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lotta alla tratta in capitanata - Progetto Roxana

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SVETLANAQuando la conoscemmo lei aveva 32 anni, una tipica bella donna slava: alta, bionda, occhi azzurri, zigomi pronunciati, capelli lunghilegati a chignon; moldava, divorziata con una figlia allora 13enne, genitori <strong>in</strong>segnanti universitari <strong>in</strong> pensione, <strong>in</strong> patria era unaprofessoressa di l<strong>in</strong>gua e letteratura Russa, parlava il moldavo, il russo, l’<strong>in</strong>glese e un decente italiano, ultimo <strong>in</strong>carico di lavoro <strong>in</strong> patria,vicepreside <strong>in</strong> un liceo. Ultimo <strong>in</strong>carico <strong>in</strong> Capitanata, prostituzione nelle campagne di Orta Nova. Come è potuto accadere?Arriva <strong>in</strong> Italia illegalmente a maggio del 2000, con uno di quei bus dell’Est che per un po’ di soldi portano <strong>in</strong> Italia chivuole fare nei mesi estivi il lavoro <strong>in</strong> campagna, ha bisogno di soldi, il suo stipendio è molto basso, così come la pensionedei suoi genitori con i quali è tornata a vivere dopo il divorzio, il marito è un poco di buono, beve e non sa tenersi unlavoro, non dà soldi per il mantenimento della figlia. Svetlana è avvenente, al suo arrivo ad Orta Nova, centro agricolonoto ai migranti dell’Est, viene presa <strong>in</strong> carico da un piccolo malvivente locale, allontanata dal gruppo e selezionataper ‘un altro lavoro’; viene portata dall’uomo <strong>in</strong> un capannone <strong>in</strong> zona Stornara; la sequestra, le toglie i documenti, laviolenta e la picchia, lei è terrorizzata e pensa di essere f<strong>in</strong>ita nelle mani di un pazzo che la ucciderà.Dopo una settimana di segregazione l’uomo le spiega che non la ucciderà, ma lei lo deve ripagare prostituendosi, perprocurargli dei soldi e se sarà brava resterà qualcosa anche per lei. Lei grida, piange, si dispera e soprattutto si rifiutadi uscire dal capannone e di operare <strong>in</strong> strada: “uccidimi - gli dice - è meglio”. Ma non si uccide una gall<strong>in</strong>a dalleuova d’oro, la donna è bella e può rendere e se proprio si rifiuta di andare per strada, resterà nel capannone e lì verràcostretta ad esercitare; il capannone è di cemento qu<strong>in</strong>di torrido di giorno e gelido di notte, senza acqua né servizi,diventa la sua abitazione-prigione dove è tenuta sotto stretto controllo e dove il suo aguzz<strong>in</strong>o accompagna i clienti.Svetlana racconta, facendoci rabbrividire, di clienti contad<strong>in</strong>i della zona, sporchi e spesso vecchi e sdentati, che ridono forte epuzzano di aglio, di v<strong>in</strong>o, delle bestie che governano. La sua prigionia dura oltre un anno e tutte noi che la ascoltiamo, pensiamoche se ci fosse capitato di vivere un anno così, <strong>in</strong> balia di un bruto e dei suoi amici, saremmo morte. Intanto i suoi genitori e lafiglia, a cui per tutta la durata della prigionia non ha potuto dare notizie, l’hanno creduta morta. Lei racconta, seria e triste, cheha desiderato tante volte di morire, ma morire di dolore è difficile, non si muore e si spera <strong>in</strong> un miracolo che ci restituisca <strong>alla</strong> vita.Un giorno il miracolo avviene: un cliente abituale, impietosito da questa giovane e bella donna prigioniera, si fa conv<strong>in</strong>cere adaiutarla, dopo l’<strong>in</strong>contro abituale, la nasconde sotto il telone del suo tre ruote e la scarica all’<strong>in</strong>gresso del paese.Lei si presenta ai Carab<strong>in</strong>ieri, ha paura, è senza documenti e pensa che forse l’arresteranno o che non crederanno a quantoracconterà, ma si fa coraggio e racconta, fra lacrime e parole nella sua l<strong>in</strong>gua, ad un <strong>in</strong>credulo giovane appuntato, lasua odissea. Per sua fortuna il nome del bruto è conosciuto ai Carab<strong>in</strong>ieri e questo accredita il suo racconto. Quandoil carab<strong>in</strong>iere ci chiama al telefono, nella sua voce si avvertono angoscia e preoccupazione per quanto ha ascoltato: ètrafelato e racconta, <strong>in</strong>frammezzando le frasi a bocconi di aria che <strong>in</strong>spira, di una ragazza straniera “…che sembravittima di violenza, che è giovane e bella ma sporca e trascurata ma - la giustifica lui stesso -, sembra una persona perbene, cioè, non sembra una prostituta come quelle straniere che si vedono sulle strade, che lui è da solo <strong>in</strong> caserma e chiedese può andare qualcuna di noi che magari parli <strong>in</strong>glese, che la ragazza ha detto di sapere meglio l’<strong>in</strong>glese dell’italiano”.A Svetlana proponemmo di denunciare il suo rapitore e di entrare <strong>in</strong> un programma di protezione, che denunciarela avrebbe esposta a pericoli e <strong>alla</strong> necessità di restare <strong>in</strong> zona per testimoniare, lei accetta ed entra nel progetto“<strong>Roxana</strong>”, sono i primi giorni dell’ottobre 2001, era arrivata d<strong>alla</strong> Russia a maggio del 2000.Oggi questa donna f<strong>in</strong>almente libera, vive a Roma e lavora <strong>in</strong> uno studio di commercialisti associati che utilizza le sue conoscenzel<strong>in</strong>guistiche per i propri clienti <strong>in</strong>ternazionali, sua figlia ha term<strong>in</strong>ato gli studi <strong>in</strong> patria e la raggiungerà a breve, verrà a Romaper studiare all’Università. Afferma che non si risposerà mai, che essere libera è essenziale. Svetlana è stata l’antesignana dellenostre ospiti, era moderna, istruita e culturalmente occidentale quanto noi, ci ha <strong>in</strong>segnato che nessuno è al sicuro d<strong>alla</strong> violenzacieca e brutale di un rapimento, di una vera e propria riduzione <strong>in</strong> schiavitù, compiuta all’alba del terzo millennio con modalitàmedievali.20

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