi <strong>di</strong>sponibili a quel tempo, tecnicamentetroppo poco adatti ad un <strong>di</strong>spositivo che richiedeva in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> precisioneelevatissimi.Fig. 4 - Ricostruzione della macchina<strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> BabbageSubito dopo i vari tentativi infruttuosi <strong>di</strong> rendere il sistema <strong>di</strong>fferenzialeoperativo, Babbage si concentrò sulla progettazione <strong>di</strong> uno strumento <strong>di</strong> calcoloben più complesso, ma dalle potenzialità pressoché infinite: la macchina analitica.11La macchina avrebbe utilizzato il sistema decimale e sarebbe stata alimentata in modomeccanico, ossia tramite il movimento <strong>di</strong> una maniglia che avrebbe fatto girare gli ingranaggi.12Metodo usato per risolvere numericamente equazioni <strong>di</strong>fferenziali, prevalentementeor<strong>di</strong>narie anche se sono spesso usate come schema <strong>di</strong> avanzamento nel tempo per problemi allederivate parziali. Sono <strong>di</strong> gran lunga il metodo più semplice e intuitivo tra tutti poiché non siutilizzano moltiplicazioni.23


Tale engine 13 si <strong>di</strong>fferenzia rispetto al suo precedente lavoro poiché dotato <strong>di</strong>“intelligenza programmabile”, ossia della possibilità del <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> ricevereuna serie <strong>di</strong> istruzioni attraverso input ed eseguirle basandosi sui dati e sulleinformazioni analizzate. L’analytical engine, progettato da Babbage, sfruttal’intuizione <strong>di</strong> Jacquard delle schede perforate (utilizzata nel telaio) comeprimitiva interfaccia uomo-macchina e strumento <strong>di</strong> controllo della macchinastessa.La sua natura flessibile la rende molto simile all’architettura utilizzata neimoderni elaboratori informatici, dove dati e memoria del programma sonoseparati e le operazioni sono basate su istruzioni.The Analytical Engine has no pretensions to originate anything. It can do whatever we know howto order it to perform 14 ( "The La<strong>di</strong>es Diary" journal Taylor's Scientific,1842)Ancora una volta la sfida tecnologica sfortunatamente fu troppo elevata da poteressere vinta: Babbage aveva creato il primo computer programmabile della storia,anche se le sue idee rimasero a lungo solo sulla carta.Nonostante i suoi progetti fossero incompiuti, Babbage viene riconosciutoall’unanimità come il principale precursore delle logiche che hanno reso possibilela nascita dei computer. Molti dei suoi successori recuperarono i suoi progetti e<strong>di</strong>mostrarono che le macchine che aveva progettato erano in grado <strong>di</strong> eseguire ciòche lui aveva sognato.Un altro ascendente <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> forte rilevanza “storica” dei moderni elaboratorifu ideato nel 1890 da Herman Hollerith 15 (1860-1929), il quale vinse un bando <strong>di</strong>13Parte del file che si occupa <strong>di</strong> dati <strong>di</strong> tipo scientifico.14Tratto da "The La<strong>di</strong>es Diary " <strong>di</strong> Taylor, opera in cui vennero pubblicate le memorie <strong>di</strong> LadyLovelace (1842), matematica inglese che lavorò al fianco <strong>di</strong> Babbage durante la realizzazione dellamacchina analatica. Egli la soprannominò "l'incantatrice dei numeri", colpito dalle sue abilità e dalsuo intelletto. Lady Lovelace, ossia Ada Lovelace (1815-1852), è spesso ricordata come la primaprogrammatrice <strong>di</strong> computer al mondo.15H.Hollerith era un ingegnere statunitense, noto come fondatore dell'IBM (L'InternationalBusiness Machines Corporation).24


concorso indotto dal United States Census Office (ufficio censimenti degli StatiUniti) e finalizzato alla costruzione <strong>di</strong> una macchina in grado <strong>di</strong> classificare econtare automaticamente le schede necessarie per il controllo censitorio del paese.Hollerith utilizzò l’ormai consolidata idea delle schede perforate del sistemaJacquard-Babbage, non per specificare un programma da eseguire, ma perin<strong>di</strong>care alla macchina i dati da elaborare. Le risposte degli in<strong>di</strong>vidui venivanointerpretate e co<strong>di</strong>ficate su apposite schede da operatori umani secondo la logicabinaria, me<strong>di</strong>ante la rappresentazione <strong>di</strong> fori o non fori (per esempio un in<strong>di</strong>viduo“maschio” poteva essere rappresentato tramite un foro, mentre una “femmina”con l’assenza <strong>di</strong> foro). Per ogni foro la macchina attivava un circuito elettrico,altrimenti spento in sua assenza, che a sua volta metteva in funzione un complessosistema <strong>di</strong> contatori in grado <strong>di</strong> immagazzinare ed interpretare le informazionirelative alle risposte fornite dall’in<strong>di</strong>viduo nel questionario del censimento.La tabulatrice <strong>di</strong> Hollerith 16 <strong>di</strong>venne il primo <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> calcolo a fare usodell’elettricità. Completò il suo lavoro <strong>di</strong> conteggio e analisi schede in 50 giorni,(ci vollero 8 anni per portare a termine il precedente censimento senza l’uso <strong>di</strong>questo tipo <strong>di</strong> tecnologia) alla me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> circa 800 schede al minuto.Una vera e propria rivoluzione per l’epoca.1.7 Alan TuringLa prima metà del XX secolo richiama alla mente da una parte il ricordo <strong>di</strong><strong>di</strong>struzione e morte dettato dalle due gran<strong>di</strong> guerre mon<strong>di</strong>ali, dall’altra lostraor<strong>di</strong>nario progre<strong>di</strong>re delle tecnologie informatiche. Guerra e ricercatecnologica fanno parte in questo contesto <strong>di</strong> un sistema simbiotico, sono gliingre<strong>di</strong>enti essenziali che hanno scan<strong>di</strong>to nell’ultimo periodo storico l’evoluzioneche ci ha portato fino ai computer per come li conosciamo e li utilizziamo ancora16La macchina tabulatrice era congegnata su un meccanismo molto semplice: un insieme <strong>di</strong> filimetallici venivano sospesi sopra il lettore <strong>di</strong> schede, poste in corrispondenza <strong>di</strong> appropriatevaschette <strong>di</strong> mercurio; una volta che i fili venivano spinti sulla scheda, essi permettevano <strong>di</strong>chiudere elettricamente il circuito solo in corrispondenza dei fori praticati durante la rilevazione. Ilcircuito elettrico attivato consentiva l’avanzamento del relativo contatore, avvertendo l’operatoredella lettura avvenuta.25


oggi. La prima incentiva la seconda a trovare espe<strong>di</strong>enti sempre più efficienti edeterminanti alla rottura degli enigmi crittografici 17 , all’elaborazione <strong>di</strong> semprepiù complessi calcoli balistici e allo sviluppo <strong>di</strong> nuove tecnologie.Si tratta <strong>di</strong> una guerra nella guerra dove le menti geniali degli scienziati e deiricercatori, ancor più che le armi dei soldati in battaglia, possono fare davvero la<strong>di</strong>fferenza.Durante la Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale per deco<strong>di</strong>ficare messaggi criptatitedeschi occorrevano macchineeccezionali e menti eccezionali.Il matematico e crittografoinglese Alan Mathison Turing(1912-1954) fortunatamente erauna <strong>di</strong> queste.Fig. 5 - Rappresentazione grafica dellamacchina <strong>di</strong> Turing.that genius. 18You needed exceptional talent, youneeded genius [...] and Turing's wasIdeò un modello teorico <strong>di</strong> un <strong>di</strong>spositivo in grado <strong>di</strong> risolvere qualsiasialgoritmo esistente. La macchina, denominata Macchina <strong>di</strong> Turing, era costituitada due elementi principali: un nastro <strong>di</strong> dati riscrivibile ed infinito, e unmeccanismo in grado <strong>di</strong> muoversi lungo il nastro bi<strong>di</strong>rezionalmente e <strong>di</strong>mo<strong>di</strong>ficare le informazioni su <strong>di</strong> esso, scrivendone <strong>di</strong> nuove e cancellandonequelle già esistenti.Lo sviluppo <strong>di</strong> questa macchina era, secondo Turing, la risposta al problemadella deci<strong>di</strong>bilità 19 . Ancora oggi risulta essere un modello fondamentale per17La parola crittografia deriva dall'unione <strong>di</strong> due parole greche: κρυπτóς (kryptós) chesignifica "nascosto", e γραφία (graphía) che significa "scrittura". La crittografia stu<strong>di</strong>a le "scritturenascoste", ossia i meto<strong>di</strong> per rendere un messaggio "offuscato" in modo da non esserecomprensibile a persone non autorizzate a leggerlo.18Citazione <strong>di</strong> Asa Briggs (1921), uno dei storici inglese più autorevoli, noto per la sua trilogiasull'era Vittoriana: "Victorian People", "Victorian Cities," and "Victorian Things".19Diremo deci<strong>di</strong>bile un problema per il quale esiste un algoritmo (quin<strong>di</strong> una proceduraeseguibile con un numero finito <strong>di</strong> passi) in grado <strong>di</strong> risolverlo.26


chiunque si occupi <strong>di</strong> computazione ed abbia bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare la vali<strong>di</strong>tàdegli algoritmi progettati.Prendendo spunto dalla brillante idea visionaria della Macchina <strong>di</strong> Turing fuprogettato Colossus, il primo calcolatore elettronico programmabile della storia.Venne utilizzato nel corso della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, a decorrere dal1944, per cercare <strong>di</strong> decriptare i messaggi cifrati tedeschi. Colossus confrontavadue flussi <strong>di</strong> dati: il messaggio originale criptato e un tentativo <strong>di</strong> co<strong>di</strong>fica,valutandone <strong>di</strong> volta in volta la sua atten<strong>di</strong>bilità.Il mezzo (Colossus) e la mente (Turing) permisero <strong>di</strong> <strong>di</strong>sinnescareinnumerevoli attacchi nemici e <strong>di</strong> indebolirne notevolmente i fronti attraversoattacchi a “sorpresa”, grazie alla conoscenza preventiva della <strong>di</strong>slocazione delletruppe avversarie. Senza <strong>di</strong> loro lo scenario della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>aleavrebbe potuto avere esito <strong>di</strong>fferente.Turing oltre ad aver contribuito (a modo suo) alla sconfitta <strong>di</strong> Hitler, giocòanche il ruolo <strong>di</strong> “attore principale” e precursore nell’ambito <strong>di</strong> ricercasull’ intelligenza artificiale 20 . In “Computing Machinery and Intelligence” (del1950) Turing si pone un semplice quesito: “Can machine think?”.La sua ricerca sulle possibilità <strong>di</strong> creare “thinking machine” (macchinepensanti) include anche aspetti neurologici e fisiologici. Si lascia ispirare infattidalle complicate interconnessioni neuronali, analizzandone la logica ericonoscendo analogie matematiche <strong>di</strong> funzionamento con le macchine. Lasoluzione migliore, secondo il matematico britannico, sta nel creare un sistemaintelligente in grado <strong>di</strong> “apprendere” e accrescere la sua “esperienza”, così comeavviene nei bambini (tramite il gioco, i rimproveri, gli apprezzamenti, etc..).Per cercare <strong>di</strong> rispondere alla questione Turing suggerisce inoltre un semplicetest, denominato appunto test <strong>di</strong> Turing. Immagina uno scenario in cui un uomo Ae una donna B devono fornire risposte dattiloscritte ad un soggetto C.Quest’ultimo ha il compito <strong>di</strong> determinare chi dei due è il maschio e chi è la20Il termine <strong>di</strong> intelligenza artificiale fu proposto per la prima volta da Marvin Minsky e JohnMcCarthy durante un seminario <strong>di</strong> informatica al Darthmounth College <strong>di</strong> Hannover, nel NewHampshire (Stati Uniti), nel 1956.27


femmina. Nell’eventualità che una macchina si sostituisse ad A o B, e se i risultatiforniti da C fossero statisticamente identici alla situazione precedente, allora lamacchina poteva essere considerata pensante.The reader must accept it as a fact that <strong>di</strong>gital computers can be constructed, and indeed havebeen constructed, accor<strong>di</strong>ng to the principles we have described, and that they can in fact mimicthe actions of a human computer very closely. ("Computing machinery and intelligence"A.M.Turing, 1950).Turing riconosce la <strong>di</strong>fficoltà sulla fattibilità delle sue idee, ma non la loroimpossibilità. È convinto che presto saremo in grado <strong>di</strong> innestare all’interno dellemacchine il dono del pensiero, pre<strong>di</strong>cendo <strong>di</strong> fatto che entro la fine del secolo(XX secolo) chiunque potrà parlare <strong>di</strong> macchine pensanti senza aspettarsi <strong>di</strong>essere contraddetto.La questione “Can machine think?” è rimasta insoluta ancora oggi (e forse unasoluzione non la avrà mai), ma senza dubbio progresso tecnologico e decenni <strong>di</strong>ricerca nel campo delle intelligenze artificiali hanno aumentato le nostrepossibilità <strong>di</strong> risposte al quesito proposto da Turing oltre 60 anni fa.the only way by which one could be sure that machine thinks is to be the machine and to feeloneself thinking ("Computing machinery and intelligence" A.M.Turing, 1950).1.8 “As We May Think” secondo Vannevar BushIl 1945 oltre ad essere ricordato come l’anno della fine del secondo conflittomon<strong>di</strong>ale, è anche l’anno in cui lo scienziato e tecnologo statunitense VannevarBush (1890-1974) pubblica un articolo dal titolo “As We May Think”. Sebbene idue eventi abbiano una portata in termini <strong>di</strong> rilevanza storica ben <strong>di</strong>versa, inqualche modo sono entrambi segnali, speranze e motivo <strong>di</strong> enormi ennesimicambiamenti <strong>social</strong>i, economici, politici, culturali e tecnologici. Il dopoguerra ha28


lasciato molte dolorose ferite da rimarginare, bisognava ricostruire un mondo,riprogettarlo. As We May Think suggerisce mo<strong>di</strong> per farlo.Bush durante la Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale aveva messo la propria esperienza<strong>di</strong> scienziato al servizio della patria e, come il matematico inglese Alan Turing,aveva ricoperto un importante ruolo nella ricerca militare. Il suo saggio del 1945 èuna riflessione sul rapporto tra tecnologia, il tema della felicità universale e dellapace nel mondo (temi assai attuali in epoca post-bellica).Of what lasting benefit has been man's use of science and of the new instruments which hisresearch brought into existence? (“As We May Think” Vannevar Bush, 1945)Come può la tecnologia contribuire al benessere dell’umanità? E come può ilbackground della conoscenza umana immagazzinata fino ad oggi (e quella futura)sostenere l’uomo a vivere in pace? Sono queste essenzialmente le domande cheBush si pone e al quale cerca <strong>di</strong> dare una risposta. Occorre ragionare sia sulletecnologie che sul metodo <strong>di</strong> ricerca e costruzione scientifica affinché permettanoall’uomo <strong>di</strong> costruirsi “una casa in cui possa vivere in buona salute”.La conoscenza umana è un insieme collegato con il tutto che, in quanto tale, hauna <strong>di</strong>mensione universale, non limitabile alla vita del singolo in<strong>di</strong>viduo. Il saperequin<strong>di</strong> è frutto <strong>di</strong> processi accumulativi e si genera grazie alla collaborazioneinterna <strong>di</strong> sistemi collegati che includono tutto il sapere umano. Il primo car<strong>di</strong>neche Bush identifica si riferisce al fatto che la conoscenza per poter essere utiledeve essere continuamente ampliata, archiviata e soprattutto consultata.Deve poter essere accessibile.La produzione <strong>di</strong> informazioni, grazie alle tecnologie moderne (stampa,giornali etc.), è ad un ritmo sempre crescente (produciamo sempre piùinformazioni), ma all’aumentare della ricchezza informativa non viene corrispostaun altrettanto efficace grado <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione. Un’informazione può esserefacilmente archiviata grazie all’uso delle macchine, ma la sua consultazione econ<strong>di</strong>visione richiede tecnologie per l’epoca ancora non <strong>di</strong>sponibili. Un limiteche verrà superato solo parecchi anni dopo con l’avvento <strong>di</strong> internet per le masse.29


A partire da queste premesse lo scienziato statunitense immagina una macchinarivoluzionaria dotata <strong>di</strong> schermi, sistemi <strong>di</strong> archiviazione dati, <strong>di</strong> tastiera e svariatigruppi <strong>di</strong> leve e bottoni. Un nuovo strumento a <strong>di</strong>sposizione degli scienziati persvolgere il loro lavoro. Si potrebbe definire un “luogo dell’intelletto”, poiché è lìche sono immagazzinate le informazioni che ogni ricercatore necessita (libri, testi,articoli, appunti che produce etc.) ed è lì che avviene il contatto tra mente umana emacchina.Fig. 6 - A sinistra la copertina <strong>di</strong> una rivista in cui è pubblicato il saggio <strong>di</strong> Vannevar Bush,“As We May Think”. A destra, un’illustrazione del Memex.Il Memex, questo è il nome del <strong>di</strong>spositivo, non solo aiuta a visualizzare i dati<strong>di</strong> cui si ha bisogno in un qualsiasi momento ma agisce anche da estensore dellamemoria in<strong>di</strong>viduale (MEMory EXtender). Nella presentazione dei documenti sicomporta emulando le associazioni <strong>di</strong> idee e concetti che la mente umana e i flussi<strong>di</strong> pensiero producono costantemente. Infatti una volta che la nostra mente ha unelemento a <strong>di</strong>sposizione, tende a saltare istantaneamente all’elemento successivo,suggerito in base ad un intreccio <strong>di</strong> piste (pre)registrate.Il Memex in poche parole è il primo esempio della meccanizzazione dellaselezione per associazione. Un primitivo Hypertext 21 .21Termine inglese che significa "ipertesto", ossia un insieme <strong>di</strong> documenti correlati tra loroattraverso parole chiavi.30


C’è abbondanza <strong>di</strong> aiuti meccanici con i quali effettuare trasformazioni nei documentiscientifici [...] Per il pensiero evoluto non esiste nessun sostituto meccanico. Ma il pensierocreativo e il pensiero essenzialmente ripetitivo sono cose molto <strong>di</strong>fferenti. Per il secondo esistono,e possono esistere, potenti aiuti meccanici. (“As We May Think” Vannevar Bush, 1945)2. La “visione” utopistica <strong>di</strong> Engelbart e Licklider“As We May Think” e l’intuizione del Memex del 1945 sono passaggifondamentali che hanno notevolmente influenzato i fautori della primarivoluzione informatica, avvenuta tra gli anni ‘60 e ‘70 e che ci ha condotto fino aigiorni nostri. Leggere il testo <strong>di</strong> Bush e immaginare il Memex come lo strumentocapace <strong>di</strong> amplificare le conoscenze umane è, facendo le dovute proporzioni (esenza voler ricadere nella blasfemia), come osservare Mosé che in<strong>di</strong>ca al suopopolo la strada verso la terra promessa (computer).Le con<strong>di</strong>zioni tecniche e tecno-logiche affinché si possa raggiungere eranotuttavia ancora proibitive (occorreva attraversare il Mar Rosso).2.1 I “Giant brain” degli anni ‘40Colossus (completato nella sua prima versione nel 1943) era completamenteelettronico, funzionava attraverso 1500 valvole per la logica (2400 nella secondaversione del 1944) e cinque lettori a nastro perforato, capaci <strong>di</strong> leggere fino a5000 caratteri al secondo. Sebbene fosse il primo calcolatore elettronicoprogrammabile della storia e fosse tra le tecnologie più avanzate dei primi anni‘40, aveva comunque molte limitazioni rispetto agli standard a cui siamo abituati(a parte chiaramente la potenza <strong>di</strong> calcolo).In primo luogo non è dotato <strong>di</strong> nessun tipo <strong>di</strong> programma pre installato:affinché potesse eseguire altre operazioni occorreva intervenire <strong>di</strong>rettamente sulcablaggio e sulle valvole. Colossus inoltre non è definibile come computerGeneral-purpose 22 poiché progettato esclusivamente per compiti crittoanalitici.22Identifica hardware e software che risolvono problemi generali e quin<strong>di</strong> non sono de<strong>di</strong>cati aduna specifica funzione.31


Gli esperimenti nei centri <strong>di</strong> ricerca americani ed inglesi (soprattutto militari oassociati ad essi) della prima metà degli anni ’40 continuarono senza sosta, stepby-step,alla creazione e progettazione <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> costosissime macchineelaboratrici che, nel migliore dei risultati ottenuti, potevano vantare una potenza<strong>di</strong> calcolo <strong>di</strong> poche centinaia <strong>di</strong> kHz (molto meno <strong>di</strong> una moderna calcolatrice).Gli elaboratori <strong>di</strong> questi anni erano veri e propri colossi che occupavano interestanze e richiedevano moltissime energie per poter funzionare, sia da un punto <strong>di</strong>vista <strong>di</strong> consumi che da quello degli addetti ai lavori. L’ENIAC 23 (1946)probabilmente è l’esempio più significativo del termine coniato per descrivere icomputer <strong>di</strong> prima generazione, definiti appunto “Giant Brain”: era lungo 30metri, pesava oltre 25 tonnellate, la sua realizzazione costò 500.000$ (circa6.000.000$ o<strong>di</strong>erni) e consumava 150 kW.Tali mezzi erano utilizzati per eseguire calcoli inesplicabili richiesti dalla fisicanucleare; erano macchine esclusivamente pensate per operare number crunching 24massivo. Senza sosta.Elaborazioni dati che implicavano una serie <strong>di</strong> procedure che potremmodefinire anche “rituali”, ed intendevano l’interazione con il computer alla pari <strong>di</strong>uno strumento-ambiente ostile all’uomo a cui bisognava adattarsi.Immaginiamo <strong>di</strong> trovarci all’interno <strong>di</strong> un centro <strong>di</strong> ricerca militare (ouniversitario) dell’epoca e <strong>di</strong> poter osservare l’intero “rito” partendo dalla volontà<strong>di</strong> risolvere un determinato problema: entriamo in una stanza in cui possiamonotare alcuni operatori dall’aria molto indaffarata che cercano <strong>di</strong> identificareesattamente quali sono i dati che il computer deve manipolare e le regolenecessarie alla risoluzione del problema <strong>di</strong> base. Iniziano a co<strong>di</strong>ficarle secondo lalogica più opportuna e successivamente procedono alla compilazione delprogramma. Utilizzano il linguaggio FORTAN 25 .23L'Electronic Numerical Integrator and Computer (ENIAC) è il primo computer elettronicogeneral-purpose, costruito alla Moore School of Electrical Engineering (Pennsylvania) per un excentro <strong>di</strong> ricerca dell'esercito degli USA,il Ballistic Research Laboratory.24Termine inglese la cui traduzione è sgranocchiatore <strong>di</strong> numeri. Così venivano definiti ingergo i computer proprio per le loro capacità computazionali.25Uno dei primi linguaggi <strong>di</strong> programmazione (1954)32


Fig. 7 - ColossusAppena il programma è ultimato incomincia la fase <strong>di</strong> conversione. Altri operatorisi apprestano a trasferire il tutto su schede perforate (il <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> input) e,appena concluso il lavoro, consegnano le schede all’amministratore del sistema al“centro <strong>di</strong> calcolo”, la stanza più grande e calda <strong>di</strong> tutta la struttura.L’amministratore è l’unico a cui è concesso sottoporre i programmi allamacchina, una sorta <strong>di</strong> sommo sacerdote del rituale, me<strong>di</strong>atore tra gli utenti(comuni mortali) e i computer mainframe. Presso <strong>di</strong> lui dopo poche ore o giorni,in base alla mole <strong>di</strong> dati analizzati, è possibile ritirare le stampe con i risultatirichiesti. Ad ogni errore (anche banale) occorreva ripetere tutto da zero.Alla luce <strong>di</strong> questo, le parole e le idee <strong>di</strong> Vannevar Bush nel 1945 dovevanosembrare ancor più allucinate e fantascientifiche.Basti pensare che i teorici “ortodossi” dell’informatica a cavallo tra gli anni ‘40e ‘50 immaginavano un futuro <strong>di</strong> progressi tecnologici che sarebbero stati sfruttatiper costruire computer sempre più gran<strong>di</strong> e più potenti, comandati da pochissimieletti, il cui compito era quello <strong>di</strong> tradurre i problemi del mondo in linguaggiesoterici da sottoporre alle macchine.33


Ciò che aveva immaginato Bush andava ad intaccare proprio quel sistemaelitario, poiché mirava ad un rapporto più <strong>di</strong>retto, personale ed imme<strong>di</strong>ato con lemacchine elaboratrici. Non sorprende quin<strong>di</strong> il fatto che tali idee abbiano avutocre<strong>di</strong>to e (molta) stima solo parecchi anni dopo, grazie all’avvento dellaminiaturizzazione delle tecnologie <strong>di</strong> base e soprattutto ad altre menti altrettantobrillanti e profetiche, che hanno rivoluzionato il mondo creandone <strong>di</strong> nuovi:Douglas Carl Engelbart, Joseph Carl Robnett Licklider e David EdwardSutherland(<strong>di</strong> quest’ultimo ci occuperemo più approfon<strong>di</strong>tamente nel terzocapitolo).2.2 Engelbart e il potenziamento dell’intelletto umanoEngelbart nel 1945 era un giovane radarista della Marina statunitense (1925),impegnato in gran parte delle sue giornate a <strong>di</strong>stinguere le minacce rappresentatedai puntini sugli schermi. Poco prima della fine della guerra si imbattenell’articolo <strong>di</strong> Bush “As We May Think” e ne rimane davvero affascinato.“Sopravvissuto” al conflitto, trova lavoro in una piccola <strong>di</strong>tta <strong>di</strong> elettronica aMountain View (che nel giro <strong>di</strong> pochi anni si sarebbe trasformata da frutteto acuore pulsante e trainante della Silicon Valley), si compra una casa e si sposa.All’età <strong>di</strong> trent’anni compresi che avevo raggiunto tutti gli obiettivi della mia vita [...] mi chiesiche cosa avrei fatto da quel momento in poi e compresi che si trattava <strong>di</strong> una decisione importante.("Realtà Virtuali" Howard Rheingold, citazione <strong>di</strong> Douglas Engelbart, 1983)Nel 1950 mentre attraversava i frutteti della valle per recarsi (come tutti igiorni) al lavoro, incominciò a pensare al futuro. Non solo il suo, ma quello <strong>di</strong>tutti. Cercava <strong>di</strong> capire quali opportunità avrebbe potuto cogliere per rendere ilmondo migliore. Gli ritornò alla mente quanto letto dall’articolo <strong>di</strong> Bush in meritoalla tecnologia e alla sua possibilità <strong>di</strong> essere d’aiuto per la collettività, e subito sirese conto che gli scenari che cercava <strong>di</strong> immaginare si imbattevano sempre suglistessi ostacoli: i problemi dell’uomo <strong>di</strong>ventavano ogni giorno sempre più34


complessi e <strong>di</strong>fficili da risolvere con i mezzi a <strong>di</strong>sposizione. I computer, che inquel periodo numericamente (in tutti gli Stati Uniti) erano circa una dozzina, nonerano all’altezza delle possibilità umane, erano ancora poco potenti e troppotecnici e <strong>di</strong>stanti per essere compresi e considerati strumenti utili alla collettività.Continuava a domandarsi che cosa si sarebbe dovuto fare per cercare <strong>di</strong>incrementare le nostre possibilità e cosa poteva fare lui in particolare per aiutare ilmondo ad essere migliore.Ebbe una sorta <strong>di</strong> rivelazione, <strong>di</strong>venuta ormai (quasi) leggendaria.L’immagine mentale che gli si presenta davanti è quella <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong>persone che lavorano in un modo del tutto nuovo, mai pensato prima. Sono scenesfocate, ma è consapevole che ben presto potranno <strong>di</strong>ventare nitide. Vide personedavanti ad uno schermo televisivo collegato ad un elaboratore <strong>di</strong> informazioni. Sulmonitor venivano visualizzati simboli con cui era possibile interagire per mezzo<strong>di</strong> pulsanti. Le persone controllavano il computer e lo in<strong>di</strong>cavano interagendo congli strumenti <strong>di</strong> conoscenza, informazione e pensiero che integra al suo interno.I had the image of sitting at a big CRT screen with all kinds of symbols, new and <strong>di</strong>fferentsymbols, not restricted to our old ones. The computer could be manipulating, and you could beoperating all kinds of things to drive the computer. The engineering was easy to do; you couldharness any kind of a lever or knob, or buttons, or switches, you wanted to, and the computercould sense them, and do something with it (Douglas Engelbart Interview, December 1986)Gruppi <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> questo tipo, secondo Engelbart , avvalendosi del nuovoprezioso strumento,avrebbero potuto risolvere facilmente qualsiasi tipo <strong>di</strong>problema, anche quelli più complessi. La sua idea dopo tutto è semplice: èconvinto, e lo è stato fin dal primo momento che si è trovato <strong>di</strong> fronte ad uncomputer, che se queste macchine erano in grado <strong>di</strong> mostrare informazioni su untabulato avrebbero potuto anche scriverle e <strong>di</strong>segnarle sullo schermo, così comesarebbero state in grado <strong>di</strong> ricevere input in maniera più “umana”.Aveva trovato l’obiettivo della sua vita: Engelbart voleva realizzare quellavisione.35


Nel 1962, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> 12 anni dalla sua “visione”, pubblica un progettoconcettuale, frutto delle sue ricerche presso lo Stanford Research Institute (SRI) <strong>di</strong>Menlo Park in California, in un documento dal titolo emblematico: “AugmentingHuman Intellect: A Conceptual Framework”.Il testo non è solo uno screening finalizzato a <strong>di</strong>mostrare l’effettiva possibilitàche i computer da “pareti elettroniche vive mangia numeri” possano esseretrasformati in ”strumenti <strong>di</strong> conoscenza risolutori <strong>di</strong> problemi”, ma è qualcosa <strong>di</strong>più: è il manifesto <strong>di</strong> un nuovo modo <strong>di</strong> pensare, progettare e creare tecnologie ilcui scopo principale è appunto quello <strong>di</strong> aumentare le capacità intellettuali umanee conseguentemente quelle della collettività (non a caso lo stesso Engelbart saràconsiderato il pioniere della Network Augmented Intelligence).Parla <strong>di</strong> “possibility of fin<strong>di</strong>ng solution to problems that before seeme<strong>di</strong>nsoluble” attraverso una collaborazione <strong>di</strong>retta tra intelletto umano e computerme<strong>di</strong>ata da uno schermo, <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> input e un nuovo linguaggio.Tutti elementi che (almeno fino a quel momento) non esistevano ancora.Era consapevole, quando ebbe la sua “visione”, che per la sua realizzazioneoltre a fon<strong>di</strong> economici sostanziosi, tecnologie <strong>di</strong> base accessibili e tempi <strong>di</strong>sviluppo relativamente lunghi, occorrevano anche stu<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>ti sullalinguistica, sulla psicologia e sul comportamento umano. Occorreva creare nuovimodelli adatti allo scopo.In “Augmenting Humen Intellect” Engelbart infatti più che cercare soluzionitecniche, traccia le linee-guida teoriche del nuovo modo <strong>di</strong> pensare al rapporto tracomputer-mente umana, illustrandone progressivamente i passaggi che lo hannoispirato. A partire dalle analisi sulla percezione sensoriale, fino ad arrivare allacomprensione delle possibilità <strong>di</strong> sfruttare (in particolare) la linguistica e lecapacità umana <strong>di</strong> elaborare segni come elementi chiave per con<strong>di</strong>zionarel’intelletto umano.Gli in<strong>di</strong>vidui interagiscono sul mondo attraverso limitate possibilità <strong>di</strong>movimento date dai nostri arti, e ricevono dal mondo informazioni tramitel’utilizzo dei sensi. L’interpretazione ed elaborazione <strong>di</strong> questi dati è delegata al36


cervello seguendo due tipologie <strong>di</strong> processi: conscio e inconscio. Il primo sioccupa <strong>di</strong> tutte quelle azioni che coinvolgono in qualche modo la nostra volontà(come riconoscere una forma, ricordare, visualizzare, astrarre, dedurre etc.),mentre il secondo implica la me<strong>di</strong>azione delle informazioni ricevute dai sensi equelle rielaborate dal sistema conscio. La capacità <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione degli inputsensoriali generati consciamente e inconsciamente è inoltre dettata anche dalbackground culturale ed esperienziale che contrad<strong>di</strong>stingue ogni in<strong>di</strong>viduo.In determinate situazioni complesse l’in<strong>di</strong>viduo tende ad ignorare questo tipo<strong>di</strong> informazioni, cercando <strong>di</strong> privilegiare le sue capacità innate derivate dal suobagaglio <strong>di</strong> conoscenze.For instance, an aborigine who possesses all of our basic sensory-mental-motor capabilities,but does not possess our background of in<strong>di</strong>rect knowledge and procedure, cannot organize theproper <strong>di</strong>rect actions necessary to drive a car through traffic, request a book from the library, call acommittee meeting to <strong>di</strong>scuss a tentative plan, call someone on the telephone, or compose a letteron the typewriter ("Augmenting Human Intellect: A Conceptual Framework" D. C. Engelbart,1962)Ogni processo del pensiero ed agire umano, a partire dalle cose più semplicifino ad arrivare a quelle più complesse, è costituito da sotto-processi strutturatigerarchicamente e in<strong>di</strong>pendenti tra loro, la parte integrate <strong>di</strong> un bagaglio, un toolkit<strong>di</strong> capacità che tutti devono conoscere, imparare ad usare al meglio edamplificare. Fanno parte <strong>di</strong> questo repertoire hierarchy tutte le abilità <strong>di</strong> base(definite Explicit Human: movimenti muscolari, utilizzo dei sensi etc.), quelleacquisite dall’uso <strong>di</strong> oggetti (definite Explicit Artifact) e quelle composte dallacombinazione <strong>di</strong> entrambe le competenze (Composite).Engelbart definisce questo tipo <strong>di</strong> sistema attraverso un modello denominatoH-LAM/T 26 in cui il linguaggio umano, gli oggetti, la metodologia e laspecializzazione nel loro utilizzo sono gli ingre<strong>di</strong>enti essenziali delcomportamento umano, dell’intelletto e della percezione del mondo.26Human using Lauguage, Artifacts, Methodology, in which he is Trained37


La scrittura <strong>di</strong> un testo, per esempio, avviene me<strong>di</strong>ante l’uso <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong>processi e sub-processi (sviluppo del soggetto, composizione delle frasi, delleparole etc.), ognuno dei quali deve essere organizzato secondo gerarchie, dettatedall'esperienza, ben precise che vanno a comporre il linguaggio della scrittura.Cosa accadrebbe se un nuovo mezzo tecnologico introducesse un modo <strong>di</strong>verso<strong>di</strong> composizione dei testi? Engelbart cerca <strong>di</strong> rispondere a questa domandaipotizzando un nuovo tipo <strong>di</strong> macchina da scrivere.Una macchina da scrivere elettronica con un particolare meccanismo <strong>di</strong>“stampa”, ben più complesso <strong>di</strong> quelli normalmente utilizzati, in cui il caratterevisibile (stampato) è composto anche da invisibili marcatori che, tramite l’utilizzo<strong>di</strong> un apposito device, consentono <strong>di</strong> leggere e “catturare” il testo per duplicarlo eriutilizzarlo in un nuovo documento. Un sistema che velocizza la creazione <strong>di</strong>bozze e <strong>di</strong> pensieri, liberando notevolmente la creatività dai vincoli strutturalidella scrittura tra<strong>di</strong>zionale.Questa ipotetica macchina da scrivere ci permette in tal modo <strong>di</strong> utilizzare un nuovo processo<strong>di</strong> composizione del testo [...] Se il groviglio <strong>di</strong> pensieri rappresentato dalla bozza <strong>di</strong> uno scritto<strong>di</strong>venta troppo complesso, possiamo compilare velocemente una bozza rior<strong>di</strong>nata. Sarebbe praticopoter adattare una maggiore complessità ai percorsi possibili del pensiero in cerca del percorso chemeglio si adatta alle nostre esigenze [...] ("Augmenting Human Intellect: A ConceptualFramework" Douglas Engelbart, 1962)Un simile strumento innovativo può provocare effetti <strong>di</strong> vasta portata sullegerarchie dei processi e delle capacità umane: alcune possono salire nell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>importanza, altre possono scendere e altre ancora possono essere attivate (capacitàlatenti). In poche parole: è in grado <strong>di</strong> riorganizzarle secondo nuove logiche.The important thing to appreciate here is that a <strong>di</strong>rect new innovation in one particularcapability can have far-reaching effects throughout the rest of your capability hierarchy.("Augmenting Human Intellect: A Conceptual Framework" Douglas Engelbart, 1962)38


Il riposizionamento delle gerarchie del repertorio dei processi e sub-processi èla chiave che caratterizza l’evoluzione dell’intelletto umano. Ad ogni innovazione<strong>di</strong> strumenti, utensili e tecnologie corrisponde un relativo potenziamentodell’intelletto umano e questo sviluppo, nota Engelbart, avviene fin dalla primacomparsa del cervello umano.Gli esseri umani sono le uniche forme <strong>di</strong> vita ad aver sviluppato la possibilità<strong>di</strong> manipolazione dei concetti (attraverso la mente l’uomo può sviluppare concettigenerici da specifiche situazioni e pre<strong>di</strong>re specifiche situazioni da concettigenerali, associati o ricor<strong>di</strong>), <strong>di</strong> poter manipolare simboli (rappresentare pensieri econcetti mentali attraverso l’uso <strong>di</strong> segni ed immagini specifiche), oltre ad unlinguaggio che è sia espressione <strong>di</strong>retta dei pensieri e dei concetti mentali chemezzo principale <strong>di</strong> comunicazione. Il linguaggio si evolve, si mo<strong>di</strong>fica e siarricchisce seguendo l’evoluzione delle tecnologie e delle capacità <strong>di</strong> unadeterminata cultura.Il linguaggio umano è inteso, secondo una concezione neo-Whorfiana 27 , comeil mezzo che influenza più <strong>di</strong> tutti la capacità <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> visione del mondoesterno da parte <strong>di</strong> una determinata cultura. Sia il linguaggio utilizzato da unaciviltà che le capacità <strong>di</strong> pensiero durante la loro evoluzione sono <strong>di</strong>rettamentecon<strong>di</strong>zionati dai mezzi con cui è possibile manipolare simboli.In sintesi, manipolare i simboli equivale a con<strong>di</strong>zionare le capacità cognitivedegli esseri umani.Una <strong>di</strong>mostrazione (puramente concettuale) <strong>di</strong> questa ipotesi potrebbe essere laseguente: immaginiamo una civiltà pari alla nostra ma evoluta in un ambiente incui determinate combinazioni “naturali” e culturali hanno creato i presupposti perpensare all’aspetto (forma e peso) <strong>di</strong> uno strumento <strong>di</strong> incisione (e scrittura) piùsimile ad un mattone anziché a quella <strong>di</strong> una matita.27L'Ipotesi <strong>di</strong> Sapir-Whorf (o ipotesi della relatività linguistica) sostiene che lacategorizzazione linguistica non è solo il risultato dell'organizzazione della nostra esperienza, mane è, allo stesso tempo, la <strong>di</strong>scriminante: chi, infatti, "conosce" linguisticamente il mondo in uncerto modo ne sarà influenzato <strong>di</strong> conseguenza, ovverosia il modo <strong>di</strong> esprimersi influenza il modo<strong>di</strong> pensare.39


Per scrivere accuratamente un testo, seguendo questa premessa, occorreràscrivere più grande e magari premere maggiormente per rendere più nitido,preciso e leggibile il tratto. Come prima conseguenza ci sarà un <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o <strong>di</strong>energie maggiore, ma anche una produzione <strong>di</strong> documenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensionenettamente più voluminose. Le modalità <strong>di</strong> archiviazione (che consentonol’organizzazione del commercio e del governo) e i calcoli (che consentono losviluppo delle scienze) assumeranno una forma molto <strong>di</strong>versa rispetto alla nostra.Un’altra conseguenza <strong>di</strong>retta sarà un progressivo rallentamento dellaproduzione scritta <strong>di</strong> testi a causa dei libri troppo gran<strong>di</strong> e più in generale dellacultura, scoraggiando notevolmente le persone dall’apprendere e dal comprendere.I concetti all’interno <strong>di</strong> questa civiltà si evolveranno <strong>di</strong>versamente e lasimbologia per rappresentarli sarà <strong>di</strong>ssimile rispetto alla nostra.It thus seems very likely that our thoughts and our language would be rather <strong>di</strong>rectly affectedby the particular means used by our culture for externally manipulating symbols, which gives littleintuitive substantiation to our Neo-Whorfian hypothesis ("Augmenting Human Intellect: AConceptual Framework" Douglas Engelbart, 1962)Tramite l’uso <strong>di</strong> computer appositamente progettati, dotati cioè <strong>di</strong> schermo <strong>di</strong>visualizzazione (output) e strumenti <strong>di</strong> interazione uomo-macchina adatti (input),e un linguaggio appropriato fatto <strong>di</strong> immagini e segni, l’uomo è in grado <strong>di</strong>rappresentare facilmente i concetti che vuole manipolare, oltre ad organizzarli(<strong>di</strong>rettamente davanti agli occhi), trasformarli, immagazzinarli e ricordarli. Ogniin<strong>di</strong>viduo così potrà adoperare gli strumenti <strong>di</strong> cui il computer sarà composto (nonsono posti limiti al riguardo): potrà creare immagini estremamente sofisticate,grafici, scrivere testi secondo nuove modalità più affini ai flussi del pensiero edeseguire una vasta quantità <strong>di</strong> processi non più legati alla semplice elaborazionenumerica. Comunicherà con il computer me<strong>di</strong>ante interazioni minime in gradoperò <strong>di</strong> produrre risultati dal potenziale immenso.40


Nel limite <strong>di</strong> quello che è possibile immaginare, Engelbart stava giàdescrivendo l’utilizzo <strong>di</strong> un computer del futuro, ben <strong>di</strong>verso da quell’interazioneritualistica <strong>di</strong> cui abbiamo avuto modo <strong>di</strong> parlare precedentemente.Il rapporto tra utente e computer si fa <strong>di</strong>retto e imme<strong>di</strong>ato. Diventa Personal.I crescenti problemi che la società doveva affrontare e che Engelbart vedevacome un possibile ostacolo, grazie alle macchine per pensare potevano finalmenteessere risolti.2.3 Licklider e la simbiosi uomo computerAnche Licklider ebbe una rivelazione simile a quella <strong>di</strong> Engelbart chetrasformò la sua vita ra<strong>di</strong>calmente. Fu una “sorta <strong>di</strong> esperienza <strong>di</strong> conversione”.Più o meno nello stesso periodo in cui Engelbard iniziò a lavorare allo StanfordResearch Institute ai progetti e ricerche <strong>di</strong> Augmenting Human Intellect, Licklidersi occupava <strong>di</strong> psicoacustica, “costretto” ogni giorno a lavorare con modellimatematici utili a comprendere le complessità del sistema u<strong>di</strong>tivo umano. Manmano che faceva progressi, Licklider cominciò a trovarsi letteralmente sommersoda una mole imponente <strong>di</strong> dati, finché un giorno non decise <strong>di</strong> riflettere sul modoin cui gli scienziati utilizzano il loro tempo. Decise <strong>di</strong> fare un esperimento su séstesso.Durante una comune giornata lavorativa annotò le proprie attività e il tempoche aveva impiegato a portarle a termine. Scoprì qualcosa che fu per lui unascossa, <strong>di</strong>venuta pian piano convinzione, che un nuovo modo <strong>di</strong> lavorare e unnuovo modo <strong>di</strong> pensare poteva e doveva essere realizzato. Circa l’85% del suo“thinking time” o almeno quello che per lui avrebbe dovuto essere tempo de<strong>di</strong>catoa “riflessione”, in realtà era utilizzato per mettere se stesso nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>pensare, per prendere decisioni, per imparare qualcosa che aveva bisogno <strong>di</strong>sapere.Much more time went into fin<strong>di</strong>ng or obtaining information than into <strong>di</strong>gesting it (Licklider)41


Per molti dei lavori ripetitivi che svolgeva quoti<strong>di</strong>anamente (e che svolgequalsiasi scienziato-ricercatore) si accorse, o meglio intuì, un possibile scenario incui le macchine elaboratrici <strong>di</strong> dati (appositamente ri-progettate) avrebbero potutoassumerne l’incarico, lasciando così all’uomo il potere <strong>di</strong> sfruttare al meglio lepotenzialità del suo intelletto.Anche se al momento della sua “visione” (dettata dalla volontà <strong>di</strong> recuperare il“thinking time” sprecato per compiti delegabili alle macchine) nessun computer<strong>di</strong>sponibile poteva essere utilizzato per compiti <strong>di</strong> questo tipo. Aumentavano <strong>di</strong>potenza, ma non <strong>di</strong> intelligenza utile alle necessità <strong>di</strong> Licklider (così come perquelle <strong>di</strong> Engelbart).Ad ogni modo aveva comunque capito quale sarebbe stato il tema centraledello sviluppo tecnologico futuro: gli esseri umani e i computer avrebberolavorato assieme in mo<strong>di</strong> nuovi, occorreva solo concepire il tipo appropriato <strong>di</strong>interfaccia e tecnologia.Ricerche avanzate in questo campo incominciarono a svilupparsi capillarmentenei vari centri universitari <strong>di</strong> tutti gli Stati Uniti, ma la gran parte degli sforzisembrava essere in<strong>di</strong>rizzata verso gli sviluppi sull’intelligenza artificiale. Al MIT,per esempio, i <strong>di</strong>retti “<strong>di</strong>scendenti” degli approcci teorici <strong>di</strong> Alan Turing erano allavoro per consegnare al mondo (anche se nessuno sapeva quanto tempo cisarebbe voluto) una tecnologia informatica che un giorno avrebbe potuto sostituiregli esseri umani nella loro qualità principale, quella che la contrad<strong>di</strong>stingue più <strong>di</strong>tutte: quella <strong>di</strong> essere un animale pensante.Licklider invece intravide un’altra possibilità: anziché macchine capaci <strong>di</strong>sostituirsi all’uomo, suggerisce un accordo cooperativo tra il wetware umano el’hardware e il software dei computer, chiamando questa partnership simbiosiuomo-computer.Nel 1960 pubblica “Man-Computer Symbiosis” in cui espone chiaramentequelli che saranno gli intenti della sua ricerca, iniziata già a partire dal 1957 con lasua visione, e ponendo come obiettivo a lungo termine appunto la simbiosi tral’uomo e i computer.42


Secondo lo scienziato americano, la cooperazione tra l’intelletto-capacitàumane e le componenti elettroniche dovranno consentire in primis <strong>di</strong> facilitarel’esternazione dei pensieri così come ora consentono la risoluzione dei problemiformulati, e secondariamente <strong>di</strong> avere un maggiore controllo decisionale in meritoa situazioni complesse senza la <strong>di</strong>pendenza da programmi predeterminati.Si tratta <strong>di</strong> un concetto biologico più che tecnico. La simbiosi dei due“organismi” <strong>di</strong>versi tra loro (computer e uomo) si ottiene tramite un'intimacollaborazione, finalizzata alla costruzione <strong>di</strong> conoscenza così come avviene innatura nelle società simbiotiche (Blastophaga grossorum e albero <strong>di</strong> fico).“living together in intimate association, or even close union, of two <strong>di</strong>ssimilar organisms” (“Man-Computer Symbiosis” Joseph Licklider, 1960)Tra non molti anni, secondo le speranze <strong>di</strong> Licklider, i cervelli umani ed icalcolatori saranno associati molto strettamente tra loro e il sodalizio che nerisulterà avrà capacità intellettuali che nessun essere umano ha mai avuto,elaborerà dati in un modo a cui nessuna delle macchine per la manipolazione delleinformazione che attualmente conosciamo riesce ad avvicinarsi.I computer <strong>di</strong> prima generazione (come abbiamo visto) erano progettati perrisolvere problemi pre-formulati e processare dati tramite procedure predeterminate.Ad ogni imprevisto o risultato inatteso, l’intero processo si fermavafinché non veniva sviluppata l’estensione necessaria per risolvere lecomplicazioni riscontrate nella risoluzione del problema principale. Unacollaborazione <strong>di</strong> questo tipo può essere considerata tutt’altro che simbiotica.Il cervello umano deve pre-<strong>di</strong>sporre un programma specifico ad ogni necessità,sottoporlo alla macchina assieme ai dati utili ed attendere che il computer, unavolta terminato il processo, ne restituisca il risultato.Tuttavia il requisito della pre-formulazione per la maggior parte dei problemiche l’uomo deve affrontare (in ambiti <strong>di</strong> ricerca scientifico-tecnologico) non puòessere considerato l’approccio più corretto in quanto le formulazioni, i dati e le43


variabili da includere nel sistema non sono per nulla semplici da co<strong>di</strong>ficare,inquanto richiedono sforzi eccessivi e spesso sono frutto <strong>di</strong> frustrazione. In uncontesto simile il rischio <strong>di</strong> imbattersi in errori inattesi durante l’esecuzione deiprogrammi aumenta esponenzialmente in base alla <strong>di</strong>mensione (in termini <strong>di</strong><strong>di</strong>fficoltà) del problema stesso. Molto spesso la domanda "Qual è la risposta (alproblema)? " <strong>di</strong>venta "Qual è la domanda?".L’obiettivo della simbiosi uomo-computer è quello <strong>di</strong> portare le macchine adessere efficaci anche nella formulazione <strong>di</strong> problemi, non solo nel fornire risposte.Il computer che si immagina Licklider deve essere necessariamente <strong>di</strong>verso dalmainframe orientato al controllo, al calcolo e in<strong>di</strong>rizzato a sostituire l’uomoattraverso una sempre più crescente potenza <strong>di</strong> elaborazione e intelligenzaartificiale. Così come il gregario <strong>di</strong> questi mezzi (l’operatore) deve essere <strong>di</strong>versosia dal tecnico analista programmatore che manipola linguaggi esoterici, siadall’utente che interagisce con la macchina attraverso i vincoli imposti daprocedure rigidamente definiti (rituale).Per avvicinare l’uomo e la macchina alla simbiosi occorre un cambiamento chesia determinante, sia nei mezzi che nei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> interagire con essi. Serve unacomputer in grado <strong>di</strong> facilitare l’emergere <strong>di</strong> un nuovo pensiero, che sia un aiutocostante per la creazione <strong>di</strong> nuova conoscenza, poiché il “controllo dellesituazioni complesse”, come abbiamo visto, non può avvenire tramite programmie procedure risolutive pre-impostate ma deve attuarsi tramite la possibilità <strong>di</strong>prendere decisioni, costruire strategie e valutare ipotesi in tempo reale.To enable men and computers to cooperate in making decisions and controlling complexsituations without inflexible dependence on predetermined programs. (“Man-Computer Symbiosis”Joseph Licklider, 1960)Come in tutti i sistemi simbiotici esistenti in natura, Licklider crede che anchein quello “artificiale” uomo-computer esistano i presupposti affinché il potenziale<strong>di</strong> ognuna delle due componenti sia valore aggiunto per entrambe le parti. Gli44


uomini sono rumorosi narrow-band device 28 , ma il loro sistema nervoso ècostituito da numerosi canali che lavorano in parallelo e sonocontemporaneamente sempre attivi. Diversamente i computer sono molto piùveloci e precisi nell’elaborazione numerica, anche se “costretti” a svolgere solopoche operazioni per ogni dato momento. Gli uomini sono “flessibili” in grado <strong>di</strong>ri-programmarsi sulla base <strong>di</strong> nuove informazioni ricevute mentre i computer sonosono vincolati a svolgere funzioni pre-programmate da qualcun altro. E ancora: gliuomini parlano lingue ridondanti organizzate coerentemente intorno agli oggetti ealle azioni impiegando solo pochi elementi, viceversa i computer non utilizzanoun linguaggio ridondante (fatto <strong>di</strong> due simboli 0 e 1).Computing machines can do rea<strong>di</strong>ly, well, and rapidly many things that are <strong>di</strong>fficult orimpossible for man, and men can do rea<strong>di</strong>ly and well, though not rapidly, many things that are<strong>di</strong>fficult or impossible for computers. That suggests that a symbiotic cooperation, if successful inintegrating the positive characteristics of men and computers, would be of great value. ("Man-Computer Symbiosis" J.C.R. Licklider, 1960)La speranza <strong>di</strong> Licklider è quella <strong>di</strong> creare un sistema in cui i cervelli umani e icomputer possano coesistere assieme in un legame, la cui risultante potrà pensarecome nessun cervello umano abbia mai pensato e processare informazioni inmodo mai fatto da nessun computer.2.4 La <strong>di</strong>mostrazione dell’esistenza dei sogni <strong>di</strong> Engelbart e LickliderAll’interno delle “visioni” pionieristiche <strong>di</strong> Engelbart e Licklider si potevaosservare il futuro. Entrambi sapevano che non sarebbe bastato progettare eteorizzare mo<strong>di</strong> nuovi per utilizzare i computer, ma in qualche modo avrebberodovuto anche realizzarli, dare una <strong>di</strong>mostrazione inequivocabile dell’esistenza dei28Dispositivi a banda stretta45


loro sogni e trascinare, assieme ad altri “illuminati” tecnologici, il mondo verso ilnuovo mondo.Nel 1957, dopo aver cercato senza successo <strong>di</strong> far conoscere la propria idea <strong>di</strong>computer, Engelbart trova lavoro presso lo Stanford Research Institute in qualità<strong>di</strong> “semplice” ricercatore. Questo gli permette <strong>di</strong> mettere a punto un modo per farcapire alla gente <strong>di</strong> cosa stava parlando nella sua “visione”. De<strong>di</strong>ca gran parte delsuo tempo libero ad elaborare formalmente la struttura concettuale <strong>di</strong> cui avevabisogno (quello che poi <strong>di</strong>venterà “Augmenting Human Intellect”).Nello stesso periodo Licklider, affermato professore-ricercatore alMassachussetts Institute of tecnology, incominciava ad intuire qualcosa circa lapossibilità <strong>di</strong> delegare parte dei lavori da scienziato alle macchine.Engelbart e Licklider non si conoscevano ancora, ma lentamente i loro percorsiincominciarono ad avvicinarsi. Per farli convergere fu necessario un eventoavvenuto dall’altra parte del mondo. Una "causa scatenante" capace <strong>di</strong> aprire lementi <strong>di</strong> molti scienziati e ricercatori (all'epoca ben più importanti ed influenti <strong>di</strong>Doug e Lick) dallo stallo culturale e tecnologico che si insinuò a decorrere dallafine della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Non è che dal 1945 la tecnologia si fossefermata, anzi tutt'altro, accelerò notevolmente ma sempre verso un'unica<strong>di</strong>rezione: potenziare sempre più i computer affinché elaborino sempre piùinformazioni e più velocemente possibile. Ad eccezione <strong>di</strong> pochi isolati casi, ilcomputer, o meglio il suo scopo, era sempre quello ere<strong>di</strong>tato dagli anni '40.Engelbart e Licklider sono i simboli <strong>di</strong> quei "isolati casi" che negli anni '60avrebbero reso possibile la nascita del computer per come lo conosciamo noi oggi.Gli occhi <strong>di</strong> tutta l’umanità in questo (ennesimo) delicato momento storicocarico <strong>di</strong> tensioni, pronte a sfociare in una nuova guerra, è rivolto principalmentein <strong>di</strong>rezione delle due super-potenze artefici <strong>di</strong> questo status: da una parte gli StatiUniti e dall’altra parte la Russia. Siamo in piena Guerra Fredda e la corsa agliarmamenti, oltre ad aver pericolosamente “arricchito” le due parti <strong>di</strong> testatenucleari, ha anche incentivato notevolmente il progresso tecnologico-scientifico.46


Tuttavia il governo americano in quegli anni stava incontrando molte <strong>di</strong>fficoltànel tenere il passo tecnologico-militare dell’Unione Sovietica e il lancio delloSputnik, il primo satellite artificiale in orbita attorno alla Terra (1957), ne fu laprova in<strong>di</strong>scutibile agli occhi dell’intero pianeta.I Russi erano ufficialmente in grado <strong>di</strong> lanciare oggetti dalle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> unabomba in qualsiasi punto del mondo e anche oltre. Il know-how 29 americanoimprovvisamente non era quello più avanzato. Serviva una scossa e servivasubito. Il lancio dello Sputnik fu la "causa scatenante".A poco tempo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dal lancio del razzo sovietico, il governo americanocreò un <strong>di</strong>partimento finalizzato ad incentivare lo sviluppo <strong>di</strong> nuove tecnologie.Nasce l’Advanced Research Project Agency (ARPA) 30 .L’ARPA aveva il mandato <strong>di</strong> “scovare” e finanziare <strong>di</strong>rettamente le idee piùinnovative, originali, "folli" e rivoluzionarie che potevano aiutare gli Stati Uniti arecuperare cre<strong>di</strong>bilità e superiorità tecnologica nei confronti dei rivali russi.Engelbart e Licklider avevano esattamente il tipo <strong>di</strong> idee <strong>di</strong> cui l'America avevabisogno, che forse il mondo aveva bisogno e che l'ARPA stava cercando.Alcune delle menti più brillanti del MIT vengono “chiamate alle armi” dellabattaglia tecnologica in atto per progettare e costruire il SAGE (Semi-AutomaticGround Envirorment), un sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa radar computerizzato segretissimo cheavrebbe dovuto intercettare eventuali minacce russe. Licklider era tra gli arruolatial progetto e il suo incarico era quello <strong>di</strong> occuparsi degli aspetti “fattori umani”.Al SAGE <strong>di</strong>sponevano sia <strong>di</strong> “cervelli elettronici” gran<strong>di</strong> (immensi a <strong>di</strong>re laverità, i più gran<strong>di</strong> mai costruiti dall’uomo) e potenti che <strong>di</strong> menti umane geniali,oltre ad aver accesso a risorse finanziarie praticamente senza limiti. Erano lecon<strong>di</strong>zioni ottimali affinché le idee che da tempo sia Engelbart che Lickliderpre<strong>di</strong>cavano, potessero essere prese in considerazione nell’ambiente informatico.29Termine inglese che significa letteralmente "sapere come",è utilizzato per identificare leconoscenze e le abilità operative necessarie per svolgere una specifica attività lavorativa.30"Agenzia per i progetti <strong>di</strong> ricerca avanzata per la <strong>di</strong>fesa". È un'agenzia governativa delDipartimento della Difesa degli Stati Uniti, incaricata dello sviluppo <strong>di</strong> nuove tecnologie per usomilitare.47


Ben presto l’idea <strong>di</strong> collegare <strong>di</strong>spositivi video ai computer <strong>di</strong>venne anchefattore <strong>di</strong> primaria necessità, data l’immensa mole <strong>di</strong> informazioni provenientidalla rete <strong>di</strong>stribuita <strong>di</strong> radar del SAGE, che dovevano essere costantementemonitorate e riconosciute.Il fattore “rapi<strong>di</strong>tà” assumeva così una doppia importanza: da un lato occorrevache le informazioni venissero elaborate real time (utilizzando super computeradatti allo scopo, Whirlwind 31 e AN/FSQ-7 32 ) e dall’altro era necessariovisualizzarle istantaneamente su <strong>di</strong>splay grafici in modo tale da facilitare il piùpossibile scelte decisionali (dati elaborati o raffigurati lentamente non potevanoessere certo <strong>di</strong> aiuto in un contesto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa della nazione dalle minacce <strong>di</strong> missilia testata nucleare). Serviva velocità <strong>di</strong> calcolo e <strong>di</strong> rappresentazione.Gli operatori del SAGE furono i primi ad osservare graficamente i datiprovenienti dal computer.Licklider grazie al suo incarico al SAGE conosceva seppur in modoapprossimativo gli sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> avanzamento del progetto, sapeva che da lì a pocoqualcosa <strong>di</strong> grande poteva accadere. Sentiva che la sua “visione” poteva prendereforma. Licklider parlò così delle sue idee a Jack Ruina (1924), professore <strong>di</strong>ingegneria elettrica nonchè il <strong>di</strong>rettore dell’ARPA <strong>di</strong> quel periodo, e lo convinseche queste innovazioni potevano essere il futuro, non solo in ambito militare, maanche per la vita <strong>di</strong> tutti i giorni. Jack Ruina gli credette.Nell’ottobre del 1962 Licklider <strong>di</strong>venne il <strong>di</strong>rettore dell’InformationProcessing Tecnique Office (IPTO), il <strong>di</strong>partimento voluto da Jack Ruina perapprofon<strong>di</strong>re il rapporto tra tecnologie sperimentali (come quelle del SAGE),strumenti e meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> rappresentazione ed elaborazione dati e le loro possibilità <strong>di</strong>sviluppo in campo non militare.Licklider oltre ad aver budget e autorizzazione a sviluppare queste nuovetecnologie dell’elaborazione grafica <strong>di</strong> informazioni, attirò a sé molti deiprogrammatori e giovani appassionati del MIT, dell’Università della California,31Sviluppato nel Massachusetts nel 1947 e <strong>di</strong>venuto operativo ad aprile del 1951, è il primocomputer in grado <strong>di</strong> operare in tempo reale.32Modello <strong>di</strong> supercomputer sviluppato alla fine degli anni '50.48


della Rand Corporation, dell’Università dello Utha e dei più affermati gruppi <strong>di</strong>ricerca degli Stati Uniti. Aveva mosso l’interesse collettivo verso un progetto <strong>di</strong>futuro che ormai in molti iniziarono a con<strong>di</strong>videre ed ammirare. Tra i tanti“convertiti” alla visione <strong>di</strong> Licklider ci fu un certo Robert William Taylor (1932).Bob Taylor in quel periodo era un giovane <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> ricerca della NASA chestava sostenendo progetti scientifici <strong>di</strong> un certo rilievo storico e culturale (sioccupava del programma Apollo 33 , che <strong>di</strong> lì a poco avrebbe mandato, e fattoritornare vivi, un equipaggio umano). Come Licklider aveva interessi inpsicoacustica (argomento del suo progetto <strong>di</strong> laurea) e con<strong>di</strong>videva l’approccioalle nuove tecnologie esplicato in Man-Computer Symbiosis del 1960.Più o meno nello stesso periodo, Taylor ebbe modo <strong>di</strong> incontrare ancheEngelbart nel suo laboratorio allo Stanford Research Institute, ed entusiasmato dalfuturo che riusciva ad immaginare e a far immaginare, decise <strong>di</strong> finanziarne<strong>di</strong>rettamente le ricerche teoriche, le stesse che saranno presenti in AugmentingHuman Intellect del 1962.Le strade <strong>di</strong> Licklider e <strong>di</strong> Engelbart confluirono definitivamente nel 1964grazie all’aiuto <strong>di</strong> Taylor, che raccomandò a Licklider Engelbart il suo team <strong>di</strong>ricerca dell'SRI.Licklider aveva gli strumenti, sopratutto economici, per sviluppare nuove idee,Engelbart aveva le idee, i progetti giusti e un team <strong>di</strong> ricerca avanzato.Un gruppo <strong>di</strong> finanziatori dell’ARPA si recò allo Stanford Research Institute epromise ad Engelbart attrezzature informatiche <strong>di</strong> ultima generazione e fon<strong>di</strong> (1milione <strong>di</strong> dollari all’anno) per creare gli amplificatori dell’intelletto che avevaconcepito nella sua “visione” e descritto nel suo testo pubblicato circa 2 anniprima.Finalmente Engelbart aveva tutti gli elementi necessari a realizzare ciò cheaveva immaginato nel lontano 1950: aveva i progetti, una ricerca lunga undecennio e adesso anche i mezzi tecnologici ed economici.I piani <strong>di</strong> Engelbart erano chiari e semplici.33Programma americano spaziale che portò allo sbarco dei primi uomini sulla Luna.49


Il primo passo fu quello <strong>di</strong> formare l’Augmentation Research Center (ARC),un laboratorio concepito per spingere la tecnologia verso nuovi domini:“augmentation” (potenziamento) in contrapposizione ad“automation” (automazione), cioè potenziare l’intelletto umano anziché cercare <strong>di</strong>generare macchine sempre più potenti e <strong>di</strong>stanti dall’uomo.Già a partire dal nome del suo laboratorio, Engelbart fa capire quanto vuole<strong>di</strong>stanziarsi dalla ricerca scientifico-tecnologica "ortodossa", quella elitaria emondo <strong>di</strong>rezionale che aveva dominato la scena per molti anni. All'ARC sirealizzano, o meglio si cerca <strong>di</strong> realizzare (le premesse del successo c'erano tutte),macchine per pensare e non computer semi-automatici calcolatori.Il gruppo <strong>di</strong> ricerca dell’ARC aveva il compito primario <strong>di</strong> realizzare glistrumenti informatici <strong>di</strong> base, necessari allo sviluppo <strong>di</strong> tecnologie più complesseed avanzate: dall’hardware <strong>di</strong> input e <strong>di</strong> output fino al software <strong>di</strong> comunicazionee sistemi grafici mai pensati prima. Andava creato tutto.Sia il progetto Whirlwind che il SAGE avevano <strong>di</strong>mostrato la fattibilitàdell’idea <strong>di</strong> utilizzare il tubo cato<strong>di</strong>co (CRT) per rappresentare graficamente leinformazioni elaborate dai computer. L’impatto <strong>di</strong> queste innovazioni, create perla prima volta nei centri <strong>di</strong> ricerca militari affini al progetto ARPA, attirò a senuovi possibili sviluppi nel campo dei rapporti tra l’uomo e i computer, benlontani dall’elettronica.I pionieri informatici che avevano reso possibile tecnicamente l’unione traschermi e computer, incominciarono a rendersi conto che i loro stu<strong>di</strong>,parallelamente alla ricerca per migliorare le tecnologie dei <strong>di</strong>splay, dovevanoconcentrarsi in particolare sulla percezione umana. Avevano bisogno <strong>di</strong>comprendere meglio come l’essere umano interagisse con il mondo esterno ecome, da esso, ne è influenzato per realizzare computer sempre più human brainfriendly.I ricercatori del Lincoln Laboratory del MIT ed altri vicini all’ARPA, già apartire dai primi anni ’60, avviarono stu<strong>di</strong> dettagliati sulle modalità <strong>di</strong>50


appresentazione grafica nel sistema monitor-computer: in particolare siconcentrarono nel sviluppare un rapporto funzionale tra pixel e bit.Ivan Edwards Sutherland (1938), uno dei dottoran<strong>di</strong> del Lincoln Laboratory,realizzò Sketchpad (1964), un software che in un sol colpo aveva abbattuto tuttigli ostacoli fino a quel momento riscontrati nei vari tentativi <strong>di</strong> svilupparemodalità <strong>di</strong> interazione e rappresentazioni <strong>di</strong> dati su schermi, e segnò la nascitadella computer graphics e delle interfacce grafiche.Fig. 8 - Ivan Sutherland in alcune delle sue <strong>di</strong>mostrazioni delle funzionalità <strong>di</strong> SketchpadSketchpad era la risposta a ciò che Licklider ed Engelbart stavano cercando.Permetteva agli utenti, tramite un <strong>di</strong>spositivo ottico simile ad una penna, <strong>di</strong> creare,mo<strong>di</strong>ficare, duplicare, salvare, combinare immagini <strong>di</strong>rettamente su uno schermotelevisivo collegato ad un computer. In poche parole si poteva <strong>di</strong>segnare forme,modelli, ambienti tri<strong>di</strong>mensionali attraverso gestualità tipiche del <strong>di</strong>segno.Era qualcosa <strong>di</strong> rivoluzionario nella sua semplicità. Ogni azione dell’utentepoteva essere assimilata e memorizzata dal computer come un qualsiasi altro datoe contemporaneamente generare in tempo reale un cambiamento sullo schermo.Sketchpad era un nuovo linguaggio, una simulazione che permetteva ai computere agli esseri umani <strong>di</strong> comunicare <strong>di</strong>rettamente: cambiando qualcosa sulloschermo cambiava anche qualcosa all’interno della memoria del computer, non si51


trattava ancora <strong>di</strong> una vera e propria bit-map, ma Sutherland aveva intuito il modopiù efficace per far funzionare computer relativamente poco potenti come quellodel Lincoln Laboratory con il <strong>di</strong>splay a tubo cato<strong>di</strong>co. Aveva fatto qualcosa <strong>di</strong>incre<strong>di</strong>bile (Sketchpad) tanto da meritarsi l'appellativo <strong>di</strong> programma piùimportante della storia. Grazie a Sketchpad chiunque poteva vedere che icomputer potevano essere utilizzati anche per scopi ben <strong>di</strong>versi dalla sempliceelaborazione dati. Vedere Sketchpad all’opera, voleva <strong>di</strong>re convincersenefortemente.Si poteva <strong>di</strong>segnare un’immagine sullo schermo con la penna ottica - e poi riportarla nellamemoria del computer. In questo modo infatti si potevano salvare molte immagini. [...] C’eranogià stati schermi grafici e penne ottiche nell’esercito, ma Sketchpad era storico nella sua semplicità- una semplicità, occorre aggiungere, che era stata deliberatamente costruita da un intelletto capace-e nel fatto che non rendeva necessaria nessuna competenza specifica [...] Era, per farla breve, unprogramma semplice che mostrava come potrebbe essere semplice il lavoro dell’uomo se ci fosseun computer tale da essere veramente d’aiuto. ("The Home Computer Revolution" Ted Nelson,1977)Il Fall Joit Computer Conference del 9 <strong>di</strong>cembre del 1968 e più in particolarela sessione denominata “A research center for Augmentig Human Intellect”, eranoil luogo e il momento ideale per osservare il futuro. Engelbart e il suo ARC eranopronti a presentare al mondo le innovazioni che avrebbero cambiato la storia deicomputer. Venne ricordata come “The mother of all demos”.La <strong>di</strong>mostrazione che Engelbart compie del suo sistema NLS (oN Line System)lascia tutti senza fiato. Vennero introdotte features come: il mouse, la videoconferenza, l’ipertesto, il software per l’elaborazione <strong>di</strong> testi e il concetto <strong>di</strong>collaborazione in tempo reale a <strong>di</strong>stanza. Praticamente stavano <strong>di</strong>mostrando ilfuturo. Improvvisamente, agli occhi dei 1000 professionisti del settore presentifisicamente alla conferenza, qualsiasi altro computer sembrò obsoleto. Non potevaessere altrimenti, guardare Engelbart che si muoveva all'interno dei dati, liorganizzava, li con<strong>di</strong>videva, li memorizzava, li rielaborava, in poche parole che52


utilizzava il computer in un modo mai visto prima, doveva essere (per ritornarealla metafora biblica) un pó come osservare Mosè attraversare il Mar Rosso.Al termine della "madre <strong>di</strong> tutte le demo", l'esistenza dei sogni <strong>di</strong> Engelbart eLicklider non doveva essere più <strong>di</strong>mostrata, <strong>di</strong>venne palese a tutti. Il <strong>di</strong>spositivocapace <strong>di</strong> aumentare l'intelletto umano e <strong>di</strong> avere con esso un rapporto simbiotico(che in qualche modo Bush aveva ipotizzato già nel 1945), in cui contribuirono acrearlo altre menti geniali sia attivamente (Sutherland) che passivamente,sostenendo economicamente le ricerche e i progetti (Taylor), <strong>di</strong>venne il punto <strong>di</strong>arrivo <strong>di</strong> una generazione, ma anche quello <strong>di</strong> partenza per altre, pronte a<strong>di</strong>mmaginare nuovi mon<strong>di</strong>.Fig. 9 - Depliant informativo per la sessione <strong>di</strong> demo (The mother of all demos) del 9 <strong>di</strong>cembredel 1968 <strong>di</strong> Douglas Engelbart,3. La Rete nata dalle retiFin dai primi anni ’60 con la nascita dell’ARPA, si iniziò già a creare una rete.Una rete fatta <strong>di</strong> intelligenze (università, centri <strong>di</strong> ricerca, laboratori, aziende <strong>di</strong>comunicazione e informatiche) geograficamente <strong>di</strong>stribuite in tutti gli Stati Uniti ilcui obiettivo era quello <strong>di</strong> sperimentare nuove tecnologie, nuovi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> utilizzarequelle già esistenti ed incentivare in particolare la ricerca sui computer e suglistrumenti <strong>di</strong> comunicazione (prevalentemente in ambito militare). Queste53


intelligenze avevano il compito <strong>di</strong> progettare le tecnologie <strong>di</strong> base che avrebberopermesso il progre<strong>di</strong>re <strong>di</strong> altre ben più sofisticate. In un contesto <strong>di</strong> questo tipo, loscambio continuo <strong>di</strong> informazioni da una parte all’altra della “rete” <strong>di</strong> ricercatori escienziati è senza dubbio uno degli aspetti <strong>di</strong> maggiore importanza. Le normalilinee telefoniche, le pubblicazioni <strong>di</strong> ricerche, le visite in loco, erano tutticollegamenti obsoleti, lenti e poco produttivi per gli obiettivi che la stessa ARPAvoleva raggiungere in tempi brevi. Ben presto quin<strong>di</strong>, la necessità <strong>di</strong> collegareattivamente i no<strong>di</strong> della “rete” tramite nuovi mezzi più veloci e <strong>di</strong>retti, fudeterminante per lo sviluppo <strong>di</strong> quella che sarà conosciuta come ARPANET(l’antenata della moderna e frenetica Internet).[...] è tempo <strong>di</strong> cominciare a pensare ad una nuova e non ancora esistente rete pubblica, unimpianto <strong>di</strong> comunicazione [...] progettato specificatamente per la trasmissione <strong>di</strong> dati <strong>di</strong>gitali traun vasto insieme <strong>di</strong> utenti. ("On <strong>di</strong>stributed communications networks", Paul Baran, 1964)3.1 La commutazione <strong>di</strong> pacchetto <strong>di</strong> Paul Baran e Leonard KleinrockAlla base <strong>di</strong> una rete <strong>di</strong> comunicazione devono esserci procedure ben preciseche ne descrivono i comportamenti. Nel 1960 all’interno della RAND Corporation(uno dei no<strong>di</strong> dell’ARPA), grazie ad una brillante intuizione <strong>di</strong> Paul Baran 34(1926-2011), hanno inizio le prime ricerche sulle modalità <strong>di</strong> invio e ricezione <strong>di</strong>informazioni alfa-numeriche tramite sistemi computerizzati. Basandosi sulfunzionamento delle complesse reti neuronali che compongono il cervello umano,Baran riesce a creare un modello valido denominato in seguito rete <strong>di</strong>stribuita.Tale modello si basa essenzialmente sulla ridondanza e molteplicità delleinterconnessioni del sistema, dove per ogni singolo nodo esistono <strong>di</strong>verseconnessioni verso altri no<strong>di</strong> e le informazioni per raggiungerne uno specificohanno <strong>di</strong>verse possibili strade da percorrere. Il numero delle “vie” percorribiliaumenta con l’aumentare delle <strong>di</strong>mensioni della rete. Un sistema <strong>di</strong> questo tipo,34Ingegnere polacco naturalizzato (acquisito citta<strong>di</strong>nanza) statunitense, considerato uno deiprimi inventori della commutazione a pacchetto.54


così come il cervello umano, riesce a “sopravvivere” anche se alcuni no<strong>di</strong> sonodanneggiati.Un’altra brillante idea suggerita da Baran e ripresa successivamente daLeonard Kleinrock 35 (1934) e Donald Watts Davies 36 (1924-2000) , è il concetto<strong>di</strong> commutazione a pacchetto. Baran suggerisce infatti <strong>di</strong>: sud<strong>di</strong>videre lecomunicazioni in entità elementari <strong>di</strong> lunghezza specifica (pacchetti <strong>di</strong> dati),trasmetterle in seguito assieme alle informazioni necessarie sulla composizionedelle informazioni ed instradarle in<strong>di</strong>vidualmente e in modo in<strong>di</strong>pendente (tramitepercorsi e tempi <strong>di</strong>fferenti), per essere successivamente ricomposte nel punto <strong>di</strong>destinazione.Questo tipo <strong>di</strong> comportamento, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello a trasmissione continua,consente da un lato <strong>di</strong> limitare per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> informazioni (se un pacchetto non arrivaa destinazione o arriva danneggiato o corrotto, il sistema provvede a inviarenuovamente la parte mancante) e dall’altro <strong>di</strong> garantire una maggiore velocità <strong>di</strong>comunicazione in quanto ogni pacchetto tenderà sempre a seguire il percorso(momento per momento) meno saturo.Le idee <strong>di</strong> Baran inizialmente non trovarono riscontro presso la comunitàscientifica dell’ARPA, salvo poi essere riconsiderate grazie ai successiviesperimenti e ricerche <strong>di</strong> Kleinrock e Davies.Basically, what I <strong>di</strong>d for my PhD research in 1961-1962 was to establish a mathematical theoryof packet networks [...] (L. Kleinrock)La commutazione a pacchetti e il concetto <strong>di</strong> rete <strong>di</strong>stribuita erano lefondamenta su cui la futura Rete avrebbe dovuto poggiare.35Informatico statunitense, noto per essere stato il primo a stabilire la comunicazione tracomputer nell'ottobre del 1969.36Informatico gallese, ritenuto uno dei primi inventori della commutazione a pacchetto.55


3.2 Il time-sharing e l’Intergalactic NetworkCon l’istituzione all’interno dell’ARPA dell’IPTO nel 1962, grazie soprattuttoalle idee rivoluzionarie e la lungimiranza <strong>di</strong> Licklider, ci fu uno sviluppotecnologico senza precedenti nella storia: da un lato si alimentarono enormementele ricerche informatiche sulla costruzione <strong>di</strong> computer innovativi (come abbiamovisto nel precedente paragrafo), ben <strong>di</strong>versi da quelli comunemente in uso in quelperiodo, e dall’altro venne incentivata notevolmente la creazione <strong>di</strong> nuovemodalità <strong>di</strong> comunicazione.Si sostiene erroneamente che tali progressi fossero incentivati soprattutto dallenecessità <strong>di</strong> una risposta alla minaccia <strong>di</strong> interruzione delle comunicazioni in caso<strong>di</strong> guerra termonucleare. In realtà Licklider venne scelto per <strong>di</strong>rigere l’IPTO daJack Ruina, appositamente per le sue concezioni <strong>di</strong> computer come strumentosimbiotico al servizio dell’uomo e delle attività <strong>di</strong> comunicazione.La scelta <strong>di</strong> Ruina in<strong>di</strong>rettamente ha con<strong>di</strong>zionato l’evoluzione <strong>di</strong> ciò che <strong>di</strong> lì apoco <strong>di</strong>verrà ARPANET. Il <strong>di</strong>rettore dell’ARPA sapeva che scegliendo Licklider,quest’ultimo avrebbe condotto a sé, e alle sue idee, studenti universitari,appassionati <strong>di</strong> tecnologie, programmatori in<strong>di</strong>pendenti, che poco avevano a chefare con ambienti militari.[...] ARPAnet non nacque per assicurare le comunicazioni militari in caso <strong>di</strong> guerra nucleare -questa è un'impressione sbagliata piuttosto comune - ma piuttosto per collegare computer ericercatori delle università, assistendoli nel condurre ricerche comuni sui computer e sulle reti <strong>di</strong>comunicazione, e per usare questi computer nelle ricerche <strong>di</strong> base. [...]eravamo consapevoli delleapplicazioni potenziali <strong>di</strong> ARPAnet per la sicurezza nazionale, ma gli sforzi per usare taletecnologia a questo fine vennero solo molto dopo. (Intervista rilasciata a Scientific American <strong>di</strong>Charles Herzfeld 37 , 1995)Nel 1963 Licklider viene messo a capo dell’Intergalactic Computer Network(ICN), un gruppo <strong>di</strong> lavoro specifico all’interno dell’IPTO che aveva il compito <strong>di</strong>37Nato nel 1925, conosciuto come <strong>di</strong>rettore dell'ARPA che autorizzò la creazione <strong>di</strong> Arpanet.56


agionare e cercare soluzioni adeguate sui problemi che affliggevano i centri <strong>di</strong>ricerca della rete ARPA.A questo punto è doveroso fare una <strong>di</strong>gressione su uno dei concettifondamentali che hanno permesso lo sviluppo della Rete. Come abbiamo avutomodo <strong>di</strong> analizzare in precedenza (paragrafo 2), i computer, sebbene in questi anniabbiano incrementato notevolmente le loro capacità <strong>di</strong> calcolo e stiano <strong>di</strong>ventandosempre più economici, risultavano essere comunque troppo costosi ed impegnativiper essere de<strong>di</strong>cati ad una singola persona. Da tempo si stavano cercandosoluzioni per velocizzare i processi <strong>di</strong> calcolo e ridurre i “tempi morti” (<strong>di</strong> attesarisultati dei calcoli), ma date le potenzialità tecniche e le numerose <strong>di</strong>fficoltàlegate allo sviluppo <strong>di</strong> una gestione multi utente <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> elaboratori, icomputer continuavano comunque ad essere de<strong>di</strong>cati all’esecuzione <strong>di</strong> un soloprogramma alla volta.Nel 1957 l'informatico Bob Berner (1920-2004) introdusse per la prima volta ilconcetto <strong>di</strong> time-sharing 38 in una pubblicazione su “Automatic ControlMagazine”, <strong>di</strong> cui il primo progetto ufficiale venne avviato da John McCarthy 39(1927-2004), alla fine dello stesso anno.In quel periodo McCarthy ha avuto modo <strong>di</strong> osservare molto da vicino losviluppo del progetto SAGE, che oltre ad essere uno dei primi sistemi adutilizzare <strong>di</strong>splay grafici con interfaccia utente point-and-click 40 , era dotato <strong>di</strong>supporto multiutente tramite l’utilizzo del time-sharing. Si trattava comunque <strong>di</strong>un computer special purpouse, realizzato cioè per compiti specifici ,che nonpermetteva lo sviluppo interattivo <strong>di</strong> programmi. Da questa esperienza iniziò aconcepire uno schema per lo sviluppo <strong>di</strong> un sistema time-sharing generalpurpouse, ossia de<strong>di</strong>cato non solo ad un singolo possibile utilizzo, descritto38Termine inglese che significa "partizione <strong>di</strong> tempo" (sin. multitasking) ed è il modello <strong>di</strong>elaborazione per sistemi operativi, sviluppato della tecnica <strong>di</strong> multiprogrammazione, che permettel'esecuzione ciclica <strong>di</strong> più processi da parte della CPU.39Informatico statunitense, conosciuto per essere stato l'inventore dell'intelligenza artificiale,ossia l'abilità <strong>di</strong> un computer <strong>di</strong> svolgere funzioni e ragionamenti tipici della mente umana, nel1955.40Interfaccia adoperata per facilitare l’utente nell’analisi dei dati con le tecniche <strong>di</strong> analisiinterattive, basate sul semplice uso del mouse, che richiedono una minima istruzione.57


accuratamente in un memorandum del 1959 dal titolo “A Time Sharing OperatorProgram for our Projected IBM 709”. Questo tipo <strong>di</strong> sistema fu l’essenzialeprecursore che ha permesso lo sviluppo del Computer Networking. Lickliderassimilò il concetto <strong>di</strong> time-sharing per sviluppare un’idea altrettanto importanteper quanto riguarda il futuro dell’interazione uomo-computer. Non pensò (almenoper il momento) <strong>di</strong> dotare ogni in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> un computer de<strong>di</strong>cato (costi troppoelevati), pensava piuttosto a sistemi centralizzati, cui tutti potevano accedereattraverso un terminale remoto. Questo tipo <strong>di</strong> applicazione avrebbe consentito,oltre un utilizzo più intelligente delle risorse (in termini <strong>di</strong> uomini e <strong>di</strong> macchine)<strong>di</strong>stribuite nei vari centri affiliati al progetto ARPA, anche comunicazione e<strong>di</strong>nterscambio <strong>di</strong> informazioni. Il concetto <strong>di</strong> time-sharing, dove una grossamacchina <strong>di</strong>videva le sue capacità <strong>di</strong> calcolo per un certo numero <strong>di</strong> utenti a<strong>di</strong>ntervalli <strong>di</strong> operazioni regolari, è l’idea chiave alla base dei programmi scientificidell’IPTO <strong>di</strong> Licklider. L’obiettivo principale ben presto <strong>di</strong>venne quello <strong>di</strong>costruire una macchina multi-user che fosse in grado <strong>di</strong> eseguire programmisoftware in parallelo. Licklider riteneva che nel giro <strong>di</strong> pochi anni il sogno <strong>di</strong>creare una macchina dalle potenzialità spiccatamente interattive e in grado <strong>di</strong> farcomunicare le persone a <strong>di</strong>stanza e in un modo del tutto <strong>di</strong>fferente dal telefono,si sarebbe concretizzato. Inoltre notò anche che la rete intergalattica che <strong>di</strong> lì apoco si sarebbe sviluppata, avrebbe potuto affermarsi solo se tali macchineinterattive sarebbero state alla portata <strong>di</strong> tutti.Twenty years from now, some form of keyboard operation will doubtless be taught inkindergarten, and forty years from now, keyboards may be as universal as pencils, but at presentgood typists are few. ("One-Line Man Computer Communication", Licklider, Welden E. Clerck,August 1962)Nel 1963 Licklider scrive una serie <strong>di</strong> appunti interni al progetto ARPA daltitolo “Memorandum For Members and Affiliates of the Intergalactic ComputerNetwork” in cui espone profeticamente i concetti, i problemi da risolvere al fine <strong>di</strong>creare l’Intergalactic Network voluto dall’ARPA e collegare così in una rete glielaboratori a <strong>di</strong>sposizione nei vari centri. Il periodo <strong>di</strong> Licklider al comando58


dell’IPTO (1962-1965) non fu lungo da veder realizzate le sue idee, ma in uncerto senso il suo spirito innovativo e rivoluzionario venne tramandato ai suoisuccessori, Ivan Surtherland e Robert Taylor.3.3 Arpanet per un milione <strong>di</strong> dollariNel 1966 le idee <strong>di</strong> Licklider sembravano mature per poter essere finalmenteportate da una fase progettuale ad una operativa. Bob Taylor incontra CharlesHerzfeld (nuovo <strong>di</strong>rettore dell’ARPA) per illustrare i risultati ottenuti con letecnologie <strong>di</strong> base (time-sharing, commutazione a pacchetti, etc.) e richiedere ifon<strong>di</strong> necessari per la messa in opera della rete <strong>di</strong>stribuita.Si <strong>di</strong>ce che siano bastati solo 20 minuti a Taylor per ottenere il milione <strong>di</strong>dollari <strong>di</strong> cui l’IPTO aveva bisogno per sviluppare le idee <strong>di</strong> Licklidersull’Intergalactic Network.Il capo scelto per assumere il comando del progetto ARPAnet fu Larry Robertsche, nei primi mesi del 1967,organizza una serie <strong>di</strong> incontri con i vari centri eorganismi accademici-universitari, al fine <strong>di</strong> esporre quelli che saranno i nuoviobiettivi e progetti. Molti degli enti coinvolti però si <strong>di</strong>mostrarono scettici inquanto poco convinti che l’idea <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre parte delle loro risorseinformatiche, già fin troppo scarse, all’interno <strong>di</strong> una Rete fosse la soluzionemigliore per il progresso della tecnologia e della ricerca.Douglas Engelbart, <strong>di</strong>rettore dell’ARC presso lo Stanford Research Institute,decide invece <strong>di</strong> sostenere tale progetto, convinto come Licklider e Taylor che laRete sarebbe stato strumento <strong>di</strong> fondamentale importanza per tutto il genereumano. Prima però bisognava risolvere una serie <strong>di</strong> problemi legati soprattuttoalla compatibilità <strong>di</strong> linguaggi tra i vari computer esistenti, che spesso neimpe<strong>di</strong>vano la comunicazione. Lo stesso tipo <strong>di</strong> problematiche suscitate daLicklider qualche anno prima nel "Memorandum For Members and Affiliates ofthe Intergalactic Computer Network". Per cercare <strong>di</strong> oltrepassare le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong>compatibilità tra i modelli <strong>di</strong> computer utilizzati nei vari centri <strong>di</strong> ricerca,59


isognava pensare ad un sistema <strong>di</strong>verso che esuli dalla volontà <strong>di</strong> collegare lemacchine <strong>di</strong>rettamente tra loro, un contributo molto importante su questo tipo <strong>di</strong>interazione arrivò grazie all'informatico Wesley Clark (1927). La sua idea, moltosemplice ed efficace, consisteva nel creare una sottorete <strong>di</strong> computer tutti uguali,denominati IMP (Interface Message Processor), e pienamente compatibili traloro, de<strong>di</strong>cati esclusivamente alla trasmissione e ricezione dei dati. In questomodo tali macchine avrebbero comunicato tramite lo stesso linguaggio senzariscontrare particolari <strong>di</strong>fficoltà, e ogni nodo (costituito dal mainframe del centro<strong>di</strong> ricerca) della Rete che si stava progettando, avrebbe dovuto essere istruito perinterpretare e <strong>di</strong>alogare esclusivamente con la sottorete, anziché con tutti gli altricomputer della Rete.Le tecnologie per la costruzione della Rete <strong>di</strong>stribuita erano ormai tutte<strong>di</strong>sponibili e ampiamente testate, occorreva passare dalla teoria all’azione. Nel1969 grazie agli sforzi dell’ARPA ed in particolare dei centri <strong>di</strong> ricerca affiliati,che avevano testato la commutazione <strong>di</strong> pacchetti e sviluppato gli IMP necessarialla creazione della sottorete per la comunicazione con i no<strong>di</strong> principali, venneroufficialmente stabilite le prime connessioni.Il 30 agosto L’IMP numero 1, un computer <strong>di</strong> 12k <strong>di</strong> memoria il cui co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong>sistema necessario al funzionamento occupa circa 800 metri <strong>di</strong> nastro perforato,viene interfacciato al computer Siggma-7 dell’UCLA (University of CaliforniaLos Angeles). Il 1° ottobre L’IMP numero 2 raggiunge lo Stanford ReserachInstitute a Menlo Park in California ed iniziano le sperimentazioni <strong>di</strong> invio ericezione messaggi. Il primo tentativo consisteva nell’invio della parola login, magiunsero a destinazione solo le lettere “l” e “o” prima <strong>di</strong> una caduta improvvisadella connessione. Successivamente, solo dopo aver ripristinato il sistema, fupossibile leggere dall’altro lato del collegamento la parola intera.Fu un successo.Nel giro <strong>di</strong> pochi mesi vennero aggiunti altri importanti no<strong>di</strong> e stabilizzate leconnessioni.Era ufficialmente nata Arpanet.60


Sai, Larry, questa rete sta <strong>di</strong>ventando troppo complessa per essere <strong>di</strong>segnata sul retro <strong>di</strong> unabusta" 41È bene sottolineare a questo punto la duplice importanza che ha avuto, e che hatuttora, l’idea della commutazione a pacchetto (elemento car<strong>di</strong>ne che ha permessola nascita e lo sviluppo della Rete), per il mondo non tecnico: in primo luogo hapermesso la creazione <strong>di</strong> un sistema comunicativo decentralizzato (senza uncontrollo centrale), in cui ogni nodo <strong>di</strong> smistamento sa dove e come fare arrivarele informazioni richieste a destinazione; in secondo luogo, l’idea dei “pacchetti”garantisce la possibilità non solo <strong>di</strong> trasportare semplici messaggi, ma anche <strong>di</strong><strong>di</strong>slocare tutto ciò che gli uomini sono in grado <strong>di</strong> percepire e le macchine <strong>di</strong>elaborare (voci, suoni, video, immagini ecc...). Fattore determinante perl’esplosione della Rete come mezzo <strong>di</strong> comunicazione universale e multime<strong>di</strong>ale.Parallelamente ai primi esperimenti <strong>di</strong> time-sharing degli anni '60 nei laboratoriaffiliati all’ARPA che consentivano a molti in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> interagire <strong>di</strong>rettamentecon il computer centrale per mezzo<strong>di</strong> un punto <strong>di</strong> accesso (terminale),invece <strong>di</strong> aspettare il loro turno perpresentare i programmi aglioperatori informatici, vennerosviluppate anche altri tipi <strong>di</strong>risorse che <strong>di</strong>venteranno il car<strong>di</strong>nedella nuova rete. Come suggerisceHoward Rehingold 42 (1947) nellibro "Comunità virtuali", dalmomento che si costruisce un sistema<strong>di</strong> elaborazione che consente aFig. 10 - Illustrazione <strong>di</strong> Leonard Kleinrockdei no<strong>di</strong> della Rete ARPANET nel 1972cinquanta-cento programmatori <strong>di</strong> interagire <strong>di</strong>rettamente e in<strong>di</strong>vidualmente con41Leonard Kleinrock tramite un commento ironico al suo amico Larry Roberts fa notare lasomiglianza della rete ad una busta.42Critico letterario statunitense noto per aver coniato il termine "comunità virtuali".61


l’elaboratore principale, si sta automaticamente creando il potenziale per unacomunità. Infatti la posta elettronica fu una delle primissime funzionalità chevenne implementata assieme al time-sharing. Con<strong>di</strong>videre la potenza <strong>di</strong> calcolodell’elaboratore voleva <strong>di</strong>re anche con<strong>di</strong>videre le conoscenze <strong>di</strong> ogni singolooperatore al lavoro.La posta elettronica non fu più abbandonata, anzi venne presto trasferitaall’interno della neonata Rete per consentire la comunicazione a <strong>di</strong>stanza eimme<strong>di</strong>ata tra operatori geograficamente <strong>di</strong>stribuiti.Grazie ad essa infatti era possibile inviare con la stessa facilità un messaggio <strong>di</strong>poche righe ad un unico destinatario, così come un messaggio <strong>di</strong> cento pagine aduna o mille persone.I pionieri <strong>di</strong> ARPANET stavano già sperimentando (probabilmente senzaesserne del tutto consapevoli) un nuovo mezzo e nuove modalità <strong>di</strong>comunicazione: si scambiavano messaggi, file, conoscenze, ma anche battute esemplici chiacchiere tra studenti. Non era solo uno strumento con cui creavanoconnessioni finalizzate alla ricerca scientifica, era anche un nuovo modo <strong>di</strong>interfacciarsi con altre persone <strong>di</strong>stanti geograficamente. I privilegiati a far parte<strong>di</strong> questa Rete <strong>di</strong> conoscenza stavano sperimentando il linguaggio e gli effettidella comunicazione attraverso i computer.3.4 “The Computer as a Communication Device”Prima che nel 1969 il prototipo <strong>di</strong> ARPANET entrasse in funzione, Licklider eRobert Taylor (i padri <strong>di</strong> questo progetto) scrissero un articolo dal titolo più chemai premonitore <strong>di</strong> come nel corso degli anni sarebbe cambiato il computer e ilsuo utilizzo: “The Computer As Communication Device”.Nel giro <strong>di</strong> pochi anni, gli uomini saranno in grado <strong>di</strong> comunicare più efficacemente tramiteuna macchina che in incontri faccia a faccia. ("The Computer As Communication Device" J.C.R.Licklider and Robert W. Taylor, 1968)62


Secondo Licklider, la possibilità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre informazioni all’interno <strong>di</strong> unaRete e la possibilità <strong>di</strong> accesso a risorse <strong>di</strong> calcolo significative nelle mani <strong>di</strong>utenti esperti, erano le componenti fondamentali per lo sviluppo spontaneo <strong>di</strong> unnuovo ambiente in grado <strong>di</strong> stimolare il pensiero e la comunicazione.Dall’interazione tra persone me<strong>di</strong>ata attraverso il computer, sarebbero potutenascere nuove e proficue idee, in cui le risorse con<strong>di</strong>vise all’interno del sistemareteavrebbero ulteriormente facilitato gli in<strong>di</strong>vidui nella risoluzione <strong>di</strong> problemitramite soluzioni creative e funzionali.L’idea espressa nell’articolo si basava sull’osservazione dettagliata del sistemapresentato alla "Madre <strong>di</strong> tutte le demo" da Engelbart nella storica conferenza1968 (ve<strong>di</strong> paragrafo 2). Un certo numero <strong>di</strong> operatori era riunito in una salaappositamente attrezzata con questo innovativo sistema <strong>di</strong> interazione, impegnatoad osservare grafici e testi prodotti per la riunione, <strong>di</strong>scutendone <strong>di</strong> volta in volta iloro contenuti.Da questa sessione sperimentale Licklider e Taylor avevano avuto modo <strong>di</strong>confermare le loro ipotesi iniziali, cioè che al centro del processo <strong>di</strong>comunicazione c’è sia uno scambio <strong>di</strong> modelli <strong>di</strong> informazione pre-esistenti cheuna creazione continua <strong>di</strong> nuovi modelli mentali.<strong>di</strong> sicuro i modelli più numerosi, più sofisticati, sono quelli che risiedono nelle menti degliuomini. ("The Computer As Communication Device" J.C.R. Licklider and Robert W. Taylor, 1968)Questi modelli sono generati all’interno della mente del singolo in<strong>di</strong>viduosecondo processi <strong>di</strong> elaborazione <strong>di</strong> ciò che si percepisce attraverso i sensi (parole,immagini, suoni), delle proprie esperienze e dei ricor<strong>di</strong> immagazzinati inmemoria. Essi sono <strong>di</strong> natura strettamente personale e privata, quin<strong>di</strong> per esserecon<strong>di</strong>visi, percepiti, <strong>di</strong>scussi e assimilati da altri devono essere necessariamenteesternati. Il processo <strong>di</strong> esternazione dei modelli mentali, consente agli in<strong>di</strong>vidui<strong>di</strong> concordare e coor<strong>di</strong>nare le azioni e <strong>di</strong> incrementare conseguentemente lacapacità <strong>di</strong> controllo collettivo sull’ambiente.63


Il computer <strong>di</strong> nuova generazione (che Licklider ed Engelbart avevanoimmaginato e che stavano contribuendo a creare) capace <strong>di</strong> combinare nuovemodalità <strong>di</strong> rappresentazione delle immagini alle tecnologie <strong>di</strong> comunicazione, semesso a <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> tutti, avrebbe rappresentato lo strumento <strong>di</strong>collaborazione più potente che sia mai stato inventato.Con<strong>di</strong>videre informazioni, passare da livelli <strong>di</strong> macro analisi a livelli piùdettagliati delle stesse, assemblare e costruire nuovi modelli <strong>di</strong> pensiero, tagliareed incollare dati, sono tutte potenzialità concepite dai nuovi mezzi informatici coni quali è possibile costruire forme <strong>di</strong> comunicazione fluide e <strong>di</strong>namiche,completamente <strong>di</strong>fferenti a qualsiasi altra forma collaborativa resa possibile con iprecedenti ausili tecnologici.Se a questo ci aggiungiamo anche le capacità <strong>di</strong> collegare tale conoscenzagenerata dal lavoro <strong>di</strong> un gruppo, <strong>di</strong> una comunità locale, <strong>di</strong> un centro <strong>di</strong> ricerca ouniversità attorno ad un computer, con altre geograficamente <strong>di</strong>stribuite,otteniamo una crescita esponenziale delle potenzialità dell’intelletto collettivo.[...] Allo stato attuale vi sono forse non più <strong>di</strong> una dozzina <strong>di</strong> comunità che operano concomputer interattivi multi-accesso. Si tratta <strong>di</strong> comunità socio-tecniche pionieristiche, e pre <strong>di</strong>verseragioni molto più avanti del resto del mondo che ha a che fare con i computer [...] Essere collegatisarà un privilegio o un <strong>di</strong>ritto? Se la possibilità <strong>di</strong> sfruttare il vantaggio dell’amplificazionedell’intelligenza sarà riservata a un’élite privilegiata, la rete non farà che esasperare le <strong>di</strong>fferenzetra le opportunità intellettuali. Se invece l’idea della rete dovesse risultare, come noi speravamoprogettandola, un ausilio per l’istruzione, e se tutte le menti vi dovessero reagire positivamente, <strong>di</strong>certo il beneficio per il genere umano sarà smisurato. ("The Computer As Communication Device"J.C.R. Licklider and Robert W. Taylor, 1968)La rete immaginata da Licklider sconvolge il para<strong>di</strong>gma della comunicazionetipico dei me<strong>di</strong>a, come il telefono e la televisione. Non c’è una più un sistemacomposto da una sola fonte, un solo canale <strong>di</strong> trasmissione e un solo ricevente. Lacomunicazione me<strong>di</strong>ata dal computer nella Rete assume forme più instabili emutevoli che sono sempre nuove.I partecipanti alle comunità in Rete sono soggetti attivi che costruiscono <strong>di</strong>volta in volta il proprio mondo <strong>di</strong> significati e <strong>di</strong> modelli costantemente64


inegoziabili con gli altri, al fine <strong>di</strong> generare un nuovo significato e nuovacomprensione. Una nuova conoscenza.3.5 Lo Xerox Parc e la nascita <strong>di</strong> internetNel 1969 Peter McCullogh,, amministratore delegato della Xerox, proclamòl’intenzione <strong>di</strong> fare della sua azienda l’architetto delle informazioni per il futuro.Istituì il laboratorio informatico denominato PARC (Palo Alto ResearchCenter). Le aspettative <strong>di</strong> questo nuovo colosso sulla ricerca informatica <strong>di</strong>tecnologie e sulla sperimentazione <strong>di</strong> nuovi device e sistemi <strong>di</strong> interazione uomomacchinaerano elevate, così come l’interesse che suscitava a gran parte delgruppo <strong>di</strong> innovatori che era impegnato nei progetti dell’ARPA.Le giovani “superstar” della programmazione che avevano reso possibile lanascita <strong>di</strong> ARPANET, sentivano sulle loro spalle il peso che la guerra del Vietnamstava portando con sé, per molti <strong>di</strong> loro non era per nulla facile lavorare per ilDipartimento della Difesa. La Xerox chiamò Robert Taylor e quest’ultimo vollecon sé Alan Kay 43 (1940), con il seguente trasferimento <strong>di</strong> molti altri personaggi<strong>di</strong> spicco dell’ARPA al PARC. Confluirono tutti in un ambiente dove il <strong>di</strong>rettoredella ricerca con<strong>di</strong>videva le loro opinioni in merito alla tecnologia informatica ecome doveva svilupparsi nell’imme<strong>di</strong>ato futuro, avevano a <strong>di</strong>sposizione lemigliori strumentazioni dell’epoca e un budget economico molto importante.Molte delle idee che segnarono la prima rivoluzione informatica, quelladell’ARC <strong>di</strong> Engelbart (dalle macchine calcolatrici al computer come strumentodell’intelletto), passarono al PARC, dove avevano intenzione <strong>di</strong> portarle ad unlivello più elevato, al fine <strong>di</strong> creare computer sufficientemente potenti, compattied economici da poter essere <strong>di</strong>sponibili e utilizzabili da chiunque: Personalcomputer.43Informatico statunitense, conosciuto com l'inventore del linguaggio <strong>di</strong> programmazioneSmalltalk, programmazione orientata agli oggetti. Inoltre ha concepito i laptop, le interfaccegrafiche moderne e ha contribuito a creare ethernet ed il modello client-server.65


Per farlo avevano bisogno che il prezzo delle due principali componenti deicomputer (elaboratore e schermo) fossero <strong>di</strong>sponibili a costi decisamente piùbassi. Grazie alle nuove tecnologie per la fabbricazione <strong>di</strong> entrambi gli elementinecessari al team <strong>di</strong> sviluppo del PARC ci fu un graduale ma costante<strong>di</strong>mezzamento del prezzo, così come aveva predetto Gordon Moore 44 (1929) che,secondo le loro stime, avrebbe permesso <strong>di</strong> realizzare l’obiettivo entro sette anni.Progettarono un’interfaccia grafica uomo-computer che si basava sullatecnologia bit-mapped (simile a quella creata da Sutherland con Sketchpad e chemancava all’ARC) in cui ciascun elemento dell’immagine sullo schermo èrappresentato da un bit specifico nella memoria del computer (la memoria delcomputer contiene una mappa <strong>di</strong> bit che corrisponde alla configurazione dei pixelsullo schermo). La comunicazione tra pixel e bit è biunivoca: è possibile agire sulbit del computer e osservare il cambiamento sullo schermo, ed è possibile agiresullo schermo per esempio cliccando tramite il <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> puntamento su unimmagine ed osservare il computer reagire.Le idee <strong>di</strong> Engelbart, successivamente riprese da Ivan Sutherland e da AlanKay, hanno reso possibile lo sviluppo dell’interfaccia grafica come strumentoessenziale dell’interazione uomo-computer. Con Smart-Talk, sviluppato alloXerox PARC tra il 1968 e il 1972, Alan Kay introduce l’utilizzo <strong>di</strong> un linguaggioiconico e <strong>di</strong> una rappresentazione grafica delle funzioni del computer (cartelle,menu, sovrapposizione <strong>di</strong> finestre ecc...) come principale strumento <strong>di</strong> interfacciatra uomo e computer, oggi conosciuta come metafora del desktop.Il desktop <strong>di</strong> Alan Kay è stato <strong>di</strong>fatti il primo mondo Virtuale in cui l’uomoabbia mai potuto immergersi e navigare.La sensazione <strong>di</strong> immersione non era data da immagini tri<strong>di</strong>mensionalistereoscopiche fluttuanti che reagivano conseguentemente allo spostamento dellatesta, ma piuttosto dai processi mentali che avvengono grazie all’utilizzo delleicone come strumento <strong>di</strong> controllo e comunicazione con il computer.44Informatico ed impren<strong>di</strong>tore statunitense che aveva previsto il <strong>di</strong>mezzamento del costo dellapotenza degli elaboratori ogni due anni.66


Il computer è un me<strong>di</strong>um! L’avevo sempre considerato uno strumento, forse un veicolo [...]Quello che McLuhan voleva <strong>di</strong>re è che se il computer è un nuovo vero mezzo <strong>di</strong> comunicazione,allora il suo uso effettivo dovrebbe ad<strong>di</strong>rittura cambiare gli schemi <strong>di</strong> pensiero dell’intera civiltà.(Alan Kay)Nel 1973 il team dello Xerox PARC progettò e costruì per uso interno, comestrumento <strong>di</strong> esplorazione delle nuove tecnologie e progettazione <strong>di</strong> sistemisempre più avanzati, il primo Personal Computer della storia: lo Xerox ALTO. sLo sviluppo <strong>di</strong> ARPANET continuò ad essere costante fino al 1983 quando sisdoppiò in ARPANET (utilizzata per la ricerca) e MILNET (utilizzata per scopimilitari). Entrambe le reti continuavano ad essere geograficamente <strong>di</strong>stribuite,<strong>di</strong>sponevano, tra i vari no<strong>di</strong>, <strong>di</strong> linee <strong>di</strong> connessione ad alta velocità e ad altaportata <strong>di</strong> utenza. Sempre nello stesso anno venne realizzata da alcuniprogrammatori dell’ARPA una nuova versione <strong>di</strong> Unix (sistema operativoaltamente utilizzato in ambienti accademici e universitari) compatibile con iprotocolli <strong>di</strong> comunicazione della Rete (TCP/IP 45 ) e <strong>di</strong>stribuito ad un prezzoaccessibile. Ben presto ARPANET incominciò ad espandersi <strong>di</strong> sottoreti locali atemi <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione specifiche interne agli ambienti accademici ed universitari,<strong>di</strong>ventando sempre più una Rete <strong>di</strong> reti. Più cresceva e più le persone volevanoentrare a far parte <strong>di</strong> questo network <strong>di</strong> intelligenze che si scambiano conoscenze,informazioni e dati in ogni parte degli Stati Uniti.A partire dagli anni '80 fu chiamata dapprima ARPA Internet e successivamentesolo INTERNET.Il progetto iniziato negli anni '60 dall’IPTO <strong>di</strong> Licklider <strong>di</strong>venne nel giro <strong>di</strong>vent’anni la rete intergalattica che aveva ipotizzato e sognato, i suoi sforzi, cosìcome quelli <strong>di</strong> tutti i ricercatori, hanno reso possibile la nascita del più potentemezzo <strong>di</strong> comunicazione e con<strong>di</strong>visione che l’uomo abbia mai inventato.Il luogo ideale per amplificare l’intelletto.45Transfer Control Protocol / Internet Protocol67


CAPITOLO SECONDO:Socializzare al tempo della “Rete”4. Comunicazione e con<strong>di</strong>visione del Sé in ReteL’affermazione <strong>di</strong> una cultura “<strong>di</strong>gitale” nei principali laboratori Universitari(MIT, SRI ecc..) e militari (ARPA, IPTO etc..), sfociata nei successi con larealizzazione delle macchine per pensare volute da Engelbart, capaci <strong>di</strong>aumentare l’intelletto umano, ed avvicinarsi sempre più alla visione <strong>di</strong> simbiositra uomo e tecnologie sognata da Licklider, conferì indubbiamente sia maggioreatten<strong>di</strong>bilità alle ricerche sulle innovazioni tecnologiche, che la fiducia necessariaa spingersi oltre, andando cioè sempre più in profon<strong>di</strong>tà nell’esplorazione dellepossibilità <strong>di</strong> questi nuovi potentissimi strumenti.Ciò avrebbe richiesto una revisione del modello <strong>di</strong> cultura tecnologica ecomunicativa su cui erano stati conseguiti gran parte dei successi raggiunti.Una volta che il computer aveva raggiunto la soglia necessaria <strong>di</strong> potenza,velocità e usabilità, poteva superare le barriere comunicative (tempo e spazio) ecollaborative tra le persone.Come abbiamo visto nel precedente capitolo, non si trattava <strong>di</strong> sostituirel’uomo nelle sue attività quoti<strong>di</strong>ane, quanto piuttosto aiutarlo nella gestione e nelsuperare le limitazioni a cui può incorrere.Tramite l’aiuto del computer quin<strong>di</strong> sarebbe cambiata la natura stessa dellerelazioni tra le persone e conseguentemente tra le persone stesse e il propriolavoro. Mo<strong>di</strong>ficando le caratteristiche dell’interazione con il computer,avvicinando cioè sempre più quest’ultime alla natura <strong>social</strong>e dell’uomo (damacchina calcolatrice “fredda” a strumento per pensare), si sarebbero amplificateoltre che le potenzialità gestionali delle complesse problematiche dell’umanità(attraverso i nuovi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> memorizzare le informazioni, <strong>di</strong> valutazione ecc...)anche quelle comunicative.71


Licklider, che attivamente contribuì alla realizzazione <strong>di</strong> internet (o megliodelle tecnologie e teorie che lo hanno reso possibile), fu influenzato nella sua“visione” dalle teorie dell’informazione e della comunicazione pubblicate daClaude Elwood Shannon nel 1948.4.1 La Teoria dell’informazione e della comunicazioneLe fondamenta delle teorie <strong>di</strong> Shannon, così come le rispettive evoluzioni edapplicazioni che portarono alla nascita della rete, poggiavano sull’osservazione eanalisi delle proprietà e caratteristiche tipiche della comunicazione tra le persone,quin<strong>di</strong> del veicolo principale che la rende possibile: il linguaggio.Poiché i sistemi comunicativi servono soprattutto a mettere in contatto lepersone, la loro progettazione richiede lo stu<strong>di</strong>o approfon<strong>di</strong>to e la comprensionedelle caratteristiche che stanno alla base dello scambio <strong>di</strong> informazioni e dellacollaborazione tra esseri umani.Shannon fu uno dei primi a <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong> leggi fisiche sulla comunicazione,partendo da dati dell’osservazione empirica. Il suo obiettivo era quello <strong>di</strong> trovareun modo per rendere oggettivamente misurabile l’informazione, così da poterlacapire, descrivere e manipolare: uno dei principi fondamentali alla base dellateoria è infatti l’informazione che può essere trattata come una quantità fisicamisurabile. La riflessione <strong>di</strong> Shannon, oltre che su questo aspetto, si concentròanche sulle modalità in cui avviene effettivamente il passaggio delle informazionitra le persone, in particolare su come può un messaggio partire da un dato luogoiniziale e raggiungere, senza subire trasformazioni o interferenze, il luogo <strong>di</strong>destinazione designato. Altre riflessioni si concentrarono invece su problematiche<strong>di</strong> natura più concreta, che si erano rivelate <strong>di</strong> vitale importanza durante laSeconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, come quelle relative alla crittografia e decrittografia,cioè sulla possibilità <strong>di</strong> estrarre dal rumore i co<strong>di</strong>ci che mascheravano i messaggicrittografati.72


Queste riflessioni lo portarono a definire il concetto <strong>di</strong> entropia 1 , o meglio aridefinirlo secondo un nuovo punto <strong>di</strong> vista 2 , strettamente legato allacomunicazione. Shannon osservò che l’incertezza in ogni sistema è dovuta allamancanza dell'informazione, quin<strong>di</strong> se pren<strong>di</strong>amo in considerazione lacomunicazione tra due persone, oppure la decifrazione <strong>di</strong> un messaggioalfanumerico, osserviamo che man mano che <strong>di</strong>minuisce la casualità delleinformazioni, si riduce anche l’incertezza. Il messaggio, o parte <strong>di</strong> esso, <strong>di</strong>ventaquin<strong>di</strong> più chiaro e comprensibile ai nostri sensi. E' proprio grazie alla possibilità<strong>di</strong> eliminare o escludere completamente il rumore dal messaggio, che riusciamo aricavare informazioni. In conclusione, sintetizzando quanto espresso da Shannonnel documento del 1948 “A Mathematical Theory of Communication”, è possibileaffermare che l’informazione è riduzione dell’incertezza.Shannon oltre a queste osservazioni identifica quelli che sono gli elementi <strong>di</strong>base <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> comunicazione, qualunque esso sia e qualunque sia latecnologia su cui regge. Questi elementi, generalmente identificabili e descrivibilicon facilità, sono:1. una fonte <strong>di</strong> informazione, che può essere rappresentata come una persona ouna macchina (oggetto), in ogni caso si tratta <strong>di</strong> un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusionedell’informazione (messaggio), in grado <strong>di</strong> trasformarla in un formato adatto adessere veicolato. É la cosiddetta fase <strong>di</strong> co<strong>di</strong>fica del messaggio, che avvieneme<strong>di</strong>ante precise caratteristiche dettate appunto da chi lo trasmette (fonte);1E' un concetto attinto dalla fisica, risalente alla seconda legge della termo<strong>di</strong>namica, elaboratanel XIX secolo. Secondo questa legge, l’entropia è il grado <strong>di</strong> casualità che esiste in ogni sistema,e tende ad aumentare per effetto dell’incontro tra molecole, rendendo incerta l’evoluzione delsistema stesso.2La probabilità relativa che si verifichi un evento tra tutti quelli possibili (per esempio, che siindovini una lettera dell’alfabeto), <strong>di</strong>pende dal numero totale <strong>di</strong> casi nella popolazione degli eventi(le lettere dell’alfabeto) e dalla frequenza dell’evento specificato (numero <strong>di</strong> domande con rispostasi - no necessarie per trovare la risposta corretta). Quin<strong>di</strong> per una lettera dell’alfabeto, occorreridurre il valore <strong>di</strong> incertezza, che in questo caso è pari a 20 (il numero delle lettere dell’alfabeto).Per farlo è sufficiente porre semplici domande a cui si possa rispondere affermativamente onegativamente (si, no), per esempio si potrebbe chiedere se la lettera viene dopo la “L” (lettera cheipoteticamente <strong>di</strong>vide a metà l’alfabeto), e così via fino ad escludere ad ogni domanda i valoripossibili riducendo l’incertezza. Nel caso preso in esame l’incertezza potrebbe essere ridotta ad unvalore <strong>di</strong> cinque.Secondo Shannon l’ entropia <strong>di</strong> un sistema è rappresentata quin<strong>di</strong> dal logaritmo del numero <strong>di</strong>possibili combinazioni <strong>di</strong> stati in quel dato sistema. Il logaritmo rappresenta il numero delledomande per ridurre l’incertezza.73


2. un canale, ossia semplicemente il mezzo attraverso il quale il messaggioviene inviato;3. un apparato <strong>di</strong> ricezione che deco<strong>di</strong>fica il messaggio nel modo piùopportuno, cioè in una qualche approssimazione della sua forma originale;4. una fonte <strong>di</strong> rumore, interferenza o <strong>di</strong>storsione, che cambia il messaggio inmodo impreve<strong>di</strong>bile durante la trasmissione, da una fonte ad un riceventepassando per un qualsiasi canale.Nella loro semplicità gli elementi che compongono la teoria <strong>di</strong> Shannon,offrono un modo per trattare la comunicazione e l’informazione come entitàmisurabili e quantificabili, esattamente come accade con altre forze fisiche ocomunque <strong>di</strong> sistemi tangibili. Questo tipo <strong>di</strong> caratterizzazione matematicapermette <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are i molteplici fenomeni che compongono l’universoimpreve<strong>di</strong>bile della comunicazione tra persone o tra macchine, tra cui: la massa <strong>di</strong>informazione prodotta dalla fonte, la capacità del canale <strong>di</strong> trattare l’informazioneper ogni dato tempo <strong>di</strong> trasmissione, la quantità me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> informazione contenutain un particolare messaggio.Permette, dunque, <strong>di</strong> progettare sistemi comunicativi in grado <strong>di</strong> trasmettereinformazioni e messaggi in modo affidabile e sicuro.Joseph Licklider, che in quegli anni era impegnato al MIT nello stu<strong>di</strong>o dellapsicoacustica (lo stesso che qualche anno più tar<strong>di</strong> “provocò” involontariamentein lui la “visione” <strong>di</strong> una macchina elaboratrice <strong>di</strong>versa), rimase folgorato dalconcetto d'informazione espresso da Shannon, tanto da renderlo parte integrantedella sua ricerca sulla comprensione del funzionamento della mente e del cervelloumano. Già durante la Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, presso il laboratorio del MIT,stu<strong>di</strong>ò la comunicazione per scopi estremamente concreti. I motori dei cacciabombar<strong>di</strong>erierano rumorosissimi, tanto da generare nella cabina <strong>di</strong> pilotaggio unlivello <strong>di</strong> rumore tale da ridurre la tenuta psicofisica degli equipaggi econseguentemente della loro sicurezza.Una delle componenti analizzate fu proprio la comunicazione tra i membridell’equipaggio. Licklider aveva osservato che in un ambiente particolarmente74


umoroso dove la comunicazione tende ad essere minima, in quanto se ne perdegran parte, occorre essere ridondanti nei messaggi che si vogliono esprimere ed ènecessario confidare sull’intesa reciproca affinché l’informazione, o meglio parte<strong>di</strong> essa, possa comunque arrivare a destinazione. Gli esperimenti compiuti inlaboratorio hanno <strong>di</strong>mostrato questa tendenza, ma hanno aggiunto anche unelemento importante: anche in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> intenso rumore, se un messaggio è“atteso” dal destinatario, quin<strong>di</strong> i suoi canali percettivi sono pre-attivati per ilriconoscimento, entro una certa soglia limite <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo l’informazione ècomunque percepita anche se con maggiore <strong>di</strong>fficoltà ed impegno. Gli esperimenticondotti nel corso degli anni hanno <strong>di</strong>mostrato che i canali u<strong>di</strong>tivi (il principaleapparato <strong>di</strong> ricezione umano) sono a “capacità limitata”, ossia in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>scarsa qualità dell’ambiente sonoro in cui si agiscono (troppo rumore, troppo<strong>di</strong>stanti, voce bassa ecc...), riescono a tenere traccia, quin<strong>di</strong> a filtrare, solamente imessaggi che in qualche modo sono “attesi” estrapolandoli dal contesto. Il nostrocervello elabora l’informazione escludendo tutte le altre non attese.L’atto percettivo nella comunicazione tra persone è attivo e selettivo in ognunadelle sue fasi e in ogni suo elemento (fonte, messaggio, canale, ricevente,rumore), non avviene secondo una modalità in cui una “fonte attiva” invia isegnali e una “passiva” li riceve, bensì anche il <strong>di</strong>spositivo ricevente delmessaggio svolge un ruolo attivo, ossia estrae ed elabora l’informazione rilevantedal rumore <strong>di</strong> fondo.4.2 La comunicazione me<strong>di</strong>ata dal computer e Identità in reteSebbene il primo vero e proprio stu<strong>di</strong>o meto<strong>di</strong>co sulla comunicazione me<strong>di</strong>atadal computer (Computer-me<strong>di</strong>ated communication, CMC) si sia sviluppato nelcampo della psicologia <strong>social</strong>e all’inizio degli anni ’80, alcuni elementi chiave chene hanno reso possibile lo sviluppo possono essere ricondotti già negli anni '60.Come abbiamo visto in precedenza, il lavoro pionieristico <strong>di</strong> Engelbart e Lickliderha influenzato gli ambienti affini alle tecnologie informatiche suscitando così75


l’evoluzione del computer, da semplice strumento <strong>di</strong> calcolo a manipolatore <strong>di</strong>simboli, fino ad arrivare a potentissimo mezzo relazionale, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>comunicazione. Nel saggio "The computer as communication device" <strong>di</strong> Licklidere Taylor (che abbiamo analizzato nel paragrafo 3.4) sono già implicati una serie <strong>di</strong>concetti che saranno <strong>di</strong> fondamentale importanza per lo sviluppo delle teorie sullaCMC. Ciò che viene descritto nel loro testo, non è un elaboratore tipico,“tra<strong>di</strong>zionale”, era qualcosa <strong>di</strong> più: era un computer pensato come mezzo <strong>di</strong>comunicazione, ossia come vero e proprio me<strong>di</strong>um <strong>social</strong>e in grado <strong>di</strong> svilupparerelazioni creative tra gruppi <strong>di</strong> lavoro, che se svolte attraverso le nascenti reti,avrebbero trasformato definitivamente lo stesso computer in uno spazio <strong>di</strong>comunicazione.Dopo gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Licklider e Taylor, negli anni '80 grazie soprattuttoall’evoluzione e la proliferazione <strong>di</strong> quelli che furono i primi sistemicomputerizzati, l’interesse e lo stu<strong>di</strong>o della CMC <strong>di</strong>venta sempre più <strong>di</strong> attualità eutile nella progettazione e organizzazione strategica <strong>di</strong> reti <strong>di</strong> comunicazioneall’interno delle aziende. In questo contesto nasce l’esigenza <strong>di</strong> valutare glistrumenti informatici sia da un punto <strong>di</strong> vista tecnico (legato alla produttività) siada quello socio-psicologico (legato agli effetti della comunicazione e interazionecon le macchine). Gli stu<strong>di</strong>osi focalizzarono il loro interesse soprattutto nellacomprensione degli effetti che avrebbe provocato un tipo <strong>di</strong> una comunicazionesemplice e rapida, capace <strong>di</strong> raggiungere istantaneamente qualsiasi luogo. Altreimportanti considerazioni avrebbero implicato i potenziali effetti derivati dallanatura prevalentemente testuale della CMC, quin<strong>di</strong> priva <strong>di</strong> situazioni ecomportamenti tipici della comunicazione e dei co<strong>di</strong>ci non verbali, e gli effettidovuti alla mancanza <strong>di</strong> informazioni relative all’identità degli interlocutori conuna conseguente notevole accentuazione dell’anonimato.Nel tentativo <strong>di</strong> trovare riscontri alle problematiche che questo tipo <strong>di</strong>comunicazione avrebbe potuto causare alle/nelle persone e nei rapporti <strong>social</strong>i, sisvilupparono <strong>di</strong>versi approcci <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, che possiamo categorizzare in: CMC76


<strong>social</strong>mente povera (<strong>di</strong> prima generazione), CMC <strong>social</strong>mente ricca (<strong>di</strong> secondagenerazione) e CMC come <strong>di</strong>mensione quoti<strong>di</strong>ana (terza generazione).La teoria Reduced Social Cues (RSC) <strong>di</strong> Sproull e Kiesler si sviluppa all’iniziodegli anni '80 e implica all’interno <strong>di</strong> una comunicazione me<strong>di</strong>ata dal computer,sia una scarsità <strong>di</strong> informazioni relative al contesto <strong>social</strong>e in cui avviene che unascarsità <strong>di</strong> norme comunemente accettate, in grado <strong>di</strong> orientare lo sviluppo dellacomunicazione stessa, oltre che un’intrinseca limitazione della “larghezza <strong>di</strong>banda”, cioè della quantità <strong>di</strong> informazioni veicolate nell’unità <strong>di</strong> tempo.In base a questo approccio la CMC è <strong>di</strong> natura povera. Di fatto, se nellacomunicazione face to face gli interlocutori <strong>di</strong>spongono <strong>di</strong> molteplici canali, oltrea quelli verbali, nella CMC anni '80 lo scambio <strong>di</strong> informazioni e messaggi èprevalentemente <strong>di</strong> tipo testuale, quin<strong>di</strong> efficace secondo i due stu<strong>di</strong>osi per latrasmissione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni, or<strong>di</strong>ni o <strong>di</strong>rettive ben precise, ma notevolmente“povera” per quanto riguarda gli aspetti relazionali e <strong>social</strong>i tra gli interlocutoriche prendono parte alla comunicazione. Ciò che manca alla CMC è la capacità <strong>di</strong>trasmettere gli in<strong>di</strong>catori <strong>social</strong>i (<strong>di</strong>etro un pc siamo tutti uguali e persino irimproveri più duri ricevuti tramite mail risultano meno autorevoli e duri daassimilare).La mancata presenza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> <strong>di</strong>sparità <strong>social</strong>e consente <strong>di</strong> livellare lerelazioni e più in generale lo status (incentivando una partecipazione maggioreassoggettata dai con<strong>di</strong>zionamenti <strong>social</strong>i) dei singoli interlocutori, quin<strong>di</strong>, soggettiche normalmente in una conversazione face to face sarebbero emarginati, inquesto contesto possono liberamente esprimersi. Tuttavia la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>anonimato, unita al processo <strong>di</strong> dein<strong>di</strong>viduazione in cui sembra agire unacomunicazione me<strong>di</strong>ata dal computer comporta, da un lato un atteggiamento degliin<strong>di</strong>vidui più libero, aperto ad esprimersi e a comunicare senza restrizioni,dall’altro giustifica comportamenti violenti o anti-<strong>social</strong>i.77


Fig. 11 - Famosissima illustrazione ironica <strong>di</strong> Peter Steiner “On internet nobody knowsyou’re a dog”, Su internet nessuno sa che sei un caneL’approccio della RSC pur essendo un modello articolato e completo fusoggetto a numerose critiche, causate dalle contrad<strong>di</strong>zioni che lo compongono, peresempio sostiene che la CMC e i suoi limiti <strong>di</strong> larghezza <strong>di</strong> banda sono poco adattia veicolare i contenuti <strong>social</strong>i, ma non spiega né l’utilizzo della posta elettronicaper scopi che esulano dalle attività lavorative, né il fatto che in determinatesituazioni la CMC dà luogo a comportamenti <strong>social</strong>mente accettati più chenell’interazione faccia a faccia. In base a queste critiche vennero proposti modellialternativi che hanno messo in luce altri aspetti poco considerati della CMC. Inparticolare il Social information processing (SIP), sviluppato da Walther e78


Burgoon (1992), sostiene che la comunicazione me<strong>di</strong>ata dal computer puòveicolare la stessa <strong>social</strong>ità <strong>di</strong> una qualsiasi altra comunicazione face to face se chine fa parte <strong>di</strong>spone del tempo strettamente necessario per svilupparla. Secondo idue stu<strong>di</strong>osi infatti gli esseri umani, a prescindere dal mezzo con cui comunicano,sviluppano il bisogno <strong>di</strong> ridurre l’incertezza che può scaturire in situazioni in cuiil messaggio è impoverito <strong>di</strong> tutti gli aspetti <strong>social</strong>i-emozionali, al fine <strong>di</strong>raggiungere una certa affinità nei confronti degli altri in<strong>di</strong>vidui. Gli utenti dellaCMC tendono a sod<strong>di</strong>sfare questi bisogni ancestrali adattando le proprie strategiecomunicative al me<strong>di</strong>um utilizzato. Quin<strong>di</strong> la CMC Social information processingnon è meno efficace nelle interazioni <strong>social</strong>i rispetto ad una comunicazione facciaa faccia, ma è semplicemente meno efficiente, ossia occorre più tempo agliinterlocutori per veicolare lo stesso tipo <strong>di</strong> sensazioni.Questi nuovi modelli hanno messo in evidenza l’importanza del contesto<strong>social</strong>e in cui si svolge la comunicazione. All’inizio, come abbiamo visto, la CMCsi svolgeva prevalentemente nei luoghi <strong>di</strong> lavoro, quin<strong>di</strong> risultava più fredda eimpersonale, ma a partire dagli anni '90, parallelamente alla <strong>di</strong>ffusione capillareanche in situazioni domestiche della tecnologia telematica, incominciò a“sovraccaricarsi” <strong>di</strong> contenuti <strong>social</strong>i, tanto da poter essere definitaHyperpersonal 3 . Socialmente attiva.Le interazioni <strong>di</strong>ventano sia ad un livello conscio che inconscio attive e piùstereotipate (rispetto alla comunicazione faccia a faccia), ossia si tende acategorizzare <strong>social</strong>mente l’interlocutore, e in mancanza d'informazioni sulla suapersona, si tende a farlo in modo stereotipato, basandosi esclusivamente su ciò chesi ha a <strong>di</strong>sposizione (nickname, firma del messaggio, homepage, blog ecc...).Ognuno quin<strong>di</strong> ha la possibilità <strong>di</strong> curare attentamente la presentazione del séonline, progettando accuratamente l’immagine che desidera dare <strong>di</strong> se stesso aglialtri, nascondendo o potenziando le caratteristiche che ritiene più o meno<strong>social</strong>mente utili in quel determinato contesto comunicativo.3Iperpersonale, Walter 199779


Questa caratteristica <strong>di</strong> iperpersonalità della CMC si rifletterà in modo ben piùevidente con l’introduzione della vita online e quin<strong>di</strong> della comunicazioneattraverso il computer come parte integrante della vita quoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> ognicitta<strong>di</strong>no. Il passaggio a questa nuova generazione <strong>di</strong> CMC è rimarcato dalsuperamento delle “vecchie” teorie matematiche della comunicazione <strong>di</strong> massaintese come trasferimento <strong>di</strong> informazioni (Shannon), da una visione <strong>di</strong> esse nonpiù come beni che esistono in natura, bensì come il frutto <strong>di</strong> prodotti <strong>social</strong>i, einfine, da una concezione non riduzionistica della <strong>di</strong>mensione <strong>social</strong>e, ossia isistemi simbolici, quelli normativi e i co<strong>di</strong>ci interpretativi non si manifestano soloquando le persone sono in comunicazione face to face, fisicamente vicine, ma ciaccompagnano in ogni momento dell’esistenza.La CMC può essere <strong>di</strong>stinta in due tipi: sincrona e asincrona. Nella prima lacomunicazione avviene in tempo reale quando gli interlocutori si trovanocontemporaneamente online, con le stesse modalità <strong>di</strong> un <strong>di</strong>alogo telefonico odella conversazione <strong>di</strong>retta face to face. I mezzi tipici della CMC sincrona sono: levideoconferenze, l’internet phone (skype), le chat e i servizi <strong>di</strong> instant messaging(ICQ, MSN o quelli dei Social network). Si tratta <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> comunicazione<strong>di</strong>retta che si basa sull’interazione in tempo reale con l’altro o gli altri in<strong>di</strong>viduiche ne prendono parte, è quin<strong>di</strong> multime<strong>di</strong>ale (consente lo scambio <strong>di</strong> immagini,musica, video, documenti o file), ipertestuale ed emozionale (grazie all’usofrequente <strong>di</strong> emoticons 4 ).Nella comunicazione asincrona invece, lo scambio <strong>di</strong> informazioni e messaggiavviene in tempistiche <strong>di</strong>fferenti e gli interlocutori non devono esserenecessariamente connessi allo stesso momento. Posta elettronica (email), mailinglist, newsgroup e Multi User Doungeon (MUD) sono i mezzi tipici della CMCasincrona. Dal punto <strong>di</strong> vista strettamente psico<strong>social</strong>e è possibile considerarla<strong>di</strong>fferente sia rispetto alla comunicazione scritta non me<strong>di</strong>ata dal computer chedagli altri mezzi <strong>di</strong> comunicazione.4Riproduzioni stilizzate delle principali espressioni facciali umane che esprimono un'emozione(sorriso, broncio, ghigno, etc.). Vengono utilizzate per aggiungere componenti extra-verbali allacomunicazione scritta. Il nome nasce dall'accostamento delle parole "emotional" e "icon" e sta a<strong>di</strong>n<strong>di</strong>care proprio un'icona che esprime emozioni.80


Nella vita <strong>social</strong>e “reale”, ognuno può costruirsi facilmente, grazie a proprisensi e alle proprie capacità cognitive, l’immagine mentale della personalitàdell’interlocutore o degli in<strong>di</strong>vidui che si hanno attorno. Cerchiamocontinuamente <strong>di</strong> recuperare più informazioni possibili in modo tale da popolarequell’immagine, che inizialmente è sfocata, influenzata dai pregiu<strong>di</strong>zi e dallesituazioni già riscontrate, <strong>di</strong> nuove caratteristiche fino a raggiungere un livelloconsiderato accettabile. Diversamente in rete, date le caratteristiche della CMC,non può essere così.Nella vita online ognuno è un “essere <strong>di</strong>gitale”, ossia è ciò che lascia trapelareattraverso lo schermo, comunicando e <strong>di</strong>gitando.Ognuno è ciò che scrive.Essere visibili quin<strong>di</strong> vuol <strong>di</strong>re scrivere e comunicare, nella CMC spesso nonc’è esistenza al <strong>di</strong> fuori della parola. Per esistere in rete occorre manifestarsi,presentarsi, chattare, mentre rimanere in silenzio vuol <strong>di</strong>re semplicemente nonesistere.In rete, date le caratteristiche tecnologiche del mezzo comunicativo,l’interazione tra in<strong>di</strong>vidui o tra gruppi <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui assume tratti decisamenteparticolari, in cui il corpo si oppone al teso in un continuum che da un lato vede ilreale, la fisicità e dall’altro il virtuale, la Rete.Il corpo è l’asse portante dell’interazione e della comunicazione nella vitaquoti<strong>di</strong>ana e si manifesta nella sua <strong>di</strong>mensione agli altri, il testo invece èl’elemento principale nella comunicazione “virtuale” e si <strong>di</strong>stacca dal corpo.Questa <strong>di</strong>stinzione implica una rottura dalla fisicità corporea in rete, quin<strong>di</strong> unaliberazione dalle paure <strong>di</strong> mettere a rischio il proprio corpo, la propria incolumità.Online la nostra mente può permettersi maggiori libertà. Ed è per questo che nellacomunicazione me<strong>di</strong>ata dal computer si tende a sperimentare, a costruire e amodellare l’identità che sostituisce il corpo rimasto al sicuro al <strong>di</strong> qua delloschermo. Nella società è accettata un'unica entità primaria che è strettamentecollegata alla nostra fisicità e alle nostre azioni, è un'identità per lo più forgiatadalla struttura <strong>social</strong>e, che implica determinati comportamenti ad ogni precisa81


situazione. Può esistere quin<strong>di</strong> una sola personalità per un solo corpo. L’in<strong>di</strong>viduoche manifesta personalità multiple è <strong>di</strong>fatti tracciato come patologico, <strong>di</strong>sturbatoo, nel migliore dei casi, considerato semplicemente bizzarro. Nella rete invece,non solo l’identità multipla è possibile, ma <strong>di</strong>fatti è l’unica modalità possibile <strong>di</strong>presentazione, poiché se ciò che scriviamo ci identifica, allora la soggettività <strong>di</strong>ognuno è il personaggio del racconto che si vuole raccontare agli altri.Internet offre la possibilità <strong>di</strong> presentarsi intenzionalmente in un'infinita varietà<strong>di</strong> mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti (è possibile avere un’altra età, sesso, storia, aspetto fisicoecc...), esternando <strong>di</strong>fatti la rappresentazione della molteplicità che ogni essereumano incarna nella vita reale (si è figli, ma anche genitori, si lavora o si stu<strong>di</strong>a, siè vicini <strong>di</strong> casa, amici, parenti ecc... e chiaramente per ognuna <strong>di</strong> queste possibilitàsi attuano comportamenti <strong>di</strong>fferenti). Questi <strong>di</strong>versi aspetti del sé in rete possonoessere <strong>di</strong>ssociati (si possono presentare solo alcuni aspetti, quelli ritenuti piùopportuni al contesto), potenziati (migliorare al massimo una propria caratteristicao un proprio interesse specifico) o integrati (versione completa <strong>di</strong> se stessi).L’aspetto dell’intenzionalità è sicuramente una delle componenti principaliche riguardano questi processi comunicativi, e la CMC, date le sue caratteristiche,rende il controllo e la gestione del proprio “Io online” più facile. Come abbiamovisto, su internet e più in generale nel mondo della comunicazione me<strong>di</strong>ata dalcomputer, non esistono <strong>di</strong>scriminazioni, ognuno può presentarsi per quello che èoppure può costruirsi un'identità <strong>di</strong>fferente.La costruzione <strong>di</strong> un'identità online avviene innanzitutto con la scelta <strong>di</strong> unnome, dove a <strong>di</strong>fferenza della vita reale, rispecchia una grande importanza <strong>social</strong>e.Il nome o meglio il nickname è il punto d'ingresso all’interno del mondo dellarete, il contatto <strong>di</strong>retto tra il nostro essere reale e il nostro essere <strong>di</strong>gitale.Non è un'aggiunta al nome anagrafico, ma è una sua sostituzione,l’incarnazione della nuova identità dell’in<strong>di</strong>viduo online.Questa possibilità consente infatti <strong>di</strong> dare luogo a relazioni <strong>social</strong>i stabili esignificative che non sarebbero state possibili se la comunicazione fosse statacompletamente anonima. Inoltre, la tendenza a mantenere l’identità piuttosto82


stabile (soprattutto non cambiando spesso nickname) contribuisce alla creazionedella “persona online” <strong>di</strong> essere riconoscibile, identificabile e considerata presenteagli occhi degli altri infonauti.Oltre al nome la persona online viene costituita da altri espe<strong>di</strong>enti, dai piùantichi, come la firma in calce, ai messaggi <strong>di</strong> posta elettronica e la costruzione <strong>di</strong>una propria homepage o sito personale (curriculum, foto, informazione contatti,biografia ecc...), fino ai più recenti, quali i messaggi, i commenti e i postpubblicati sui blog (spesso veri e propri <strong>di</strong>ari della nostra vita) o sui SocialNetwork (Facebook, Twitter, MySpace ecc...) o ancora i video pubblicati sullepiattaforme de<strong>di</strong>cate (Youtube, Vimeo ecc...). In pratica tutto ciò che puòcontribuire a identificarci.L’analisi <strong>di</strong> tutte queste forme e strumenti per comporre un'identità online è inrealtà il sostegno <strong>di</strong> una visione del sé frammentata e molteplice, in cui unin<strong>di</strong>viduo, grazie a queste possibilità, può costruire <strong>di</strong>verse entità, ognuna dellequali sarà utilizzata per altrettanti mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere e presentarsi nei <strong>di</strong>versi contestidella vita in rete. Proprio questa possibilità rappresenta la rete stessa come unospazio <strong>di</strong> sperimentazione delle proprie personalità, un nuovo moratorium 5 in cuiil confine tra comunicazione online e comunicazione offline si fa sempre piùpermeabile man mano che internet entra sempre più a far parte della quoti<strong>di</strong>anità.4.3 Nomofobia e <strong>di</strong>sturbi da <strong>social</strong> ad<strong>di</strong>ctionsai <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>pendente da Internet quando... ti alzi alla tre del mattino per andare in bagno eprima <strong>di</strong> tornare a letto controlli se hai ricevuto qualche mail (Patricia Wallace, 1999)La bomba dei rapporti <strong>social</strong>i esplosa con l’avvento <strong>di</strong> Internet nelle case <strong>di</strong>tutti ha portato sicuramente enormi, profon<strong>di</strong> e ra<strong>di</strong>cali cambiamenti sia nei mo<strong>di</strong>5Concetto psicoanalitico che nella sua versione originale in<strong>di</strong>ca quelle situazioni circoscritte inun periodo <strong>di</strong> tempo limitato, in cui le persone possono permettersi <strong>di</strong> sperimentare senza doversubire conseguenze troppo pesanti. La rete è dunque vista come nuovo moratorium in quanto chisperimenta una nuova identità può interrompere il collegamento quando la situazione <strong>di</strong>ventatroppo pesante o <strong>di</strong>fficile da controllare, nella vita reale invece è più <strong>di</strong>fficile uscire da determinatesituazioni.83


<strong>di</strong> pensare e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> agire, che in quelli <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre, comunicare e<strong>social</strong>izzare. Il nuovo me<strong>di</strong>um, come abbiamo visto, ha portato con sé unarivoluzione culturale, e come tutte le forze <strong>di</strong>rompenti, in poco tempo, hamo<strong>di</strong>ficato ogni aspetto della nostra società a partire dalle sue unità principali: gliin<strong>di</strong>vidui. É proprio la natura della rete ad affascinare ed ammaliare gli utenti,attraverso le sue promesse riesce infatti ad aumentare sempre <strong>di</strong> più la suaappetibilità. Su Internet nascono immense comunità virtuali, <strong>di</strong>scussioni <strong>di</strong> ognigenere e argomento, giochi interattivi testuali oppure complessi MUD grafici, sichiacchiera nelle chat con persone lontane molto velocemente, si conosconopersone che <strong>di</strong>fficilmente si riusciranno mai ad incontrare.In poche parole è un mondo che non dorme mai e sembra non conoscere limiti.Per viverlo intensamente, o semplicemente sbirciare al suo interno, occorreessere “connessi”, cioè abbandonare il proprio corpo e raggiungere virtualmentela propria identità nella <strong>di</strong>mensione prevalentemente testuale del web, dove graziea semplici click è possibile avere sotto controllo ogni situazione: sia essa unasessione <strong>di</strong> gioco, una ricerca oppure una conversazione con persone lontanissimeda noi. Occorre quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>ssociarsi fisicamente dalla realtà materiale per viverequella virtuale della rete.Internet e i suoi strumenti (Social Network su tutti), sono il frutto casuale delbisogno innato dell’uomo <strong>di</strong> comunicare con i suoi simili, a prescindere dallelimitazioni temporali o spaziali, e anche per questo motivo sono sicuramente<strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssima utilità. Ma se utilizzati in maniera inappropriata oeccessiva possono scatenare vere e proprie situazioni patologiche <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenzacon conseguenze gravissime nella vita reale-<strong>social</strong>e.Se da un lato Internet e i Social Network (Facebook, Twitter, My Space ecc...)sono potenti mezzi aggregativi e <strong>social</strong>i, in grado <strong>di</strong> migliorare enormemente lepotenzialità comunicative <strong>di</strong> ciascun in<strong>di</strong>viduo, dall’altro possono rappresentareuna vera e propria minaccia in quanto un utilizzo incontrollato del me<strong>di</strong>um portaad una graduale sostituzione dei rapporti <strong>social</strong>i reali con quelli virtuali <strong>di</strong> qualitàinferiore. Questo è il paradosso della rete: Internet è una tecnologia <strong>social</strong>e che in84


determinate circostanze può provocare il <strong>di</strong>stacco dal <strong>social</strong>e e far cadere gliin<strong>di</strong>vidui nella solitu<strong>di</strong>ne e depressione.Internet e i Social Network al pari dell’alchool, del fumo e delle droghepossono creare forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza più o meno gravi. Si tratta <strong>di</strong> veri e propri<strong>di</strong>sturbi della persona(lità) e come tali vanno curati. Questi possono essere l’IAD(Internet Ad<strong>di</strong>ction Disorder), la Social Network Disorder, la FriendshipAd<strong>di</strong>ction e la Nomofobia.Si manifestano principalmente in soggetti “pre<strong>di</strong>sposti”, ossia che trascorronomolte ore sul web senza praticamente mai riuscire a staccare il collegamento ecomportano prevalentemente un ossessivo controllo dei nuovi messaggi, notifiche,aggiornamenti, oltre che una ricerca senza sosta <strong>di</strong> nuove amicizie.L’in<strong>di</strong>viduo soffre lo status <strong>di</strong> <strong>di</strong>sconnessione dalla vita online, tanto dadesiderare il momento in cui finalmente potrà accedere ed immedesimarsi al suoIo virtuale. Ovviamente questo pensiero costante influisce sulla propria vitaprivata e lavorativa. Oltre a questo stato <strong>di</strong> assuefazione al web, che prelude allanecessità <strong>di</strong> restare collegato al mondo virtuale per un certo periodo <strong>di</strong> tempo ecresce man mano che trascorrono le ore, sono presenti veri e propri <strong>di</strong>sagi fisici(mal <strong>di</strong> testa, <strong>di</strong>sturbi del sonno, stanchezza, apatia etc...).Il web rappresenta nella modernità un mondo sicuro e controllabile dove èpossibile instaurare facili rapporti <strong>social</strong>i, senza rischi, poiché questi nonrichiedono, come nella vita reale, un contatto <strong>di</strong>retto faccia a faccia, che per moltipuò rappresentare un vero e proprio ostacolo. I Social Network per esempiorispondono in modo efficace ad alcuni dei bisogni fondamentali dell’essereumano:1. bisogni <strong>di</strong> sicurezza: le persone con cui ten<strong>di</strong>amo a comunicare nei <strong>social</strong>network sono “amici“, non estranei (come in realtà sarebbero da considerarenella maggior parte dei casi), ed è nel potere <strong>di</strong> ciascun in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> deciderechi è amico e chi no, chi seguire e chi ignorare. É possibile quin<strong>di</strong> controllareciò che egli mostra <strong>di</strong> sé, della sua vita e con<strong>di</strong>videre con lui esperienze,commenti etc. ;85


2. bisogni associativi: con gli amici è possibile con<strong>di</strong>videre, comunicare escambiare opinioni, risorse, informazioni, applicazioni, e volendo cercarequalcuno con cui intraprendere relazioni sentimentali più approfon<strong>di</strong>te;3. bisogni <strong>di</strong> autostima: ciascuno ha il controllo della propria friends list e puòdecidere in tutta semplicità chi è amico e chi no, chi seguire e chi no, ma anchegli altri possono farlo: quin<strong>di</strong> se in tanti lo scelgono come amico allora vuol<strong>di</strong>re che è cool;4. bisogni <strong>di</strong> autorealizzazione: è possibile raccontarsi nel modo che sipreferisce (talvolta rendendosi <strong>di</strong>versi da ciò che si è in realtà) ed è possibileutilizzare tutte le proprie competenze per aiutare gli amici.Tuttavia i Social Network non forniscono alle persone vera stima <strong>di</strong> se stesse osenso <strong>di</strong> controllo delle situazioni, ma solo sensazioni fittizie e poco durature,poiché svaniscono non appena chiuso il collegamento, quin<strong>di</strong> tornando aconfrontarsi nuovamente nella vita reale, dove non c’è più il controllo, le personeaddotte dalle patologie del web sentono la necessità <strong>di</strong> ricollegarsi. Anchel’ossessiva ricerca degli amici online è da considerare come una vera e propriapatologia in determinati contesti. Il soggetto è persuaso dall’idea che ad unelevato numero <strong>di</strong> “amici” corrisponda ad un alto valore <strong>di</strong> se stessi agli occhidelle altre persone. Il problema <strong>di</strong> fondo è che gli amici spesso sono conoscentivisti raramente nella vita reale, o peggio ancora mai visti, che mai siincontreranno o che ad<strong>di</strong>rittura in altre circostanze non si sarebbero nemmenoavvicinati a loro, in poche parole persone selezionate a caso che poco hanno a chefare con la persona che ne richiede l’amicizia.Tali richieste sono un sopperire alla poca stima personale del soggetto,riconducibili quin<strong>di</strong> ad un senso <strong>di</strong> inadeguatezza e solitu<strong>di</strong>ne che può esserecompensata nella vita online attraverso liste infinite <strong>di</strong> amici virtuali, solo in cosìsi ha una sod<strong>di</strong>sfazione e rafforzamento del proprio ego.In caso <strong>di</strong> mancata connessione al web si hanno attacchi <strong>di</strong> panico, agitazione,ansia, fino a raggiungere stati <strong>di</strong> irritabilità, <strong>di</strong>sturbi del sonno e depressione. Tuttociò ovviamente ha ripercussioni anche gravi sulla vita al <strong>di</strong> fuori del web:86


l’ossessione della connessione causa <strong>di</strong>stacco dalla realtà che a lungo termine sitraduce in per<strong>di</strong>ta dei contatti <strong>social</strong>i, familiari e lavorativi.La nomofobia 6 , nota anche come sindrome da <strong>di</strong>sconnessione, provoca unostato psicopatologico <strong>di</strong> insopprimibile ansia e paura. Per scatenare questi attacchi<strong>di</strong> panico è sufficiente che il proprio smartphone, oppure notebook, a causa <strong>di</strong>assenza <strong>di</strong> segnale sia impossibilitato alla connessione, o peggio che questo siastato smarrito o abbandonato da qualche parte. Ciò deriva proprio dal fatto chegrazie al web mobile, Internet è praticabile ovunque, quin<strong>di</strong> si ha sempre a portata<strong>di</strong> mano una soluzione a qualsiasi “problematica” o evenienza si presenti (trovareun in<strong>di</strong>rizzo o un percorso, trovare un contatto che serve, tenere sotto controllo lemail, le notifiche <strong>di</strong> Facebook ecc...). Da qui il terrore a privarsi <strong>di</strong> una similecapacità con il rischio <strong>di</strong> rimanere isolato.La questione del web e dei <strong>di</strong>sturbi che può causare in determinati in<strong>di</strong>vidui ècertamente tanto vasta e complessa quanto delicata. Agli albori <strong>di</strong> Internet per lemasse (anni '90), i soggetti che utilizzavano Internet per un totale <strong>di</strong> 50 oresettimanali e per un uso superiore ai sei mesi venivano considerati come in<strong>di</strong>vidui<strong>di</strong>sturbati. Oggi Internet è ovunque, lo si può navigare dal computer, come allora,ma soprattutto in mobilità, sul cellulare, sui tablet, al mare, in montagna, <strong>di</strong> giorno<strong>di</strong> notte, praticamente sempre.Ha invaso la vita quoti<strong>di</strong>ana.Chiunque abbia un cellulare <strong>di</strong> ultima generazione passa più ore connesso <strong>di</strong>quanto l’user più ad<strong>di</strong>cted avrebbe mai potuto fare 10 o 20 anni fa.Ciò sicuramente è stato scatenato dall’avvento delle nuove tecnologie,dall’abbattimento dei costi e dall’esigenza sempre più forte <strong>di</strong> <strong>social</strong>izzare e <strong>di</strong>rimanere in contatto con gli amici, con la rete.Con tutto il mondo.6Contrazione del termine inglese “no mobile fobia”, ossia la forte angoscia che colpisce unin<strong>di</strong>viduo all’idea <strong>di</strong> perdere il cellulare o <strong>di</strong> restare <strong>di</strong>sconnessi dai <strong>social</strong> network per più <strong>di</strong> unagiornata.87


CAPITOLO TERZO:Dalle Realtà Virtuali alle Realtà Aumentate5. L’Ultimate Display e i primi passi in Realtà VirtualeLe rivoluzioni tecnologiche (come abbiamo visto nel primo capitolo) nonavvengono semplicemente perché il progresso umano è un processo inevitabileche sistematicamente (nel corso dei secoli) avviene portandoci verso nuoviorizzonti culturali, <strong>social</strong>i e tecnici. I veri cambiamenti <strong>di</strong> para<strong>di</strong>gma tecnologicihanno bisogno <strong>di</strong> incastri e situazioni ben precise. Uno o più visionari devonoavere la <strong>di</strong>sponibilità e l'accesso alle tecnologie <strong>di</strong> base che rendano possibili leloro “visioni” e devono incontrare finanziatori che li sostengano economicamente.Se queste con<strong>di</strong>zioni non vengono rispettate, <strong>di</strong>fficilmente l’idea giusta, anchefosse la più importante e geniale <strong>di</strong> tutte, <strong>di</strong>venta parte integrante <strong>di</strong> una nuovatecnologia.Un esempio <strong>di</strong> questa “legge” dei para<strong>di</strong>gmi tecnologici può essere ritrovato inEngelbart e Licklider. Entrambi hanno avuto idee visionarie: pensare al computernon come calcolatore, ma come strumento capace <strong>di</strong> aumentare l’intelletto umanotramite una collaborazione simbiotica. Licklider trovò subito nell’ARPA unfinanziatore generoso per sviluppare le sue idee, mentre Engelbart dovetteaspettare parecchi anni prima <strong>di</strong> trovare nello stesso Licklider (IPTO) il sostegnoeconomico necessario a realizzare la sua visione <strong>di</strong> computer.5.1 Il teatro dell’esperienza e “la realtà per un nichelino” <strong>di</strong> Heilig.Se Morton Leonard Heilig avesse avuto un supporto finanziario adeguato,forse le realtà virtuali avrebbero potuto essere sperimentate a fondo già a partiredagli anni '60 e non grazie all’ausilio tecnologico delle macchine per pensarebensì alle possibilità offerte dal cinema. Hollywood avrebbe potuto essere la forzatrainante dello sviluppo del nuovo para<strong>di</strong>gma tecnologico della realtà virtuale.91


Heilig non era né un programmatore, né un ingegnere del MIT o <strong>di</strong> altri illustriistituti Accademici/Universitari, era un visionario <strong>di</strong> Hollywood, eppure fu ilprimo a pensare e sviluppare prototipi <strong>di</strong> macchinari in grado <strong>di</strong> portare l’uomoall’interno del mondo virtuale.Fu il Cinerama ideato da Fred Waller ad ispirare Heilig nella sua concezione <strong>di</strong>esperienza multisensoriale, non tanto per quello che permetteva, ma piuttosto perquello che annunciava. L’idea <strong>di</strong> base del Cinerama è piuttosto semplice e fondale sue ra<strong>di</strong>ci sugli aspetti della percezione visiva dell’uomo: i nostri occhi sono ingrado <strong>di</strong> osservare 155 gra<strong>di</strong> verticalmente e 185 gra<strong>di</strong> orizzontalmente. Glischermi cinematografici <strong>di</strong> quegli anni erano in grado <strong>di</strong> riempire solamente unapiccolissima porzione <strong>di</strong> quello spazio visivo, seppur molto apprezzati, nonconsentivano un’adeguata immersione all’interno dello spazio filmico. Waller nonvoleva fare altro che espandere gli schermi attraverso l’utilizzo <strong>di</strong> proiezionimultiple e creare una sensazione <strong>di</strong> coinvolgimento più sod<strong>di</strong>sfacente.Ideò per l’Aviazione statunitense un visore cinematografico (in uno dei primisimulatori <strong>di</strong> volo) con cinque proiezioni <strong>di</strong> immagini riprese attraverso cinqueangolature leggermente <strong>di</strong>verse. Ciò permetteva l’addestramento dei piloti ancheper quanto riguarda la loro visione periferica, in quanto l'essere avvolti dalleimmagini in movimento rendeva la simulazione più realistica e quin<strong>di</strong> piùefficace.Nel dopoguerra Waller decise <strong>di</strong> proporre all’industria hollywoo<strong>di</strong>ana unaversione commerciale del suo sistema.Del resto Waller sapeva che Hollywood avrebbe avuto la necessità <strong>di</strong>sperimentare nuove forme <strong>di</strong> attrazione, data la concorrenza della neonatatecnologia a tubo cato<strong>di</strong>co televisiva, e un'idea come la sua sicuramente avrebbegiovato al mondo cinematografico. Gli bastarono infatti poche <strong>di</strong>mostrazioni perconvincere Mike Todd (un importante produttore dell’epoca) ad investire 10milioni <strong>di</strong> dollari sulla sua idea.92


"This is Cinerama" fu il primo film ad utilizzare la tecnica delle proiezionimultiple su schermi curvati che circondano il campo visivo degli spettatori. Fu unsuccesso straor<strong>di</strong>nario.Heilig in quel periodo si trovava in Italia e avendo sentito parlare <strong>di</strong> questanuova rivoluzionaria tecnica cinematografica, volle subito provarla. Tornò negliStati Uniti.Guardando un film alla Tv o al cinema si è seduti all’interno <strong>di</strong> una realtà cheosserva un’altra realtà attraverso una finestra in cui avvengono le proiezione <strong>di</strong>immagini. Allargando questa finestra fino a immergere fisicamente lo spettatore siraggiunge un senso <strong>di</strong> profondo coinvolgimento personale. L’esperienza si sentenon ci si limita più ad osservarla. Heilig cominciò a pensare a meto<strong>di</strong> e strumentiper ingannare la gente, convincendola <strong>di</strong> essere all’interno del film, <strong>di</strong> essereall’interno <strong>di</strong> un’altra realtà. A partire dal 1954 incominciò a creare un concept <strong>di</strong>quello che avrebbe dovuto essere il suo progetto più importante: Il teatroDell’Esperienza.The really exciting thing is that these new devices have clearly and dramatically revealed toeveryone what painting, photography and cinema have been semiconsciously trying to do all along- portray in its full glory the visual world of man as perceived by the human eye (“The Cinema ofThe Future”, pubblicato sulla rivista messicana “Espacios” da Morton Heilig,1955)Heilig voleva espandere la sensazione <strong>di</strong> coinvolgimento provata con ilCinerama anche attraverso gli altri sensi e creare così il cinema del futuro. Inizia astu<strong>di</strong>are le modalità in cui normalmente i sensi influiscono sull’attenzionedell’uomo nelle situazioni quoti<strong>di</strong>ane e schematizza i tratti essenziali del cervello,dei canali sensoriali, della rete motoria, <strong>di</strong> tutti gli input percettivi principali checreano il senso della realtà.Gli occhi grazie ai quali possiamo osservare immagini tri<strong>di</strong>mensionali a colori180 gra<strong>di</strong> orizzontalmente e 150 verticalmente, le orecchie che ci permettono <strong>di</strong><strong>di</strong>stinguere volumi, ritmi, suoni, parole e musica, il naso e la bocca per rilevare gliodori ed i sapori ed infine la pelle, con la quale possiamo identificare la93


temperatura, la pressione e le texture, sono tutti gli organi che compongono “thebuil<strong>di</strong>ng bricks, which when united create the sensual form of man’sconsciousness”.In<strong>di</strong>vidua anche il grado d'influenza sulla percezione del reale dei vari sensi,identificando nella vista quello che monopolizza maggiormente la nostrapercezione (70%), mentre l’u<strong>di</strong>to (20%), l’olfatto (5%), il tatto (4%) e il gusto(1%) sono considerati meno influenti, anche se è dall’insieme <strong>di</strong> tutti chepossiamo percepire il mondo come reale. Considerare solo la vista come laprincipale delle nostra abilità <strong>di</strong> percezione, sarebbe riduttivo.L’obiettivo <strong>di</strong> Heilig era quello <strong>di</strong> replicare la realtà per ciascuno <strong>di</strong> questi sensiall’interno <strong>di</strong> un teatro appositamente progettato, che chiama appunto Teatrodell’Esperienza.[...] La bobina cinematografica del futuro sarà un rotolo <strong>di</strong> nastro magnetico sud<strong>di</strong>viso in tracceseparate per ogni modalità sensoriale importante [...] Lo schermo non riempirà solo il 5% delvostro campo visivo come gli schermi dei cinema rionali, o il mero 7,5% del Wide Screen o il 18%dello schermo “miracle mirror” del Cinemascope, o il 25% del Cinerama - ma il 100%. Loschermo si curverà accanto alle orecchie dello spettatore da entrambi i lati ed oltre il suo limitevisivo sopra e sotto [...] Saranno concepiti mezzi ottici ed elettronici per creare profon<strong>di</strong>tà illusoriasenza occhiali. (“The Cinema of The Future”, pubblicato sulla rivista messicana “Espacios” daMorton Heilig, 1955 - traduzione italiana "La Realtà Virtuale" <strong>di</strong> Howard Rehingold, 1993)Heilig per la sua idea <strong>di</strong> cinema del futuro trovò estimatori <strong>di</strong>sposti ad investirein Messico, ma sciaguratamente poco tempo dopo aver iniziato a sperimentarealcune proiezioni con lenti ottiche particolari, l’investitore morì in un incidenteaereo. Rientrato negli Usa cercò nuovi finanziamenti e persone <strong>di</strong>sposte adaiutarlo nella sua impresa, ma anche in questo caso la cattiva sorte giocò un ruoloda protagonista: il <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> una grossa azienda <strong>di</strong> proiettori interessata alprogetto morì in un incidente aereo. Non se ne fece più nulla.Heilig decise che se voleva trovare investitori doveva far provare loro<strong>di</strong>rettamente l’esperienza. Tutto quello che aveva erano solo delle idee e deglischizzi. Troppo poco per far capire esattamente quello che voleva essere la sua94


visione <strong>di</strong> cinema del futuro. Iniziò quin<strong>di</strong> a progettare e costruire pezzo dopopezzo, all’interno del suo garage, una versione monoposto del suo teatrodell’esperienza, che chiamò Sensorama Simulator.Il Sensorama era il <strong>di</strong>spositivo che ha permesso ad Heilig <strong>di</strong> mettere finalmentein pratica le sue teorie, anche se si trattava <strong>di</strong> un <strong>di</strong>spositivo più simile ad unArcade Game anni '80 a gettoni da sala giochi, che ad un cinema ad altopotenziale tecnologico.Lo spettatore doveva sedersi eappoggiare la testa all’interno dellacabina, in cui erano <strong>di</strong>sposti tutti ireplicatori <strong>di</strong> sensazioni olfattive, u<strong>di</strong>tive,tattili e visive. Lo schermo ad ampiaestensione che occupava gran parte delcampo visivo e il suono stereo che siespandeva tutto intorno, amplificavano lasensazione <strong>di</strong> essere partecipi all’internodella scena. Gli scossoni, il vento e gliodori sincronizzati perfettamente alfilmato rendevano la sensazione quasi unaconvinzione <strong>di</strong> essere lì. Di essereprotagonista <strong>di</strong> ciò che si “vede” e si“sente” all’interno del Sensorama.Heilig aveva inventato la realtà per unnichelino, un <strong>di</strong>spositivo capace <strong>di</strong> creareesperienze <strong>di</strong> realtà mai provate prima, una simulazione del reale finalizzataall’intrattenimento, la stessa che oggi si può ammirare in tutte le sue potenzialità,nei gran<strong>di</strong> parchi <strong>di</strong>vertimento <strong>di</strong> tutto il mondo.Fig. 12 - Locan<strong>di</strong>na pubblicitaria del Sensorama<strong>di</strong> Morton HeiligUn altro brevetto del 1960 <strong>di</strong>mostra come Heilig sia stato davvero unvisionario che ha precorso i tempi, e che se non fosse stato per le vicende legate al95


finanziamento dei suoi progetti, sarebbe in<strong>di</strong>cato da tutti come il fondatore dellarealtà virtuale ancor più <strong>di</strong> Ivan Sutherland.Heilig infatti aveva lavorato ad un <strong>di</strong>spositivo Head Mounted chiamatoStereoscopic-television Apparatus For In<strong>di</strong>vidual Use, meglio conosciuto comeTelesphere Mask. Si tratta <strong>di</strong> una versione portatile ed indossabile del Sensoramache si posiziona sulla testa, come un casco, e consente <strong>di</strong> replicare l’esperienzavisiva <strong>di</strong> una realtà virtuale pre-informatica.Heilig è stato il pioniere <strong>di</strong> questa tecnologia e avrebbe potuto portare il mondonell’era del Ciberspazio 1 già negli anni '60, se solo avesse incontrato le personegiuste al momento giusto.Come simulatore ambientale, il Sensorama costituì uno dei primi passi verso la duplicazionedell’atto dello spettatore <strong>di</strong> stare <strong>di</strong> fronte ad una scena reale. L’utente è totalmente immerso in unacabina progettata per imitare la modalità <strong>di</strong> esplorazione mentre la scena è rappresentatasimultaneamente ai vari sensi. Il passo successivo consiste nel permettere allo spettatore <strong>di</strong>controllare il proprio cammino attraverso l’informazione <strong>di</strong>sponibile per creare una possibilità<strong>di</strong>rettamente <strong>di</strong> interazione altamente personalizzata vicina alla soglia dell’esplorazione virtuale.( “Viewpoint Dependent Imaging” Scott Fisher, 1981)5.2 L’Ultimate Display <strong>di</strong> Ivan Sutherland.Negli stessi anni in cui Heilig brevettava il Sensorama, Ivan Sutherland,all’epoca dottorando al MIT, conclude il suo percorso <strong>di</strong> ricerche con larealizzazione <strong>di</strong> quello che sarà definito come uno dei software più importanti <strong>di</strong>tutti i tempi: Sketchpad. Sutherland grazie alla sua brillante intuizione, ispirataalle “visioni” Engelbartiane e Licklideriane, era riuscito a creare un sistema <strong>di</strong>controllo e comunicazione uomo-computer, attraverso il quale l’interazioneavveniva per mezzo <strong>di</strong> forme grafiche elaborate in real time, un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong>puntamento e un <strong>di</strong>splay collegato ad un “normale” computer.1Termine inglese utilizzato per in<strong>di</strong>care il dominio caratterizzato dall'uso dell'elettronica e perimmagazzinare, mo<strong>di</strong>ficare e scambiare informazioni attraverso le reti informatiche e le loroinfrastrutture fisiche.96


Fu una vera e propria rivoluzione che influenzò notevolmente i percorsi nelladelle future tecnologie dell’interazione tra le macchine e le menti umane.Con "Sketchpad: A Man-Machine Graphical Communication System" (questoera il titolo completo della sua tesi <strong>di</strong> dottorato, supervisionata da ClaudeShannonn) nasce <strong>di</strong>fatti la computer grafica ed il primo sistema <strong>di</strong> CAD(computer aided design).Sketchpad non era soltanto uno strumento per <strong>di</strong>segnare. era un programma che obbe<strong>di</strong>va alleleggi che si voleva fossero vere. per <strong>di</strong>segnare un quadrato si tracciava una linea con la pennaottica, poi si davano al computer pochi coman<strong>di</strong> [...] Sketchpad prendeva la linea e le istruzioni evia! Un quadrato appariva sullo schermo. ("La Realtà Virtuale" Howard Rehingold, 1993,citazione <strong>di</strong> Alan key sul software Sketchpad)Sutherland aveva appena incominciato ad esplorare la soglia <strong>di</strong> un nuovomondo, il mondo della grafica computerizzata, e ben presto sentì l’esigenza <strong>di</strong>varcare quella soglia, calandosi letteralmente all’interno <strong>di</strong> essa.Voleva portare all’estremo il concetto <strong>di</strong> contatto intimo tra intelletto umano ecomputer che Licklider aveva profetizzato nel suo saggio "Man-ComputerSymbiosis" del 1960.Nel 1965 Sutherland, succeduto proprio a Licklider al “comando” dell’IPTO,scrive "The Ultimate Display", un breve saggio in cui espone lucidamente eprofeticamente l’avvento <strong>di</strong> un nuovo modo <strong>di</strong> rappresentare le informazionigenerate dai computer.Il mondo in cui viviamo è un “physical world” in cui le sue proprietà ecaratteristiche fondamentali <strong>di</strong>ventano a noi note solo con l’esperienza. Inparticolare i nostri sensi ci danno la capacità <strong>di</strong> comprendere e prevedere icomportamenti all’interno <strong>di</strong> questo mondo. Per esempio, possiamo facilmenteintuire dove un oggetto cadrà, che tipo <strong>di</strong> forma ha un determinato angolo che nonriusciamo a vedere oppure quanta forza ci occorre per vincere la resistenza <strong>di</strong> unoggetto e spostarlo. Quello che ci manca, secondo Sutherland, è la familiarità conconcetti <strong>di</strong> natura più scientifica ed astratta, <strong>di</strong>fficilmente collegabiliall’esperienza sensoriale <strong>di</strong>retta.97


Un <strong>di</strong>splay connesso ad un computer ci consente <strong>di</strong> fare esperienza con questitipi <strong>di</strong> astrazioni, <strong>di</strong>fficilmente realizzabili nel mondo fisico.1965)It is a looking glass into a mathematicl wonderland ("The Ultimate Display" Ivan Sutherland,Per fare in modo che questi <strong>di</strong>splay <strong>di</strong>ventino effettivamente gli occhialiall’interno del mathemtical wonderland generato nella memoria dei computer,occorre fare in modo che essi coinvolgano più sensi possibili.Gli esperimenti <strong>di</strong> Heilig con il suo prototipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>spositivo Head MountedDisplay Telesphere Mask e più in generale con il Sensorama e il Teatrodell’Esperienza, hanno <strong>di</strong>mostrato che il coinvolgimento multi-sensoriale dellospettatore amplifica la sensazione <strong>di</strong> “presenza fisica” all’interno dellasimulazione <strong>di</strong> realtà in atto. Sebbene quelli <strong>di</strong> Heilig siano soluzioni analogiche,cioè senza il supporto tecnologico <strong>di</strong> un computer, rappresentano comunque unpercorso interessante da seguire e integrare nei nuovi <strong>di</strong>splay <strong>di</strong>gitali, gli stessi acui Ivan Sutherland ambisce.The Ultimate Display è proprio questo. Una visione sulle future capacitàtecnologiche in grado <strong>di</strong> fornire output e input attraverso l’uso congiunto <strong>di</strong> tutti isensi umani, in modo tale da immergere l’utente all’interno dei dati elaborati daicomputer e dei mon<strong>di</strong> da esso generati.Dal momento che i computer, attraverso l’uso <strong>di</strong> specifici sensori, possonofacilmente rilevare la posizione <strong>di</strong> molti dei muscoli che compongono il nostrocorpo, è possibile costruendo macchine capaci <strong>di</strong> interpretare tali movimenti,interagire <strong>di</strong>rettamente con gli oggetti e i mon<strong>di</strong> Virtuali generati dagli elaboratori(per esempio attraverso gli occhi o il linguaggio degli sguar<strong>di</strong>).There is no reason why the objects <strong>di</strong>splayed by a computer have to follow the or<strong>di</strong>nary rulesof physical <strong>reality</strong> with which we are familiar. [...] The user of one of today's visual <strong>di</strong>splays caneasily make solid objects transparent - he can "see through matter!" Concepts which never beforehad any visual representation can be shown, [...] ("The Ultimate Display" Ivan Sutherland, 1965)98


All’interno <strong>di</strong> questi nuovi mon<strong>di</strong> è possibile creare oggetti e strutturare leggifisiche a noi poco familiari, in modo tale da poterle stu<strong>di</strong>are allo stesso modo incui le potremmo osservare e conoscere nel mondo naturale.By working with such <strong>di</strong>splays of mathematical phenomena we can learn to know them as wellas we know our own natural world. Such knowledge is the major promise of computer <strong>di</strong>splays.("The Ultimate Display" Ivan Sutherland, 1965)L’Ultimate Display descritto e immaginato da Sutherland è una semplice“stanza”, un ambiente in cui il computer controlla l’esistenza della materia e dellesue specifiche regole.Con Sketchpad, Sutherland ha creato una finestra tra il mondo reale e quellogenerato attraverso il computer, in cui è possibile osservare, elaborare o creareoggetti, <strong>di</strong>segni o progetti, interagire con essi comunque mantenendo un certo<strong>di</strong>stacco fisico (che può essere rappresentato dai <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> input, dal monitorecc...). Con l’Ultimate Display invece abbatte quella stessa finestra permettendoci<strong>di</strong> attraversarla e <strong>di</strong> varcare la soglia dell’esplorazione virtuale dei nuovi mon<strong>di</strong> edegli oggetti creati all’interno <strong>di</strong> essi, a cui viene conferita una connotazione quasimagica: “Con una programmazione adatta questo tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>splay potrebbeletteralmente essere il paese delle meraviglie in cui camminò Alice”.Parallelamente alla rivoluzione informatica che stavano sostenendo Engelbart eLicklider, Sutherland getta le basi per l’avvento dell’era ciberspaziale, in cui iconcetti <strong>di</strong> “potenziamento dell’intelletto” e “simbiosi uomo-macchina” vengonoestremizzati. Il ciberspazio è il luogo ideale per familiarizzare con situazioni pococonosciute, sperimentare ed osare nuove possibili soluzioni ai problemi che lanostra civiltà deve affrontare e che senza l’ausilio <strong>di</strong> un’esperienza <strong>di</strong>rettasarebbero impossibili da concepire e risolvere.Sutherland nel 1965, con la descrizione dell’Ultimate Display, non soloprofetizza l’avvento delle realtà virtuali, ma pone anche le basi affinché questepossibilità non rimangano soltanto sulla carta.99


A partire dal 1966 (dopo aver lasciato la <strong>di</strong>rezione dell’IPTO a Robert Taylor)all’interno del Lincoln Laboratory del MIT, Sutherland e il suo staff iniziarono acondurre i primi esperimenti sulle tecnologie necessarie a realizzare un sistemacoor<strong>di</strong>nato, che consentisse all’utente <strong>di</strong> camminare e calarsi completamenteall’interno dei (dati generati da un) computer.Occorreva creare tutto dal nulla.L’idea fondamentale che è alla base del <strong>di</strong>splay tri<strong>di</strong>mensionale è <strong>di</strong> presentare all’utenteun’immagine in prospettiva che cambia in base ai suoi movimenti. L’immagine retinica deglioggetti che ve<strong>di</strong>amo, è dopo tutto, soltanto bi<strong>di</strong>mensionale. Perciò potendo porre due immaginibi<strong>di</strong>mensionali appropriate sulle retine dell’osservatore, possiamo creare l’illusione della vista <strong>di</strong>un oggetto tri<strong>di</strong>mensionale [...] L’immagine rappresentata dal <strong>di</strong>splay tri<strong>di</strong>mensionale devecambiare esattamente nello stesso modo in cui cambierebbe l’immagine <strong>di</strong> un oggetto reale a causa<strong>di</strong> movimenti della testa dello stesso tipo. ("Realtà Virtuali" Howard Rehingold, 1993, citazione <strong>di</strong>Ivan Sutherland sul Three <strong>di</strong>mensional head mounted <strong>di</strong>splay)Fig. 13 - Due immagini della “spada <strong>di</strong> Damocle” (il Three <strong>di</strong>mensional head mounted <strong>di</strong>splay)<strong>di</strong> Ivan Sutherland del 1968.L’Head Mounted Three Dimensional Display, completato in ogni sua parte nel1968 e denominato dagli “addetti ai lavori” spada <strong>di</strong> Damocle, era composto dasotto-sistemi interconnessi, molti dei quali costruiti proprio durante la prima fase<strong>di</strong> sperimentazioni del MIT: “occhiali” speciali contenenti due tubi a raggi100


cato<strong>di</strong>ci, due generatori <strong>di</strong> linee analogici bi<strong>di</strong>mensionali (<strong>di</strong>splay) che deflettonoil segnale ai tubi a raggi cato<strong>di</strong>ci, due sensori <strong>di</strong> posizione della testa, unomeccanico e l’altro ad ultrasuoni utilizzati per misurare la posizione dell’utentenello spazio, un computer general purpose, un matrix multiplier e un clipping<strong>di</strong>vider.Questi ultimi due sistemi meritano una spiegazione più dettagliata.Così come osservando nella realtà un oggetto, si ha una sensazione prospetticache il nostro sistema occhio-cervello è in grado <strong>di</strong> identificare come autentica,permettendoci <strong>di</strong> orientarci e conseguentemente determinare una serie <strong>di</strong>informazioni necessarie alla comprensione dell’oggetto stesso (forma,<strong>di</strong>mensione, <strong>di</strong>stanza ecc...), anche il <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> Sutherland, per raggiungere ilsuo scopo, deve essere in grado <strong>di</strong> riprodurre lo stesso tipo <strong>di</strong> sensazione.L’illusione prospettica degli oggetti virtuali quin<strong>di</strong> dovrà cambiare in base aimovimenti della testa e al punto <strong>di</strong> vista dell’utente, in modo realistico econvincente.Osservare un oggetto generato dal computer da angolazioni <strong>di</strong>fferentiall’interno <strong>di</strong> uno spazio virtuale richiede, ad ogni movimento, l’esecuzione <strong>di</strong> unatraslazione matematica tra le coor<strong>di</strong>nate dell’utente (del suo punto <strong>di</strong> vista) e lecoor<strong>di</strong>nate della stanza. Chiaramente più l’ambiente virtuale sarà dettagliato ericco <strong>di</strong> oggetti, più i calcoli da eseguire saranno numerosi e complessi. Sebbenequesti primi passi fatti da Sutherland all’interno delle realtà virtuali comprendanopoco più <strong>di</strong> cubi wire-frame, la mole <strong>di</strong> calcolo necessaria a comporre la scenasarebbe stata comunque eccessivamente complessa da gestire con i normalihardware a <strong>di</strong>sposizione.Il primo passo per entrare all’interno del mondo computerizzato era quello <strong>di</strong>creare equipaggiamenti hardware special purpose in grado <strong>di</strong> assumersi i compiti<strong>di</strong> traslazione delle coor<strong>di</strong>nate e quelli relativi alla visualizzazione degli oggettitramite la prospettiva più appropriata.Il matrix multiplier e il clipping <strong>di</strong>vider sono le geniali soluzioni hardware cheSutherland e il suo staff hanno brillantemente sviluppato.101


Il primo ha il compito <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare i punti estremi dei vettori checompongono gli spigoli <strong>di</strong> un qualsiasi oggetto all’interno dell’ambiente virtuale emoltiplicarli per i dati forniti dal sistema <strong>di</strong> rilevamento spaziale posto sopra latesta dell’utente (nuove coor<strong>di</strong>nate), aggiornandoli automaticamente alla nuovaposizione e spostando così definitivamente la vista dell’oggetto in sincronia con ilmovimento della testa dell’osservatore.Al clipping <strong>di</strong>vider invece è affidato il compito <strong>di</strong> convertire le informazioninumeriche <strong>di</strong> un oggetto tri<strong>di</strong>mensionale in uno bi<strong>di</strong>mensionale ottimizzato per larappresentazione sullo schermo grafico del <strong>di</strong>spositivo head mounted. Inoltre ilclipping <strong>di</strong>vider si occupa <strong>di</strong> rimuovere tutte quelle linee che compongonol’oggetto nella sua rappresentazione tri<strong>di</strong>mensionale, che si trovano <strong>di</strong>etro la testadell’utente, fuori dal punto <strong>di</strong> vista o che sono nascoste dall’oggetto stesso o daaltri oggetti oggetti in primo piano (per esempio guardando una poltrona daldavanti non è possibile vedere la sua parte posteriore, quando una persona èseduta sulla poltrona è possibile vedere solo parte <strong>di</strong> essa).Sia il matrix multiplier che il clipping <strong>di</strong>vider acquisiscono le informazioni dalrilevatore <strong>di</strong> posizione, elaborano i dati ricavati e trasmettono l’output algeneratore <strong>di</strong> vettori responsabile della visualizzazione <strong>di</strong> quest’ultimi sulloschermo. La luce emessa dalle proiezioni dei tubi a raggi cato<strong>di</strong>ci (posti accantoalle tempie) veniva riflessa da una serie <strong>di</strong> lenti e specchi che producevanoun’immagine virtuale, posta a circa 35 centimetri <strong>di</strong> fronte all’utente. Taleimmagine appariva come una sovrimpressione sul mondo fisico.in questo modo il materiale visualizzato può apparire come sospeso nello spazio o coinciderecon mappe, scrivanie, pareti, o tasti <strong>di</strong> una macchina per scrivere. (“Three <strong>di</strong>mensional headmounted <strong>di</strong>splay “ Ivan Sutherland, 1968)Fin dai primi esperimenti Sutherland si preoccupò <strong>di</strong> trovare valide e<strong>di</strong>ngegnose soluzioni per rilevare in tempo reale i movimenti della testa dell’utente,convinto che gran parte del successo del <strong>reality</strong> engine fosse legata alla precisionedel sistema <strong>di</strong> tracking. Come abbiamo visto in precedenza, gran parte del102


“lavoro” era svolto dall’hardware matrix multiplier e clipping <strong>di</strong>vider, tuttavia essirecuperavano le informazioni da elaborare <strong>di</strong>rettamente dal sistema <strong>di</strong> rilevamentodella posizione dell’utente. Quin<strong>di</strong> se l’obiettivo <strong>di</strong> Sutherland era quello <strong>di</strong> calarele persone all’interno <strong>di</strong> un mondo virtuale che si comporti prospetticamente inmodo “cre<strong>di</strong>bile”, allora era necessario che tutto il sistema, ed in particolare il<strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> tracking, fosse preciso, veloce e quin<strong>di</strong> affidabile.Per questo motivo Sutherland decise <strong>di</strong> sperimentare <strong>di</strong>verse soluzioni <strong>di</strong>rilevamento, in particolare si concentrò su un sistema ad ultrasuoni sperimentale esu un altro <strong>di</strong> tipo meccanico.Il sistema ad ultrasuoni era in grado <strong>di</strong> rilevare, grazie alla combinazione <strong>di</strong> tretrasmettitori ad onde continue, posti <strong>di</strong>rettamente nel <strong>di</strong>spositivo head mounted,e4 ricevitori posizionati sul soffitto in corrispondenza dei quattro angoli della“stanza”, l’esatta posizione della testa dell’utente e i suoi movimenti all’interno <strong>di</strong>uno spazio prestabilito. Forniva al fruitore dell’esperienza virtuale un grado <strong>di</strong>libertà <strong>di</strong> movimento superiore rispetto al sistema meccanico, ma era pocoaffidabile perché soggetto ad interferenze che compromettevano la lettura correttadelle coor<strong>di</strong>nate spaziali dell’utente. La tecnologia ad ultrasuoni sperimentata daSutherland era ancora ad uno stato embrionale per questo tipo <strong>di</strong> applicazioni incui era necessaria la massima precisione. I risultati raggiunti durante gliesperimenti comunque facevano ben sperare per il futuro.Il sistema meccanico invece venne realizzato appositamente per garantiremisurazioni accurate e in tempo reale della posizione della testa. Consisteva inuna coppia <strong>di</strong> tubi che si agganciavano me<strong>di</strong>ante appositi giunti al <strong>di</strong>spositivohead mounted e ad una serie <strong>di</strong> binari sul soffitto. Il mechanical head positionsensor costringeva l’utente in una morsa vincolante ad un volume <strong>di</strong> pochimovimenti della testa: 180 centimetri lateralmente e poco meno <strong>di</strong> un metro inaltezza. L’utente comunque era libero <strong>di</strong> muoversi, voltarsi, inclinare lo sguardo inalto o in basso fino a 40°.103


Questo tipo <strong>di</strong> sensore è l’esempio <strong>di</strong> come la tecnologia analogica-meccanicadegli anni '60 superasse in termini <strong>di</strong> prestazioni ed affidabilità quelle <strong>di</strong>gitalidello stesso periodo.Il <strong>reality</strong> engine, completo anche della sua componente software, venne avviatoper la prima volta il 1°gennaio del 1970 (dopo tre anni <strong>di</strong> intenso lavoro, sud<strong>di</strong>visitra il MIT e l’Università dello Utha). Ciò che apparve davanti agli occhi <strong>di</strong> DanielVickers, studente universitario a cui fu conferito il compito <strong>di</strong> far funzionare ilsoftware congiuntamente agli hardware del <strong>di</strong>spositivi HMD, fu un cubo wireframe<strong>di</strong> circa 6 centimetri per lato, un semplice oggetto fluttuante nello spazio,fatto <strong>di</strong> luce e nulla più, ma comunque presente.Quel cubo rappresentava il futuro.Negli esperimenti successivi, grazie all’utilizzo <strong>di</strong> computer più potenti, fupossibile costruire un’intera “stanza” che circondava l’osservatore. Le pareti eranosospese nello spazio all’interno della stanza fisica ed ognuna <strong>di</strong> esse eracontrassegnata da lettere (N,S,W,E)che ne in<strong>di</strong>cavano la <strong>di</strong>rezione (North, South,West, East) e C per il soffitto e F per il pavimento.an observer fairly quickly accommodates to the ideas of being inside the <strong>di</strong>splayed room andcan view whatever portion of the room he wishes by turning his head. (“Three <strong>di</strong>mensional headmounted <strong>di</strong>splay “ Ivan Sutherland, 1968)La prima stanza del ciberspazio era semplice, quadrata e monocromatica, era latana del Bianconiglio nella quale Alice cadde prima <strong>di</strong> approdare nel paese delleMeraviglie (per rimanere in tema con la metafora fatta dallo stesso Sutherland nelsuo testo "The Ultimate Display" del 1965), era quel luogo non luogo da cuipoteva partire la nuova era dell’esplorazione ciberspaziale.Fin dalla prima <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> Sketchpad, Sutherland aveva intravisto lapossibilità <strong>di</strong> entrare a stretto contatto con quelle linee che il programma era ingrado <strong>di</strong> generare attraverso semplici ed intuitivi input. Era fortemente convinto, elo sarà sempre <strong>di</strong> più durante le sperimentazioni della spada <strong>di</strong> Damocle, che ilciberspazio possa amplificare le capacità <strong>di</strong> progettisti e creativi allo stesso modo104


in cui le altre possibilità informatiche amplificavano le capacità <strong>di</strong> scienziati econtabili.Affinché i mon<strong>di</strong> generati dal computer possano amplificare il potenzialeumano, è fondamentale che essi siano immersivi e navigabili.L’idea <strong>di</strong> immersione è un concetto fondamentale che sta alla base delleproprietà della realtà virtuale. Essere immersi in un mondo generato dal computervuol <strong>di</strong>re avere l’illusione <strong>di</strong> essere presenti fisicamente in un luogo in cui ciò cheè visibile si comporta esattamente come si sarebbe comportato nella realtà.Immersione non vuol <strong>di</strong>re per forza simulazione della realtà, ma semplicementeuna sua <strong>di</strong>versa rappresentazione purché sia in grado <strong>di</strong> convincere i nostri sensiche ciò che ve<strong>di</strong>amo e sentiamo attraverso il <strong>di</strong>spositivo HMD è “realmente”davanti a noi.Il secondo concetto fondamentale è l’idea <strong>di</strong> navigazione. Così come avevanotato Sutherland nell’Ultimate Display, il coinvolgimento multi-sensoriale èdeterminante nel creare un'illusione <strong>di</strong> presenza fisica accettabile all’interno delmondo virtuale. Per sentirsi parte integrante <strong>di</strong> un mondo non bastasemplicemente osservare ed ascoltare, bisogna interagire, toccare, spostare,mo<strong>di</strong>ficare gli oggetti che compongono la simulazione. Occorre essere attivi eandarsene in giro (navigare) come se ci si trovasse realmente all’interno <strong>di</strong> esso.Nelle prime esplorazioni, la spada <strong>di</strong> Damocle presentava solamente un primoabbozzo <strong>di</strong> sensazione <strong>di</strong> immersione, era quasi completamente privo della suacomponente esplorativa (navigazione).Daniel Vickers, il primo ad aver assaporato il magico sapore <strong>di</strong> un cubettoall’interno del ciberspazio, suggerì a Sutherland l’utilizzo <strong>di</strong> un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong>input da associare al sistema HMD, in modo tale da aggiungere alla semplicepresenza passiva, la possibilità <strong>di</strong> manipolare <strong>di</strong>rettamente gli oggetti ed interagirecon essi. Di “navigare”.Un osservatore all’interno dell’ambiente tri<strong>di</strong>mensionale del HMD ha a sua <strong>di</strong>sposizione unabacchetta magica con la quale può raggiungere e “toccare” gli oggetti sintetici che vede. Unabacchetta per creare ed interagire con gli oggetti sintetici visibili soltanto a chi indossa il casco105


cala gli astanti in un’atmosfera <strong>di</strong> stregoneria ed è alla base per il suo nome Appren<strong>di</strong>sta Stregone.("La Realtà Virtuale" Howard Rehingold, 1993, Daniel Vickers)L’Appren<strong>di</strong>sta stregone aumentò sensibilmente il senso <strong>di</strong> presenza percepitodall’utente all’interno del mondo virtuale poiché implicava un coinvolgimentoattivo da parte <strong>di</strong> altri sensi. Rendeva possibili azioni magiche come far apparireoggetti, allungare, rimpicciolire, ruotare, far scomparire, fondere e separare.Tutto grazie a pochi semplici coman<strong>di</strong>.scoprimmo che il senso <strong>di</strong> presenza aumentava quando aggiungevamo la bacchetta. Più sensivengono coinvolti, più completa è l’illusione ("La Realtà Virtuale" Howard Rehingold, 1993,Daniel Vickers)La possibilità <strong>di</strong> interagire con il mondo che ci circonda è il fattoredeterminante che ci permette <strong>di</strong> conoscere ed esprimere il nostro potenziale equello <strong>di</strong> ciò che ci sta attorno.5.3 Ambienti Virtuali interattivi: Myron KreugerI concetti <strong>di</strong> immersione e navigazione all’interno <strong>di</strong> uno spaziocomputerizzato non implicano che essi siano per forza generati tramite l’uso <strong>di</strong>tecnologie specifiche. Le visioni che creano il coinvolgimento sensorialeall’interno dello spazio possono essere plasmate attraverso l’uso <strong>di</strong> mezzi ottici,elettronici o entrambi. Gli input gestuali che permettono l’esplorazionedell’ambiente in cui si è immersi sono tendenzialmente legati all’uso <strong>di</strong> <strong>di</strong>spositiviindossabili, quali Head Mounted Display piuttosto che occhiali, bacchettemagiche, tastiere e guanti speciali in grado <strong>di</strong> rilevare la posizione e i movimentidelle mani (<strong>di</strong> questi ultimi ce ne occuperemo nel prossimo paragrafo).Tuttavia non sono l’unico modo per poter entrare dentro il computer.Le realtà virtuali, o meglio quelle pratiche tecnologiche che sarebbero<strong>di</strong>ventate le realtà virtuali, a cavallo tra gli anni '60 e '70 erano ancora in una fasesperimentale in cui venivano abbozzate le tecnologie del futuro. Sutherland e i106


suoi colleghi dell’Università dello Utha costruiscono il primo <strong>reality</strong> enginecapace <strong>di</strong> proiettare un in<strong>di</strong>viduo all’interno <strong>di</strong> un mondo esplorabile, in cui sonopresenti oggetti tri<strong>di</strong>mensionali osservabili da ogni <strong>di</strong>rezione, semplicementemuovendo la testa. La potenza degli elaboratori <strong>di</strong> questi anni era in grado <strong>di</strong>gestire in tempo reale solamente immagini geometriche, wire-frame basilari, senzasuperficie o colore. Per creare mon<strong>di</strong> virtuali accettabili sia sotto il profilodell’esperienza che dell’illusione delle presenza all’interno <strong>di</strong> essi, occorreva unra<strong>di</strong>cale incremento della potenza <strong>di</strong> calcolo e delle tecnologie <strong>di</strong> input ed outputsensoriali.Oppure sarebbe stato necessario un approccio <strong>di</strong>verso.Mentre la tendenza delle ricerche e sperimentazioni future sulle realtà virtualisembra essere destinata verso una simulazione del reale, arricchita da elementi“magici” (finalizzata in particolare alla creazione <strong>di</strong> strumenti <strong>di</strong> ambito militare,ARPA, NASA ecc..), una sensibilità non proveniente né dall’ingegneria hardwarené da quella software, incominciò a strutturare un’idea <strong>di</strong> realtà virtuale comemezzo per l’espressione artistica nell’interazione uomo-computer.Myron Krueger era quella sensibilità.Artista e tecnico sognatore, laureato in Computer Science presso l’Universitàdel Wisconsin, così come Morton Heilig e Douglas Engelbart, ebbe una “visione<strong>di</strong>fferente” della tecnologia, e come loro fu costretto a lottare duramente affinchéle sue idee potessero realizzarsi.Krueger ha sempre sostenuto che gli effetti sonori e visivi, le immagini video ela grafica computerizzata, le tecnologie <strong>di</strong> input, i <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> output ed isoftware che controllano tutto il sistema, possono e devono essere consideraticome strumenti in grado <strong>di</strong> suscitare nuovi tipi <strong>di</strong> comportamenti umani. Lecomponenti psicologiche, <strong>social</strong>i, comportamentali ed artistiche della realtàvirtuale sono gli aspetti più interessanti che lo stesso Krueger intende stu<strong>di</strong>are afondo.La realtà virtuale deve essere soprattutto esperienza umana <strong>di</strong>retta. Deve essereconsapevolezza <strong>di</strong> un mondo remoto o innaturale che ci permette <strong>di</strong> sperimentare,107


esplorare, creare, mo<strong>di</strong>ficare, conoscere e comunicare attraverso i nostri sensi conciò che ci circonda. Deve generare e pretendere interazione, poiché è proprio apartire da questo lato esperienziale che è possibile generare nuova conoscenza.Myron Krueger crede così fortemente nelle possibilità espressive delletecnologie legate alla cultura del ciberspazio, tanto che a partire dalla fine deglianni '60 (parallelamente ai lavori <strong>di</strong> Ivan Sutherland) incomincia a sperimentarel’utilizzo delle immagini elettroniche interattive all’interno <strong>di</strong> ambienti artificiali,costruiti manipolando contemporaneamente sia l’aspetto visuale che quellosonoro. La componente virtuale nella concezione Kruegeriana è strettamentelegata allo spazio fisico in cui è presente l’osservatore ed è lì che fisicamenteavviene l’immersione. L’utente che è all’interno <strong>di</strong> questi ambienti, non habisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>spositivi o periferiche invasive per essere proiettato nell’esperienzavirtuale, ma è l’ambiente stesso che manifesta la sua virtualità attraverso suoni,immagini e interazioni, <strong>di</strong>rettamente dalle pareti che compongono la stanza.L'in<strong>di</strong>viduo si trova così a partecipare consapevolmente ad una manifestazioneche si fa gioco dei cliché della percezione del reale attraverso inusuali esperienze,sperimentazioni ed esplorazioni al <strong>di</strong> fuori della normalità e le possibilità <strong>di</strong>personalizzare graficamente l'ambiente circostante in cui è inserito il suosimulacro corporeo. All'interno <strong>di</strong> questi responsive envirorments l'in<strong>di</strong>viduo èportato a sperimentare <strong>di</strong>rettamente il linguaggio <strong>di</strong>gitale in tutte le sue formeutilizzando il suo corpo e attraverso i <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> interfaccia può ibridarsi conl'ambiente-macchina in cui è immerso.In poche parole, quello che Krueger intende realizzare è <strong>di</strong>fatti una me<strong>di</strong>a roomcome alternativa ai <strong>reality</strong> engine.Nell'aprile del 1969 Myron Krueger, presso la Memorial Union Gallerydell'Università del Winsconsin, assieme a Dan San<strong>di</strong>n, Jarry Erdman e RichardVenezesky, apre ufficialmente al pubblico GLOWFLOW, la prima <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong>realtà artificiali, in cui lo consacreranno come uno dei padri fondatori della realtàvirtuale.108


In realtà GLOWFLOW era un progetto Universitario <strong>di</strong>segnato appositamenteper stu<strong>di</strong>are il rapporto tra arte e tecnologie, a cui Krueger era stato invitato apartecipare.GLOWFLOW non faceva uso <strong>di</strong> grafica computerizzata ma creava effettivisivi tramite l'utilizzo <strong>di</strong> altre tecnologie. Una semplice rete <strong>di</strong> tubi riempiti conflui<strong>di</strong> fosforescenti collegati sapientemente ad un sistema computerizzato e asintetizzatori sonori, rendevano uno spazio buio in qualcosa che nessuno avevamai visto prima.Grazie alla presenza <strong>di</strong> pannelli sensibili alla pressione incastrati nelpavimento, il pubblico semplicemente camminando all'interno della stanzainteragiva inconsciamente con essa. Le pareti dell'ambiente GLOWFLOW eranorivestite da colonne verticali opache e tubi <strong>di</strong> vetro trasparente orizzontali. Leparticelle fosforescenti erano sospese nell'acqua contenuta all'interno dei tubi cheveniva pompate velocemente da una parte all'altra della stanza ad ogni inputgenerato dal pavimento. Passando attraverso le colonne opache (che al lorointerno contenevano una luce nascosta) i fosfori venivano attivatitemporaneamente, generando così vettori <strong>di</strong> luce che schizzavano nello spazio perpoi ritornare nell'oscurità. Simultaneamente all'effetto visivo, venivano eseguitisuoni sintetizzati elettronicamente. Le possibili configurazioni sonore e visive siaccendevano e si spegnevano in base ad una serie <strong>di</strong> istruzioni provenienti dalminicomputer nascosto, che elaborava gli input e ne determinava un conseguenteoutput più o meno casuale.La gente reagiva all'ambiente in modo sorprendente: si formavano gruppi <strong>di</strong> persone fra loroestranee. Giochi, battimani e canti nascevano spontaneamente. La stanza sembrava soggetta asbalzi <strong>di</strong> umore, a volte piombava in un silenzio <strong>di</strong> tomba, a volte era rumorosa e <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata.Ognuno si inventava un proprio ruolo. [...] Altri si comportavano da guide, spiegando che cosaerano i fosfori e che cosa stava facendo il computer. Sotto molti punti <strong>di</strong> vista la gente all'internodella sembrava primitiva, intenta ad esplorare un ambiente che non comprendeva, tentando <strong>di</strong> farlocorrispondere a ciò che già sapeva o si aspettava. [...] molti erano preparati a sperimentare questoaspetto e se ne andavano convinti che la stanza aveva reagito alle loro azioni in mo<strong>di</strong> determinati,mentre in realtà non era così. ("La Realtà Virtuale" Howard Rehingold, 1993)109


Lo spettacolo <strong>di</strong> luci e suoni artificiali che si sviluppava all'interno <strong>di</strong>GLOWFLOW era veramente qualcosa <strong>di</strong> mai visto prima e <strong>di</strong> sicuro impattoemozionale. Tuttavia per Krueger non era importante il fattore estetico in sé, mariteneva molto più interessante osservare il modo in cui questo nuovo tipo <strong>di</strong>luogo suscitava forti reazioni umane. Grazie a GLOWFLOW Krueger ebbe ilmodo <strong>di</strong> concepire alcune idee che lo influenzeranno nel corso delle successiveopere:1. l'arte interattiva è potenzialmente un me<strong>di</strong>um <strong>di</strong> rappresentazione ricco,abbastanza <strong>di</strong>stante dalle preoccupazioni della scultura, dell'arte grafica odella musica;2. al fine <strong>di</strong> rispondere in modo intelligente, il computer deve poter percepireil più possibile dal comportamento dei partecipanti;3. al fine <strong>di</strong> concentrarsi sui rapporti tra gli ambienti interattivi e ipartecipanti, è necessario coinvolgere solo un piccolo numero <strong>di</strong> persone in undato momento;4. i partecipanti devono essere consapevoli <strong>di</strong> come l'ambiente starispondendo;5. la scelta dei sistemi <strong>di</strong> risposta sonori e visivi deve essere dettata dalla lorocapacità <strong>di</strong> trasmettere una grande varietà <strong>di</strong> relazioni concettuali;6. la risposta visiva così come quella musicale e sonora non dovrebbe esseregiu<strong>di</strong>cata arte. L'unica preoccupazione estetica a cui bisogna prestareattenzione è la qualità dell'interazione;L'indagine <strong>di</strong> Krueger all'inizio della sua carriera artistica, circa lecaratteristiche peculiari dei computer che avrebbero reso possibile la creazione <strong>di</strong>una forma pura <strong>di</strong> computer art, si trasformò, dopo GLOWFLOW, in messa inpratica delle sue stesse ipotesi. Gli ambienti reattivi, come iniziò a chiamarli,<strong>di</strong>vennero laboratori per scoprire i mo<strong>di</strong> in cui gli esseri umani possano entrare inrelazione con l'ambiente tecnologico, erano i luoghi <strong>di</strong> sperimentazione formativa,psicologica ed artistica del comportamento umano nelle sue espressioni <strong>social</strong>i.110


I responsive environments <strong>di</strong> Krueger non erano semplici espressioni artistiche,ma genuine realtà artificiali che presentavano regole <strong>social</strong>i ed opportunitàcomunicative invisibili, capaci <strong>di</strong> incoraggiare determinati comportamenti e <strong>di</strong>scoraggiarne altri, <strong>di</strong> amplificare alcuni aspetti dell'intelletto umano e <strong>di</strong>mascherarne altri. Ognuno degli ambienti sviluppati da Krueger indaga su questepossibilità, generando grazie ai partecipanti e alla partecipazione degli ambientistessi, esperienze immersive e completamente navigabili.Dopo GLOWFLOW del 1969, Krueger si de<strong>di</strong>cò alla realizzazione <strong>di</strong>METAPLAY, presentato un anno dopo (maggio del 1970), nuovamente allaMemorial Union Gallery <strong>di</strong> Ma<strong>di</strong>son. Con METAPLAY secondo Krueger "icanoni <strong>di</strong> arte e bellezza vennero accantonati. L'attenzione si era incentratasull'interazione stessa e sulla consapevolezza dell'interazione dei partecipanti".Nel nuovo ambiente interattivo Krueger oltrepassò la semplicità <strong>di</strong>GLOWFLOW , includendo all'interno del sistema videocamere, schermiretroproiettati, grafica computerizzata e circa 800 interruttori sensibili allapressione.METAPLAY era la messa in pratica delle sue considerazioni dopoGLOWFLOW, si avvaleva della potenza <strong>di</strong> calcolo <strong>di</strong> un PDP-12 (il <strong>di</strong>scendente,<strong>di</strong>eci anni dopo, del PDP-1, che aveva scatenato la "visione" <strong>di</strong> Licklider) perfacilitare una relazione real time tra l'ambiente e i suoi partecipanti.Fig. 14 - L’immagine <strong>di</strong> sinistra riporta la struttura della camera scura <strong>di</strong> GLOWFLOW,caratterizzata da tubi fluorescenti. L’immagine <strong>di</strong> destra invece rappresenta in modo schematicoil funzionamento del METAPLAY.111


L'ambiente progettato da Krueger era composto da due strutture situate ine<strong>di</strong>fici <strong>di</strong>versi: una stanza METAPLAY (dove avviene la partecipazione) e unade<strong>di</strong>cata alla regia. Una parete della stanza METAPLAY era occupata da unenorme schermo <strong>di</strong> retroproiezione (250 cm x 300 cm) in cui veniva proiettatol'otuput visivo. Una videocamera, posizionata davanti allo schermo, era puntata<strong>di</strong>rettamente verso i partecipanti e consentiva <strong>di</strong> acquisirne in tempo realel'immagine video.All'interno del centro <strong>di</strong> controllo, situato a circa quattrocento metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza,c'era l'artista (che non per forza doveva essere tale) che poteva <strong>di</strong>segnareattraverso una tavoletta grafica e visualizzare il risultato su un sistema specialpurpose. Una seconda videocamera acquisiva le immagini generate dall'artista, leinviava ad un mixer che le combinava assieme a quelle generate dallavideocamera nella stanza METAPLAY.Sia le immagini computerizzate che le quelle convertite erano sotto il controllo<strong>di</strong>retto dell'operatore che aveva il compito ed il potere <strong>di</strong> sovrapporre le immaginicomputerizzate tracciate con la tavoletta grafica alle immagini del pubblicodell'altra sala. Alcuni coman<strong>di</strong> erano stati programmati in modo tale da consentireall'artista <strong>di</strong> manipolare le immagini, rimpicciolirle, espanderle, applicare ad esseeffetti speciali.I partecipanti potevano guardare lo schermo ed osservare le proprie immaginivideo; talvolta quelle immagini video venivano arricchite dalle immagini grafichegenerate dall'artista nel centro <strong>di</strong> controllo. Gli interruttori sensibili alla pressione,che erano nascosti nel pavimento sotto una superficie <strong>di</strong> polietilene nero,consentivano ai partecipanti <strong>di</strong> interagire con gli output visivi e sonori me<strong>di</strong>atidall'operatore del un centro <strong>di</strong> controllo.Con l'obiettivo <strong>di</strong> provocare una reazione in uno dei primi gruppi in visita alMETAPLAY, Krueger scelse uno dei partecipanti ed utilizzò la tavoletta graficaper sovraimporre un contorno luminoso alla sua mano. Quando il partecipantemuoveva la mano, Krueger velocemente <strong>di</strong>segnava un nuovo contorno della manonella sua nuova posizione. Poi il partecipante rovesciò la situazione trasformando112


Krueger da artista a collaboratore <strong>di</strong> una performance: cominciò ad utilizzare il<strong>di</strong>to come una stilo ed imitò l'atto <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare una linea a mezz'aria. Krueger<strong>di</strong>segnò una linea che seguiva il suo gesto. La linea apparve sullo schermo e fuvista da tutti i partecipanti. Improvvisamente i partecipanti scoprirono che erapossibile interagire con le immagini sullo schermo e che potevano passarsi ilcontrollo del <strong>di</strong>to magico toccandosi le <strong>di</strong>ta.Krueger continuò a giocare con i partecipanti in una forma <strong>di</strong> interazione chenon era stata prevista inizialmente, rivelatasi grazie al comportamento deipartecipanti e questi ultimi continuarono ad esprimere se stessi attraverso le nuovepossibilità offerte dallo spazio artificiale, scoprendo così un nuovo strumento.Tra maggio e giugno del 1971, presso la Memorial Union Gallery, Kruegeresibisce PSYCHIC SPACE, un ambiente composito ideato come strumento percreare al suo interno tutta una serie <strong>di</strong> realtà e sperimentazioni <strong>di</strong>fferenti: era siauno strumento <strong>di</strong> espressione musicale che una ricca esperienza <strong>di</strong> visioneinterattiva.Le pareti ed il soffitto erano ricoperte <strong>di</strong> polietilene nero, e il pavimento, cosìcome per i precedenti responsive environment, era composto da una fitta griglia <strong>di</strong>moduli sensibili alla pressione. Una delle pareti in realtà era un finto muro che“nascondeva” l’enorme schermo <strong>di</strong> retroproiezione, dove veniva presentato aipartecipanti l’output visivo, e un elaboratore PDP-11 che aveva il controllo degliinput proveniente dai sensori e del suono all’interno della stanza. Il computercomunicava inoltre con la cabina <strong>di</strong> controllo, situata dall’altra parte del campus,in cui un Graphic Computer Display Adage AGT-10 (lo stesso tipo <strong>di</strong> elaboratoregrafico <strong>di</strong> METAPLAY) elaborava in tempo reale i dati ricevuti dal PDP-11 egenerava il flusso video (tramite una videocamera puntata <strong>di</strong>rettamente sulmonitor grafico) che veniva proiettato all’interno della stanza PSYCHIC SPACE.In questo modo, la stretta relazione tra i movimenti dei partecipanti all’internodello spazio fisico e la conseguente risposta dei <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> output era resaesplicita nella progettazione dell’ambiente stesso.113


L’obiettivo <strong>di</strong> Krueger era quello <strong>di</strong> incoraggiare i partecipanti ad esprimere sestessi attraverso un ambiente sensibile che reagiva <strong>di</strong>rettamente (e in modoevidente) in base ai loro movimenti. Una delle prime applicazioni <strong>di</strong> PSYCHICSPACE consisteva in un semplice gioco <strong>di</strong> interazione: un programma rispondevaautomaticamente ad ogni passo delle persone che entravano all’interno dellastanza con suoni elettronici. La tipica reazione, subito dopo aver “svelato” ilmeccanismo <strong>di</strong> interazione, era quella <strong>di</strong> saltareda una parte all’altra del pavimento, <strong>di</strong> rotolare,<strong>di</strong> correre, <strong>di</strong> scivolare ecc...Altri esperimenti <strong>di</strong> questo tipo venneroproposti nel corso dell’esposizione <strong>di</strong>PSYCHIC SPACE, ma è con The Maze cheKrueger riuscì a creare all’interno dello spaziovirtuale definito dal <strong>di</strong>splay video e dalpavimento in grado <strong>di</strong> rilevare la posizione delpartecipante, un'esperienza interattiva piùFig. 15 - Appunti <strong>di</strong> Krueger riguardantiPSYCHIC SPACE.articolata e decisamente più interessante.Camminando all’interno <strong>di</strong> PSYCHIC SPACEda solo, un partecipante a The Maze riconosce sullo schermo un simbolo graficocorrispondente alla sua posizione fisica nella stanza. Ogni suo spostamento nellospazio è corrisposto da uno equivalente del simbolo grafico presente nelloschermo (spostandosi in avanti il simbolo grafico si muove verso la parte altadello schermo, allontanandosi dallo schermo fa spostare il simbolo verso la partebassa dello schermo).Quando il partecipante sembra aver capito la relazione tra il movimentoall’interno dello spazio e la posizione dell’oggetto grafico, il sistema intervieneinserendo un secondo simbolo sullo schermo in un punto <strong>di</strong>fferente.Il partecipante inevitabilmente cercherà <strong>di</strong> capire cosa succede se raggiunge lastessa posizione del nuovo oggetto grafico. Una volta raggiunto il target il114


labirinto appare magicamente sullo schermo: il partecipante si muove fisicamentenell’ambiente oscuro e non visibile, proiettandosi all’interno del labirinto virtualeosservando se stesso sotto forma <strong>di</strong> simbolo.Il cercare <strong>di</strong> uscire dal labirinto, quin<strong>di</strong> raggiungere l’ipotetica vittoria delgioco, generava un ulteriore labirinto. Ben presto il partecipante scopriva che nonc’era un modo chiaro per vincere.Se il partecipante decideva <strong>di</strong> “imbrogliare” passando attraverso i muri virtualidel labirinto, il sistema reagiva deformando se stesso o semplicemente sfasava laposizione del simbolo grafico (rappresentante lo spettatore) rispetto alla suaposizione all’interno della stanza.In questo modo lo scopo dell’interazione iniziava a <strong>di</strong>ventare più chiaro:Krueger voleva giocare con i confini mentali che finge esistano, come regole <strong>di</strong> unlabirinto senza regole 2 . The Maze era un gioco concettuale che utilizzavamovimenti e segnali visivi come segni che venivano interpretati all’interno dellospazio <strong>di</strong> PSYCHIC SPACE per creare un luogo virtuale che esisteva all’internodella mente del partecipante. Uno spazio psichico nascosto all’interno <strong>di</strong> unastanza buia che era il risultato <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> sperimentazione, frustrazione,interazione, esperienza, esplorazione e continua scoperta.Gli esperimenti <strong>di</strong> Krueger condotti tra il 1972 e il 1974 sull’utilizzo <strong>di</strong> sistemi<strong>di</strong>fferenti per rilevare la posizione <strong>di</strong> persone all’interno <strong>di</strong> un ambiente e reagirealle immagini video, lo condussero allo sviluppo <strong>di</strong> un vero e proprio engine perArtificial Reality. Il suo successivo lavoro è stato il frutto <strong>di</strong> questi esperimenti efu progettato per <strong>di</strong>ventare un laboratorio espan<strong>di</strong>bile, che nel corso degli anni sisarebbe arricchito <strong>di</strong> nuove funzionalità e tecnologie.VIDEOPLACE nel 1975 era quel laboratorio, seppur in versione preliminare.Grazie alla sua decennale esperienza nello sviluppo <strong>di</strong> sistemi <strong>di</strong> rilevamentodei gesti e delle posizioni delle persone all’interno <strong>di</strong> uno spazio fisico, allecapacità <strong>di</strong> mixaggio video e della computer grafica, Krueger iniziò a rendersi2"La Realtà Virtuale" Howard Rheingold, 1993115


conto <strong>di</strong> come l’evoluzione della potenza degli elaboratori poteva accrescere lepossibilità <strong>di</strong> interazione dei suoi responsive environments.Inoltre aveva ormai capito che, mentre i corpi dei partecipanti sono vincolati daleggi fisiche (gravità), le loro immagini potevano essere spostate sullo schermo,ridotte, ruotate, colorate e <strong>di</strong>gitate insieme in modo arbitrario.Quin<strong>di</strong> una maggiore potenza <strong>di</strong> elaborazione video poteva essere utilizzata perme<strong>di</strong>are l'interazione e le consuete leggi <strong>di</strong> causa ed effetto con alternativeproposte dall’artista.Ben presto VIDEOPLACE <strong>di</strong>venne l’incarnazione delle sue idee sugli ambienticreati dalle percezioni umane stimolate o me<strong>di</strong>ate da tecnologie video e<strong>di</strong>nformatiche.VIDEOPLACE è un ambiente concettuale privo <strong>di</strong> esistenza fisica. Riunisce persone situate inluoghi <strong>di</strong>fferenti all’interno <strong>di</strong> un’esperienza visiva comune, permettendo loro <strong>di</strong> interagire in mo<strong>di</strong>inaspettati tramite il mezzo video. Il termine VIDEOPLACE è basato sulla premessa che l’attodella comunicazione crea un luogo che è composto dalle informazioni che tutti i partecipanticon<strong>di</strong>vidono in quel momento. [...] VIDEOPLACE tenta <strong>di</strong> aumentare questa percezione delluogo, includendo la visione, la <strong>di</strong>mensione fisica ed una nuova interpretazione del tatto. ("LaRealtà Virtuale" Howard Rehingold, 1993)Le prime versioni <strong>di</strong> VIDEOPLACE consistevano in due o più stanze separategeograficamente (che possono essere a<strong>di</strong>acenti o a centinaia <strong>di</strong> chilometri <strong>di</strong><strong>di</strong>stanza) l’una dall’altra. In ogni ambiente una sola persona poteva entrare in unastanza buia dove videocamere, mixer e proiettori consentivano <strong>di</strong> interagire con leimmagini video provenienti dalle altre stanze. L’aspetto più interessante <strong>di</strong> questotipo <strong>di</strong> interazione a <strong>di</strong>stanza era che le persone si identificavano con le proprieimmagini video, anche se sotto forma <strong>di</strong> silhouette. Quelle silhouette lirappresentavano non solo visivamente, ma anche fisicamente, erano la lorotrasposizione in uno spazio virtuale. Durante i primi esperimenti <strong>di</strong>VIDEOPLACE, Krueger ed un suo assistente (situato in un’altra stanza remota)stavano usando le mani per in<strong>di</strong>care gli oggetti all’interno dello spazio virtualecon<strong>di</strong>viso: l’immagine della mano <strong>di</strong> Krueger si sovrappose a quella del sua116


assistente che reagì <strong>di</strong> istinto spostando la mano, proprio come se fosse statotoccato fisicamente.Il nuovo spazio comunicativo non era solamente qualcosa <strong>di</strong> immateriale in cuile immagini video potevano interagire tra loro, ma era un vero e proprio spaziocorporeo con precise sensibilità sui confini del corpo virtuale degli altripartecipanti. Le azioni e i movimenti delle silhouette dei singoli partecipantiprovocavano reazioni fisiche, visceralmente connesse con la percezione <strong>di</strong> séstessi all’interno dell’ambiente con<strong>di</strong>viso.Fin dal 1977 Krueger riconobbe le potenzialità comunicative <strong>di</strong>VIDEOPLACE.VIDEOPLACE non era solamente un nuovo modo <strong>di</strong> interagire con ilcomputer, ma era anche una nuova forma <strong>di</strong> telecomunicazione.L’ambiente reattivo non si limita all’espressione estetica. È un potente strumento conapplicazioni in molti campi. VIDEOPLACE generalizza in modo chiaro l’atto dellatelecomunicazione. Crea una forma <strong>di</strong> comunicazione così potente che due persone potrebberoscegliere <strong>di</strong> incontrarsi virtualmente, anche se fosse possibile per loro incontrarsi fisicamente. ("LaRealtà Virtuale" Howard Rehingold, 1993)Fig. 16 - Esempi <strong>di</strong> rappresentazioni in VIDEOPLACE.La struttura <strong>di</strong> VIDEOPLACE rimane sostanzialmente la solita <strong>di</strong> PSYCHICSPACE e METAPLAY, una stanza con uno schermo video delle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> unaparete ed una videocamera. Quello che Krueger cercò <strong>di</strong> implementare eral’hardware necessario per visualizzare le immagini, mescolarle con elementigrafici e per conferire alla stanza una maggiore sensibilità nel comprendere ilcomportamento umano.117


Krueger fece esattamente ciò che Ivan Sutherland aveva fatto con il primo<strong>di</strong>splay Head Mounted quando costruì gli hardware special purpose clipping<strong>di</strong>vider e matrix multiplier per eseguire le funzioni speciali complesse, <strong>di</strong> cui ilsuo sistema aveva bisogno, il più velocemente possibile.Implementò, tramite una combinazione hardware e tecniche software <strong>di</strong> analisidelle immagini video, un sistema special purpose per riconoscere a partire dallesilhouette i gesti e la posizione dei partecipanti all’interno <strong>di</strong> VIDEOPLACE.Concentrandosi sulle linee che formano le silhouette, Krueger era in grado <strong>di</strong>rilevarne i contorni, determinare le intersezioni degli oggetti, calcolarel’orientamento e il movimento. Una linea su uno schermo visibile ad unpartecipante consiste in una serie <strong>di</strong> pixel a<strong>di</strong>acenti che vengono attivati dal fascio<strong>di</strong> elettroni del tubo a raggi cato<strong>di</strong>ci; la posizione e lo stato dei singoli pixel (comeavvenne per l’ideazione dell’interfaccia grafica bit-mapped) possono esserememorizzati ed aggiornati nella memoria del computer. Il computerconseguentemente, tramite una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> calcoli, può determinare se unalinea è in quiete o in movimento, può rilevate la sommità o la base <strong>di</strong>un’immagine, può <strong>di</strong>stinguere le linee rette dalle curve. Grazie a queste e ad altreanalisi <strong>di</strong> questo tipo, in pratica <strong>di</strong>venta possibile creare in tempo reale un modellodei movimenti dei partecipanti ripresi dalla videocamera.Krueger costruì processori speciali (algoritmi <strong>di</strong> visione ottimizzati nel silicio)per ognuna <strong>di</strong> queste analisi delle immagini video.Divennero circa 12 nel 1990.Krueger con VIDEOPLACE voleva essere in grado <strong>di</strong> esaminare una silhouettevideo e determinare automaticamente se la persona nell’immagine stava facendoun gesto. Il suo obiettivo <strong>di</strong>venne più raggiungibile grazie allo stu<strong>di</strong>o approfon<strong>di</strong>todella modalità della percezione umana: i nostri occhi sembrano avere circuitide<strong>di</strong>cati per scoprire contorni, oggetti che si muovono velocemente, punti <strong>di</strong>rosso, piccole quantità <strong>di</strong> luce e movimenti impercettibili all’interno <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>spazi. Grazie a queste “scorciatoie” possiamo riconoscere le forme e i loromovimenti senza pensarci. Krueger capisce quin<strong>di</strong> che nel contesto <strong>di</strong> un corpo118


umano la linea più alta <strong>di</strong> una silhouette rappresenta la sommità della testa,l’estremo più a destra <strong>di</strong> una linea sottile significa la punta <strong>di</strong> un <strong>di</strong>to e che lapunta <strong>di</strong> un <strong>di</strong>to in<strong>di</strong>ca prestare attenzione a dove esso è puntato.Tramite accorgimenti <strong>di</strong> questo tipo, VIDEOPLACE raggiunge un livello <strong>di</strong>sensibilità mai raggiunti prima, rappresenta la massima espressione delle idee <strong>di</strong>realtà artificiali che Krueger voleva manifestare al mondo.Uno degli esperimenti più significativi <strong>di</strong> VIDEOPLACE legati alla sensibilitàdel contesto, si chiamava CRITTER.Fig. 17 - Esempio <strong>di</strong> interazione tra una persona e CRITTER.All’interno <strong>di</strong> una stanza assieme all’immagine video della silhouette delpartecipante, appare una piccola creatura artificiale animata, rotonda con quattrozampette, che è in grado <strong>di</strong> interagire <strong>di</strong>rettamente con essa: se l’utente sta fermoCRITTER si muove verso <strong>di</strong> esso, se cerca <strong>di</strong> prenderlo l’animaletto fugge. Aseconda dei movimenti e della successione delle interazioni con il personaggioanimato e con l’ambiente circostante, CRITTER eseguirà azioni e si atteggeràapparentemente con modalità tipiche <strong>di</strong> una creatura intelligente.119


Gli ambienti descritti da Krueger nel corso della sua brillante carrieraall’interno dell’artificial <strong>reality</strong>, suggeriscono un nuovo mezzo d'arte sulla base <strong>di</strong>un impegno <strong>di</strong> interazione in tempo reale tra uomini e macchine.Tale mezzo artistico è composto da sensori, <strong>di</strong>splay e sistemi <strong>di</strong> controllo.Accetta input dai partecipanti e genera output riconoscibili comecorrispondenti al loro comportamento. Il rapporto tra input e output è arbitrario evariabile, progettato in modo tale da permettere all'artista <strong>di</strong> intervenire tral'azione dei partecipanti e i risultati percepiti attraverso gli schermi o esperienzesonore.All’interno dei responsive environment <strong>di</strong> Krueger il movimento fisico delpartecipante può causare suoni, generare immagini grafiche, sovrapposizionivideo che gli consentono <strong>di</strong> navigare all’interno <strong>di</strong> uno spazio visivo definito uncomputer. È la composizione dei rapporti tra azione e reazione che è importante.La bellezza della risposta visiva e au<strong>di</strong>tiva degli ambienti che crea, è del tuttosecondaria. La risposta è il mezzo!L’indagine <strong>di</strong> Krueger è legata soprattutto alle modalità con cui il me<strong>di</strong>um<strong>di</strong>venta strumento in grado <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re gli aspetti comportamentali,psicologici e comunicativi che avvengono all’interno delle esperienze artificiali.Così come una forma d’arte, i me<strong>di</strong>um <strong>di</strong> Krueger sono unici. Invece <strong>di</strong> creareun <strong>di</strong>pinto, una scultura, l’artista delle realtà artificiali sta creando una sequenza <strong>di</strong>possibilità. Al contrario, il pubblico non è semplicemente l’osservatore <strong>di</strong>staccatomuseale, ma è attivamente coinvolto nella creazione dell’opera d’arte.Le opere <strong>di</strong> Krueger sono dei contesti <strong>di</strong> interazione, in cui i fruitori possonodare vita, più o meno spontaneamente e collettivamente all’evento artistico, che èin continuo <strong>di</strong>venire e sempre mutevole. Il senso dell’opera è costruitoattivamente attraverso l’azione fisica dei partecipanti all’interno dell’ambientestesso, ma è soprattutto grazie al mezzo tecnologico che è possibile generare unafusione tra il corporeo e gli elementi video-grafici dei responsive environments.Un altro aspetto determinante delle opere <strong>di</strong> Krueger (data la loro caratteristica<strong>di</strong> essere luoghi sensibili al comportamento umano) è che i complessi elementi120


fondamentali che stanno alla base del loro linguaggio e dei loro meccanismi <strong>di</strong>interazione, sono facilmente elaborabili dalla mente del fruitore in modo sempliceed intuitivo, creando così un continuo scambio <strong>di</strong> aspettative, illusioni, azioni ereazioni tra l’ambiente e il partecipante.Ognuna delle esperienze dei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> Krueger è strettamente personale, ed èlegata alle capacità espressive e creative <strong>di</strong> ogni singolo in<strong>di</strong>viduo che vipartecipa: l’opera, e conseguentemente il suo significato, quin<strong>di</strong> non è unica, masono tante quanti sono i personaggi che interagiscono con essa.man-machine interaction is usually limited to a seated man poking at a machine with hisfingers...I was <strong>di</strong>ssatisfied with such a restricted <strong>di</strong>alogue and embarked on research exploringmore interesting ways for men and machines to relate. (Myron Krueger)5.4 L’ingresso nel CyberspazioL’idea <strong>di</strong> interagire con un ambiente fisico intelligente, che capisce i nostricomportamenti, rispondendo <strong>di</strong> conseguenza, e che proietta la mente umanaall’interno <strong>di</strong> una nuova forma <strong>di</strong> esperienza artificiale strettamente collegata allospazio in cui si trova il corpo, può essere considerata per molti aspettirivoluzionaria. Sebbene i primi approcci alle realtà virtuali tra la fine degli anni'60 e la prima metà degli anni '70 siano da considerare come i primi “voli” deifratelli Wright, avevano comunque tracciato il percorso da seguire per ciò cheavrebbe dovuto essere il futuro. Ivan Sutherland sperimentò i primi <strong>di</strong>spositiviHead Mounted e i primi <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> input gestuali (appren<strong>di</strong>sta stregone),<strong>di</strong>versamente Myron Krueger aveva concepito un'idea <strong>di</strong>fferente <strong>di</strong> realtà virtuale:non sarebbero stati gli ingombranti (ed isolanti) marchingegni a condurre l’uomoall’interno <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> artificiali, bensì le pareti <strong>di</strong> una stanza appositamentestu<strong>di</strong>ata.A Myron Krueger, come abbiamo visto, interessavano gli aspetti artistici,comportamentali, performativi e comunicativi che potevano essere generatiall’interno <strong>di</strong> questi ambienti. Inevitabilmente per raggiungere il suo scopo ha121


dovuto costruire hardware special purpose ed utilizzare tecnologie informaticheall’avanguar<strong>di</strong>a (come il riconoscimento delle forme, degli input corporei ecc...),“influenzando”, visti i risultati raggiunti, anche altri pionieri dei mon<strong>di</strong> artificialiin quella che era la sua idea <strong>di</strong> approccio alle realtà virtuali.La Me<strong>di</strong>a Room costruita dai ragazzi dell’Architecture Machine Group (ARCH-MAC 3 ) del MIT può essere considerata come il frutto dell’influenza <strong>di</strong> Kruegernegli ambienti <strong>di</strong> ricerca più legati all’ARPA e ad un certo tipo <strong>di</strong> concezione delletecnologie.Era una stanza dalle <strong>di</strong>mensioni e dall’aspetto simili ad un comune ufficio, alsuo interno però c’erano un mini computer che controllava i <strong>di</strong>splay e gli altridevice della stanza, una se<strong>di</strong>a controller e uno schermo <strong>di</strong> retroproiezione grandecome una parete. Come negli ambienti <strong>di</strong> Krueger, questa stanza era un<strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> immersione all’interno <strong>di</strong> un mondo virtuale, ma <strong>di</strong>fferisce da essiin quanto la personificazione del fruitore con ciò che lo circonda visivamente,sonoramente, fisicamente, avviene come una navigazione all’interno <strong>di</strong> uno spazio<strong>di</strong> informazioni. La Me<strong>di</strong>a Room è il mezzo principale dell’ARCH-MAC percondurre ricerche nell’ambito <strong>di</strong> ciò che chiamano Spartial Data-ManagmentSystem o SDMS. Un concetto molto interessante che incominciò lentamente aprendere forma già a partire dalla fine degli anni '70. Secondo i ricercatoridell’ARCH-MAC, soprattutto per Richard Bolt e Nicholas Negroponte, i datiimmagazzinati all’interno dei computer potevano essere rappresentati in qualcheforma visibile ed esplorati cognitivamente, eseguendo una specie <strong>di</strong> navigazionefisica attraverso il mondo dei dati.3Nel 1967 all’interno del MIT grazie anche al sostegno dell’ARPA, Nicholas Negropontefonda l’Architecture Machine Group (ARCH-MAC), un laboratorio creativo che aveva comeobiettivo principale lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> nuovi approcci all’interazione uomo-computer. I computer,secondo Negroponte avrebbero potuto accrescere le potenzialità intellettuali e l’immaginazionedegli esseri umani combinando le capacità <strong>di</strong> rappresentazione cinematografiche con il potere <strong>di</strong>elaborazione delle informazioni tipico dei calcolatori.Così come precedentemente accadutoall’ARC e successivamente al PARC, all’interno dell’ARCH-MAC si voleva inventare il futuro. Iloro esperimenti partirono dall’esplorazione delle tecnologie già <strong>di</strong>sponibili e si in<strong>di</strong>rizzarono suquelle che sarebbero da li a poco arrivate (riconoscimento vocale, film olografici).I campi <strong>di</strong>ricerca dell’ARCH-MAC comprendevano le scienze cognitive, quelle informatiche, quellecinematografiche e quelle delle telecomunicazioni. Nel 1985 L’ARCH-MAC <strong>di</strong>venta MEDIALAB, tuttora ancora attivo presso il MIT quale istituto <strong>di</strong> ricerca sulle tecnologie, il design e ilmultime<strong>di</strong>a.122


Ciò che loro chiamano appunto Dataland (1979).Si tratta <strong>di</strong> un prototipo <strong>di</strong> mondo virtuale fatto <strong>di</strong> informazioni computerizzate,una finestra visiva all’interno dei dati personali dell’operatore (i programmi e ifile che noi oggi chiamiamo electronic desktop). La navigazione in questoambiente non è come quella che può avvenire su un computer “normale” dei primianni '80, ma è <strong>di</strong> tipo multime<strong>di</strong>ale (ricca <strong>di</strong> grafica e suoni) e soprattuttofisicamente immersiva. L’utente, che era sulla se<strong>di</strong>a, veniva proiettato grazie aimonitor e allo schermo-parete all’interno del Dataland, dove poteva letteralmente“volare” attraverso la rappresentazione bi<strong>di</strong>mensionale <strong>di</strong> una struttura <strong>di</strong> datitri<strong>di</strong>mensionale.Era l’ingresso concettuale all’interno del ciberspazio.Nel 1982 usciva nelle sale cinematografiche americane il film TRON, cheincarnò l’immaginario delle realtà virtuali e introdusse il grande pubblicoall’interno del Dataland dei computer.Look, just so I can tell my friends, what this dream is about, okay? Where am I? 4Nel 1984 lo scrittore William Gibson, nel suo romanzo intitolatoNeouromancer,, coniò il termine cyberspace (ciberspazio) e ne descrisse lepeculiarità, come immense strutture <strong>di</strong> dati nell'allucinazione vissutaconsensualmente in cui milioni <strong>di</strong> persone partecipavano collegandosi<strong>di</strong>rettamente con i loro sistemi nervosi.Una rappresentazione grafica <strong>di</strong> dati <strong>di</strong> dati ricavati dai banchi <strong>di</strong> ogni computer del sistemaumano. Impensabile complessità. Linee <strong>di</strong> luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi ecostellazioni <strong>di</strong> dati. Come luci <strong>di</strong> una città che si allontanano... ("Neouromancer" William Gibson,1984)L’ingresso nel Dataland era ancora ben lontano dal poter essere realizzatotecnicamente, ma produsse un movimento culturale che influenzò notevolmente4Citazione dal film "TRON" <strong>di</strong> Kevin Flynn,123


l’immaginario collettivo sui concetti <strong>di</strong> information tecnology, cibernetica, hightech e più in generale su tutto ciò che riguarda il rapporto tra le tecnologieinformatiche e gli esseri umani.Il Dataland e l’ingresso nel ciberspazio sono gli obiettivi dei ricercatoridell’ARCH-MAC e forse sono la <strong>di</strong>retta conseguenza <strong>di</strong> ciò che Engelbart <strong>di</strong>ceva aproposito della necessità dell’uomo <strong>di</strong> trovare altri strumenti, altre tecnologie chepermettano sempre più <strong>di</strong> far fronte alle complessità degli stessi strumenti chestavano creando.La Me<strong>di</strong>a Room dell’ARCH-MAC grazie alla sua interfaccia fisica creava unreal space environment, in cui lo spazio virtuale grafico e l’imme<strong>di</strong>atezzadell’ambiente reale in cui si trova l’operatore, convergevano in un continumspazio interattivo. La consapevolezza dello spazio reale in cui si trovano gli utentiè ben evidente nelle modalità <strong>di</strong> interazione del sistema Put That There (mettiquello lì).Put That There (1980) era un esperimento all’interno della Me<strong>di</strong>a Roomdell’ARCH-MAC, realizzato da Christopher Schmandt ed Eric Hulteen, sotto lasupervisione <strong>di</strong> Richard Bolt, in cui vennero collegati due sistemi tecnologiciinnovativi al fine <strong>di</strong> creare nuove modalità <strong>di</strong> interazione con agli ambienti. Ilprimo <strong>di</strong> questi era il riconoscimento vocale, mentre il secondo era un <strong>di</strong>spositivo<strong>di</strong> rilevamento della posizione nello spazio (ROPAMS, Remote Object PositionAttitude Measurement System 5 , sviluppato dalla Polhemus Navigation Science,Inc). Grazie alla combinazione <strong>di</strong> questi elementi e al <strong>di</strong>splay parete della Me<strong>di</strong>aRoom, riuscirono a sviluppare un'interfaccia a comando gestuale-vocale. Unoperatore si sedeva sulla se<strong>di</strong>a <strong>di</strong> fronte allo schermo (che poteva visualizzare unamappa generata dal computer piuttosto che un calendario), puntava il <strong>di</strong>to verso iltarget desiderato, pronunciando al alta voce una serie <strong>di</strong> coman<strong>di</strong> vocali del tipo“Put That”, poi spostava il <strong>di</strong>to verso un qualsiasi altro punto dello schermo e<strong>di</strong>ceva “...There”. Il computer eseguiva il comando: spostava l’oggetto selezionatocon la punta delle <strong>di</strong>ta nel punto in<strong>di</strong>cato.5124


L’aspetto interessante <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> ambiente virtualizzato ed intelligente èche si avvale <strong>di</strong> un linguaggio <strong>di</strong> interazione naturale che combina gesti e voce,tipico per esempio, della comunicazione con i bambini. “Metti quello lì” èun'in<strong>di</strong>cazione umana che non può non prescindere dalla consapevolezza sia <strong>di</strong>colui che chiede l’azione (operatore) che <strong>di</strong> colui che la compie (computer),dell’essere compresenti all’interno dello stesso ambiente (Me<strong>di</strong>a Room) che è dauna parte fisico (la stanza dove l’utente in<strong>di</strong>ca e pronuncia i coman<strong>di</strong>) e dall’altravirtuale (la proiezione dello spazio artificiale sullo schermo).Fig. 18 - Esempio del funzionamento <strong>di</strong> “Put That There”A partire 1978, parallelamente ai progetti Dataland e Put That There,all’ARCH-MAC incominciarono a sperimentare i cosiddetti viaggi simulati. ScottFisher, all’epoca soprannominato “l’uomo 3D”, esperto della computer grafica edella creazione <strong>di</strong> ambienti virtuali tri<strong>di</strong>mensionali, si spostò all’ARCH-MAC per125


partecipare al progetto. Nel giro <strong>di</strong> poco tempo riuscirono a creare uno strumentoinformativo chiamato Aspen Movie Map (o semplicemente Aspen Map), tutt’orariconosciuta da tutti come un importante predecessore della realtà virtuale.La Movie Map in un certo senso era l’evoluzione naturale del Sensorama <strong>di</strong>Morton Heilig degli anni '60. Il prototipo sviluppato da Heilig, così come quellodell’ARCH-MAC, sebbene con modalità completamente <strong>di</strong>fferenti, era in grado <strong>di</strong>offrire al fruitore della simulazione <strong>di</strong> un ambiente tri<strong>di</strong>mensionale convincenteche lo circondava e lo integrava al suo interno. L’utente poteva sentirsi parte <strong>di</strong>esso, o meglio, completamente immerso in esso.Tuttavia l’esperienza simulata <strong>di</strong> Heilig era una visione <strong>di</strong> tipo passivo, inquanto l’utente si limitava semplicemente ad osservare il mondo che si sviluppavaattorno a lui. Vent’anni dopo invece, grazie alle tecnologie informatiche <strong>di</strong>gitali eil talento <strong>di</strong> Fisher, il contesto della Aspen Map <strong>di</strong>venne navigabile. L’utente sitrasforma in operatore attivo, in grado <strong>di</strong> muoversi più o meno liberamenteall’interno della simulazione.La Movie Map era un prototipo <strong>di</strong> Mondo Virtuale <strong>di</strong>verso, ma decisamenteinteressante. Può essere considerato l’ascendente <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> quello che oggi è ilsistema <strong>di</strong> map browsering interattivo più famoso e forse più utilizzato online:Google Street View.La tecnologia si è gradualmente orientata verso gli ambienti <strong>di</strong> simulazione personale a bassocosto nei quali lo spettatore è anche in grado <strong>di</strong> controllare il proprio punto <strong>di</strong> vista all’interno <strong>di</strong>un ambiente virtuale - una possibilità importante che mancava al prototipo del Sensorama. unesempio in tal senso è la Aspen Movie Map.... Immagini della città <strong>di</strong> Aspen, in Colorado, sonostate riprese, con un sistema <strong>di</strong> ripresa speciale montato su un tetto <strong>di</strong> un’automobile, col qualesono stati filmati ogni strada ed ogni angolo della città, combinando il tutto con riprese della cittàdall’alto <strong>di</strong> gru, <strong>di</strong> elicotteri, <strong>di</strong> aeroplani e riprese degli interni degli e<strong>di</strong>fici. La Movie Map hadato agli operatori la possibilità <strong>di</strong> sedere <strong>di</strong> fronte ad uno schermo sensibile al tocco e <strong>di</strong> guidarenella città <strong>di</strong> Aspen a proprio piacimento, imboccando tutte le strade che volevano, toccando loschermo, in<strong>di</strong>cando quali svolte volevano fare ed in quali e<strong>di</strong>fici volevano entrare. (Scott Fisher)Se da un lato Myron Krueger e i ricercatori dell’ARCH-MAC sembravano nonamare l’utilizzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> realtà virtuale, come HMD o sistemi <strong>di</strong> input126


indossabili, l’obiettivo <strong>di</strong> Jaron Lanier e della sua VPL Research Inc fu proprioquello <strong>di</strong> sviluppare questi nuovi strumenti <strong>di</strong> controllo, al fine <strong>di</strong> migliorare lepossibilità <strong>di</strong> interazione e navigazione all’interno dei mon<strong>di</strong> generati dalcomputer (e creare un vero e proprio business).Jaron Lanier era un tipo strambo per un’idea apparentemente stramba.Non si interessò <strong>di</strong> computer fino a che non si convinse che "l’informazione èesperienza alienata", non era per nulla contento <strong>di</strong> come la vita doveva esserespezzettata in frammenti binari per venire modellata dai computer, mavisceralmente era attratto da essi in particolare per l’idea che potessero esserefacilmente utilizzati come strumenti musicali.All’epoca si considerava prevalentemente un musicista.L’incontro <strong>di</strong>retto con i primi computer lo ispirarono a pensare a comemodellare mon<strong>di</strong>, sentiva che quelle immagini che magicamente apparivano sulloschermo, frutto <strong>di</strong> decenni <strong>di</strong> ricerca e <strong>di</strong> lavoro da parte dei pionieri informatici <strong>di</strong>prima generazione (Engelbart, Licklider ecc...), erano piccole realtà che potevanoessere mutate.Nel 1981, dopo aver abbandonato gli stu<strong>di</strong> e anche le speranze <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventarecompositore, si <strong>di</strong>resse nel cuore della Silicon Valley, che in quel periodo era ilcentro del mondo (informatico), a bordo <strong>di</strong> un auto “senza tetto, che si metteva inmoto con un cacciavite e che aveva fori <strong>di</strong> proiettile su un lato” (eraun’automobile abbandonata dai narcotrafficanti).Cercò <strong>di</strong> guadagnare qualche soldo realizzando effetti sonori per videogiochielettronici e parallelamente imparò l’arte della programmazione.Trovarsi a metà degli anni '80 nella Silicon Valley nel pieno splendore delrinascimento elettronico, dove il boom dei personal computer e dei videogiochiaveva portato alla nascita <strong>di</strong> società come la Apple Computer o l’Atari (solo percitarne alcune), ed avere il talento e la visione <strong>di</strong> chi sapeva che le immagini suglischermi erano in realtà mon<strong>di</strong> plasmabili, poteva sicuramente essereun'opportunità da non lasciarsi scappare. Bastava cogliere l’occasione giusta,quella che Jaron Lanier stava cercando e che aveva cercato durante tutta la sua127


vita (e i suoi viaggi in tutti gli Stati Uniti). Puntualmente, dato il suo talento, lachance si manifestò sotto forma <strong>di</strong> lavoro da programmatore <strong>di</strong> videogiochi perl’Atari. Nel 1983 realizzò Moondust 6 . Fu un successo.Fig. 19 - Rappresentazione <strong>di</strong> Moondust.Guadagnò abbastanza sol<strong>di</strong> da potersi licenziare e tentare la fortuna comeimpren<strong>di</strong>tore. Lanier aveva un’idea ben precisa <strong>di</strong> come le potenzialità deicomputer potessero generare simulazioni, suoni, immagini e modelli <strong>di</strong>namici dacon<strong>di</strong>videre e scambiare con altre persone allo stesso modo in cui questi riesconoa scambiarsi parole dette o scritte. È a partire da tali concetti che Lanier si avviòallo sviluppo <strong>di</strong> un nuovo linguaggio <strong>di</strong> programmazione, completamente <strong>di</strong>versoda qualsiasi altro, un linguaggio che sarebbe potuto essere utilizzato anche da nonesperti del settore, e che avrebbe sfruttato immagini e suoni per comunicare con lefunzioni primarie del computer al posto <strong>di</strong> ari<strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci alfanumerici.L’idea <strong>di</strong> questo nuovo linguaggio maturò inizialmente dal suo desiderio <strong>di</strong>creare nuove forme musicali attraverso strumenti simulati al computer,6Moondust è il primo art video game in cui si impersona un astronauta, <strong>di</strong> notevolecomplessità grafica e con punteggio astratto, assegnato tramite un algoritmo.128


successivamente, in corso d’opera, Lanier capì che tale sistema sarebbe potutoessere applicato ad un linguaggio <strong>di</strong> programmazione generico, che sarebbe statoin grado <strong>di</strong> fare uso <strong>di</strong> una notazione puramente simbolica. Il Mandala (il nomescelto da Lanier per questo progetto) invece delle solite incomprensibili (per i nonesperti) sequenze <strong>di</strong> istruzioni logiche fatte <strong>di</strong> “if”, “else”, variabili e numeri,utilizzava <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> canguri, cubetti <strong>di</strong> ghiaccio, uccelli cinguettanti rappresentatisu un pentagramma musicale. Questi simboli erano ugualmente incomprensibili,ma <strong>di</strong> gran lunga più affascinanti perché erano il frutto <strong>di</strong> una simulazione grafica<strong>di</strong>namica delle funzionalità del computer. Erano dei mon<strong>di</strong> virtuali, una fusionetra le capacità <strong>di</strong> linguaggio delle macchine con quello iconico, in grado <strong>di</strong>suscitare nell’uomo un più elevato stato <strong>di</strong> immersione all’interno <strong>di</strong> essi.Lanier era convinto che i linguaggi <strong>di</strong> programmazione fossero in realtà laforma larvale <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> gran lunga più interessante, che era ormai prossimoad arrivare. Potevano <strong>di</strong>ventare qualcosa <strong>di</strong> altrettanto importante quanto lacomunicazione simbolica, “una nuova forma <strong>di</strong> comunicazione sullo stesso livellodel linguaggio parlato e della scrittura”. Definisce questo futuro metalinguaggiopotenziato dal computer “comunicazione post-simbolica”.Quando scrivi un programma e lo man<strong>di</strong> a qualcun altro, specialmente se il programma è unasimulazione interattiva, è come se stessi creando un mondo nuovo, una fusione del regnosimbolico con quello naturale. Invece <strong>di</strong> comunicare simboli come lettere, numeri, immagini onote musicali, crei universi in miniatura che hanno i loro propri misteri da scoprire (Jaron Lainer,intervista <strong>di</strong> Howard Rehingold)Con il Mandala nasce più o meno ufficialmente la VPL Research, Inc, ma ègrazie all’incontro del guanto <strong>di</strong> Thomas Zimmerman (1983), che le realtà virtuali<strong>di</strong>vennero parte integrante della ricerca e della vita <strong>di</strong> Jaron Lanier.Thomas Zimmerman nel 1981, più o meno nello stesso periodo in cui Lanierarrivò nella Silicon Valley, era alle prese con esperimenti domestici sullaretroazione dei gesti corporei.Anche lui come Lanier si interessava <strong>di</strong> musica e stava cercando un modointelligente e pratico per realizzare un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> input gestuale che fosse in129


grado <strong>di</strong> controllare un sintetizzatore musicale. Pensò che la mano potesse esserelo strumento più adatto al suo scopo, o meglio che attraverso un guantoappositamente progettato, avrebbe potuto determinare facilmente la flessione delle<strong>di</strong>ta e i relativi cambiamenti in tempo reale, quin<strong>di</strong> tramite lo sviluppo <strong>di</strong> unsoftware ad hoc, simulare per esempio l’atto <strong>di</strong> suonare una chitarra senzanecessità <strong>di</strong> averla fisicamente in mano.Un po' come quando ci si lascia trasportare dai riff chitarristici e dal ritmo dellamusica, simulando <strong>di</strong> suonare lo strumento contemporaneamente all’ascolto dellacanzone. Solo che il guanto <strong>di</strong> Zimmerman avrebbe prodotto suoni veri.Strumenti <strong>di</strong> questo tipo, a <strong>di</strong>re la verità esoscheletri, costringenti per le manipiù che guanti, erano già stati sperimentati a partire dagli anni '50, ma eranotroppo scomo<strong>di</strong> e poco precisi, così comprò un guanto da lavoro e componenti perun valore inferiore ai 10 dollari e iniziò a costruire il primo prototipo.Nel 1982 Zimmerman brevettò il suo guanto ottico in grado <strong>di</strong> rilevare laflessione delle <strong>di</strong>ta. Gli venne assegnato l’US Patent No 4,542,291.Il sensore del <strong>di</strong>spositivo era costituito da un tubo flessibile con superficieinterna riflettente ed estremità aperte in modo tale che da un lato <strong>di</strong> una delle dueestremità possa essere posizionata o una sorgente luminosa e, all’altro capo, unrilevatore fotoresistivo, oppure in alternativa ad una fonte luminosa generica,poteva essere utilizzata una fibra ottica (<strong>di</strong> gran lunga più precisa) in modo taleche l’intensità e la combinazione dei raggi <strong>di</strong> luce <strong>di</strong>retti o riflessi potesserorilevare quando il tubo flessibile è piegato. Il tubo flessibile può essere <strong>di</strong> gommanera o qualsiasi altro materiale idoneo, mentre la parete interna può essere trattatacon vernice alluminio a spruzzo. Nella posizione <strong>di</strong> non flessione delle <strong>di</strong>ta il tuboè dritto, consentendo alla luce emessa dalla sorgente <strong>di</strong> colpire <strong>di</strong>rettamente ilrivelatore fotosensibile. Quando il tubo viene piegato dal movimento delle <strong>di</strong>ta, laluce ricevuta sarà una combinazione <strong>di</strong> luce <strong>di</strong>retta o riflessa. La quantità <strong>di</strong> luce<strong>di</strong>retta che raggiunge il rivelatore fotosensibile <strong>di</strong>minuisce man mano che laflessione del tubo aumenta, fino a raggiungere il momento in cui tutta la luce che130


aggiunge l’altra estremità del tubo (dove è posizionata la fotoresistenza) è <strong>di</strong> tiporiflessa.La funzione del sensore fotoresistivo è <strong>di</strong> cambiare la sua resistenza a secondadell’intensità luminosa che agisce su <strong>di</strong> esso. L'effetto combinato del tubo piegatosul percorso ottico e la fotosensibilità del rivelatore producono un <strong>di</strong>spositivo checambia la sua resistenza elettrica quando viene flesso.Il sensore in grado <strong>di</strong> rilevare il cambiamento <strong>di</strong> intensità della luce potevaessere un fototransistor, una fotocellula, un <strong>di</strong>spositivo a fibra ottica, o qualsiasialtra componente con caratteristiche simili.Un altro sensore brevettato da Zimmerman è costituito da un tubo flessibileche, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello precedentemente descritto, aveva la parete interna chepoteva essere <strong>di</strong>visa in due o tre zone longitu<strong>di</strong>nali <strong>di</strong> colore rosso, verde e giallo.Le zone <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso colore del tubo incidono sull'intensità della luce che raggiungeil rivelatore fotosensibile all'estremità opposta del tubo. A seconda del tipo <strong>di</strong>sorgente <strong>di</strong> luce, se <strong>di</strong> colore simile o <strong>di</strong> colore <strong>di</strong>verso alla parete, veniva riflessada quest’ultima in modo più o meno intenso. La sorgente <strong>di</strong> luce, in questo tipo <strong>di</strong>flex sensor, era multipla e in particolare doveva essere costituita da tante sorgentiluminose colorate quante sono le zone <strong>di</strong> colore nella parete del tubo (se sidecideva <strong>di</strong> utilizzare tubi con pareti sud<strong>di</strong>vise in due sezioni longitu<strong>di</strong>nali, una <strong>di</strong>colore giallo e l’altra <strong>di</strong> colore ver<strong>di</strong>, le fonti luminose dovevano essere due, unagialla e una verde). Queste fonti luminose multiple (che potevano essere LED,luci ad incandescenza, neon etc..), a <strong>di</strong>fferenza del sensore con una singolasorgente, venivano emesse ad impulsi (on e off) scan<strong>di</strong>ti da intervalli <strong>di</strong> tempoprestabiliti. Il parametro output del rilevatore era perciò campionatocorrispondentemente all’analisi degli stessi spazi temporali.In questo modo le informazioni che si potevano ottenere permettevano <strong>di</strong>determinare non solo il grado <strong>di</strong> piegatura del <strong>di</strong>spositivo, ma anche la sua<strong>di</strong>rezione (dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra, ecc...). Più sensori <strong>di</strong>luce colorata erano utilizzati e più la precisione del <strong>di</strong>spositivo aumentava.131


I flex sensor low cost brevettati da Zimmerman potevano essere collegati su untessuto <strong>di</strong> un guanto, una tuta o un bendaggio elastico ed essere facilmenteutilizzati per determinare elettricamente la posizione <strong>di</strong> giunture e degli arti, oottenere informazioni sulla loro posizione, velocità e accelerazione. I segnaliprovenienti da questi sensori possono essere elaborati per applicazioni come: lacinesiologia 7 , la fisioterapia, la computer animations, il controllo remoto e nuovamodalità <strong>di</strong> interfaccia uomo-computer.La portata <strong>di</strong> questo brevetto, almeno inizialmente, non fu come lo stessoZimmerman poteva aspettarsi, poiché un anno prima <strong>di</strong> lui (1981) un ricercatore<strong>di</strong> nome Gary Grimes che lavorava ai Bell Laboratories, aveva brevettato un<strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> interfaccia molto simile. Il vero punto <strong>di</strong> svolta avvenne quandoLanier e Zimmerman si incontrarono qualche anno più tar<strong>di</strong> ai laboratoridell’Atari Research. Bastò poco ai due per stringere un accordo. Zimmerman<strong>di</strong>venne uno dei fondatori della VPL Research, Inc a cui cedette il suo brevetto e simise al lavoro per migliorarlo e renderlo ulteriormente preciso.A Jaron Lanier venne l’idea <strong>di</strong> associare al guanto anche un sensore <strong>di</strong>posizione assoluta, come quelli utilizzati da Sutherland per l’Head MountedDisplay o per altri <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> input gestuali.Fu un passo decisivo per la carriera <strong>di</strong> entrambi e per le sorti della loro azienda.Il modello migliorato, oltre al sistema <strong>di</strong> localizzazione spaziale ad ultrasuoni,sfruttava la più costosa, sottile e precisa tecnologia a fibre ottiche al posto delleguide luminose <strong>di</strong> led. Il rivestimento su ogni fascio <strong>di</strong> fibre era inciso incorrispondenza <strong>di</strong> ogni giuntura delle <strong>di</strong>ta. Il grado <strong>di</strong> flessione <strong>di</strong> ogni noccadeterminava <strong>di</strong>rettamente quanta luce passava attraverso le precisissime incisioniprima <strong>di</strong> arrivare ai sensori <strong>di</strong> luce, posizionati alla fine del fascio ottico.Alla VPL Research, Inc decisero che era giunto il momento <strong>di</strong> associareall’hardware un sistema <strong>di</strong> software in grado <strong>di</strong> trasformare il dataGlove in un7Scienza che tratta lo stu<strong>di</strong>o del movimento umano.132


eality engine completamente funzionante e sbarcare definitivamente in quegliambienti simulati che Jaron Lanier coniò come Realtà Virtuali.“Virtual” means something that exists only as an electronic representation, which has no otherconcrete existence. Is it as if were there even if it isn’t. It’s not necessary the right world. I like itbetter than “artificial”. I like better than “synthetic”, “Shared Dream”, “Tele<strong>reality</strong>” (An Interviewwith Jaron Lanier, Wole Earth Review, Kevin Kelly).Zimmerman, Lanier, Young Harvill (co-creatore del sistema a fibre ottiche delguanto) e Steven Bryson lavorarono per oltre due annicercando <strong>di</strong> perfezionare il software <strong>di</strong> collegamentodegli input gestuali del guanto ai mon<strong>di</strong> generati daicomputer.L’impresa si rivelò molto ardua, in quantodovevano riuscire a far funzionare in modo coor<strong>di</strong>natoi numerosi segnali elettrici provenienti dai flex sensorcon quelli del sistema <strong>di</strong> posizionamento assoluto, econseguentemente sviluppare un programma in grado<strong>di</strong> generare l’output del mondo virtuale tramite le sueforme visive ed u<strong>di</strong>tive. Jaron Lanier incominciò atrasformare il Mandala in uno strumento per la realtàvirtuale. Parti del suo progetto originale, insieme adaltre completamente sviluppate ex novo dallo stessoLanier e gli altri programmatori si sono evolute nelsistema software per virtual <strong>reality</strong> che la VPLcommercializzò per molto tempo a partire dallaseconda metà degli anni '80.Il dataGlove della VPL Research, Inc, venneultimato in tutte le sue parti e commercializzato. Unodei maggiori contratti che la VPL sottoscrisse fu con la NASA che già da qualchetempo stava conducendo esperimenti sui mon<strong>di</strong> virtuali.Fig. 20 - Esempio <strong>di</strong> body VLPcaratterizzato da cavi in fibra otticache attraversano l’intera tuta e guanti,producendo un segnale durante unaqualsiasi flessione.133


Nel 1984, allo Human Factors Research Division del NASA/Ames, Scott Fishervenne inviato a tenere una conferenza sui <strong>di</strong>splay Head Mounted stereoscopici,sulle ottiche necessarie per visualizzare scenari molto ampi, e della possibilità <strong>di</strong>esplorazione <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> Virtuali. Michael McGreevy era in prima fila. Iniziò a<strong>di</strong>nteressarsi dei sistemi HMD sviluppati dall’Aviazione degli Stati Uniti chevenivano chiamati VCASS. Assomigliavano vagamente al casco <strong>di</strong> Darth Vader econtenevano tecnologie ben più sofisticate dei sistemi sviluppati da Sutherland.McGreevy era convinto che un sistema <strong>di</strong> questo tipo sarebbe stato l’ideale base<strong>di</strong> partenza per la sperimentazione scientifica sui fattori umani delle realtà virtuali.Il VCASS usato dall’aviazione, usava tubi cato<strong>di</strong>ci miniaturizzati ad altissimarisoluzione appositamente progettati, fibre ottiche e necessitava <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> quantità<strong>di</strong> calcolo: in poche parole non badarono a spese per questo tipo <strong>di</strong> progetto, fattoper altro enormemente giustificato dalla possibilità <strong>di</strong> innalzare le capacità <strong>di</strong>sopravvivenza dei piloti e conseguentemente anche la salvaguar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> aeroplani damezzo miliardo <strong>di</strong> dollari.Quando McGreevy si accorse che il costo del <strong>di</strong>spositivo avrebbe superato <strong>di</strong>gran lunga il budget per il progetto <strong>di</strong> ricerca (solo il casco costava un milione <strong>di</strong>dollari), decise <strong>di</strong> costruirsene uno per conto proprio.Disponeva già <strong>di</strong> un rilevatore Polhemus ed un sistema <strong>di</strong> visualizzazioneEvans and Sutherland. Per la costruzione il <strong>di</strong>spositivo HMD decise <strong>di</strong> utilizzare,invece dei <strong>di</strong>splay a tubi cato<strong>di</strong>ci dotati <strong>di</strong> risoluzione e qualità superiori, <strong>di</strong>splayLCD ben più economici, ma comunque in grado <strong>di</strong> garantire risultati adeguati alloscopo. Ben presto grazie a McGreevy la componente “occhiali” della realtàvirtuale della NASA stava <strong>di</strong>ventando <strong>di</strong>sponibile.Nel 1985, la NASA assunse Scott Fisher che aveva come obiettivo lacostruzione <strong>di</strong> un laboratorio che fosse il banco <strong>di</strong> prova per esplorare tutti gliaspetti <strong>di</strong> stazioni <strong>di</strong> lavori virtuali, dalla telerobotica, alla chirurgia.Scott Fisher iniziò a negoziare con la VPL Research, Inc per aggiungere alsistema della NASA, denominato VIVED (Virtual Environment Display), il134


<strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> input gestuale che avevano sviluppato. Ciò consentì al VIVED <strong>di</strong>collegare i movimenti della mano al mondo generato dal computer.Nel 1986 era possibile immergersi all’interno dei mon<strong>di</strong> virtuali del ciberspazionon solo con lo sguardo, ma anche con le mani.Potevano toccare ed esplorare mon<strong>di</strong> artificiali nel modo più naturale possibile:attraverso le mani e i gesti.“Quella mano fluttuante era qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> una mano. Ero io.”Se vuoi assicurarti <strong>di</strong> essere nel mondo reale, sposta la testa molto velocemente da una parte odall’altra. Se il resto del mondo non si muove insieme alla tua testa per un paio <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong>millisecon<strong>di</strong>, ti trovi in Virtualan<strong>di</strong>a. Lo sfasamento temporale è sempre un problema nellacostruzione <strong>di</strong> sistemi per realtà virtuale e gestire calcoli complicati molto rapidamente è semprestato parte del problema ("Realtà Virtuali" Howard Rheingold, 1993)Il problema principale per un <strong>reality</strong> engine da questo momento in poi si spostòsulle possibilità <strong>di</strong> migliorare, con la speranza un giorno <strong>di</strong> eguagliare, le piùprecise caratteristiche del nostro sistema “mano-<strong>di</strong>ta-occhio-cervello”, in modotale da ridurre sempre <strong>di</strong> più la <strong>di</strong>screpanza percettiva che può esistere all’internodei mon<strong>di</strong> virtuali.Fig. 21 - Esempio <strong>di</strong> tecnologia <strong>di</strong> rilevamento dei guanti: dataGloveNel 1987 un’azienda denominata Abrams-Gentile Enterteinment (AGE), offrìalla VPL Reserach, Inc, la possibilità <strong>di</strong> accedere al mercato del mondo deigiocattoli con una versione appositamente riprogettata del dataGlove. L’obiettivoera quello <strong>di</strong> creare un guanto <strong>di</strong> input gestuale dai costi contenuti che funzionasse135


come <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> controllo per i popolari videogiochi da consolle Nintendo,potenzialmente un mercato nell’or<strong>di</strong>ne delle decine <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> dollari.A partire dal 1991 venne commercializzato il PowerGlove a meno <strong>di</strong> 100dollari. Il suo funzionamento non era <strong>di</strong>ssimile a quello del dataGlove (che peròcostava 6.300 dollari) in quanto possedeva sia sensori <strong>di</strong> rilevamento dellaposizione assoluta che flex sensor per determinare il grado <strong>di</strong> flessione dellesingole <strong>di</strong>ta della mano. Ciò che lo <strong>di</strong>fferenziava erano le tecnologie utilizzate.Come abbiamo visto in precedenza, ildataGlove, utilizzava fibre ottiche e sensori<strong>di</strong> posizione assoluta ad altissime capacitàperformative, il PowerGlove, invece, facevauso <strong>di</strong> un inchiostro elettro-conduttivostampato su una striscia <strong>di</strong> plasticaflessibile che seguiva il <strong>di</strong>to nei suoimovimenti e un sistema <strong>di</strong> rilevazionebasato su sensori ad ultrasuoni.Fig. 22 - Jaron Lanier con dataGlove eEyephone, i <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> realtà virtuale ideatidalla sua azienda, VPL Research..La precisione del guanto per i videogiochinon era il massimo, tutt’altro, ma fucomunque un importante passo nella storiadei <strong>reality</strong> engine poiché avviava la“massa” ad un nuovo modo <strong>di</strong> giocare e <strong>di</strong>concepire l’interazione con gli ambientivirtuali generati dall’industria dei giochielettronici.La realtà virtuale, o meglio accenni <strong>di</strong> essa,incominciarono a materializzarsi fisicamente al grande pubblico.Tra il 1988 ed il 1990 la VPL Research, Inc era il fornitore <strong>di</strong> sistemi <strong>di</strong> realtàvirtuale pronti all’uso: i laboratori <strong>di</strong> ricerca non erano costretti a reinventare i<strong>di</strong>spositivi HMD e quelli <strong>di</strong> input, potevano acquistare soluzioni già sviluppate ed136


ampiamente rodate, facilitando quin<strong>di</strong> la costruzione dei mon<strong>di</strong> piuttosto che deglihardware necessari per navigarli. Il sensore <strong>di</strong> posizione Polhemus NavigationSystem costava 2.500 dollari, il data Glove altri $6.300, L’Eyephone (l’HMDdella VPL) $9.400 e il pacchetto software $7.200, per un totale <strong>di</strong> 25.400 dollari,esclusi i costi per l’acquisto dei computer e delle workstation necessarie per farfunzionare il tutto.La realtà che era possibile ottenere <strong>di</strong>pendeva molto dalla potenza <strong>di</strong> calcolodegli elaboratori a <strong>di</strong>sposizione, ma anche delle capacità <strong>di</strong> programmazione delteam <strong>di</strong> sviluppo del mondo virtuale che si voleva costruire. Ben presto i primiambienti soli<strong>di</strong> con accenni <strong>di</strong> ombre, superfici e grafiche più dettagliatecominciarono ad essere esplorabili. Il tasso <strong>di</strong> miglioramento del livello <strong>di</strong> realtàdei mon<strong>di</strong> virtuali fu incre<strong>di</strong>bilmente rapido e continuò a crescere parallelamenteagli sviluppi tecnologici.La realtà virtuale ha <strong>di</strong>mostrato, e <strong>di</strong>mostra tutt’ora, che l’essere umano è ingrado <strong>di</strong> poter creare qualunque esperienza si possa desiderare. I pionieri delciberspazio, fin dai primi esperimenti <strong>di</strong> immersione all’interno <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> generatidal computer (Sutherland, ma ancor prima <strong>di</strong> Heilig), avevano compreso cheavere il potere <strong>di</strong> creare l’esperienza significava anche avere il potere <strong>di</strong> ridefinirei concetti base che la definiscono come l’identità, la comunità e la realtà.Questo implica le potenzialità <strong>di</strong> un cambiamento della natura umana.Marshall McLuhan nella sua celebre opera “Gli strumenti del comunicare”in<strong>di</strong>ca i mezzi <strong>di</strong> comunicazione elettronici come strumenti in grado <strong>di</strong> alterare irapporti tra i sensi: la quantità <strong>di</strong> input u<strong>di</strong>tivi e visivi generati dall’avvento dellara<strong>di</strong>o, dai telefoni e successivamente dalla televisione, mo<strong>di</strong>ficaronoinequivocabilmente il nostro modo <strong>di</strong> percepire la realtà.Ve<strong>di</strong>amo, sentiamo e conseguentemente compren<strong>di</strong>amo il mondo in maniera<strong>di</strong>fferente.Dal momento che il nostro “normale” status <strong>di</strong> coscienza è per natura unasimulazione iperrealista <strong>di</strong> ciò che noi consideriamo realtà, “là fuori” (costruiamomodelli del mondo che ci circonda all’interno della nostra mente, utilizzando gli137


input provenienti dagli organi sensoriali, opportunamente rielaborati dal nostrocervello), l’esperienza nel ciberspazio è destinata a trasformarci poiché non faaltro che fornirci nuovi modelli, nuove simulazioni alternative a quelle a cuinormalmente siamo abituati.Gli esseri umani sono per natura costruttori per eccellenza <strong>di</strong> modelli mentali,così come i computer lo sono <strong>di</strong>ventati nel corso degli anni per nostra volontà.La capacità delle macchine per pensare <strong>di</strong> emulare ambienti e situazioni reali èin costante progresso, come abbiamo visto, strettamente legato a quello dellapotenza <strong>di</strong> calcolo e dell’elaborazione-rappresentazione delle immaginitri<strong>di</strong>mensionali. Dal momento in cui saranno in grado <strong>di</strong> generare modellitalmente realistici da non poter essere <strong>di</strong>stinti dalla realtà non simulataelettronicamente (modello mentale umano), le nostre più fondamentali definizioni<strong>di</strong> ciò che è reale verranno completamente ridefinite.La realtà è sempre stata troppo piccola per l’immaginazione umana. L’impulso per la creazione<strong>di</strong> una “macchina per la fantasia interattiva” è soltanto la manifestazione più recente dell’anticodesiderio <strong>di</strong> rendere le nostre fantasie palpabili. (Howard Rehingold, 1993)É altrettanto vero però, che almeno per quanto riguarda la tecnologiainformatica degli anni '90, la realtà sembrava essere (e lo è tuttora) “troppa” dapoter essere sintetizzata all’interno <strong>di</strong> un mondo computerizzato. All’epoca il piùpotente (e costoso) engine per la realtà virtuale era in grado <strong>di</strong> elaborare circaduemila poligoni al secondo e generava un mondo ben lontano dalle nostreaspettative <strong>di</strong> realtà. Alvy Ray Smith, co-fondatore <strong>di</strong> Pixar, affermò che “La realtàinizia ad 80 milioni <strong>di</strong> poligoni per fotogramma”.Era una previsione più che accettabile che aveva lo scopo <strong>di</strong> suggerire la<strong>di</strong>rezione verso cui si sarebbero dovute muovere la tecnologie <strong>di</strong> riproduzionegrafica.La tendenza futura, favorita senza dubbio dalla legge <strong>di</strong> Moore, da un latosembrò <strong>di</strong>rigersi verso la volontà <strong>di</strong> raggiungere e sorpassare la soglia in<strong>di</strong>cata da138


Alvy Ray, dall’altro incominciò a deviare il suo percorso, in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> unpotenziamento della realtà piuttosto <strong>di</strong> una sua simulazione iperrealistica.6. Augmented RealitySomeone once said that a Boeing 747 is not really an airplane, but five million parts flying inclose formation (citazione <strong>di</strong> Caudell e Mizzel, 1992)Essere un operaio specializzato addetto alla manutenzione (quin<strong>di</strong> smontaggioe assemblaggio) dei Boeing 747, alla fine degli anni '80, non doveva essere <strong>di</strong>certo una passeggiata. Chiunque si occupasse <strong>di</strong> questo doveva essere in grado <strong>di</strong>consultare migliaia <strong>di</strong> informazioni e istruzioni dettagliate <strong>di</strong> ciascuna dellesingole componenti del velivolo, solitamente fruibili tramite complessi schemiCAD su schermo <strong>di</strong> una postazione collegata ad un elaboratore oppure suimmense stampe (che in quel caso occupavano interi pavimenti dell’hangar).Alla <strong>di</strong>fficoltà della manodopera quin<strong>di</strong> si aggiungeva quella dellaconsultazione dei manuali necessari a svolgere il lavoro.Il risultato era una procedura troppo macchinosa e troppo lenta.Nel 1990, negli stessi laboratori <strong>di</strong> ricerca della compagnia aerospazialeBoeing, per la prima volta venne utilizzata l’espressione “Augmented Reality” perin<strong>di</strong>care un particolare sistema <strong>di</strong> fruizione dei contenuti, concepito da ThomasCaudell e David Mizell, in grado <strong>di</strong> facilitare enormemente le operazioni <strong>di</strong>manutenzione dei velivoli.Il <strong>di</strong>spositivo sviluppato dai due ricercatori consisteva in un <strong>di</strong>splay HeadMounted (denominato HUDset (Heads-Up Display Head set), concettualmentesimile al prototipo sviluppato da Ivan Sutherland negli anni '60, maopportunamente migliorato in <strong>di</strong>mensioni e portabilità, dotato <strong>di</strong> ottica a lentesemitrasparente (see-through) e <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> tracking della posizione dellatesta all’interno dello spazio <strong>di</strong> lavoro.139


Fig. 23 - L’immagine <strong>di</strong> sinistra rappresenta un operaio al lavoro,con il sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>splay Head Mounted,progettato da Tom Caudell e David Mizell. A destra un dettaglio della stessa applicazione.Questa nuova enabling technology consentiva <strong>di</strong> visualizzare gli schemi <strong>di</strong>assemblaggio e le istruzioni operative testuali, <strong>di</strong>rettamente in sovrimpressionesulle specifiche componenti “fisiche” del Boeing da smontare o riassemblare, che<strong>di</strong> volta in volta entravano nel campo visivo dell’operaio.this technology is used to “augment” the visual field of the user with information necessary inthe performance of current task, and therefore we refer to the technology as “<strong>augmented</strong> <strong>reality</strong>”.(citazione <strong>di</strong> Caudell e Mizzel, 1992)L’informazione percepita dalla vista degli addetti veniva “aumentata” dal<strong>di</strong>spositivo con un altro livello informativo sovrapposto al reale, in grado <strong>di</strong>arricchire <strong>di</strong> significato ciò che in quel preciso momento stava osservando. Inpoche parole oltre a semplificare e velocizzare notevolmente il lavoro degliaddetti alla manutenzione dei giganteschi aeroplani (non dovevano piùinterrompere l’assemblaggio per andare a controllare le schede tecniche),introdusse il mondo informatico ad una nuova era delle Realtà Virtuali, o meglioad una loro variante dalle potenzialità non meno affascinanti e suggestive.L’era della realtà aumentata.140


6.1 Virtual Reality vs. Augmented RealityIl concetto <strong>di</strong> Virtual Reality o VR, coniato nel 1989 da Jaron Lanier (un annoprima che Tom Caudell e David Mizell definissero la loro tecnologia AugmentedReality) implicava nella sua accezione la sofisticata tecnologia, sviluppata già apartire dagli anni '60, che collegava i computer ad una serie <strong>di</strong> sensori in grado <strong>di</strong>stimolare la percezione umana e che consentiva un'interazione immersiva tra unsoggetto attivo e il modello computerizzato generato.Il termine virtuale però non è da contrapporre al reale.Il filosofo francese Pierre Lévy 8 rifletté a lungo su questo concetto, partendodalla considerazione che ogni rappresentazione immateriale è anch’essa reale inquanto comunque percepibile, arrivando a definire il virtuale semplicemente comeuno dei possibili mo<strong>di</strong> dell’essere e che non ha niente a che vedere con il concetto<strong>di</strong> falso o non reale (inteso come un qualcosa che non esiste).Il termine “virtuale” deriva dal latino virtualis che, nella filosofia scolasticaantica, in<strong>di</strong>cava appunto un qualcosa che esiste in potenza ed è in grado <strong>di</strong> passarein atto (per esempio l’albero è virtualmente presente nel seme).Per Levy il virtuale deve essere contrapposto all’attuale e quin<strong>di</strong> ciò che èvirtuale esiste, perché possibile, anche senza consistenza materiale e concreta.I mon<strong>di</strong> virtuali sono esperienze possibili che possono essere contrapposte oconcordate a quelle del reale, in base al grado <strong>di</strong> sensazione <strong>di</strong> immersività enavigabilità che sono capaci <strong>di</strong> suscitare nello spettatore.Tanto più dettagliata sarà la simulazione in atto della realtà, quin<strong>di</strong> comeabbiamo visto, più poligoni saranno elaborati, e più sensi verranno coinvolti, tantopiù profondo sarà il suo grado <strong>di</strong> immersione.8Il filosofo francese Pierre Lévy (1956) è noto per i suoi stu<strong>di</strong> sul mondo degli ipertesti, sulleimplicazioni culturali dell'informatizzazione e sugli effetti della globalizzazione. Si interessa così<strong>di</strong> computer e Internet intesi come strumenti per aumentare le capacità <strong>di</strong> cooperazione, non solodella specie umana nel suo insieme, ma anche quelle <strong>di</strong> collettività come associazioni, imprese,gruppi locali, etc. Egli sostiene infatti che il fine più elevato <strong>di</strong> Internet è l'intelligenza collettiva(come Douglas Engelbart).141


Il termine virtual <strong>reality</strong> quin<strong>di</strong> può essere definito come un ambientetri<strong>di</strong>mensionale immersivo generato dal computer. Da questo concetto possiamoestrapolare tre punti chiave:1. si tratta <strong>di</strong> un ambiente generato completamente al computer secondomodelli tri<strong>di</strong>mensionali ed elaborazioni real time che richiedono prestazioni <strong>di</strong>calcolo e grafica elevatissime, per fornire un adeguato livello <strong>di</strong> realismo;2. questo modello oltre ad “ingannare” la nostra percezione visiva deve essereanche interattivo. Deve essere navigabile e reattivo. Il sistema deve reagire alleazioni dell’utente in modo efficace e cre<strong>di</strong>bile;3. l’utente deve essere completamente immerso sensorialmente all’interno <strong>di</strong>questo ambiente;Uno dei segni <strong>di</strong>stintivi delle realtà virtuali (nella maggior parte delle sueapplicazioni) è l’uso <strong>di</strong> Head Mounted Display come <strong>di</strong>spositivo privilegiato <strong>di</strong>visualizzazione che isola completamente l’utente dal mondo esterno, in quanto lasua percezione <strong>di</strong>pende esclusivamente da ciò che il computer “decide” <strong>di</strong>mostrare. L’ esperienza visiva, u<strong>di</strong>tiva e più in generale dei canali sensorialipropriocettivi 9 è sotto il controllo del <strong>reality</strong> engine che ne determina il grado <strong>di</strong>coinvolgimento e il livello <strong>di</strong> affidabilità. Affinché questa immersione siaconsiderata realisticamente valida, almeno per quanto riguarda la sensazione <strong>di</strong>presenza (non per i dettagli grafici), il sistema deve necessariamente reagire inmodo coerente ad ogni movimento del soggetto, determinando <strong>di</strong> volta in volta lascena così come si sarebbe comportata nella realtà.Questo senza dubbio risulta essere uno dei problemi più complessi e<strong>di</strong>fficilmente risolvibili delle realtà virtuali, poiché, come abbiamo visto inprecedenza, non si tratta solo <strong>di</strong> modellare un mondo graficamente cre<strong>di</strong>bile, mache reagisca ai nostri sensi percettivi nel modo più realistico possibile.Ogni movimento o mo<strong>di</strong>fica effettuata da parte dell’utente comporta unaconseguente ed appropriata mo<strong>di</strong>fica all’interno del mondo virtuale percepito.Tale sistema è chiuso in sé stesso e non esiste nessuna connessione <strong>di</strong>retta tra le9Capaci <strong>di</strong> percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio, grazie allaricezione delle informazioni dai sistemi sensoriali.142


coor<strong>di</strong>nate propriocettive dell’utente e quelle dell’ambiente in cui è immerso. Ilcollegamento deve essere creato artificialmente 10 tramite <strong>di</strong>spositivi e tecnologie<strong>di</strong> rilevamento degli input sensoriali.Qualsiasi incongruenza riguardante il sistema <strong>di</strong> rilevamento delle coor<strong>di</strong>nate,che ha il compito <strong>di</strong> determinare il punto <strong>di</strong> vista della scena virtuale rispetto allaposizione del corpo dell’utente, viene percepita come un errore <strong>di</strong> registrazione,ossia una <strong>di</strong>screpanza tra quello che ci si aspetterebbe normalmente <strong>di</strong> vedere eciò che effettivamente ve<strong>di</strong>amo.Tali errori sono riconosciuti come veri e propri conflitti tra il sistema visivo equello cinestetico o propriocettivo dell’utente. Tuttavia, a causa della maggioreinfluenza della vista rispetto agli altri canali sensoriali (come aveva ancheevidenziato Heilig nei suoi stu<strong>di</strong> per il Teatro dell’Esperienza e il Sensorama), èpossibile che l’utente all’interno <strong>di</strong> una realtà virtuale accetti o regoli lo stimolovisivo errato, sostituendo più o meno inconsciamente le <strong>di</strong>screpanze che siverificano.Un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> realtà aumentata, contrariamente a quello della realtàvirtuale, consente <strong>di</strong> osservare <strong>di</strong>rettamente la realtà che ci circonda,aumentandola con informazioni aggiuntive generate dal computer. Non si trattaperciò <strong>di</strong> una rappresentazione simulata <strong>di</strong> un intero mondo in cui si è immersisensorialmente, ma <strong>di</strong> un potenziamento attraverso oggetti virtuali coerentementeregistrati all’interno <strong>di</strong> quello esistente e reattivi alla fisicità dell’utente. Il senso<strong>di</strong> presenza delle applicazioni <strong>di</strong> realtà aumentata non deve essere ricreatosinteticamente, poiché l’utente agisce nel contesto reale.Il vantaggio <strong>di</strong> questo aspetto è duplice.In primo luogo, gli ambienti reali contengono una quantità <strong>di</strong> informazionetanto più elevata quanto più <strong>di</strong>fficilmente riproducibile in un qualsiasi altroambiente simulato. In secondo luogo, se l’obiettivo finale delle applicazioni deivirtual environment è quello <strong>di</strong> migliorare le prestazioni umane per un compitospecifico, questo sarà svolto sicuramente in modo più naturale se il soggetto si10Azuma 1993143


sente immerso e a suo agio all’interno dell’ambiente (che riconosce o conosce) incui deve svolgere l’attività.Anche per gli <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> engine il problema <strong>di</strong> mantenere coerente lavisione degli oggetti virtuali con la posizione dell’utente nel contesto reale in cuisono rappresentati gli oggetti stessi, è un grande e <strong>di</strong>fficile ostacolo da superare.In questo caso un errore <strong>di</strong> registrazione non può essere né compensato néaccettato dall’utente, in quanto è compreso tra due stimoli visivi <strong>di</strong>fferenti pernatura (realtà osservata <strong>di</strong>rettamente e virtualità <strong>di</strong> oggetti-testi generati), che sonofusi all’interno <strong>di</strong> un'unica scena.L’osservatore è ben più sensibile a questo tipo <strong>di</strong> situazioni percettive devianti,rispetto a quelle che possono riscontrarsi negli ambienti puramente virtuali.Ciò impone ai progettisti <strong>di</strong> applicazioni e sistemi <strong>augmented</strong> una più rigidaattenzione alla risoluzione <strong>di</strong> queste problematiche.Sia i sistemi <strong>di</strong> realtà virtuale che quelli <strong>di</strong> realtà aumentata devono assicurareall’utente un senso profondo <strong>di</strong> immersione all’interno dell’ambiente,garantendone <strong>di</strong> conseguenza anche la ricezione <strong>di</strong> un insieme coerente <strong>di</strong> input.Fig. 24 - Tabella in cui vengono riportate tutte le varie tipologie con relative caratteristiche<strong>di</strong> <strong>augmented</strong> <strong>di</strong>splay.144


6.2 Enabling Display TecnologiesPer mantenere questo status <strong>di</strong> immersione ibrido tra il virtuale ed il reale, isistemi <strong>di</strong> <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong>, così come quelli <strong>di</strong> virtual <strong>reality</strong>, necessitano <strong>di</strong> un<strong>di</strong>spositivo, o <strong>di</strong>versi <strong>di</strong>spositivi comunemente definiti <strong>augmented</strong> <strong>di</strong>splay, ingrado <strong>di</strong> fondere visivamente i due <strong>di</strong>versi punti <strong>di</strong> vista (quello generato dalcomputer e quello osservato <strong>di</strong>rettamente) in un'unica visione.Le tecnologie <strong>di</strong> <strong>di</strong>splay più comuni, o meglio quelli considerabili “storici”, sono isee-through head-mounted <strong>di</strong>splay che grazie a tecnologie video o otticheconsentono <strong>di</strong> vedere il mondo reale “aumentato” con oggetti, informazioni, dativirtuali sovrapposti e perfettamente integrati ad esso. Come in<strong>di</strong>cato dal nomestesso (head-mounted) si posizionano ovviamente tra le categorie <strong>di</strong> <strong>di</strong>splayindossabili, ossia head-worn (<strong>di</strong> cui fanno parte anche i virtual retinal <strong>di</strong>splay egli head-mounted pjojective <strong>di</strong>splay), e offrendo così un buon grado <strong>di</strong> mobilità elibertà <strong>di</strong> azione dell’utente.Fig. 25 - Schema del funzionamento <strong>di</strong> un <strong>di</strong>spositivo video see-through.Oltre ad essere la tipologia <strong>di</strong> head-mounted <strong>di</strong>splay più economica e semplice darealizzare, il video see-through è anche il <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> visualizzazione per larealtà aumentata tecnicamente più simile a quelli de<strong>di</strong>cati per l’esplorazione degliambienti totalmente virtuali (quelli sviluppati dalla NASA o dell’EyePhonesviluppato da Lanier).145


Generalmente è costituito da una o due videocamere, poste in corrispondenzadegli occhi che sostituiscono appieno la vista dell’utente, generando un feed video<strong>di</strong>gitalizzato della realtà. Quest’ultimo, opportunamente combinato in real timecon la scena virtuale corrispondente (prodotta dal sistema graficodell’applicazione AR in base alle coor<strong>di</strong>nate della posizione della testa e del punto<strong>di</strong> vista), viene proiettato sul monitor situato <strong>di</strong> fronte agli occhi dell’utente,permettendo così <strong>di</strong> ottenere una percezione aumentata dell’ambiente circostante.L’utente quin<strong>di</strong> non osserva la realtà <strong>di</strong>rettamente, ma ciò che osserva è me<strong>di</strong>atodall’utilizzo delle telecamere.Questa tecnica nella sua semplicità offre alcuni vantaggi interessanti.Dal momento che la realtà osservata è “<strong>di</strong>gitalizzata”, così come le immaginigenerate virtualmente, risulta molto più facile manipolarne i contenuti,aggiungendo o rimuovendo elementi da essa. Ciò consente inoltre <strong>di</strong> avere sia unmiglior risultato visivo, grazie al controllo pressoché totale sui parametri <strong>di</strong>luminosità, tonalità, saturazione e contrasto delle immagini acquisite, sia unamaggiore precisione nel tracking degli oggetti e dei movimenti della testadell’utente.Tuttavia a queste facilitazioni, che potrebbero tranquillamente rendere i videosee-through una tecnologia largamente utilizzata nel campo delle realtàaumentate, bisogna aggiungere altrettanti svantaggi, ad iniziare proprio dallabassa risoluzione con cui necessariamente agisce. La realtà ripresa attraverso letelecamere perde inevitabilmente risoluzione e conseguentemente qualità. Perquanto fedele possa essere al reale, un'immagine ripresa attraverso un <strong>di</strong>spositivo<strong>di</strong> video capture, sarà comunque inferiore rispetto a ciò che i nostri occhi sono ingrado <strong>di</strong> percepire. Non è solamente una questione pixel, ma <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong>caratteristiche fisiche del sistema occhio-mente che nessuna telecamera riusciràmai ad eguagliare. Alcune <strong>di</strong> queste features riguardano, per esempio, la gestionedel punto <strong>di</strong> vista, della visione periferica e della messa a fuoco.Il punto <strong>di</strong> vista percepito dall’utente del sistema video HMD (datoprincipalmente dal posizionamento della fonte <strong>di</strong> input video), seppur146


migliorabile, risulta essere decisamente limitato e poco fedele a quello reale,causando nell’utente <strong>di</strong>sorientamento e sforzi troppo significativi per cercare <strong>di</strong>“aggiustare” a livello percettivo la visualizzazione. Limiti che sono da segnalareanche per quanto riguarda la visione periferica e la messa a fuoco che <strong>di</strong> certo nonconsentono un uso prolungato <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>spositivi.A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quelli video, gli HMD see-through ottici sfruttano le innovativetecniche <strong>di</strong> beam-splitting (sperimentate già da Sutherland con il three<strong>di</strong>mensional head-mounted <strong>di</strong>splay del 1968) per riflettere e sovraimprimere larealtà aumentata <strong>di</strong>rettamente negli occhi dell’utente. Le scene virtuali, generatedal sistema grafico, vengono sovrapposte a quelle provenienti dal punto <strong>di</strong> vistareale dell’utente, me<strong>di</strong>ante l’utilizzo <strong>di</strong> appositi optical combiners che hanno lapeculiarità <strong>di</strong> essere in parte sia trasmissivi che riflessivi. Questo particolaresistema <strong>di</strong> lenti lascia passare le immagini provenienti dalla realtà (come sel’utente indossasse un paio <strong>di</strong> occhiali da sole) e contemporaneamente riflette in<strong>di</strong>rezione degli occhi le immagini corrispondenti alla scena, generatevirtualmente.Fig. 26 - Schema in cui viene rappresentato il funzionamento dei <strong>di</strong>splay optical see through.I <strong>di</strong>splay head-mounted see-through non solo hanno il vantaggio <strong>di</strong> mantenereintatta la risoluzione del mondo reale, ma risultano anche più sicuri e privi <strong>di</strong>aberrazioni visive da risolvere (come per esempio accade nei <strong>di</strong>spositivi HMD cheutilizzarono telecamere per riprodurre l’ambiente reale)147


Un’altra categoria molto interessante da prendere in considerazione nellanostra breve analisi, riferita agli <strong>augmented</strong> <strong>di</strong>splay, è quella dei cosiddetti handheld<strong>di</strong>splay, ossia tutti quei <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> visualizzazione video o ottici chedevono essere letteralmente “tenuti in mano”. A <strong>di</strong>fferenza degli head-worn sonoutilizzati ad una <strong>di</strong>stanza superiore (circa la <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> un braccio appunto), ilFig. 27 - Esempi <strong>di</strong> più recenti <strong>di</strong>splay headworn.A sinistra il prototipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>splay retinalemonocromatico della MicroVision. A destra i“famosi”Google Glasses (Sergey Brin)livello <strong>di</strong> immersività dell’esperienza cheassicurano non è elevato e sono sicuramentepiù “ingombranti”. Tuttavia attualmente sonola migliore soluzione per introdurre la realtàaumentata nel mercato <strong>di</strong> massa a causa deibassi costi <strong>di</strong> produzione, della notevolefacilità d’uso e soprattutto della <strong>di</strong>screzione conla quale agiscono. Fanno parte <strong>di</strong> questacategoria gli smartphone, cellularimultifunzione, che proprio grazie alla loro versatilità e alle tecnologie <strong>di</strong> cui sonodotati (GPS, magnetometro, accelerometro, giroscopio, connessione WiFI, 3G,Bluetooth ecc...),rappresentano forse lo strumento ideale per sviluppare a costicontenuti applicazioni <strong>di</strong> realtà aumentata.Sulla base <strong>di</strong> quanto preso in considerazione fino ad ora, possiamo definire conprecisione il concetto <strong>di</strong> realtà aumentata. Come ci suggerisce Ronald T. Azuma 11un sistema AR 12 , per essere considerato tale, deve:1. combinare assieme oggetti reali e virtuali all’interno <strong>di</strong> un real environment;2. essere interattivo ed in tempo reale;3. allineare correttamente oggetti reali e virtuali con gli altri elementidell’ambiente.11Ha costruito il primo sistema <strong>di</strong> realtà aumentata funzionante, grazie all'allineamento tantocurato tra oggetti 3D reali e virtuali che l'utente percepiva la coesistenza con gli oggetti nellostesso spazio ("Per questo lavoro mi sono concentrato esclusivamente sul problema <strong>di</strong>registrazione, sulla tracciabilità, la calibrazione e il lavoro <strong>di</strong> sistema necessari per raggiungerequesto obiettivo con un ottica see-through head-mounted <strong>di</strong>splay"). Ci sono stati precedenti sistemi<strong>di</strong> AR ma avevano errori <strong>di</strong> registrazione <strong>di</strong> notevoli <strong>di</strong>mensioni.12Iniziali <strong>di</strong> Augmented Reality (Realtà Aumentata)148


L’aspetto importante della definizione proposta da Azuma è che non limital’<strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> né ad una particolare tipologia <strong>di</strong> <strong>di</strong>splay (come ad esempiogli HMD che, come abbiamo visto, ne esistono molte tipologie con caratteristichee possibilità <strong>di</strong>verse), né limita la sua applicazione alla sola esperienza visiva, inquanto può potenzialmente essere applicata a tutti i sensi che compongono lacomplessità della percezione umana (u<strong>di</strong>to, tatto e olfatto). Inoltre con il termine“<strong>augmented</strong>” si intende in generale la capacità <strong>di</strong> potenziare l’esperienzasensoriale dell’uomo, non soltanto aggiungendo ad una determinata scena oggettivirtuali che aiutano a comprendere meglio ciò che ci circonda, ma ancherimuovendo da essa all’occorrenza oggetti reali. Sebbene questa pratica sia meno<strong>di</strong>ffusa e venga chiamata Me<strong>di</strong>ated Reality o Diminished Reality, è comunque uninteressante sottoinsieme delle tecnologie Augmented Reality.6.3 I continuum <strong>di</strong> Paul MilgramNel 1994 Paul Milgram, in collaborazione con Fumio Kishino, Akira Utsumi eHaruo Takamura, pubblica un documento dal titolo “Augmented Reality: A classof <strong>di</strong>splays on the <strong>reality</strong>-virtuality continuum”, in cui definisce la tassonomiadelle correlazioni esistenti tra gli ambienti Virtual, quelli Augmented ed i relativi<strong>di</strong>splay.L’opinione <strong>di</strong>ffusa <strong>di</strong> una Virtual Reality, come abbiamo visto in precedenza, èquella in cui il partecipante-osservatore è completamente immerso all’interno <strong>di</strong>un mondo sintetico, che può o non può imitare le proprietà <strong>di</strong> un ambiente reale,<strong>di</strong> uno già esistente o <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> pura fantasia, ma che per certi versi può ancheessere superiore, per esempio superando le leggi della fisica che regolano lagravità, il tempo e le proprietà materiali. Al contrario, un ambiente strettamentecollegato al reale dovrà per forza rispettarle.149


Fig. 28 - Reality Virtuality Continuum <strong>di</strong> Paul Milgram (1994).A partire da questa semplice <strong>di</strong>stinzione Milgram pone i concetti <strong>di</strong> “reale” e“virtuale” come antitesi <strong>di</strong> un Reality-Virtuality Continuum (fig. 28) in cui agisceuna Mixed Reality, ossia tutto l’insieme degli ambienti generici misti, composti daoggetti ed immagini sia del mondo reale che <strong>di</strong> quello virtuale e rappresentaticontemporaneamente all’interno <strong>di</strong> un unico <strong>di</strong>splay.La Mixed Reality è un qualsiasi punto tra i due estremi del continuum RealityVirtuality, come può esserlo per esempio la Realtà Aumentata (AR).L’estremità a sinistra del continuum definisce qualsiasi ambiente costituitoesclusivamente da oggetti reali (Real Environment) e include tutto ciò che èpossibile percepire <strong>di</strong>rettamente tramite i canali sensoriali. L’estremo a destrainvece rappresenta l’opposto, ossia un ambiente costituito unicamente da oggettivirtuali generati attraverso simulazioni grafiche computerizzate (VirtualEnvironment) e fruibili me<strong>di</strong>ante l’utilizzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>spositivi Head Mounted immersivio semplici <strong>di</strong>splay.Augmented Reality augmenting natural feedback to the operator with simulated cues(conference papers by Millgram and Kishino, 1994)L’Augmented Reality nello schema del continuum <strong>di</strong> Milgram si posiziona afianco del Real Environment da cui ne è <strong>di</strong>rettamente <strong>di</strong>pendente, in quanto èpredominante in questo caso la percezione del mondo reale, che <strong>di</strong>venta“aumentata” grazie ad informazioni generate dal computer e inserite all’internodel contesto. L’Augmented Virtuality include tutti quei sistemi che sono150


prevalentemente sintetici, ma che annoverano la presenza <strong>di</strong> immagini attinte dalmondo reale. Proprio per questa sua caratteristica è relazionata ai VirtualEnvironment.Il continuum Reality-Virtuality <strong>di</strong> Milgram del 1994, sebbene si tratti <strong>di</strong>un’estensione del concetto <strong>di</strong> Mixed Reality e delle relazioni esistenti tra gliambienti reali e quelli virtuali (e conseguentemente tra le tecnologie che lerendono possibili), a causa della sua struttura mono<strong>di</strong>mensionale non puòincludere tutte le variabili <strong>di</strong> cui questi ambienti sono pregni, risultando quin<strong>di</strong> fintroppo semplice per una corretta <strong>di</strong>stinzione tra i sistemi Augmented Reality eAugmented Virtuality da altri. Milgram quin<strong>di</strong> definisce una tassonomia specificacon cui i mon<strong>di</strong> misti e quelli virtuali possono essere rappresentati sulla base delleloro proprietà essenziali (tecnologie <strong>di</strong> visualizzazione), grazie a un continuummulti<strong>di</strong>mensionale formato da tre assi: Reproduction Fidelity (RiproduzioneFedeltà, RF)), Extent of Presence Metaphor (Estensione della Metafora dellaPresenza) e Extent of World Knowledge (Estensione della Conoscenza delMondo).Fig. 29 - Reproduction Fidelity Continuum.Molte delle <strong>di</strong>scussioni sugli ambienti virtuali (intesi come le parti che agisconoall’interno del Reality-Virtuality continuum), riguardano prevalentemente glistrumenti (computer, <strong>di</strong>splay) e le tecniche grafiche con cui si possono generareoggetti virtuali dalla qualità sufficientemente elevata da farli apparire “reali”. IlPrimo asse che Milgram identifica è appunto relativo a questi aspetti <strong>di</strong>151


iproduzione più o meno fedeli alla realtà: le immagini generate sono classificatenel continuum RF a partire da semplici immagini wireframe (Ivan Sutherland e lasua “Spada <strong>di</strong> Damocle”) fino a quelle <strong>di</strong> 3D Animation fotorealistica.In questo contesto i fattori che influenzano un’applicazione <strong>di</strong> realtà aumentatao virtualità aumentata nel posizionarsi in un qualsiasi punto lungo l’asse delcontinuum RF, sono essenzialmente legati alla loro capacità hardware <strong>di</strong> elaboraree riprodurre le informazioni/immagini in tempo reale (per visualizzare immaginiwireframe in tempo reale la potenza <strong>di</strong> calcolo necessaria sarà <strong>di</strong> gran lungainferiore a quella per immagini ad alta definizione), ma anche alla tecnologia del<strong>di</strong>splay <strong>di</strong> rappresentazione delle scene generate (per immagini wireframe saràsufficiente un <strong>di</strong>splay monoscopico, viceversa per una riproduzionetri<strong>di</strong>mensionale un <strong>di</strong>splay 3D HDTV).Altre <strong>di</strong>scussioni sugli ambienti virtuali invece si concentrano sui fattorirelativi alla sensazione <strong>di</strong> “presenza” che suscitano all’interno del mondocomputerizzato. Il continuum Extent of Presence Metaphor analizza proprio questifattori, misurando il livello <strong>di</strong> immersione dell’utente all’interno <strong>di</strong> un VirtualEnvironment o Mixed <strong>reality</strong>. Anche in questo caso la classificazione èstrettamente legata alla tecnologia <strong>di</strong> visualizzazione utilizzata dal sistema.Ognuna <strong>di</strong> queste conferisce un grado <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> immersione che può variare daun senso <strong>di</strong> presenza minima, dato da immagini monoscopiche su monitor WoW(Window on the World) , fino ad un coinvolgimento totale, dato dalla vistaRealtime imaging attraverso particolari e sempre meno invasivi <strong>di</strong>splay headmounted che lentamente incominciano ad assomigliare a normali occhiali ofuturistici retinal <strong>di</strong>splay 13 .13Il <strong>di</strong>splay retina è un <strong>di</strong>splay ad alta definizione con una quantità <strong>di</strong> pixel quattro voltesuperiore rispetto ai modelli precedenti. La densità <strong>di</strong> pixels, 326 ppi (pixel-per-inch, pixel perpollice) è maggiore rispetto al limite <strong>di</strong> risoluzione dell'occhio umano (ovvero la minima <strong>di</strong>stanzatra due punti tale che sia ancora possibile <strong>di</strong>stinguerli) che è <strong>di</strong> 300 ppi. Lo schermo appare cosìcome "stampato" con i colori delle immagini in completa continuità, come se si osservasse unfoglio <strong>di</strong> carta.152


Fig. 30 - Extent of Presence Metaphor.Per esempio gli Artificial environment <strong>di</strong> Myron Krueger (che abbiamo avutomodo <strong>di</strong> analizzare nel paragrafo 5.3) possono essere posizionati circa a metà delcontinuum EPM, poiché fanno uso <strong>di</strong> immagini panoramiche su schermi gran<strong>di</strong>che hanno il potere e il fascino <strong>di</strong> avvolgere letteralmente lo spettatore all’interno<strong>di</strong> una realtà artificialmente generata, garantendo anche libertà <strong>di</strong> movimento edazioni all’interno <strong>di</strong> essa.Le tecnologie <strong>di</strong> visualizzazione utilizzate nei sistema <strong>di</strong> realtà aumentatainvece sfruttano la vista <strong>di</strong>retta degli utenti sul mondo reale. L’immersione degliutenti in questo ambiente avviene semplicemente tenendo gli occhi aperti edosservando ciò li che circonda.Un altro importante elemento che molto spesso viene ignorato nella definizione<strong>di</strong> questi environment (VR, AV o AR), è il grado <strong>di</strong> conoscenza del mondo(EWK), in pratica quanto sappiamo degli oggetti e del mondo virtuale in cui questisono esposti.Fig. 31 - Extent of World Knowledge153


L’estremo <strong>di</strong> sinistra del continuum EWK, World Unmodelled, che rappresentail caso in cui l’utente non conosce nulla del mondo remoto che sta osservando, sicaratterizza come una serie <strong>di</strong> scene fatte da immagini ed informazioni nonmodellate (se non per migliorarne la qualità), che sono esplorate “alla cieca” evisualizzate tramite l’ausilio <strong>di</strong> appositi <strong>di</strong>splay. Fanno parte <strong>di</strong> questa categoriaper esempio i sistemi <strong>di</strong> telemanipolazione, in particolare quelli che sono effettuatiin ambienti ostili all’uomo o semplicemente <strong>di</strong>fficili da raggiungere, comel’esplorazione subacquea o <strong>di</strong> altri pianeti.Man mano che ci si sposta verso l’altra estremità della <strong>di</strong>mensione EWKinvece, troviamo il mondo completamente modellato. É questo il caso dellevirtual <strong>reality</strong> nel senso tra<strong>di</strong>zionale (e storico) del termine, ossia <strong>di</strong> ambientitotalmente virtuali che possono essere generati solamente se il Reality Engine<strong>di</strong>spone <strong>di</strong> una conoscenza completa su ogni aspetto del mondo che staelaborando: la posizione degli oggetti, quella della vista dell’osservatore e, nelcaso in cui si tratti <strong>di</strong> esplorazione attiva (quin<strong>di</strong> con possibilità <strong>di</strong> interazione sulmondo da parte dell’utente), anche delle azioni che il soggetto compie permanipolare gli oggetti.La definizione <strong>di</strong> Azuma <strong>di</strong> Augmented Reality, quella <strong>di</strong> Mixed Reality e deicontinuum multi<strong>di</strong>mensionali descritti da Paul Milgam (nei testo pubblicato nellontano 1994), hanno portato ad un’idea ben precisa dei concetti e delle tecnologieche sono alla base degli ambienti virtuali, siano essi più affini al reale (AugmentedReality) o completamente <strong>di</strong>staccati da esso (Virtual Reality). I continui sviluppiinnovativi nel campo della rappresentazione (<strong>di</strong>splay), dell’elaborazionemultime<strong>di</strong>ale (computer) e della me<strong>di</strong>azione dei contenuti (interfacce ed inputsensoriali) hanno altresì contribuito enormemente ad incentivare lasperimentazione e l’esplorazione all’interno dei mon<strong>di</strong> sinteticamente mo<strong>di</strong>ficati,in particolare <strong>di</strong> quelli maggiormente legati alla realtà (AR) e ai suoi rapporti conla percezione e i comportamenti umani causati dal suo utilizzo.L’inerzia dello sviluppo delle <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> è attualmente nel pieno dellasua potenza, anzi se possibile, ancor più amplificata grazie all’esplosione154


dapprima <strong>di</strong> nuovi mezzi comunicativi (internet) e successivamente dai nuovistrumenti smart <strong>di</strong> fruizione ed elaborazione delle informazioni (smartphone,tablet).6.4 Che cos’è la Realtà Aumentata? E <strong>di</strong> cosa si occupa?Ma che cos’è la realtà aumentata? In che mo<strong>di</strong> si <strong>di</strong>stingue dalle altretecnologie? E quali sono le sue applicazioni pratiche? Sono tutte domandelegittime riguardanti le nuove possibilità offerte dallo sviluppo dell’AR, a cuicercheremo, in questo ultimo paragrafo, <strong>di</strong> dare una risposta.La realtà aumentata è una tecnologia “ancestrale”che fonda le sue ra<strong>di</strong>ci nellavoro pionieristico <strong>di</strong> Ivan Sutherland del 1968, salvo poi trovare nuovo lustro eun’identità ben precisa (come abbiamo visto in precedenza), <strong>di</strong>fferenziandosi dallarealtà virtuale <strong>di</strong> concezione tra<strong>di</strong>zionale, a partire dagli anni '90, con larealizzazione del primo <strong>di</strong>spositivo AR funzionante presso i laboratori dellaBoeing e le successive definizioni <strong>di</strong> Milgram e <strong>di</strong> Azuma. La realtà aumentata sipresenta alla percezione del senso comune come un’idea estremamente potente (eper certi versi anche troppo rivoluzionaria) e, come tutte le altre idee potenti chehanno fatto la storia dell’informatica (la internet, le realtà virtuali ecc...) e nonsolo, si presta ad una facile mitizzazione e ideologizzazione. É un “mito delpresente 14 ” come lo definirebbe Roland Barthes (1915-1980), già ben strutturatonelle sue caratteristiche, funzionalità e mo<strong>di</strong> espressivi, benché sia appena nato.Occorre tuttavia demistificarlo, sottraendo da esso il fascino e la potenzadell’innovazione tecnologica quasi “magica” che porta con sé, al fine <strong>di</strong> farnerisaltare esclusivamente gli aspetti specifici <strong>di</strong> cui è impregnato: in particolarequello <strong>di</strong> essere un mezzo che non solo ha il potere <strong>di</strong> agire nei <strong>di</strong>scorsi dellasocietà, ma anche nei <strong>di</strong>scorsi sulla società (meta-<strong>social</strong>i) e nei mo<strong>di</strong> in cui lacultura rappresenta se stessa.14Presentava come “naturali” delle situazioni e delle qualità che erano in realtà storicamentedeterminate.155


In questo ambiente comunicativo nuovo, la realtà aumentata istituisce una<strong>di</strong>versa forma <strong>di</strong> lettura-scrittura del reale, ossia una nuova modalità <strong>di</strong>significazione e <strong>di</strong> testualità che si <strong>di</strong>fferenzia enormemente rispetto a quelletra<strong>di</strong>zionali (come successe negli anni '60 con l’invenzione dell’ipertesto), proprioperché strettamente collegata alla fisicità <strong>di</strong> un oggetto o <strong>di</strong> un determinatoambiente in cui essa agisce.Sotto questo aspetto l’AR può essere definita come un <strong>di</strong>spositivo intertestualesincretico, ovvero un insieme eterogeneo <strong>di</strong> significanti (elementi testuali econtenuti) che convergono in un’unica esperienza fruitiva attraverso <strong>di</strong>versemodalità sensoriali (visive, u<strong>di</strong>tive, gestuali, spaziali ecc...). Per esempio comeaccade nella realtà aumentata <strong>di</strong> Tom Caudell e David Mizell per gli operai addettialla manutenzione della Boeing oppure nelle sue forme più evolute, o ancora sullepiù attuali applicazioni per <strong>di</strong>spositivi smartphone come Wikitude 15 , GoogleGoggles 16 oppure Soundhood 17 (solo per citarne alcuni).In queste applicazioni gli elementi del reale sono strettamente collegati almondo virtuale multime<strong>di</strong>ale, che agisce nella percezione umana attraverso icanali sensoriali per determinare nuove modalità cognitive ed espressive.Tuttavia gli aspetti <strong>di</strong> intertestualità e sincretismo non sono sufficienti a<strong>di</strong>stinguere la realtà aumentata per esempio da un gioco interattivo su schermo,dalla navigazione quoti<strong>di</strong>ana su internet o da un film. Anche in questi casi si è <strong>di</strong>fronte a testi complessi, che fanno uso <strong>di</strong> linguaggi <strong>di</strong>fferenti e che sonoimprescin<strong>di</strong>bili da esperienze e riman<strong>di</strong> multime<strong>di</strong>ali e multisensoriali,interconnessi tra loro secondo una serie <strong>di</strong> citazioni e riman<strong>di</strong> continui a volteimpliciti, altre volte espliciti. Una realtà aumentata come quella generata dalsistema brevettato nel 1998 da Sportvision e battezzato 1st & Ten, è l’esempio15Applicazione per smartphone che sfrutta a pieno la realtà aumentata, permettendoci <strong>di</strong>sapere in tempo reale cosa c’è intorno a noi con relative in<strong>di</strong>cazioni su come arrivare adestinazione e la <strong>di</strong>stanza stimata.16Applicazione per smartphone che consente <strong>di</strong> utilizzare, per esempio, co<strong>di</strong>ci a barre,copertine dei libri o immagini come chiavi <strong>di</strong> ricerca verbali su google.17Applicazione per smartphone che consente <strong>di</strong> riconoscere e visualizzare facilmente i dettagliinformativi testuali (titolo canzone, autore, casa <strong>di</strong>scografica) o iconici collegati (copertina <strong>di</strong>sco,video, immagini ecc..) <strong>di</strong> una canzone, a partire dalla sua melo<strong>di</strong>a.156


forse più opportuno per <strong>di</strong>mostrare come gli aspetti intertestuali e sincretici delleAR siano parte integrante delle tecnologie già assimilate nell’immaginario <strong>social</strong>e,quin<strong>di</strong> per nulla innovative se osservate senza tenere in considerazione le modalitàin cui il prodotto finale (cioè l’immagine risultante dalla fusione delle fonti realicon quelle virtuali) è stato generato.Il 1st & Ten fu il primo sistema AR ad essere utilizzato nei broadcastingtelevisivi per aumentare <strong>di</strong> contenuti testuali e visivi utili al pubblico un eventosportivo trasmesso in <strong>di</strong>retta, ed è tuttora considerabile come uno dei pochiesempi concretamente operativo su larga scala me<strong>di</strong>atica (ancora in uso) eperfettamente aderente alla definizione scientifica <strong>di</strong> AR proposta da Azumasolamente un anno prima in A Survey of Augmented Reality 18 .Le immagini virtuali (first-down line, linea del fuorigioco, tempo dei piloti inuna gara, pubblicità ecc...) inserite nel contesto reale (campo <strong>di</strong> gioco, circuito)sono accuratamente registrate secondo le tre <strong>di</strong>mensioni (i segmenti della lineavirtuale calpestati dai giocatori scompaiono così come fanno le linee reali <strong>di</strong>demarcazione del campo) e tracciate utilizzando <strong>di</strong>fferenti punti <strong>di</strong> vista(molteplici telecamere), quin<strong>di</strong> sono sincronizzate con lo streaming video liveattraverso un leggero delay che consente <strong>di</strong> eliminare qualsiasi tipo <strong>di</strong>problematica relativa alla registrazione.Fig. 32 - A sinistra il sistema 1st & Ten, ideato da Sportvision. La linea gialla è “aggiunta” alleriprese in <strong>di</strong>retta. A destra un altro esempio <strong>di</strong> <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> nei broadcasting televisivi. Ilcartellone pubblicitario è virtuale.18Augmented Reality (AR) is a variation of Virtual Environments (VE), or Virtual Reality [...]AR allows the user to see the real world, with virtual object superimposed upon or compositedwith the real world [...] AR systems that have the following charateristics: 1) Combines real andvirtual 2) Interactive in real time 3) Registered in 3-D.157


Tecnicamente e concettualmente una linea aggiunta su un campo da footballnon <strong>di</strong>fferisce per esempio dagli effetti speciali dei film. In entrambi i casi glielementi “virtuali” interagiscono con altrettanti reali secondo una perfettasincronia, creando l’illusione <strong>di</strong> presenza fisica all’interno della scena e“ingannando” lo spettatore (o meglio i suoi sensi). Nei film tuttavia questa“magia” è frutto <strong>di</strong> un lavoro <strong>di</strong> post produzione che può essere più o meno lungoe/o <strong>di</strong> qualità a seconda dei risultati che si vogliono ottenere. In un sistema AR leimmagini, i testi-oggetti virtuali sono sia perfettamente inseriti nel contesto realeme<strong>di</strong>ante una generazione automatica, sia in tempo reale quin<strong>di</strong> fedeli al punto <strong>di</strong>vista dell’osservatore (nel caso <strong>di</strong> 1st & Ten le telecamere posizionate perriprendere l’evento), sia si comportano esattamente come elementi fisicamentepresente in scena.L’<strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altre esperienze può, e deve, esseresoprattutto in<strong>di</strong>rizzata alla generazione <strong>di</strong> contenuti a livello user o crowd,implementabili quin<strong>di</strong> soggettivamente e/o collettivamente. Sotto questi aspettimolte delle più interessanti applicazioni AR <strong>di</strong>sponibili per smartphone si basanoproprio sulla possibilità <strong>di</strong> “aumentare” la realtà attraverso contenutipersonalizzati all’interno dell’ambiente circostante, apponendo fisicamente deimarker (ARcode o QRcode 19 ) agli oggetti, testi e mon<strong>di</strong> fisici per connetterli<strong>di</strong>rettamente con i rispettivi virtuali, oppure, così come avviene per esempio inTagWhat 20 , applicare in un dato luogo una tag che lo identifica e lo trasporta inuna nuova <strong>di</strong>mensione, conferendo all’utente la possibilità <strong>di</strong> lasciare unmessaggio proprio come su una bacheca tri<strong>di</strong>mensionale.Sebbene quella <strong>di</strong> “taggare” sia un’accezione derivata dalle piattaformecomunicative tipiche del web 2.0 (<strong>social</strong> network) e quin<strong>di</strong> non <strong>di</strong>stintivo della19Abbreviazione inglese <strong>di</strong> "quick response" (risposta rapida), derivata dal fatto che il co<strong>di</strong>ce èstato sviluppato per garantire una veloce deco<strong>di</strong>fica del suo contenuto. E' un co<strong>di</strong>ce a barrebi<strong>di</strong>mensionale composto da moduli neri <strong>di</strong>sposti all'interno <strong>di</strong> uno schema <strong>di</strong> forma quadrata,impiegato per memorizzare informazioni destinate alla lettura tramite un telefono cellulare o unosmartphone.20App che offre la possibilità <strong>di</strong> elaborare delle mappe personalizzate, basate su propriefotografie, su cui collocare le più svariate informazioni: testo, immagini, video e link. Dei veri epropri ipertesti fortemente contestualizzati.158


ealtà aumentata, implica comunque interessanti sviluppi nel campo <strong>di</strong> ciò che èstato definito internet of things 21 , in cui appunto la fisicità degli oggetti e dellecose viene collegata con il sapere della Rete. Una rete fatta <strong>di</strong> cause ed effetti incui il <strong>di</strong>alogo tra soggetti ed oggetti avviene in modo istantaneo, generando cosìuno scenario in cui la simulazione non è più tale, non è più una semplice aggiunta(augmentation)o sottrazione (<strong>di</strong>minishing) o trasformazione, ossia me<strong>di</strong>azionerispetto alla realtà, ma <strong>di</strong>venta realtà stessa già nel momento in cui è figurata,immaginata, percepita. Uno scenario in cui il simbolico confluisce nelle things(cose) che <strong>di</strong>ventano quin<strong>di</strong> il principale device <strong>di</strong> comunicazione.il web non è più un insieme <strong>di</strong> pagine HTML che descrivono qualcosa. Il web è <strong>di</strong>ventato ilmondo stesso e ognuno in questo mondo riflette un' ombra <strong>di</strong> informazioni 22 , un set <strong>di</strong> dati chevengono catturati e processati in maniera intelligente dai <strong>di</strong>spositivi, dai sensori, da co<strong>di</strong>cioffrendo notevoli opportunità. (O’Reilly & Battelle 2009)Quin<strong>di</strong> se definiamo l’internet delle cose come l’estensione naturale della Reteal mondo degli oggetti e dei luoghi concreti, e in<strong>di</strong>chiamo la realtà aumentatacome uno degli strumenti in grado <strong>di</strong> connettere tali oggetti e luoghi alla rete,allora device come gli smartphone, grazie alle loro tecnologie sempre piùsofisticate (GPS, giroscopio, magnetometro, accelerometro, fotocamera rete WiFI,3G ecc...), possono essere considerati la finestra, o meglio gli occhi e le orecchie,con la quale possiamo osservare e soprattutto generare il nuovo mondo e i nuovimo<strong>di</strong> <strong>di</strong> pensare.É interessante notare come la prima esplosione “me<strong>di</strong>atica” del concetto <strong>di</strong> AR,favorita senza dubbio dal rilascio <strong>di</strong> ARToolKit 23 (1999) e successivamente <strong>di</strong>21"Internet delle cose" citata per la prima volta da Kevin Ashton, nel 1999.22Secondo Tim O’Reilly (2009) ogni persona possiede informazioni che sono come la suaombra e si riflettono nelle sue caselle e-mail, nei contatti skype, nei post del blog o su facebook,nei cinguettii <strong>di</strong> Twitter, nelle foto, nei video... In poche parole in ogni aspetto della sua essenzaonline.23Una libreria software open-source che permette al programmatore <strong>di</strong> sviluppare applicazioniAR, utilizzando un algoritmo <strong>di</strong> visione per calcolare la reale posizione e orientazione dellatelecamera relativamente al marker, permettendo così al programmatore <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare oggettivirtuali sulla scena reale.159


FLARToolKit 24 (2004), sia stata meno penetrante rispetto a quella che èattualmente in atto, incentivata soprattutto dalla <strong>di</strong>ffusione massiccia degli smartdevice. La <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>spositivi è iniziata già a partire dal 2009 e non haancora subìto rallentamenti o brusche frenate, anzi secondo le recenti ricerchestatistichesta ad<strong>di</strong>rittura accelerando: negli Stati uniti oltre il 50% degli“utilizzatori” <strong>di</strong> internet in mobilità accede alla rete utilizzando uno smartphone 25(circa 84 milioni), mentre in Italia è appena avvenuto il sorpasso <strong>di</strong> questi<strong>di</strong>spositivi sui cellulari tra<strong>di</strong>zionali (oltre 20 milioni) 26 .La loro <strong>di</strong>ffusione massiccia è il simbolo della nuova rivoluzione <strong>di</strong>gitale,l’ennesimo passo verso la simbiosi sognata da Licklider tra l’uomo e letecnologie. Gli smartphone ad oggi sembrano essere il terreno più fertile dellasperimentazione sulle realtà aumentate e sulle loro possibilità interattive tra gliambienti, oggetti, testi e gli esseri umani.Sicuramente uno dei primi step verso l’internet delle cose alla portata <strong>di</strong> tutto etutti.Il potere <strong>di</strong> collegare il reale al virtuale, l’attuale al possibile (e viceversa),tipico delle applicazioni AR, è prevalentemente un atto <strong>di</strong> potenziamentoinformativo e percettivo, non tanto riferito alla realtà in sé, quanto all’esperienza eai nuovi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> interazione che il soggetto acquisisce con essa.Difatti ciò che viene aumentato grazie alle applicazioni dell’Augmented Realitynon è la realtà in sé, ma piuttosto la percezione che gli utenti hanno del mondoche li circonda (tramite informazioni virtuali che altrimenti sarebbero stateimpossibili da visualizzare attraverso i propri sensi) e le possibilità <strong>di</strong> interazionecon esso (le informazioni trasmesse dagli oggetti virtuali aiutano gli utenti adeseguire le attività del mondo reale). Sono queste le caratteristiche che rendonol’Augmented Reality veramente interessante, l’esempio specifico della Man-24Versione Actionscript (v3) <strong>di</strong> ARToolKit in grado <strong>di</strong> riconoscere un marker visuale daun'immagine in input e calcolare sia l'orientamento che la posizione della telecamera nel mondo3D, per poi sovrapporre grafiche virtuali sull'immagine video reale.25blog.nielsen.com/nielsenwire/?p=3168826www.nielsen.com/it/it/news-insights/comunicati-stampa/2011/continua-a-crescere-lanavigazione-da-mobile-in-italia-.html160


Computer Symbiosis teorizzata da Licklider e della tecnologia immaginata daEngelbart in grado <strong>di</strong> potenziare l’intelletto umano.Si tratta <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> augmentation che può avvenire secondo duemodalità: il primo è <strong>di</strong> tipo qualitativo, ossia avviene tramite l’aggiunta <strong>di</strong>contenuti più dettagliati e approfon<strong>di</strong>ti, il secondo è <strong>di</strong> tipo quantitativo, cioèsemplicemente tramite l’aggiunta <strong>di</strong> più contenuti.Per esempio un sistema AR che permette <strong>di</strong> applicare un marcatore virtuale sulluogo in cui è parcheggiata la macchina, rappresenta un accrescimento qualitativodell’esperienza (Augmented Car Finder), mentre le applicazioni che permettono<strong>di</strong> recuperare, a partire da un oggetto, le informazioni legate ad esso (prezzo,modelli <strong>di</strong>sponibili, produttore ecc...) sono da considerare come augmentationquantitative, quin<strong>di</strong> essenzialmente <strong>di</strong> natura cognitiva.Il dominio <strong>di</strong> applicazione <strong>di</strong> una realtà aumentata in cui il livello <strong>di</strong>intensificazione ed estensione, inteso come accrescimento qualitativodell’esperienza, tanto elevato quanto necessario,è sicuramente quello me<strong>di</strong>co. Già agli albori delconcetto <strong>di</strong> <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> iniziarono i primiinteressanti esperimenti sull’effettiva possibilità<strong>di</strong> estendere grazie all’AR le capacità dei me<strong>di</strong>cidurante semplici analisi “scopiche” <strong>di</strong> controllo,o veri e propri interventi <strong>di</strong> chirurgia assistita emicroinvasiva.Uno dei primi sistemi <strong>di</strong> controllo in ambitome<strong>di</strong>co venne progettato a partire dal 1992, pressoFig. 33 - Esempio <strong>di</strong> sistema me<strong>di</strong>co pervisualizzare in tempo reale le immagini 3D delfeto all’interno del grembo materno.l’University of Noth Carolina a Chapel Hill. Un gruppo <strong>di</strong> ricercatori condusse<strong>di</strong>verse sessioni <strong>di</strong> prova con un <strong>di</strong>spositivo ad ultrasuoni per scansionare il ventre<strong>di</strong> una donna incinta. L’obiettivo del progetto era quello <strong>di</strong> creare un vero eproprio “3-D stethoscope” che riuscisse a conferire al me<strong>di</strong>co la capacità <strong>di</strong>visualizzare tramite un See-Through Head Mounted Display, le immagini161


tri<strong>di</strong>mensionali in tempo reale del feto (sviluppo e posizione) all’interno delgrembo materno.Vedere ciò che ad occhio nudo non era possibile osservare e farlo nel modo piùnaturale possibile.Ben <strong>di</strong>versa invece può essere considerata l’applicazione dell’<strong>augmented</strong><strong>reality</strong> in situazioni più complesse come gli interventi chirurgici.Il sistema immaginato a questo scopo prevedeva l’uso <strong>di</strong> un modellotri<strong>di</strong>mensionale delle anatomie del paziente (generato attraverso una raccolta <strong>di</strong>immagini 3-D, ricavate da risonanza magnetica o sistemi <strong>di</strong> rilevamentoecografico), che avrebbe permesso <strong>di</strong> mappare l’esatta posizione delle formazionimaligne da rimuovere o analizzare. Il modello, opportunamente combinato in RealTime con il paziente e con “mockup” <strong>di</strong> istruzioni, avrebbe guidato la mano delchirurgo (e/o dell’appren<strong>di</strong>sta) alle corrette operazioni da eseguire.Indubbiamente un sistema <strong>di</strong> questo tipo profila scenari decisamente suggestivie futuristici, ma la sua concreta realizzazione era (ed è tuttora) considerata <strong>di</strong><strong>di</strong>fficile praticabilità, anche se applicativi AR <strong>di</strong> simulazione e training peroperazioni chirurgiche, <strong>di</strong> natura molto simile a quella appena descritta, sono inrealtà in via <strong>di</strong> sperimentazione (simulatore Canada National Research Council 27e Mini-Virtual Reality Encanced Mannequin for self-<strong>di</strong>rected learning 28 ). Sebbenequesti esempi non siano concretamente attivi, rappresentano comunque l’idea <strong>di</strong>AR come strumento in grado <strong>di</strong> potenziare significativamente le capacitàpercettive dell’uomo, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> migliorare sensibilmente le sue possibilità <strong>di</strong>azione all’interno delle situazioni della vita <strong>di</strong> tutti i giorni: da quelle lavorative,27Simulatore neurochirurgico che utilizza l'innovativa tecnologia NRC per ricreare l'atmosferada sala operatoria, consentendo ai me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> "allenarsi" per prove complesse, come operazioni alcervello, prima <strong>di</strong> eseguire l'intervento chirurgico vero e proprio.28Ambiente <strong>di</strong>gitale <strong>di</strong> formazione in cui si riproducono, attraverso la sovrapposizione traelementi reali e <strong>di</strong>gitali, situazioni e azioni complementari a quelle che possono verificarsi nellosvolgersi della loro professione me<strong>di</strong>co-sanitaria. Per creare questo contesto immersivo, vengonoposizionati sui polsi del personale me<strong>di</strong>co in formazione due marker che permettono lavisualizzazione delle azioni, <strong>di</strong>rettamente sul monitor. Contemporaneamente il sistema permetteanche il monitoraggio delle azioni (compressioni toraciche e ventilazioni <strong>di</strong> salvataggio) e dei gestieseguiti, per avere un riscontro imme<strong>di</strong>ato sulle procedure fatte ed una auto-valutazione del lavoroeseguito, consentendo una correzione degli eventuali errori commessi.162


dove sono richiesti interi sistemi de<strong>di</strong>cati, a quelle lu<strong>di</strong>che in cui è sufficientesemplicemente un app da scaricare ed installare sul proprio smartphone.Oltre a queste possibili augmentation qualitative o quantitative dei contenutitipici dei sistemi AR, occorre analizzare un'ulteriore caratteristica già più voltein<strong>di</strong>cata come elemento chiave nella riuscita <strong>di</strong> esperienze aumentate del mondoreale e più in generale degli ambienti che fanno parte del Reality-virtualityContinuum.Tale tratto <strong>di</strong>stintivo è legato al fattore “immersione”, cioè la possibilità <strong>di</strong>creare simulazioni <strong>di</strong> ambienti in modo tale che risultino percettivi e reattivi (cioèin grado <strong>di</strong> rispondere coerentemente e in modo intelligente ai mutamenti <strong>di</strong>postura, punto <strong>di</strong> vista, orientamento, gestualità ecc...) specificatamente in<strong>di</strong>rizzatiad uno schema corporeo. Ovviamente il grado <strong>di</strong> immersione nelle realtàaumentate è a sua volta legato al tipo <strong>di</strong> tecnologia utilizzata (<strong>di</strong>fatti Milgram nelcontinuum EPM associa <strong>di</strong>rettamente il livello <strong>di</strong> immersione al <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong>visualizzazione) e alle necessità dell’applicazioneL’esempio più eclatante in merito ad un'immersione pressoché completa <strong>di</strong>questo tipo <strong>di</strong> facilitazioni, tralasciando le centinaia <strong>di</strong> applicazioni persmartphone (che per evidenti limiti tecnici sono da considerare come i sistemi“poveri” dell’<strong>augmented</strong> <strong>reality</strong>),è rappresentato dall’utilizzo dei complessisistemi AR de<strong>di</strong>cati in ambito militare.Diversamente dal dominio me<strong>di</strong>co (che abbiamo visto in precedenza), quellomilitare, è sempre stato terreno fertile per la nascita, lo sviluppo e l’affermazionedelle nuove tecnologie. Successe con i computer, con internet, con le RealtàVirtuali (HMD, simulatori per addestramento ecc...) e naturalmente anche con leRealtà Aumentate.L’esercito già nei primi anni '90 utilizzava (e utilizza ancora) <strong>di</strong>splay<strong>augmented</strong> che presentano al pilota, <strong>di</strong>rettamente sulla visiera o sul vetro dellafusoliera del velivolo, dati ed informazioni che possono essere sia <strong>di</strong> naturatecnica (equipaggiamenti <strong>di</strong>sponibili, autonomia carburante, altezza <strong>di</strong> volo,inclinazione ecc...) che <strong>di</strong> tipo operativo, cioè <strong>di</strong>rettamente collegate alla zona in163


cui sta agendo in quel momento il pilota (presenza <strong>di</strong> nemici o alleati, obiettivi,allarmi etc..).A partire da questi <strong>di</strong>spositivi la Tanagram Partner, grazie anche al contributodel DARPA, sta attualmente sviluppando una tecnologia militare in AR, che sedovesse rispettare quanto promesso nei prototipi, senza dubbio cambierebbecompletamente gli scenari <strong>di</strong> guerra per come li conosciamo noi oggi.L’Intelligent Augmented Reality Model (IARM) è stata presentata nel giugno del2010 in occasione del meeting-workshop sulle Augmented Reality a Santa Clara,in California, dal CEO Joseph Juhnke ed è stata accolta con enorme entusiasmoda tutto l’ambiente. La mission <strong>di</strong> Tanagram Partner è quella <strong>di</strong> dotare i soldati <strong>di</strong>fanteria <strong>di</strong> un <strong>di</strong>spositivo intelligente, in grado <strong>di</strong> aumentare la percezione degliambienti e migliorare lo scambio <strong>di</strong> informazioni tra le truppe: immergecompletamente i militari nella visione potenziata della realtà che li circonda.IARM sarà dotato <strong>di</strong> sensori leggeri e <strong>di</strong>splay che raccolgono e forniscono datida e per ogni singolo soldato nel campo <strong>di</strong> battaglia. L’equipaggiamentotecnologico include un computer, una videocamera a 360 gra<strong>di</strong>, sensori UV einfrarossi, telecamere stereoscopiche e goggles <strong>di</strong>splay OLED 29 trasparenti.I soldati saranno messi in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> comunicare <strong>di</strong>rettamente con la baseoperativa e tra <strong>di</strong> loro, trasmettendo informazioni importanti e utiliall’ottimizzazione delle loro azioni, attraverso l’utilizzo <strong>di</strong> un linguaggio testualeo iconico specifico (simboli e colori potrebbero essere utilizzati per in<strong>di</strong>care lapericolosità <strong>di</strong> una determinata zona oppure la presenza <strong>di</strong> nemici, pericoli,cecchini lungo un determinato percorso) o attraverso gesti e posture corporeespecifiche.IARM in poche parole intende migliorare i processi <strong>di</strong> decision making deisingoli soldati rispetto agli obiettivi della missione, grazie soprattutto allapossibilità <strong>di</strong> “arricchire” collaborativamente in tempo reale <strong>di</strong> oggetti-testi,29Dispositivo dall'aspetto <strong>di</strong> un paio <strong>di</strong> occhialini, ma con il <strong>di</strong>splay in oled situato a lato <strong>di</strong>una delle lenti. Fornito inoltre <strong>di</strong> fotocamera frontale che permetterà l'utilizzo <strong>di</strong> app <strong>di</strong> AR, mentrei coman<strong>di</strong> verranno impartiti tramite input cinetico o vocale. L'hardware sarà probabilmente unsingle core da 1ghz e una quantità <strong>di</strong> ram tra i 256 e i 512 MB. Inoltre sono <strong>di</strong>spositivi autonomi,quin<strong>di</strong> potremo reperire le informazioni <strong>di</strong> AR <strong>di</strong>rettamente dalla rete.164


informazioni e nuovi significati la mappa dell’ambiente in cui essi agiscono.Sebbene questo tipo <strong>di</strong> applicazione sia legato a specifici usi strategici militari,incarna perfettamente quello che è il concetto <strong>di</strong> immersività all’interno <strong>di</strong> unambiente aumentato da testualità e possibilità comunicative strettamente connessegli uni alle altre. Non è da escludere che nel prossimo futuro strumenti comequesti possano essere utilizzati nella quoti<strong>di</strong>anità e nei rapporti <strong>social</strong>i: il progettoTanagram prevede infatti <strong>di</strong> dotare <strong>di</strong> questi equipaggiamenti anche forze civili,come pompieri e unità <strong>di</strong> soccorso.Fig. 34 - Illustrazioni del <strong>di</strong>spositivo progettato dalla Tanagram Partners.Un’altra caratteristica essenziale delle applicazioni AR, come per molte altretecnologie, è legata alla possibilità dell’utente <strong>di</strong> generare il proprio testo, <strong>di</strong>intervenire non solo sul significato, ma anche a livello del significante,mo<strong>di</strong>ficandolo aggiungendo, sottraendo collegando e scollegando elementi daesso. Una tendenza questa della ricombinazione degli elementi che è uno dei trattiforti della cultura <strong>di</strong>gitale, ma rappresenta anche il fondamento su cui si basa ingenerale tutta l’attività culturale dell’uomo. In particolare nelle applicazioni <strong>di</strong><strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> non si tratta tanto <strong>di</strong> creare il proprio testo attraverso un165


intervento <strong>di</strong>retto, ma piuttosto fare in modo che il testo si crei da sé, secondo unprocesso generativo che si avvale della comunicazione come principale forzatrainante e trasformatrice che avviene come risposta a determinate e specifichesollecitazioni semantiche e gestuali degli utenti.La realtà aumentata può essere intesa come mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> percepire la realtà,tanti quanti sono i layer <strong>di</strong> contenuti-testi che sono stati generati, siano essi frutto<strong>di</strong> processi e mappe autogenerative che ricreanoil percorso esperienziale dell’utente in base a ciò<strong>di</strong> cui ha bisogno oppure <strong>di</strong> preciseaugmentation sviluppate collaborativamente osingolarmente per qualsiasi finalità specifica(marketing, advertising, lettura interattiva,istruzione, ecc...). Ogni livello rappresenta unparticolare aspetto <strong>di</strong> ciò che si osserva, unpunto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong>fferente sul mondo e il suocomportamento. Ciò rende l’AR uno strumentoparticolarmente adatto a riappropriarsi dei proprispazi, soprattutto nei contesti urbani, ormai datempo deturpati dalle pubblicità, che possonoessere rimodellati, arricchiti o depotenziati.Il concetto <strong>di</strong> realtà aumentata per esempio puòportare alla costruzione <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici come l’NBuil<strong>di</strong>ng a Tachikava (Tokio), grazie allaFig. 35 - N’buil<strong>di</strong>ngcollabrazione tra il gruppo Teradadesign eQosmo. Si tratta <strong>di</strong> un palazzo commercialeintelligente che nella sua unica facciata visibile (rivolta verso i passaggi pedonali)integra un sistema <strong>di</strong> controllo climatico e gestione della luce solare, con unodesign neutro (privo <strong>di</strong> insegne luminose, cartelloni pubblicitari ecc...) e unsistema <strong>di</strong> comunicazione basato appunto sull’<strong>augmented</strong> <strong>reality</strong>.166


In realtà tutta la facciata dell’e<strong>di</strong>ficio è una gigantesca composizione <strong>di</strong>“finestre” QRcode, che hanno la funzione <strong>di</strong> mascherare alla vista tutto ciò cheriguarda il contenuto interno dell’e<strong>di</strong>ficio, spogliandolo <strong>di</strong> fatti <strong>di</strong> qualsiasi tipo <strong>di</strong>espressività. Tuttavia utilizzando un <strong>di</strong>spositivo in grado <strong>di</strong> interpretare i <strong>di</strong>segnidei marker, il palazzo comunica con l’esterno mostrando tutta la sua vitalità, siscoprono quin<strong>di</strong> promozioni, sal<strong>di</strong>, informazioni, ma anche messaggi, tweet epossibilità <strong>di</strong> interazione con l’e<strong>di</strong>ficio stesso o chi c’è al suo interno.L’N buil<strong>di</strong>ng è il risultato della sovrapposizione <strong>di</strong> più layer: uno fisico(materiale con cui è costruito), uno tecnologico (controllo climatico) e unoappunto informativo-interattivo virtuale (realtà aumentata). La sua strettainterconnessione tra il mondo reale e quello informatico (virtuale) lo rende unconcreto (ed interessante) esempio <strong>di</strong> internet delle cose applicata ad un e<strong>di</strong>ficio,ma ciò che forse è ancora più interessante è rappresentato dal fatto che: da un latogli utenti possono sperimentare attivamente l’aumento delle capacità sensorialiosservando qualcosa che non è visibile ad occhio nudo, dall’altro l’ambiente fisicourbano viene privato <strong>di</strong> tutte quelle informazioni accessorie che hanno il potere <strong>di</strong>saturare le nostre capacità cognitive (pubblicità, promozioni, etc...), trasferendolenella virtualità.Riappropriarsi degli spazi urbani è anche l’obiettivo <strong>di</strong> molti artisti o gruppicollettivi che sfruttano proprio l’AR per “correggere” la realtà inquinatavisivamente dalle campagne <strong>di</strong> advertising.While other me<strong>di</strong>a outlets such as television and the Internet have founds ways to provide userswith the ability to filter their informational intake, public space remains the elusive frontier inwhich commercial interests govern the <strong>di</strong>scourse In an effort to highlight the in<strong>di</strong>vidual’s lack ofautonomy in this arena [...] have begun to explore the potential of <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> toreappropriate outdoor commercial singage in order to transform, filter, and democratize themessaging in public space [...] (gruppo anti-advertising Public Ad Campaign)Utilizzando uno dei più popolari browser AR, Junaio, il gruppo Public adCampaign ha creato un canale denominato AR | AD Takeover in cui alcunecampagne pubblicitarie vengono utilizzate come marker per essere riconosciute e167


sostituite in realtà aumentata con opere d’arte. L’intento, come esplicato nelmanifesto, è proprio quello <strong>di</strong> riappropriarsi degli spazi urbani, monopolizzati daibrand commerciali, quin<strong>di</strong> della realtà in modo tale da democratizzarla, filtrarla edeventualmente rimodellarla secondo nuove modalità. Il consumatore si riappropriadel suo territorio e torna a percepire il mondo per com’è davvero, sottraendo daesso i miti e falsi miti indotti dalla pubblicità.Se da un lato il futuro degli spazi urbani e delle AR sembra in<strong>di</strong>care la via dellapurificazione, dall’altro l’<strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> è sicuramente considerata la nuovafrontiera della pubblicità, se possibile, ancora più persistente e per certi versianche più “pericolosa”, in quanto fortemente incentrata sulla singola persona, suisuoi gusti, georeferenziata e sempre più presente, coinvolgente e persuasiva.In pratica un terreno ancora vergine tutto da conquistare.I concept video <strong>di</strong> Keiichi Matsuda, Augmented (Hyper) Reality: DomesticRobocop e Augmented City sono proprio questa realtà: mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> pubblicità cheinvadono tutti i nostri spazi virtuali (quasi) fino a soffocarci, tanto da doversidotare <strong>di</strong> schermi “respingenti” anche solo per camminare in città.É evidente che gli scenari <strong>di</strong> Matsuda siano ben lontani dall’esserepossibilmente attuabili, ma manifestano quello che è il concetto chiave: la realtàaumentata è un mondo <strong>di</strong> contenuti significanti e significati, siano essi testuali omultime<strong>di</strong>ali, che instaurano legami sempre più profon<strong>di</strong> e inscin<strong>di</strong>bili con ilnostro sé, man mano che le tecnologie-<strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> visualizzazione e delleinterfacce <strong>di</strong>vengono sempre più human freindly e trasparenti, nonché <strong>social</strong>menteaccettabili.Il prototipo del Sixth Sense, sviluppato da Pranav Mistry (come progetto <strong>di</strong>dottorato <strong>di</strong> ricerca in Fluid Interfaces al Me<strong>di</strong>a Lab del MIT) e presentato al TEDnel novembre del 2009, rappresenta proprio questa tendenza.É un anteprima <strong>di</strong> ciò che potrebbe riservare il futuro.Un futuro a <strong>di</strong>re la verità non troppo lontano.Il Sixth Sense è un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> interfaccia gestuale <strong>wearable</strong> (indossabile)che “aumenta” il mondo fisico <strong>di</strong> informazioni <strong>di</strong>gitali e consente alle persone <strong>di</strong>168


utilizzare movimenti e gesture naturali della mano per interagire con leinformazioni e i contenuti virtuali.Il prototipo del <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> Mistry è composto da: un proiettoreminiaturizzato (pico projector), uno specchio, una mini camera e un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong>mobile computing tascabile.Fig. 36 - Pranav Mistry alla presentazione del suo <strong>di</strong>spositivo <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> indossabile,Sixth Sense.Le immagini, informazioni e i testi-contenuti sono proiettate su enablingsurfaces utilizzate come interfaccia, ossia qualsiasi parete o oggetto fisico attornoal soggetto che indossa il <strong>di</strong>spositivo. La mini camera riconosce gli oggetti fisici etraccia i gesti dell’utente attraverso l’utilizzo <strong>di</strong> fiducials colorati posti sulla puntadelle <strong>di</strong>ta. I movimenti <strong>di</strong> questi ultimi vengono elaborati ed interpretati dalsoftware e fungono da istruzioni <strong>di</strong> interazione per le interfacce delle applicazionipreviste. Il numero massimo <strong>di</strong> fiducials, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> gestures multitouch, èovviamente limitato al numero delle <strong>di</strong>ta. Il sistema Sixth Sense implementa<strong>di</strong>verse applicazioni che ne <strong>di</strong>mostrano la vitalità, l’utilità e la flessibilità. Peresempio l'app delle mappe consente all’utente <strong>di</strong> navigare in una mappa169


visualizzata su una superficie vicina con i semplici gesti delle mani, consentendo,similmente a quanto accade sui <strong>di</strong>spositivi multitouch (smartphone, tablet), <strong>di</strong>interagire con essa ingrandendola, rimpicciolendola o ruotandola. Sixth Senseinoltre permette <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare sulle superfici e <strong>di</strong> controllare l’interfaccia delsistema, attraverso l’utilizzo <strong>di</strong> particolari gesture o tramite il riconoscimento <strong>di</strong>simboli <strong>di</strong>segnati con le <strong>di</strong>ta nello spazio <strong>di</strong> fronte al raggio d’azione dellatelecamera. Per esempio <strong>di</strong>segnando una lente <strong>di</strong> ingran<strong>di</strong>mento sarà attivatal’applicazione delle mappe, <strong>di</strong>segnando il simbolo “@“ sarà possibile controllarela posta. Il sistema Sixth Sense aumenta gli oggetti fisici nella realtà con la qualel’utente interagisce, proiettando sopra <strong>di</strong> essi informazioni che li riguardano. Peresempio un giornale cartaceo può mostrare <strong>di</strong>rettamente video, notizie live oinformazioni <strong>di</strong>namiche attinte dalla rete, oppure <strong>di</strong>segnando virtualmente uncerchio sul polso permette <strong>di</strong> visualizzare la proiezione sul proprio braccio <strong>di</strong> unorologio analogico. In poche parole il Sixth Sense è veramente un sesto senso, omeglio, è un potenziamento <strong>di</strong> tutti i sensi umani che grazie alle tecnologieriescono a manifestare e ad interagire con oggetti, spazi, ambienti arricchiti <strong>di</strong>informazioni, <strong>di</strong> nuovi contenuti e significati. In un futuro non troppo lontanoquin<strong>di</strong> potrà essere possibile, incontrando una persona <strong>di</strong> nostra conoscenza,vedere proiettate sul suo corpo o intorno ad esso tutte le informazioni che lariguardano, tutti i dati della sua vita online e offline che ha deciso <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre.A questo punto della nostra analisi è giusto chiedersi se l’<strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> èdestinata a durare nel tempo, quin<strong>di</strong> affermarsi come tecnologia stabile, oppure serappresenta una moda passeggera, “un mito del presente” che terrorizza e attiraallo stesso tempo, e che senza il giusto mix <strong>di</strong> contenuti e utilità potrebbe essereun soltanto ennesimo hype tecnologico destinato a scomparire.L’hype cycle 30 <strong>di</strong>ffuso da Gartner nel luglio del 2012 colloca la realtàaumentata al cosiddetto “Peak of inflated expectations”, ossia quella fase del ciclo<strong>di</strong> esposizione me<strong>di</strong>atica <strong>di</strong> un emergente tecnologia in cui si iniziano a produrre30Letteralmente significa "il ciclo <strong>di</strong> eccitazione", è il modello <strong>di</strong> analisi per verificarel’esposizione me<strong>di</strong>atica rispetto all’introduzione <strong>di</strong> una qualsiasi nuova tecnologia. Messo appuntodalla società <strong>di</strong> consulenza tecnologica americana Gartner.170


articoli, commenti ed analisi generalmente positivi che attivano aspettative“gonfiate” rispetto a quelle reali. Ciò in<strong>di</strong>ca anche una possibilità <strong>di</strong> adozionedefinitiva entro i prossimi 5 anni.Fig. 37 - L’hype cycle delle reltà aumentate nel 2012 conferma la tendenza <strong>di</strong> crescita rispetto aiprecedenti anni.Nella stessa analisi condotta nel 2008 (figura 38) l’AR veniva considerata alprimo sta<strong>di</strong>o del ciclo (Technology trigger, sostanzialmente l’inizio <strong>di</strong> un lieveinteresse me<strong>di</strong>atico), con possibile adozione oltre i 10 anni. Solamente l’annosuccessivo (2009), in contemporanea con l’esplosione degli smartphone, l’ARincomincia a scalare l’hype cycle e la sua adozione passa da più <strong>di</strong> 10 anni a meno<strong>di</strong> 10 (tra i 5 e i 10 per l’esattezza).Da un punto <strong>di</strong> vista dello sviluppo, i <strong>di</strong>spositivi e le applicazioni AR non solo,come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, hanno tutte le caratteristichetecnologiche e <strong>social</strong>i (<strong>di</strong>spositivi portatili <strong>di</strong> visualizzazione, affidabilità,semplicità e imme<strong>di</strong>atezza d’uso, utilità pratica, possibilità comunicative tutte daesplorare) per poter essere largamente utilizzati, ma implicano anche un impatto171


172Fig. 38 - Confronto dell’hype cycle delle realtà aumentate redatto da Gartner tra il 2008 e il2011.


culturale <strong>di</strong>rompente destinato a cambiare, o meglio “potenziare”, i rapporti trasignificanti e significati, i linguaggi e le modalità con cui è possibile interagirecon il mondo che ci circonda, così come i mo<strong>di</strong> con cui possiamo comunicare e<strong>di</strong>nteragire creando nuovi testi e nuovi contenuti.Nuovi mon<strong>di</strong>.173


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CAPITOLO QUARTO:Il progetto we.are.able: <strong>social</strong> <strong>wearable</strong> <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong>1. Introduzione“L’uomo è un animale <strong>social</strong>e e le persone non sono fatte per vivere da sole”Così <strong>di</strong>ceva Seneca nei suoi testi qualche millennio fa. Niente <strong>di</strong> più vero.L’uomo ha il bisogno innato <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre e <strong>social</strong>izzare, è nella sua natura. Nelmondo siamo 7.080.360.000 in<strong>di</strong>vidui, ci scambiamo in me<strong>di</strong>a 2250 parole ognigiorno a 7,4 altre persone, inviamo 294 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> email 1 , 19 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> sms edoltre 250 milioni <strong>di</strong> tweet.Eppure ci sentiamo soli.Quasi un terzo della popolazione mon<strong>di</strong>ale (circa 2 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone) “vive”su web 2 e, a quanto pare, è sempre alla costante ricerca <strong>di</strong> amici (gli account attivisu facebook sono quasi 1 miliardo 3 ) con cui <strong>social</strong>izzare, scambiare opinioni,con<strong>di</strong>videre esperienze. Se da un lato questo non fa che confermare lo status dellanatura umana, dedotto già dal sopra citato Seneca, dall’altro mi ha fatto rifletteresu quanto effettivamente sia paradossale al tempo dei Social Network “parlare” <strong>di</strong>amici ed amicizie.Le persone tendenzialmente cercano <strong>di</strong> stringere amicizia con chi ha già moltiamici, piuttosto che con chi ne ha pochi. É il cosiddetto paradosso dell’amicizia 4che vale tanto nella vita reale quanto in quella <strong>di</strong> Facebook & Co 5 , maovviamente, date le potenzialità dei mezzi della rete, qui raggiunge la suamassima espressione.1www.pandemia.info/2011/01/14/numeri-<strong>di</strong>-internet-nel-mondo.html2www.webnews.it/2012/01/18/web-2-miliar<strong>di</strong>-persone/?ref=post3www.pianetatech.it/internet/<strong>social</strong>-network/facebook-1-miliardo-utenti-iscritti-agosto-2012-grafico-foto.html?cp4Fenomeno <strong>social</strong>e osservato dal sociologo Scott L. Feld già a partire dal 1991.5Inteso come i <strong>social</strong> network in generale.177


Per avere tanti “amici” occorre essere “<strong>social</strong>mente attivi”, muoversiall’interno del Social network, farsi conoscere, <strong>di</strong>mostrare la propria esistenza,de<strong>di</strong>cando (tanto) tempo e (tanta) fatica alla costruzione del profilo che meglio cirappresenta.Ciò porta, con il passare <strong>di</strong> intere giornate online a fissare uno schermo isolatinella propria stanza, a trascurare o comunque mo<strong>di</strong>ficare profondamente i rapporti<strong>social</strong>i della vita reale. É possibile avere fino a 5000 amici su facebook quando inrealtà stu<strong>di</strong>osi ed esperti del comportamento e della psicologia umana sostengonoche il numero <strong>di</strong> relazioni (degne <strong>di</strong> essere chiamate tali) massime che unin<strong>di</strong>viduo può gestire e coltivare, assecondando le innate esigenze del nostro Io,sono 150. Molti quin<strong>di</strong> hanno parecchi più “amici” (o ambiscono ad averne <strong>di</strong> più)sulla propria pagina facebook <strong>di</strong> quanti ne avrebbero mai potuti avere nella vitareale, e per gestire al meglio la situazione rinunciano magari ad uscire con gliamici <strong>di</strong> infanzia, quelli con la quale hanno fatto le prime esperienze <strong>di</strong> vita, astu<strong>di</strong>are, a mangiare, a dormire etc.Con i Social Network il concetto <strong>di</strong> amico (dal lat. amicus, da amare, "amare,voler bene" 6 ) è pressoché stravolto, si <strong>di</strong>venta amici con una richiesta (unanotifica ricevuta sullo schermo) e si accetta con un semplice click.Quin<strong>di</strong> è ribaltato anche il processo <strong>di</strong> costruzione <strong>di</strong> un amicizia. Nella vita <strong>di</strong>tutti i giorni prima ci si conosce e dopo, magari, si <strong>di</strong>venta amici, online inveceaccade esattamente il contrario: prima <strong>di</strong>ventiamo amici e dopo, magari, ciconosciamo. In questo modo i contatti si popolano <strong>di</strong> persone “amiche” che maiincontreremo, e che forse in contesti reali non ci saremmo mai nemmenoimmaginati <strong>di</strong> frequentare.Stringere amicizie non è mai stato così semplice.Tutte le “<strong>di</strong>fficoltà” tipiche dell’incontro face to face sono azzerate dalla<strong>di</strong>stanza e dalla me<strong>di</strong>azione dello schermo che <strong>di</strong>venta il rifugio dell’esperienza.Così come è facile stringere amicizie lo è altrettanto con<strong>di</strong>videre.6Dal vocabolario Treccani178


La possibilità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre i propri stati d’animo, le esperienze quoti<strong>di</strong>ane, idesideri, la propria vita, in poche parole tutto, è l’altro aspetto considerato“interessante” dei Social Network.Tutti con<strong>di</strong>vidono qualcosa. Chi più, chi meno ossessivamente.La costruzione della propria persona online passa proprio da questacon<strong>di</strong>visione che contribuisce enormemente a renderci <strong>social</strong>mente attiviall’interno del network. Molto <strong>di</strong> ciò che si con<strong>di</strong>vide volontariamente con lanostra cerchia <strong>di</strong> amici o con tutta la Rete sono situazioni private (foto, immagini,video, interessi, storie, relazioni etc.), esposte al giu<strong>di</strong>zio e ai commenti nellasperanza <strong>di</strong> accrescere la propria popolarità o con il semplice obiettivo <strong>di</strong>mostrarsi in una sorta <strong>di</strong> follia collettiva egocentrica tendente al voyeurismo.2. Motivazioni e obiettivi del progettoA partire da queste personali considerazioni sui Social Network e sullemodalità con cui essi agiscono sulla natura umana, ho incominciato a sviluppareun’idea <strong>di</strong> un progetto che avrebbe dovuto in qualche modo evidenziare, o megliosmascherare, i paradossi <strong>social</strong>i implicati nell’utilizzo <strong>di</strong> questi nuovi e potentistrumenti.Gli obiettivi del progetto mi sono apparsi fin da subito molto chiari. In primoluogo, avrebbe dovuto riportare la <strong>social</strong>izzazione dalla “cameretta” alla “strada”,da facebook (e i vari <strong>social</strong>) al <strong>di</strong>alogo faccia a faccia, da un luogo (ad oggi)considerato sicuro ad uno estraneo seppur più consono alla natura umana.Secondariamente avrebbe anche dovuto enfatizzare il concetto della“con<strong>di</strong>visione”, portandolo all’estremo grado possibile, ossia ad una suaespressione automatizzata, incontrollabile e continuativa, nonché involontaria.Ma come? E con che mezzi?Dati gli obiettivi, occorreva ragionare sulle modalità con cui questi si sarebberoconcretamente realizzati. Una delle prime idee, seppur dai contorni molto sfumatied evanescenti, focalizzò quella che sarebbe stata la strada che andava percorsa:179


ossia si trattava <strong>di</strong> un <strong>di</strong>spositivo, o meglio una serie <strong>di</strong> <strong>di</strong>spositivi <strong>wearable</strong> 7 chesarebbero stati in grado <strong>di</strong> monitorare costantemente l’utente nelle sue azioni, masoprattutto nelle sue emozioni quoti<strong>di</strong>ane, e che le avrebbero automaticamentecon<strong>di</strong>vise sulle varie piattaforme <strong>social</strong>i a cui l’utente è iscritto.Il sistema quin<strong>di</strong> avrebbe agito in background, ossia “silenziosamente” ed“invisibilmente” agli occhi dell’utente che lo indossa, interpretando le sueemozioni e con<strong>di</strong>videndole con gli altri loggati allo stesso modo.A partire da questa premessa è possibile specificare alcuni concetti chiave delprogetto.Il concetto <strong>di</strong> login, in primis, inteso come presenza all’interno della rete, daatto virtuale, <strong>di</strong>venta realmente legato alla fisicità del luogo in cui agisce l’utentestesso. In poche parole è indossando il <strong>di</strong>spositivo e agendo negli spazi e neitempi della quoti<strong>di</strong>anità della vita reale (nelle strade, nei supermercati etc.) che la“partecipazione” <strong>social</strong> dell’in<strong>di</strong>viduo risulta possibile. Il processo <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visioneinformazioni e status personali, ricerca amici, comunicazione e rappresentazionedel Sé, grazie a questi “<strong>wearable</strong>s”, viene <strong>di</strong> fatto (ri)applicato nella vita reale, el’interazione tra le persone viene liberata dalla me<strong>di</strong>azione dello schermo e dellatastiera, ritornando ad essere fisica e <strong>di</strong>retta. Face to face.L’immagine mentale che mi è apparsa era quella <strong>di</strong> persone che camminano perle strade indossando abiti ed accessori apparentemente “normali”, ma che hanno il“potere” <strong>di</strong> “capire” i loro sentimenti, le emozioni, gli stati d’animo e quellifisiologici, ma anche <strong>di</strong> monitorare le loro azioni e le informazioni personali,interpretare questi dati e infine con<strong>di</strong>viderli in un network. Questa rete <strong>di</strong>contenuti è in realtà il luogo stesso in cui gli in<strong>di</strong>vidui si muovono fisicamente eosservano gli altri. Infatti, grazie ad interfacce <strong>di</strong> visualizzazione gli utenti loggatial sistema (cioè quelli che indossano i <strong>di</strong>spostivi) possono vedere manifestarsi lostatus (ossia tutte ciò che i <strong>wearable</strong>s decidono <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre) delle altre persone,e in base a quanto percepito decidere se interagire o meno.7Dispositivi indossabili180


Fig. 39 - Illustrazione del concept WeareableL’intero sistema vuole essere un mezzo per riportare gli incontri, il <strong>di</strong>ventare“amici”, lo scambio <strong>di</strong> informazioni, la comunicazione, le emozioni, nuovamentenelle “strade” ossia in una <strong>di</strong>mensione reale. Osservare <strong>di</strong>rettamente una persona e“percepire” attraverso il network ciò che prova in quel preciso istante è ben<strong>di</strong>verso dal leggerlo sul suo profilo facebook standosene seduti davanti alloschermo. Quell’emozione che sta provando è vera ed è fisicamente visibileattraverso i suoi comportamenti, quin<strong>di</strong>, per esempio, se è triste possiamo andare aconsolarla, se è stanca possiamo aiutarla, se ve<strong>di</strong>amo che ha le stesse nostrepassioni possiamo parlarci e magari <strong>di</strong>ventare amici, e così via.Ciò su cui bisognava lavorare quin<strong>di</strong> era sostanzialmente una modalità <strong>di</strong>integrazione tra i concetti <strong>di</strong> amicizia e con<strong>di</strong>visione dei Social Network, ilphysical computing 8 e una <strong>di</strong> rappresentazione <strong>di</strong> queste informazioni in real time<strong>di</strong>rettamente collegata con il luogo fisico in cui l’utente interagisce. L’<strong>augmented</strong><strong>reality</strong> mi sembrò il link ideale tra lo spazio dei contenuti <strong>social</strong> e quelli materiali.8Physical computing, nel senso più ampio, significa costruire sistemi interattivi fisiciattraverso l'uso <strong>di</strong> software e hardware in grado <strong>di</strong> rilevare e rispondere al mondo analogico.181


Rispetto alla premessa sull’amicizia e l’aggiunta <strong>di</strong> amici al profilo dei SocialNetwork, questo sistema rappresenta un ritorno al suo significato originale. Si<strong>di</strong>venta amici, non perché me lo chie<strong>di</strong> tramite un click così come hai fatto conaltre migliaia <strong>di</strong> persone pseudo sconosciute, e soprattutto non lo fai perché vuoivedere le ultime foto che ho inserito, ma semplicemente lo fai perché lo desideridato che si hanno esperienze, emozioni e situazioni in comune, e che sonomanifestate anche senza il <strong>di</strong>alogo con la presenza faccia a faccia. Si <strong>di</strong>ventaamici e ci si scambia informazioni semplicemente abbracciandosi o stringendosila mano.L’obiettivo del progetto quin<strong>di</strong> può essere sintetizzato nella volontà <strong>di</strong> creareun emotional physical network, ossia un <strong>social</strong> network <strong>di</strong>fferente da qualsiasialtro attualmente <strong>di</strong>sponibile, che si svolge interamente a partire dalla fisicità dellepersone (non dalla loro presenza online, bensì da sé stessi) e dalle loro emozioniscaturite nella quoti<strong>di</strong>anità del reale.Ho deciso, dopo molti ragionamenti, <strong>di</strong> chiamare il progetto “we.are.able”. Un“gioco” <strong>di</strong> assonanza con il termine inglese <strong>wearable</strong> (indossabile) e il suosignificato in italiano, che vuol <strong>di</strong>re letteralmente “siamo in grado”.Siamo in grado... è un monito. Un incentivo a guardare ai rapporti <strong>social</strong>i conpositività e speranza. “Siamo in grado” <strong>di</strong> comunicare, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre, <strong>di</strong> essercivicini, <strong>di</strong> litigare, <strong>di</strong> emozionarci. Siamo in grado <strong>di</strong> fare ciò a <strong>di</strong>stanza, grazie allarete, ma forse dobbiamo riabituarci a farlo nella vicinanza e nel quoti<strong>di</strong>ano, doveagiscono le persona(lità) vere. We.are.able vuole essere proprio questo ri abituarsi,ma vuole anche convincere le persone che è possibile fare qualsiasi cosa la nostramente sia, appunto, in grado <strong>di</strong> immaginare.3. Descrizione del progetto we.are.ableDopo aver analizzato le motivazioni e gli obiettivi del progetto, in questasezione saranno formalizzate brevemente le caratteristiche tecniche, tecnologichee teoriche <strong>di</strong> ciò che è il sistema we.are.able.182


Il sistema we.are.able è composto da un hardware e un software appositamentesviluppati e che si interfacciano a qualsiasi smartphone.La parte hardware del progetto we.are.able consiste in un <strong>di</strong>spositivoindossabile intelligente (un cappello, una maglietta, un paio <strong>di</strong> scarpe etc.), cheattraverso l’utilizzo <strong>di</strong> appositi sensori strategicamente <strong>di</strong>stribuiti, gestiti da unmicrocontroller, è in grado <strong>di</strong> rilevare in tempo reale i biofeedback dell’utente e <strong>di</strong>pre<strong>di</strong>sporli per l’analisi e la loro interpretazione.Il lato software si occupa appunto della lettura ed elaborazione dei datiacquisiti dai sensori, nonché della loro sintetizzazione e categorizzazione inemozioni ben precise.Il programma inoltre aggiorna lo status dell’utente sul Social Network coninformazioni-emozioni elaborate, rendendole così visibili agli altri.La possibilità <strong>di</strong> interfacciare questo sistema ai comuni smartphone è duplice:da un lato consente <strong>di</strong> sfruttarne le tecnologie e sensori integrati in essi (GPS,magnetometro, accelerometro, giroscopio, videocamera, Wifi, Rete Mobile, etc.),semplificando così l’hardware necessario,dall’altra può essere utilizzato come <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> visualizzazione AR deglistatus con<strong>di</strong>visi.Uno degli aspetti chiave dell’intero progetto può sicuramente essere riscontratonella capacità <strong>di</strong> rilevare e riconoscere automaticamente le emozionidell’in<strong>di</strong>viduo che indossa fisicamente il <strong>di</strong>spositivo.A tal proposito mi è stato <strong>di</strong> fondamentale importanza lo stu<strong>di</strong>o, seppurgenerico e non <strong>di</strong> certo approfon<strong>di</strong>to, <strong>di</strong> alcune teorie e tecniche utilizzate inambito me<strong>di</strong>co per capire e monitorare l’attività biofisica <strong>di</strong> una persona.La teoria polivagale <strong>di</strong> Stephen Porges 9 rappresenta sicuramente il punto <strong>di</strong>partenza della mia ricerca in questo campo, a me particolarmente sconosciuto.9E' un Professore <strong>di</strong> Psichiatria e Ingegneria Biome<strong>di</strong>ca e Direttore del Centro “Brain-Body”presso la University of Illinois <strong>di</strong> Chicago. E’ il primo Presidente della Federazione delle ScienzeComportamentali, Psicologiche e Cognitive e della Società per la Ricerca Psicofisiologica. IlProfessor Porges ha pubblicato circa 200 articoli analizzati da gruppi <strong>di</strong> esperti ed è l’autore <strong>di</strong>“The Polyvagal Theory: Neurophysiological Foundations of Emotions, Attachment,Communication, and Self-Regulation” (Norton, 2011).183


Il cervello è stato da sempre considerato la sede della razionalità e del pensiero,così come il cuore quella delle emozioni, cioè <strong>di</strong> quei pensieri non quantificabili eanalizzabili scientificamente.Questa credenza è stata smentita proprio dagli esperimenti e stu<strong>di</strong> condotti daPorges, espressi nella sua teoria (1995), il quale <strong>di</strong>mostrò l’effettiva esistenza <strong>di</strong>una forte interconnessione tra le emozioni e il battito car<strong>di</strong>aco. In particolare notòche ad influenzare le nostre relazioni <strong>social</strong>i è <strong>di</strong>fatti il cambio <strong>di</strong> frequenzacar<strong>di</strong>aca, cioè il cosiddetto HRV (Heart Rate Variability), un parametro che regolala capacità <strong>di</strong> prendere decisioni e gestire o controllare stress ed emozioni <strong>di</strong> varianatura 10 . La frequenza car<strong>di</strong>aca, o Heart Rate (HR), può essere definita come ilnumero me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> battiti al minuto, in quanto il tempo che intercorre tra un battitoe l’altro non è mai costante, ma cambia in continuazione. La Heart RateVariability è appunto questa naturale variabilità della HR ed è intimamente legataall'espressione corporea delle emozioni (ansia, stress, rabbia, rilassamento,pensieri, sorpresa, gioia etc.). Basti pensare ad alcuni momenti del quoti<strong>di</strong>ano incui il battito aumenta per uno stato <strong>di</strong> eccitazione o in seguito ad uno shock. Laclassica situazione da "mi hai fatto prendere un colpo!!!".Negli ultimi anni, questa abilità <strong>di</strong> osservare il battito car<strong>di</strong>aco è <strong>di</strong>ventata unaspecie <strong>di</strong> porta d'ingresso per considerare i molti degli aspetti psicofisiologici eosservare così <strong>di</strong>rettamente, come il sistema nervoso regola appunto il nostrocorpo. L’accelerare o il <strong>di</strong>minuire del battito car<strong>di</strong>aco, quin<strong>di</strong> il variare dellafrequenza, è una risposta agli stimoli che provengono dall’esterno o dal nostroorganismo stesso. Queste regolazioni che tendono a garantire il necessarioequilibrio tra flessibilità e stabilità sono date, secondo la teoria <strong>di</strong> Porges, dalnervo vago, un nervo che è presente solo nei mammiferi e che nel tempo si èevoluto fino a <strong>di</strong>ventare il “me<strong>di</strong>atore” dell’innervazione del sistema nervosoautonomo del cuore.Lo stu<strong>di</strong>o della relazione tra frequenza car<strong>di</strong>aca, sua variazione nel tempo, ilsistema nervoso e le emozioni ha <strong>di</strong>mostrato, attraverso modelli ben precisi, che10www.blitzquoti<strong>di</strong>ano.it/societa/psicologia-cuore-hrv-polivagale-porges-584584/184


negli stati <strong>di</strong> stress, ansia, rabbia e tristezza la variazione (HRV) tende ad essere<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata e caotica, viceversa in stati emotivi positivi, come l'amore e lagratitu<strong>di</strong>ne, tende ad essere invece or<strong>di</strong>nata e ritmica 11 .Fig. 40 - Grafico che rappresenta le <strong>di</strong>fferenze della frequenza car<strong>di</strong>aca tra le emozioni negative e quelle positive.A partire da questa considerazione, che reputo assolutamente fondamentale aifini del progetto we.are.able, è possibile quin<strong>di</strong>, teoricamente, monitorandol’in<strong>di</strong>viduo attraverso un sensore HRV, riconoscere i suoi stati emotivi seppur acaratteri estremamente generici.Ciò è sicuramente un passo teorico importante.Ma come è possibile misurare l’HRV (ovviamente per scopi non clinici) ?Premesso che questo tipo <strong>di</strong> misurazioni non sono particolarmente complesse enon richiedono hardware sofisticati da gestire, risultano tuttavia non sempreprecise e forse non troppo affidabili, anche se questo in realtà <strong>di</strong>pende molto dallaqualità e tipologia del sensore utilizzato. In rete esistono numerosi progetti, più omeno “domestici”, <strong>di</strong> sensori HRV do it yourself (fatti in casa appunto) chepossono essere facilmente replicati con poche componenti elettroniche <strong>di</strong> base etanta buona volontà. Il più interessante <strong>di</strong> tutti, forse perché Open Source e tratutti quelli che ho avuto modo <strong>di</strong> osservare anche il meno “fai da te”, è senza11www.drmueller-healthpsychology.com/<strong>di</strong>sorders_heartcoherence.html185


dubbio il Pulse Sensor 12 , sviluppato da Joel Murphy and Yury Gitman, che oltre adessere plug and play e compatibile con arduino, è attualmente <strong>di</strong>sponibileall’acquisto (circa 20$) in versioni da 5 o 3 volt.Per la fase pratica del mio progetto ho deciso<strong>di</strong> utilizzarlo nella sua versione da 3v. Ad ognimodo il principio <strong>di</strong> funzionamento <strong>di</strong> tutti isensori HRV è similare: un sensorePhotoplethysmograph (fotopletismografico),ossia un mini-sistema fatto da un’emittenteluminosa infrarossi, un foto<strong>di</strong>odo ed unFig. 41 - Pulse Sensoramplificatore <strong>di</strong> segnale, che viene applicato adun <strong>di</strong>to. Tale sensore funziona attraverso l’emissione e la captazione <strong>di</strong> luceinfrarossa, che è assorbita nel sangue. Il sensore rileva le variazioni cicliche deltono pressorio dei capillari delle <strong>di</strong>ta, che rappresentano fedelmente il battitocar<strong>di</strong>aco. 13 In pratica vengono misurate le pulsazioni dei capillari, il lororistringersi ed ingrossarsi è appunto causato dal battito car<strong>di</strong>aco.Un altro elemento importante della teoria <strong>di</strong> Porges, che è strettamente legatoal mio progetto è quello relativo al prevalere, per gli esseri umani e più in generaleper tutti i mammiferi, delle esigenze <strong>social</strong>i, che non solo hanno una funzionerelazionale, ma anche appunto <strong>di</strong> regolazione psicofisiologica. Secondo Porges lanostra propensione alle relazioni <strong>social</strong>i è strettamente funzionale alla nostranecessità <strong>di</strong> regolare, attraverso i contatti e la con<strong>di</strong>visione, i nostri parametri fisicie psicologici. Fondamentalmente infatti noi creiamo relazioni <strong>social</strong>i che hanno loscopo <strong>di</strong> farci sentire sicuri e <strong>di</strong> mantenere il nostro benessere psicofisico 14 .Le interazioni <strong>social</strong>i quin<strong>di</strong>, grazie al grado <strong>di</strong> intimità, affetti positivi,sicurezza che offrono, non solo ci forniscono una funzione emotiva, masoprattutto una funzione <strong>di</strong> regolazione del nostro sistema fisico, me<strong>di</strong>ato12pulsesensor.com/13www.elemaya.com/XHeartvar.htm14www.bioenergeticaesocieta.it/212__La_teoria_polivagale_<strong>di</strong>_Stephen_Porges186


attraverso le risposte del nervo vago. Se le relazioni <strong>social</strong>i tendono a non essereappropriate per la nostra situazione fisiologica infatti tendono a <strong>di</strong>ventare fonte <strong>di</strong>stress, rabbia e frustrazione.Amicizia e interazioni <strong>social</strong>i quin<strong>di</strong> possono contribuire al <strong>di</strong>rettomiglioramento oltre che dello stato emotivo, anche <strong>di</strong> quello della salute.In base a questa premessa, “il ritorno” alle interazioni face to face, obiettivoprincipale del mio progetto, assume un valore ancor più grande poichéstrettamente collegato all’espressione delle nostre emozioni, ossia alla variazione<strong>di</strong> frequenza del battito car<strong>di</strong>aco e quin<strong>di</strong> al nostro benessere e alla nostra salute.Oltre all’HRV un altro parametro biofisico <strong>di</strong> fondamentale importanza perquanto riguarda l’analisi degli stati emotivi, è l’attività elettodermica (EDA),meglio conosciuta come EDR (Electrodermal Response) o GSR (Galvanic Skinresponse). L’EDA rileva il potenziale <strong>di</strong> eccitazione delle ghiandole sudoripare,ossia l’attività conduttiva della pelle, per misurare e analizzare lo stato <strong>di</strong>attivazione <strong>di</strong> un soggetto (arousal). La valutazione <strong>di</strong> questo particolare stato,detto anche <strong>di</strong> vigilanza o <strong>di</strong> allerta, viene utilizzata in psicofisiologia come in<strong>di</strong>cedelle risposte <strong>di</strong> orientamento e <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa degli stati emozionali conseguenti, tracui l’ansia e le fobie. L’importanza <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> misurazioni è relativa al fattoche un in<strong>di</strong>viduo mostra uno stato <strong>di</strong> attivazione <strong>di</strong>verso a seconda dellapercezione che ha della situazione in cui si trova.Ciò comporta quin<strong>di</strong> una <strong>di</strong>retta relazione tra l’attività simpatica, l’attivazioneemozionale e la resistenza al passaggio <strong>di</strong> corrente attraverso il derma. Proprio acausa <strong>di</strong> questa “risposta” della pelle e del tessuto muscolare agli stimoli esternied interni, la conduttanza varia nell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> parecchi microsiemens 15 , quin<strong>di</strong>risulta facilmente misurabile attraverso elettro<strong>di</strong> posti sul palmo della mano osulle <strong>di</strong>ta. Se correttamente tarato, un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> questo tipo, seppurru<strong>di</strong>mentale, è in grado <strong>di</strong> rilevare le sottili <strong>di</strong>fferenze e risposte cutanee prodottedagli stati emotivi come paura, rabbia, stati <strong>di</strong> allarme, impulsi sessuali etc.15Il siemens (SI) è l’unità <strong>di</strong> misura della conduttanza elettrica.187


Anche in questo caso la rete è piena <strong>di</strong> esempi e prototipi <strong>di</strong> Galvanic SkinResponse sensor interfacciabili facilmente con arduino e dalle <strong>di</strong>mensionicompatte. Tra i più interessanti c’è il progetto <strong>di</strong> Anna Dumitriu and Tom Keene eFig. 42 - Il progetti <strong>di</strong> Anna Dumitriu andTom Keene e Alex Mayhttp://theanthill<strong>social</strong>.co.uk/projects/biosensingAlex May, realizzato al Biosensing andNetworked Performance Workshop tenuto adIstanbul nel settembre del 2011, e quello <strong>di</strong>Sean M. Montgomery and Ira M. Laefskyapparso sulla rivista Make n°26 denominato“The Truth Mater 16 ”.L’aspetto interessante del primo GSR sensor èdato dalle modalità con cui vengono gestiti gliinput e soprattutto gli output. Sfrutta lepotenzialità <strong>di</strong> arduino per generare unamappatura <strong>di</strong> toni au<strong>di</strong>o dei valori della resistenza elettrica della pelle, ottenutitramite due semplici elettro<strong>di</strong> a contatto con la punta delle <strong>di</strong>ta. Tale outputsonoro, tramite un semplice cavo au<strong>di</strong>o Jack da 3.5mm, può essere inviato ad unosmartphone iPhone/Android e quin<strong>di</strong> elaborato e visualizzato.The Truth Mater allo stesso modo è un sensore GSR molto interessante,soprattutto perché non è particolarmentecomplesso da assemblare. E' possibile infattiacquistare presso il sito makershed.com (circa25$) il kit già pre<strong>di</strong>sposto con tutte lecomponenti elettroniche necessarie e inoltresembra garantire ottimi risultati, almeno perquanto riguarda le finalità del mio progetto.HRV e GSR sono dunque parametri biofisici <strong>di</strong>Fig. 43 - The Truth Materfondamentale importanza per l’acquisizione <strong>di</strong> informazioni relative agli statiemozionali dell’in<strong>di</strong>viduo. É evidente che attraverso la sola analisi <strong>di</strong> questi datirisulta impossibile ed alquanto improbabile poter riuscire a categorizzare e16makeprojects.com/Project/The-Truth-Meter/703/1#.UE70mb8-FZf188


definire con precisione le infinite sfaccettature che compongono le sensazioniumane. Difatti situazioni <strong>di</strong> forte stress, ansia o agitazione presentano parametri <strong>di</strong>variazione della frequenza car<strong>di</strong>aca e della conduttanza della pelle molto simili,inoltre tali biofeedback possono essere sensibilmente <strong>di</strong>fferenti a secondadell’in<strong>di</strong>viduo soggetto all’analisi.Non esiste quin<strong>di</strong> un modello definitivo delle emozioni.Tuttavia recenti stu<strong>di</strong>, in<strong>di</strong>rizzati proprio verso quello che è definito affectivecomputing 17 , stanno confermando la possibilità <strong>di</strong> ottenere risultati concreti nellaprogettazione <strong>di</strong> interfacce e tecnologie capaci <strong>di</strong> riconoscere gli stati affettivi,emozionali degli utenti e <strong>di</strong> rispondere assecondandone le necessita fisiologiche.Fig. 44 - Esempio <strong>di</strong> modello delle emozioni basate sul rilevamento dei valori GSR eHRVGli scenari descritti e immaginati dall’affective computing e la possibilità <strong>di</strong>determinare tramite semplici sensori HDR e GSR stati emotivi (generici),rappresentano comunque un incentivo importante rispetto all’ipotetico sviluppodel sistema <strong>di</strong> rilevamento e con<strong>di</strong>visione delle emozioni che intendo realizzare.17affect.me<strong>di</strong>a.mit.edu/index.php189


Date le caratteristiche e le modalità con cui i sensori agiscono (in entrambi icasi il rilevamento avviene sfruttando le <strong>di</strong>ta, il polso, o più in generale la mano),il concetto <strong>di</strong> “<strong>di</strong>spositivo indossabile” incominciò a manifestarsi sotto forma <strong>di</strong>guanto.Fig. 55 - Illustrazioni del guanto e del posizionamento ipotetico dei sensori.Oltre alla praticità per la <strong>di</strong>sposizione dei sensori del rilevamento dei parametrinecessari, è anche in un certo senso uno “strumento” dal fascino ancestrale. L’ideadel guanto richiama infatti alla mente da un lato la mano, intesa come primo<strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> calcolo della storia (<strong>di</strong>rettamente collegato alle prime ru<strong>di</strong>mentaliforme <strong>di</strong> memorizzazione e quin<strong>di</strong> all’aumento delle facoltà cognitive umane),dall’altro i dataGlove utilizzati come principale <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> interazioneall’interno dei mon<strong>di</strong> virtuali.La mano, e conseguentemente il guanto, rappresenta la nostra estensione versoil mondo sensibile, il punto <strong>di</strong> contatto tra ciò che percepiamo e quello che siamo,tra il nostro interno e l’esterno. Sono l’interfaccia, oltre che delle sensazioni tattiliche ci permettono <strong>di</strong> percepire ed interagire con l’ambiente, anche delle nostreemozioni: carezze, schiaffi, strette <strong>di</strong> mano, pacche sulla spalla, sono tutterappresentazioni emotive che sono palesate verso gli altri attraverso l’utilizzodella mano.190


Il <strong>di</strong>spositivo we.are.able in questo senso <strong>di</strong>venta quin<strong>di</strong> la metafora perfettaper rilevare e conseguentemente esternare e con<strong>di</strong>videre agli altri in modoamplificato dalle potenzialità dei <strong>social</strong> network le nostre emozioni e sensazioni.Oltre ai sensori <strong>di</strong> monitoraggio dei biofeedback, il guanto we.are.ablepotrebbe essere dotato <strong>di</strong> un sensore NFC (Near frequence Communication) incorrispondenza del palmo della mano.Le informazioni <strong>di</strong> ogni in<strong>di</strong>viduo, sia quelle <strong>di</strong> natura emozionale, che quelle“convenzionali” dei <strong>social</strong> network (contatti, immagini, video, file e tutto ciò chesi vuole con<strong>di</strong>videre) possono essere scambiati attraverso una stretta <strong>di</strong> mano.Questo gesto oltre a sancire il passaggio <strong>di</strong> dati da un <strong>di</strong>spositivo ad un altro,da un in<strong>di</strong>viduo ad un altro, rappresenta anche il vincolo <strong>di</strong> amicizia. La stretta <strong>di</strong>mano ritorna ad essere un fattore importante <strong>di</strong> contatto umano tra le persone e ilsignificato del <strong>di</strong>ventare amici e delle modalità con cui lo si <strong>di</strong>venta assumeconnotati ben più fisici e <strong>di</strong>retti rispetto alle modalità con cui ciò avvieneall’interno dei Social Network.Fig. 56 - illustrazione della “richiesta” <strong>di</strong> amicizia come stretta <strong>di</strong> mano e scambio <strong>di</strong> datitramite i sensori NFC posizionati all’altezza del palmo delle mani191


I due in<strong>di</strong>vidui da quel momento in poi saranno collegati l’un l’altro e saràpossibile ricevere aggiornamenti reciproci sui cambi <strong>di</strong> status emotivi rilevati dalsistema.4. Risultati raggiuntiIn seguito ad aver definito gli obiettivi principali, gli aspetti concettuali etecnologici del progetto we.are.able ho incominciato a sviluppare una serie <strong>di</strong> testche mi avrebbero permesso in primis <strong>di</strong> capire le potenzialità delle componenti amia <strong>di</strong>sposizione, e in un secondo momento, <strong>di</strong> risolvere le problematichetecniche relative alla comunicazione tra un microcontroller, i sensori e un iPad.In questa primissima fase <strong>di</strong> sviluppo del progetto ho deciso <strong>di</strong> lavorare con iseguenti <strong>di</strong>spositivi:- un microcontroller Lilypad 18 (una versione <strong>di</strong> Arduino compatta, ma potente,appositamente progetta per applicazioni <strong>wearable</strong>)- un RedPark Cable 19 e relativo breakout seriale compatibile- alcuni sensori Lilypad (LightSensor, TempSensor, Accelerometer ecc...)- cavi a coccodrillo, breadbord, LED e resistenze a volontà- un iPadFig. 57 - A sinistra il LightSensor, al centro la Lilypad board e a destra il TempSensor18web.me<strong>di</strong>a.mit.edu/~leah/LilyPad/index.html19www.redpark.com/c2db9.html192


Ciò che era importante in questi test preliminari effettuati era appunto riuscire avisualizzare correttamente i dati ricavati dai sensori e trasmessi da Lilypad sul<strong>di</strong>spositivo iOS, quin<strong>di</strong> poterli elaborare a piacere.Dapprima ho effettuato alcune prove molto semplici <strong>di</strong> comunicazione serialetra Lilypad e iPad tramite il cavo RedPark.Il classico test “hello word”.Il RedPark serial cable deve essere connesso alla Lilypad me<strong>di</strong>ante i pin serialitx (trasferimento) e rx (ricezione). Dal momento che questi pin sulla board sitrovano esattamente sotto la breakout <strong>di</strong> alimentazione, <strong>di</strong>venta poco pratico ilcollegamento.Per questo motivo ho definito 2 pin seriali virtuali, rxPin e txPinrispettivamente al pin 3 e il pin 2 della Lilypad, in modo tale rendere più facile epratica la gestione dei collegamenti.#include #define rxPin 3#define txPin 2SoftwareSerial mySerial = SoftwareSerial(rxPin, txPin);void setup() {Serial.println("setup ready!");mySerial.begin(9600);}Dopo aver <strong>di</strong>chiarato mySerial come nuova porta seriale e inizializzataall’ascolto dei dati, ho impostato lo script del void loop(), in cui semplicemente èdefinito quanto segue.Finchè il valore ricevuto dalla porta seriale è minore o uguale a 0 scrivi “helloword”.void loop() {while (mySerial.available()


}}mySerial.println("goodbye world");while(1) { }Quando il valore letto <strong>di</strong>venta 1, ossia vengono ricevute informazioni dallaporta seriale (quin<strong>di</strong> dall’iPad), scrivi “goodbye word”.Fin qui nulla <strong>di</strong> complicato.A questo punto è necessario sviluppare una piccola applicazione per iOSdelegata alla lettura dei messaggi seriali inviati da Arduino e che sia in grado,tramite un input specifico dell’utente, come il touch su un pulsante, <strong>di</strong> trasmettereanche solamente 1 byte <strong>di</strong> dati (in modo tale da attivare il programma scritto inarduino e uscire così dal loop “hello word”).Il cavo seriale RedPark affinché funzioni correttamente necessita <strong>di</strong> appositelibrerie esterne da integrare nei programmi sviluppati, che devono essererichiamate opportunamente all’interno del co<strong>di</strong>ce per la gestione dei bytes in invioe lettura 20 .La parte significativa dello script xCode del programma (o almeno quella checontiene i passaggi utili a capirne la logica) è all’interno della funzionereadBytesAvailable:(UInt32) numBytes, quella delegata appunto alla lettura deibytes <strong>di</strong>sponibili attraverso la porta seriale.Questi vengono inclusi all’interno <strong>di</strong> una stringa (string), appositamenteformattata, e inviata a sua volta al serialView, ossia all’oggetto <strong>di</strong> testodell’interfaccia in cui vengono visualizzati i dati sotto forma <strong>di</strong> stringa <strong>di</strong> caratteri.- (void) readBytesAvailable:(UInt32)numBytes {NSLog(@"readBytesAvailable:");int bytesRead = [rscMgr read:rxBuffer Length:numBytes];NSLog( @"Read %d bytes from serial cable.", bytesRead);NSString *string = nil;for(int i = 0;i < numBytes; ++i) {20La procedura completa per il collegamento e l’assemblaggio del cavo è <strong>di</strong>sponibileall’in<strong>di</strong>rizzo makeprojects.com/Project/Connect-an-iPhone-iPad-or-iPod-touch-to-Arduino-withthe-Redpark-Serial-Cable/1130/1194


if (string) {string = [NSString stringWithFormat:@"%@%c",string, ((char *)rxBuffer)[i]];self.serialView.text = string;L’azione -(IBAction) sendString:(id) sender è collegata all’elementodell’interfaccia denominato appunto sendString. In questa sezione del co<strong>di</strong>cevengono definite le variabili e gli elementi <strong>di</strong> interfaccia necessari a “costruire” uncampo <strong>di</strong> testo in cui l’utente può <strong>di</strong>gitare qualcosa e inviare queste informazionialla Lilypad, il quale provvederà ad aggiornare il proprio status, uscendo dal loop“hello word” e scrivendo così nel monitor seriale la stringa “goodbye word”.In questo caso viene utilizzato il txBuffer per trasmetter i bytes da iOS adArduino.-(IBAction)sendString:(id)sender {[self.textEntry resignFirstResponder];NSString *text = self.textEntry.text;int bytesToWrite = text.lenght;for (int i = 0; i < bytesToWrite; i++) {txBuffer[i] = (int) [text characterAtIndex:i];}int bytesWritten = [rscMgr write:txBufferLenght:bytesToWrite];}Fig. 58 - schermata dell’iPad del programma “hello word”L’esperimento successivo è stato invece leggermente più complesso, poichéprevedeva l’utilizzo, seppur in modo elementare, <strong>di</strong> un sensore. Un LightSensor195


interfacciato alla Lilypad board che rendeva visibili i dati ricavati <strong>di</strong>rettamente suiPad. Per prima cosa ho definito nello Sketch <strong>di</strong> Arduino il pin analogico dellaLilypad a cui ho collegato il sensore (in questo caso il n°1), successivamente hosettato anche una variabile “lightRea<strong>di</strong>ng” in cui vengono “depositate” le letturedel valore ricavato dal LightSensor.int lightPin = 1;int lightRea<strong>di</strong>ng;void setup() {}Serial.begin(9600);All’interno del void loop() del co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Arduino ho <strong>di</strong>chiarato che la variabileLightRe<strong>di</strong>ng deve “leggere” appunto i segnali analogici inviati dal lighPin, ossiadal sensore e, se <strong>di</strong>sponibili, stamparne il valore.void loop() {lightRea<strong>di</strong>ng = analogRead(lightPin);if (Serial.available() >= 0) {Serial.print("LIGHT SENSOR: ");Serial.print(lightRea<strong>di</strong>ng);Serial.println();delay(500);}}Nulla <strong>di</strong> più semplice.Il risultato nel serial monitor <strong>di</strong> arduino è effettivamente la lettura dei valoriacquisiti dal sensore.LIGHT SENSOR: 134LIGHT SENSOR: 136LIGHT SENSOR: 54LIGHT SENSOR: 0e così via...196


Ovviamente più viene oscurato il sensore e più i valori scendono.Fig. 59 - Lilypad in azioneIl programma xCode è sostanzialmente lo stesso <strong>di</strong> quello utilizzato per ilprimo esperimento, fatta eccezione per la IBAction sendString.I dati provenienti dal sensore sono visualizzati sull’iPad allo stesso modo dellastringa “hello word” del test precedente.- (void) readBytesAvailable:(UInt32)numBytes {NSLog(@"readBytesAvailable:");int bytesRead = [rscMgr read:rxBuffer Length:numBytes];NSLog( @"Read %d bytes from serial cable.", bytesRead);NSString *string = nil;for(int i = 0;i < bytesRead; ++i) {if (string) {string = [NSString stringWithFormat:@"%@%c",string, ((char*)rxBuffer)[i]];} else {string = [NSString stringWithFormat:@"%c", ((char*)rxBuffer)[i]];}}[NSNumber numberWithInt:[string intValue]];self.sensorValue.text = string;NSLog(@"sensor value: %@", string);}197


Un punto <strong>di</strong> svolta <strong>di</strong> questi test è stato il tentativo <strong>di</strong> collegare più sensoricontemporaneamente. Finché si tratta <strong>di</strong> interpretare i dati da un sensore nonesistono particolari <strong>di</strong>fficoltà, in quanto ciò che arduino invia all’iPad tramitecomunicazione seriale è esattamente ciò che serve. Ho un solo sensore, quin<strong>di</strong>,attraverso il cavo seriale passano esclusivamente i dati relativi a quel sensore enulla più. Con due o più sensori invece, emerge il problema sostanziale <strong>di</strong>identificare i singoli dati dei sensori. Per farlo occorre creare lato Arduino, un“protocollo” che determini la gerarchia dei sensori, quin<strong>di</strong> le modalità <strong>di</strong>assemblaggio del flusso <strong>di</strong> dati provenienti dai sensori, e lato iPad, un relativo“protocollo” <strong>di</strong> interpretazione dei dati, quin<strong>di</strong> splittaggio e archivio dei datiricevuti.Questo è il co<strong>di</strong>ce Arduino del programma.int sensorValue = 0;const int analogOne = A0;const int analogTwo = A1;Per prima cosa si definiscono i sensori e i loro relativi pin analogici <strong>di</strong>operatività. Quin<strong>di</strong> in questo caso analogOne = A0 (LightSensor) e analogTwo =A1 (TempSensor).void setup() {// open serial communications at 9600 bpsSerial.begin(9600);establishContact();}Successivamente si apre la comunicazione seriale e si richiama la funzione <strong>di</strong>controllo della comunicazione tra Arduino e iPad (la analizzeremo in seguito).void loop() {if (Serial.available() > 0) {int inByte = Serial.read();sensorValue = analogRead(analogOne);Serial.print(sensorValue, DEC);198


Serial.print(",");// read the sensor:sensorValue = analogRead(analogTwo);}}// print the results:Serial.print(sensorValue, DEC);Serial.println();All’interno dei void loop() si inizializzano i sensori, ma soprattutto si impostala “grammatica” <strong>di</strong> quello che può essere definito come un ru<strong>di</strong>mentalissimo“protocollo” <strong>di</strong> comunicazione, ossia si definiscono le regole <strong>di</strong> scrittura dellastringa da inviare all’iPad, si <strong>di</strong>chiara quale sensore agirà per primo, quale persecondo e quali sono gli elementi che li renderanno riconoscibili dal programmaxCode per iPad. analogOne è il primo valore, analogTwo il secondo. Il separatoreè una semplice virgola (“,”) e l’in<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> fine ciclo <strong>di</strong> rilevamenti è ilserial.println(), che equivale al tasto return (invio) della tastiera. L’output deivalori inviati dalla seriale sarà quin<strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> questo tipo:valoreSensore1,valoreSensore2 (primo rilevamento)valoreSensore1,valoreSensore2 (secondo rilevamento)valoreSensore1,valoreSensore2 (terzo rilevamento)valoreSensore1,valoreSensore2 (quarto rilevamento)etc...La funzione establishContact è appunto uno strumento <strong>di</strong> controllo dello statusdella connessione. Finché la seriale riceve bytes minori o uguali a 0 scrivi lastringa “ready” sulla seriale.void establishContact() {while (Serial.available()


Il programma per iPad <strong>di</strong> questo test è chiaramente molto più complessorispetto ai precedenti.All’interno del metodo newMessageAvailable avviene il “controllo” dellostatus della connessione me<strong>di</strong>ante un semplice if ... else. Se la stringa che è stataricevuta da msg (una variabile che raccoglie le stringhe ricevute da arduino) èuguale a “ready”, ossia la stessa utilizzata nella funzione establishContact, ilprogramma non fa nulla, attende semplicemente l’arrivo <strong>di</strong> dati concretamenteutilizzabili.Se, come accade sempre (a meno <strong>di</strong> problemi <strong>di</strong> connessione), la stringaricevuta è <strong>di</strong>versa da “ready”, il programma elabora i bytes ricevuti secondo ilprotocollo stabilito, controlla se l’array (il contenitore dove andranno memorizzatii valori) riceve correttamente due valori separti da “,” e li separa archiviandoli(temporaneamente) in posizioni dell’array <strong>di</strong>fferenti: objectAtIndex: 0 per ilsensore 1 e objectAtIndex: 1 per il sensore 2.-(void) newMessageAvailable:(NSString*)msg {if ([msg isEqualToString:@"ready"]) {}else {// do nothingit.// check if mySernsor array receive 2 value and storeNSArray *mySensor = [msg componentsSeparatedByString:@","];int count = [mySensor count];if (count == 2) {NSString *sensor1 = [[NSString alloc] initWithString:[mySensor objectAtIndex: 0]];int sensor1Int = [sensor1 intValue];NSString *sensor2 = [[NSString alloc] initWithString:[mySensor objectAtIndex: 1]];200


A questo punto i valori dei due sensori (LightSensor e TempSensor) sonoseparati e gestibili in<strong>di</strong>pendentemente l’uno dall’altro.Quin<strong>di</strong> è possibile manipolarli.Nel test che ho effettuato, per valori del sensore <strong>di</strong> luminosità inferiori a 30,l’output testuale che è possibile leggere è “Chi ha spento la luce?? Adesso qui èdecisamente buio!!"Altrimenti, per valori superiori si legge: “C’è una buona quantità <strong>di</strong> luce!!!”.int sensor2Int = [sensor2 intValue];// [sensorValue setText:msg];[sensorValue1 setText:sensor1];[sensorValue2 setText:sensor2];// method of sensor detect outputAdesso qui èif ( sensor1Int


Il primo passo sarà quello <strong>di</strong> sostituire i sensori <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong> temperatura conquelli <strong>di</strong> HRV e GSR. Quin<strong>di</strong> creare un programma che interpreti i dati ricevuti inmodo coerente con gli obiettivi del progetto. La terza fase prevedel’implementazione del collegamento alla rete dei Social Network dei sensori econseguentemente l’aggiornamento degli status attraverso l’interpretazione deiparametri biofisici ricavati dai sensori. La quarta fase sarà quella dello sviluppodel sistema <strong>di</strong> <strong>augmented</strong> <strong>reality</strong> per visualizzare in real time gli status aggiornatiin tempo reale della persona osservata. L’ultimo step consentirà <strong>di</strong> implementarenel sistema hardware-software l’utilizzo <strong>di</strong> altri sensori (su tutti l’NFC per loscambio dell’amicizia e dei dati), il collegamento wireless tra il guanto e ilcellulare e i miglioramenti necessari dell’interfaccia del programma.Per seguire gli sviluppi futuri del progetto we.are.able...Blog WeareableCanale Youtube202


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206Alla mia famiglia e alla mia ragazza,che mi hanno sempre sostenuto esopportato, anche in questi mesi,fatti <strong>di</strong> ore ed ore passate davantiallo schermo e ai libri...


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