DALLA RICOSTRUZIONE AL BOOMECONOMICOLe bombe alleate riduc<strong>on</strong>o Torino a brandelli, lasciando senza casa migliaiadi pers<strong>on</strong>e. Trasporti e servizi pubblici s<strong>on</strong>o paralizzati, i disoccupatiaumentano, così come l’inflazi<strong>on</strong>e, e il sistema industriale è in ginocchio.Disordine ec<strong>on</strong>omico e tensi<strong>on</strong>i sociali accompagnano il riavvio di unprocesso produttivo che inizia a raggiungere livelli di normalità soltantoalla fine degli anni Quaranta. Tra il 1949 e il 1952 si hanno i primi timidisegnali di ripresa, dopodiché la marcia diventa inarrestabile. Tra il 1953e il 1963 si assiste a una fase espansiva che coinvolge l’intero paese, unvero e proprio boom ec<strong>on</strong>omico capace di ridisegnare l’Italia. Aumenta ilreddito nazi<strong>on</strong>ale, aumentano i lavoratori dell’industria a scapito di quelliimpegnati nell’agricoltura, migliorano le c<strong>on</strong>dizi<strong>on</strong>i alimentari delle famiglie italiane le cui case grazie ad acqua, elettricitàe servizi interni diventano sempre più c<strong>on</strong>fortevoli. Fanno la loro comparsa lavatrici, televisori, frigoriferi e, soprattutto,l’automobile, vero e proprio simbolo del nuovo sviluppo di questi anni, che c<strong>on</strong>osce una cospicua diffusi<strong>on</strong>e superandole moto e gli scooter.Trainata dall’industria dell’auto, l’ec<strong>on</strong>omia torinese corre velocemente. Due s<strong>on</strong>o i momenti cruciali che ne scandisc<strong>on</strong>o letappe: il lancio, nel 1955, della Fiat 600 e quello, nel 1957, della nuova Fiat 500, eventi che fanno della motorizzazi<strong>on</strong>e dimassa il perno dello sviluppo ec<strong>on</strong>omico dell’ec<strong>on</strong>omia cittadina e nazi<strong>on</strong>ale. Nel 1963 è superata la soglia del mili<strong>on</strong>esimoautoveicolo, mentre tre anni più tardi, nel 1966, venne infranta la barriera del mili<strong>on</strong>e di sole autovetture. La produzi<strong>on</strong>edell’auto costituisce lo sbocco di bu<strong>on</strong>a parte dell’industria metallurgica, chimica (gomma e vernici) e delle materie plastiche:l’80% delle attività industriali torinesi ruota quindi intorno alla Fiat, che tra il 1953 e il 1971 vede quasi triplicare i propridipendenti. Oltre alla Fiat, il panorama industriale torinese c<strong>on</strong>ta altre aziende di grande livello: le Officine di Savigliano, laCimat, la Nebiolo e la Elli Zerb<strong>on</strong>i, marchi leader nella produzi<strong>on</strong>e di macchine utensili e operatrici, la Magnadyne, la Castor,l’Aspera-Frigo e la Indesit nel campo della produzi<strong>on</strong>e di elettrodomestici, la Wamar e la Venchi Unica nel settore alimentare,la Incet, la Michelin, la Ceat e la Superga nel comparto della lavorazi<strong>on</strong>e della gomma e dei cavi elettrici.DA SUD A NORD: LA CITTÀ E I MOVIMENTI MIGRATORIA partire dal primo dopoguerra, Torino è al centro di un c<strong>on</strong>sistenteflusso migratorio che, iniziato nei primi anni Cinquanta,raggiunge il suo apice nel periodo del miracolo ec<strong>on</strong>omicoproseguendo per tutti gli anni Settanta del Novecento. A partires<strong>on</strong>o soprattutto uomini e d<strong>on</strong>ne residenti nel sud Italia,sui quali Torino, città dell’industria e capitale dell’auto, esercitauna forte capacità di richiamo. Ogni giorno sulle banchinedella stazi<strong>on</strong>e di Porta Nuova si riversa un numero sempre più12
c<strong>on</strong>sistente di pers<strong>on</strong>e arrivate a bordo del Treno del Sole, un c<strong>on</strong>voglio che in ventitre ore attraversa l’Italia, dalla Siciliaal Piem<strong>on</strong>te. Un flusso migratorio che si traduce in una crescita immediata della popolazi<strong>on</strong>e torinese, passata dai 753.000abitanti del 1953 ai 1.114.000 del 1963, molti dei quali costituiti da immigrati, che portano il saldo migratorio cittadino aessere quello più elevato di tutte le altre città italiane. I nuovi arrivati mutano lo scenario cittadino: pugliesi, calabresi, lucani,siciliani e sardi, prend<strong>on</strong>o il sopravvento sugli immigrati dell’Italia settentri<strong>on</strong>ale e su quelli arrivati dai territori del vicinoPiem<strong>on</strong>te, che fino ad allora rappresentano la maggioranza assoluta. Nel 1971 risied<strong>on</strong>o in città 77.589 siciliani, 106.413pugliesi, 44.723 calabresi, 35.489 campani e 22.813 lucani: Torino diventa così una città meridi<strong>on</strong>ale di dimensi<strong>on</strong>i parag<strong>on</strong>abilia Palermo. La comunità più numerosa è quella dei pugliesi. Una presenza che acquista presenze e spazi ben definiti,come avviene nel quartiere della Barriera di Milano, dove a partire dalla fine degli anni Quaranta si stabilisce una foltacomunità di uomini e d<strong>on</strong>ne provenienti da Cerignola, la città italiana che più di ogni altra ha dato immigrati alla città diTorino. Una comunità che porta c<strong>on</strong> sé usanze e tradizi<strong>on</strong>i, come la celebrazi<strong>on</strong>e della Festa della Mad<strong>on</strong>na di Ripalta, lacui effige è presente in una porzi<strong>on</strong>e di piazza For<strong>on</strong>i. Lo stesso spazio urbano, per ricordare la presenza di tanti cerignolani,ha preso il nome nel 1983 di piazzetta Cerignola. Anche il Veneto rappresenta un c<strong>on</strong>sistente serbatoio migratorio.Un’immigrazi<strong>on</strong>e, quest’ultima, risalente ai primi anni del Novecento e che prosegue negli anni seguenti, come dimostranoi 65.741 immigrati veneti residenti in città nel 1971. Molti di essi proveng<strong>on</strong>o dalle z<strong>on</strong>e bracciantili di Rovigo e del Polesine,messe in ginocchio nel 1951 dall’alluvi<strong>on</strong>e del Po. Vi è infine la comunità sarda, che ha a Torino radici antiche, dal momentoche i primi flussi migratori dall’isola risalg<strong>on</strong>o al periodo sabaudo. Una lunga tradizi<strong>on</strong>e migratoria, che nel 1971 raggiungela quota di 19.858 individui.L’arrivo in città si trascina dietro problematiche e difficoltà di n<strong>on</strong> facile superamento. Differenze culturali e identitarie trasformanol’inc<strong>on</strong>tro tra i torinesi e gli immigrati, specialmente quelli giunti dal sud, in un momento dai c<strong>on</strong>torni frastagliatie spigolosi. Una discriminazi<strong>on</strong>e che assume le sembianze dei cartelli affissi ai port<strong>on</strong>i delle case arrecanti la frase n<strong>on</strong>si affitta ai meridi<strong>on</strong>ali, oppure quella dell’attuazi<strong>on</strong>e di dinamiche esclusive che passano attraverso epiteti carichi di astio(napuli, terr<strong>on</strong>i, mau mau) c<strong>on</strong>iati dalla popolazi<strong>on</strong>e locale per definire, identificare, screditare e deridere gli individui natividelle regi<strong>on</strong>i del sud. Un fenomeno diffuso, inerente molti comparti della vita quotidiana e che sembra essere accettato ancheda «La Stampa», principale testata cittadina, l<strong>on</strong>tana dallo svolgere un ruolo di avvicinamento tra torinesi e immigrati, eimpegnata ad alimentare sulle proprie pagine, attraverso articoli, annunci e servizi, stereotipi e pregiudizi nei c<strong>on</strong>fr<strong>on</strong>ti degliimmigrati del sud Italia, ampiamente c<strong>on</strong>solidati tra i lettori torinesi. Si crea così una situazi<strong>on</strong>e di emarginazi<strong>on</strong>e, superataattraverso una progressiva c<strong>on</strong>divisi<strong>on</strong>e di spazi ed esperienze nella sfera pubblica, privata e lavorativa, che c<strong>on</strong>sente discalare il muro che divide i torinesi dagli immigrati incanalando il rapporto sui binari di un’integrazi<strong>on</strong>e oramai pienamenteavvenuta.Il caso di San SalvarioNUOVOA partire dagli ultimi decenni del Novecento, si riversano sul territorio italiano c<strong>on</strong>sistenti flussi di immigrati stranieri. Unprocesso che, iniziato nella prima metà degli anni Settanta, assume dimensi<strong>on</strong>i importanti negli anni successivi: tra il 1990e il 1995 l’Italia si colloca al ventesimo posto nella graduatoria m<strong>on</strong>diale, c<strong>on</strong> un saldo migratorio di 300.000 unità. Tra il1994 e il 1996 il numero di immigrati aumenta del 7% , fino a raggiungere la cifra di 1.240.721 individui nel 1 gennaio 1998.13