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DISPENSE DI ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE II (nuovo ...

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Università degli Studi di FirenzeProf. Cristiano Ciappei<strong><strong>DI</strong>SPENSE</strong> <strong>DI</strong><strong>ECONOMIA</strong> E <strong>GESTIONE</strong> <strong>DELLE</strong> <strong>IMPRESE</strong> <strong>II</strong>(<strong>nuovo</strong> ordinamento)eSTRATEGIE <strong>DI</strong> IMPRESA(vecchio ordinamento)AD ESCLUSIVO USO DEGLI STUDENTIVALIDE FINO ALL’APPELLO <strong>DI</strong> LUGLIO 2003A.A. 2002/2003PRE-BOZZE IN FASE <strong>DI</strong> CORREZIONE E CON GRAFICI SFALSATI


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiCAPITOLO PRIMOERMENEUTICA NEL GOVERNO D’IMPRESA: IL CONTESTO <strong>DI</strong>FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA <strong>DI</strong> IMPRESA1. La strategia di impresa: articolazioni e opzioniAllo studio della strategia e allo sviluppo del concetto in ambito politico-militare e aziendale è dedicatoun intero volume del presente lavoro. Qui basti considerare che posizionandola nel modello PESO lastrategia può essere definita come “orientamento pragmatico dell’agire”.La strategia è quell’aspetto del governo che, riferendosi a un agire globale, tenta di tradurre i fini evalori in obiettivi perseguibili attraverso l’interpretazione, la progettazione e l’implementazione di vierelativamente coerenti, espresse o meno in forma di piano e ritenute idonee a modificare a favore dell’agentel’aleatorietà degli esiti del suo esistere.La strategia si riferisce ad un agire globale. La strategia, a differenza della gestione, non si può riferiread azioni elementari o parziali, ma richiede necessariamente la composizione di più azioni tra loro connessee che acquistano un significato complessivo. La complessità, in sé non segmentabile, è comunque riferibile adiversi livelli nella gerarchia dell’agente e in tal senso tale complessità si riferisce ad aggregati sintetizzabilidi azioni che possano essere rappresentabili con una propria identità in termini di scopi, finalità, valori. Illivello minimo di aggregazione di attività dipende oltre che dall’auto-definizione dell’agente anchedall’etero-definizione del suo contesto. Generalmente nell’impresa si parla correttamente di strategia a livellodi prodotto (Strategic Business Units) e a livello complessivo (Corporate), mentre con maggiore difficoltà alivello funzionale.Le vie sono percorsi, opzioni, modalità di azione in cui l’aspetto qualitativo è preminente rispetto aquello quantitativo. Vie ritenute idonee a condurre dalla situazione presente a quella desiderata.La relativa coerenza della strategia si riferisce alle relazione logico-costitutive dei suoi elementi(massime, valori, regole tecniche, obiettivi, vie...) che definisce le connessioni costitutive tra varie parti checostituiscono un certo grado di coesione. Dall’articolazione di tali connessioni emerge la coerenza, o meglioun certo grado di coerenza, che rappresenta la logicità delle relazioni, vuoi in termini di assenza di forticontraddizioni pragmatiche tra mezzi e fini, vuoi in termini di grado di effettività e percorribilità delle vieproposte. Le componenti elementari della strategia sono in primo luogo le vie, che attraverso massime diesperienza, collegano scopi politici, valori etici e risorse organizzative a obiettivi ritenuti effettivamente econcretamente perseguibili.La presenza del piano di azione non è un elemento essenziale della strategia, anche se assai frequente eper certi versi auspicabile. Il piano di azione anticipa delle decisioni future riducendo fortemente lacomplessità prospettica attraverso una sua trattazione anticipata. In tal senso il piano è una sorta diattualizzazione simbolica di alternative future che verranno concatenate nel tempo attraverso l’esecuzionedel piano. Nella strategia, così come nel governo, non anticipa necessariamente decisioni future, ma neinforma l’adozione fornendo un criterio di selezione interpretativa e progettuale a decisioni che potrannoessere posticipate rispetto alla formulazione di un governo ed essere pertanto più congruenti al lorocontingente contesto. Anche i piani flessibili comportano un albero decisionale che non può rendere contodella complessità prospettica della strategia d’impresa.L’elaborazione sintattica di strategie standardizza, con maggior o minor determinatezza, le finalità e ivalori dell’agire introducendo orientamento nella selezione della complessità, sia interna sia esterna.Internamente la forza persuasiva del governo regola la complessità indicando l’affermazione di valori e ilraggiungimento di scopi dell’azione e favorendo, in tal modo, continuità e coerenza alle contingenti1


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeimotivazioni di azioni elementari ed intermedie. Esternamente la validità del governo regola la complessitàorientando l’interpretazione diretta alla selezione sia degli elementi rilevanti per il suo compimento inmutevoli contesti, sia di quei prodromi indicatori di opportunità per il suo stesso cambiamento.Circa l’aleatorietà degli esiti è opportuno sottolineare come la possibilità dell’agente di modificarepositivamente o negativamente l’aleatorietà con le proprie abilità e con le opzioni che riesce ad escogitare.Là dove vi è solo possibilità per la rassegnazione vi è ancora posto per la saggezza, ma non per la strategia.Ciò non comporta la necessità di un comportamento attivo: molto spesso la prudente attesa, l’estensionedall’azione rappresentano una concreta opzione che modifica le aleatorietà degli esiti di un contesto indivenire.In ottica imprenditoriale l’ermeneutica strategica interpreta il contesto in cui si forma la strategia equindi si può articolare in interpretazione del processo di formulazione e dei contenuti di formazione.L’interpretazione del processo ha più carattere sintattico e riguarda la formulazione intesa come modalità diformazione premeditata, voluta e ricercata, che se anche molto formalizzata assume tradizionalmente il nomedi pianificazione. L’interpretazione dei contenuti ha connotati più semantici e inerisce una formazionecomunque emersa. Qui, anche per semplicità, si parlerà di interpretazione della formulazione in relazione alprocesso e di interpretazione della formazione dei contenuti strategici.2. L’interpretazione della formulazione della strategiaLa formazione della strategica è un processo che riassume i vari aspetti del problema strategico, pertantoil suo governo dovrà mixare strategia implicita ed esplicita, strategia formale e comportamentale, strategiaex-post ed ex ante, strategia intenzionale e spontanea e così via. Il processo di formazione della strategiaviene riduttivamente identificato con la pianificazione strategica formale quando è disciplinato e ben definitoa priori al fine di formulare una dettagliata strategia d’impresa articolando compiti per la sua attuazione eassegnando le relative responsabilità alle varie unità organizzative.A tal punto è doverosa una precisazione terminologica: la pianificazione può essere intesa tout courtcome metodologia formalizzata di governo della formazione della strategia o, in senso assai più limitato,come procedimento per la costruzione di piani esplorativi, di fattibilità ed esecutivi delle azioni strategiche.Risulta abbastanza evidente che la seconda accezione è del tutto ricompresa nella prima.In altri termini, mentre tradizionalmente la pianificazione strategica è un processo formalizzato diinterpretazione, progettazione, implementazione della strategia, in senso più ristretto la pianificazione puòessere intesa come una parte del momento di progettazione che tende a quantificare e scandiretemporalmente le implicazione di un limitato spettro di alternative da approfondire o della soluzione che siintende pro-tempore perseguire.Unicamente ai fini di una solo nominalistica distinzione si parlerà di pianificazione strategica conriferimento alla prima accezione e di pianificazione dei progetti strategici per la seconda accezione. Mentrenella pianificazione strategica tout court la formalizzazione ricomprende tutto il processo con cui si tende agovernare il formarsi della strategia, con pianificazione dei progetti strategici, si limita il tentativo diformalizzazione a a due particolari aspetti , quantitativo e temporale, di un solo momento, la progettazionedella strategia. In ogni caso il processo di formazione strategica, formale o informale che sia, è sempre unparadigma di apprendimento, come un piano di studi in cui è forse bene rispettare alcune propedeuticitàlogiche per poi riuscire ad argomentare una sorta di tesi strategica.Concentrandosi sui processi formali di pianificazione è necessario premettere alcune considerazioni su:! gli attori della formazione della strategia;! l’articolazione strategica attraverso la quale si snoda la formazione;! i momenti logici della formazione.! i compiti di formazione svolti dagli attori delle varie articolazioni strategiche;! la propedeuticità logica, ancorché non necessariamente empirica, di alcuni di questi compiti.3. L’articolazione strategica dell’impresaTradizionalmente l’articolazione strategica si suddivide in alcuni fondamentali livelli: a) livellocorporate; b) livello business; c) livello prodotto. Tali livelli non sono necessari, né a volte sufficienti, adarticolare una strategia d’impresa. Infatti in molte piccole imprese l’unico imprenditore-manager dell’unico2


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeibusiness non avrà necessità di nessun livello. In un’impresa monobusiness il livello corporate coincide allivello business. Infine in un’impresa molto diversificata, se non addirittura conglomerata, può risultareopportuno, se non addirittura necessario, creare uno o più livelli multibusiness.In ogni caso, almeno per il momento, si farà riferimento all’ipotesi di scuola, che per il vero è anchequella più frequente nelle imprese di medio-grandi dimensioni, della suddetta articolazione strategica in trelivelli.a) Nel livello corporate vengono impostate le strategie che riguardano l’impresa nel suo complesso. Talidecisioni sono sia quelle che riguardano i rapporti con la proprietà, sia quelle che se delegate andrebberoincontro al rischio di sub-ottimizzazione, sia infine quelle che dirimono dei conflitti strategici insorti a livelliinferiori. In questo livello si valutano soprattutto i rapporti di congruenza e pertinenza tra le risorsedisponibili, gli interessi degli stakeholders e i progetti imprenditoriali. Infatti è il corporate che raccoglie ealloca, in un certo senso intermedia, le risorse sui progetti e remunera i portatori di tali risorse con i risultatidei progetti attuati. Al livello corporate si realizza spesso un certo distacco dalle problematiche siastrategiche, sia operative del business. Una tale situazione può essere interpretata sia come un rischio, siacome una opportunità. Per impostare le strategie d’impresa è infatti necessario un certo sforzo di distaccopsicologico dai problemi parziali o comunque contingenti, per riuscire in tal modo a spaziare su vastiorizzonti geografici e temporali. D’altro canto lo “stratega” d’impresa non può essere un soggetto rinchiusoin una turre eburnea separato dal contesto d’impresa. Appare pertanto opportuno bilanciare il distaccostrategico con la conoscenza delle situazioni contingenti e del vissuto d’azienda per ottenere un processo dipianificazione efficace.b) Nel livello business le strategie vengono impostate per attività omogenee, generalmente raggruppateper prodotti e servizi fornite agli stessi clienti. In questo livello assumono una particolare rilevanza lerelazioni di efficacia. E’ appunto sull’attività di business che si realizzano i progetti imprenditoriali e chepertanto su questo livello si formano i risultati della gestione caratteristica. A livello business assume unaconnotazione fondamentale il raggiungimento di specifici vantaggi competitivi che siano conformi, o almenocompatibili, alle intenzioni strategiche espresse a livello corporate e congruenti alle risorse allocate allaspecifica unità di business detta anche SBU (Strategic Business Unit).c) Nel livello prodotto vengono formulate le decisioni, anche con rilevanza strategica, relative anche alcontributo che i singoli prodotti apportano ai singoli business e al corporate nel suo complesso. Le strategiea livello funzionale saranno di regola maggiormente condizionate da quelle assunte a livello business ocorporate di quanto avvenga viceversa. In questo livello assumono un’importanza fondamentale le relazionidi efficienza in quanto sono quasi sempre i manager dei singoli prodotti ad utilizzare direttamente le risorseassegnate ai business e pertanto responsabili della loro ottimizzazione. A questo livello si sviluppanocompetenze specifiche che possono anche diventare esclusive e che sono la base privilegiata per l’attuazionedi eccellenze nelle attività d’impresa. Nel livello prodotto si addensano le strategie veicolate su ciascunatipologia di output produttivo. L’unita strategica di prodotto (SPU) può ricomprendere sia il singolo articolosia la linea, che al limite e a rischio di eccessivo appesantimento dell’articolazione strategica, potrebberorappresentare due livelli separati di analisi. Unità elementare per lo sviluppo dei rapporti di efficacia il livelloprodotto è anche il fulcro su sui si scaricano quasi tutte le forze strategiche e al contempo una sorta ditrasmissione che collega la potenza strategica dei livelli superiori alla capacità operativa di mietere risultati.Il livello prodotto non è normalmente dipendente dal livello funzionale, ma si articola direttamente dalbusiness, così che la presenza di entrambi determina un’articolazione strategica a matrice di ogni singolobusiness.Talvolta si preferisce allora non appesantire eccessivamente le diramazioni eliminando il livelloprodotto e accontentandosi del livello business come indicatore di efficacia. A volte invece si preferiscemantenere il livello prodotto ricucendo la complessità articolativa. In altre circostanze, quando la rilevanzadei singoli prodotti è cruciale o l’impresa non è molto diversificata, si preferisce eliminare il livello businessarticolando le singole funzioni direttamene dai singoli prodotti. Un esempio di quest’ultima impostazione èrappresentato dalla Propter & Gamble che in Italia considera le singole denominazioni di prodotto come iveri e propri business (Dash, Mastro lindo, ecc.).L’idea qui espressa è quella che tutti i livelli siano interessati da relazioni di pertinenza, congruenza,efficacia ed efficienza tra interessi, risorse, progetti e risultati, ma che in particolare:! nel livello corporate si addensino le problematiche di pertinenza tra risorse conferite e interessivantati, e di congruenza tra risorse impiegate e progetti sviluppati;! nel livello business si addensino le problematiche di efficacia tra progetti impostati e risultatiottenuti;3


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeimodello a critiche di semplificazione “didattica” sopratutto per la distinzione netta che si opera tra le variefasi rispetto alla inscindibilità del processo.La pianificazione lineare viene sottoposta tradizionalmente a due serie di critiche. La prima criticaattiene alla linearità della sequenza logica ove non considera i feed-back tra una fase e l’altra. La secondacritica riguarda la considerazione della definizione degli obiettivi come un “a priori” rispetto allapianificazione strategica. Gli obiettivi infatti non possono essere definiti astrattamente senza riferimento alcontesto, alle risorse e alle alternative che si riescono a generare. In tal senso l'ambiente, le competenze e leidee non sono esclusivamente mezzi che realizzano predefinite finalità, ma concorrono alla coproduzionedegli stessi obiettivi.Ritornando alla prima obiezione sulla non linearità sequenziale della logica di pianificazione unparticolare apprezzamento merita la cosiddetta “turbina strategica” di Ansoff sia per aver ricondotto i varipassaggi logici a tre momenti, sia per la circolarità ricorsiva che evidenzia la coproduzione del problemsolvingstrategico. Il dato più interessante, sul quale lo stesso Ansoff non si sofferma, è che la riconduzionealla tri-logia: analisi, scelta, implementazione permette di percepire la decisione strategica come emergenzadell'interazione tra interpretazione, progetto e attuazione riconnettendola in tal modo alla produzione delsenso nell'azione.La riduttività riscontrabile sopratutto nell’accostamento dell'implementazione all'attuazione(realizzazione fenomenica dell'interpretazione-progetto) è in realtà un vantaggio che permette di distingueremeglio il livello strategico da quello operativo rimanendo in tal modo ancorati ad un'ottica di verticeimprenditoriale.Il modello IPIR (interpretazione-progettazione-implementazione-realizzazione) della formazione delgoverno e della strategia riproduce anche lo schema del divenire esistenziale di impresa del tipoindeterminazione-determinazione-indeterminazione. L'interpretazione è collocata nell’indeterminazione neiconfronti del futuro, fonte originaria delle possibilità, preposta a comprendere l’esserci dell’impresa nelproprio ambiente. L’interpretazione è collegata alla indeterminazione ermeneutica dell’agire. Laprogettazione è il momento di determinazione simbolica nel quale si generano e si valutano concretepossibilità che arricchiscano il senso dell'esserci d'impresa e si sceglie la prospettiva preferita che viene cosìdeterminata in quanto la si proietta nello schermo dei futuri possibili.L’implementazione-realizzazione che esprimendo l’interpretazione-progettazione diviene azione tornanuovamente a fare i conti con l’indeterminazione del reale che pone in evidenza la ricchezza e la molteplicitàdell’esperienza vissuta rispetto ad ogni possibile determinazione progettuale. L'attuazione è quindi collegataall'indeterminatezza pragmatica dell'agire. Una pianificazione strategica che voglia essere vicina al sensoreale della strategia di impresa esplicitandone i significati deve, in primo luogo, tener presente la riduttivitàdel intervento e, secondariamente, riprodurre in modo ologrammatico al suo interno il divenire esistenziale diimpresa che dalla indeterminazione passa alla determinazione per poi immediatamente aprirsi a nuovaindeterminazione.La proposta validità del circolo recorsivo di IPIR risiede allora non tanto in un’astratta razionalità chelega a certi antecedenti altri conseguenti, quanto nel fatto che questa visione di pianificazione appareomologa rispetto alla generazione del senso strategico vuoi che questo venga formalizzato in piani, vuoi chevenga espresso in significativi, vuoi, ancora, che rimanga inespresso ma venga comunque vissuto allo statolatente. In questo tipo di ottica in cui la pianificazione è uno specchio della strategia che seppur in modoriduttivo ha la finalità di rifletterla per proiettarla nel futuro, il collegamento di retroazione tra le varie fasi diun processo e soprattutto la giustapposizione di un’altra fase, la definizione degli obiettivi, appareprofondamente inadeguata rispetto alle complessità in gioco.Gli obiettivi, così come i valori, le risorse, le integrazioni e gli stessi risultati (esiti) sono all’'interno diciascun momento di pianificazione e anzi con questa si co-producono. I compiti di formazione della strategiadifferiscono sostanzialmente per contenuto e priorità in relazione alla tipologia di strategia che si intendeimpostare a livello corporate.In presenza di un processo strategico di sviluppo i compiti di formazione possono difficilmente esseregeneralizzati ma per lo più sono specificati in relazione alla morfogenesi che si presume essere necessariaper l’impresa. Nonostante il diffondersi delle idee di “innovazione continua” il vero sviluppo aziendale sipresenta ancora ad intervalli non brevi di tempo, soprattutto se tale processo viene riferito solo a quellemodifiche che interessano l’intera impresa e non un singolo business o una singola funzione. In un’impresaconglomerata l’investimento o il disinvestimento di un singolo business possono non assurgere acambiamento della struttura in cui si sviluppa la strategia a livello corporate. Tali considerazionisuggeriscono la distinzione di una struttura strategica a livello corporate e di una struttura strategica per5


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiciascun business. Ove per struttura strategica si intende quella parte di struttura aziendale formata daoggettivazioni quali-quantitativi essenziali e relativamente stabili esplicitate in sistemi di significato chemediano simbolicamente i rapporti dell’impresa con le persone che la compongono, con gli altri attorieconomici e non, con il sistema di risorse e le altre condizioni materiali dell’ambiente in cui è inserita. In talmodo pertanto risulta possibile riferire i processi strategici di sviluppo e di stabilità sia a livello corporate,che a livello business. Si può pertanto pensare ad una strategia di sviluppo di un certo business compatibilecol mantenimento struttura stategica del corporate e viceversa. Corporate e business divengono allora unitàrelativamente autonome che pur parte di una stessa impresa possono continuare a esistere anche se da questaenucleate nelle varie forme di gestione straordinaria (scissione, scorporo, alienazione, ecc). Non è forseinopportuno anticipare che qualsiasi decisione di sviluppo, e quasi in negativo di stabilizzazione, compete, diregola, al massimo vertice imprenditoriale e quindi di competenza del livello corporate.Diversa è la situazione nei processi strategici di stabilizzazione in cui la pianificazione può in qualchemodo essere routinizzata in cicli che vanno da un minimo di due ad un massimo di cinque anni in relazionealla dinamicità dell’impresa e dei business in cui opera. Con ciò non si vuol affermare che la pianificazionestrategica può avvenire solo all’interno di una struttura data, il che sarebbe come riaffermare l’ormai superatarelazione struttura →strategia. Si vuol solo affermare che è possibile pensare a un processo formale dipianificazione strategica, così come proposto in letteratura, solo in presenza di una certa stabilità strutturalealmeno a livello corporate: fissare un calendario triennale di incontri ha poco senso se l’articolazionestrategica non è ancora stata definita o se le persone che parteciperanno non sono ancora stare assunte e cosìvia. Le considerazioni che seguono sono allora riferite prevalentemente alla pianificazione in processi direlativa stabilità della struttura strategica a livello corporate. Certo le seguenti notazioni potranno formare unutile traccia anche in periodi di sviluppo, specialmente dove il vertice si sia fatto autorevolmente carico diindicare la nuova struttura di riferimento. Ma in questi momenti di “catastrofe” la pianificazione pone inevidenza tutti i suoi limiti: il suo riduzionismo intrinseco a questo strumento di determinazione del diveniredi impresa diviene del tutto insufficiente a governare il livello di complessità della morfogenesi. Per unacorretta impostazione della pianificazione strategica formale in periodi di stabilità è necessario passare daindicazioni generali ad una programmazione via via più dettagliata. Ogni articolazione strategica deve poterattingere dalla definizione di una strategia di competenza una dichiarazione di intento, delle sufficientiinformazioni per orientare l’azione, una serie assai limitata di obiettivi e un piano di azione che la coinvolgadirettamente. In altre parole l’esplicitazione della strategia dovrebbe avvenire sulla base di una percezioneampiamente condivisa delle potenzialità attuali e delle prospettive future dell’impresa. Un processo dipianificazione che coinvolga tutti i responsabili dell’attuazione della strategia stimola l’espressione diopinioni e di suggerimenti, favorisce l’apprendimento anche attraverso la condivisione di esperienze e indefinitiva suscita l’impegno personale nella realizzazione di quelle strategie che il manager ha almenol’impressione di aver contribuito ad impostare. La pianificazione strategica assurge allora anche a strumentodi governo delle relazioni informali. I soggetti coinvolti dovrebbero sviluppare finalità e valori ampiamentecondivisi, una cultura comune e uno spirito di corpo che li guidino nella realizzazione degli interessidell’impresa, così come definiti dalla strategia, in tutte le mutevoli situazioni concrete che il vissutod’impresa può presentare. Il principio di equifinalità che viene indotto dalla pianificazione non ha tantoconnotazioni sistemiche, quanto aspetti sociali e culturali che sviluppano meccanismi di coordinamento piùbasati sul clan che sull’organizzazione formale. I compiti di pianificazione strategica possono allora esserespecificati in relazione ai momenti logici di interpretazione, progettazione e implementazione. Larealizzazione come azione fenomenica in sé e per sé considerata non fa parte del governo dell’agire e quindidella pianificazione della strategia, ma dell’azione, dei suoi esisti, dei suoi risultati solo in parte imputabiliall’agire umano e sempre, in altra parte, derivanti dalle sorti imponderabili espresse dalla natura e dal caso.Nel primo paragrafo si è già visto a cosa si intende per interpretazione, progettazione e implementazionenel governo è ora il caso di accennarne l’applicazione a quell’aspetto di PESO che è la strategia.L’interpretazione del contesto dei contenuti della strategia.Sembra ovvio rilevare che il contesto di formulazione della strategia contenga l’interpretazione dei suicontenuti. Il momento dell’interpretazione privilegia l’individuazione e la definizione della strutturastrategica così come posizionata nel proprio contesto ambientale e delle minacce e delle opportunitàcontingenti. In particolare la struttura strategica può riferirsi ai seguenti elementi: ampiezza delle attivitàsvolte in termini di produzioni, clientele, tecnologie, aree geografiche di riferimento; segmentazione perbusiness; politica di governo degli interessi con gli stakeholders; stile di governo imprenditoriale delpersonale e delle altre risorse; cultura pregnata da valori, principi etici e regole fondamentali dicomportamento; obiettivi di performance della strategia con particolare riferimento agli aspetti finanziari,6


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeireddituali e di crescita. Per la definizione di cosa esattamente si intenda per interpretazione del contestostrategico si rinvia ai prossimi paragrafi.La progettazione della strategia.Il momento della progettazione si incentra in particolar modo: sulla definizione degli specifici obiettividi performance strategica; sulle spinte e sulle sfide strategiche; sulla formulazione di strategie generali; sulladefinizione dei criteri di priorità per l’assegnazione delle risorse; sulla impostazione di programmi di azionedettagliata; sulla valutazione delle azioni specifiche; sulla allocazione definitiva delle risorse; sulladefinizione dei parametri di performance per il controllo direzionale; sulla budgettizzazione.L'implementazione della strategiaIl momento della implementazione genera dei compiti di: incentivazione e motivazione del personale;attivazione dei processi; divisione del lavoro; attivazione del sistema informativo di monitoraggio econtrollo. L'implementazione è un intervento volto a instaurare un sistema di determinismi organizzativivolti alla attuazione di una strategia intenzionalmente prefissata (Ciappei, 1990, pag. 134). Questo momentoattuativo è di cruciale importanza in quanto, trasformando la razionalità soggettiva in razionalità sistemica,getta un ponte tra i soggetti che hanno deliberato la strategia e il sistema-impresa deputato alla suarealizzazione. Implementazione è un termine mutuato dall'informatica e che ha avuto un certo successoanche nella ingegneria genetica. In informatica il soggetto implementa un programma nel sistema ciberneticocreando particolari meccanismi che permettono al sistema di compiere determinate operazioni. Una voltaimplementato il programma fa svolgere all’hardware le operazioni “progettate” dal soggetto. In ingegneriagenetica si implementano "spezzoni" di DNA in cromosomi di esseri viventi creando meccanismi diequifinalità biologica verso certi prefissati risultati. Ad esempio i geni di certi batteri vengono manipolatiintroducendo certe sequenze cromosomiche che inducono la produzione di certe sostanze. Nell'idea diimplementazione sono dunque presenti due diversi, e a prima vista opposti, concetti quello di strumentalità equello di autonomia. La strumentalità è insita nel fatto che il soggetto orienta il sistema a proprie finalità.L'autonomia, che è la caratteristica peculiare della implementazione, si manifesta nel fatto che il sistema, purorientato dall'implementazione, realizza finalità non proprie con propri meccanismi di funzionamento. Nelcaso dell'informatica tale autonomia è relativamente banale, ma nell'ingegneria genetica, e per diversi aspettianche nella strategia di impresa, questa autonomia non può essere ridotta ad automatismo. In entrambi i casiil sistema ha una propria auto-organizzazione che fa proprie a livello di funzionamento le finalità intostedall’implementazione. Nel batterio però si tratta di meccanismi biologici relativamente determinati, mentrenell’impresa invece si tratta di relazioni sociali difficilmente prevedibili e generalizzabili. In definitival’implementazione non è un fare, ma un far fare o un creare le premesse organizzative perché ciò cherichiesto dalla strategia possa essere più agevolmente fatto.5. La formulazione della strategia a livello businessI compiti della formazione della strategia prima enunciati debbono essere riferiti, con specifiche diverse,a ciascuna articolazione strategica. Pertanto tali compiti non vengono solo moltiplicati per il numero deilivelli ma per ciascuna articolazione e quindi per la somma del corporate col numero dei business e colnumero delle singole funzioni presenti in ogni business.5.1 La definizione del businessLa formazione della strategia a livello business presenta due fondamentali problematiche: la definizionedel business e della relativa articolazione strategica (SBU); - la formazione dei contenuti della strategia alivello business.Nella definizione del business l’impresa determina le sue due componenti principali rappresentate dallaStrategic Business Area (SBA) dalla Strategic Business Unit (SBU). La SBA è quella parte di ambienteesterno all’impresa in cui si trova il business, cioè la possibilità di svolgere una determinta attività facendoaffari. La SBU, articolazione strategica a livello business, è l’insieme delle risorse e/o dei progetti di unadeterminata impresa destinati allo sfruttamento della individuata SBA. Per comprendere la distinzione tra idue concetti si può allegoricamente pensare ad un unico giacimento di petrolio (SBA) sfruttatocontemporaneamente da impianti di pompaggio (SBU) di proprietà di diverse imprese.La precisazione è tutt’altro che superflua in quanto parte della letteratura italiana, a cui per altro sidebbono originali contributi sul tema, crea non poca confusione adottando la denominazione di Area7


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiStrategica di Affari (ASA) facendo a volte riferimento alla SBU, altre volte alla SBA. Il rapporto tra SBU edSBA è complementare ma anche distinto. Su una determinata SBA concorrono normalmente diverse impresecon altrettante SBU e ciò indipendentemente dal fatto che tutte le imprese abbiano o meno una definizioneanaloga dei propri relativi business. L’ultimo rilievo necessita di un qualche chiarimento: il territoriocompetitivo può essere rappresentato dalle diverse imprese attraverso differenti mappature di business, ma inogni caso, anche se le definizioni dei business sono diverse, si realizzerà comunque una loro sovrapposizioneconcorrenziale.L’articolazione strategica a livello business, nel linguaggio qui utilizzato sinonimo di Strategic BusinessUnit (SBU), deve essere delineata riferendosi prevalentemente alla dimensione esterna rappresentata inparticolare dalla clientela e dalla concorrenza.L’analisi della segmentazione per business è un compito tipico del livello corporate, è comunque il casodi ricordare che il procedimento di definizione del business può essere così schematizzato: a) individuazionedel territorio competitivo; b) mappatura del territorio competitivo con delimitazione delle proprie SBA,coincidenti o meno con le delimitazioni effettuate dalla concorrenza, ma comunque a queste sovrapposte(salvo il caso di monopolio); c) individuazione della SBU come riflesso interno della mappatura strategicaeffettuata con la delimitazione della SBA.La SBU può essere una unità operativa, e cioè un insieme di risorse organizzativamente strutturate, odanche solo una mera articolazione strategica, cioè un centro di pianificazione, un punto figurativo perl’imputazione di progetti e di per sé privo di risorse. In ogni caso la SBU raggruppa un insieme di prodotti edi servizi destinati a clienti abbastanza omogenei in diretta competizione con un gruppo ben definito diconcorrenti. Il concetto di SBU nasce negli anni ‘70 dalla collaborazione della General Electric con la societàdi consulenza Mc Kinsey al fine di gestire la sua attività conglomerata in tante “quasi-imprese” (Fazzi,1982), cioè in tante unità gestionali relativamente autonome sul piano strategico.Da allora si sono succedute diverse definizioni che ruotano intorno a vari connotati prevalentementeorientati verso elementi esterni, e in particolare in ordine di importanza: 1) clienti esterni omogenei; 2)concorrenti omogenei; 3) massima omogeneità interna dei prodotti e massima differenziazione esterna neiconfronti dei prodotti appartenenti ad altre SBU della stessa impresa con particolare riferimento ai criteririlevanti nella percezione dei clienti o degli utilizzatori finali (ad esempio con riferimento a prezzi, allaqualità, allo stile, ecc.); 4) relativa autonomia gestionale e strategica intesa come idoneità ad avere unproprio valore di mercato e di avviamento e quindi ad essere scorporata, ceduta o liquidata in quanto in gradodi funzionare anche in assenza del supporto di altre componenti dell’impresa in cui è inserita.La rilevanza dei criteri di definizione della SBU è prevalentemente orientata verso il mercato sia deiprodotti in questa raggruppati, sia della SBU stessa. Comunque si trovano a volte anche definizioni cheattribuiscono rilevanza ad aspetti interni soprattutto con riferimento alla condivisione di risorse critiche comeimpianti, tecnologie, approvvigionamenti ed altro, e ciò soprattutto nelle imprese con organizzazionefunzionale o con strategie fortemente orientate allo sfruttamento di interrelazioni tra i vari business.Infatti una definizione prevalentemente proiettata all’esterno della SBU presenta delle controindicazionispecialmente nelle imprese con struttura funzionale in cui non è normalmente possibile, ed in ogni casorisulta estremamente difficoltoso, realizzare il criterio della relativa autonomia gestionale. In questi casi ènecessario combinare la forte interdipendenza funzionale con le necessità di articolazione strategica il chepuò portare ad una maggior rilevanza dei criteri di condivisione di risorse interne nella definizione dellaSBU, anche con parziale scollamento con l’esigenza strategica di definizione della SBA. Inoltre, in ognicaso, la propensione esterna dei criteri di definizione delle SBU può essere causa, anche nelle impresediversificate, di rilevanti diseconomie di condivisione in quanto l’autonomia strategica delle singolearticolazioni può mettere in ombra le potenziali interrelazioni e interdipendenze tra i diversi business. Inquesto caso è possibile che sfruttamenti di forti condivisioni portino ad una rilevanza di criteri interni nelladefinizione del business.Anche in presenza di criteri interni nella definizione della SBU per non vanificare il ruolodell’articolazione strategica è importante che si verifichino comunque le seguenti condizioni:o le produzioni della SBU devono comunque avere uno sbocco esterno e non essere destinate adattività interne all’impresa o al gruppo;o i prodotti della SBU devono confrontarsi con quelli di specificati concorrenti nei confronti dei qualisi cerca di acquisire vantaggi competitivi;o il responsabile di una SBU deve essere sempre identificato in una persona fisica anche se nonnecessariamente in un dirigente di line. In particolare in presenza di organizzazione funzionaledovrebbe esserci un responsabile di business almeno con compiti di coordinamento strategico;8


ooDispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiil responsabile della SBU deve poter avere una certa autonomia gestionale e se l’organizzazionemultidivisionale coincide con l’articolazione strategica per business deve aver una certa autonomiadi impostare le modalità competitive e di acquisizione delle risorse, creando anche una concorrenzatra forniture interne e approvvigionamenti da fornitori esterni;le relazioni strategiche a livello SBU sono prevalentemente di efficacia e non di efficienza, in altritermini la SBU è un centro di profitto reale e non un centro di costo. Con l’aggettivo “reale” si vuolsottolineare che qualora i prodotti della SBU vengano destinati anche all’interno è auspicabile checiò avvenga attraverso prezzi di trasferimento negoziati dagli interessati e non imposti dal vertice.In particolare l’interpretazione del contesto e del “testo” a livello business può essere vista anche comerisultante dell’insieme ricorsivo di altri momenti logici e precisamente: a) l’interpretazione del contesto dibusiness con particolare riferimento alla SBA; b) l’interpretazione della situazione dell’articolazionestrategica a livello business (SBU); c) il posizionamento interpretato dell’articolazione strategica a livellobusiness.L’interpretazione del contesto esterno ha assunto una netta prevalenza rispetto alla interpretazione dellasituazione interna di business, soprattutto in settori ad alta turbolenza.L’approccio Long Range Planing assumeva la centralità della cosiddetta “analisi prospettiva interna”confidando nelle capacità dell’impresa di modificare profondamente l’ambiente in cui si trovava ad operare.Le tendenze attuali sono particolarmente orientate ad accentuare l’importanza della interpretazione delcontesto con particolare riferimento alle variabili competitive.Gli strumenti tradizionali di analisi esterna possono essere acquisiti anche da un’ottica propriamenteermeneutica purché si tenga presente che, accanto ai tipici meccanismi di spiegazione, venganoadeguatamente considerati elementi di comprensione e di atteggiamento che a volte escono dai tradizionalischemi di causa-effetto. Tra tali strumenti ricordiamo: - l’analisi di settore; - l’analisi competitiva attraversole cinque forze proposta da Porter; - l’analisi ambientale basata sui fattori esterni di stampo harwardiano(minaccie e opportunità); - l’analisi dei raggruppamenti strategici; - l’analisi comparativa di bilancio.L’individuazione dei concorrenti più rilevanti è una delle classiche intersezioni tra l’interpretazione delcontesto e l’interpretazione della SBU. La SBU si trova sin dall’origine gettata in una contesto competitivo enon è quindi possibile considerare ai fini strategici un determinato contesto senza far riferimentoall’articolazione per la cui strategia si sta svolgendo il momento interpretativo.In questo senso l’interpretazione del contesto concorrenziale può addirittura partire dalla proiezionedelle caratteristiche interne sugli operatori esterni per individuare gli specifici concorrenti. Molte volte,soprattutto per le piccole e medie imprese e nei mercati frammentari, l’individuazione del mercato èaddirittura effettuata attraverso la somma dei concorrenti con i quali l’impresa intende confrontarsi.In questi casi il procedimento può risultare il seguente:! delimitazione degli ambiti geografici di presenza della SBU;! definizione dei segmenti di mercato prescelti dalla SBU;! individuazione dei concorrenti presenti negli ambiti geografici e nei segmenti di mercato prescelti;! determinazione dell’ampiezza del mercato attraverso la somma delle vendite della propria SBU e deiconcorrenti individuati;! calcolo della quota di mercato come rapporto delle vendite della propria SBU con quelle del mercatocosì come sopra calcolate.E’ evidente che partire dal profilo competitivo dell’impresa per individuare attraverso i propriconcorrenti il mercato di riferimento non stimola certo la creatività nella definizione del business, innescandocomportamenti imitativi della concorrenza e lasciando in ombra opportunità di mercato non ancora sfruttate.In particolare l’individuazione dei concorrenti diretti può essere impostata vuoi sotto un profilo di mercato,vuoi sotto un punto di vista funzionale. L’elevata quota di mercato, il notevole aumento delle vendite, laredditività superiore a quella della SBU, l’aggressività o la vulnerabilità rispetto a determinati interventifunzionali sono tutti elementi che possono concorrere a determinare la rilevanza e la pericolosità specifica diun determinato concorrente. Anche in presenza di una pianificazione strategica non formalizzata è assaiconsigliabile sviluppare brevi schemi di sintesi della interpretazione del contesto sviluppata sulla SBAassunta a territorio competitivo.6. La formulazione della strategia a livello corporate9


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiSchematicamente il processo di formulazione della strategia a livello corporate definisce, in termini dicontenuti:• l’ampiezza dell’attività d’impresa in termini di business in portafoglio;• l’ampiezza dell’attività in termini di mercati, intesi soprattutto come estensioni geografiche diriferimento;• l’ampiezza e il livello di competenze distintive condivise dai vari business con particolareriferimento a quelle tecnologiche esclusive e a quelle finanziarie di reperimento fondi;• l’ampiezza e il livello dei contributi economici e finanziari richiesti all’impresa dai suoistakeholders;• la diffusione e il livello di apprezzamento e di consenso sociale che l’impresa genera nei propristakeholders.Nella formulazione strategica a livello corporate si concentra l’attenzione imprenditoriale sulle variabilichiave del rapporto impresa-ambiente che formano altrettanti poli di attenzione a livello dell’impresa nel suocomplesso.6.1 La segmentazione dell’articolazione strategicaI criteri di segmentazione sono i più svariati e generalmente riferiti a: - linee di prodotto; - marchi ogriffes che denominano più linee; - clienti o utilizzatori finali; - catrgorie di bisogni soddisfatti; - areegeografiche;- forme distributive;- tecnologie e altro ancora.Tali criteri possono essere mixati per definire business attraverso la loro intersezione ( ed in modelloAbell ne è un esempio). La scelta di un criterio di segmentazione dovrebbe corrispondere a un focusstrategico da esaltare assumendolo a base dell’articolazione di business, il ricorso a un mix di criteri base daun lato permette una pluri-focalizzazione, dall’altro rischia di confondere e di svilire la stessa portatastrategica del criterio multiplo adottato. Di norma si raccomanda di non eccedere i tre criteri disegmentazione, mentre solo due sono spesso più che sufficenti. In ogni caso non è detto che lo stesso criteriosemplice o composto venga adottato per la segmentazione di tutti i business presenti in impresa. Non di radosi verifica che i business vengono identificati con ratio tra loro diverse. A costo di essere banali, si pensi cheun impresa abbia dieci business due possono essere individuati attraverso un criterio di linea di prodotto,cinque mediante un criterio di cliente-tecnologia e irestanti tre secondo la forma distributiva. Un tale risultatonon deve sorprendere se infatti il corporate non riesce ad unificare le priorità intorno a due o tre focusstrategici comuni a tutti i business e non vuol svilire la portata della segmentazione, è gioco forza adottarecriteri differenziati. Risulta allora molto importante l’immediata regolazione di competenza di eventualisovrapposizioni che criteri differenziati possono creare sugli stessi prodotti. Ameno di non ricorre acomplesse articolazioni strategiche a matrice risulta cruciale che ciascun articolo in gamma si riferito ad unae una sola SBU.La presenza di criteri multipli e differenziati di segmentazione e della relativa regolazione dellecompetenze per le sovrapposizioni consiglia la redazione di un semplice schema che espliciti e serbimemoria della articolazione formulata. Un tale schema dovrebbe indicare: a) la denominazione della SBU; b)i criteri di segmentazione; c) le motivazioni sintetiche di scelta dei criteri; d) la regolazione di competenzaper eventuali sovrapposizioni su determinati prodotti; e) la responsabilità organizzativa.Utilizzando una buona dose di prudenza, la segmentazione per business: - genera l’articolazionestrategica di livello business; - focalizza il processo di pianificazione secondo l’articolazione generata; -delimita gli ambiti in cui si formula la strategia di business; - esprime un senso di ordine, orientandol’interpretatazione e ordinando secondo priorità implicite la progettazione; - indica delle priorità nellemodalità competitive che dovrebbero informare i criteri di segmentazione.In tal senso si evidenzia l’anello ricorsivo del tipo segmentazione per business ⇔ strategia di impresache altro non è se non una specifica del rapporto tra strategia e struttura strategica. La segmentazione perbusiness definisce gli schemi mentali della formulazione strategica e l’intenzione strategica indica le prioritàcompetitive che informano i criteri di segmentazione.Le posizioni di mercato, che evidenziano il potere anche distributivo che l’impresa esercita nelle areegeografiche in cui è presente, sono necessariamente formate e valutate sulla base della segmentazione svolta.Infine la dove le dimensioni d’impresa e dei singoli business lo consentano risulta opportuno far coinciderela struttura organizzativa multi-divisionale con l’articolazione strategia a livello business, anche a costo disub-ottimizzate sia la focalizzazione strategica, sia la ripartizione organizzativa. Il tema viene comunqueaffrontato a proposito di organizzazione come strumento di governo strategico di impresa.10


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei6.2 I momenti logici della formazione della strategia a livello corporateLa strategia complessiva si forma a livello corporate in quanto è al massimo vertice d’impresa che siinterpreta una visione comune, si esercita la leadership unificante e si formula una strategia condivisa tratutte le articolazioni strategiche e organizzative che ne fanno parte. Un tale obiettivo può essere raggiunto se,e nella misura in cui, si riesce a comunicare un senso di appartenenza ad una comune cultura e uno spirito diiniziativa rivolto a giudicare la convenienza soprattutto a livello corporate senza esaltare eccessivamente leeventuali sub-ottimizzazioni delle singole articolazioni strategiche. La maggior lontananza del livellocorporate dalle attività operative implica una maggiore importanza dello stile di direzione strategica chedovrebbe, in vario modo, non solo possedere, ma anche trasmettere un vero e proprio entusiasmoimprenditoriale.A livello corporate le logiche di azione sono complesse e comprendono: a) la logica dell’imprenditorefocalizzata sulla generazione e sul coordinamento dei vari business; b) la logica dell’investitore concentratasulla allocazione delle risorse; c) la logica manageriale incentrata sull’utilizzo di tecniche direzionali.Queste tre logiche informano i sei momenti della pianificazione strategica a livello corporate eprecisamente: 1) l’interpretazione dell’impresa nel suo complesso; 2) la progettazione della strategia delcorporate; 3) l’allocazione delle risorse; 4) il consolidamento delle strategie formulate dalle variearticolazioni; 5) l’implementazione della visione interpretata a livello corporate e della strategia progettata;6) il realizzarsi della strategia complessiva d’impresa empiricamente in atto.Il primo e il quarto momento rispondono a tutte e tre le suddette logiche, il secondo alla logicatipicamente imprenditoriale, il terzo ad una logica d’investimento, gli ultimi due ad una logica segnatamentemanageriale. Anche tali momenti come tutti quelli precedentemente esaminati non possono considerarsi inalcun modo strettamente sequenziali e il loro svolgimento è caratterizzato da ampie sovrapposizioni e daanelli ricorsivi di co-definizione.6.3 L’interpretazione del contesto d’impresa a livello corporateIn un’impresa anche di medie grandi dimensioni l’interpretazione del contesto a livello corporate sicaratterizza rispetto a quella a livello business unicamente per il maggior rilievo attribuito ai rapporti con glistakeholders. Tant’è vero che i due momenti dell’interpretazione del contesto non sono neanchedocumentalmente distinti: l’interpretazione a livello corporate colloca l’impresa nel proprio ambiente socialeed è seguita da quelle a livello business a contenuto prettamente competitivo.Le interpretazioni del contesto a livello corporate nettamente distinte da quelle del livello businesshanno un senso solo a livello di grande impresa, magari multinazionale. Infatti tali considerazioni sidifferenziano da quelle classiche di interpretazione competitiva del business solo se riferibile a livello macrocioè allo stato generale dei settori e dei paesi in cui l’impresa opera o intende operare.In particolare l’interpretazione di un corporate multinazionale può formarsi attraverso la sintesi deiseguenti punti:! formazione di uno scenario generale dei paesi e dei settori d’interesse considerando le principalivariabili macro-economiche (P.I.L., tasso d’inflazione, prime rate, disoccupazione, andamento deicambi, ecc.);! proiezioni delle tendenze generali sui mercati in cui l’impresa ha propri interessi e valutazione deiconseguenti impatti sugli specifici business tenendo presente sia l’ipotesi più probabile, sia ipotesicon scostamenti ottimistici o pessimistici da quella giudicata plausibile;! interpretazione dell’evoluzione tecnologica, in quanto l’impatto di tecnologie emergenti si ripercuotefortemente su più business attraverso le condivisioni sviluppate dal corporate;! valutazione della disponibilità di risorse umane sia in termini di manodopera e di personaleimpiegatizio negli ambiti geografici di riferimento, sia in termini di quadri e di management ancheesterno da distribuire tra le varie articolazioni strategiche;! assunzione di informazioni e prudente valutazione sulla sfera politica, legale, sociale, sindacale,relative ai settori e alle aree geografiche di interesse.L’interpretazione del contesto interno a livello corporate implica anche un certo grado di definizione deilimiti in cui si svolge la formulazione della strategia. Siamo di fronte ad una possibilità ben superiore aquella di business di sviluppare una interpretazione creativa, un’interpretazione cioè che propone anche unvero e proprio progetto di articolazione strategica che spesso supera i limiti temporali dello stesso ciclo dipianificazione. Siamo di fronte, insomma, alla definizione di una vera struttura strategica da parte del11


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeivertice imprenditoriale e in questo senso appare riduttivo denominarla soltanto “interpretazione”. Da quil’espressione formulazione della visione strategica dell’impresa nel suo complesso che in termini diformazione della strategia si pone sicuramente come momento interpretativo e reinterpretativo dell’identitàd’impresa, ma che in termini imprenditoriali può essere considerata come conio della matrice dei progettistrategici.In questa ottica valido strumento per l’interpretazione, la reinterpretazione e la progettazione di questavisione strategica è la polarizzazione a livello corporate che permette di sintetizzare lo schema semantico diriferimento assunto a livello imprenditoriale per la comprensione dei collegamenti dell’impresa al suocontesto di riferimento.Il modello di polarizzazione concentra l’attenzione imprenditoriale sui poli del corporate e in tal sensoquesto può divenire oltre che interpretativo anche progettuale della realtà d’impresa. Mentre a livellobusiness il consenso sociale rimane in ombra, a livello corporate assume pari dignità strategica rispetto aglialtri poli. In definitiva a livello corporate assumono un eguale grado di crucialità sia le strategie competitive,sia quelle sociali. Anzi proprio il fatto che le strategie sociali siano precipue del livello corporate nedetermina l’interpretazione privilegiata nella formulazione strategica. In particolare la direttrice che collegala missione dell’impresa all’equilibrio economico finanziario rappresenta la principale cerniera che unisce illivello corporate ai livelli business e funzionale.6.4 La progettazione della strategia a livello corporateLa progettazione della strategia è il momento più caratterizzante per definire lo stile del livellocorporate, e quindi del vertice d’impresa, nella formazione della strategia.I tre stili limite, tra i quali è possibile configurare modalità intermedie, sono: 1) lo stile d’investimento;2) lo stile manageriale; 3) lo stile imprenditoriale.Se il livello corporate si limita in sede di progettazione a selezionare, comporre e consolidare leproposte provenienti dalle altre articolazioni strategiche si realizza uno stile di investimento in quanto ilmomento centrale di tutto il processo risulta essere quello di allocazione delle risorse. Il livello corporate sicomporta allora come una sorta di semplice intermediario della proprietà incaricato di gestire un“giardinetto” business con il minimo coinvolgimento imprenditoriale nelle attività svolte, e con la massimaattenzione agli aspetti reddituali, generalmente a breve, e di contenimento del rischio.Se il livello corporate si limita in sede di progettazione a orchestrare il processo di formulazione dellastrategia coordinando le proposte provenienti dai business si realizza uno stile manageriale in quanto ilmomento centrale di tutto il processo risulta essere la gestione coerente del processo, più che un suo decisoindirizzo. Il livello corporate si comporta allora come una sorta di consulente incaricato di ordinare ilprocesso con metodologie manageriali sperimentate e condivise.Se invece il massimo vertice di impresa assume in sede di progettazione un ruolo propositivo diimpostazione e soluzione dei problemi dello sviluppo d’impresa saremo di fronte ad uno stile imprenditorialedi formazione della strategia. Il livello corporate considera i suggerimenti provenienti dalle variearticolazioni come un semplice momento interpretativo su cui retroagire con la progettazione di una nuova ediversa strategia d’impresa, come del materiale da costruzione sul quale progettate la “nuova impresadell’anno X”. In questo stile di formazione della strategia l’allocazione delle risorse assume un caratterequasi consequenziale, una configurazione simile alla verifica di fattibilità finanziaria di una architetturastrategica progettata a diretto contatto con i propri business. La foga strategica del protagonismoimprenditoriale travalica spesso in questo stile i limiti del corporate, per cui il vertice può arrivare ad entrarenei minimi particolari dei business e delle funzioni che nel momento sono di suo maggior interesse. Latendenza ad un forte accentramento strategico collegato ad un grado elevato di decentramento organizzativoè una delle caratteristiche delle medio-grandi imprese di famiglia e presenta il rischio di collegare ilcoinvolgimento del personale più sul carisma dell’imprenditore che su una cultura condivisa.In questo stile imprenditoriale la proprietà viene coinvolta anche per concertare i livelli di rischio che èdisposta ad assumere, e i livelli di redditività di medio periodo a cui non vuol rinunciare, ma soprattutto peravallare e sostenere la strategia imprenditoriale proposta dal vertice. Il fatto di sentirsi relativamentesvincolato da un governo di impresa per conto degli interessi della proprietà, ma di dover al contempogarantirsi il suo consenso su progetti di ampio respiro che potranno non produrre risultati immediati, conduceil vertice che adotta uno stile imprenditoriale ad una maggior attenzione e frequenza dei rapporti con laproprietà di quanto lo sia normalmente per chi segue la logica dell’investitore. Il primo dovrà sempre12


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeigarantirsi il coinvolgimento nel lungo periodo attraverso un rapporto spesso personale, mentre il secondopotrà sbandierare annualmente i risultati ottenuti e i dividendi distribuiti.Al di la dell’eccessivo protagonismo che connota spesso lo stile imprenditoriale i suo principalevantaggio sta proprio nell’incessante opera di composizione e ricomposizione dell’unità d’impresa ancheattraverso il coinvolgimento diretto del vertice nella soluzione delle problematiche interne ai vari assetti diimpresa e nella soddisfazione dei legittimi interessi dei relativi stakeholders.Stante che la logica dell’investimento imposta la progettazione quasi ad una raccolta di proposte davalutare in sede di allocazione delle risorse, si preferisce affrontare questo momento in un ottica più orientataallo stile imprenditoriale, limitandola però solo alle sue competenze corporate.6.4.1 Il posizionamento programmato: orientamenti, indirizzi, sfide e obiettiviIl posizionamento programmato permette la formulazione da parte del corporate degli indirizzistrategici di fondo atti a ricomporre l’unità delle varie intenzioni strategiche espresse a livello di singolearticolazioni. Nella fissazione degli indirizzi generali di azioni si addiviene ad una formula strategica dicorporate che traduce l’interpretazione acquisita in una vera e propria intenzione strategica capace di: -rispondere alle situazioni critiche individuate; - promuovere e spronare il cambiamento necessario ad attuarele indicate risposte. L’intenzione strategica si sostanzia in: - orientamenti strategici del corporate; -specifiche direttive strategiche. A sua volta la direttiva strategica contiene: - sfide strategiche; - articolazionidegli obiettivi e dei parametri di performance. Gli orientamenti del corporate sono indirizzi generali cheinformano la formazione della strategia attraverso la cultura d’impresa con particolare riferimento ai valori, ealla conseguente gerarchia tra finalità, che presiedono alla elaborazione del pensiero strategico nel lungoperiodo (cinque-dieci anni). Questi orientamenti non di rado concorrono a informare anche i criteri diarticolazione strategica. L’orientamento strategico esprime ciò che è giusto e conveniente per l’impresa equindi il senso di ideali che si ritiene poter realizzare, fonte di quotidiana ispirazione per tutti gli attori. Ledirettive rientrano nell’attività di comando e coordinamento strategico del corporate e contengono lemodalità di risposta ai cruciali problemi con cui la strategia deve confrontarsi nel medio periodo (tre-cinqueanni). A differenza degli orientamenti incidono meno sull’identità d’impresa, hanno minor prospettivatemporale maggiore cogenza organizzativa.L’indicazione di orientamenti e di direttive definisce ma non esaurisce il problema strategico. Ledirettive, in particolare, possono quasi paragonarsi a delle scatole, spesso semivuote, con delle etichette chedovranno essere riempite dall’autonoma creatività e inventiva degli attori delle singole articolazioni, chepertanto devono essere adeguatamente sollecitati, convinti e coinvolti dal livello corporate. Ecco il motivoper cui la direttiva strategica si esprime di sovente in sfide e obiettivi. La sfida è di sprone rispetto alcambiamento, la sua portata evocativa, e quindi prevalentemente qualitativa, è una forza contagiosa chemotiva e coinvolge della quale sarebbe uopo poter dire: “fatti non foste per viver come bruti, ma per servirvirtute e conoscenza”. L’obiettivo, anche se di minor portata evocativa, motiva all’azione e il caratterequantitativo lo rende più facilmente misurabile e quindi idoneo ad attivare la responsabilità dell’attoreinteressato e a divenire strumento di controllo direzionale.Oltre agli obiettivi, generalmente economico-finanziari per i singoli business (crescita, reddito, cashflow),a livello corporate vengono anche fissati i parametri di performance per le funzioni accentrate. Adesempio un parametro piuttosto utilizzato per la valutazione sintetica della funzione finanza e il differenzialetra tasso del costo del denaro d’impresa e il prime-rate medio annuo che tipicamente è una performance piùorientata all’efficienza, che all’efficacia della raccolta di capitali.6.4.2 La generazione e la selezione di alternativeLa concreata generazione di alternative e la loro selezione è forse la fase clou di tutto il processo diformazione della strategia in cui i momenti dell’interpretazione, della progettazione e dell’implementazionesi sovrappongono e si confondono maggiormente. Intelligenza, volontà e motivazioni formano quasi untutt’uno che definisce l’azione. Vari modelli psicologici, sociologici e anche filosofici hanno visioni diversedel diverso combinarsi di questi tre momenti, forse più o meno corrispondenti ai vari stili di selezione dellecondotte da parte dei diversi attori. Le possibilità sono davvero infinite, si pensi a chi decide il criteriod’interpretazione e ne deriva analiticamente tutto le azioni conseguenti, chi attua il “gramsciano” principiodel pessimismo dell’intelligenza e dell’ottimismo della volontà, chi ancora si lancia in progetti arditi facendo13


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiconto solo sulla sua intuizione e determinazione, chi, per finire la breve elencazione, in preda a deliri dipotenza basa la scelta sull’esaltazione che li procura la sfida ritenuta quasi impossibile.Il già considerato processo iterativo di problem solving stategico può essere in sede di programmazioneriproposto per tentare una sua focalizzazione su questo specifico momento eliminando tutte le probabiliretroazioni sul momento formulativo (riformulazione delle sfide e degli obiettivi) e dal momentoimplementativo (riprogrammazione degli interventi) e articolandolo in:! interpretazione ricognitiva del contesto di programmazione;! proposizione di alterative dettagliate ispirate dalla formulazione degli orientamenti e delle direttivegenerali;! elaborazione di ipotesi allocative di massima;! costruzione di piani eplorativi;! interpretazione valutativa della conformità delle alternative proposte alle sfide strategiche e agli esitiattesi;! selezione di uno spettro di alternative compatibili alla formulazione attuata e meritevoli di ulterioreapprofondimento;! costruzione di piani di fattibilità a livello business;! elaborazione di puntuali ipotesi allocative e loro aggregazione in alternativi pacchetti di interventi;! costruzione di piani di fattibilità a livello corporate sui pacchetti di interventi risultanti dalle ipotesiallocative;! interpretazione valutativa sui i pro e i contro di ciascuna alternativa compatibile sia in termini diperfomance business, sia di sinergie al livello corporate;! deliberazione di selezione finale della strategia prescelta;! costruzione di piani esecutivi;! effettiva allocazione (stanziamento) delle risorse.L’indicazione dei momenti non deve essere considerata come esaustiva, necessaria oppure anche solosequenziale, ma solo indicativa di una delle possibili modalità di approccio al problema. Il procedimentoviene riprodotto fino a quando, nel vincolo delle risorse e del tempo a disposizione, non si giunge ad unaalternativa soddisfacente su cui formare la deliberazione strategica. La programmazione ruota allora intornoa quattro logiche strettamente intrecciate che sono assunte, soprattutto a fini espositivi, a sue costituenti, eprecisamente:• la proposizione delle alternative;• l’allocazione delle risorse;• la costruzione simulativa di piani;• la deliberazione di selezione;L’esame dei temi dell’interpretazione e deliberazione già affrontati in altre parti, risulta qui opportunosoffermarsi sugli aspetti più marcatamente progettuali e precisamente sulla proposizione delle alternativa,sull’allocazione delle risorse e sulla costruzione di piani. Ciascuno di questi aspetti può essere più o menoimportante rispetto agli altri, svolto da attori organizzativi diversi con varie modalità di attuazione. L’insiemedi queste varianti forma lo stile di programmazione.La proposizione di alternative di intervento sui business. Il connotato di stampo più marcatamenteprogettuale, e quindi imprenditoriale, della formazione strategica a livello corporate è rappresentato dallaproposizione di alternative di intervento a livello business e a livello di funzioni accentrate. Il vertice puòcreare valore a livello corporate facendo sì che il valore dell’impresa nel suo complesso sia maggiore dellasomma dei singoli business.Un tale risultato viene normalmente raggiunto:# con una logica imprenditoriale attraverso lo sfruttamento di sinergie di collegamento tra business;# con una logica d’investimento attraverso il frazionamento del rischio che tende a minimizzare talicollegamenti.Nella logica imprenditoriale le alternative vengono elaborate, interpretate, progettate e selezionate dalvertice. Nella logica dell’investimento gran parte della selezione è effettuata già a priori dai dirigenti dellevarie articolazioni strategiche e al corporate non resta che scegliere tra un numero molto limitato dialternative rispetto a quelle concretamente possibili, e magari già preconfezionate e orientate a preferenze piùo meno consciamente espresse dal management. In molte occasioni il corporate può essere chiamato, cosìcome può avvenire per la proprietà meno attenta, ad accettare o rifiutare in blocco il progetto proposto dallaSBU. Affrontando in questa sede la programmazione degli interventi sui business è opportuno evidenziare14


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicome entrambe le logiche di creazione di valore passino attraverso i collegamenti tra business vuoi perattivarli vuoi per evitarli.Con particolare riferimento all’interventi del corporate sul livello business è possibile indicare dellevere e proprie vie guida all’attività del corporate. (Fazzi, 1982). Alle strategie determinate dalle vie guida,dette anche strategie prodotto-mercato-processo, viene dedicato un intero volume in questa sede è opportunoun semplice richiamo al solo fine di evidenziare il ruolo imprenditoriale nella programmazione a livellocorporate. Tali alternative, tali vie, sono sostanzialmente ordinabili in tre classificazioni volte a porre inrisalto la correlazione, la direzione e la portata dell’intervento strategico sul portafoglio business. La primache indica il coinvolgimento o meno di collegamenti orizzontali e/o verticali tra i vari business. La secondaevidenzia la direzione delle strategie volte a innovare o modificare i business in portafoglio. La terza pone inrisalto la portata estensiva o restrittiva della strategia corporate.Evidenziando che l’assenza di collegamenti si verifica solo nella diversificazione eterogenea o in quellaconglomerale si può definire le strategie in questione attraverso la triplice opposizione verticali/orizzontali;innovative/modificative (del portafoglio e non del singolo business); estensive/restrittive.Tra le strategie orizzontali si ricordano quelle:# modificative e estensive: l’espansione con eventuale salto dimensionale e lo sviluppo di nuoviprodotti nell’ambito di business esistenti o il loro approfondimento o ammodernamento anche con losviluppo di nuove tecnologie di prodotto;# modificative e restrittive: il ridimensionamento e l’eliminazione di prodotti all’interno di businessesistenti con eventuale rifocalizzazione del business,# innovative e espansive: l’introduzione di nuovi e diversi business correlati ai precedenti attraversouna più o meno accenta diversificazione che a seconda dell’intensità e del tipo della correlazione trabusiness può qualificare l’impresa multibusiness come specializzata in un settore o moderatamentediversificata;# innovative e restrittive: l’eliminazione di business esistenti attraverso la loro alienazione oliquidazione con eventuale rifocalizzazione del portafoglio;# in parte innovative e in parte modificative: la riconversione.Tra le strategie verticali si ricordano quelle:! modificative ed estensive: l’integrazione a monte e a valle per i soli volumi della fase integrante (oche comunque non comportino nuovi business in quanto non comportano nuovi mercati di sbocco);! modificative e restrittive: il decentramento produttivo e la deintegrazione a monte o a valle;! innovative ed estensive: l’integrazione a monte e a valle per volumi eccedentari della fase integrante(o che comunque comportino nuovi business con autonoma rilevanza di mercato);! innovative e restrittive: la deintegrazione che comporta il contemporaneo abbandono direlativamente autonomi business;! in parte innovative e in parte modificative: la ristrutturazione.L’interpretazione che interessa porre in evidenza, si limita all’intervento del corporate sui collegamentiorizzontali e verticali, vuoi per creare sinergie, vuoi per evitarle. E’ comunque da sottolineare che dalla metàdegli anni ottanta l’individuazione e lo sfruttamento di dette sinergie forse l’unico tema che ha “distratto” iltop-management anche statunitense dalla turre eburnea dell’alta finanza e che ha avvantaggiato egli attoricon maggiori doti di imprenditorialità di imprese multi-business. L’idea semplice di sfruttare le stesseconoscenze o apparati per fare qualcosa di diverso è tutt’altro che banale nella realizzazione e soprattuttonella concreta individuazione dei collegamenti attivabili. Infatti difficilmente questi collegamenti verrannoautonomamente suggeriti da articolazioni strategiche che non si conoscono e rischiano invece di non esserefelicemente attuabili da un vertice che non conosca a fondo le problematiche anche operative dei propribusiness.La strategia di collegamento orizzontale e forse la più importante modalità competitiva per generarevantaggi di costo operativo e sfruttare vantaggi di differenziazione basati su capacità esclusive o anchedistintive.I vantaggi di costo vengono generati attraverso economie di condivisione. Queste economie sipresentano come casi particolari di sfruttamento di sunk cost, di economie di scope, ma soprattutto sirealizzano come economie di scala congiunta: il condividere una attività tra più business determinanormalmente un incremento di costi molto minore rispetto alla maggior ripartizione degli stessi sulcomplessivo volume di produzione. Si capisce come in periodi a volte disperati recuperi di efficienza il poterampliare la base di ripartizione dei costi fissi determina non solo una forte spinta al collegamento deibusiness esistenti, ma anche all’ingresso in business altrimenti poco attrattivi al solo scopo di acquisirne15


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeimargini di contribuzione. Spesso le economie di condivisione, se elevate, inducono addirittura unainversione della tendenza al decentramento produttivo o comunque alla gestione multi-plan della produzione,altre volte il loro sfruttamento è la principale motivazione a processi di integrazione a monte o a valle.I vantaggi di differenziazione non sono di regola acquisibili direttamente attraverso la strategia dicollegamento orizzontale, ma la competenza sviluppata in un business può direttamente essere trasferita inun altro o comunque fertilizzarlo. Si pensi alla Benetton che sviluppato il vantaggio competitivo di controllodi un canale distributivo in franchising per maglieria, lo utilizza prima per convogliaci quasi ogni sorta dishopping goods, e poi sfrutta il know-how e le comuni strutture per generare un canale gemello, Sisley;diversamente posizionato solo in termini di immagine. Anche la quasi totalità degli stilisti affermati nelcampo dell’abbigliamento utilizza la propria immagine per griffare, ottenendo royalties di licencing,qualsiasi prodotto che abbia anche minimamente a che fare con lo stile o con il design. Ma, per concludereun’esemplificazione che potrebbe non avere fine, si pensi a quanti piccoli cartolai specializzati o negozi disport si stanno trasformando in empori o in moderni bazar nel tentativo, spesso disperato, di aumentare levendite con l’aumento delle linee in assortimento.Le strategie di collegamento orizzontale possono presentare degli svantaggi collegati ai costi dicoordinamento e ai compromessi collegati ad una non perfetta condivisibilità delle attività, ma sicuramentegli elementi negativi da prendere maggiormente in considerazione sono: la concentrazione del rischio;l’incremento di rigidità strategica.Infatti la sorpresa strategica che colpisce un’attività fortemente condivisa da più business diffondeimmediatamente i suoi effetti su tutte le altre attività collegate determinando una sorta di esplosione multiplaall’interno dell’impresa. Inoltre l’elevata condivisione tende a rendere meno autonomo il business e piùsensibile a variabili interne rispetto a quelle di mercato e quindi anche più difficoltosa la sua liquidazione oalienazione. Infine cambiamenti tecnologici o di mercato possono essere non attuati o ritardati in quantoriducono o addirittura eliminano la condivisione realizzata, creando di fatto un gap di flessibilità rispetto allaconcorrenza che non abbia perseguito analoga strategia.In tal senso può essere di ausilio la distinzione dei collegamenti orizzontali in: tangibili e intangibili.I collegamenti tangibili generano condivisione di apparati generalmente collegati alle attività dellacatena del valore. Anzi si può affermare che il principale contributo della catena del valore e, quindi, di tuttal’impostazione di Porter sul vantaggio competitivo è imputabile alla contestuale ricerca di crescenti gradi dicondivisione tra tutti i business d’impresa. Tipici sono quelli in cui più business utilizzano medesimiimpianti, reti logistiche, canali di distribuzione, tecnologie e così via. Tali collegamenti, più facilmenteindividuabili e più frequentemente attuati, sono anche quelli che massimizzano i rischi strategici sopraaccennati. I collegamenti intangibili riguardano invece la condivisione delle omonime risorse e riguardanosoprattutto l’immagine, il know how, l’introduzione in certi ambienti, la similitudine delle modalitàcompetitive, eccetera. Si racconta, ad esempio, delle economie manageriali ottenute dalla Philips & Morrisnello sfruttamento delle analogie di segmentazione della clientela nel business del fumo e in quello dellabirra. Le condivisioni di risorse immateriali sono più difficili da individuare e da cogliere, salvo forse quellecollegate all’immagine, e in ogni caso riducono a volte i rischi di diffusione della sorpresa strategica. Lapresenza di elevati collegamenti tangibili e non tra i diversi business ha un notevole impatto anche sullemodalità competitive.Imprese tradizionalmente caratterizzate da core business molto distanti possono trovarsi a competerecon vantaggi competitivi simili in business del tutto diversi come è avvenuto per le case automobilistiche egli stilisti dell’abbigliamento sul mercato degli occhiali. La nuova modalità competitiva che interessa unattività condivisa da più business può comportare risposte differenziate da parte di concorrenti diversi opossono ritorcersi anche su business non correlati tra loro se non per la comune presenza dei medesimiconcorrenti.La diffusione dei collegamenti tra business e la crescente importanza delle economie di condivisionegenerano due opposti problemi: a) come favorire lo sviluppo dei collegamenti; b) come far fronte alcrescente coordinamento da queste indotto. A quest’ultimo problema e possibile rispondere con una serie diinterventi di varia natura che possono essere così sintetizzati:! modifica della segmentazione a livello business;! creazione di livelli intermedi di articolazione strategica tra i business e il corporate;! progettazione di una articolazione strategica a matrice;! attivazione di classici meccanismi di coordinamento;! interventi sui contesti di controllo e di comunicazione;! interventi sulla gestione del personale.16


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiUna prima modalità di risposta è la modifica della segmentazione a livello business con aggregazionedei business con più elevate condivisioni. Un tale intervento se efficace sotto il profilo del coordinamento epoco costoso, rischia però di far prevalere la rilevanza interna dei criteri di segmentazione privandole di granparte dei vantaggi derivanti dall’essere il riflesso del mercato nell’impresa.La creazione di livelli intermedi di articolazione strategica tra i business e il corporate risolve il giàaccennato problema, ma verticalizza l’architettura strategica con conseguente allontanamento del corporatedalle problematiche di mercato. Questo intervento oltre a non favorire l’individuazione di nuovicollegamenti, introduce un ulteriore rigidità nella loro attuazione rappresentata dalla necessità di interveniresulla articolazione sovraordinata ai business ogni qual volta vi sia un cambiamento di significativecondivisioni.La progettazione di un’articolazione strategica a matrice con due focalizzazioni per business e perattività e forse la risposta più potente al succitato problema, ma genera una notevole complessità la cuimacchinosità e i cui costi non sono sempre giustificati dagli indubbi benefici che apporta.Assai più semplice è l’attivazione di classici meccanismi di coordinamento quali managers dicollegamento, task force, comitati.A volte gli interventi sull’architettura strategica, che comportano o meno modifiche di strutturaorganizzativa, sono assai meno efficaci rispetto a iniziative sui contesti amministrativi, di controllo e dicomunicazione. Parametri di performance possono favorire lo sviluppo di condivisioni, ma la vera sceltaimplementativa passa dalla regolazione, anche attraverso prezzi di trasferimento interno, della autonomia deibusiness tra approvvigionamento interno e acquisto esterno, nonché dalla costruzione si contesti di activitybased costing. Inoltre sono comunque necessari contesti informativi e di comunicazione non eccessivamenteverticalizzati, ma che colleghino anche orizzontalmente le varie articolazioni strategiche. Infine anche gliinterventi sulla gestione del personale possono svolgere il loro ruolo nel favorire e nel coordinare lo sviluppodi condivisioni. In particolare un contesto premiante che favorisca, magari anche in termini di carriera, ilpersonale più attivo nelle condivisioni può diventare un importante incentivo che comunque può soloaffiancare meccanismi di rotazione che favoriscono fertilizzazioni incrociate e lo sviluppo, anche attraversodi adeguata selezione e formazione, di competenze manageriali ampie, sempre specializzate ma noneccessivamente settorializzate in un certo business o in una certa funzione.L’allocazione delle risorse si inquadra in una logica d’investimento a livello corporate. L’allocazionedelle risorse è un momento eminentemente politico, in cui la gestione dei conflitti tra responsabili e delconsenso interno non possono essere ridotti ad un solo problema di misurazione di parametri finanziari.Proprio per questo l’allocazione delle risorse è l’aspetto più caratterizzante il livello corporate. Qualsiasi sialo stile di programmazione adottato il momento allocativo non è delegabile perché regola e seleziona l’an e ilquantum delle richieste provenienti da tutti gli altri livelli divenendo pertanto la principale ragion d’esseredella massima articolazione strategica.Anche se i modelli disponibili in dottrina sono prevalentemente orientati a risorse di tipo finanziario,l’allocazione riguarda tutte le possibili tipologie di risorsa, tangibile e intangibile, purché trasferibiliall’interno dell’impresa nel suo complesso.Mentre le risorse di tipo finanziario presentano assoluta trasferibilità, le risorse di altro generepresentano gradi di specificità più o meno elevati connessi ai tempi, ai costi e alla stessa possibilità materialedi un loro trasferimento.Inoltre molte risorse non finanziare presentano una forte congiunzione nella loro allocabilità da parte delcorporate. Ad esempio, risorse tecnologiche possono presentare gradi molto diversi di trasferibilità seassociate o meno con le risorse umane che già le utilizzano.In altri termini la performance allocativa delle risorse finanziarie è rivolta solo ai possibili risultatidell’azione strategica, mentre per le risorse non finanziarie riguarda anche all’efficienza dell’allocazione insé.Nella programmazione della strategia si sono individuati tre momenti con valenza allocativa: a)elaborazione di ipotesi allocative di massima; b) elaborazione di puntuali ipotesi allocative; c) effettivaallocazione (stanziamento) delle risorse.Il primo relativo alla selezione preliminare volto a fornire un minimo di supporto alla costruzione disemplici piani esplorativi in cui non hanno ancora notevole rilievo l’ammontare complessivo delle risorsedisponibili. Il secondo è il momento cruciale in cui si forgia la pertinenza e la congruenza dei progettiimprenditoriale con le risorse intorno a questi aggregabili. Nell’elaborazione di ipotesi allocative puntuali sigettano i presupposti per l’effettiva selezione del corrispondente pacchetto di interventi strategici. In quanto17


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiin imprese diversificate non è tanto il singolo intervento sul business ad essere selezionato, ma l’insieme diinterventi posti in correlazione con una precisa ipotesi allocativa. Infine il terzo, l’allocazione effettiva dellerisorse, é un momento esecutivo, che salvo qualche ritocco finale, ha un rilievo amministrativo distanziamento. Sull’allocazione delle risorse si tornerà con uno specifico paragrafo.L’allocazione delle risorse è forse uno dei momenti di maggior tensione tra gli attori chiave dellastrategia. Risulta importante, soprattutto a fini implementativi, esplicitare e rendere condivisi i criteri diallocazione differenziandoli per tipologia di risorsa. Soprattutto in presenza di risorse limitate le decisionisulle risorse esprimono si l’attuale ripartizione del potere tra i vari managers, ma gettano anche unaimportante ipoteca sulla possibilità di futura modifica dell’assetto in essere. Le risorse sono uno strumentospesso indispensabile per dimostrare le proprie capacità, o celare le proprie inefficienze dalla allocazionedipendono quindi le possibilità di successo, di carriera, di retribuzione e in definitiva di acquisire potere daparte dei soggetti coinvolti. Non deve pertanto stupire se chi ritiene, anche a torto, di aver delle carte dagiocare le punta spesso sul momento allocativo. Il clima di conflitto e di tensione che ne deriva risulta a voltepropizio per cambiamenti ai vertici manageriali, difficilmente a quelli imprenditoriali, che possono ancheassumere i connotati di veri e proprie rivoluzioni o colpi di stato.La proiezione psicologica è addirittura ancestrale, con connotati etnologici relativi alla priorità nelnutrirsi, per cui l’appropriazione delle risorse può avere lo scopo principale di manifestare il proprio poterenel gruppo di riferimento, e solo secondariamente l’acquisizione di mezzi utili per la propria azione. Altrevolte le richieste di fondi sono proposte su progetti fittizi o comunque ben formulati nella forma, ma soloabbozzati nell’intenzione strategica. Tutto ciò allo scopo di acquisire potenziale di azione con la logica:“prima acquisiamo i fondi poi si vedrà”.L’allocazione è quindi un momento delicato per i rapporti interni ed il clima organizzativo che puòprovocare strappi difficilmente ricucibili nel breve periodo, strappi che possono tra l’altro divenire uno deiprincipali ostacoli all’attuazione delle scelte strategiche. I perdenti e gli insoddisfatti se esclusi o emarginaticoveranno desideri di rivincita, di ostruzionismo e alcune volte addirittura di sabotaggio, volto a dimostrare aposteriori la validità delle loro inascoltate previsioni. Data la posta in gioco si capisce come sia cruciale lagestione del consenso allocativo che non sopprima d’imperio i conflitti e la canalizzazione dell’eventualedissenso in forme istituzionali che minimizzino le ineliminabili ripercussioni sui rapporti informali. In questasede l’organo imprenditoriale spende la propria credibilità e fa sfoggio di tutte le sue capacità politiche voltea appianare e attenuare i conflitti interni. A tal fine giocano un ruolo di fondamentale importanza la presenzae l’applicazione di criteri condivisi e la partecipazione coinvolgente, anche se non effettivamente attiva, allaallocazione delle risorse.Una reale giustizia distributiva basata su una cultura che abbia una diffusa effettività sviluppal’autoregolazione dei conflitti e facilita l’azione politica di stampo imprenditoriale più di un astrattoriferimento a criteri di ottimizzazione supposti razionali e quindi universalmente accettati. Comunque ancheun po’ di edulcorazione degli interventi, se non proprio di demagogia imprenditoriale, può risultareopportuna per attenuare la tensione ed evitare gli strappi ritenuti dannosi. In ogni caso è importante nonutilizzare l’autorità per sopire d’imperio il dissenso offrendo forme per risolvere i conflitti particolari, comeriunioni o incontri semi-informali, o binari dove poterlo formalizzare, quali lettere di dissenso o relazioni dipresa delle distanze dall’impostazione di allocazione adottata.Lo stanziamento e il controllo della distribuzione svolta. Vi sono diverse modalità di stanziamento chepossono risultare dalla graduazione di due forme limite:a. l’allocazione unica sull’articolazione strategica immediatamente inferiore al corporate (multi-SBU oSBU), con successiva allocazione interna dei fondi ottenuti sulle articolazioni di sua competenza;b. l’allocazione multipla su ogni singolo intervento strategico svolta direttamente dal corporate.La prima forma limite ha gli aspetti positivi di lasciare ampia autonomia al responsabile dellaarticolazione strategica e di ridurre l’impegno del corporate; mentre dal lato negativo, ma, di fatto, allunga itempi di allocazione complessiva rispetto a forme intermedie; sviluppa il conflitto interno alla articolazionestrategica; favorisce l’opportunismo in sede di richiesta fondi. In generale, questa forma può essere adatta a:a) fronteggiare elevate complessità di articolazione strategica; b) uno stile del corporate orientatoall’investimento; c) un governo centrale che si occupi prevalentemente dell’efficacia complessiva dellaazione impostata dal responsabile assegnatario.Un approfondimento lo merita lo stile di investimento del corporate. Infatti un orientamento delcorporate verso un’attività di investimento lo rende quasi incapace di giudicare nel merito i singoli interventi18


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeistrategici per cui l’allocazione si concentra su parametri finanziari ed è volta a realizzare la coerenza tra lerisorse assegnate e ruolo del attribuito al business nella economia del portafoglio.Di contro l’allocazione su ogni singolo intervento se da un lato favorisce: - una analiticarazionalizzazione dei criteri allocativi; - un più puntuale intervento di governo da parte del corporate;dall’altro lato - riduce la responsabilità dei principali dirigenti delle articolazioni strategiche; - aumentanotevolmente il carico di lavoro del corporate con conseguente rischio di una sua eccessiva pesantezzaorganizzativa e burocratizzazione amministrativa; - incrementa, a parità di altre condizioni, i tempi diallocazione ancor più dell’atra forma limite. Questa seconda forma limite sembra generalmente adatta: - afronteggiare ridotte complessità di articolazione strategica; - a uno stile del corporate di tipo imprenditorialeaccentrato oppure orientato all’efficienza manageriale; - ad un governo centrale che si occupi anchedell’efficacia complessiva della azione impostata dal responsabile assegnatario.Stili di governo diverso possono determinare un accentuato orientamento verso stanziamenti su singoliinterventi.Uno stile imprenditoriale accentrante lo determina di fatto, nel senso che anche in presenza di uncontesto formalmente articolato di allocazione, il protagonismo imprenditoriale può invadere totalmentequesto delicato momento. Lo stile manageriale efficientista spinge all’accentramento degli stanziamenti suisingoli interventi attraverso contesti formalizzati in quanto non ritiene preponderante il governo di efficacia epertanto e costretto ad entrare nel merito dei rapporti tra mezzi utilizzati e risultati conseguibili. La qual cosapuò essere svolta in modo pregnante solo controllando ex-ante ed ex post lo stanziamento sui singoliinterventi.La maggior parte delle frome empiriche si colloca in posizioni intermedie e in particolare si riscontranella realtà italiana limitatamente a imprese di dimensione media, ma già abbastanza articolate (5-10 SBU),di stampo familiare e governate con uno stile imprenditoriale appena sufficientemente decentrato, una certatendenza a concentrarsi intorno a forme di stanziamento caratterizzate da:! allocazione accentrata e diretta su ciascuna articolazione strategica, evitando quindi il decentramentodell’allocazione sulle funzioni ai responsabili delle SBU;! relativa autonomia dei dirigenti di allocazione su interventi entro certi limiti di stanziamentodifferenziati, anche informalmente, per livello e per singolo responsabile;! accentramento dell’allocazione sugli interventi più rilevanti vincolando dall’alto i fondi già assegnatial responsabile (con evidente scollamento del contesto potere-responsabilità).Alle modalità di stanziamento sono strettamente legati i contesti amministrativi di gestione delle risorsee il controllo strategico della allocazione svolta. Si sorvola sui contesti amministrativi che, anche attraverso ibudgets, contabilità analitiche e generali, possono porre alla discrezionalità direzionale maglie più o menostrette di stanziamento, di spesa e di rendicontazione. Di più rilevante interesse in questa sede risulta ilcontrollo strategico ex-post della allocazione effettuata.Assai di frequente, anche in imprese ad elevato sviluppo manageriale, a fronte di un differenziatomomento di allocazione delle risorse e di budgettizzazione corrisponde una sostanziale unitarietà delcontrollo direzionale ex-post che difficilmente riesce a offrire un puntuale riscontro sulla validità dei criteriallocativi prescelti. Un reporting basato sulla sola impostazione budgettaria rischia di risentireeccessivamente della focalizzazione al breve periodo e a degli obiettivi e parametri di performances cherisultano scollati dai reali criteri allocativi perché troppo orientati alla motivazione del personale. D’altrondein molti casi appare ultronea una netta separazione dei contesti di controllo direzionali e strategici, laduplicazione può anzi essere dannosa per cui è per lo più sufficiente un contesto di raccordo cheripercorrendo in senso inverso i passaggi logici dalla allocazione strategica alla budgetizzazione offra deirisultati confrontabili e ponderabili in un ottica di governo strategico delle risorse. Un efficiente contesto dicontrollo rappresenta un forte disincentivo alle forme di opportunismo allocativo che possono confondere ilvertice creando un “rumore di fondo” dal quale le reali opportunità rischiano di emergere poco e male.Un contesto di controllo strategico della allocazione svolta potrebbe anche essere così congeniato:! raccordo con il contesto di controllo direzionale volto a fornire informazioni sui risultati dellearticolazioni strategiche omogenee ai criteri allocativi adottati;! verifica della coerenza tra potenzialità espresse dall’articolazione e originaria richiesta dei fondi;! studio ex-post degli interventi proposti e scartati, con stima dei relativi costi-opportunità ecomprensione dei reali motivi per cui sono stati eliminati progetti che presumibilmente avrebberodato migliori performance rispetto ai peggiori risultati effettivi;! verifica della congruenza ex-post tra allocazione delle risorse, obiettivi strategici e parametri diperformance sugli interventi approvati.19


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei6.5 La costruzione dei piani a livello corporateLa progettazione delle strategie, nel momento della programmazione degli interventi, si concreta spessoin piani che a livello corporate devono essere aggregati e coordinati attraverso un’azione di consolidamento.In effetti è abbastanza raro trovare nella realtà d’impresa o anche solo in letteratura esempi didisaggregazione di singoli interventi, non di natura allocativa, a livello corporate che vengono “dedotti” alivello business. In effetti un tale procedimento è non solo astrattamente ipotizzabile, ma il flusso principaleè nel momento di acquisizione degli interventi dal basso verso l’alto della articolazione strategica.Il verso del flusso nell’articolazione strategica non è detto che sia analogo nella struttura organizzativa.Anche se è il vertice imprenditoriale che elabora tutti gli interventi delle varie SBU, questi verranno semprepensati sui singoli business e poi dallo stesso aggregati a livello corporate: strategicamente si ha pur sempreun flusso progettuale dal basso verso l’alto, mentre sotto il profilo organizzativo tutto rimane a livello divertice imprenditoriale.In genere il piano a livello corporate è quindi una sorta di grande piano consolidato in cui oltre alleoperazioni contabili di aggregazione si coordinano i vari interventi e si rendono disponibili le risorsenecessarie o si individua le modalità e i tempi del loro reperimento.In assenza di interventi di natura straordinaria, quali fusioni, acquisizioni, cessioni o liquidazioni diSBU, il piano a livello corporate apporta rispetto ai piani funzionali e di business che vengono in questoconsolidati la parte di allocazione delle risorse.I momenti che ineriscono la costruzione di piani e di budgets sono così schematizzabili:• la costruzione di piani esplorativi e di fattibilità a livello di tutte le articolazioni, ivi compresi quelli alivello corporate volti alla ponderazione del momento allocativo;• la definizione dei piani esecutivi a livello business;• il consolidamento delle strategie deliberate;• la definizione di piani esecutivi a livello corporate;• il budgetting.La sequenza è solo indicativa e in particolare a volte il piano esecutivo a livello corporate vienedeliberato prima dei piani esecutivi di business e funzionali, altre volte avviene l’inverso. Quasi sempre perònella buona sostanza dalla scelta di un piano di fattibilità allocativa a livello corporate, corrispondente a uncerto pacchetto di interventi pensati sui business, discendono i piani esecutivi delle SBU che poi vengonoformalmente consolidati nel piano esecutivo del corporate. Anche a livello corporate è necessaria unaimplementazione della visione e della strategia che favorisca il realizzarsi dell’azione complessivad’impresa.Sulle tecniche di costruzione dei piani esplorativi, di fattibilità ed esecutivi a livello corporate, nonchésul collegamento col contesto budgettario si rinvia a un futuro volume de “Il governo strategico di impresa”.6.6 Una sintesi dei compiti di formulazioneLa propedeuticità logica tendenziale di alcuni compiti di formazione della strategia assunta solo aschema espositivo e non necessariamente empiricamente in atto.I compiti di pianificazione strategica possono presentare alcune propedeuticità di svolgimento tra i varilivelli. Tale aspetto temporale non giunge quasi mai a determinare una vera e propria sequenzialitànecessaria, ma nelle imprese che adottano processi formalizzati è comunque frequente il fissare a priori ledate delle riunioni di pianificazione.Di seguito riportiamo una possibile sequenza logica a titolo del tutto esemplificativo:1) interpretazione della struttura d’impresa a livello corporate e suo posizionamento strategico nelcontesto ambientale, attuale e prospettico;2) interpretazione della struttura di ciascun singolo business e suo posizionamento strategico nelcontesto competitivo attuale e prospettico;3) intenzione strategica e direttive di pianificazione che il livello corporate attribuisce a sé stesso e allealtre articolazioni strategiche in termini di sfide strategiche e di obiettivi di performance;4) formulazione generale della strategia a livello business e programmazione di massima delle possibiliazioni;5) formulazione generale della strategia a livello funzionale e programmazione di massima dellepossibili azioni in accordo o in esplicito contrasto con le intenzioni strategiche a livello corporate e iprogrammi generali a livello business;20


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei6) aggregazione e coordinamento da parte del corporate delle strategie a livello business e funzionale;7) valutazione da parte del corporate del portafoglio strategico;8) definizione da parte del corporate dei criteri di priorità nell’allocazione delle risorse;9) definizione da parte del corporate delle direttive specifiche di pianificazione;10) programmazione di dettaglio a livello business;11) programmazione di dettaglio a livello funzionale;12) verifica delle programmazioni di dettaglio da parte del corporate;13) allocazione definitiva delle risorse;14) definizione dei parametri valutativi di performance ai fini del controllo direzionale;15) budgeting a livello business;16) budgeting a livello funzionale;17) consolidamento dei budget funzionali e di business e formazione del budget di corporate;18) stanziamento dei fondi strategici e operativi;19) azione programmata;20) controllo strategico e direzionale.L’elenco indicativo dei compiti segnala le direzioni dei flussi di pianificazione evidenziando comequesti siano dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Come già affermato in sede di esame degli attoridi pianificazione i contributi di tutti i soggetti coinvolti possono avere un grado più o meno rilevante nelladefinizione della strategia deliberata. Il dato che qui preme porre in adeguata evidenza è che dall’alto verso ilbasso (top-down) si evidenzia un flusso di indirizzi, intenzioni, direttive e decisioni, e che dal basso versol’alto (botton-up) si sviluppano informazioni, suggerimenti, consensi o anche critiche.Se alle dimensioni dell’impresa sono relativamente ampie si associa uno scarso attivismoimprenditoriale nell’approvvigionamento di informazioni e nello sviluppo di idee del tutto indipendenti daquelle fornite dai manager si verifica che il vertice decide su alternative impostate dalla struttura direzionale.Se sono quasi esclusivamente i managers di business o funzionali a fornire informazioni e alternative didecisione allora sono questi a influenzare più del vertice imprenditoriale le decisioni strategiche. Quandoinsieme a detti contenuti il management riesce a veicolare anche i criteri di scelta si può parlare di vera epropria tecno-struttura (Galbraith).In questi casi vi è un non marginale rischio di burocratizzazione dell’azione strategica che invece disvolgere il ruolo imprenditoriale di spinta innovativa viene soffocata dal desiderio manageriale di controllo.7. Il vissuto strategico d’impresaI fattori del cambiamento che hanno determinato il successo della pianificazione strategica ne hannodeterminato anche la crisi. Alla radice di tale crisi vi sono diverse forze contrarie che generano numerosiparadossi.In primo luogo ad una prevedibilità a breve, derivante soprattutto dall’innovazione tecnologica e dalcrescente numero di attori indotto dalla globalizzazione dei mercati, si scontra con crescenti investimenti incapitali fissi e soprattutto in sunk cost che richiederebbero più lunghi orizzonti di recupero.Secondariamente, sempre in connessione al prescedente, alla pianificazione sembra accorciare i propriorizzonti temporali ed estendere a dismisura quelli spaziali sia geografici che di business.In questa situazione la metodologia sembra, come già ricordato, fungere più da collante di diverse realtà,che da motore del cambiamento. Insomma la pianificazione sembra sempre più divenire un meccanismo dicoordinamento organizzativo per l’allocazione delle risorse che invischia l’innovazione perdendo il suo ruolodi centralità nella elaborazione delle strategie che tornano ad essere esclusiva spetttanza di monocentricivertici imprenditoriali.Un terzo paradosso può essere rintracciato nella necessità di una flessibilità applicativa e difficilmenteraggiungibile in imprese affette da un gigantismo dimensionale che spesse volte presentano, anche per effettodi fusioni o acquisizioni, una forte disomogeneità culturale.D’altronde l’elevatezza costi diretti o indotti risulta eccessivo per la piccola e media impresa cherinuncia alla razionalizzazione gestionale prodotta dalla pianificazione in favore di un tempismo e di unopportunismo ottenuto con l’accentramento decisionale: principale collo di bottiglia della crescita culturale edimensionale.In definitiva la crisi della pianificazione è sintomo della crisi di potere nei confronti del proprio contestoe delle stesse proprie componenti. Il gap di complessità tra ambiente interno ed esterno l’impresa, da un lato,21


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeie gli strumenti di gestione strategica a disposizione, dall’atro, pone in risalto la rinnovata inadeguatezza deimeccanismi manageriali formalizzati e la fallace presunzione di chi vi si affida come strumento privilegiato,o addirittura unico, per il governo strategico di impresa. In questa situazione hanno ritrovato rinnovato vigoregli studi di Beavioral Science tanto che ormai trovano più o meno maldestra cittadinanza in molti modelliformalizzati.In particolare hanno trovato nuova fortuna sui comportamenti strategici multi-obiettivo,sull’apprendimento, sul satisying delle decisioni sulle dinamiche del potere, sulla cultura di impresa, sulconflitto, sulle coalizioni e sulla negoziazione. In generale si è addivenuti ad una fertilizzazione incrociata traManagent Scienze che utilizza strumenti economici, contabili, statistici e matematici e la Behavioral Sciencepiù orientata a mutuare i contributi della sociologia, della psicologia e della scienza politica. In questo senso,anche se dal lato neo-positivista, si colloca il contributo dell’incrementalismo logico.Il modesto tentativo qui abbozzato, e per l’approfondimento del quale si rinvia ad un futuro lavoro,vorrebbe collocarsi in una visione antropologica della strategia di impresa che riconoscesse il primato delvissuto strategico rispetto alle formalizzazioni simboliche che tentano di mediarlo. Una visione pessimista,sotto il profilo dell’intelligenza, sulle capacità imprenditoriali e manageriali di determinare, sempre ecomunque per lunghi periodi, gli esiti aziendali, ma ottimista, in termini di volontà, di tentare ugualmente didomare pro-tempore l’alea per imbrigliare gli eventi verso “magnifiche sorti e progressive” della propriaimpresa.Come gia ricordato la paura dell’insuccesso ha sempre suscitato rappresentazioni simboliche,mitologiche o filosofiche, volte a prevenire il senso di smarrimento e di angoscia di sperimentare le alee delvivere. Una pianificazione strategica che si ponga l’obiettivo di eludere l’incertezza esistenziale di impresaattraverso forme coatte di razionalizzazione finisce sempre per occultare la dimensione più propria dellastrategia che è appunto il rischio del vivere l’impresa. Cercando di esorcizzare il rischio si acquista maggioresicurezza nell’azione, ma al contempo si riducono le capacità riflessive e più autenticamente creative chetrovano la propria fonte nella indeterminazione esistenziale.L’eccessiva razionalizzazione della formazione della strategia tende a generare una immagine unitaria ecoerente, ma riduzionista, che ignora, cioè, molte delle componenti che hanno concorso alla sua formazione.La strategia è il principalmente il prodotto di un’attività narrativa e progettuale che si sviluppaattraverso interpretazioni e forme di mediazione simbolica collegate a situazioni socio-culturali contingentiquali risorse disponibili, forme tecnico-produttive, strutture organizzative, forme del conoscere edell’apprendere, rappresentazioni dominanti, stili di direzione e così via.La dimensione più riflessiva della strategia di impresa si forma sempre in un contesto già dato.Rispetto alla priorità che sia il razionalismo manageriale sia il behavioralismo critico, attribuiscono almomento cognitivo come fonte di una strategia auto-fondantesi, dovrebbe farsi strada, a parere di chi scrive,una dimensione esistenziale in cui la dimensione gnoseologica sia solo una delle modalità che qualifichinol’agire strategicamente come forma qualificata di “esister-nel-mondo”.Insomma si dovrebbe sviluppare una dimensione più fondamentalmente ontologica del rapportoimpresa/mondo in quanto l’esser-ci, il vissuto delle persone che ne fanno parte anticipa ogni forma di attivitàrappresentativa.L’affermazione rimane astratta elucubrazione, ma permette di modificare l’atteggiamento versol’esistenza e verso la strategia di impresa. La formazione della strategia non consiste più nell’imporre i proprischemi conoscitivi, razionalisti o comportamentisti che siano, ma porsi in un atteggiamento di attenzioneverso l’esperienza, il vissuto come tale, per poi trarre da essa indicazioni sul carattere sempre aleatorio dallasituazione strategica.Questo atteggiamento strategico non può prescindere da interpretazioni necessariamente collegate alcontesto socioculturale, ma nella prospettiva del primato dell’esperienza e del vissuto. Il limite radicale delleforme di mediazione simbolica, dal linguaggio alle tecniche manageriale, deve apparire evidente, puraiutando a riconoscere, in via appunto mediata, il senso profondo del vissuto e quindi, in ultima analisi, lastrategia di impresa. Per il razionalismo manageriale la strategia si basa sulla capacità di conoscenza del realeattraverso precostituiti metodi di indagine quasi indipendentemente dalle condizioni storiche che ne formanoil contesto. Tanto è vero che la scelta strategica viene banalizzata inquadrandola come logica risultante didefatiganti analisi interne ed esterne e di interminabili negoziazioni sui criteri di decisione. Anche le piùmoderne teorie dell’apprendimento applicate all’impresa, critiche nei confronti del razionalismo, presentanouna seppur diversa priorità gnoseologica facendo dipendere la qualità della strategia elaborataesclusivamente dalla capacità percettiva e cognitiva. In entrambi i casi la conoscenza fonda la strategia e leregole per la sua attuazione.22


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl trinomio possesso di conoscenze, possesso di strategie, sicurezza nell’azione rischia di mettere inombra sia il carattere parziale e fallibile di ogni interpretazione, sia l’autentica creatività del pensierolaterale, sia, infine, le capacità di morfogenesi paradigmatiche nella formulazione delle strategie d’azione.La ricerca e la verifica critica della strategia dovrebbe essere una condizione di normale sorveglianzanell’esistenza di impresa all’interno di un più generale atteggiamento di attenzione nei confrontidell’esperienza vissuta. Nella crescente differenziazione degli ambiti di significato all’interno dell’impresa,vuoi per le specificità dei business, vuoi per le specializzazione funzionali, il riferimento comune non puòfondarsi solo né su astratte missioni o puntuali obiettivi, né su metodi formalizzati di direzione, ma puòcostruirsi sul riconoscimento della comune appartenenza ad un vissuto strategico da parte delle personecoinvolte.Il prerequisito per l’autenticità di un governo della formazione della strategia è il riconoscimento delcontinuo stato di ricerca del senso di fare impresa senza pretendere di voler dare al problema una rispostadefinitiva, esaustiva e interamente soddisfacente.Il vertice d’impresa dovrebbe avere la consapevolezza, fonte di vera saggezza, di non sapere e, purnell’indispensabile esercizio del potere di governo, di non imporre proprie interpretazioni come veritàassolute o come strategie sicuramente vincenti, ma aprirsi verso un reale dialogo che lo ponga in unasituazione di ascolto onde evitare la farsa della piaggeria forzata che esalta il senso critico non espresso daparte di soggetti che rimangono pur sempre dei subalterni. Un coinvolgimento autentico non si ottieneattraverso una persuasione suadente o forzata che può dare risultati più immediati ed alla quale variconosciuto una efficacia di breve, e a volte di medio, periodo, ma che alla lunga non favorisce la crescitadelle persone e del contributo complessivo all’impresa.In questa prospettiva sicuramente astratta, e forse fattibile come una utopia, una riflessione sul vissuto diimpresa come tale può aiutarci a comprendere un atteggiamento maggiormente autentico e condiviso dellaformazione della strategia, riformulando i termini per una sua pianificazione.In particolare il vissuto strategico di impresa ricomprende tutte le tematiche fin ora affrontatefocalizzandosi, nel modello proposto, su cinque elementi chiave: a) il pensiero, la sensibilità el’atteggiamento strategico; b) la cultura e i processi di apprendimento; c) le capacità opportuniste; d) iprocessi politici in cui si esplicano le dinamiche del consenso e del potere; e) i processi manageriali inapplicazione di tecniche di mediazione simbolica, tra cui anche la pianificazione può svolgere un suo ruolo.In effetti tale impostazione ricorda in parte la distinzione tra strategic thinking, strategic planning eoppotunistic decision making, (Gluck F., Kaufman S., Walleck S., The four phases of strategic management,cit., p.12).Pensiero, sensibilità e atteggiamento strategico vogliono dire imparare a vivere strategicamente: porreattenzione e sviluppare sensibilità per la situazione in cui si è posti ed apprendere, attraverso l’esperienzaconcreta, sia la forza per accettare e non sfuggire le condizioni esistenziali date, sia l’abilità di dirigerlesecondo il verso che è loro proprio.Lo sviluppo di una capacità di pensiero strategico è connessa, senza pretesa di esaustività, alle seguentiqualità:! la capacità di captare le alee e di sfruttare i determinismi;! la capacità di apprendimento rapido e di tipo auto-didattico basato soprattutto sull'esperienza;! la disposizione a riconoscere l'importante dal secondario e a distinguere il rilevante dall'inutile,gerarchizzando il livello di crucialità;! la capacità di semplificare un problema riducendolo all'essenziale, pur rispettando la sua complessitàin termini di interferenze, diversità, incertezza;! la capacità a riconoscere l'impossibile a discernere il possibile e a sviluppare scenari in cuil'inevitabile e l'auspicabile sono distinti pur combinandosi;! la disposizione a riconsiderare la propria interpretazione della situazione mutandola incorrispondenza dell'evolversi delle circostanze e del proprio atteggiamento di fronte a dettecircostanze;! la capacità di costruirsi un'idea globale di un fenomeno partendo da indizi frammentari;! la capacità di arricchire, sviluppare, modificare l'azione intrapresa in funzione delle informazioniricevute e dell'esperienza acquisita;! la disposizione a prevedere il futuro, considerando il combinarsi di diverse possibilità, cioè dielaborare scenari tenendo conto delle sempre possibili sorprese strategiche, del presentarsiimprovviso dell'imprevedibile;23


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei! la disposizione a riconoscere il <strong>nuovo</strong>, di trattarlo con strumenti noti, di affrontarlo e superarloinnovando l'azione in modo appropriato;! la perspicacia di fronte a situazioni nuove o inattese compresa la capacità di utilizzare il caso per faredelle scoperte o avere delle intuizioni;! la capacità combinatoria di isolare un oggetto, una risorsa, uno strumento, un'idea, dal loro sistema diriferimento e di applicarli in un sistema diverso, con finalità differenti;! la capacità di trasformare un sistema attraverso la riorganizzazione dei suoi elementi, i lororiassemblaggio, in modo che il <strong>nuovo</strong> mixer sia dotato di proprietà e obiettivi nuovi.L’elaborazione strategica deve saper produrre o far produrre e usare intelligentemente una quantitànotevole di informazioni rilevanti, al solo fine di ricomporre un quadro globale come avviene nei grandigiocatori di scacchi che, per impostare le proprie mosse, elaborano situazioni assai complesse senza tenere amente il gigantesco catalogo di tutte le possibili combinazioni. Similmente, lo stratega non deve solo trarreuna lezione da ciò che è stato vissuto, ma deve saper valutare se al vaglio dell'esperienza non debba rimetterein discussione i principi che informano la propria interpretazione della realtà d'impresa, il propriocomportamento e, al contempo, se dati o fatti nuovi non debbano rimettere in discussione la stessa esperienzapassata, non permettendo la sua inferenza alla situazione contingente. Infine l'immaginazione può fecondarela strategia solo se integrata con la conoscenza di una reale situazione d'impresa e con l'azione concreta erealizzabile che si vuol porre in essere.Le capacità opportuniste richiedono la capacità di assumere decisioni anche drastiche in brevissimotempo in modo da poter sfruttare tutte le possibilità che la situazione contingente offre. Mentrel’elaborazione strategica propriamente detto si basa su una visione del mondo per costruire e ricostruirel’impresa, l’atteggiamento opportunista vive più alla giornata. La capacità di cavarsi d’impaccio o disfruttare una possibilità inaspettata, il così detto muddling rhough, è di fondamentale importanza vuoi per ilcollegamento tra tattica e strategia, vuoi per rispondere a opportunità o minacce strategiche impreviste e chenon lasciano il tempo per adeguate elaborazioni.I processi politici in cui si esplicano le dinamiche del consenso e del potere evidenziano che la strategiadi impresa sorge allora in un insieme di conflitti di interessi e di potere. I conflitti di interesse sono da gestirsiin modo pragmatico come contraposizioni intrisecamente ricomponibili attraverso compromessi evitandoaccuratamente i conflitti di identità che si presentano assai più difficilmente negoziabili. I conflitti di poteresi risolvono in fin dei conti in relazione alla forza specifica, ma nella maggior parete dei casi è opportunoevitare lacerazioni che evidenziano la completa sconfitta del perdente.La prospettiva in esame pone l’accento sulla endogena limitatezza dei processi manageriali inapplicazione di tecniche di mediazione simbolica, tra cui anche la pianificazione strategica. Se da un lato sideve essere consci della limitatezza delle forme di rappresentazione simbolica nella formulazione dellastrategia si deve anche arrendersi di fronte all’evidenza che l’elaborazione e la comunicazione della rispostenon può avvenire se non attraverso il linguaggio e schemi di spiegazione codificati e riduzionismi, propostidalle tecniche manageriali. In questa ottica la pianificazione strategica può svolgere un suo ruolo di insiemeconvenzionale di regole di comunicazione e di coinvolgimento sulla formazione di una strategia che anzichéimporsi sulla realtà, attinge la sua potenza dalla consapevolezza che le determinazioni strategiche hannogradi assai vari e variabili di validità, in relazione alle situazioni storico contingenti, ma che in ogni caso nonpossono mai essere delle soluzioni giuste che garantiscano un perfetto ordinamento dell’azione.La risultante strategia diviene un vissuto, una capacità pratica di gestire le contraddizione che sonoproprie di una situazione esistenziale di impresa caratterizzata da:! l’esigenza di determinatezza dell’azione e l’inderminatezza che è propria del vissuto strategico;! la ricerca di stabilità e la ricerca di forme di impresa e di governo più adeguate;! le esigenze di sviluppo dell’impresa e la soddisfazione degli interessi dei pubblici;! l’esercizio del potere e del coordinamento e la tutela di ambiti di creatività e di discrezionalità;! il riconoscimento della propri identità anche attraverso la scelta dei propri concorrenti el’affermazione di proprie competenze distintive che dagli stessi differenziano;e così via dicendo.8. L’interpretazione nella formazione dei contenuti della strategia8.1 I poli del senso imprenditoriale24


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiL’imprenditoriale governa l’impresa anche individuando dei “poli di senso”: centri di gravitazione deglisforzi di analisi, di fissazione degli obiettivi, di individuazione delle vie, di predisposizione dei mezzi e diattuazione delle decisioni. Assumendo una visione ermeneutica si sostiene che il governo d’impresa puòessere articolato intorno ad una costellazione di concetti chiave coinvolti da un fascio di relazioni cruciali perla sopravvivenza e lo sviluppo. Tali relazioni, sembrano almeno, in parte esprimibili in un contesto che sia ingrado di esprimere gli obiettivi e/o i risultati della strategia in termini di senso assunto dal fare impresa in uncontesto di coordinate generate dagli stessi poli di senso.I poli di senso generatori di strategie sono centri di gravitazione delle idee di predisposizione dei mezzi,di fissazione degli obiettivi, di attuazione delle decisioni e di realizzazione degli esiti. L’idea di fondo,vagamente strutturalista, è che le strategie d’impresa vadano sviluppandosi intorno a centri nodaliproducendo una costellazione di concetti chiave e un fascio di relazioni cruciali per il governo e lacomprensione dell'impresa stessa. Per una corretta comprensione delle strategie di impresa risulta opportunoelaborare un contesto che generi una tassonomia strategica partendo dai concetti elementari: un contesto chesia appunto in grado di esprimere gli obiettivi e/o i risultati della strategia in termini di posizione assuntadall’impresa in un contesto di coordinate generate dagli stessi poli di senso.Con l’espressione posizionamento nel contesto strategico d’impresa si intende allora la collocazione diuna specifica realtà aziendale in un predefinito contesto di consapevolezze riguardanti il complessivorapporto impresa-ambiente visto dal vertice con la sua ottica di governo. Il contesto del posizionamentostrategico d'impresa, la circolarità delle sue relazioni, la ricorsività del suo governo vorrebbero essere unostimolo di riflessione, senza eccessive pretese scientifiche, per sensibilizzare ad un approccio olistico (oalmeno meno riduzionista) agli studi di impresa: un approccio che renda intelleggibile senza banalizzare lacomplessività del reale. L’'interpretazione offerta dai poli di senso e dagli assetti di impresa non vuole esseretanto interfunzionale, quanto si propone di trascendere le varie funzioni aziendali per esprimere al contempoun livello di generalizzazione valido per tutte le imprese indipendentemente dalla loro dimensione dai lorobusiness e dalle loro specificità.Il contributo, molto limitato rispetto alle ambizioni della prospettiva proposta, è quello di individuare ipoli di senso su cui articolare l’'idea di una complessità d’impresa che trascenda la somma di funzioniaziendali svolte od anche di business posti a base dell'attività. L’obiettivo di questo lavoro presenta notevolirischi ed opportunità. I rischi scientifici sono evidenti e non stanno tanto in errori di contenuto, quanto inerrori di fondo nell’individuazione di tutti e i soli poli di senso. Le opportunità sono relative alla possibilitàdi evidenziare, soprattutto a fini didattici e interpretativi, una complessità del fenomeno impresa nonriconducibile alla dimensione, all'attività esercitata e alle tecnologie adottate, ma che sia universalmentevalida per tutte le imprese, pur non sopprimendo le peculiarità di ognuna.Il contesto proposto di interpretazione del contesto strategico d’impresa, con la circolarità delle suerelazioni e la ricorsività del suo governo, vuol fornire una articolazione trasversale della complessitàd’impresa che dia conto della sua globalità spesso ridotta dalla tradizionale ripartizione tra funzioniaziendali. I poli di senso possono così specificarsi:• soddisfazione dell’utenza;• risorse tecniche e competenze;• posizione di mercato;• valori economico-finanziario;• interessi degli stakeholder.L’interazione tra poli genera specifici contesti formando un diagramma di definizione di aree diinterpretazione imprenditoriale. Il diagramma di posizionamento permette di leggere le più rilevanti relazionitra i poli di senso: partendo da un qualsiasi punto‚ possibile visualizzare le connessioni di casualità comesuccessioni di poli contigui, sia in senso orario che antiorario, e come direttrici tra poli non contigui, sia insenso verticale che orizzontale.L’ipotesi fondamentale del contesto assume le modalità dei poli come determinate da interventiimprenditoriali che filtrano anche eventi ambientali previsti o provocati, e sorprese strategico-ambientali,ossia fattori del cambiamento non previsti e mediati dal vertice.Indipendentemente dalla sua provenienza imprenditoriale e/o ambientale, la variazione iniziale‚ esogenarispetto ai poli di senso, ma genera un assestamento endogeno che agisce sia circolarmente che lungo ledirettrici, innescando meccanismi moltiplicativi o demoltiplicativi.Un significativo aumento di competenze tecnologiche, ad esempio, si propaga normalmente allamissione aziendale (causalità circolare oraria) attraverso un adeguamento della definizione del business; allaposizione di mercato (causalità circolare antioraria) tramite un rafforzamento dei rapporti con i competitori;25


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiai valori economico-finanziari (casualità di direttrice interna) per mezzo di aumento di efficacia del contestooperativo e infine a un certo influsso sul consenso sociale (casualità di direttrice verticale) per la proiezionesul contesto ambientale e culturale dell’innovatività aziendale. Ciascun polo interessato direttamente genera,a sua volta, altrettanti effetti indotti.La stabilità dell’impresa non è tanto garantita da una autoregolazione di tipo omeostatico, quanto dallasoglia di intensità necessaria a provocare una significativa variazione nella modalità assunta da qualsiasipolo. Strategico è solo quell’intervento imprenditoriale o quel fattore ambientale tanto rilevante da indurreuna significativa variazione nei suddetti poli o delle caratteristiche fondamentali del sotteso apparatocapacità.La strategia, almeno a livello business, in questo contesto teorico può essere interpretata comeintervento imprenditoriale volto a governare le relazioni tra gli individuati poli e quindi a posizionarel’impresa nel suo ambiente.Nel caso in cui l’intervento imprenditoriale determini una repentina variazione di intensità, un salto dilivello, nei caratteri esaminati, siamo di fronte ad un processo strategico di sviluppo; nell’'ipotesi di unacostante azione diretta ad un graduale incremento di detta intensità, saremo in presenza di un processostrategico di consolidamento. Il varcare, a passi o a salti, una determinata soglia provoca la morfogenesi delcontesto di riferimento, ma non è detto che l’effetto indotto determini necessariamente un passaggio a nuovie diversi livelli di stabilità degli altri poli di senso.Nonostante questa annotazione, il concetto chiave che emerge dalla circolarità delle relazioni tra i poliindividuati‚ quello della ricorsività dell’ermeneutica imprenditoriale. Per rendere intelleggibile la suaimpresa, il vertice deve concentrarsi sui poli: dare senso e contenuto a questi fattori chiave permette diinterpretare in modo olistico (o meno riduzionista) l’intera azienda. Ma la realtà aziendale è semprecomplessa ed una eccessiva semplificazione rischia sempre di banalizzarla.È infine evidente che il diagramma di definizione dei contesti strategici può venir usato a fini valutativi(di efficacia, nel tempo, nello spazio) sia sui singoli poli o aree sia nel suo complesso. Ben prima della modadel balance score chi scrive aveva decisamente optato per una valutazione multicriterio della performanceaziendale collegando la creazione di valore all’autonomia dell’impresa (Ciappei, 1990). Avendo definito lescale ordinali dei singoli poli che determinavano un area di posizionamento si affermava: «L’atteggiamentonei confronti dell’'autonomia d’impresa deve quindi essere di tipo incrementale, deve cioè realizzarsi unincremento di intensità nei poli di senso. Dato che l’autonomia dell’impresa si costituisce nel suo rapporto,con l’ambiente e che quest’ultimo‚ focalizzato sui poli di senso, è possibile creare una correlazione con lafigura di posizionamento (diagramma di definizione dei contesti). Questa figura, ed in particolare la sua area,rappresenta così un’espressione sintetica dell’intensità raggiunta dall’impresa nell’affermazione deifondamentali obbiettivi che garantiscono la sopravvivenza e l’autonomia. Quindi l’area della figura diposizionamento‚ indice del grado di autonomia dell’impresa nell’ambiente in cui opera. Tanto maggiore saràl’area della figura, tanto più autonoma sarà l’impresa nelle sue determinazioni e, in particolar modo, tantopiù sarà auto-propulsiva nelle proprie scelte. Riportando in ascissa il tempo e in ordinata l’area diposizionamento, si può interpretare, in una visione di sintesi, l'orientamento del processo che alimenta ildivenire strategico dell'impresa. (…) Il ciclo di vita di un’impresa, interpretato in termini di grado diautonomia, si presenta quindi come successione non determinata e spesso ripetitiva di processi di sviluppo,di stabilizzazione, di crisi e di risanamento. Gli unici due momenti “fatali” per l’impresa sono quelli chedeterminano il passaggio del livello di autonomia, varcando al di sopra (nascita), sia riducendosi al di sotto(degenerazione). Naturalmente, queste considerazioni valgono per l’autonomia come espressione sinteticadelle intensità dei rapporti impresa/ambiente raggiunti nei rispettivi poli di senso. La crescita differenziata dicerte contesti può essere espressa in termini di equazione allometrica che individua l’accrescimento di unaparte rispetto all’accrescimento del tutto. È evidente che un intervento imprenditoriale, mirato a una certaopportunità ambientale, può favorire il più intenso sviluppo di una certa contesto, ma a fronte ci sarà uneffetto indotto anche sulle altre contesti di posizionamento in relazione ai livelli di interconnessione internache collegano contesti e poli di senso. Tanto più il livello di interconnessione positiva è elevato, tantomaggiore sarà lo sviluppo indotto in altre contesti strategiche, tanto maggiore sarà la sinergia, cioè il livellodi energia (autonomia) prodotta dall’impresa. Quando i livelli di interconnessione sono forti il contestorisponde globalmente alle sollecitazioni: il vantaggio per un contesto strategica si diffonde come vantaggioanche per le altre contesti, producendo effetti indotti di carattere positivo (sinergie). Quando i livelli diinterconnessione tra contesti strategiche sono deboli la risposta a sollecitazioni esterne risulta essere assaimeno globale, ma piuttosto reazioni separate nelle diverse contesti che possono anche risultare confliggenti,essendo relativamente indipendenti l’una dall’altra: l’incremento in una certa contesto può andare a discapitodi un'altra azzerando o riducendo l'originario vantaggio. Da qui la necessità di intervenire, alimentando e26


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicogliendo le interconnessioni globali del contesto strategico, sviluppando in tal modo un circolo virtuosodella autonomia aziendale. Il grado di autonomia aziendale esprime anche la speranza di sopravvivenzadell’impresa nel medio lungo periodo. Tanto maggiore è il grado di autonomia tanto più vasti sono gliorizzonti di sopravvivenza dell’impresa.» (Ciappei, 1990)8.1.1 La soddisfazione dell’utenzaPassando all’analisi dei singoli poli, la soddisfazione dell’utenza rappresenta la ragion d’esseredell’impresa, il suo ruolo che svolge o intende svolgere nell’'espletamento delle funzioni economico-tecnicheassunte a oggetto di attività. In un mondo di soggetti portatori di certi bisogni, l’impresa individua sia gliutenti che i bisogni destinatari delle proprie produzioni, ed in tal modo assume un suo specifico ruolo socialeche risulta centrale anche rispetto ad altri ruoli, derivati, che la stessa impresa svolge nei confronti dei suoiinterlocutori.Il carattere primo della soddisfazione dell’utenza è la sua complessità: la difficoltà, intrinseca ai beni oai servizi prodotti, di soddisfare i bisogni dei destinatari delle attività produttive.I principali indici di complessità della soddisfazione sono: la difficoltà delle modalità di risposta alladomanda che l’impresa intende soddisfare; il grado di novità del bisogno o della suddette modalità dirisposta.Il nucleo essenziale della soddisfazione dell’utenza è rappresentato dalle modalità di risposta alladomanda che l’impresa intende soddisfare. Modalità, che possono differire in gradi di difficoltà per: valenzaoperativa del bisogno (funzione tecnica del prodotto-servizio); valenza psicologica del bisogno (motivazioneal prodotto-servizio); modalità tecnologica di soddisfazione del bisogno (tecnologia del prodotto-sevizio).Una riflessione risulta opportuna per chiarire la valenza psicologica del bisogno in parte connessaall’aspetto simbolico. Infatti, il valore simbolico percepito/attribuito al prodotto può trasformare un bene oun servizio “in re ipsa” destinato all’appagamento di bisogni fisiologici in uno strumento di affermazionesociale o di autorealizzazione.Il voler soddisfare un bisogno elevato necessita sempre di un difficile governo della qualità edell’immagine delle utilità offerte e, pertanto, genera complessità. Si noti, dunque, che il grado dicomplessità della soddisfazione della clientela è solo in parte connesso agli aspetti fisici (peso, dimensioni,forma, durezza, fragilità...) e sensibili (suono, colore, odore,...), mentre di maggior momento sono gli aspettifunzionali e soprattutto simbolici del prodotto-servizio. Aspetti funzionali riconducibili alle idee di qualità(intesa come sintesi delle caratteristiche tecniche, merceologiche e mercatistiche del prodotto), di utilità, digaranzia e più in generale di servizi aggiunti. Aspetti simbolici riconducibili al nome, alla marca, al prestigio,all'immagine, allo stile del prodotto.Altra fondamentale fonte di complessità della soddisfazione dell’utenza è rappresentata dal grado dinovità del bisogno, che genera complessità in ciascuno dei summenzionati elementi di delimitazione dellemodalità di risposta alla domanda. Tanto più <strong>nuovo</strong> è il bisogno, tanto più sofisticata la modalità disoddisfazione, tanto più elevato è il livello gerarchico e simbolico del reale bisogno soddisfatto, quanto piùcomplesso risulterà l’appagamento.8.1.2 Le risorse tecniche e competenzeLa produzione di soddisfazione e quindi di prima di utilità e poi di valore richiede l’applicazione diprecise risorse e competenze tecniche, tipicamente di processo, che garantiscano l’efficiente svolgimentodelle attività e l’efficace soddisfazione del bisogno. Qui il tecnico si intende in parziale contrapposizione colfinanziario. Contrapposizione solo parziale in quanto si vuol ricomprendere le risorse finanziarienell’omonimo equilibrio, ma si ritiene sia che alcune utilità si producono solo con la negoziazione di risorsefinanziarie (e.g. bancarie), sia che tutte le competenze tipicamente finanziarie siano anch’esse riconducibili aquesto polo. Da qui la limitazione del tecnico alle sole risorse.Pur non avendo la pretesa di entrare nel merito del concetto di tecnologia, si sottolinea come il terminetecnico sia qui assunto in un’accezione, per certi versi molto ampia, di conoscenza, o meglio cultura, delprodurre prima della sua traduzione nel modulo monetario.L’impresa, strumento universale per l’assolvimento delle funzioni tecnico-economiche, può essereinterpretato come contesto socio-economico che si aggrega intorno alla cultura tecnologica di cui certisoggetti sono portatori. Per ordinare i processi produttivi e comporli in impresa è necessario, ancorché nonsufficiente, che l’imprenditore abbia una minima cognizione di causa sui meccanismi operativi regolano27


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeil’erogazione del prodotto-servizio. D’altronde il padroneggiare intellettualmente l’organizzazione dellaproduzione-erogazione, intesa in senso lato e non solo come trasformazione chimico-fisica del materiale, èsempre stata l’idea sottesa all’attività combinatoria dei fattori produttivi, tipica funzione dell’organoimprenditoriale dalla concezione degli economisti classici.La tecnologia è quindi lo scibile del produrre e pertanto ha natura gnoseologica e di teleologiaproduttiva. Da un lato la tecnologia è fenomeno essenzialmente cognitivo: azioni operative e apparati(attrezzature) che realizzano la produzione vi rientrano solo per metonimia. Sotto altro profilo la tecnica ècapacità di utilizzare delle risorse per elaborare le utilità da queste ritraibili che richiede un sapere normativo,più che interpretativo, della realtà: conoscenza che è già capacità potenziale di modifica, norma e regola cuiattenersi per ottenere il risultato produttivo.In questa visione così globalizzante, la limitazione del fenomeno tecnico e tecnologico alla funzioneproduttiva appare anacronistica: il campo delle tecnologie è senza limiti, dovendo ricomprendervi tutti icriteri di esercizio di attività economiche - ivi comprese tutte le varianti derivanti da loro combinazioni oriferimento ad ogni possibile oggetto - che possono essere svolte da parte di chiunque, in qualsiasi luogo e inqualsivoglia tempo (passato, presente, futuro).In questa “babele” tecnologica, che ricorda quella letteraria di Borges, l’impresa trae specifichecompetenze che vengono indirizzate verso il risultato produttivo: sviluppa un proprio know-how inteso,appunto, come insieme di conoscenze e di metodologie tecnico-gestionali, empiricamente operanti, checostituiscono il bagaglio esperienziale dell’impresa.Le competenze tecniche sono l’interfaccia tra la cultura che l’impresa esprime e la soddisfazionedell’utenza, collegando nel contempo l’apparato/capacità ai processi operativi di funzionamento. Sono lecompetenze realmente espresse a rappresentare l’impronta della specificità dell’impresa, conferendo sulpiano competitivo quella autonomia distintiva che la personalità le attribuisce su quello giuridico. Specificitàdistintiva che è il presupposto per l’ottenimento di vantaggi strategici: tanto più l’impresa eccelle, tanto più sidistinguerà in senso positivo dalla concorrenza acquistando vantaggi competitivi.Le risorse e competenze tecniche possono presentare diversi gradi di espressione soprattutto in relazionea tre caratteri: grado di efficienza (mezzi/risultati); grado di novità; rilevanza strategica.Dall’intreccio dei primi due si ottiene una dimensione intermedia del livello di novità/efficienzadell’impresa assume le modalità: anonima, distintiva, eccellente. Modalità che poste in relazione allarilevanza strategica qualificano le principali competenze dell’impresa come: di sopravvivenza, di successo,di supremazia.8.1.3 La posizione di mercatoLa posizione di mercato è l’espressione sintetica dei rapporti impresa/ambiente focalizzati sul binomioprodotto/mercato. In questo emergono le relazioni connesse ai flussi di risorse assorbite e ai flussi di utilitàgenerati che vengono alimentati attraverso rapporti di scambio.I fattori che più di altri determinano la posizione di mercato possono individuarsi: nel potere di mercato,nell’attrattività del mercato, negli ambiti temporali, negli ambiti geografici su quali si esercita il potere dimercato e nell’approccio al mercato.Dalla correlazione delle prime due determinanti (potere e attrattività) si ottiene il posizionamentostrategico “classico” che è fonte delle matrici di portafoglio. Matrici che in gran parte assorbononell’attrattività anche la prospettiva temporale di esercizio del potere di mercato.Nell’incrocio tra posizionamento classico e approccio al mercato (segmentazione della domanda eposizionamento del prodotto) si ottiene una caratteristica intermedia: l’impatto sul mercato. L’impatto sulmercato si pone poi in relazione con l’ampiezza geografica, per ottenere la posizione di mercato dell’impresacon le modalità: asfittica; significativa; egemonica.Le modalità degli ambiti geografici richiedono forse qualche ulteriore precisazione: l’ambito globaleimplica la proiezione dell’impresa sul mercato mondiale; l’ambito regionale può estendersi in relazione aidiversi settori di attività, dagli spazi provinciali fino a quelli intercontinentali, definendo, al contempo, illimite superiore dello spazio locale.L’ambito locale ricomprende, infine sia l’ipotesi di un unico e limitato bacino di mercato dell’impresa(spazio/locali singolo), sia il caso di spazi locali plurimi: diverse aree geografiche limitate non contigue, incui l’impresa esercita il suo potere di mercato in modo territorialmente concentrato.Naturalmente, nell’eventualità di un’impresa con orizzonte competitivo nazionale, il polo di attenzionedel vertice potrà limitarsi all’impatto di mercato, potendo però considerarsi una buona approssimazione della28


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeisua posizione soltanto quando l’ambito geografico è analogo per i principali concorrenti che sono presenti inun’arena competitiva.8.1.4 I valori economico-finanziariI valori economico-finanziari sono la sintesi quantitativo-monetaria del processo di generazione diricchezza: una serie di equilibri su questi valori sono indispensabili per l'autonomia d’impresa. L’equilibriofinanziario è sicuramente più cruciale di quello economico per la sopravvivenza dell’impresa, ma non puòessere considerato da solo un polo strategico, in quanto il suo mantenimento, benché‚ sia esigenza costante, èstrumentale al raggiungimento di altri obiettivi. La forza dell’equilibrio economico è al contempo indicedell’autonomia e dell’interazione dell’impresa, esprimendo sinteticamente il differenziale tra i suoi livelli diproduzione e di assorbimento energetico.L’impresa, in quanto esistente, ha una sua insopprimibile sfera di autonomia, ma questa può essere tantopiù autopropulsiva - cioè autosufficiente nell’esistenza e autodeterminante nello sviluppo - quanto maggioreè il positivo divario tra risorse generate e risorse assorbite che vengono così liberate dal circuito diautoreiterazione rendendole disponibili per attuare il molteplice ruolo del valore aggiunto e il duplice ruolodel profitto (remunerazione e autofinanziamento).Nel contempo l’impresa interagisce con il suo contesto prelevando risorse e pertanto la suaautopropulsività può manifestarsi solo se riesce a collocare le utilità prodotte, ottenendo in cambio le risorsenecessarie al suo sviluppo e legittimare così la propria autonomia. L’economicità è quindi espressione delfine “egoistico” di autoconservazione nel lungo periodo e del principio “altruistico” di assolvimento dellapropria missione in condizione di efficienza (mezzi-risultati).L’equilibrio economico non è solo un polo di attrazione delle strategie competitive, ma rappresenta unpreciso impegno deontologico dell'organo imprenditoriale: principio etico del suo agire professionale.I caratteri di più rilevante momento, nella definizione di gradi diversi di equilibrio economico, sono: illivello; la durevolezza.Il livello dell’equilibrio economico non è tanto importante in senso assoluto quanto in termini relativi,sia rapportato con altre grandezze interne all’impresa, sia confrontato con quello realizzato dai competitoridel gruppo strategico. ROI, ROS, ROE sono rapporti da sempre centrali in questo tipo di analisi, menofrequenti sono le comparazioni competitive sui valori assoluti, il rapporto tra il reddito d'impresa e il totaledei redditi realizzati dal gruppo strategico o il reddito realizzato dal maggior concorrente, dal principalefornitore, dal più importante cliente. Mentre le comparizioni nello spazio dei classici indici di redditivitàesplicano l’efficienza del processo di funzionamento del contesto, l’analisi competitiva deve ancheevidenziare i rapporti tra i volumi di risorse disponibili che tali processi generano.Un primo approccio nell’analisi dell’equilibrio economico deve quindi raffrontare l’efficienzaeconomica del contesto (soprattutto ROS e ROI) con la sua potenza economica (quota di reddito nel gruppostrategico oppure con il reddito generato dai principali competitori). In tal modo si determina l’intensitàdell’equilibrio economico. La sola intensità non è sufficiente ad esprimere gli aspetti più salienti delfenomeno e pertanto è necessario porla in relazione con la sua durevolezza per individuare la resistenzadell'equilibrio economico. L’atto speculativo presenta spesso una forza economica notevole con unaproiezione temporale limitata (spesso istantanea) e generalmente non idonea ad essere periodicamentereiterata.L’impresa può porsi un obiettivo di <strong>nuovo</strong> e diverso equilibrio economico e più bassi livelli di intensità,ma di più durature prospettive temporali.I caratteri dell’equilibrio finanziario sono invece la flessibilità e l’economicità. L’equilibrio finanziariodeve essere mantenuto quotidianamente ed ha quindi una prospettiva di tesoreria per cui la flessibilità dellefonti, garantita primariamente dalla loro pronta sostituibilità e alternanza, è carattere primigenio. Inoltre taleequilibrio deve essere tale da mantenersi in condizioni di non eccessiva onerosità economica.8.1.5 Gli interessi degli stakeholderLa salda continuità dell’impresa è strettamente collegata al consenso che questa riesce ad ottenere daisuoi interlocutori e più in generale dal contesto sociale in cui si colloca. Spesso a livello imprenditoriale ilproblema del consenso sociale viene affrontato in modo frammentario ed è inteso come insieme di relazioniseparate fra i soggetti con cui l’impresa viene a contatto o con loro significativi raggruppamenti. Certo ilsociale è variegato e quindi può essere segmentato e trattato con approcci alquanto differenziati, ma allo29


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeistesso tempo rappresenta nel suo complesso il milieu in cui l’impresa esiste e si sviluppa. Il consenso versol’impresa è uno degli elementi determinanti dell’accordo contrattuale necessario per le attività di scambio,necessario al fluire dei processi aziendali. La sua importanza si avverte quando si pensa a impresepesantemente inefficienti sotto quasi tutti i punti di vista che sono state mantenute artificiosamente in vita perun preciso interesse politico.Il consenso, segno socio-economici che indicano il grado di integrazione o di rigetto dell’impresa neltessuto della società civile, appare allora come condizione necessaria, a volte la sola sufficiente, perl'esistenza dell'impresa.Il consenso rientra nella governance di impresa e, come affermato in altro volume di questo lavoro,insieme a interessi, potere e identità rappresenta il politics mix del governo imprenditoriale. L’aspetto hamaggiori connotati strategici ed è rappresentato dagli interessi in quanto presentano, rispetto ad altre levepolitiche, maggiori margini di manovra dovuti agli elevati gradi di negoziabilità e di autonomia. Infatti, ilgoverno politico del consenso presenta nell’identità una difficile negoziabilità in quanto dettate dallanecessità di un riconoscimento, che incorpora istanze anche etiche, e nel potere una forma di eteronomialegata al permanere di aspetti fortemente organizzativi. Per questo nell’esaminare il contesto strategico diimpresa sarà esaminato il solo governo degli interessi rinviando al volume sulla governance politica per glialtri, pur rilevanti, aspetti.In una logica di governo degli interessi l’imprenditore con la società civile una specie di patto dirousseauniana memoria i cui termini si evolvono al variare della congiuntura sociale del momento.Il vertice è chiamato, in primo, ad avere la consapevolezza del problema del consenso e in secondo, arivolgersi ai pubblici aziendali (stakeholder) attraverso una politica che armonizzi i loro interessi e i lorovalori con le esigenze di autopropulsione dell’impresa.Atteggiamenti opportunistici o monopolizzatori, tuttora molto frequenti, non pagano nel lungo periodo:una valida governance degli interessi si basa su un leale discorso sullo sviluppo che abbia ben chiare le attesedegli interlocutori sociali, le capacità di risposta dell’impresa, i sacrifici e i rischi da questa richiesti.La trasparenza informativa e la comunicazione esistente sono gli strumenti più efficaci per alimentareun duraturo consenso dell’impresa, ma la logica che informa tali attività ha pur sempre un forte fondamentosinallagmatico: grado di soddisfazione delle aspettative dei pubblici contro livelli di coinvolgimentonell’attività d’impresa.Fig. 1I poli di senso, individuati e sinteticamente analizzati nei precedenti paragrafi, possono ora essereopportunamente riconsiderati in una visione unitaria.Ciascun settore, individuato da due raggi contigui, in realtà una matrice complessa che posizional’impresa tra i due poli (raggi) considerati. Il diagramma ermeneutico esprime di per sé cinque matrici,collegate a cinque aree base, che concorrono tutte alla formazione della figura.8.2 I contesti tra poli contiguiNel contesto ermeneutico è possibile individuare specifici contesti come relazione tra le relazioni trapoli di senso contigui e non contiguiL’area compresa tra due poli contesto evidenzia infatti un contesto elementare di intervento strategico.Tali contesti sono:• contesto della missione aziendale;• contesto del confronto competitivo;• contesto degli equilibri economico-finanziari;• contesto degli interessi socio-economici.• contesto degli interessi socio-ambientali;8.2.1 Il contesto della missione aziendaleIl contesto della missione aziendale, posto tra soddisfazione dell’utenza e risorse e competenzeindividua sia i bisogni che le modalità per la loro soddisfazione. È in questa contesto che si specifica ilprodotto, che si sviluppano le tensioni all’innovazione e alla creatività (R&S), che si attuano i processi di30


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiapprendimento e di acquisizione di tecnologie (consulenza, licensing, joint venture etc.); che si specificano lemodalità di utilizzo delle risorse combinandole in contesti di produzione del prodotto e di erogazione delservizio.La missione aziendale è il ruolo che l’impresa svolge o intende svolgere nell’espletamento dellefunzioni economico-tecniche assunte a oggetto di utilità. In definitiva la missione aziendale può anche essereinterpretata come espressione sintetica della tipologia dei bisogni che l’impresa intende soddisfare, nonchédelle modalità di offerta delle connesse utilità. Il carattere con cui esprimere la missione aziendale è lacomplessità a sua volta connessa al grado di novità e livello gerarchico dei bisogni soddisfatti. Tanto è più<strong>nuovo</strong> il bisogno, tanto più elevato è il livello gerarchico del reale bisogno soddisfatto quanto più complessorisulterà il loro effettivo appagamento. La soddisfazione di un bisogno fisiologico (sempre esistito e di bassolivello gerarchico) presenterà una missione di bassa complessità, mentre l’appagamento dei bisogni nuovi e/oconnessi alla considerazione sociale o all’autorealizzazione presentano una missione di alta complessità. Sinoti che il grado di complessità della missione è solo in parte connesso alle caratteristiche merceologiche,mentre di maggior momento è la qualità (intesa come insieme di caratteristiche mercatistiche e tecniche) esoprattutto l’immagine del prodotto. In definitiva l’immagine percepita/attribuita al prodotto può trasformareun bene o un servizio in re ipsa destinata all’appagamento di bisogni fisiologici in uno strumento diaffermazione sociale o di autorealizzazione. Il voler soddisfare un bisogno elevato necessita sempre di undifficile governo della qualità e dell’immagine delle utilità offerte e, pertanto, genera complessità dellamissione aziendale. Per individuare la complessità della missione aziendale è perciò necessario interrelare illivello del bisogno che l’impresa intende soddisfare (esiste quasi sempre un pull di bisogni soddisfatti da unmedesimo bene o servizio) con il livello di qualità offerto.Le grandezze in gioco sono prevalentemente fisiche e una netta importanza assumono le qualità deiprodotti e dei processi. La relazione soddisfazione dell'utenza ⇔ risorse tecniche e competenze ben esprimela ricorsività, a volte ciclica, tra demand pull e tecnological push.8.2.2 Il contesto del confronto competitivoIl contesto del confronto competitivo, posto tra risorse tecniche e competenze e posizione di mercato, èil punto cruciale delle relazioni con gli altri operatori economici, nel cui ambito si impostano le manovreoffensive, difensive e collaborative.Il fascio di rapporti prodotto-mercato implicano un confronto con l'altro che non è solo un confrontosinallagmatico e negoziale, ma confronto in un contesto di scambio che si allarga a ricomprendere altrisoggetti. Da qui il confronto con le cinque più due forze competitive che, da Porter in poi, vanno sotto ilnome di concorrenza allagata. Forze che sono: fornitori, concorrenti, clienti, potenziali entranti, produttori diprodotti sostitutivi, sub-fornitori e utenti finali.L’intervento imprenditoriale è centrato nel governo dei rapporti di forza (e di collaborazione) con isoggetti generati dalla tensione tra i due poli. La posizione di mercato è qui indice del potere di controllodella situazione concorrenziale. Le risorse tecniche e le competenze hanno la funzione di generare deivantaggi competitivi nel “know how”, che permettono di difendere la propria posizione o di aggredire quellaaltrui. Le grandezze in gioco sono sia monetarie che fisiche.La relazione ricorsiva risorse tecniche e competenze ⇔ posizione di mercato vuol sottolineare chel’esistente “know how” permette di sostenere una certa posizione di mercato, la quale però incrementa lecompetenze (apprendimento) attraverso meccanismi del tipo “lerning by doing”. In questa contesto risultafondamentale la flessibilità della struttura aziendale. Effetto della spirale risorse-competenze/posizione dimercato è lo sviluppo della competizione: posizioni di mercato sempre più ampie consentono di sfruttarecompetenze differenziate, frutto di specificità locali, che spingono a loro volta verso l’ulteriore ampliamentodei mercati.8.2.3 Il contesto degli equilibri economico-finanziariIl contesto economico-finanziario, posta tra valori economico-finanziari e posizione di mercato, è ilmotore della autopropulsività aziendale. In questa area si collocano gli aspetti economici di costo e di ricavodelle azioni imprenditoriali: l’intervento è prevalentemente teso al governo dei valori (grandezzequantitativo-monetarie) in cui la posizione di mercato ha la funzione di assicurare adeguati volumi di ricavo,mentre il polo di equilibrio economico attua una correlazione delle grandezze di costo in gioco.31


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiLa relazione ricorsiva posizione di mercato ⇔ valori economico-finanziari può essere letta nel sensoche la posizione di mercato genera ricavi cui vengono correlati costi per determinare livelli di equilibrio, siaeconomico che finanziario, che a sua volta retroagisce sulla posizione di mercato in termini di impieghi dellerisorse generate.8.2.4 Il contesto degli interessi socio-economiciIl contesto degli interessi socio-economici, posta tra il interessi degli stakeholder e l’equilibrioeconomico, è il contesto dei rapporti con i pubblici aziendali portatori di marcati interessi economici. Inquesta area l’impresa gioca il suo ruolo nella ripartizione della ricchezza sociale prodotta. Centrale in questoordine di considerazioni è il valore aggiunto: grandezza oggetto di spartizione tra i soggetti che più o menodirettamente hanno partecipato alla produzione.Questo importante aggregato dell’economicità aziendale permette la distinzione dei pubblici aziendali(stakeholder) in competitori e interlocutori con interessi economici. I competitori incidono sul risultatoeconomico attraverso l’impatto su ricavi e “costi esterni” che determinano l’entità del valore aggiuntoaziendale che viene poi ripartito tra l’azienda (autofinanziamento) e i suoi interlocutori.La ripartizione sociale della ricchezza prodotta avviene più sul valore aggiunto che sul reddito netto: è aquesto livello di aggregazione del risultato economico che le decisioni del vertice assumono connotazionipolitiche. L’entità del valore aggiunto aziendale dovrebbe consentire al vertice di soddisfare le esigenze: diremunerazione del personale e dei finanziatori; di vincolo al contesto aziendale delle eccedenze economichenon distribuite.Con livelli di libertà assai diversi il vertice deve fare della ripartizione del valore aggiunto un vero eproprio “progetto imprenditoriale” con cui suddividere “quote ragionate” di questo risultato economico persoddisfare gli interessi dei suoi interlocutori e armonizzarli, per quanto possibile, alle necessità diautofinanziamento aziendale.L'anello interessi degli stakeholder (equilibrio economico) ben esprime il funzionamento delle relazionieconomiche tra impresa e interlocutori sia a livello complessivo (produzione di ricchezza) che di significativigruppi (remunerazione).In definitiva i lavoratori, per altri versi impegnati anche sul fronte degli interessi socio ambientali,avranno atteggiamenti collaborativi se riceveranno adeguati stipendi e salari; i finanziatori (sia a titolo dicredito che di capitale) saranno propensi a far affluire nuovi mezzi se l’azienda prospetta convenienti tassi diremunerazione e buone possibilità di disinvestimento (rimborso o alienazione).Facendo appena mente locale al rilievo di questi “consensi” sulle leve operative e finanziariedell’impresa, l’impatto retroagente sull’equilibrio economico risulta evidente.L’imprenditore perciò, non può considerare in modo deterministico né il passaggio dal valore aggiuntoal reddito netto di esercizio, né tantomeno il formarsi dell’autofinanziamento aziendale. Anche se il primopresenta gradi di libertà molto inferiori al secondo, il vertice deve governare la ripartizione del valoreaggiunto tenendo presente che tutte le leve aziendali (economica, operativa, finanziaria) sono strettamentecollegate dalla leva sociale dell’impresa.8.2.5 Il contesto degli interessi socio-ambientaliIl contesto degli interessi socio-ambientali, posta tra la soddisfazione dell’utenza e gli interessi deglistakeholder, è l’area della qualità della vita connessa all’attività d’impresa.L’asse portante del contesto è l’assolvimento delle funzioni tecnico economiche poste ad oggettodell’attività e necessarie per la sopravvivenza e lo sviluppo del corpo sociale. Il fatto stesso che l’impresa siauno strumento per l’assolvimento di dette funzioni, comunque necessarie, genera un consenso tanto più fortequanto più‚ basso il grado di sostituibilità della specifica impresa e tanto più elevato é il grado di necessitàdella funzione svolta. Ma intorno a questi interessi tradizionali nascono nuove aspettative sullaconservazione dell’ambiente, sulla qualità dei prodotti e sulla trasparenza delle attività. L’interventoimprenditoriale in questa contesto deve rispondere alle attese inerenti l'impatto ecologico dell'impresa: allerichieste di prodotti di più elevata qualità e sicurezza; alle istanze di informazioni e comunicazioni (anchepubblicitarie) meno manipolate e più concrete, verificabili, utili, credibili etc.Questi interessi, fino ad ora latenti e diffusi, si stanno via via trasformando in pressanti e collettivi: iportatori di questi interessi si coalizzano in movimenti (ecologisti, consumiers, etc.) che, se guidati daopinione leader, diventano veri e propri gruppi di pressione, nei confronti dei quali l’impresa deve rivolgersi32


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicon atteggiamento sempre più politico (armonizzatore di interessi) per ottenere un livello accettabile diconsenso sociale.La relazione ricorsiva soddisfazione dell’utenza (interessi degli stakeholder) è di meno immediatacomprensione delle precedenti: le modalità di assolvimento dei bisogni determinano un certo livello diconsenso; in misura minore la riprovazione sociale, le alzate di scudi possono incidere sulla individuazionedei bisogni da soddisfare da parte dell'impresa.8.3 Le relazioni tra poli di senso non contiguiUlteriori interdipendenze tra poli di senso possono essere individuate sulle direttrici che, passando dalcentro, uniscono raggi non contigui nella rappresentazione, sempre soggettiva, offerta dal contestoermeneutico proposto. Queste direttrici possono così specificarsi:• soddisfazione dell’utenza ⇔ valori economico-finanziari, che distingue il contesto delle strategiecompetitive da quello delle strategie sociali;• risorse tecniche e competenze ⇔ valori economico-finanziari, che individua il contesto dell’efficienza e dell’allocazione;• soddisfazione dell’utenza ⇔ posizione di mercato che individua il contesto del business;• posizione di mercato ⇔ interessi degli stakeholder, che individua il contesto economico-finanziario;• risorse tecniche e competenze ⇔ interessi degli stakeholder, che individua il contesto dello svilupposocio-tecnico;Con immediatezza si nota subito che la principale partizione e asse orizzontale del contesto è ladirettrice soddisfazione dell’utenza ⇔ valori economico-finanziari che al contempo distingue ed unisce ilcontesto delle strategie sociali dal contesto delle strategie competitive. Questo asse rappresenta il legame“forte” tra strategie sociali e competitive integrato dalle relazioni verticali risorse tecniche e competenze ⇔interessi degli stakeholder, e posizione di mercato ⇔ interessi degli stakeholder che però rappresentanolegami “deboli”, ancorché strutturali, tra i due ambiti strategici.Infine le direttrici risorse tecniche e competenze ⇔ valori economico-finanziari e posizione di mercato⇔ soddisfazione dell’utenza sono legami “forti”, ma interni alle strategie competitive.8.3.1 Il contesto delle strategie competitive e il contesto delle strategie socialiLa direttrice soddisfazione dell’utenza ⇔ valori economico-finanziari è l’asse del finalismodell’impresa: da un lato l’azienda di produzione persegue la finalità di assolvere le funzioni economicotecniche; dall’altro l’equilibrio economico permette di raggiungere gli scopi di remunerazione dei soggettiinteressati alla vita dell’impresa (finanziatori a titolo di capitale od anche a titolo di prestito, lavoratori etc.).Sotto altro profilo l’asse in esame è il principio alimentatore dell’autosufficienza e dell’autopropulsivitàaziendale: cardini della sopravvivenza dell’impresa nel medio-lungo periodo.Visualizzando il diagramma del contesto è possibile evidenziare i due circuiti in cui si attua la ricorsivitàteleologica d’impresa.Il circuito superiore soddisfazione dell’utenza ⇔ interessi degli stakeholder ⇔ valori economicofinanziariè preposto a garantire la sopravvivenza aziendale il suo innesto nel tessuto sociale. I valoriconnessi a questo circuito sono il benessere sociale in tutte le possibili espressioni in cui può manifestarsi laqualità della vita e la capacità di soddisfare interessi di tipo particolaristico.Il circuito inferiore soddisfazione dell’utenza ⇔ risorse tecniche e competenze ⇔ posizione di mercato⇔ valori economico-finanziari è preposto a garantire la sopravvivenza dell'impresa nel contesto competitivo.I valori connessi a questo circuito sono l’efficienza (in particolar modo la produttività), l’efficacia(specialmente dell'azione strategica), la propulsività tecnico-culturale (innovatività, creatività,apprendimento, esperienza, know-how, etc.).La distinzione dei due circuiti ci permette di individuare le due principali contesti aggregate nelle qualiil vertice imprenditoriale svolge le proprie strategie:! il contesto delle strategie sociali (percorsa dal circuito superiore) che comprende le contesti basedegli interessi socio-ambientali e degli interessi socio-economici;! il contesto delle strategie competitive (percorsa dal circuito inferiore), che comprende le contestibase degli interventi economico-finanziari del confronto con i competitori e della definizione delbusiness.33


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiQueste due grandi contesti di intervento strategico sono uniti anche dalle direttrici verticali risorsetecniche e competenze ⇔ interessi degli stakeholder e posizione di mercato ⇔ interessi degli stakeholder. Sievidenzia però che queste direttrici verticali sono deboli sia rispetto a quella orizzontale, sia a quelle interneal contesto delle strategie competitive.8.3.2 Il contesto del businessSulla direttrice soddisfazione dell’utenza ⇔ posizione di mercato intervengono le principali azionidirette a trasformare i bisogni degli utenti/consumatori in vantaggi competitivi per l’impresa. Tra questi polidi senso scoccano le strategie riferite al mercato (differenziazione o focalizzazione della produzione,meccanismi di “push” o di “pull” per il funzionamento e il controllo del canale logistico e - concludendo labreve esemplificazione - la massimizzazione del servizio al cliente o l'innovazione del prodotto).Il circuito soddisfazione dell’utenza ⇔ risorse tecniche e competenze ⇔ posizione di mercato pone inrisalto come la direttrice in esame sia in gran parte sostenuta dalle risorse e competenze che permettono diindividuare un adeguato mix produttivo e di marketing che consenta un forte aggancio del potere di mercatoai bisogni che si intende soddisfare.In definitiva la direttrice che individua la definizione del business è quella in cui si conquistano lepreferenze dei consumatori. Composta com’è dalle contesti-base di missione e del confronto con icompetitori, delinea gli ambiti in cui il vertice interviene sia per definire l’oggetto di attività, sia perposizionarsi nei rapporti concorrenziali (orizzontali) e di competizione/collaborazione verticale.Sono le preferenze degli utenti/consumatori (esprimibili anche in termini di fedeltà alla marca, fedeltàdel punto vendita, fedeltà al produttore del servizio etc.) la determinante centrale dei rapporti di forzacompetitiva ed è, infatti, su questo campo che si giocano le principali carte per il successo imprenditoriale.Dunque, altra chiave di lettura della direttrice in esame è quella per cui sono le modalità disoddisfazione dei bisogni a conferire il potere di mercato attraverso le preferenze dei consumatori, ma a suavolta, questo potere può generare bisogni indotti o può influenzare pesantemente le preferenze deiconsumatori che si sarebbero, in altre circostanze, altrimenti espresse.8.3.3 Il contesto dell’efficienza e dell’allocazioneLa direttrice risorse tecniche e competenze ⇔ valori economico-finanziari genera vantaggi competitiviin termini di surplus di risorse disponibili, in quanto autogenerate dall’impresa. Questo surplus di risorsetrova fondamento nell’innovazione e nel coordinamento delle tecniche di impresa.L’evoluzione tecnologica (non solo produttiva, ma anche finanziaria, organizzativa e di marketing) haattitudine a trasformarsi in una nuova e diversa economicità sia in termini di aumento dei ricavi, sia comeriduzione di costi.L’aumento dei ricavi, indotto dal progresso nelle tecniche d’impresa, passa in gran parte per il circuitodi definizione del business per avere ricadute in termini di intensità di equilibrio economico realizzato.L’innovazione di prodotto, di canale distributivo, la più efficiente politica pubblicitaria e così via, sitraducono in un rafforzamento del collegamento tra potere di mercato e bisogni (reali o indotti) dell’utenzache a sua volta si trasforma in più sicura e/o maggiore economicità per l’impresa. Gli interventi diretti sulladirettrice in questione riguardano nel senso risorsa tecnica ⇒ economicità il contenimento dei costi dellerisorse tecniche, anche attraverso economie di scala e di scopo, mentre nel senso inverso l’allocazione deisurplus di risorse economico-finanziarie.In questa direttrice si esplicano le azioni dirette alla riduzione dei costi di apparato e di funzionamento.Si pensi ai grandi temi dell’integrazione dei flussi logistici, della realizzazione dell'uso delle risorse, dellariduzione dei costi di opportunità e delle occasioni di rischio (costo potenziale). Insomma, sia le strategie dileadership di costo e di focalizzazione sui costi passano per la direttrice in questione.L’interpretazione forte che può essere attribuita all’anello ricorsivo risorse tecniche e competenze ⇔valori economico-finanziari dunque è che l'appropriazione di adeguate tecniche d’impresa può generare unariduzione di costi che aumentano il flusso di risorse generate che a loro volta sono, in parte, disponibili perl’acquisizione di nuove tecniche o per il miglior coordinamento di quelle già adottate.8.3.4 Il contesto dello sviluppo socio-tecnico34


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiNella direttrice risorse tecniche e competenze ⇔ interessi degli stakeholder, che individua il contestodello sviluppo socio-tecnico, scorrono i collegamenti tra autopropulsività aziendale e progresso socialenell’ambito tecnologico.L’evoluzione sociale‚ scandita dall’innovazione e dalla diffusione della tecnologia delle imprese:almeno per le civiltà occidentali i metodi di produzione adottati nelle imprese costituiscono chiavi di letturadello sviluppo sociale anche per interpreti non legati ad ideologie marxiste.La singola impresa, generalmente, non riesce però a governare questo rapporto tra innovazioneaziendale e modificazioni del tessuto sociale: lo sviluppo che l’azienda induce, retroagisce come fattore delcambiamento nel suo ambiente operativo, rimanendo però un dato per lo più esogeno nel contesto di governoimprenditoriale.Normalmente il vertice ha una visione di portata assai più limitata rispetto al ruolo assunto nel diveniresociale: il progresso della singola impresa viene avvertito come fatto socialmente positivo e genera pertantocoesione intorno all’azienda.A questa visione riduzionista dei rapporti tecnologici con l’ambiente sociale si contrappone l’immediatarilevanza delle trasformazioni tecnologiche dal micro al macro ambiente crea nuove opportunità per unapolitica dell’immagine aziendale. La celerità con cui le tecnologie si propagano anche in settori lontani daquello originario (diffusione orizzontale) e le spesso non elevate barriere all’imitazione possono quantomenoessere utilizzate per diffondere l’immagine dell’impresa attribuendo, per così dire, il marchio alla tecnologiasviluppata (ad esempio computer compatibili IBM). Senza eccessiva enfasi sull’importanza strategica delladirettrice si può dire che questa individua l’area dello sviluppo socio-tecnologico, contesto che comprendeparte della superficie sociale (contesto degli interessi socio-ambientali).La direttrice risorse tecniche e competenze ⇔ interessi degli stakeholder può divenire l’asse portanteper una politica dell’immagine aziendale in imprese altamente innovative, ma con scarso peso economicodiretto sul contesto sociale in cui operano: le contesti degli interessi socio-ambientali e socio-economici sonospesso asfittiche rispetto al ruolo sociale (e spesso politico) a cui l’impresa ambisce. Esempio emblematicodel fenomeno‚ la politica dell'immagine di alcune società di engineering. In generale si può affermare chel’effetto di interventi su questa direttrice saranno tanto meno rilevanti quanto maggiore é il peso economicoambientaledell’impresa e saranno tanto più cruciali quanto maggiore‚ il gap tra cultura d’impresa e culturadel suo contesto sociale: una officina meccanica in paesi in via di sviluppo può generare più arcano rispetto epiù timore reverenziale di un laboratorio di avionica posto in un paese occidentale. In ogni caso, il consensosociale in ambito tecnologico si ottiene più con una capacità evocativa di tipo divulgativo che non con unaeffettiva informazione scientifica.In definitiva l'anello ricorsivo risorse tecniche e competenze ⇔ interessi degli stakeholder può esseremanovrato dall'impresa solo a livello di azione, mentre a livello di retroazione risulta difficilmentegovernabile.Si nota infine che difficilmente le competenze tecnologiche vengono sviluppate per ottenere consensosociale, magari a tale scopo vengono più economicamente millantate: le succitate relazioni sono una ricadutasociale (quasi un sottoprodotto) di azioni concorrenziali e di qui la natura ibrida e ausiliare rispetto adcontesti strategiche più propriamente sociali o competitive.8.3.5 Il contesto economico-finanziario.La direttrice posizione di mercato ⇔ interessi degli stakeholder che unisce il contesto in cui si producea quello nel quale si ripartisce valore e pertanto indica anche la fonte potere derivante da una certa posizione‚principalmente esercitato a fini competitivi, ma può anche essere rivolto a sostegno di strategie tipicamentesociali.La potenza esercitata sul mercato può avere connotazioni negative sul piano del consenso sociale. Ipubblici aziendali considerano una minaccia alla loro sfera di autonomia la capacità dell’impresa digovernare il proprio mercato: in questo ambito la maggior autopropulsività dell’impresa si traducedirettamente in una sua limitazione dell’autonomia dei vari gruppi di pressione che le ruotano attorno.L’ipotesi di una pregnante capacità di governo sociale da parte delle tecnostrutture di grandi impresepassa sempre attraverso la constatazione di un forte controllo/condizionamento dei loro mercati, siano essi diapprovvigionamento o di distribuzione, reali o finanziari. L’idea di un imperialismo economico d’impresa èben presente nelle coscienze dei soggetti e, anche se non innesca più accese lotte di classe, non favoriscecerto simpatie verso situazioni di oligopolio.35


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIn verità, anche nella letteratura tecnica, si nota una alternanza di alti e bassi nella ponderazionedell’effettivo rilievo di interpretazioni di tipo “capitalismo organizzato”: ora la varietà e variabilità delsociale da un lato e l’esplosione tecnologica favoriscono interpretazioni di una ridotta influenza dellepolitiche d’impresa sul tessuto sociale; poi invece le politiche di concentrazione in vista diinternazionalizzazione dei mercati suscitano un revival di impostazioni teoriche ormai considerate mature otutt’al più idonee a spiegare il contesto sociale e competitivo degli anni ‘50 e ‘60.L’associazione tra potere di mercato e consenso sociale innesca subito idee che partono da collusioni trapotentati economici e potere politico fino ad arrivare a colpi di stato o a destabilizzazioni sociali. Indefinitiva la relazione ricorsiva posizione di mercato ⇔ interessi degli stakeholder agisce più in sensoinverso che diretto: il consenso sociale generato dalla soddisfazione di interessi che produce simpatie,favorendo il rafforzamento della posizione di mercato attraverso meccanismi di “fedeltà” verso il forte chevariamente possono attivarsi tra i vari pubblici aziendali.La possibilità di incidere sul consenso sociale attraverso la posizione di mercato richiede l’uso di veicoliche esorbitano i normali mezzi di comunicazione nei quali le imprese incanalano i loro messaggi pubblicitario anche propagandistici. Sono quindi in un’ottica prospettica più che attuale i pur fondati timori del poterepolitico sulla concentrazione di organi di informazione nelle mani di grandi gruppi economici.In conclusione, il lato della posizione di mercato che può essere utilizzato in senso positivo per unapolitica dell’immagine aziendale è uno degli ambiti spazio-temporali del suo esercizio: l’impresa da lungotempo presente sul mercato o rivolta a mercati sempre più ampi genera nei suoi interlocutori apprezzamentoper le sue doti di persistenza e dinamismo.8.4 I poli di senso e i fini e i valori d'impresaDi notevole momento per gli studi sui comportamenti dell’impresa-soggetto è l’esame del contesto dellefinalità e dei valori dell’organizzazione. Con immediatezza si nota come tale contesto sia co-prodotto dai duepossibili angoli di osservazione del fenomeno impresa: il suo vertice e i suoi pubblici. In presenza di autoreferenzae auto-finalità il contesto di valori e di finalità si emancipa da quello dei singoli soggetti interni odesterni per divenire proprio dell'impresa. Queste brevi premesse permettono un ulteriore livello di lettura deldiagramma di posizionamento in termini di opposizioni sinistra/destra, alto/basso.Fig. 2 Posizionamento dei fini e dei valori tra i poli di sensoA sinistra della matrice appaiono i valori non esplicitamente economici, mentre a destra si collocanovalori di tipo espressamente economico-monetario.A sinistra emergono valori a contenuto di tipo etico-sociale sia rivolti all’esterno dell’impresa (rispettoambientale, soddisfazione dell’utente con logica di servizio, qualità della vita, trasparenza della propriaattività, propulsività al benessere sociale), sia al suo interno (sviluppo della cultura d'impresa, capacità diapprendimento, creatività, valorizzazione delle risorse, sviluppo delle personalità individuali, rispetto delpersonale, cooperativismo/cameratismo, autorealizzazione nel lavoro). A destra emergono i valori a spiccatocontenuto economico (economicità, efficienza economica, produttività, remunerazione del lavoro e degli altrifattori produttivi, etc.). In alto sono collocate le strategie con finalità sociali. In basso si rintracciano lestrategie con finalità competitive.Questa caratterizzazione alto/basso, sinistra/destra suggerisce l’idea di una matrice finalità/valori in cuicollocare i poli e le contesti di attenzione imprenditoriale. Inserendo in riga l'opposizione dei finisociali/competitivi e in colonna l'opposizione dei valori etico-sociali/economico-monetari si ottengonoquattro quadranti che rappresentano tutte le possibili combinazioni delle opposizioni fini/valori. Siindividuano così quattro quadranti.Il primo (in alto a sinistra) evidenzia fini sociali e valori etico-sociali. Questo‚ il quadrante delbenessere sociale, in cui dominano la soddisfazione del consumatore, svolta con logica di servizio (per cosìdire altruista) e il rispetto socio-ambientale. Il secondo quadrante (in alto a destra) evidenzia fini sociali evalori economico-monetari; è in questa sede che si colloca la Remunerazione dei fattori produttivi attraversola ripartizione del valore aggiunto prodotto dall’attività: la creazione di ricchezza (valore) trova destinazionenel benessere dei partecipanti al processo produttivo (finalità). Il terzo quadrante (in basso a sinistra)interseca valori etico-sociali con fini competitivi e può essere denominato della cultura d’impresa votataall’eccellenza. Valori come l’innovatività, la creatività, lo sviluppo della professionalità e la motivazione di36


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidirigenti e maestranze vengono finalizzati all’eccellenza (o anche al successo o alla sopravvivenza)dell’impresa sui suoi competitori. Infine, nel quarto quadrante (in basso a destra) si integrano valorieconomico-monetari con fini competitivi, ponendo in evidenza una soddisfazione dell’utente svolta conlogica di ricavo (per così dire egoistica) che poi potrà concretarsi in obiettivi di profitto o di crescitaaziendale.Sovrapponendo il diagramma di posizionamento alla matrice, si possono notare le connotazionifinalità/valori dei vari poli di senso e delle contesti che essi definiscono.Tralasciando l’esposizione integrale si nota in primo luogo che quattro poli sono univocamentecaratterizzati mentre l’interesse sociale presenta aspetti di entrambe le modalità assunte dai valori.Secondariamente si evidenzia come stessa peculiarità presenta il contesto del confronto con i competitori ecome parallelamente i contesti economico-finanziari e di definizione del business presentano una duplicità difini. Inoltre si sottolinea che i collegamenti tra le varie classi di fini/valori sono garantiti dalle direttrici trapoli di senso. Infine si noti come i contesti degli interessi socio-ambientali e degli interessi socio-economicihanno una specifica connotazione rispettivamente nel quadrante del benessere sociale e della remunerazionedei fattori produttivi.Può sembrare strano che nell'analisi fini/valori non si sia ancora inserita l’autosufficienza dell’impresa,l’indipendenza delle sue determinazioni e la sua capacità di sopravvivere e svilupparsi nel medio-lungoperiodo. In verità, quella che in sintesi può definirsi auto-finalità aziendale rappresenta il cardine su cui ruotatutto il contesto fino ad ora esaminato. Infatti l’auto-finalità trova la propria forza e la propria legittimazionenel principio della prestazione: nella soddisfazione delle legittime aspettative di soggetti diversi all’impresa.Ciò significa che se la sopravvivenza e lo sviluppo aziendale sono l’essenza della auto-finalitàd’impresa, questi‚ non sono né una finalità né un valore, ma acquistano un significato se funzionalizzato allaritardata realizzazione della finalità e alla persistente affermazione dei valori che possono svolgersi soloattraverso il funzionamento degli assetti produttivi. L’auto-conservazione aziendale, attuata tramite il suodivenire più morfogenetico che omeostatico, si esprime attraverso l’affermazione dei suoi fini e dei suoivalori sull’ambiente esterno, ma trova la sua legittimazione se e in quanto la sua esistenza servaadeguatamente i giusti fini e i sani valori di cui sono portatori soggetti diversi.L'impresa che esiste nella sua individualità solo in quanto riesce ad esprimere propri fini e valori checostituiscono la sua identità, trova la sua ragion d’essere nella strumentalità verso le finalità e i valori del suoambiente, trova la sua legittimazione nel giudizio etico e morale della società in cui opera. Porre lasopravvivenza dell’impresa come finalità o come valore del contesto sociale o anche come unica deontologiadel suo vertice imprenditoriale, giustificherebbe il mantenere in vita l’impresa ad ogni costo,indipendentemente da ogni altra considerazione. Un’impresa avviata tende ad una inerzialeautoconservazione, ma la sua sopravvivenza dipende, in ogni momento, da una responsabile decisione delsuo vertice e dei suoi pubblici: decisione che deriva da un giudizio di congruenza dei fini e dei valori chequesta esprime. Insomma, imprese con ripercussioni destabilizzanti per l’ambiente in cui sono inserite,devono essere soppresse con interventi che vanno dalla eutanasia all’estirpazione dal tessuto sociale.Le forme di destabilizzazione (di entropia) ambientale sono molto varie e di difficile classificazione: daimprese irreparabilmente inefficienti ad imprese altamente inquinanti; da imprese truffaldine ad impreseverticalmente integrate per la produzione e distribuzione di stupefacenti sul mercato globale.In ogni caso si può parlare di destabilizzazione causata dall’impresa solo in termini di acuta devianzadei fini e dei valori espressi rispetto a quelli considerati compatibili alla persistenza di un determinato assettosociale. Ecco allora che, in determinati casi, può essere considerata doverosa la soppressione dell’impresaanche da parte del suo vertice imprenditoriale.L’endo-genesi e l’eso-genesi del senso del contesto strategico.Il senso del contesto strategico si formasia dentro che fuori all’impresa. In questi termini si parla di endogenesi e esogenesi del senso strategico.Nell’eso-genesi della strategia sono sostanzialmente tre: la strategia d’impresa attinge, attraversol’interpretazione, ad un senso che si forma anche al di fuori dell’impresa e, solo per certi versi, quasiindipendentemente dalla sua stessa esistenza; strategia di impresa una volta manifestata assume un suo sensoche in parte, solo in parte, si distacca dall’attore che la ha posta in essere per divenire condivisa conl’ambiente con cui viene a contatto; la strategia di impresa trova la sua validazione, in termini di idoneità aicompositi scopi, anche nell’ambiente esterno l’impresa.Tutto ciò per prendere le distanze da visioni esclusivamente endo-genetiche della strategia. La strategiae forse il prodotto che rappresenta l’autonomia dell’impresa, ma non può essere considerato esclusivamenteil frutto della sua auto-poiesi. Nella strategia l’ambiente irrompe sia in sede di formazione, che di attuazioneprovocando l’intrusione di dati di realtà non considerati affatto, e la fallacia di alcune interpretazioni non37


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicorrette o erronee. L’impresa non può essere pertanto considerato solo un sistema auto-poietico,sostanzialmente chiuso all’ambiente, in cui ogni dato di realtà non esiste o non è rilevante se non mediato daprocessi percettivi e cognitivi che lo metabolizzano.L’impresa, se animata da adeguata imprenditorialità, è un sistema autonomo. La strategia di impresa è inbuona parte determinata da eso-finalità (finalità esterna), e con questo si afferma che l’autonomia d’impresanon si produce dal nulla, bensì attraverso eventi e interessi esterni. Il problema non è tanto quello diriconoscere l’auto-nomia strategica dell’impresa (quando questa si presenti), quanto quello di pensare aquesta autonomia, nel paradosso della sua dipendenza rispetto alle forze dell’ambiente e agli interessi esterni.Forze e interessi che contemporaneamente delimitano, spesso annullando, l’auto-finalità dell’impresa, maallo stesso tempo la permettono e, in un certo qual senso, concorrono a costituirla.La eso-genesi della strategia svolge un ruolo di co-programmazione e di co-organizzazionedell’autonomia d’impresa, ma questa è in grado di retroagire sui fattori esterni che pur concorrono alla suaformazione. L’impresa una volta sorta sviluppa la sua autonomia divenendo capace di acquisire, capitalizzarela propria esperienza e di sfruttare le eso-condizioni per elaborare strategie di apprendimento e dicomportamento per la realizzazione delle strategie che pur tuttavia rimangono essenzialmente proprie.La endo-genesi della strategia impedisce l’invasione delle alee e dei determinismi dell’esterno,garantendo l’autonomia dell’impresa dall’ambiente. Inversamente, l’eso-genesi, cioè la reale apertura dellesue manifestazioni ad influenze esterne, permette l’osmosi e l’interazione con il suo ambiente e quindi ilformarsi di una esperienza. «È in questo modo che l’impresa, come sistema chiuso/aperto, utilizza elementiesterni per auto-organizzarsi, sfrutta alee e determinismi ambientali per la sua auto-propulsività (strategie),si confronta con altri soggetti per auto-referenziarsi, soddisfa interessi esogeni per affermare la propriaauto-finalità».”L’attenzione all’aspetto auto-poietico, autorevolmente proposto dal Vicari, dell’impresa enfatizzaeccessivamente l’aspetto di chiusura del sistema impresa, in sé necessario per la sua autonomia, ma eliminaquasi del tutto la sua apertura considerando l’ambiente solo per le trasformate percettive e cognitive generatedall’interpretazione che l’organismo collettivo, attraverso le persone fisiche che lo compongono, riesce acompiere. Nella prospettiva dell’autonomia d’impresa, proposta in tempi non sospetti, non sottovaluta lareale apertura considerandola fonte primaria della complessità del vissuto in cui i soggetti si trovano findall’origine gettati a prescindere dalle loro capacità percettiva o cognitiva.L’apertura dell’impresa è quindi un dato ontologico che un certo senso precede e costituisce il substratoper una sua relativa chiusura cognitiva. I fattori del cambiamento entrano nell’impresa, e nel senso della suastrategia, anche se non percepiti e conosciuti e sono una delle cause delle sue fortune e dei suoi fallimenti.In questa ottica i poli di senso rappresentano una interfaccia, un confine tra interno ed esterno. Uninterfaccia che però ha una direzione e un senso che cuce l’interno con l’esterno.La soddisfazione dell’utenza ha un senso dall’esterno verso l’interno, le risorse tecniche e competenzeriportano il senso dall’interno all’esterno che viene reinternalizzato con la posizione di mercato. I valorieconomico-finanziario esprimono una condizione interna che viene esternalizzata negli interessi deglistakeholder.38


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiCAPITOLO SECONDOIL CLIENTE E IL SERVIZIO1. L’estensione e la profondità della definizione di servizio1.1 L’hic et nuc del servizioIl termine servizio deriva probabilmente dal latino servitium e indicava la condizione propria del servo.Con l’evolversi degli usi e dei costumi il termine ha assunto un ambito denotativo sempre più ampio, purconservando alcuni elementi connotativi quali inter-azione tra persone e la subordinazione, particolarmenteutili nella proposta ricostruttiva del concetto almeno funzionale, del servente al servito.Il significato di servizio è comunque quanto mai sfumato. Le imprese di produzione di servizi fannoparte del così detto settore terziario insieme a quelle che esercitano attività di adattamento di beni e difinanziamento. Inquadramento che non riduce l’ambiguità di fondo anche in considerazione del fatto che leimprese producono servizi anche in diretta connessione a produzioni fisiche o ad adattamenti commerciali ofinanziari. Mentre un prodotto fisico può essere esplicitato nella sua “realità”, un servizio presenta ben piùelevate difficoltà nella identificazione delle componenti e delle funzioni: la sua proiezione ex ante ed ex postè del tutto immaginaria rispetto al momento di erogazione. In effetti una un servizio si presta e non si da.L’output servizio non produce attraverso la valorizzazione mediata di beni o moneta, ma genera valoreimmediatamente nell’hic et nuc della sua erogazione: da qui l’insostenibile leggerezza del servizio rispettoalla sostenibile pesantezza del prodotto.La stessa immediatezza della generazione delle utilità è fonte di difficoltà, prima concettuali poioperative, in una gestione caratterizzata da massimi livelli di immaterialità, da contestualità tra produzione eutilizzo, da co-generazione tra personale erogante e cliente.In altri termini, si è qui perfettamente convinti che la distinzione tra beni e servizi sia in parte superatadalla distinzione tra hardware e software che vede nel materiale un supporto fisico sia questo un autobus chetrasporta, un vestito che si indossa o una mano che fa un massaggio. Ma si è anche convinti che a tutt’oggi ladistinzione in esame è ancora fortemente pensata ed agita nel consensual domain della societàcontemporanea. E’ questa stessa distinzione che legittima la distinzione tra imprese non di servizi e impresedi servizi in senso stretto.In questo lavoro dedicato alla interpretazione imprenditoriale assumere la teoria del servizio come teoriagenerale che orienta qualsiasi produzione (di beni o di servizi in senso stretto) ha il senso di porre inevidenza come la terziarizzazione della produzione e la personalizzazione dell’offerta sia un dato cheancorché non compiuto caratterizza ormai la contemporaneità.1.2 Le impostazioni dottrinali sulla definizione di servizioFino a tutto il Settecento il servizio è visto come attività scarsamente produttiva (Smith, 1776 eQuesnay, 1758, in Paiola, 1998, p. 21). Nell’Ottocento (Say, 1803 e Marshall 1890, in Paiola, 1998, p.21)tale attività diviene integratrice delle produzioni delle fabbriche e dei commerci dei mercanti (Greenfield,1966, pp.3-6). Retaggio di tale epoca, ed in particolare della codificazione napoleonica, è il vigente art. 2195cc che al punto 5 include quasi tutte le produzioni di servizi della dizione “attività ausiliarie alle precedenti”.In particolare l’esegesi storico-economica del citato articolo risulta affascinante in relazione alla implicitadistinzione tra servizi industriali (punto 1) e servizi non industriali. Comunque il legislatore italiano del ’4239


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeinon può essere tacciato mancato aggiornamento se nel contemporaneo mondo anglosassone studiosi delcalibro di Clark e Fisher considerano il settore terziario del tutto residuale per ponendo in risalto lepeculiarità in relazione all’assenza di materialità. Fisher propone la divisione delle attività economiche inprimarie, secondarie e terziarie (Fisher, 1939, pp. 24-38). E Clark ribadisce come le “service industries”siano residuali rispetto alle altre tipologie di imprese (Pennarola, 1993, p. 3.). Insomma, fino agli anni ’60 ilterziario è settore residuale rispetto all’agricolo e al manifatturiero e ha nell’immaterialità la caratteristicadistintiva. Si noti come in tali impostazioni siano del tutto prevalenti nella categorizzazione delle attivitàimputino più o meno esplicitamente ai sevizi, attraverso la classificazione nel terziario, le attività mercantili,finaziarie, assicurative, di trasporto e altre attività con output immateriale non meglio specificabili visto laloro eterogeneità.Ben più utile è la distinzione tra attività economiche sviluppata dal Corsani e ripresa dal Fazzi (1982,p.36) tra quattro funzioni tecnico-economiche di cui ben tre sono dirette alla scomposizione delcorrispondente settore terziario.La funzione produttiva di beni (fisici), comprendente l’attività produttiva “originaria”, rivoltaall’ottenimento di beni naturali come quelli ricavati dall’agricoltura, dalla caccia, ecc., quella “industriale”tesa al conseguimento di prodotti a consistenza materiale e, infine, le attività dedite all’ottenimento di beni aconsistenza non materiale (ma sempre fisica) come le fonti energetiche in generale.La funzione di adattamento dei beni nel tempo, nello spazio, nella quantità, nella qualità, diretta asuperare le diversità che si verificano fra le condizioni nelle quali sono ottenute le produzioni e le condizioniin cui si presenta il fabbisogno dei beni. Rientrano in questa funzione le attività di distribuzione commercialedei beni. L’adattamento nel tempo «trova motivo nella disarmonia fra stagionalità di certe produzioni e lagradualità di collocamento, fra le concentrazioni nel tempo delle materie trasformate la dilatazione temporaledegli impieghi ed infine fra la produzione allargata nel tempo e lo stagionale collocamento»; l’adattamentonello spazio, da luogo a luogo, «è giustificato sia dalla necessità di trasferire le materie prime e i prodottiindustriali nei luoghi di negoziazione, quando le partite si trovino originariamente in località diverse, sia peril loro trasferimento dai luoghi in cui sono state negoziate a quelli dove sono destinate»; l’adattamento nellaquantità «trova la sua ragion d’essere nella limitata entità delle produzioni ottenute dalle singoleorganizzazioni produttive in dati territori in confronto alle contingenti esigenze delle unità trasformatrici chesi riforniscono per l’idoneo utilizzo dei propri impianti, di modo ché si impone la concentrazione delle partiteonde adeguare le quantità vendibili alle esigenze della domanda. L’adattamento quantitativo trae motivo, insecondo luogo, dalla necessità di frazionare le diverse partite ottenute dalle unità produttive secondo ladomanda dei singoli destinatari»; l’adattamento nella qualità, infine, si manifesta come «selezione di partite,provenienti in specie dalla produzione originaria, in conformità della domanda che ricerca la costanza deicaratteri qualitativi, per una superiore e più economica produzione» (Fazzi, 1982, p. 40-41).La funzione produttiva di finanziamenti, distinta tra finanziamenti con mezzi propri e intermediazionefinanziaria, che ricomprende le attività creditizie e le attività di sistematico intervento “finanziario” e di“controllo” nel campi della produzione e del consumo.La funzione produttiva di servizi, caratterizzata dal perseguimento di categorie di utilità che non siconcretizzano in beni. Essa può distinguersi a seconda che i servizi siano richiesti in connessione conl’esercizio delle attività di produzione e/o di adattamento, o indipendentemente da tali attività. E’ questosecondo caso che è stato adottato nell’individuare le diverse tipologie di imprese di servizi.Comunque fino agli anni ‘70 la gestione della erogazione dei servizi è del tutto mutuata da modelli di“production management” (Di Bernardo, 1991, p. 294). Di fronte ad una realtà che già superava lacontrapposizione tra industria e terziario si formano, grazie a studi di marketing, le prime teorizzazioni diservice management e di “pacchetto di servizi” che negli anni ’80 si struttureranno negli approcci del sistemad’erogazione e del sistema di gestione dei servizi.Negli anni ’90 la distinzione tra beni e servizi, tra imprese di servizio e di produzione oppure, tra settoresecondario e terziario, è dai più considerato un anacronismo teorico (Rullani, 1988, p. 91) od addirittura unmodello forviante (Di Bernardo, 1991, p. 294). L’opposizione materiale/immateriale, viene in primo luogosuperata da un arricchimento delle componenti terziarie delle produzioni industriali e da un’applicazione dimodelli di servicing alla generazione del valore delle imprese industriali. Le risorse immateriali terziarizzanola generazione di vantaggi competitivi di qualsiasi impresa (Rispoli, Tamma, 1992, p. 100).Indotto dalla estrema varietà e variabilità delle contingenze operative e fomentato dalla terziarizzazionedell’economia, fiorisce il fenomeno definitorio del servizio che, con qualche approssimazione, è articolabilein cinque filoni di pensiero: a) il filone della residualità (categoriale e non strategica) del servizio; b) il filone40


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidel prodotto aumentato; c) il filone del marketing dei servizi; d) il filone del business service; e) il filonedella customer satisfaction;Il primo filone vede la produzione dei servizi definita residualmente rispetto alla produzione oall’adattamento di beni o di finanziamenti (Judd, 1964, pp. 58-59 e Fazzi, 1982, pp. 37-46) cioècaratterizzata in modo diretto al perseguimento di “utilità” che non valorizzano beni o moneta.Il filone del prodotto aumentato presenta una visione tradizionale del servizio al cliente (e.g.: Bozzola,1986; Birsner-Balsey, 1980) circoscrivendolo a limitate attività, sebbene di crescente rilevanza,rappresentano solo un aspetto dell’interazione complessiva col cliente. Il servizio in questo filonerappresenta la naturale evoluzione di proto-attività di natura industriale o commerciale quali la regolazionedel processo di ordinazione e spedizione, l’affidabilità e la rapidità di consegna, o la capacità di far fronte areclami. In tale filone sono inquadrabili molti di quei contributi che dopo contrarie dichiarazioni di principiosi concentrano quasi esclusivamente sull’industrializzazione del back-office.Il filone del marketing dei servizi (e.g.: Pivato, 1982, p. 48) tenta di definire il servizio in otticaoperativa e sposta sul front office la centralità della sua generazione.Il filone del “business service” definisce il servizio in funzione delle organizzazioni in cui è il principaleoggetto di attività e tende a sottovalutare i servizi connessi alle attività industriali, commerciali e finanziarie(e.g.: Normann, 1985, pp. 33-36 E Ferrata 1992, pp. 832-844).Il filone della customer satisfaction sviluppa una serie di definizioni di servizio incentrate sul clientecome elemento principale (Parasuram, Zeithaml, Berry, 1987, p. 39-64; Lele, 1989; R.L. Desatnick, 1987).L’attenzione è qui esclusivamente centrata sul comportamento umano, sugli aspetti intangibili delle utilità,ritenendo importanti fattori quali la conoscenza, l’ascolto, la fiducia, la rassicurazione. L’utente trovageneralmente la sua soddisfazione nel ricevere utilità nella sua sfera psicologica indipendentemente dallanauta fisica del supporto che le veicola. In definitiva tale approccio riduce la centralità della distinzione trabeni e servizi perché assimila la produzione di valore connessa al possesso beni alla logica di gestione deiservizi.Il filone logico fazziano è quello della residualità del concetto di servizio. Con Gummesson si entranell’ottica definitoria del servizio come «….qualcosa che si può acquistare e vendere ma che non può cascaresu un piede…» (1987, p. 22). Ottica che è più di una critica ai tentativi di trovare una decente definizione diservizio. E’ un embrione di definizione esplicita che evidenza una delle caratteristiche: la possibilità, seppurspesso intangibili, di essere oggetto di scambio. Il consumatore, con le sue aspettative, bisogni esoddisfazione, diventa il vero prodotto dell’impresa (Varaldo, Guido, 1997, p. 21).Ciascun filone, ad eccezione del residuale, si concentra sugli aspetti gestionali ritenuti cruciali perdendodi vista l’intento categoriale, focalizzandosi ora sull’aspetto tecnico, ora su quello umano, orasull’importanza del cliente, ora sull’includere il servizio in un concetto sistemico di impresa di servizi.Sembra innegabile che, incalzati dall’evolversi degli eventi, gli studi di strategia, di marketing e diqualità abbaiano superato una visione ristretta del servizio ampliandola e riempiendola di una notevolericchezza contenutistica (Paiola, 1998, p. 37), però, a chi scrive sembra che la categoria logica di servizionon abbia subito radicali trasformazioni perdurando immutata nell’ambiguità residuale della sua definizione.In altri termini, si è qui perfettamente convinti che la distinzione tra beni e servizi sia in parte superatadalla distinzione tra hardware e software che vede nel materiale un supporto fisico sia questo un autobus chetrasporta, un vestito che si indossa o una mano che fa un massaggio. Ma si è anche convinti che a tutt’oggi ladistinzione in esame è ancora fortemente pensata ed agita nel consensual domain della societàcontemporanea. E’ questa stessa distinzione che legittima la distinzione in due indirizzi del corso di diplomain Economia e Ingegneria della Qualità ai cui studenti è dedicato il presente volume. Visto che la categoria èancora in uso, risulta scientificamente utile adottare l’unico filone categoriale che è appunto quello residuale.Alcune definizioni di servizio“I servizi rappresentano qualcosa d’intangibile che produce direttamente soddisfazione (trasporti, alloggi)o qualcosa d’intangibile che offre soddisfazione (al cliente) quando viene acquistato insieme a prodotti oad altri servizi (credito, consegna)” (Regan, 1963, p.57).“Il servizio è una transazione di mercato da parte di un’impresa o di un imprenditore nella quale l’oggettodella transazione è diverso da un trasferimento di proprietà di un prodotto tangibile” (Judd, 1964, p. 59).“I servizi sono qualsiasi attività offerta in vendita e che fornisce soddisfazione di un certo valore alconsumatore; attività che egli non può o non vuole svolgere da solo” (Bessom, 1973, p. 9).“Un servizio è un’attività offerta in vendita che produce benefici e soddisfazione senza implicare un41


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicambiamento fisico sotto forma di prodotto” (Blois, 1974, p. 157).“I servizi sono attività intangibili che producono soddisfazione quando vengono venduti ai consumatori eche non sono necessariamente legate alla vendita di un altro servizio o di un prodotto” (Stanton 1974, p.545).“I servizi possono essere divisi in due categorie: quelli in cui si fa qualcosa per il consumatore(parrucchiere ecc.) e quelli in cui si fa qualcosa per ciò che il consumatore possiede (riparazione dellamacchina ecc.)” (Lovelock e Young, 1979, p. 169).“Il servizio è il soddisfacimento delle aspettative del cliente nel corso dell’attività di vendita e postvenditatramite la fornitura di funzioni simili a quelle della concorrenza o superiori in modo da produrreun profitto per il fornitore” (Free, 1987, p. 75).“Un servizio è qualsiasi attività o vantaggio che una parte può scambiare con un'altra, la cui natura siaessenzialmente intangibile e non implichi la proprietà di alcunché” (Kotler, 1993, p. 477).1.3 Dalla denotazione nella residualità categoriale del servizio alla connotazione di utilità comunqueacquisite dal clienteL’adozione dell’approccio residuale rappresenta una soddisfacente soluzione per la definizione diservizio sul piano denotativo, ma pone nella impossibilità di fornire una corretta impostazione connotativa.La residualità viene qui assunta per definire il servizio in senso stretto cioè quello non connesso allatangibilità di un bene. Ma nell’accezione molto ampia che qui viene assunta il servizio è qualsiasi utilitàacquisibile dall’utente indipendentemente da Ciò nonostante risulta opportuno offrire dei lineamenti, validisolo “id quod plerunque accidit”, delle caratteristiche connotative del servizio, quali:! l’essere un attività, spesso non del tutto standardizzabile, che genera valore;! il ruolo della inter-azione con il cliente che quasi sempre presenta simultaneità tra erogazione econsumo;! il presentare prevalenti elementi di intangibilità.Il servizio è un’attività che genera valore come qualsiasi attività produttiva, ma in questo caso lavalorizzazione non avviene transe unte su cose o monete. Quando l’attività non genera valore si è di fronte aun disservizio. Tale attività è spesso non del tutto standardizzabile e stoccabile per cui tende ad essereerogata in contesti relazionali tra fornitore e cliente caratterizzati da una elevata contingenza che rende ogniservizio diverso dal precedente.L’erogazione del servizio avviene attraverso l’inter-azione col cliente che è parte integrante delprocesso produttivo (“prosumer”) (Toffler, 1987, p. 340). In altri termini, non vi è servizio fino a quando ilcliente non è coinvolto nell’attività. Tale interazione è forse il punto più caratterizante anche se presentaintensità e modalità incredibilmente varie (Normann, 1985, p. 98) quali ad esempio l’auto-erogazionenell’utilizzo di un’infrastruttura di produzione (telefono, trasporti urbani) o l’essere fisicamente oggetto ditrasformazioni chimico-fisiche (medico-chirurgici, parrucchiere, estetista, ecc.).Il servizio è prevalentemente intangibile ed è questo l’elemento denotativo che si potrebbe direttamentederivare dall’approccio residuale. Ma neanche tale definizione di produzione di “utilità” che non valorizzanobeni o moneta può essere considerata esaustiva. Si consideri, ad esempio, la palese materializzazione deiservizi ristorazione o di somministrazione (acqua, gas, ecc.) o le modificazioni chimico fisiche che hanno peroggetto lo stesso cliente che vengono ricercate in servizi di cura medica od estetica. Assai più rilevanti glieffetti della intangibilità quali: la facile imitabilità (quasi impossibile la brevettabilità) (Guatri, 1992, p. 834);le difficoltà ex-ante di valutazione delle utilità ritraibili; la difficoltà di collaudi preventivi; la nonstoccabilità.La simultaneità tra erogazione e consumo dei servizi ha effetti temporali e spaziali. In termini temporalisi ripropone il problema della stoccabilità. In certi casi la contestualità tra generazione e consumo non ètotale: la produzione e l’erogazione del servizio possono avvenire in momenti diversi (assicurazione, banchedati, utilizzo di infrastrutture). In ogni caso, anche nei casi di disaccoppiamento tra poduzione-erogazione,alcuni sottolineano, addirittura a livello definitorio, la contestualità tra erogazione e consumo, alcuniaddirittura per definizione (Lovelock, Yong, 1979,p. 178). Ma a parere di chi scrive vi sono servizi, comequelli di insegnamento, dove la proiezione temporale dello sfruttamento delle utilità acquisite pone seriproblemi alla contestualità tra erogazione e utilizzazione del servizio.La simultaneità erogazione-consumo non ha effetti solo temporali, ma anche spaziali: di dispersionegeografica dei luoghi di ubicazione dell’offerta e dell’utenza genera necessità di spostamento (a volte con42


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicaratteri migratori come nel caso del turismo estivo) che supportano economie di localizzazione e di scala(Vicari, 1983, p. 134) del tutto analoghe a quelle delle imprese commerciali.La simultaneità totale tra produzione e consumo della teoria classica dei servizi viene quindiridimensionata, più logicamente che quantitativamente, da metodologie gestionali quali il back/front office,da tecnologie informatiche di replicabilità e trasferibilità di certi servizi (Di Bernardo, 1991, p. 304) chesupportano lo svincolo dalla coincidenza spazio-temporale e che generano nuove modalità di creazione divalore.Giustapponendo la denotazione residuale con i più rilevanti elementi connotativi addotti si può dire, piùa fini mnemotecnici che teorici, che il servizio è un’attività, produttiva di utilità non valozizzante beni direttiallo scambio, connotata da prevalenti elementi di interazione col cliente, di intangibilità e di simultaneità traerogazione e consumo.Si ritiene opportuno designare i servizi a più alta interazione umana col cliente col termine diprestazione, che è anche riferito anche alla attività di erogazione.2. Le tipologie di serviziDi fronte alla pletora di possibili distinzioni è bene concentrarsi su quelle ritenute più rilevanti: tre per iservizi una per le imprese che li erogano.La distinzione tra servizi pubblici e privati (Daniels, 1985, pp.12-14) esplode in almeno tre o quattroalternative in quanto può basata su molteplici criteri che si riferiscono sia sulla qualificazione normativa oalla destinazione dei servizi, sia dalla forma giuridica o dal capitale di controllo dell’impresa che li eroga.Distinzione soggetta alle contingenze politico-normative della nazione di erogazione. In relazione allaclassificazione normativa sono ad esempio servizi pubblici, l’istruzione, la difesa, i servizi amministrativi egiudiziali, alcuni servizi sanitari, molti servizi di trasporto; esempi di quelli privati sono la i servizialberghieri, l’assicurazione, la consulenza. Da non sottovalutare i servizi collettivi non pubblici svolti o menoin regime di volontariato.In relazione al grado di tangibilità e al diretto destinatario (persone o beni) Lovelock (1984, p. 5),individua quattro categorie di servizi: a) servizi people processing (ristorazione, parrucchieri, trasportopasseggeri), che, con azioni tangibili si rivolgono a corpi umani, richiedono la presenza fisica del cliente perl’erogazione con un conseguente impiego del suo tempo; b) servizi mental stimulus processing (educazione,informazione), che, con azioni intangibili sono rivolti a persone, non sempre necessitano la presenza delcliente, ma gli richiedono comunque un certo investimento di tempo; c) servizi possession processing(trasporto merci, lavanderia, magazzinaggio), che, con azioni tangibili rivolte a beni, sono assimilabili aoperazioni manifatturiere con minor coinvolgimento del cliente; d) servizi information processing(finanziari, assicurativi), in cui, con azioni intangibili rivolte a beni, il contatto è ricercato dal cliente perrassicurarsi e ridurre la percezione del rischio.Per i servizi mental stimulus e information processing, a livelli crescenti di intangibilità e di presenzadel cliente, corrisponde un aumento di complessità indotto dalla stessa interazione clienti-personale e dallapossibile materializzazione di componenti del servizio (ad esempio la modulistica). Al contrario, in presenzadi elevata rilevanza degli elementi materiali nei servizi people e possession processing diviene più facilegovernare l’ambiente dell’attività per cui viene favorita la focalizzazione su aspetti tecnici. Riconducibilealla precedente classificazione è anche la distinzione di Kotler (1993, p. 655) che propone una distinzionebasata sull’intensità della tecnologia, rispetto all’intensità di personale. La differenza tra servizi basatisoprattutto sulle persone o sulle attrezzature deriva dal grado di automazione richiesta al momentodell’erogazione.43


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFigura 1 Tipologie di servizi secondo KotlerServizi basatisulleattrezzatureServizi basatisulle personeServizi basatisu prodottifisiciAutomatizzatiDistrib. eautolav.automaticiErogati conl’ausilio dipersonalespecializzatoTaxi ecinemato-grafiErogati conl’apporto dipersonalespecializzatoTrasportiaereiOperatorinonspecializzatiPortineria egiardinaggioOperatorispecializzatiIdraulicaProfessionistiConsulenzaSulle differenze produttivo-gestionali tra le eterogenee imprese di servizi di particolare momento leclassificazioni di Chase, di Fitzgerald e di Schmenner.Chase propone la distinzione, in relazione al coinvolgimento del cliente; tra i servizi ad alto contatto coni clienti, come le prestazioni alberghiere o consulenziali, e quelli a basso contatto, come i servizi postali e dimagazzinaggio (Chase, 1978, pp. 137-142). Le prime tipo più eterogenee nell’erogazione e con controlloqualità complesso a livello umano. Il contatto con i clienti viene ridotto però ai soli termini temporali senzaconsiderarne la natura (personale, impersonale, ecc.) o il tipo dei soggetti interagenti (persone, macchine,ecc.). Le diverse strategie produttive del servizio sono qui determinate solo dalla quantità di tempo trascorsadal cliente nell’erogazione: se contatto è limitato, l’approccio produttivo è efficientistico per la maggioreprogrammabilità del ciclo produttivo; se il tempo di contatto è elevato, il processo produttivo è condizionatodal comportamento dei fruitori e l’approccio è centrato sulla flessibilità delle risorse umane stante la scarsastandardizzazione attuabile.Fitzgerald (1998, p. 47) offre una distinzione semplice ed efficace articolando i servizi in professionali,al dettaglio e di massa. I servizi professionali presentano un basso numero di clienti serviti giornalmente,elevati livelli di tempo di contatto di personalizzazione e di discrezionalità nell’erogazione, sono focalizzatisulla persona e sul front-office. I servizi di massa presentano un alto numero di clienti serviti giornalmente,ridottissimi livelli di tempo di contatto, di personalizzazione e di discrezionalità nell’erogazione, sonofocalizzati sulle attrezzature e sul back-office. I servizi al dettaglio sono una via intermedia tra le altre duecategorie (si veda schema adattato da Fitzgerald, 1998, pp. 180-181).Tab. 1 I servizi al dettaglio come via intermediaDimensioniCompetitivitàProblemi gestionaliCapacità diacquisire nuoviclienti -Fedeltà dei clientiServizi di massaMisure di performanceNumero di clienti -Quota di mercato -Confronti con i prezzi ela gamma di prodottiofferti dai concorrentiProblemigestionaliCapacità di acquisirenuovi clienti - fedeltàdei clientiServizi professionaliMisure di performance% di successo delleofferte -% di servizi chenascono da attivitàsvolte in precedenzaQuota di mercatorelativa rispetto aiprincipali concorrenti44


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiPerformanceeconomico-finanziariaQualitàFlessibilitàUtilizzo delle risorseInnovazioneTurnover -Controllocosti di lavoro e dicapitale- Difficoltàdell’attribuzione delcosto ai servizi acausa dell’ampiezza delprocesso diallocazioneDifficoltà dimisurazione delprofitto per servizioCostituzione diadeguate relazionifra cliente edazienda - Definire inmodo chiaro leaspettative deiclienti -Misurazione dellasoddisfazione deicliente utilizzandometodi formalistrutturati e legatiall’analisi dicampioniGestione dellaflessibilità divolume, dellaflessibilità nelladefinizione dellespecifiche diservizio e dellaflessibilità nei tempidi erogazione nellungo termine -Impiego di strategiedi utilizzo dellacapacità produttiva -Utilizzo didipendenti part timeo occasionali -Utilizzo di strategiadi prezzo eprofessionali perridurre lafluttuazione delladomanda -Utilizzo di struttureattrezzature edipendentiMisurazione delsuccesso delprocesso diinnovazione edell’innovazione inseRONA (retur on netassets) -Capitale circolante -Profitto per segmento dimercatoDisponibilità delleattrezzature -Gamma di prodotti -Tempi di erogazione alcliente - Soddisfazionedel cliente conriferimento ai variaspetti del servizioMonitoraggio dellalunghezza delle code -Numero di dipendentipar-time e occasionali -soddisfazione delcliente rispetto alladisponibilità delservizioCosti per cliente -Ricavi per cliente -Indice di utilizzo dellacapacità ad esempiopercentuale di stanzed’albergo occupate)Percentuale di prodotti/servizi nuovi rispetto aquelli esistenti - Costi diricerca e sviluppo45Controllo dei costidel personale –Attribuzione delleore di lavoro allesingole attività asupporto di decisionisui prezziCostituzione diadeguate relazionetra cliente e singolidipendenti -Negoziazione dellespecifiche diprogetto con ilcliente -misurazionedella soddisfazionedel clientemisurando metodiinformaliGestione dellaflessibilità di volumenel breve termine,della flessibilità nelladefinizione dellespecifiche di servizioe della flessibilità neitempi di erogazione -Erogazione diflessibilità attraversoprogrammazionedelle attività,preparazioneadeguata delpersonale, rotazionedel lavoro ediscrezionalità deidipendenti nelgestire il clienteControllo dei tempidel personale difront-officeMisurazione delsuccesso delprocesso diinnovazione edell’innovazione inseCosti del personale -giorni debitori / creditori-Valore del “Work inprogress” -Profitto per servizioInvestimentiinformazioni -ore allocabili -ore non allocabili (%) -coerenza con lespecifiche di progetto econ i tempi di consegnaconcordati -soddisfazione del clienterispetto ai vari aspettidel servizio% di ordini persi a causadi ritardi della consegna-Mix di competenze delpersonale -% di ore di lavoroacquisite da altri uffici -soddisfazione dei clientirispetto ai tempi diconsegnaRapporto tra oreattribuibili ai cliente eore non direttamenteattribuibili – Rapportodirigenti/ dipendentiNumero di nuovi servizi- Tempi di introduzionidi nuovi servizi - % diinvestimentiinformazione dedicata ainuovi servizi


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiUn altro significativo contributo alla classificazione produttivo-gestionale dei servizi è offerto daSchmenner (1986, p. 27), che si sofferma sulla qualità dell’interazione. Attraverso le variabili intensità dilavoro, da un lato, ed interazione e personalizzazione, dall’altro, vengono individuate tipologie di serviziprocessi.L’intensità di lavoro è definita come il rapporto tra il totale dei costi del personale ed il valore degliimpianti ed attrezzature. L’interazione è intesa come il grado d’intervento attivo del cliente nel processo diproduzione, mentre con il termine personalizzazione si riferisce al tipo di offerta.Le quattro tipologie sono: a) i servizi industrializzati (e.g. trasporti stradali, hotel); b) i servizipersonalizzati (e.g. ospedali, le autoriparazioni); c) servizi di massa (e.g. scuole); d) i servizi professionali(e.g. medico, commercialista, avvocato).Figura 2 La matrice servizio-processoGrado d’interazione e personalizzazioneBassoAltoIntensità dilavoroBassa Servizi industrializzati Servizi personalizzatiAlta Servizi di massa Servizi professionaliLa matrice Schmenner rappresenta uno dei più lucidi tentativi di differenziare i servizi sotto il profiloproduttivo. La sua lettura in termini evolutivi consente di apprezzare lo spostamento di certi servizi da unquadrante all’altro (come in certi servizi ospedalieri che riducono la personalizzazione). Comunque ilmodello equipara personalizzazione ed interazione (assumendo solo quest’ultimo come discriminante), cheinvece possono non avere intensità simili. Ad esempio di dubbia collocazione, per esempio, sembrano iservizi d’assicurazione che possono essere altamente personalizzati ma non comportare alta interazione oquelli delle compagnie di viaggio che possono avere elevata interazione ma modesta personalizzazione.Altra interessante distinzione si pone in relazione al tipo di attività del ricevente e dell’erogante.L’attività del ricevente può essere il consumo (generalmente le persone o enti di erogazione) o la produzione(generalmente le imprese).3. La gestione dei serviziSul fronte, tipicamente manageriale, della gestione dei servizi si confrontano due grandi scuole, infattiva collaborazione tra loro: la scuola scandinava (Normann, Lethinen, Gronroos) e la scuola di Aix-en-Provence (Langeard-Eiglier).I modelli Normann, Langeard-Eiglier, Gronroos, strutturalmente differenziati, presentano forti analogiefunzionali. La scuola nordica e quella francese assumono, seppur con accentuazioni diverse, il “prosumer”,(termine coniato da Toffler giustapponendo testa e coda di “pro-ducer” e “con-sumer”) a base dei rispettivimodelli di gestione. L’attenzione per il cliente, la sua soddisfazione, il suo ruolo non solo di consumatore maanche di produttore, sono elementi fondamentali determinanti nelle due scuole la fidelizzazione: causa primadi un vantaggio competitivo difendibile e quindi, di una durevole redditività.L’impostazione gestionale avviene mutando una rilettura di preesistenti rapporti cliente-fornitore, giàampiamente strutturati almeno nel business to business marketing, ma scardinando la tradizionale divisionefunzionale della gestione e ridefinendola su strutture, metodi, modelli più confacenti alle imprese di servizi e,in definitiva, a qualsiasi impresa fortemente terziarizzata.La risultante gestione delle imprese di servizi non è solo marketing, ma rilettura molto market based, epoco resource based, della strategia e dell’organizzazione intesa, quest’ultima, soprattutto in termini diordinamento di processi operativi e di gestione del personale.46


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiNormann rappresenta uno dei primi critici della scuola razionalista negli studi di strategia. Il concetto“business idea” (1977) articolata su prodotto, mercato, struttura viene rielaborato ed applicato ai servizi(1984) sostituendo al prodotto il binomio pacchetto di servizi - erogazione, al mercato il cliente e allastruttura la cultura e l’immagine. Rispetto al modello originario, espressione di una logica imprenditoriale, ilmodello dei servizi ha una più forte connotazione gestionale. Modello quest’ultimo che pur centratointerazione tra impresa e ambiente è più attento ai contenuti e agli ambiti di manovra delle singole leve, piùche all’ottica globale di fattori esogeni ed endogeni. In altri termini, il modello di Normann nei servizi,seppure tra i primi effettivamente sistematici, non applica fino in fondo le potenzialità introdotte nel modellogenerale di business idea nei confronti del quale si può ripetere con Zan: “La particolarità del pensiero diNormann consiste nell’aver considerato, in tutta la loro rilevanza, le dimensioni socio-culturali e politicheche caratterizzano il processo decisionale strategico, quale processo organizzativo complesso, piuttosto checome processo decisionale razionale, rifuggendo da alcune semplificazioni inaccettabili che avevanocaratterizzato la scuola razionalista” (Zan, 1985, p. 94).Langeard e Eiglier sono fortemente ispirati da Normann, ma, al contrario di quanto avviene per l’autorescandinavo, fondano il modello basandosi su consolidati paradigmi manageriali, approdando ad uncontributo rigoroso empiricamente comprovato sul campo e in laboratorio. A differenza degli scrittoriscandinavi, Eiglier e Langeard, riservano particolare attenzione al momento della nascita di nuovi servizi eallo sviluppo delle cosiddette “imprese a rete”. L’erogazione del servizio, le relazioni che intercorrono tra glielementi (cliente, risorse umane e supporto fisico) danno origine alla “servuction”, neologismo che individuail cuore del modello.Gronroos privilegia l’analisi della qualità del servizio in termini sia di gestione, che di percezione.Centrando l’attenzione sul “momento della verità” dell’interazione erogatrice, concetto già introdotto daNormann, propone un modello di impostazione e soluzione dei problemi di orientamento al mercato delleattività di suffragato da un’esauriente rassegna delle conoscenze relative ai processi operativi di generazionedei servizi. Attraverso lo strumento del ciclo di vita dei rapporti col cliente si suggeriscono modalitàcollaborative, possibilmente di lunga durata, con clienti e altri partner, puntando soprattutto allarealizzazione di un progetto condiviso. Gronroos più di altri, assume una visione della gestione guidata dalcliente e dalla sua percezione globale della qualità. In un certo senso si è di fronte ad un modello quasicognitivo: più un abitus mentale che una ricetta operativa; prima un modo di pensare, poi anche un modod’agire.Prima di avanzare una proposta ricostruttiva risulta opportuno soffermarsi sull’analisi dei principalimodelli proposti.3.1 Il modello NormannIl modello di gestione dei servizi di Normann (1985 edizione originale 1984), verte su cinque basi: a) ilsegmento di mercato; b) il concetto di servizio; c) la gestione delle risorse umane; d)la partecipazione delcliente; e) il supporto fisico.Il segmento di mercato sono i clienti per i quali è stato progettato il sistema di servizi. Il concetto diservizio rappresenta i vantaggi assicurati al cliente articolati nelle opposizioni centrali/periferici,espliciti/impliciti, tangibili/intangibili. Gestione delle risorse umane, partecipazione del cliente e supportofisico formano il sistema d’erogazione del servizio che equivale al sistema di produzione e distribuzionenelle imprese industriali. Con immediatezza si noti che Normann riconosce la possibilità di una distinzionetra il concetto di servizio (azione che coinvolge il cliente) e la sua produzione (processo necessario perrenderlo disponibile).Le imprese di servizi sono spesso, ad alta intensità di “personalità” e la gestione delle risorse umaneviene segnata da una selezione delle persone idonee e dalla loro formazione (e apprendimento) motivante chesupporti una discrezionalità creativa nel problem solving orientato al cliente. La mobilitazione delle energiedelle persone “giuste”, costituisce la “personnel idea” che esorbita l’ambito funzionale per divenire il nucleostrategico di attenzione dell’alta direzione. La personal idea è intesa come “….il grado e il tipo d’interazionefra le capacità, le attese, e le esigenze vitali di un particolare gruppo di persone, da un lato, e l’ambiente ocontesto che l’azienda può offrire a quel gruppo continuando a soddisfare le esigenze del proprio businessdall’altro” (Normann, 1985, p. 71). Insomma un sistema di vendita dell’impresa ai propri dipendenti, primache ai clienti, un marketing interno che ritiene di non poter vendere al cliente ciò che non possiamo vendereal personale.47


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiAltro elemento cardine del sistema di erogazione è la gestione del cliente inteso come attore dellaproduzione ed erogazione del servizio, anche se con diversi tipi di interfaccia (Normann, 1985, p. 98).Figura 3 Diversi tipi d’interfaccia azienda-cliente (Normann, 1985, p. 98)ClienteAziendaPersoneAttrezzaturePersoneAddestramentoTradizionaleServizio di riparazione e dimanutenzioneAttrezzatureSportello automaticoLavaggio macchineautomaticoLe diverse modalità di partecipazione del cliente possono aver luogo: specificando il servizio richiesto oprodromici elementi anametici (e.g. servizi sanitari); coproducendo direttamente (e.g. self-service);controllando la qualità del servizio fornitogli (e.g. pulizie); mantenendo l’ethos dell’impresa attraverso lapartecipazione, non necessaria, del cliente al processo di prestazione del servizio che sia di stimolo ai propridipendenti.L’ultimo elemento del sistema d’erogazione del servizio è la gestione del supporto fisico poiché l’altaintensità di manodopera, non escludono un elevato impiego di capitale ed attrezzature. Considerandotrasversale la tecnologia informatica si individuano cinque sono le funzioni di meccanizzazione del supportofisico di erogazione dei servizi: la razionalizzazione dei costi (anche in forma di riduzione dellamanodopera); il controllo di qualità (standardizzazione del controllo qualità di un servizio); il miglioramentodella qualità (anche in termini di rapidità e affidabilità); il rafforzamento della relazione col cliente (e.g.terminali per la reciproca informazione); la sollecitazione del comportamento umano voluto (e.g.: prestigiodei locali, menu di un ristorante).Assai limitato ed implicito è il ruolo della comunicazione, ma, a parere di chi scrive, vi sono duemediatori del sistema di erogazione di Normann: la cultura e l’immagine. La cultura assorbe e rielabora ifattori di una gestione efficiente, consentendo il consolidamento del sistema nel lungo periodo. L’immaginecome contenuto comunicativo ed evocativo per influenzare il personale, i clienti ed altri soggetti cruciali.Con l’immagine l’impresa di servizi costruisce il proprio ambiente, creando quell’effetto alone (o aureola)che spesso supplisce alle difficoltà di illustrare i contenuti o sperimentare ex-ante i risultati del servizio.3.2 Il modello Eigler-langeardIl modello Eiglier-Langeadr (1988, p. 34) si focalizza sull’erogazione del servizio: attimo fuggente dellasoddisfazione del cliente in cui il sevizio acquista una quasi effimera esistenza. Attimo che è anello dicongiunzione tra due continuum temporali in cui il servizio non esiste: un ex-ante (prima dell’erogazione),pura e semplice idea, e un ex-post (dopo l’erogazione), puro ricordo. La totale contestualità tra servizio e suaproduzione che, gli autori coniano la parola “servuction” per indicare l’intero sistema d’erogazione esottolinearne la simultaneità.L’offerta dei servizi che è articolata in elementi base (supporto fisico, personale di contatto e cliente), edaltri elementi quali adeguatezza del servizio, comunicazione, marketing interno, immagine. Ma anche questi“altri elementi” rinviano a quelli base in quanto ricollegabili alla rappresentazione mentale che il cliente siforma in base a elementi tangibili dell’erogazione: supporti fisici, altri clienti e personale di contatto.Il cliente è coinvolto nella “fabbricazione” del servizio, il contatto, se non la stessa presenza fisica,attiva una mera potenzialità trasformandola in erogazione. Il servizio è una componente elementare; ognielemento, però, è collegato a tutti gli altri, tramite un collegamento. L’offerta dei servizi (elementari) tende aun “servizio globale” collegando i diversi sevizi elementari, output delle rispettive erogazioni, al cliente:elemento comune a tutte le erogazioni di servizi, unico collegamento rilevante.Gestirne la partecipazione nella realizzazione del servizio, eccede il consumo, ma coinvolge la stessaproduzione. Su tale cardine gestionale ruota tutto il modello di erogazione. E’ tanta l’enfasi nel delineare il48


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiruolo di produttore del cliente da far supporre in questo modello la coincidenza tra produzione ed erogazionedel servizio. Vi sono tre diversi tipi di una tale partecipazione del cliente: fisica, intellettuale, affettiva; e treambiti: la specificazione della prestazione da realizzare, l’azione di servizio propriamente detta (selfservice),il controllo della prestazione e/o del processo.Gli interessi da parte dell’impresa ad un coinvolgimento attivo del cliente sono di carattere economico(e.g.: self-service), e attinente alla sua soddisfazione. La partecipazione presenta modalità e motivazionidiverse, ad esempio: in caso di scarso coinvolgimento del personale di contatto, il cliente vuole lapartecipazione per evitare una cattiva interazione con il personale; nell’ipotesi di elevato coinvolgimento è ilcliente che accetta di partecipare alla realizzazione del servizio (anche con l’insorgere di competizione dieccellenza tra cliente e personale di contatto)Le caratteristiche che si ripercuotono sulla partecipazione del cliente sono: la fedeltà (il clienteattivamente fedeli sono coloro che preferirebbero non consumare piuttosto che rivolgersi ad un concorrente)(Eiglier, Langeard, 1988, p. 59); il tasso d’utilizzazione del servizio (l’utente assiduo conosce i meccanismidi erogazione nei minimi particolari); l’atteggiamento in rapporto all’innovazione nel servizio (gli innovatoripropendono verso certe forme di partecipazione, ma ne avversano altre).I clienti possono presentare diverse propensioni, motivazioni e modalità, alla partecipazione. I piùpropensi a prendere il controllo del rapporto sono spesso motivati più da necessità di domino psicologicodella situazione o di risparmio di tempo che dalla volontà di risparmi economico-finanziari immediati. Gliutenti tendenzialmente passivi frequentemente associano a un coinvolgimento elevato intervento unoimpegno ed un rischio troppo elevato. L’intensità di partecipazione attiva diviene così un criterio disegmentazione i cui vantaggi devono essere evidenti. Il personale, inoltre, deve essere particolarmenteaddestrato ad assistere il cliente, ad eseguire con lui certi compiti e ad incoraggiarlo ad eseguirli da solo.Di fronte a potenziali clienti con diverse attitudini al controllo della loro partecipazione la tendenza nonè quella di cercare un equilibrio tra passivo ed attivo ma di incoraggiare la partecipazione attiva del cliente,trasformando un cliente dominato in dominante (Eiglier, Langeard, 1988, p.61).Figura 1.4 Partecipazione e predominioCliente passivoCliente attivoClientedominanteAlbergo di lussoVisite autoguidate ai museiClientedominatoChirurgia ospedalieraTrasporto aereo su linee interneArea conflittualeL’intensità di partecipazione diviene Eiglier e Langeard il principale criterio di segmentazione su cuiruota il marketing interno ed esterno.Il supporto fisico è veicolo di comunicazione e strumento di lavoro, vetrina ed officina, e consiste neimateriali necessari all’erogazione del servizio utilizzati dal personale di contatto e/o i clienti che siconcretano in strumenti necessari al servizio (oggetti, macchine, ecc., messi a disposizione del cliente e/o delpersonale di contatto la cui utilizzazione permette la realizzazione del servizio) e ambiente materiale nelquale avviene la prestazione (il luogo, l’arredamento, ecc.).Nel supporto fisico rientrano anche le componenti tecnologiche che, dovrebbero essere maneggiate conparticolare attenzione nelle transizioni di particolare difficoltà, può regolarizzare nella qualità il servizio e lamanutenzione del supporto fisico. Di notevole momento il rilievo che qui, a differenza di Gronroos, silegittima l’automazione come una realtà presente tanto nei servizi, quanto nell’industria.Il personale di contatto sono, latu sensu, “i dipendenti dell’impresa di servizi il cui lavoro richiede ilcontatto diretto con i clienti” che a volte può non essere necessario (distributore automatico di informazioni),ma, se presente, personifica l’impresa agli occhi del cliente (la sola cosa tangibile sono le relazioni che ilcliente sperimenta con il supporto fisico e soprattutto con il personale) (Eiglier, Langeard, 1988, p. 74).I ruoli del personale di contatto, sono duplici: servire il cliente e difendere gli interessi dell’impresa.49


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiPer servire il cliente sono necessarie competenze operative e relazionali. Il ruolo relazionale delpersonale di contatto si articola in tre elementi: l’immagine, ciò che vede il cliente (pulizia, ordine, stato delsupporto fisico, aspetto del personale); il gesto, ossia il comportamento (disponibilità verso il cliente,gestualità cortese nel servirlo); la parola, (formule cortesi, esattezza del tono, puntualità del contenuto).Del secondo aspetto, difendere gli interessi dell’impresa, si ricorda: rispettare e far rispettare le norme,cercare di evitare il prodursi di deterioramenti abusivi a danno del supporto fisico, mantenere un equilibrio ditrattamento fra i diversi clienti, difendere anche la moneta quando il personale ha un ruolo di cassa.Gli autori individuano le principali direttrici della gestione del personale di contatto:• definirne uno stile originale attraverso non incentivi finanziari, ma tramite lo sviluppo di un sensod’appartenenza, il rendere il lavoro interessante, valorizzare la sua posizione;• semplificarne il lavoro definendo ruoli e discrezionalità, il personale si trova in una posizioned’interferenza psicologicamente difficile tra gli interessi dell’impresa da una parte e quelli del clientedall’altra. La maggiore parte delle mediazioni deve essere già progettata dall’ideatore del sistema acui adeguarsi con discrezionalità limitata;• riconoscerne le notevoli nel buon funzionamento dell'erogazione dei servizi, e nella qualità,• stabilire un supervisore che modelli il comportamento del personale di contatto rappresentando unesempio incarnato.In termini di marketing interno, il personale deve acquisire particolari competenze per riconoscere eselezionare le diverse propensioni alla partecipazione e assistere il cliente, eseguendo con lui certi compiti eincoraggiandolo eseguirne altri da solo. Come in Normann, per non perdere attendibilità agli occhi delcliente e danneggiare l’immagine, “ quando la direzione di marketing di un’impresa di servizi decide unapolitica e un piano d’azione di marketing, non deve metterli in opera prima di averli venduti alla propriarete” (Eiglier e Langeard, 1988, p. 151).Tra gli elementi non costitutivi del sistema di erogazione il modello prende in considerazione lacomunicazione: «in un’impresa di servizi tutto parla, tutto è messaggio per il cliente» (Eiglier e Langeard,1988, p. 135). Ampia la trattazione del processo di comunicazione (emittente, codifica, messaggio,decodifica, ricevente) e delle sue peculiarità. Nelle imprese di servizi l’emittente è l’impresa, i riceventi sonoclienti (reali e/o potenziali), il contenuto del messaggio necessita del seguente mix di supporti per arrivare alcliente: personale di contatto, cliente, supporto fisico e mass media.Il target della comunicazione dei servizi si rivolge a clienti effettivi, prediletti dalla comunicazioneinterna (anche segnaletica), ma colpiti anche da quella esterna e clienti potenziali, solo attraverso lacomunicazione esterna (compresa l’insegna fisicamente esposta in prossimità dell’impresa). A parere di chiscrive sono molto più di quanto si pensi i casi in cui un cliente potenziale ha occasione di entrare fisicamentenel luogo di erogazione del servizio e quindi essere colpito da una comunicazione interna.Specificati principi (chiarezza, realismo, differenziazione, ecc.) obiettivi (attrarre, suscitare fedeltà,modificare, anche temporalmente, la domanda e la qualità della partecipazione del cliente) della strategia dicomunicazione, gli autori francesi si soffermano sui tipi di supporto del messaggio.In termini comunicativi il cliente diviene un supporto di particolare efficacia comunicativa nelpassaparola, ossia «…. la trasmissione d’informazioni positive o negative sui servizi offerti .... l’unico mododi ottenere un passaparola positivo è soddisfare il cliente. Risultato che si ottiene grazie alla qualità delservizio, alla sua eccellenza» (Eiglier e Langeard, 1988, p. 140-142).L’aspetto relazionale è la comunicazione tramite il supporto del personale di contatto, mentre ilsupporto fisico rappresenta un referente materiale di tale comunicazione.Tramite i mass media tradizionali vi è una notevole difficoltà, per l’impresa, di comunicare cosa sia ilservizio, e risulta allora importante mostrare i sostituti del servizio quali il supporto fisico, il personale dicontatto, i clienti, che sono a loro volta supporto fisico di altre comunicazioni.Ecco quindi che, a parere di chi scrive, il mix di supporti si può leggere anche come mass media esistema di erogazione del servizio. Poi L’unico supporto che non è interno al sistema di erogazione ha comereferenti gli elementi che ne sono alla base. A loro volta tali elementi sono supporti di comunicazione dandocosì vita ad una sorta di meta-comunicazione di massa sui servizi.3.3 Il modello GronroosIl modello Gronroos (1994) è centrato sul servizio esperienza/percezione e sullacomunicazione/immagine, e usa come connettivi gestionali sia il personale, sia la qualità.50


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl “momento della verità” del contatto cliente/personale è l’istante in cui si gioca il futuro di impresa. Dacui la crucialità strategica di un orientamento al mercato a cui è diretto il sistema globale di produzione delservizio (dal concetto di servizio ai mezzi per influenzare le aspettative del cliente). Si integra il processo diconsumo col sistema di produzione: le risorse divengono generatrici di qualità se si adattano al processo diconsumo dei clienti, anche interni. Anche qui il cliente è anche parte attiva del processo d’erogazione.Figura 5 Il sistema di produzione del servizio (adattamento da Gronroos, 1994, p. 211)Concetto diservizioMissioneParteinvisibilePartevisibileCultura aziendaleMezzi perinfluenzare leaspettative deiclientiIn estrema sintesi nel modello il concetto di servizio e la missione aziendale guidano la gestione delsistema di produzione del servizio. Nella parte invisibile (dal cliente) si realizza la qualità tecnica ericomprende la tecnologia, i manager ed il personale non di contatto. La parte visibile è fonte della qualitàfunzionale e consiste nel personale di contatto, nei clienti, nelle procedure operative (supporto necessario perl’organizzazione) e nelle apparecchiature (supporto materiale che occorre per l’erogazione del servizio). Lacultura aziendale sottende a tutta l’organizzazione di produzione dei servizi. I mezzi per influenzare leaspettative dei clienti includono l’immagine aziendale, i vari tipi di comunicazione, ecc.Il modello di gestione dell’offerta di servizio è basato sul beneficio al cliente guidato dal buon senso earticolato in:- sviluppo del concetto di servizio soprattutto riguardo ai vantaggi assicurati al cliente;- pacchetto di servizi di base che va a determinare la qualità tecnica;- realizzazione di un offerta di servizi incrementata dalla qualità funzionale attraverso il processo delservizio;- gestione dell’immagine e della comunicazione al mercato, al fine di potenziare una percezionepositiva dell’offerta di servizi incrementata.Nessun approfondimento particolare si presenta per lo sviluppo del <strong>nuovo</strong> servizio.Il pacchetto di servizi si suddivide di base in tre gruppi (Gronroos, 1994, p. 77): i servizi essenziali (peruna compagnia aerea, ad esempio, il trasporto); i servizi e prodotti di facilitazione (se vengono a mancare, ilservizio non può essere erogato; ad esempio il check-in nella compagnia aerea); i servizi e prodotti ausiliari(servizi aggiuntivi idonei a differenziare il servizio, accrescendone il valore; ad esempio il pranzo durante ilvolo). Per qualità tecnica o del risultato si intende qui ciò con il quale il cliente viene lasciato quando leinterazioni acquirente/venditore sono terminate (il che cosa). Per qualità funzionale o del processo, invece,l’autore intende il modo con cui la qualità tecnica è trasferita al cliente (il come). Il processo che genera laqualità funzionale si può differenziare in termini di: accessibilità del servizio; interazione con l’azienda cheoffre il servizio; partecipazione del cliente (Gronroos, 1994, p. 79).Qualità tecnica e funzionale, anche attraverso l’immagine, portano alla qualità sperimentata da parte delcliente, la quale, a sua volta, confrontata con quell’attesa, conduce al concetto di qualità totale percepita delservizioQuanto alla comunicazione, sottolineata l’importanza di generare segnali concordi, si individua: lacomunicazione tradizionale, a sua volta scindibile in personale (venditori che non fanno parte della normaleproduzione del servizio), impersonale (opuscoli pubblicitari, ecc.) e diretta (personalizzata ma tramite mezziimpersonali); la comunicazione interattiva (tipicamente acquirente/venditore durante la produzione delservizio); l’assenza di comunicazione (spesso è negativamente percepita); il passaparola.L’immagine «….. rappresenta i valori che clienti, clienti potenziali, clienti perduti e altri gruppi dipersone connettono ad essa» (Gronroos, 1994, p. 171), e può variare da un individuo all’altro (dialetticaglobale/locale). I ruoli dell’immagine sono riconducibili: al suo impatto esterno (agisce sulle aspettative delpubblico), alla percezione del modo d’operare dell’impresa (funge da ammortizzatore di inconvenienti che51


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeisono pro-tempore considerati meno gravi), all’impatto interno (comunica valori e rafforza un atteggiamentopositivo verso i compiti del personale).Figura 6 La qualità totale percepita del servizio ed il filtro dell’immagine (Gronroos, 1994, p. 42)Qualità sperimentata dalclienteQualità totale percepitaQualità attesa dalclienteQualitàtecnicaIMMAGINEQualitàfunzionale- Comunicazione- Necessità delcliente- ImmagineIl personale è il primo mercato. La gestione del personale è vista soprattutto in termini di un marketinginterno che alimenti la cultura del servizio e a cui sono assegnati due obiettivi:- fornire adeguate informazioni al personale per svolgere le loro mansioni (anche sulle attese delcliente in relazione a promesse in campagne pubblicitarie, ecc.),- gestirne gli atteggiamenti, attraverso un orientamento al servizio ed un’attenzione verso il cliente.I problemi di natura finanziaria sono affrontati introducendo il tema della “trappola strategica” cheriduce i costi riducendo, però il livello del servizio percepito. Manichea, a parere di chi scrive, è ladistinzione tra “costi cattivi”, tutti quelli generati nel back office che sono da eliminare, e “ costi buoni” inrelazione ai rapporti con i clienti che devono incrementarsi per supportare l’immagine: causa diretta deivolumi di vendita.Qualità, produttività e profitti sono affrontate in modo integrato nel service management che ruota sulperno la percezione totale della qualità da parte del cliente e sui rapporti di lungo termine tra le parti doveanziché alla qualità specifica del prodotto.4. Un modello ricostruttivo di gestione dei servizi4.1 L’emersione del desiderio e la specificazione delle risorse nell’erogazione del servizioAlla luce di queste considerazioni appare fondamentale l’esame del concetto di bisogno. A questoproposito, una distinzione importante è quella tra desiderio, bisogno e domanda (Hoflack J., Dubois P.,1983). Il desiderio è la pulsione a determinare la propria esistenza in un certo modo di fronteall’indeterminatezza del futuro, poiché crea uno stato di necessità che è, al contempo, pressante e latente e,come tale, capace di influire sulle decisioni e sulle azioni. Il desiderio è, di per sé, non satisfattibile: purmanifestandosi in bisogni specifici, tende a generarne sempre di nuovi. Il bisogno è un concetto psicologico,la domanda ne è una rappresentazione economica. Come è noto, i bisogni originano dalle pulsionifondamentali nell’uomo, capaci di orientare il suo comportamento verso dei mezzi capaci di soddisfare quelbisogno. Ad esempio, attraverso il consumo di un bene, l’individuo cerca di ridurre o eliminare la tensioneche deriva da un desiderio specifico; non è un caso che “l’obiettivo del marketing sia quello di trasformareun bisogno in desiderio d’acquisto del nostro prodotto” (Henault G.M., 1973). Il bisogno psicologico puòallora distinguersi dal bisogno economico, o domanda specifica, poiché il secondo indica la disponibilità(eventuale) a sostenere dei costi, anche monetari, per acquisire la disponibilità di un certo prodotto, in undeterminato momento e luogo, perché percepito come confacente alla necessità implicita nel primo.Accogliere questa distinzione significa, allora, concepire l’emersione dei bisogni come un processo checonsente all’impresa di tradurre un desiderio in un bisogno psicologico e quest’ultimo in uno economico,generando una domanda specifica rivolta al prodotto offerto. L’esistenza di una domanda per il prodotto di52


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiuna certa impresa può ricondursi a quattro situazioni principali: la domanda può non avere natura spontanea,nel senso che il bisogno psicologico ad essa sotteso è stato indotto dall’impresa produttrice del bene; ladomanda è allo stato latente, per cui l’offerta di un certo prodotto costituisce una risposta esplicita ad unbisogno psicologico non ancora espresso; la domanda di un certo bene costituisce una specificazione di undesiderio, che può trovare una soddisfazione anche in altri prodotti caratterizzati però dalla stessa funzioneessenziale; la domanda del bene costituisce l’espressione di bisogni psicologici specifici.Anche quando l’impresa risponde ad una domanda già presente, può comunque svolgere un ruolo divalorizzazione dei bisogni. Nel processo di acquisto ed utilizzo si verifica sempre una sorta di “emersione” diun desiderio originario: l’impresa può influenzare tale emersione con la sua azione, determinando in parte ilprocesso di attribuzione di valore al bisogno psicologico derivato dal desiderio.La creazione di valore avviene nella bi-specularità di bisogni e risorse. Infatti, l’impresa valorizza unbisogno, quando può soddisfarlo economicamente attraverso risorse che hanno un valore (costo)sufficientemente basso; valorizza le risorse, quando può impiegarle economicamente per soddisfare unbisogno che ha un valore sufficientemente alto. Nel primo caso, il valore sufficientemente ridotto dellerisorse impiegate è connesso alla loro disponibilità. Nel secondo caso, il valore sufficientemente elevato delbisogno è riconducibile alla scarsità delle risorse che ne consentono la soddisfazione. La tensioneimprenditoriale è quindi finalizzata a massimizzare la differenza (gap di valore) che esiste fra il valore delbisogno per il cliente ed il valore delle risorse per l’impresa, come principale mezzo attraverso cui fidelizzareil cliente stesso. Se, originariamente, si ha soltanto una ripartizione di valore fra il cliente e l’impresa, in unsecondo momento si ottiene anche, come effetto derivato, la possibilità di ripartire il valore generato perl’impresa fra tutti i suoi stakeholders.La generazione di valore avviene attraverso la tensione generata dalla contraddizione disponibilitàscarsità.Si ha, infatti, da un lato, la necessità di una sintonia fra certe risorse ed uno specifico bisogno, cheimplica la disponibilità del bene; dall’altro, un valore economico del bene, o delle risorse a questo dedicate,che è tanto più elevato, quanto maggiore è la sua scarsità. Il dilemma disponibilità-scarsità deve trovare unasoluzione che generi un valore acquisito per l’impresa superiore a quello ceduto al mercato. Con ladisponibilità del bene senza scarsità, l’utente non attribuisce ad esso un valore economico; con la scarsità delbene senza disponibilità per l’utente, l’impresa non può realizzare il profitto.In tale prospettiva “allargata”, il processo di creazione del valore perde la connotazione di sfruttamentodi posizioni di rendita, che una visione esclusivamente interna tende ad attribuirgli, così come quella diutilizzo di posizioni di potere relazionale, che un’ottica esclusivamente esterna tenderebbe a fargli assumere.La creazione del valore assume, viceversa, la connotazione dinamica ed incrementale propria di ogniprocesso volto al continuo accrescimento di un patrimonio di risorse tecniche e competenze che abbianovalore per il mercato (generino, in altre parole, customer satisfaction e vantaggi competitivi), in uno scenarioin cui la prospettiva oscilla continuamente fra l’impresa ed il mercato, dove la prima crea ininterrottamente lepremesse per la sua unicità ed il se. In sintesi, si vuole sostenere che l’approccio dal punto di vista dellerisorse può correttamente intendersi quale necessaria integrazione di quello dal punto di vista del cliente, eviceversa. Il primo approccio, enfatizzando il ruolo delle risorse tecniche e competenze interne come fontedel vantaggio competitivo, è inevitabilmente connesso alla managerialità ed alle capacità organizzative adisposizione dell’impresa; il secondo, focalizzando il ruolo giocato dalle opportunità esterne, si fa interpretedell’imprenditorialità e dell’abilità strategica di colui che guida l’impresa. Managerialità ed imprenditorialitàche abbiamo visto in precedenza essere fattori bilanciantisi a vicenda.Quanto detto evidenzia l’opportunità di formulare un modello di soddisfazione che si articola in quattropunti: il servizio desiderato dal cliente; il servizio percepito dal cliente; la percezione dell’impresa deidesideri del cliente; i vari gap nei processi che collegano la percezione ex ante dell’impresa con quella expost del cliente. Un tale modello permette di funzionalizzare le variabili tipicamente cognitive (aspettative epercezioni) alla gestione dei processi e alla interpretazione dei risultati inquadrati in un sistema dimisurazione della performance.4.1.1 Il servizio desideratoIl carattere illimitato dei desideri viene via via a delimitarsi focalizzandosi prima in bisogni psicologicigrazie a specifiche aspettative sui vantaggi ottenibili in base al contesto cognitivo di riferimento e, poi, inbisogni economici in relazione ai sacrifici connessi (Ciappei, Bianchini, 1999).In altri termini, l’interazione tra desiderio motivante, aspettattive e sacrifici attesi co-determinano “ilservizio desiderato dal cliente” (Berry, Parasuraman, 1991, p. 75). A parità di adeguatezza rispetto ai bisogni,53


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiil servizio può creare livelli di soddisfazione diversi in relazione al ciò che il cliente “si aspetta” ex ante: «Lecode agli sportelli creano senz’altro un certo grado di insoddisfazione: tuttavia l’irritazione sarà tantomaggiore quanto più esse sono inattese, mentre il fastidio sarà minore per i clienti che se le aspettano e sisono organizzati di conseguenza. Analogamente a parità di prodotto e cliente il livello di soddisfazione saràpiù elevato se le aspettative iniziali erano basse, a causa dell’effetto sorpresa che incide positivamente»(Scarpinato, 1994, p. 3).Le aspettative e, in minor misura, i sacrifici sono esprimibili in una serie di determinanti più o menocontrollabili dall’impresa. Tra queste si ricordano: le caratteristiche e le esperienze del consumatore; lacomunicazione aziendale (segmentazione) e l’opinione pubblica; il passaparola; la comunicazione dellaconcorrenza; l’immagine dell’impresa; la eventuale normativa di riferimento per gli specifici servizi;l’eventuale certificazione e così via.Le caratteristiche stesse del consumatore. Si riferisce ai classici criteri di segmentazione.Le esperienze del consumatore. I clienti attuali e potenziali fanno esperienze con i servizi dell’impresainnescano meccanismi di fedeltà. Se l’esperienza è stata positiva, è probabile che in futuro si verifichi uninnalzamento delle aspettative ed un ampliamento della zona di tolleranza, grazie al buon rapporto che si èinstaurato fra impresa e cliente, mentre, in caso contrario, l’effetto è una maggiore attenzione ed una minoredisponibilità futura (Ferrari, 1998, p. 72).L’immagine aziendale è l’elemento fondamentale nel marketing dell’impresa di servizi. La maggioredifficoltà di illustrare e rendere visibili i servizi rispetto ai prodotti, fa si, inoltre, che la rappresentazioneesterna dell’impresa diventi un elemento determinante per le scelte del cliente. «La produzionemanifatturiera consente di far verificare al cliente la qualità del prodotto anche prima dell’acquisto, così chela scelta si basi su constatazioni dirette; nei servizi, invece, questo ruolo promozionale è giocatodall’immagine che l’impresa sa costruire di sé; in tal senso diventano critiche le capacità di comunicazione elo standard di clientela già servito, che diviene una referenza importante» (Guatri, 1992, p. 835). In situazionidi questo tipo, i clienti si formano delle aspettative soprattutto con riferimento all’affidabilità del fornitore.Pertanto il rapporto di fiducia che s’instaura con l’azienda fornitrice, basato in primo luogo sull’immaginedell’impresa e dei servizi offerti, diventa poi fondamentale ai fini anche, della fedeltà dei clienti. Lasoddisfazione dell’utente consente inoltre di migliorare l’immagine: se la qualità percepita è elevata,l’immagine aziendale tenderà a consolidarsi o a migliorarsi con il passare del tempo, nel caso contrario,invece, di immagine positiva e qualità percepita/erogata bassa, il rischio è la perdita di un numero elevato diclienti insoddisfatti. L’immagine contribuisce a creare presso il pubblico una tendenza ad assegnarecaratteristiche psicologiche positive all’impresa e ad abbinare, alla stessa, il concetto di qualità (Giuli, 1993,p. 31). Ogni azienda ha un’immagine agli occhi dei clienti. Se le aziende manifatturiere prestano cura allacreazione dell’immagine, questo diviene fondamentale nel campo dei servizi, anche in considerazione, tral’altro, della loro natura prevalentemente intangibile. «L’immagine è un fattore importante nel dar corpo alleaspettative dei clienti di un dato servizio e stabilire gli standard in base ai quali essi giudicheranno la bontàdel servizio. Uno scadimento dell’immagine può essere altrettanto dannoso quanto una lacuna nellaprestazione del servizio stesso» (King, 1987, p. 130). L’immagine può essere, quindi, definita come unarappresentazione mentale della realtà, un modello che esprime la comprensione di un individuo di un certofenomeno (Boulding, 1987, p. 88), che, contemporaneamente, influisce sulle aspettative del cliente e sullesue percezioni, rendendo un servizio migliore o peggiore di quanto effettivamente erogato. Larappresentazione della realtà, mediata dall’immagine può essere più o meno corretta ma, in ogni caso, èimportante perché guida il comportamento del cliente. E’ opportuno quindi per l’impresa impegnarsicostantemente nel gestire al meglio la propria immagine, in modo da dare il massimo contributo algradimento del consumatore. Il tutto significa anche comportamenti e realizzazioni materiali capaci disostenere positivamente ed in modo unitario, la percezione della prestazione resa dal servizio aziendale(Cherubini, 1995, p.53).La comunicazione aziendale sia promozionale, intesa come via di impulso allo smercio attraverso lapromessa di benefici sempre più rilevanti, sia istituzionale, rivolta ad alimentare l’immagine aziendale ancheattraverso pubbliche relazioni intrattenute soprattutto con i responsabili dei mass media.La comunicazione dei concorrenti che, attraverso le loro “promesse”, influisce sul livello d’attesa delclienteIl passaparola inteso come ciò che il cliente sente dire dell’impresa o del servizio dalla viva voce dipersone facenti parte del suo ambiente. Le aspettative sono influenzate da comunicazioni fra clientipotenziali ed attuali, conoscenti, esperti, ecc., riguardante le caratteristiche di un servizio, di un prodotto, diuna marca, di un’impresa (Ferrari, 1998, p. 7). Il passaparola assume una maggiore rilevanza nei servizi,54


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeispecialmente se proviene da amici o familiari, per l’intrinseca difficoltà di valutali prima dell’utilizzo. In talsenso è un valido strumento per ridurre il rischio percepito dal futuro cliente. Tale veicolo assume particolarepeso per quei clienti che non hanno familiarità con il servizio e che non hanno avuto precedenti esperienze,le cui uniche fonti d’informazione vengono, quindi ad essere l’immagine, la comunicazione aziendale ed ilpassaparola. Quest’ultimo si sottrae, in parte, alla manipolazione diretta da parte del management; l’unicacosa, infatti, che un’azienda può fare per crearne uno positivo, è quella di offrire un servizio che soddisfi ilcliente. Altro elemento per cui il passaparola non deve essere sottovalutato, è che i clienti delusi parlanodella loro insoddisfazione molto più di quelli contenti; le esperienze negative, in altre parole, tendono amoltiplicarsi, mediante il passa parola, più velocemente di quelle positive che viene stigmatizzata nelseguente aforisma: «una esperienza negativa è comunicata dodici volte, quella positiva una» (Gronroos,1994, p. 163).La normativa esistente ed applicabile al mercato di riferimento con particolare riferimento a quellarelativa alla tutela del consumatore e della concorrenza.Nel rapporto aspettative/sacrifici è possibile riprodurre, nei servizi, i classici rapporti qualità prezzo(Cherubini, 1995, p. 46) in cui è chiaro che adottare una strategia di qualità non significa solo offrire unservizio qualitativamente superiore, ma anche saper sorprendere il cliente con caratteristiche dellaprestazione che non si aspetta, riuscire, in altre parole, ad offrire al cliente un valore che superi i sacrificiaffrontati, non solo in termini finanziari, quanto di tempo, sforzi, frustrazioni (Berry, 1995, p. 65). Ilconfronto, effettuato dal cliente, fra costi (monetari e non) ed i benefici ottenuti in relazione delle aspettativedel cliente, è il principale determinante del livello di customer satisfaction. La soddisfazione dei clienti,anche quella orientata più sulla qualità che sul prezzo, si concretizza nello sviluppo personalizzatodell’offerta, senza un parallelo incremento dei costi e quindi dei prezzi (Coda, 1988, p. 175).4.1.2 Il servizio percepitoIl cliente è soddisfatto se il servizio percepito è conforme o superiore alle sue aspettative. L’altroobiettivo della gestione del servizio è, quindi, aumentare il valore del servizio percepito dal cliente (Bertossi,Forza, Vinelli, 1996, p. 100). La percezione del servizio erogato dipende sia dalle reali caratteristiche delservizio, sia dalle capacità percettive dell’utente e quindi: dalla prestazione effettivamente erogata;dall’immagine; dal coinvolgimento di intermediari e sub-fornitori; dal livello di partecipazione del cliente.La prestazione effettivamente erogata, è ciò che l’azienda realmente ha reso al suo cliente. Laprestazione erogata può essere diversa da quella percettivamente ottenuta dal cliente in quanto“intermediata” vuoi dall’immagine vuoi da interlocutori dell’impresa.L’immagine non agisce solo sulle aspettative ma può rappresentare filtro cognitivo sulla percezione delservizio ottenuto. La coerenza tra immagine e prestazione percepita, infatti, tende a confermare l’immaginepercepita dai clienti ed la percezione del servizio. Nel caso, invece, di una discordanza tra servizio percepitoed immagine, le percezioni del cliente cambiano tanto più velocemente quanto meno è consolidatal’immagine aziendale. Un’immagine positiva consolidata può infatti, limitatamente a fatti occasionali,consentire di sbagliare, mentre se in fase embrionale, non consente errori. Nel caso questa sia infineconsolidata ma negativa, di fronte ad una prestazione positiva, gli elementi positivi tendono ad avereefficacia limitata, mentre se la negatività dell’immagine è connessa ad un limitato periodo di tempodell’impresa, è possibile una percezione positiva della prestazione anche se eventualmente attenuata dallanegatività dell’immagine.Gli intermediari, o a volte anche sub-fornitori, sono operatori che si collocano tra il produttore delservizio ed il fruitore sottraendo o aggiungendo valore alla prestazione.La partecipazione del cliente può migliorare o peggiorare il livello di servizio effettivamente percepito.Anche in questo caso, è importante, dunque, che l’impresa ne gestisca al meglio la relazione, curandone lapartecipazione nel modo migliore. Risulta pertanto opportuno che il sistema di erogazione accetti nellacoproduzione solo i clienti in grado di farlo e quantomeno non avversi alla partecipazione attiva (Bowen,1986, p. 371).Il valore percepito di un servizio, comunque, dipende anche dall’importanza relativa attribuita dalcliente ai diversi momenti del contesto di acquisizione: se egli è maggiormente interessato alla fased’acquisto, probabilmente effettuerà una valutazione basata soprattutto su elementi quali prezzo, tempid’attesa, distanza da percorrere, ecc.; se invece è focalizzato sul momento della dell’erogazione, potrebbebasare il giudizio sulla qualità dell’interazione con il personale, sull’ambiente fisico e così via (Zeithaml,1988, p. 2).55


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl livello di soddisfazione o insoddisfazione raggiuntosi concretizza in un opinione complessiva finalesul servizio acquistato, che influenza a sua volta le aspettative. Tale opinione, però, può essere modificata:quando una persona prende una decisione tende a mantenere fermi gli elementi coerenti con la stessa o adeliminare quelli in contraddizione. Tuttavia qualsiasi decisione provoca quasi certamente un certo grado didissonanza, successiva all’acquisto, la cui entità dipende dall’attrazione relativa esercitata dalle alternativerespinte e dall’importanza della decisione stessa (Festinger, 1973, p. 8). Per ridurre tale dissonanza èpossibile: cambiare o revocare, anche solo psicologicamente, la decisione compiuta (ammettendo, peresempio di aver sbagliato o non ritenendosi responsabile della scelta); acquisire nuovi elementi cognitiviconsonanti con la decisione; ridurre l’importanza attribuita alla scelta. A tali interventi dell’utente l’impresapuò venire incontro con alcune leve come la possibilità di recesso a bassi costi o l’incremento rassicurativodi informazioni nelle fasi post-vendita.4.1.3 Il progetto di servizio e di disservizio tra aspettative e percezione del clientePer una corretta gestione della prestazione percepita dal cliente risulta indispensabile definire neidettagli il progetto del servizio: articolazione di prestazioni che l’impresa ritiene di dover offrire alla clientela(Cherubini, 1995, p. 53). Il tutto anche per la rilevazione del gap tra ciò che l’impresa voleva dare e ciò che ilconsumatore ha ritenuto di ottenere.Un tale strumento progettuale risulta utile per controllare l’intero processo di erogazione dellaprestazione soprattutto se collegato, attraverso un diagramma di flusso, ai processi operativi del servizio.Tale strumento consente, quindi, di individuare i sotto-processi che costituiscono la prestazione nel suoinsieme e dei servizi, complementari e ausiliari, che affiancano quello principale. Il progetto di erogazionedel servizio non si limita dunque ad una descrizione dei benefici per il cliente e delle fasi operative, maillustra anche le relazioni che intercorrono tra clienti e personale di front e back office, evidenziando imomenti in cui il cliente entra in contatto con l’impresa.Il progetto include sia gli elementi tangibili della prestazione, come impianti, macchinari, personale,moduli, ecc., sia gli eventi che potrebbero verificarsi e le linee d’azione possibili, i momenti di dialogo traclienti e personale, i momenti decisionali, ecc., sia a livello di back che front office. Il collegamento delprogetto del servizio ai suoi processi permette di individuare tutte le interrelazioni esistenti fra le varie fasi el’impatto delle stesse sui risultati percepiti e facilitare la progettazione di nuovi pacchetti anche attraversologiche di complessione (Ferrari, 1998, p. 196). Una corretta revisione del progetto dei servizi permetteanche un’attenta analisi dei disservizi (Hart, Heskett, Sasser, 1990, p. 148). L’ottica di gestione deldisservizio implica che quando non si riesce a prevenire un errore, si cerchi è cercare almeno di limitarne leconseguenze. La gestione del disservizio può essere, quindi, scomposto in due momenti logici (gestione delreclamo e l’azione di recupero) articolati a loro volta in: individuazione del cliente insoddisfatto, sollecitodell’impresa al reclamo; tassonomia dei disservizi in ordine di priorità; eventuale, anche simbolico, ristoro orimborso; individuazione delle cause del problema, eliminazione delle cause attraverso riprogettazione delservizio. Tale gestione dovrebbe prevedere che «la verifica seppur successiva all’erogazione, avvengacomunque quando l’utilizzatore del servizio si trova ancora presso l’azienda, in modo da potereventualmente porre rimedio ai disservizi cercando di non perdere il contatto con la clientela insoddisfatta,che potrebbe rivolgersi ad altri fornitori» (Ferrari, 1998, p. 101). Lasciato il luogo di erogazione, infatti, puòessere difficile contattare il cliente e modificare positivamente la sua opinione. «Riuscire a far sì che ilpersonale sia più attento alle esigenze del cliente e tenda ad instaurare con lui un rapporto ottimale, anche incaso di disservizio, si può rivelare nel medio termine strumento per accrescere la qualità del lavoro ed irisultati conseguiti» (Ferrari, 1998, p. 142). Il personale di contatto dovrebbe pertanto essere motivato eadeguatamente autonomo al punto di voler e poter prendere l’iniziativa non solo nelle fasi di direttacompetenza. Il personale front office, più che la stessa direzione, ha la possibilità di individuare contattare e“ristorare” il cliente insoddisfatto.Spesso il reclamo e la gestione dei disservizi non sono supportati da un adeguato sistema informativo: avolte colui che ha causato il disservizio non viene informato; i reclami non sempre raggiungono ilmanagement per un malinteso cameratismo tra personale; spesso il management sottovaluta occasionali esporadici avvertimenti del personale di contatto. Il tutto amplificato da uno stile di leadership recriminatorio(Fornell, Westbrook, 1984, p. 69). Una corretta gestione dei reclami accresce la fedeltà della clientela(questa, generalmente, si rafforza quando il cliente insoddisfatto si rende conto che l’azienda cerca dieliminare le cause del disservizio) e realizza, sul campo, un miglioramento continuo delle prestazioni. Ireclami possono aiutare ad individuare ed analizzare i problemi e le loro cause, a focalizzare l’attenzione su56


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeimomenti della prestazione offerta che altrimenti potrebbero essere trascurati e a osservare il servizio dalpunto di vista del cliente, strumento fondamentale per accrescerne la qualità. Un’adeguata gestione deldisservizio permette, quindi, di ottenere oltre ad un vantaggio di differenziazione e migliora la gestionepermettendone anche la riprogettazione.La visione dal polo delle risorse tecniche e competenze centra su queste le fonti del vantaggiocompetitivo da cui viene generato il valore dell’impresa. La visione dal polo del servizio richiesto dal clientevede invece l’impresa e l’imprenditore intenti a cogliere le opportunità che l’ambiente offre, per mezzodell’interazione con i vari pubblici aziendali. Se non è possibile negare che la visione dal polo del cliente equella delle risorse siano in parte due facce di una stessa medaglia, le posizioni di partenza da cui prendonoorigine sembrano creare più discordanze che convergenze. Per questo motivo, occorre esplorare in chemisura alcuni dei blocchi concettuali alla base dell’una possano essere rivisitati alla luce delle implicazioniderivanti dalla prospettiva dell’altra. Le risorse tecniche e competenze aziendali sono delle potenzialità, ossiadelle premesse di valore che devono necessariamente passare attraverso la strada del mercato e del giudiziodel cliente per essere effettivamente realizzate. Di converso, il valore di un interlocutore costituisce unarisorsa invisibile, ossia una potenzialità che l’abilità imprenditoriale sarà, o meno, in grado di trasformare invalore. A seconda dell’approccio prescelto il contesto della soddisfazione dell’utente è: opportunità fornitabisogni secondo la visione dal polo del cliente; risorsa intangibile potenzialmente generatrici di valore,secondo la visione dal polo delle risorse.Le due prospettive s’intersecano necessariamente nel contesto della soddisfazione del cliente daqualsiasi prospettiva si parta. Per appropriarsi dei profitti che, secondo la visione dal polo del cliente, lasoddisfazione di un interlocutore può generare con la sua fedeltà, è necessaria l’abilità di saper cogliere leopportunità latenti che ogni pubblico aziendale offre. Tale abilità non può che ricondursi alla capacità dicogliere le occasioni offerte dall’ambiente dal punto di vista del cliente. L’analisi del mercato el’individuazione dei segmenti maggiormente attrattivi che l’impresa è in grado di soddisfare sono unapremessa della fidelizzazione dei clienti suscettibile di generare valore sotto forma di maggiori ricavi e piùalti profitti. Se invece il cliente, come pure qualsiasi altro interlocutore, viene visto come una risorsadell’impresa (ottica interna), tale potenzialità deve passare attraverso il mercato e la soddisfazione del clienteper trasformarsi in valore. Non è quindi sufficiente affermare che le risorse tecniche e competenze diun’impresa creano valore di per sé; occorre invece ampliare la prospettiva d’analisi a ricomprendere lavisione dal polo del cliente, poiché il valore si crea attraverso le risorse tecniche e competenze, le capacità ele competenze di un’impresa soltanto se queste vengono valorizzate dal cliente e dall’ambiente dal punto divista del cliente di riferimento.Gli anelli critici trainanti il processo di creazione di valore nel contesto di soddisfazione dell’utentes’imperniano, dunque, su una tensione tra risorse e cliente, intesa come espressione del divario fra situazionepercepita e situazione desiderata sia dall’impresa, sia dal cliente. La situazione percepita può esserecostituita da performance reddituali, competitive e sociali insoddisfacenti e dalla presenza di risorse umane,finanziarie, culturali, infrastrutturali ed ambientali che richiedono di essere valorizzate. La situazionedesiderata è, di conseguenza, la realizzazione di tali performance e la valorizzazione di tali risorse.La tensione è un elemento cardine dell’atteggiamento imprenditoriale teso a modificare la situazionereale; essa può dipendere dalla percezione di una carenza all’interno dell’impresa o dall’esistenza, nelcontesto ambientale, di ostacoli al soddisfacimento delle attese dei clienti. Ogni qualvolta emerga unproblema di percezione dei bisogni del cliente e di individuazione dei mezzi e dei modi migliori perrispondervi economicamente, si genera una tensione al cambiamento della situazione; tale problema genera,infatti, un’energia che, a sua volta, sollecita lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali apportate da unaspecifica persona o da una determinata rete di soggetti. Questi ultimi sono, di norma, esposti a stimoli digenerazione di idee a causa della posizione organizzativa ricoperta e possono giungere a delineare unavisione completa soltanto combinando insieme l’idea innovativa, il bisogno di mercato e le competenzeesistenti nell’impresa.Se la tensione imprenditoriale riesce a sviluppare una corrispondenza tra i bisogni del mercato e lerisorse aziendali, il gap di valore fra la situazione percepita e quella desiderata viene colmato. Generandotensione, la risorsa imprenditoriale trasmette il suo valore intrinseco alle altre risorse aziendali; ciò equivaleanche ad affermare che è la risorsa imprenditoriale che valorizza tutte le altre, previa comprensione evalorizzazione dei bisogni del mercato. Sotto quest’aspetto, si può allora sostenere che la valorizzazionedelle risorse dell’impresa sia prodotta dal valore dell’imprenditorialità (come risorsa per eccellenza) e che ilprocesso di valorizzazione si sviluppi nel momento in cui si libera la tensione necessaria al coordinamentosinergico di tutte le risorse isolate a disposizione dell’impresa.57


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIn altri termini, il gap di valorizzazione delle risorse percepito dall’imprenditore può essere colmatosoltanto se questi riesce a collegare le risorse aziendali in un sistema unitario rispondente ad un bisognoeconomico, espresso o latente. Questa rispondenza assicura, infatti, che le singole risorse acquistino unplusvalore nell’ambito di un processo che vede la traduzione di un insieme di risorse non coordinate in unsistema di risorse economiche. Tutto ciò grazie alle relazioni che collegano le une alle altre all’interno delsistema e a quelle che connettono il sistema alla domanda.Alla luce di queste considerazioni appare fondamentale l’esame del concetto di bisogno. A questoproposito, una distinzione importante è quella tra desiderio, bisogno e domanda (Hoflack J., Dubois P.,1983). Il desiderio è la pulsione a determinare la propria esistenza in un certo modo di fronteall’indeterminatezza del futuro, poiché crea uno stato di necessità che è, al contempo, pressante e latente e,come tale, capace di influire sulle decisioni e sulle azioni. Il desiderio è, di per sé, non satisfattibile: purmanifestandosi in bisogni specifici, tende a generarne sempre di nuovi. Il bisogno è un concetto psicologico,la domanda ne è una rappresentazione economica. Come è noto, i bisogni originano dalle pulsionifondamentali nell’uomo, capaci di orientare il suo comportamento verso dei mezzi capaci di soddisfare quelbisogno. Ad esempio, attraverso il consumo di un bene, l’individuo cerca di ridurre o eliminare la tensioneche deriva da un desiderio specifico; non è un caso che “l’obiettivo del marketing sia quello di trasformareun bisogno in desiderio d’acquisto del nostro prodotto” (Henault G.M., 1973). Il bisogno psicologico puòallora distinguersi dal bisogno economico, o domanda specifica, poiché il secondo indica la disponibilità(eventuale) a sostenere dei costi, anche monetari, per acquisire la disponibilità di un certo prodotto, in undeterminato momento e luogo, perché percepito come confacente alla necessità implicita nel primo.Accogliere questa distinzione significa, allora, concepire l’emersione dei bisogni come un processo checonsente all’impresa di tradurre un desiderio in un bisogno psicologico e quest’ultimo in uno economico,generando una domanda specifica rivolta al prodotto offerto. L’esistenza di una domanda per il prodotto diuna certa impresa può ricondursi a quattro situazioni principali: la domanda può non avere natura spontanea,nel senso che il bisogno psicologico ad essa sotteso è stato indotto dall’impresa produttrice del bene; ladomanda è allo stato latente, per cui l’offerta di un certo prodotto costituisce una risposta esplicita ad unbisogno psicologico non ancora espresso; la domanda di un certo bene costituisce una specificazione di undesiderio, che può trovare una soddisfazione anche in altri prodotti caratterizzati però dalla stessa funzioneessenziale; la domanda del bene costituisce l’espressione di bisogni psicologici specifici.Anche quando l’impresa risponde ad una domanda già presente, può comunque svolgere un ruolo divalorizzazione dei bisogni. Nel processo di acquisto ed utilizzo si verifica sempre una sorta di “emersione” diun desiderio originario: l’impresa può influenzare tale emersione con la sua azione, determinando in parte ilprocesso di attribuzione di valore al bisogno psicologico derivato dal desiderio.La creazione di valore avviene nella bi-specularità di bisogni e risorse. Infatti, l’impresa valorizza unbisogno, quando può soddisfarlo economicamente attraverso risorse che hanno un valore (costo)sufficientemente basso; valorizza le risorse, quando può impiegarle economicamente per soddisfare unbisogno che ha un valore sufficientemente alto. Nel primo caso, il valore sufficientemente ridotto dellerisorse impiegate è connesso alla loro disponibilità. Nel secondo caso, il valore sufficientemente elevato delbisogno è riconducibile alla scarsità delle risorse che ne consentono la soddisfazione. La tensioneimprenditoriale è quindi finalizzata a massimizzare la differenza (gap di valore) che esiste fra il valore delbisogno per il cliente ed il valore delle risorse per l’impresa, come principale mezzo attraverso cui fidelizzareil cliente stesso. Se, originariamente, si ha soltanto una ripartizione di valore fra il cliente e l’impresa, in unsecondo momento si ottiene anche, come effetto derivato, la possibilità di ripartire il valore generato perl’impresa fra tutti i suoi stakeholders.La generazione di valore avviene attraverso la tensione generata dalla contraddizione disponibilitàscarsità.Si ha, infatti, da un lato, la necessità di una sintonia fra certe risorse ed uno specifico bisogno, cheimplica la disponibilità del bene; dall’altro, un valore economico del bene, o delle risorse a questo dedicate,che è tanto più elevato, quanto maggiore è la sua scarsità. Il dilemma disponibilità-scarsità deve trovare unasoluzione che generi un valore acquisito per l’impresa superiore a quello ceduto al mercato. Con ladisponibilità del bene senza scarsità, l’utente non attribuisce ad esso un valore economico; con la scarsità delbene senza disponibilità per l’utente, l’impresa non può realizzare il profitto.In tale prospettiva “allargata”, il processo di creazione del valore perde la connotazione di sfruttamentodi posizioni di rendita, che una visione esclusivamente interna tende ad attribuirgli, così come quella diutilizzo di posizioni di potere relazionale, che un’ottica esclusivamente esterna tenderebbe a fargli assumere.La creazione del valore assume, viceversa, la connotazione dinamica ed incrementale propria di ogniprocesso volto al continuo accrescimento di un patrimonio di risorse tecniche e competenze che abbiano58


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeivalore per il mercato (generino, in altre parole, customer satisfaction e vantaggi competitivi), in uno scenarioin cui la prospettiva oscilla continuamente fra l’impresa ed il mercato, dove la prima crea ininterrottamente lepremesse per la sua unicità ed il se. In sintesi, si vuole sostenere che l’approccio dal punto di vista dellerisorse può correttamente intendersi quale necessaria integrazione di quello dal punto di vista del cliente, eviceversa. Il primo approccio, enfatizzando il ruolo delle risorse tecniche e competenze interne come fontedel vantaggio competitivo, è inevitabilmente connesso alla managerialità ed alle capacità organizzative adisposizione dell’impresa; il secondo, focalizzando il ruolo giocato dalle opportunità esterne, si fa interpretedell’imprenditorialità e dell’abilità strategica di colui che guida l’impresa. Managerialità ed imprenditorialitàche abbiamo visto in precedenza essere fattori che si bilanciano vicendevolmente.59


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFigura 7 Un modello di qualità dei serviziEMERSIONEBISOGNODesiderioBisogni psicofisiciBisognieconomiciAspettativeMarketingMass media; Certificazione;Normativa;Esperienze/caratteristiche;Immagine; Passaparola;Comunicazione aziendale; ecc.Sacrifici necessariServizio desiderato dalclienteSoddisfazione del clienteSPECIFICAZIONERISORSEGap 1PartecipazioneclienteGap 3Servizio percepito dalclienteImmagineServizio erogatoServizio progettatoIntermediariPercezione. del managementdei desideri del clienteGap 2Gap 460


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei4.2 La qualità nell’ambito di un sistema integrato di gestione della performanceIspirandosi molto liberamente ad Abell è possibile proporre un modello ricostruttivo dei contributiesaminati funzionalizzato agli aspetti relativi alla qualità che, com’è noto, enfatizzano gli aspettiorganizzativi realtivi ai processi e lasciamo maggiormente in ombra gli aspetti strategici e gestionali.La service definition può articolarsi in:- attività intese sia come servizi erogati (output), sia come processi di generazione;- apparato articolato in principale (risorse umane) e di supporto (elementi fisico-informatici);- il cliente la sua soddisfazione (outcome).4.3 Qualità dei tre elementi4.3.1 La qualità nell’ambito di un sistema integrato di gestione della performanceIl modello Fitzgerald (e altri, 1998, p. 33) propone un sistema di indicatori relativi alle prestazioni delleimprese di servizi che, anche su base empirica, suggerisce misure di performance, con quelle del tradizionalecontrollo di gestione. Il modello si articola in misure di risultato finale di performance (finanziari ecompetitivi) e in misure determinanti della performance (qualità, flessibilità, risorse, innovazione). Mentre iprimi sono sostanzialmente comuni a imprese anche non di servizi, le misure determinanti si specificano asecondo il tipo di servizi offerti (professionali, al dettaglio e di massa). L’obiettivo è un equilibrio tra i variindicatori per evitare che l’eccessiva attenzione sui risultati a breve possa comprometterne la catena causalesu cui gli stessi si fondono nel medio. Scarso è, invece, il rilievo dei fattori più intangibili legati agli aspetticognitivi delle risorse (immagine, competenze, ecc) che svolgono, a parere di chi scrive, il ruolo deideterminanti dei dertiminanti.Le dimensioni prese comunque in esame dal modello sono: risultato competitivo; risultato finanziario;qualità di servizio; flessibilità; grado di utilizzo delle risorse; innovazione.I principali aspetti presi in esame sono rispettivamente:• per la competitività - Quota di mercato relativa a conseguente posizione - Grado di crescita dellevendite - Indicatori relativi alla clientela;• per i risultati economico-finanziari: Redditività - Grado di liquidità - Struttura del capitale -Indicatori del mercato finanziario;• per la qualità del servizio: Affidabilità - Capacità di risposta - Estetica/immagine - Pulizia/ordine -Confort - Cordialità - Comunicazione - Cortesia - Competenza - Facilità di accesso - Disponibilità -Sicurezza;• per la flessibilità: Flessibilità di volume - Flessibilità nella velocità di distribuzione - Flessibilitànella realizzazione di specifiche;• per l’utilizzo delle risorse: Produttività - Efficienza;• per l’innovazione: Risultati conseguiti nella innovazione di processo - Risultati conseguiti ininnovazioni specifiche.Tutto il sistema integrato di misurazione della performance viene influenzato da tre fondamentalideterminanti e precisamente: l’ambiente competitivo (dimensione, complessità e turbolenza dell’arenacompetitiva); la strategia perseguita; tipologia di servizio. La progettazione di un insieme bilanciato dimisure di performance dovrebbe, tra l’altro; considerare:- che in settori iper-competivi necessitano di un sistema informativo interattivo, orientato alfeedforward e direttamente a supporto di apprendimenti di tipo duble loop;- che in presenza di una strategia di differenziazione la gamma di misure di performance deve esserepiù ampia anche se una strategia di “leadership di costo” non può limitarsi a controllare i costi o amisurare il grado di utilizzo delle risorse.Le misure di performance-risultato vengono appena accennate perché non presentano forti specificitànelle imprese di servizi.Infatti le misure di performance competitiva si focalizzano su indicatori relativi a concorrenti e clientela.61


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiGli indici di performance economico-finanziaria che vengono proposti sono quattro e specificatamenteindici di di redditività, di liquidità, di struttura patrimoniale e di mercato. Solo il calcolo della redditivitàviene articolato nelle tre tipologie di servizio per le diverse strutture dei costi (i servizi professionalipresentano un’alta percentuale di costi diretti, mentre i servizi di massa sono caratterizzati da costi fissi ecomuni). In particolare la possibilità di ripartizione dei costi è critica ai fini di una loro utilizzazione a finigestionali: La loro riaggregazione dovrebbe avvenire su tre poli gli input, i througtput, e gli output. Infatti lastruttura dei costi è una delle determinanti di maggiore rilievo per un vantaggio competitivo per cui leattività, i costi e i ricavi debbono essere attribuite alle diverse unità di business, al fine di rendere comparabilii dati con quelli dei principali concorrenti.L’alta qualità del servizio, che è un altra importante fonte di vantaggio competitivo, è centrata sul fattoche i vari elementi del pacchetto offerto riescano a soddisfare le aspettative dei clienti. Fitzgerald procede adindividuare dodici fattori di qualità del servizio il cui peso relativo varia al variare dello specifico servizio odel cliente: Affidabilità, Capacità di risposta, Estetica/Immagine, Pulizia/Ordine, Confort, Spirito di servizio,Comunicazione, Cortesia, Competenza, Accesso, Disponibilità e Sicurezza.Tab 2 Elenco dei fattori di qualità del servizioACCESSOESTETICA/IMMAGINE<strong>DI</strong>SPONIBILITÀPULIZIA/OR<strong>DI</strong>NECONFORTCOMUNICAZIONECOMPETENZACORTESIAELENCO DEI FATTORI <strong>DI</strong> QUALITÀ DEL SERVIZIO(adattato da Fitzgerald, 1998, p. 83)- Comodità della localizzazione - Facilità di raggiungimento e chiarezza delpercorso- Immagine della merce - Gusto del cibo - Modo di apparire del personale -estetica delle strutture - tipologia di allestimento- Disponibilità del prodotto - Gamma dei prodotti - Varietà di prodotto -Disponibilità del personale - Reperibilità del personale - Accessibilità allastruttura- Delle merci - Del personale - Delle attrezzature- Ambiente - Atmosfera - Ambientazione - Affollamento- Chiarezza delle informazioni relative al prodotto - Chiarezza nei contattipersonale /clienti - Chiarezza nella segnaletica- Personale: specializzato - Esperto - Capace - Preciso.- Educazione - Rispetto e decoro del personale - Rispetto ai clientiSPIRITO <strong>DI</strong> SERVIZIO - Capacità di essere di aiuto - SollecitudineAFFIDABILITACAPACITÀ <strong>DI</strong>RISPOSTASICUREZZA- Affidabilità del prodotto - Affidabilità nella distribuzione - Affidabilitàdell’ambiente - Puntualità - Affidabilità del servizio e del personale- Velocità di erogazione - Tempi di risposta- Sicurezza fisica- riservatezza - sicurezza delle persone - Sicurezza del prodottoNaturalmente i sistemi di misurazione della qualità si differenziano in relazione al fatto che l’impresaproduca servizi professionali, servizi al dettagli o servizi di massa. In particolare, mentre non sembranosubire notevoli variazioni le dimensioni della qualità, cambiano in realazione al servizio i metodi dimisurazione utilizzati. Nei servizi professionali si misurala qualità di ogni fase del processo di erogazione,nei servizi di massa, misurano quasi esclusivamente gli output, anche con ricerche campionarie sullasoddisfazione del cliente.62


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab 3 Principali differenze nella misurazione della qualità del servizio in relazione alla tipologia di serviziooffertoPrincipali differenze nella misurazione della qualità del servizio in relazione alla tipologia di servizio offerto(adattato da Fitzgerald, 1998, p.83)CaratteriRELAZIONE <strong>DI</strong>SERVIZIOCARATTERISTICHEQUALITATIOVE DELSERVIZIOServizi ProfessionaliImportanza delle relazioni dilungo periodo tra clienti edipendentiLe caratteristiche qualitative delservizio sono diverse per ognisingola prestazione e vengononegoziati con ciascun clienteServizi aldettaglio↔↔Servizi di massaLe relazioni sono tra ilsingolo cliente el’organizzazione nel suocomplessoIl servizio è standardizzato elegato alla definizione dichiare aspettativeRISERVE CHIAVE DACONTROLLARESISTEMI <strong>DI</strong>CONTROLLO –SISTEMI INTERNIPersonale ↔ Strutture e personaleNormalmente non strutturati einformali↔ Strutturati e formaliMISURAZIONE DELLASOD<strong>DI</strong>SFAZIONE DELCLIENTELa misurazione, non strutturatae informale, viene avviata perciascun cliente↔I meccanismi dimisurazione, formali estrutturati, vengono utilizzaticon riferimento a campionidi clientiINSOD<strong>DI</strong>SFAZIONEGestita con riferimento ad ognisingolo cliente↔Può portare nel lungoperiodo a cambiamenti nelprocesso di erogazioneGli indicatori di qualità dovrebbero basarsi su due sistemi di rilevazione: la customer satisfaction e ilcontrollo interno della qualità. Infatti l’adozione congiunta di indicatori interni ed esterni della qualità delservizio facilita: la definizione degli obiettivi di qualità; la misurazione della sensibilità dei costi al variare diquesti obiettivi; l’adozione di un adeguato sistema premiante basato sulla qualità; lo sviluppo di relazioni trai livelli di qualità e gli altri livelli di perfomance soprattutto di risultato.La flessibilità viene articolata in: flessibilità nella definizione delle specifiche di servizio; flessibilità dierogazione (adattabilità alle specifiche esigenze del cliente anche in termini di tempi di risposta); flessibilitàdi volume (capacità di soddisfare livelli di domanda variabili nel tempo)63


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab 4 Gli indicatori di flessibilità del servizioGLI IN<strong>DI</strong>CATORI <strong>DI</strong> FLESSIBILITÀ DEL SERVIZIO(adattato da Fitzgerald, 1998, p. 83)FLESSIBILITA’ <strong>DI</strong>VOLUME:FLESSIBILITA’ <strong>DI</strong>EROGAZIONE:FLESSIBILITA’NELLADEFINIZIONE<strong>DELLE</strong> SPECIFICHEDEL SERVIZIO:- Numero di clienti /ordini persi a causa dell’incapacità di soddisfare la domanda -% disponibilità di servizio - Composizione del personale a disposizione(percentuale di dipendenti par-time, di collaboratori occasionali, etc.) -Soddisfazione del cliente con riferimento al livello di affollamento delle strutture incui viene erogato il servizio.- % di ore di lavoro dedicate nel l’arco di una giornata ad urgenze (ovveroallungamenti dei tempi rispetto al programma di attività - % di strutture riservateall’emergenza (per esempio posti letto negli ospedali) - Velocità di risposta - Tempidi consumo, di richiesta di erogazione - Tempi di attesa del cliente - Frequenza delservizio (come ad esempio nel caso dei viaggi in treno) - % di ritardata consegna -Numero di ordini persi a causa di ritardata consegna - Soddisfazione del cliente conriferimento ai tempi di erogazione e alla capacità di risposta.- Numero di differenti prodotti /servizi offerti - Composizione del personale intermini di competenze - Numero di giorni riservati, in un certo periodo, allaformazione del personale - Livello degli investimenti destinati alla formazione ealla selezione del personale - numero di clienti persi a causa dell’incapacità disoddisfare specifiche esigenze - soddisfazione della clientela in termini di capacitàdi adattarsi a specifiche richieste - Soddisfazione del cliente con riferimento allagamma di prodotti e di servizi offerti.La flessibilità presenta particolari difficoltà alla misurazione diretta nelle varie sfaccettature chepresenta per cui si preferisce concentrare la misurazione le sue cause e i suoi effetti. Il tipo e il livello diflessibilità da erogare è scelta strategica in quanto presenta comunque elevati costi opportunità nelle altrevariabili di performance.Nel breve termine la flessibilità è ridotta dei servizi di massa, mentre è elevata per i sevizi professionaliTab 5 La flessibilità nel caso dei servizi professionali e dei servizi di massaLA FLESSIBILITÀ NEL CASO DEI SERVIZI PROFESSIONALI E DEI SERVIZI <strong>DI</strong> MASSA(adattato da Fitzgerald, 1998, p. 123)Tipologia di Flessibilità Servizi Professionali Servizi di Massa<strong>DI</strong> VOLUMENEI TEMPI <strong>DI</strong>CONSEGNANELLE SPECIFICHE <strong>DI</strong>SERVIZIO- Elevato grado di flessibilità nelbreve termine- Flessibilità nei tempi di rispostaagendo sul piano di lavoro- Autonomia dei dipendenti nellagestione dei tempi con il cliente- Alto grado di flessibilità- Necessità di adeguare il processo dierogazione del servizio alle specificheesigenze del cliente- Ridotta flessibilità nel breve termine- Impiego di strategie di gestione dellacapacità produttiva- Ridotta flessibilità standardizzazionedei tempi di risposta media - levariazioni dei tempi riduconol’efficienza del sistema di erogazionedel servizio- Ridotta flessibilità nel breve periodo- La flessibilità può essere ottenuta nellungo periodo intervenendo sulsistema di erogazione del servizio64


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiI meccanismi di supporto della flessibilità variano in relazione alle tipi di servizi. Per i serviziiprofessionali si ricordano la pianificazione del lavoro, sistemi di prenotazione, la rotazione e la formazionecomune del personale. Per i servizi di massa si adottano, tra l’altro, sistemi di gestione delle code, personalepart. time, l’ampliamento dell’orario di aperture, ed anche prezzo e promozione per ridurre la variabilitàdella domanda.Tab 6 Meccanismi a supporto della flessibilitàMECCANISMI A SUPPORTO DELLA FLESSIBILITÀ(adattato da Fitzgerald, 1998, p. 125)MeccanismiServizi professionaliServizi aldettaglioServizi di massaPianificazione del lavoro alto ↔ bassoNegoziazione dei termini di consegna con il cliente alto ↔ bassoSistemi di prenotazione o simili molto diffuso ↔ meno diffusoRotazione nel lavoro e trasferimento del personale alto ↔ bassoFormazione comune e interfunzionale alto ↔ bassoLavoro part-time o occasionale basso ↔ altoAmpliamento della disponibilità del servizio(ampliamento dell’orario di apertura)Leve del prezzo e della promozione per ridurre lavariabilità della domanda nel tempobasso ↔ altobasso ↔ altoL’utilizzo delle risorse, sia in termini di produttività che di rendimento, è una determinante del rapportoqualità prezzo. Le difficoltà di misurazione del grado di utilizzo delle risorse in imprese di servizi è causatodalla varietà e variabilità di attività che generano una molteplicità di servizi. La contestualità tra erogazione eutilizzo del servizio rende inevitabile vuoi elevati tempi di sotto-utilizzazione delle risorse con effettinegativi sulla redditività, vuoi punte di sovra-utilizzazione con effetti negativi sulla qualità/flessibilità e suiricavi. Comunque un’enfasi eccessiva sul grado di utilizzo delle risorse rischia di stravolgere i necessaritrade-off con le altre performance soprattutto quelle determinanti (innovazioni, flessibilità e qualità). Infatti,rispetto a queste la leva del grado di utilizzo delle risorse è quella che si presta maggiormente a manovre dibreve periodo e spesso collegata al recupero di immediato di redditività.Il grado di utilizzo delle risorse può essere misurato in termini di produttività (rapporto gli output e gliinput del processo dei erogazione espressi entrambi in termini monetari o di unità fisiche) o di rendimento(rapporto tra grandezza ottenuta o impiegata e quella potenzialmente ottenibile o impiegabile in condizionifavorevoli).Nel servizio professionale il lavoro costituisce il fattore critico ed è quindi la produttività del personalela chiave interpretativa del grado di utilizzo delle risorse. Nei servizi di massa e nei servizi al dettaglio ènecessario far ricorso ad un sistema integrato di misurazione delle risorse.Stante il suo potenziale morfogenetico l’innovazione a il più alto potenziale nella modifica dellaperformance di una impresa. Ma per misurare l’innovazione non si può far solo riferimento ai risultati ma ènecessario rendere commensurabile il processo di progettazione, implementazione e attuazione. Sempresecondo Fitzgerald, le determinanti del successo di un’innovazione sono: l’attenzione al mercato; unopportuno processo di sviluppo; adeguate scelte strategiche.65


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab 7 Le determinanti del successo nel processo di innovazioneLE DETERMINANTI DEL SUCCESSO NEL PROCESSO <strong>DI</strong> INNOVAZIONE(adattato da Fitzgerald, 1998, p.167)ATTENZIONE ALMERCATOSVILUPPO <strong>DI</strong> UNADEGUATOPROCESSOORIENTAMENTOSTRATEGICO- Capacità di soddisfare bisogni dei clienti chiaramente definiti - Capacità di risolvereimportanti problemi dei clienti - Capacità di rispondere a cambiamenti nei bisogni enelle attese dei clienti - Espansione dei mercati - Capacità di indirizzarsi a mercati adalta crescita - Coerenza con i sistemi operativo e con i valori della clientela- Efficiente attività di realizzazione - tempi di ciclo brevi - Disponibilità di risorse -Efficienti flussi di comunicazione interna interfunzionale - Buona comunicazione conl’esterno - Coinvolgimento dei dipendenti - Formazione del personale di linea - Testprima del rilascio - Valutazione formale successiva all’azione di lancio - Analisi delcampione durante la fase di realizzazione .- Analisi del campione dopo l’azione dilancio.- Strategia aperta al rischio - Strategie di innovazioni (piuttosto che dia risposta alleazioni promosse dalle altre imprese - Compatibilità con le capacità e le risorsecommerciali - Compatibilità con le capacità e le risorse di vendita e promozionali -Servizio chiave per l’azienda - Compatibilità con le risorse finanziarie dell’azienda -Compatibilità con il sistema distributivo esistente - Compatibilità con l’esperienza e lecapacità delle risorse umane - Compatibilità con le abilità e le preferenze manageriali -Compatibilità con la struttura ed i processi di back-officeIn termini di effetti valutare la performance di un’innovazione significa misurare gli impatti in terminedi competitività, qualità, flessibilità, risultati economico-finanziari ed utilizzo delle risorse. In termini diprocesso l’innovazione è possibile concentrare l’attenzione su costo, efficacia e velocità. L’analisi congiuntadei due momenti può svolgersi in ottica quasi di costi benefici.Tab 8 Le misure del processo di innovazioneLE MISURE DEL PROCESSO <strong>DI</strong> INNOVAZIONE(adattato da Fitzgerald, 1998, p. 169)COSTO- Costo di sviluppo medio per servizio - Costo di sviluppo di ogni singolo servizio - %di fatturato spesa per la realizzazione di nuovi servizi, prodotti e processi.EFFICIENZAVELOCITA’- Numero di nuovi servizi realizzati - % di nuovi servizi che si sono rivelati di successo- Tempo intercorrente tra la fase delle ideazioni e la fase di lancio - Tempointercorrente tra la fase di ideazione e la realizzazione di un prototipo - Tempointercorrente tra la realizzazione del prototipo e la fase di lancio - tempo necessario perfare proprie nuove idea provenienti dall’ambiente esterno66


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiCAPITOLO TERZORISORSE E COMPETENZE1. IntroduzioneLe risorse sono costituite da stock di fattori produttivi a disposizione (posseduti o controllati)dell’impresa, che sono trasformate in beni (prodotti e servizi) utilizzando un’ampia gamma di attivitàaziendali e meccanismi organizzativi (…). Le competenze, invece, si riferiscono alla capacità dell’impresa diimpiegare le risorse, tipicamente in combinazione, utilizzando processi organizzativi e meccanismi culturali,per raggiungere determinati risultati. Esse si caratterizzano come processi, materiali e immateriali, fondatisull’informazione, che sono firm-specific e sono sviluppate attraverso complesse interazioni tra le risorsedell’impresa (Amit e Shoemaker in Buttignon, 1996, p. 13).Le risorse dell’impresa afferiscono a fattori produttivi autonomamente identificabili, le competenzescaturiscono dall’interazione di un sistema di risorse e si rilevano in funzione dell’impatto che hanno sulfunzionamento complessivo dell’impresa. Le risorse giocano un ruolo fondamentale nella definizione diidentità dell’impresa. Per comprendere dunque il potenziale competitivo di un’impresa, è necessarioanalizzare i modi attraverso cui le risorse vengono combinate e interagiscono nell’ambito di particolariattività. Le imprese sono dotate di insiemi di risorse eterogenee. Nel caso in cui queste siano difficilmenteimitabili e riproducibili, possono risultare fonte di vantaggio competitivo. Le asimmetrie nella dotazionedelle risorse si riflettono sulle caratteristiche dei processi aziendali (qualità, efficienza, rapidità, e così via) edei prodotti (diverso grado di customer satisfaction) (Grant, 1994, pp. 123-134).Molti autori utilizzano in modo intercambiabile i due termini: routines e competenze; si ritiene tuttaviache i due concetti sottostanti debbano essere distinti. Le routine appartengono al più ampio insieme dellecompetenze, essendo le prime una manifestazione comportamentale delle seconde. Il successo e l’efficacia diuna routine derivano dall’abilità dell’impresa di combinare sinergicamente le risorse di cui essa è inpossesso, abilità e capacità che vengono sviluppate in modo incrementale all’interno della stessa e cherisultano difficilmente trasferibili e condivisibili in quanto costituite da una forte componente tacita. Leroutine appartengono quindi a quella serie di manifestazioni comportamentali degli individuidell’organizzazione, che incorporano la loro conoscenza e grazie ad essa possono esistere. Mancando lacapacità di combinare e sfruttare in modo efficace le risorse aziendali, mancando cioè le competenze, leroutine non esisterebbero. O quantomeno esisterebbero esclusivamente in quelle forme ripetitive edautomatiche, sviluppate attraverso la replicazione di certi comportamenti, riducendosi a banali fenomeni diproblem-solving, venendo meno quell’aspetto fondamentale di ricerca continua delle alternative migliori daadottare in sostituzione delle soluzioni sub-ottimali.2. Routines e competenze: l’approccio basato sulle capacità dinamicheIl concetto di routine organizzative ed il relativo modello d’impresa sono stati elaborati da Nelson eWinter nel 1982 e costituiscono tutt’oggi un’alternativa alla teoria classica di strategic management. Il lorostudio è in genere considerato una delle prime riflessioni teoriche in cui l’impresa venga considerata comerepertorio di risorse e competenze ed è quindi ricollegabile al recente dibattito sulla natura delle corecompetence e sulle modalità attraverso le quali queste si diffondono all’interno delle organizzazioni.Di seguito illustreremo dapprima i contributi più significativi alla teoria delle routine organizzative,rilevando le caratteristiche che differenziano i vari approcci, dopodiché metteremo in evidenza il ruolo dei67


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeipattern comportamentali ripetitivi nell’ambito dei processi di apprendimento e diffusione delle competenzeaziendali.2.1 Come si definisce una routineNon esiste ancora una definizione di routine univoca ed accettata da tutti, anzi una delle proprietà checaratterizzano l’idea di routine è proprio la sua ambiguità semantica. Gli stessi Nelson e Winter utilizzano iltermine come sinonimo di “regola di decisione, tecnica, skill, procedura operativa standard, pratica, policy,strategia, sistema informativo, struttura informativa, programma, script, forma organizzativa” (Narduzzo eWarglien, 1998, pp. 68-69).Ciò nonostante vale la pena esaminare due definizioni classiche di routine che riflettono differentiapprocci al problema. Quella elaborata da Nelson e Winter nel 1982, che suggerisce un’idea di routinesostanzialmente comportamentista (basata cioè soltanto su comportamenti osservabili); e quella di March eSimon del 1953 che, identificando le routine con i “programmi”, ne enfatizza l’aspetto cognitivo,esaminando le strutture cognitive che stanno all’origine e determinano i comportamenti.2.2 Nelson e Winter: l’approccio comportamentistaNelson e Winter elaborano l’idea di routine organizzativa nell’ambito di un quadro teorico più vasto ecomplesso: la teoria evolutiva del cambiamento economico. Essi propongono un’alternativa al modellostrutturalista, elaborata attraverso le osservazioni raccolte per mezzo di ricerche empiriche ed in grado dispiegare il cambiamento del sistema economico e delle singole imprese.L’approccio evolutivo dell’impresa non assume la conoscenza come un dato acquisito, ma focalizza lapropria attenzione ed analisi sulla generazione delle competenze e sui processi organizzativi e cognitivi chene stanno alla base.Ecco perché negli ultimi anni la teoria di Nelson e Winter è stata oggetto di interesse da parte deglistudiosi della Resource-based view che individua nelle core competence l’elemento causale del vantaggiocompetitivo e delle diversità tra le imprese.Nel modello di impresa proposto da Nelson e Winter le core competence sono individuate nelle routine:queste incorporano le conoscenze dell’impresa, il suo saper fare. Le routine sono spesso depositarie di unaforma di conoscenza idiosincratica, tacita ed implicita, più difficilmente imitabile e che per questo puòessere considerata parte delle core competence di un’impresa. Lo studio dei processi di replicazione ediffusione delle routine è perciò fondamentale per la comprensione di come si formano e si accumulano lecompetenze distintive che sono alla base del vantaggio competitivo di un'impresa (Narduzzo, 1997, pp. 10-11).Potremmo definire una routine come “una sequenza automatica di comportamenti, percepibile comeun’unità e attivata da un piccolo numero di segnali iniziali” (Winter, 1986, p 165). I cosiddetti processi disearch, cioè di esplorazione, producono la varietà dei comportamenti e quindi il cambiamento. Agisconoinvece come meccanismi di selezione, sia sulle procedure ormai consolidate che su quelle generate daiprocessi di search, “il mercato e la profittabilità dell’impresa” (Narduzzo, 1997, p. 11). L’evoluzionedell’impresa scaturisce dall’azione congiunta di questi due meccanismi.In pratica, le imprese sono dotate di competenze, capacità, routine, procedure e regole decisionali chedeterminano le modalità del loro agire al verificarsi di determinati fenomeni. In più pongono in essereun’attività di search per scoprire e valutare possibili cambiamenti nel modo di fare le cose.2.2.1 Routine come memoria organizzativaPoiché Nelson e Winter identificano la conoscenza dell’impresa con il suo repertorio di routine, devenecessariamente esistere un “luogo”, all’interno dell’organizzazione, in cui queste conoscenze vengonoaccumulate. I due studiosi suggeriscono di pensare alle routine come alla memoria dell’organizzazione eforniscono delle possibili alternative per identificare il luogo in cui queste si accumulano: la memoria deimembri dell’organizzazione, gli archivi appositamente elaborati e l’esecuzione dell’attività quotidiana(Narduzzo, 1997, pp. 19-22):• pare intuitivo pensare che la memoria organizzativa coincida con la somma delle memorieindividuali dei suoi membri. In pratica, attraverso l’esperienza, gli individui imparano ad agire, e areagire, al verificarsi di determinate condizioni. Imparano così a risolvere un problema riproponendo68


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiautomaticamente la stessa soluzione ogni volta che si presenta il medesimo stimolo. Entrando incontatto con gli altri membri dell’organizzazione essi diffondono la routine (quel patterncomportamentale ripetitivo), attraverso storie e racconti di esperienze di lavoro, ecc., fino almomento in cui, pur restando patrimonio della memoria degli individui, la routine diventa peculiaree caratteristica dell’organizzazione;• in realtà, l’idea che la memoria organizzativa sia semplicemente costituita dalla somma dellememorie individuali non spiega perché, attraverso il turn-over negativo e l’assenza di alcuni membridell’organizzazione per brevi periodi di tempo (viaggi, malattie, maternità, ecc.), non si paralizzil’attività dell’impresa.• Al fine di non disperdere la conoscenza organizzativa e per fare in modo che non venga danneggiataa causa dell’allontanamento di alcuni dei suoi membri, l’organizzazione costruisce delle memorieartificiali, in cui le conoscenze vengono registrate e accumulate. Sono costituite da documenti,archivi di dati, manuali, ecc. contenenti notizie e informazioni che sia a causa della razionalitàlimitata che caratterizza i membri dell’organizzazione, sia per gli effetti del turn-over negativo,andrebbero altrimenti persi.• non tutte le conoscenze sono però codificabili o formalizzabili in qualche modo; le cosiddetteconoscenze tacite non si prestano ad essere oggetto di “archiviazione”, anzi, data la loro natura, sonoincorporate nelle attività degli individui e possono essere trasmesse solo attraverso la lororipetizione.• Il terzo meccanismo indicato da Nelson e Winter grazie al quale avviene l’accumulazione dellaconoscenza consiste nella “routinizzazione dell’attività” (Narduzzo, 1997, p. 20). La ripetizione e lariproposizione delle pratiche quotidiane proprie dei membri dell’impresa rappresentano ilmeccanismo di costituzione della memoria organizzativa.Il remembering by doing consente di conservare le competenze di carattere procedurale edessenzialmente tacite che si sottraggono ad alternativi meccanismi di memorizzazione.2.2.2 Routine come risoluzione del conflittoAttraverso l’osservazione del comportamento dei membri di un’organizzazione si può notare unanotevole discrepanza tra ciò che si fa e ciò che invece si dovrebbe fare. Queste discrepanze possono esserericondotte agli aspetti motivazionali del lavoro, alle divergenze di interessi ed ai conflitti che sorgono tra imembri dell’organizzazione. Per Nelson e Winter, le routine costituiscono uno strumento di negoziazione delconflitto (truce), in quanto stabiliscono un compromesso tra le aspettative e le motivazioni divergenti che siconsolidano con le pratiche aziendali (Narduzzo e Warglien, 1998, p. 73).I processi di negoziazione nella risoluzione dei conflitti risultano diffusi all’interno dell’organizzazione;essi si instaurano ad ogni livello della scala gerarchica, nei rapporti supervisore/controllato e, potenzialmenteogni volta che esistano delle divergenze di interessi tra i membri dell’organizzazione. Le routine chescaturiscono dai meccanismi di truce non sono mai completamente esplicite, a maggior ragione quandorisultano in palese contrasto con le procedure standard. Ecco perché i nuovi membri possono venire aconoscenza degli accomodamenti e dei termini della negoziazione esclusivamente attraverso l’osservazione ela condivisione delle abitudini degli altri membri.2.2.3 Routine come gerarchiaNell’ambito delle routine e delle regole decisionali interne all’impresa, Nelson e Winter individuano unordine gerarchico e distinguono regole di decisione di ordine inferiore (le procedure più meccaniche) e diordine superiore (le politiche aziendali). Appartengono al primo tipo di routine le procedure operativestandard, come la determinazione di come e quanto produrre date certe condizioni (la quantità di capitaleinvestito, gli impianti utilizzati, ecc.). Sono esempio del secondo tipo le routine che producono scelte diinvestimento e processi deliberati che presuppongono una fase di search finalizzata all’individuazione deimodi migliori per fare le cose (Narduzzo, 1997, p. 27).A loro volta i processi di selezione possono costituire delle routine ossia consistere in patterncomportamentali, ripetuti in modo automatico, attraverso i quali vengono generate, valutate e selezionatedelle alternative.69


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiLa relazione gerarchica tra i diversi tipi di routine, secondo Nelson e Winter, permette di comprendere ilrapporto di interdipendenza che le lega e, in particolar modo, gli effetti del cambiamento sulla strutturaorganizzativa.2.3 L’innovazione: una ricombinazione di routine esistentiOltre a descrivere ed analizzare i comportamenti di un’impresa nello svolgimento dell’attivitàquotidiana, ponendo l’enfasi sulla continuità e sulla “condizione normale” dell’attività organizzativa, leroutine vengono utilizzate da Nelson e Winter anche per spiegare il processo di innovazione.Nell’ambito dell’attività aziendale l’innovazione si inserisce come risposta alle anomalie che siverificano minando e compromettendo l’esecuzione delle routine esistenti.Il processo che si innesca quando sorgono dei problemi nello svolgimento dell’attività quotidianaconsiste fondamentalmente in una ricombinazione delle routine esistenti, caratterizzata da un processo diproblem solving (Narduzzo, 1997, pp. 30-31).2.4 March e Simon: l’approccio cognitivoMentre per Nelson e Winter le routine sono delle specifiche sequenze di azioni, per March e Simonconsistono in particolari sistemi di regole. In pratica le organizzazioni sono dei “decisori” che compionodeterminate azioni in base a delle regole; ecco perché pare congruente l’analogia delle routine con iprogrammi per computer, contenenti le istruzioni che la macchina deve seguire per compiere una serie diattività.Nell’ambito di questo approccio le routine sono viste come dei programmi appresi in precedenza dalleorganizzazioni, che vengono eseguiti nel caso si percepiscano determinati stimoli. Nelle routine March eSimon identificano le unità di analisi del comportamento organizzativo concependole come base efondamento dei processi decisionali in un contesto dominato dalla razionalità limitata. Anche per questi duestudiosi la decisione scaturisce dalla selezione di più routine alternative e il cambiamento, spesso, risulta dauna ricombinazione di routine esistenti.Oltre a descrivere il processo decisionale le routine possono essere utilizzate per spiegare i processi dicoordinamento e di controllo. Per quanto concerne il primo, le routine regolano attività e determinanorisultati interdipendenti all’interno dell’organizzazione; per il secondo, esse costituiscono un utile strumentoper esercitare il controllo, definendo la quantità e la qualità di produzione richiesta nell’ambito di un certoprocesso.Secondo March e Simon l’attività di impresa non implica, generalmente, processi di ricerca o diproblem solving al fine di generare nuove alternative. I processi di search e selezione di alternative sonoattività a cui si ricorre raramente, soltanto quando si percepiscono stimoli nuovi. Nell’attività quotidiana leaziende si trovano a fronteggiare stimoli ripetitivi in relazione ai quali hanno già elaborato e sviluppato unrepertorio di risposte, e che pongono in essere ogniqualvolta essi si ripresentano. Le risposte in questo modofornite divengono routinizzate: la scelta dell’attività da porre in essere risulta semplificata in quanto iprocessi di selezione, apprendimento e ricerca hanno avuto luogo in precedenza, quando lo stimolo erarelativamente <strong>nuovo</strong>. In questo modo la fase di problem-solving viene esclusa, in quanto l’impresa ha giàappreso una risposta e conosce le modalità d’azione (March e Simon).In pratica, la caratteristica principale delle routine è che i comportamenti da esse attivati, che possonoessere anche complessi e coordinati, sono di tipo automatico. Essi non sono cioè deliberati di volta in voltadall’attore, tanto che può accadere che la relazione che intercorre tra gli stimoli che hanno determinato leazioni e le azioni stesse risulti oscura all’osservatore (causal ambiguity).Per March e Simon quindi le routine sono dei sistemi di regole che sottostanno il comportamento; dalloro punto di vista risulta errato indicare i comportamenti con la parola routine, così come fanno Nelson eWinter, e utilizzano allora per lo scopo l’espressione “attività routinizzata”.2.5 Routines e programmi per computerL’analogia tra le routine ed i programmi per computer scaturisce dall’osservazione che già negli anni’50, March e Simon avevano fatto: il livello di programmazione e routinizzazione delle attività umaneall’interno delle organizzazioni era sempre più elevato. Tutto ciò è confermato oggi dall’applicazionepraticamente in tutti i processi aziendali degli strumenti di Information Technology.70


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiProgrammi e routine possono essere assimilati anche in base agli elementi strutturali. I programmi percomputer sono, come le routine, strutturati per fasi di esecuzione. Sulla base di sequenze logiche si possonoidentificare delle fasi che richiamano delle sub-routine (program-evoking step) e delle fasi invece in cui si dàinizio ad un’azione (program-execution step).Le biforcazioni costituiscono elementi caratteristici degli algoritmi propri dei programmi per computer.Nel caso si presenti una biforcazione, il programma sceglie quale sub-routine attivare in base alle condizionirilevate, procedendo secondo regole del tipo if……then.2.6 Interdipendenze tra routinesUn primo grado di interdipendenza che esiste tra le routine è dovuto al fatto che esse condividono lestesse risorse, nello stesso tempo, per cui l’esecuzione di un programma è condizionato da quella di un altro.Questo tipo di interdipendenza pone il problema della valutazione dell’efficienza delle singole routine che, inun contesto di razionalità limitata, dipende dai livelli di soddisfazione del decisore.Per gestire l’interdipendenza tra le routine, March e Simon individuano due strumenti che servono alcoordinamento delle attività programmate. Il primo è costituito dalla redazione di un piano che definiscecosa fare e quando farlo (coordination by plan); il secondo, che viene utilizzato nel caso in cui si manifestinodegli imprevisti, consiste nella comunicazione degli eventi inattesi e delle eventuali misure da adottare(coordination by feedback).Un’ulteriore forma di interdipendenza che si instaura tra le routine consiste nelle relazioni gerarchicheche le legano; si individuano infatti routine di alto livello e di basso livello.March e Simon identificano due modalità attraverso le quali il rapporto gerarchico tra le routine simanifesta: uno si concretizza quando il legame riguarda l’attivazione di un’altra routine, un altro quando siattiva un processo di selezione tra routine diverse. Nel primo caso, l’attivazione di una routine di livello piùalto è necessaria affinché si attivino routine di livello più basso; nel secondo, il rapporto gerarchico siconcretizza quando una routine di livello più alto seleziona quelle di livello più basso, come nel caso in cuiun piano di previsione o di revisione periodica stabilisce i coefficienti della funzione di produzione.2.7 Routines e comunicazioneAffinché il coordinamento delle routine sia possibile, risulta indispensabile instaurare dei processi dicomunicazione che “taglino” l’intera organizzazione; esistendo però strumenti, canali, strutture e forme dicomunicazione diversi, emerge il problema della valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dellacomunicazione stessa.March e Simon identificano nel coordinamento uno degli elementi che influenzano la comunicazione. Ilcoordinamento by plan risulta, ai fini comunicativi, più efficiente di quello by feedback: quest’ultimorichiede infatti una continua attività di aggiornamento e trasmissione di informazioni, mentre il primostabilisce a priori le sequenze di operazioni che devono essere espletate, eliminando la necessità di ulterioriscambi di notizie. In pratica, ricorrendo al coordinamento per piani l’organizzazione può sostenere elevatilivelli di interdipendenza tra le routine limitando, al contempo, il flusso informativo.I due studiosi esaminano anche i diversi canali di comunicazione che sostengono essere soggetti afenomeni di auto-rinforzo e distorsione.Se, per esempio, un canale di comunicazione viene utilizzato frequentemente per un certo scopo, il suouso tende ad essere esteso anche a situazioni diverse da quella per cui è stato sviluppato. Tanto più il canalerisulta efficiente, tanto maggiore è il fenomeno: i membri dell’organizzazione, assicurati dall’efficienza dellostrumento, tendono ad allargarne l’uso in più situazioni.Per ciò che concerne invece i fenomeni di distorsione della comunicazione, March e Simon affermanoche i canali di comunicazione determinano la frequenza con cui i membri dell’organizzazione percepisconospecifiche sollecitazioni. Il fatto che la funzione Ricerca e Sviluppo di un’azienda comunichiprevalentemente con il dipartimento del Marketing, piuttosto che con la Produzione, influisce sul modo incui la R&D percepisce gli stimoli dell’ambiente e influenza le modalità con cui prende le decisioni,guidandone la selezione delle alternative decisionali (Narduzzo, 1997, p. 59).2.8 Innovazione e problem-solving71


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiSebbene l’approccio proposto da March e Simon enfatizzi l’aspetto ripetitivo dell’attività aziendale edevidenzi come la programmazione della stessa avvenga attraverso l’uso di routines, essi non escludono chepossano presentarsi degli stimoli per i quali i membri delle organizzazioni non abbiano ancora sviluppatodelle risposte. Ci sono cioè situazioni in cui il repertorio delle regole di comportamento elaboratedall’organizzazione risulta insoddisfacente; tutto ciò innesca un processo di innovazione che March e Simonassimilano ad un processo di problem-solving.Esistono due tipi di problem-solving: il primo, detto “riproduttivo”, consiste nel ricercare nel repertoriodi routine esistenti quella che meglio si confà alla risoluzione del problema rilevato.Il secondo tipo di problem-solving è detto “produttivo” poiché consiste nella definizione di nuoveroutine, non limitandosi esclusivamente alla ricombinazione di programmi già esistenti. Generalmente iprocessi completamente produttivi sono piuttosto rari: gli individui e le organizzazioni infatti tendono asfruttare la propria esperienza per la risoluzione dei problemi rilevati.2.9 Routines e competenzeAi fini del presente lavoro non risulta utile né opportuno addentrarsi in un’analisi critica degli approcciesaminati (Narduzzo, 1997, pp. 7-101), la nostra intenzione infatti consiste nell’evidenziare i rapporti,evidentemente stretti, che le teorie sulle routine organizzative hanno con gli studi basati sulle competenze alfine di spiegare i processi di creazione e diffusione di capacità distintive.Innanzitutto vogliamo sottolineare che le routine si riferiscono a quella parte automatica e ripetitiva delcomportamento dei membri dell’organizzazione, che non derivano da una decisione deliberata, maappartengono al repertorio delle abitudini dell’impresa. Le routine incorporano il sapere dell’impresa(conoscenza) e il saper fare (comportamenti) e, allo stesso tempo, costituiscono lo strumento diaccumulazione della conoscenza organizzativa.Le routine sono quindi una componente fondamentale delle competenze di un’impresa, ma non sonol’unica. Esse appartengono ad un più ampio contesto di forme di competenza, che vengono accumulate nelleorganizzazioni e che implicano modelli comportamentali maggiormente deliberativi e progettuali, al fine dicombinare le risorse e le capacità sviluppate.Riteniamo infatti che il termine routine sia utilizzato in modo eccessivamente estensivo, forse anche acausa dell’ambiguità semantica che, come abbiamo sottolineato, lo caratterizza. Competenze e routinerappresentano componenti fondamentali del processo di creazione e mantenimento del vantaggiocompetitivo: le prime però costituiscono una più ampia architettura all’interno della quale si inseriscono leseconde favorendo, attraverso le varie forme di apprendimento organizzativo, la diffusione e la“circuitazione” delle competenze distintive. “Infatti, le competenze dell’impresa sono il fruttodell’interazione che più risorse realizzano all’interno delle routine organizzative che ne definiscono lemodalità di utilizzo” (Ciappei e Poggi, 1997, p. 303).In pratica, le routine organizzative fungono da mediatori all’interno del rapporto tra le risorse e lecompetenze: “routines are the building blocks of organizational capability” (Winter, 1995, p. 2).2.10 La trasformazione della conoscenza da tacita in esplicitaIl tema della trasformazione della conoscenza da tacita in esplicita si è trovato inevitabilmente al centrodel dibattito sul ruolo delle competenze aziendali nel processo di creazione e mantenimento del vantaggiocompetitivo, ed ha sollevato interrogativi sulle condizioni e i meccanismi di diffusione delle conoscenzeall’interno delle strutture organizzative.I livelli di indagine che intendiamo analizzare riguardano i requisiti che permettono la trasformazionedella conoscenza tacita in esplicita ed i processi di trasformazione capaci di tradursi in un vantaggiocompetitivo nei confronti dei concorrenti.Per ciò che concerne il primo aspetto, dobbiamo sottolineare che gli studi fino ad oggi fatti hannoconcentrato l’attenzione sui problemi riguardanti la classificazione delle diverse categorie di conoscenza,lasciando un ruolo marginale ai processi di trasformazione della conoscenza tacita in esplicita.Per quanto riguarda il secondo punto, invece, i filoni di indagine che hanno fornito indicazioni suimeccanismi e gli strumenti che legano i processi di trasformazione della conoscenza e le determinanti delvantaggio competitivo, sono ricondotti alla teoria dell’apprendimento organizzativo e quella dell’impresabasata sulle risorse.72


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl punto di partenza dei due approcci risulta comune: il problema di fondo intorno al quale ruota laconnessione tra le conoscenze accumulate all’interno dell’organizzazione e le determinanti della generazionedel valore riguarda principalmente i processi di diffusione delle conoscenze non codificate all’interno delleimprese.Negli ultimi tempi viene rivolta crescente attenzione alle difficoltà che caratterizzano i processi ditrasformazione di conoscenza tacita in esplicita e che spesso vengono confusi con quelli che necaratterizzano la conversione, ossia le modalità attraverso le quali le conoscenze vengono trasferite incontesti applicativi diversi da quelli di origine.2.11 Cheaper, faster and betterL’analisi della generazione del valore attribuisce sempre più importanza alle risorse immateriali; si èpassati da una concezione dell'impresa legata alla trasformazione fisica delle risorse materiali in prodottifiniti, ad una visione più ampia che identifica nel patrimonio delle conoscenze accumulate nell’impresa enelle relazioni che essa instaura con i soggetti esterni fattori determinanti per la generazione e la sostenibilitàdel vantaggio competitivo.Questa modificazione riflette l’esigenza di ritornare sulle premesse concettuali della teoria classicadell’impresa per avvicinarla agli approcci che considerano il patrimonio di conoscenze accumulate attraversosentieri idiosincratici la nuova arena competitiva in cui si confrontano le diverse imprese.Indagando su quali potrebbero essere le aree aziendali all’interno delle quali è possibile riconoscere unforte legame tra trasformazione della conoscenza e vantaggio competitivo, Franceso De Leo elabora unarisposta, anche se approssimativa, attraverso un approccio in termini di economic modeling. «(…) l’impattodella trasformazione di conoscenze tacite all’interno dei confini organizzativi è da porsi in relazione con trecategorie di rendimenti crescenti riferiti al ruolo delle economie di scala, di velocità, e di qualità (cheaper,faster e better), che i meccanismi di diffusione (e.g. conversione + trasferimento) della conoscenza rendonopossibili» (De Leo, 1998, p. 132).Grazie al fatto che si allarga la sfera dei soggetti coinvolti nei processi di conversione e di trasferimento,si incontrano, ex post, dei costi unitari inferiori in termini di ricerca (cheaper); in questo modo, è possibileconseguire rendimenti di scala crescenti nell’acquisizione di conoscenza all’interno dei confinidell’organizzazione.Oltre a ciò, si devono considerare i rendimenti crescenti che scaturiscono da una maggiore capacità di“selezione” (screening) delle conoscenze accumulate, che assume la forma di economie di velocità. Inpratica tutto questo significa che, ex post, i membri delle organizzazioni riescono ad accedere a piùosservazioni per periodo di tempo (faster).Infine, la terza tipologia di rendimenti che si osserva concerne l’accrescimento della cura e dellaprecisione (better) con cui i soggetti di una stessa organizzazione lavorano in contesti operativi diversi. Essisono infatti in grado di verificare, in modo incrociato, le condotte attese e le relative prestazioni, generandoosservazioni più affidabili e meno aleatorie. Si può quindi affermare che, poiché contribuisconoall’ampliamento dell’insieme delle osservazioni a cui i singoli membri delle organizzazioni possonoaccedere, i processi di trasformazione della conoscenza hanno un impatto sulla performance aziendalemisurabile a livello operativo. Occorre dire comunque che ciò che è emerso in termini di economic modelingnon ha trovato, fino ad oggi, applicazione né all’interno della resource-based view, né nell’ambito dellaprospettiva dell’apprendimento organizzativo.2.12 Il ruolo delle conoscenze nella creazione del differenziale competitivoSebbene il punto di partenza degli approcci appena citati coincida, identificando nel patrimonio diconoscenze accumulate dall’impresa un fattore determinante nel processo di generazione del valore,successivamente, le due teorie hanno sviluppato differenti prospettive di analisi per individuare lecomponenti aziendali che presiedono all’attivazione dei meccanismi di produzione del valore economico.La resource-based view le ha individuate nei meccanismi di articolazione e combinazione delleconoscenze tacite, difficilmente formalizzabili ed imitabili dai concorrenti. La prospettivadell’apprendimento organizzativo, differentemente, ha attribuito questo ruolo ai meccanismi di condivisionee conversione della conoscenza tacita nell’ambito dei diversi contesti applicativi.2.12.1 Conoscenze tacite e vantaggio competitivo nella prospettiva resource-based73


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIn questa prospettiva emergono due “giustificazioni” alle difficoltà che si incontrano a trasferire leconoscenze tacite sviluppate all’interno di un’organizzazione: la presenza di causal ambiguity nelle modalitàcon cui le risorse e le capacità dinamiche vengono combinate e la viscosità delle conoscenze tacite rispetto alcontesto in cui sono state originate. Grazie a questi due fattori si creano le condizioni di attivazione deiprocessi che si traducono in un differenziale competitivo sostenibile nel tempo.In quanto non codificabili, le conoscenze tacite riducono il rischio di “travaso” all’esterno diconoscenze in grado di generare valore; grazie poi ad una loro completa “aderenza” al patrimonio di risorseimmateriali accumulate dall’impresa che le ha originate, risultano difficilmente, o comunque nonproficuamente, duplicabili in contesti distanti da quelli di iniziale applicazione (De Leo, 1998, p. 133).Il focus della resource-based view riguarda principalmente i problemi di classificazione delleconoscenze accumulate in base al loro contenuto, trascurando un terreno di indagine che appare più fertile e“strategicamente più rilevante” come quello dell’ambiguità causale che caratterizza i processi dicombinazione delle conoscenze.Il nodo centrale della prospettiva basata sulle risorse risulta la presenza di barriere che impediscono iltrasferimento delle conoscenze al di fuori dei confini dell’impresa in cui sono state create ed accumulate.2.12.2 Meccanismi di conversione e condivisione nella prospettiva dell’apprendimento organizzativoLa prospettiva dell’apprendimento organizzativo non identifica le determinanti del differenzialecompetitivo negli impedimenti al trasferimento delle conoscenze al di fuori dell’impresa che le ha generate,piuttosto, concentra l’attenzione sulle condizioni che permettono di realizzare processi di conversione delleconoscenze non codificate e di accelerarne la condivisione all’interno dell’organizzazione.In pratica, questo approccio mette a fuoco le determinanti che influenzano la riproducibilità dellemodalità di combinazione delle conoscenze. La relazione causale che si instaura tra conoscenze tacite evantaggio competitivo si sostanzia nei processi che presiedono alla combinazione e diffusione delleconoscenze non codificate, accumulate a livello individuale e collettivo.2.12.3 Competence-based view: punto di contatto tra apprendimento organizzativo e teoria resource-basedSi potrebbe affermare che l’impostazione di fondo su cui si basano gli approcci precedentementeesaminati può essere analizzata in base alla dicotomia content vs. process.Nella prospettiva resource-based infatti un ruolo determinante è giocato dalla specificazione delcontenuto delle conoscenze accumulate all’interno dell’impresa. Partendo da queste, ossia da ciò che (what)costituisce la “piattaforma di conoscenze” dell’organizzazione, risultante della combinazione di risorse siaindividuali che collettive, si può individuare il perché (why) la parte non codificabile delle conoscenze non sipresti ad essere trasferita fuori dei confini organizzativi (De Leo, p. 89).Accogliendo questa impostazione, ciò che lega il vantaggio competitivo alle conoscenze si concretizzanelle barriere alla trasferibilità di queste ultime rispetto al luogo in cui sono state sviluppate. Ma se questaspiegazione fornisce indicazioni sulla possibilità di mantenere nel tempo un vantaggio competitivo neiconfronti dei propri avversari, non contribuisce certo a individuare le “causali interne” della combinazione dirisorse e capacità.Diversamente, un orientamento utile per focalizzare le cause e le modalità dei processi di combinazioneè dato da quello dell’apprendimento organizzativo. In questo caso l’analisi si concentra sui modi (how) e suiprocessi che permettono di accelerare la conversione e la condivisione delle conoscenze tacite nel propriointerno.Si vede quindi che le due teorie, pur condividendo l’assunto di fondo partendo dal quale poi siarticolano, presentano una biforcazione nel chiarire il nesso causale conoscenze/vantaggio competitivo. «(…)si può rilevare come nell’approccio resource-based view prevalga una dimensione statica della conoscenza,che non coglie le modalità secondo le quali si sedimentano le competenze distintive dell’impresa,prevalendo, piuttosto l’aspetto della loro utilizzazione ai fini competitivi e della difficile riproducibilità cheesse manifestano. L’approccio dell’apprendimento organizzativo invece focalizza la dimensione dinamicadella conoscenza, ovvero i processi secondo cui conoscenze e competenze si sedimentano nell’impresa»(Ciappei e Poggi, 1997, p. 305).I due orientamenti di fondo sono evidentemente distinti e, al momento attuale, difficilmente conciliabili.Prendendo però in considerazione l’approccio competence-based, anziché quello resource-based, di cuiil primo risulta uno sviluppo, ci accorgiamo che l’attenzione non è più concentrata, o meglio, non è più74


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiesclusivamente concentrata sugli impedimenti all’imitabilità delle risorse ai fini di sostenere il vantaggiocompetitivo, ma, in special modo negli ultimi studi di Teece, Pisano e Shuen, l’accento viene postosull’abilità dell’impresa nel rinnovare le proprie competenze in base ai cambiamenti del mercato. «Winnersin the global marketplace have been firms that can demonstrate timely responsiveness and rapid and flexibleproduct innovation, coupled with the management capability to effectively coordinate and redeploy internaland external competences» (Teece e Pisano, 1994, p. 1).Anche in questa prospettiva l’analisi si focalizza sui processi che consentono di creare, sviluppare, maanche diffondere le competenze all’interno delle organizzazioni; in particolar modo si studiano i “veicoli”attraverso i quali le competenze vengono replicate e condivise, anche in luoghi distanti da quelli in cui sonostate originate.Obiettivo della nostra indagine, nell’ambito del presente lavoro, sarà quello di illustrare comel’approccio basato sulle competenze e quello dell’apprendimento organizzativo possano essereprofittevolmente integrati, al fine di descrivere come conoscenze e comportamenti, sapere e saper farevengano condivisi e diffusi nelle organizzazioni ed usati per prevalere sui propri competitor.2.13 Ancora su risorse e competenze aziendaliPer meglio comprendere il dibattito sviluppatosi intorno alla creazione e sostenibilità del vantaggiocompetitivo nell’ottica della Competence-based view, pare opportuno approfondire l’analisi dellecaratteristiche che distinguono le risorse aziendali dalle competenze, illustrando, infine, il ruolo assunto dalleroutine organizzative nell’attività strategica dell’impresa. Riportiamo, qui di seguito, alcune definizioni di“risorse aziendali” sviluppate nell’ambito della letteratura manageriale confrontandole con quelle di“competenze”, per poi illustrare il significato attribuito alle une e alle altre negli ultimi sviluppi teorici dellaCompetence-based view ormai noti come dynamic capabilities approaches.Tab 1 Schemi di analisi delle risorse dell’impresa nella letteratura managerialeAnalisi delle risorse dell’impresa nella letteratura managerialeGrant (1991)RisorseRisorse finanziarieRisorse fisicheRisorse umaneRisorse tecnologicheRisorse diinnovazioneRisorse relazionali edi immagineRisorse di capitalefisicoRisorse di capitaleumanoDescrizioneCapacità di credito dell’impresa e fondi generati internamenteDimensione, localizzazione, sofisticazione tecnica e flessibilità degli impianti e macchinari.Localizzazione e utilizzi alternativi di terreni e fabbricati. Riserve di materie primeTraining, expertise, adattabilità, impegno e fedeltà dei prestatori di lavoroDotazione di tecnologie proprietarie (brevetti, diritti d’autore, segreti di fabbricazione) edexpertise nell’applicazione della tecnologia (know-how)Laboratori di ricerca, personale tecnico e scientificoReputazione presso i clienti attraverso il possesso di marchi, relazioni durevoli, immagine diqualità e affidabilità dei prodotti e servizi, reputazione dell’impresa presso i fornitori, banche ealtri finanziatori, personale attuale e potenziale, governi e comunitàAnalisi delle risorse dell’impresa nella letteratura managerialeBarney (1991)Caratteri “materiali” della tecnologia utilizzata dall’impresa, impianti e macchinari, collocazionegeografica, accesso alle materie primeFormazione, esperienza, capacità di giudizio, intelligenza, relazioni e intuito dei prestatori dilavoro a tutti i livelli, individualmente considerati75


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiRisorse di capitaleorganizzativoRisorse di inputRisorse di processoRisorse distributiveCustomer assetRisorse generali(infrastrutturali e disupporto)Struttura formale dei sistemi di reporting dell’impresa, modalità formali e informali dipianificazione e controllo, sistemi di coordinamento, relazioni informali tra gruppi di personenell’impresa e tra impresa e ambienteAnalisi delle risorse dell’impresa nella letteratura managerialeVerdin e Williamson (1994)Capacità di R&D, know-how tecnologico, reputazione aziendale, accesso agli input, capacitàproduttiva appropriata, relazioni con i fornitoriCapacità di R&D, know-how tecnologico, capacità produttiva appropriata, esperienza produttivadel personaleNetwork distributivo, fedeltà dei canali, quota di mercato, customer asset elencati sottoReputazione dell’impresa, immagine/reputazione di prodotto, fedeltà dei clienti, notorietà dimarchio, network di servizio, base di clienti esistenteCapitale umano: capacità manageriali (strategiche e tattiche), esperienza specifica di impresa edi settore, conoscenze e capacità di apprendere del management e degli altri prestatori di lavoro.Capacità finanziaria. Sistemi di tecnologie informatiche, conoscenza di mercato, relazioni conorgani governativi e di regolamentazioneFonte: Buttignon, 1996, p. 14Mentre le risorse fanno riferimento a fattori produttivi identificabili, le competenze derivanodall’interazione di un sistema di risorse e possono essere rilevate in base all’impatto che hanno sulfunzionamento complessivo dell’impresa.Nel 1984, Rumelt definisce le competenze “complesso di risorse organizzate” in grado di favorire losvolgimento dell’impresa (Buttignon, 1996, p. 13).Nella stessa ottica, Grant afferma che risorse e competenze dell’impresa possono essere considerateentrambe fondamenti della strategia di lungo periodo. Le risorse giocano infatti un ruolo fondamentale nella“definizione di identità dell’impresa”. La formulazione della strategia deve avere inizio con unadichiarazione di identità e di finalità da parte dell’impresa, che si concretizza nell’enunciazione dellamission. La definizione dell’attività economica che si intende intraprendere è, di norma, riferita al mercatoche l’impresa decide di “servire”. Al momento in cui, però, l’ambiente esterno presenta mutamenti rapidi,trasformandosi in un contesto caotico e turbolento, l’orientamento che si concentra sui fattori esterni nonoffre più un solido fondamento. E’ allora che l’identità dell’impresa può essere definita sulla base dicompetenze e risorse interne che appaiono elementi stabili e affidabili (Grant, 1994, p. 123).Le risorse operano in modo complementare ed il contributo di ciascuna, nell’ambito dell’attivitàaziendale complessiva, non risulta agevolmente osservabile. Ne deriva che, per comprendere il potenzialecompetitivo di un’impresa, occorre esaminare le modalità attraverso le quali le risorse vengono combinate einteragiscono nell’ambito di particolari attività. In pratica, una competenza risulta una conseguenza del mododi operare, in maniera complementare, di un team di risorse distinte (Grant, 1994, p. 134).Volgendo l’attenzione al processo di accumulazione, le competenze vengono concepite come “prodottiintermedi generati dall’impresa per incrementare la produttività delle risorse e conferire flessibilità eprotezione al sistema prodotto” (Amit e Schoemaker, 1993). Esse derivano cioè dall’interagire tra lepotenzialità delle risorse e l’attività umana che si svolge all’interno dell’impresa, grazie, anche, ameccanismi culturali e organizzativi (Buttignon, 1996, p. 13).Potendo essere individuate e apprezzate soltanto attraverso uno sguardo al funzionamento complessivodell’azienda, o al minimo ad una sua area di affari, le competenze possono essere assimilate al concetto di“attività invisibili” proposto da Itami nel 1987. In questo modo viene messa in evidenza la circolarità delprocesso produttivo in base alla quale l’impresa, nello svolgimento dei processi produttivi, utilizza ilpotenziale proprio delle attività invisibili - le competenze appunto) - che appaiono come fattori di input.Nello svolgersi dei processi produttivi, il potenziale insito nelle competenze può essere alimentato odistrutto; ecco che esse appaiono come prodotto intermedio dell’attività produttiva aziendale. Tutto ciò siallaccia ai meccanismi capaci di realizzare “circoli virtuosi di sviluppo e sfruttamento delle competenzeaziendali” (Buttignon, 1996, p. 15).76


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIn linea con queste concezioni si colloca l’approccio di Nelson e Winter che assimila le competenzeaziendali alle routine organizzative. Queste ultime incorporano infatti il complesso di conoscenze accumulatedall’impresa e si concretizzano in modelli comportamentali in risposta a stimoli esterni. Le routinerappresentano, secondo il pensiero degli autori, un modello di attività dal funzionamento regolare eprevedibile, costituito da una serie di azioni coordinate dai singoli. Si potrebbe in pratica affermare chel’attività complessiva dell’organizzazione non è altro che un insieme articolato di reti di routineinterdipendenti (Grant, 1994, p. 139).Le routine organizzative incorporano quindi delle regole in grado di semplificare il funzionamentodell’organizzazione, nonostante le risorse di cui essa dispone siano eterogenee (in particolar modo, quelleumane). In pratica, il concetto di routine organizzativa consente di comprendere più facilmente le relazioniche si instaurano, nell’ambito dell’attività dell’impresa, tra le risorse, le competenze e il vantaggiocompetitivo.2.14 La relazione tra risorse e competenzeUno dei presupposti della routine organizzativa consiste nel fatto che le competenze di un’impresa nonderivano semplicemente dalle singole risorse da essa controllate. Ciò che l’impresa è capace di fare èsenz’altro influenzato dalla tipologia (qualità) e dal numero (quantità) delle risorse disponibili, chedeterminano e limitano la gamma e il livello di attuazione delle routine organizzative realizzabili, esse nonsono tuttavia le uniche determinanti di ciò che l’impresa è in grado di fare e di come lo fa.«(…) As such, routines clearly qualify as resources, given the expansive use of the term “resources” inthe literature of the resource-based view. On the other hand, resources in a narrow sense (e.g. appropriatelyspecialized labor and machinery) are requisites of the performance of most routines, and the knowledgeunderlying a routine is embodied or embedded to al large extent in its associated human, physical andorganizational capital» (Winter, 1995, p. 2).Fattore di essenziale importanza risulta la capacità del management di far cooperare e di coordinare lerisorse necessarie allo sviluppo delle routine organizzative stesse. Determinanti, al fine di motivare e farsocializzare i propri membri, per ottenere collaborazione e impegno, sono: lo stile organizzativo, la cultura,la leadership, i sistemi di incentivazione, controllo e comunicazione posti in essere dall’impresa stessa.2.15 Le risorse strategicheIn un articolo del 1989, diventato ormai celebre tra gli studiosi dell’impresa basata sulle risorse,Dierickx e Cool criticano la teoria proposta da Barney nel 1986 basata sull’esistenza del cosiddetto “mercatodei fattori strategici” e propongono un loro sistema di analisi della realtà competitiva.In pratica, l’ipotesi di fondo su cui questo studioso ha esaminato i costi associati all’implementazionedella strategia delle imprese consiste nel considerare un mercato, detto appunto dei fattori strategici, in cuisono acquistate le risorse necessarie ad implementare le strategie delle diverse imprese. Esiste, per esempio,il mercato della “quota di mercato”, necessaria a porre in essere una strategia basata sulla leadership dicosto; il mercato della “reputazione”, quello della “prontezza di reazione” nei confronti delle mosse degliavversari, e così via.Nei mercati dei fattori competitivi non si riscontra una situazione di concorrenza perfetta, diverseimprese possono avere diverse aspettative per ciò che concerne il valore strategico delle varie risorse.Secondo Barney, le imprese ottengono profitti superiori a quelli dei concorrenti nel caso in cui siano inpossesso di maggiori e più rilevanti informazioni rispetto a loro, nel caso in cui siano fortunate, onell’eventualità in cui queste situazioni si verifichino contemporaneamente (Dierickx e Cool, 1989, p. 1504).Dierickx e Cool mettono in dubbio la validità generale degli assunti di Barney. Secondo questi autoriinfatti l’implementazione della strategia richiede risorse delle quali non ci si può appropriare, come perl’appunto la credibilità presso i fornitori, la loro lealtà, la reputazione presso i clienti, ecc., per le quali cioènon esiste un mercato in cui possano essere scambiate (Dierickx e Cool, 1989, p. 1505).Sfortunatamente, già lo affermava Arrow nel 1974, la fiducia non è un bene che può essere scambiatotanto facilmente. Questa, come altri simili valori (lealtà, sincerità, ecc.) rientra tra quelle che gli economistidefiniscono “esternalità”. Sono beni, con un valore reale, economico, ma non costituiscono oggetto discambio sul mercato, o perché risulta un fatto tecnicamente impossibile, o perché addirittura privo disignificato.77


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl punto cruciale dell’analisi non consiste tanto nell’esame delle imperfezioni del mercato dei fattoristrategici, su cui si è concentrato Barney, quanto sulla questione se tutte le risorse necessarieall’implementazione di una strategia possano essere acquistate e vendute sul mercato o se, invece, per alcunedi esse non esista possibilità di scambio e, nel caso in cui si verifichi questa ipotesi, in che modo e a qualicosti le imprese siano in grado di accumulare le risorse in questione.In questa direzione i sono mossi Dierickx e Cool adducendo la natura idiosincratica di certe risorsespecifiche dell’impresa come causa della non commerciabilità delle stesse. Parte dei fattori utilizzati dalleimprese per porre in essere la propria strategia deve essere necessariamente costruita all’interno e non potràessere mai acquistata, in quanto per essa non esiste un mercato.«For example, a reputation for quality may be built (rather than bought) by following a consistent set ofproduction, quality control, etc. policies over some period of time. Similarly, a reputation for “toughness”(readiness to retaliate) is established through a history of aggressive behavior, and so on. The same goes forfactors such as firm-specific human capital, dealer loyalty, R&D capability (as opposed to a specifictechnology), etc.» (Dierickx e Cool, 1989, p. 1506).2.16 La metafora della vasca da bagnoSe la capacità competitiva di un’impresa dipende dall’abilità della stessa di acquisire le risorse chehanno un mercato e di “costruire” quelle che al contrario non lo hanno, l’analisi strategica dovrànecessariamente focalizzarsi sulle modalità e gli strumenti con cui le aziende accumulano stocks di risorse ene sfruttano la profittabilità nel tempo.Attraverso la metafora della “vasca da bagno”, Dierickx e Cool mettono in evidenza come gli stock dirisorse siano il risultato di sequenze di investimenti graduali compiuti nel tempo.In una vasca da bagno, la riserva d’acqua è indicata in ogni momento dal livello di acqua nella vasca:essa risulta dal flusso di acqua che entra nella vasca attraverso il rubinetto e quella che esce attraverso lafessura sul fondo. Se prendiamo, per esempio, la R&D, la quantità d’acqua nella vasca rappresenta la riservadi know-how in un particolare momento; gli investimenti correnti in R&D sono rappresentati dal flussod’acqua che esce dal rubinetto; il deprezzamento del know-how, la perdita graduale del suo valore nel tempoè rappresentata dall’acqua che fuoriesce dal foro sul fondo. L’elemento cruciale che viene messo in evidenzadalla metafora della vasca da bagno consiste nel fatto che, mentre il flusso d’acqua (gli investimenti correnti)possono essere aggiustati istantaneamente (regolando l’apertura del rubinetto), le riserve fisse non possono.E’ necessario che vi siano serie consistenti di investimenti graduali in risorse che devono essere accumulateaffinché si realizzi il cambiamento desiderato nelle riserve di risorse strategiche.Secondo Dierickx e Cool, un fattore chiave nella formulazione della strategia consiste quindi nelcompiere scelte appropriate per ciò che concerne le spese finalizzate all’accumulazione delle risorse e dellecapacità necessarie a sviluppare e mantenere il vantaggio competitivo. Queste ultime, che gli autoridefiniscono critiche o strategiche, si identificano con le risorse non commerciabili (nontradeable), nonimitabili (nonimitable) e non sostituibili (nonsubstitutable).2.17 Dynamic capabilities approachIn sostanziale accordo con ciò che è stato evidenziato da Dierickx e Cool, ma articolando la propriateoria secondo una prospettiva più “dinamica”, si pongono Teece, Pisano e Shuen (1996), che rappresentanoi più noti studiosi nell’ambito di quello che è noto come dynamic capabilities approach.Come i primi due, anch’essi attribuiscono valenza fondamentale, all’interno del processo strategico, allescelte di investimento nelle varie aree aziendali al fine di accumulare risorse critiche. Rilevano però che lescelte per il dominio delle competenze (che possono essere inserite a pieno titolo, secondo la definizione cheforniscono Dierickx e Cool, nel più ampio insieme di quelle risorse, tangibili e intangibili che, lentamente edin modo incrementale, vengono accumulate dalle imprese e risultano critiche ai fini strategici) sonoprofondamente influenzate dalle decisioni passate. Così in ogni momento le imprese si trovano a doverseguire traiettorie e sentieri di sviluppo delle competenze intrapresi nel passato, che non influisconoesclusivamente sulle scelte correnti, ma anche su quelle future, costituendo delle barriere intorno alrepertorio di competenze presente all’interno dell’impresa (Teece, Pisano e Shuen, 1996, p. 14).Anziché semplicemente sui processi di accumulazione delle risorse e delle competenze, essi focalizzanol’attenzione sulle modalità con cui le imprese rinnovano le competenze per rispondere ai cambiamenti del78


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeimercato. La nozione di vantaggio competitivo richiede infatti lo sfruttamento delle capacità firm-specific siainterne che esterne, che già esistono, e lo sviluppo di nuove.Nonostante non esistano ancora conferme empiriche della teoria elaborata da Teece, Pisano e Shuen,riteniamo che forniscano utili indicazioni sui potenziali sviluppi delle teorie sulle determinanti e le modalitàdell’agire strategico.2.18 Terminologia dell’approccio basato sulle capacità dinamichePrima di procedere all’analisi della teoria fondata sulle dynamic capabilities, intendiamo illustrare leparticolari accezioni attribuite ai vari termini di cui Pisano, Teece e Shuen fanno uso nell’articolazione delloro studio (Teece, Pisano e Shuen, 1996, pp. 15 e ss.):• fattori di produzione: sono input “indifferenziati” disponibili in forma non aggregata nel mercato deifattori. Con l’aggettivo “indifferenziati” gli autori intendono indicare che queste risorse sono prive diuna componente firm-specific; appartengono cioè a quei valori per i quali esiste un mercato discambio, di cui fanno parte, per esempio, terreni, lavoro non specializzato e capitale;• risorse: sono beni firm-specific, difficili, se non impossibili, da imitare. Ne sono alcuni esempi ibrevetti, i marchi di fabbrica, certe capacità produttive specializzate e esperienze di ingegneria.Trasferire questi fattori da un’impresa all’altra risulta difficile sia per gli alti costi di transazione, siaper l’eventuale presenza di conoscenza tacita;• routine/competenze organizzative: quando le risorse firm-specific vengono combinate in clusterintegrati, attraverso l’attività di singoli individui e di gruppi all’interno dell’organizzazione, vengonosviluppate attività distintive che, a loro volta, costituiscono le routine organizzative e i processi;• Core competences: definiscono l’area d’affari fondamentale di un’impresa come core (centrale,principale). Possono essere individuate attraverso l’analisi dei prodotti e dei servizi dell’azienda, edei suoi concorrenti. Dal possesso di competenze da parte dell’impresa rispetto ai suoi concorrenti, edalle difficoltà che questi riscontrano nel replicarle deriva il carattere distintivo delle competenzestesse.• dynamic capabilities: sono le capacità di un’impresa di riconfigurare, trasformare, adattare edintegrare le core competence esistenti, attraverso risorse strategiche complementari, al fine diraccogliere le sfide poste dai cambiamenti di un mondo schumpeteriano di competizione eimitazione. Esse rappresentano l’abilità di un’impresa di conseguire nuove ed innovative forme divantaggio competitivo, nonostante i problemi di path-dependency e core rigidity dei processiorganizzativi e tecnologici;• prodotti: sono i beni e i servizi finali realizzati dall’impresa attraverso le competenze che possiede.Gli attributi strategici dei prodotti e dei servizi (prezzo, qualità, ecc.) dipenderanno dalle competenzedell’impresa e, nel tempo, dalle sue capacità dinamiche, nell’ipotesi in cui i suoi concorrenti sirivolgano ai medesimi mercati dei fattori.2.19 Mercati e capacità strategicheDifferenti approcci strategici esaminano le modalità di creazione del valore e l’essenza dei problemicompetitivi che le imprese si trovano ad affrontare in modi diversi. Il modello delle cinque forze competitivevede le problematiche strategiche in termini di struttura del settore, barriere all’entrata e posizionamento; lateoria dei giochi in termini di interazione tra concorrenti basata sull’aspettativa di come ognuno sicomporterà in futuro; la prospettiva basata sulle risorse focalizza l’attenzione sullo sfruttamento di beni evalori firm-specific.Per comprendere l’impostazione dell’approccio basato sulle capacità dinamiche, occorre identificare lebasi sulle quali vantaggi distintivi e difficili da replicare possono essere costruiti.Per essere strategica, una capacità deve essere sviluppata nell’ottica di soddisfazione del cliente(intendendo, con questo termine, i clienti interni ed esterni, sia attuali che potenziali) in modo da essere fontedi profitto; deve essere unica, tale da consentire di realizzare prodotti e servizi migliori di quelli dellaconcorrenza; e difficile da imitare. In tutto ciò si sottolinea che tutti i beni ed i valori che possono esserecomprati e venduti sul mercato ad un prezzo stabilito, non possono essere definiti strategicamente rilevanti(Barney, 1986).Così, nella teoria basata sulle capacità dinamiche, si ritiene che l’organizzazione delle risorse avvenga inmodo complesso, all’interno delle imprese, coinvolgendo pattern comportamentali e di apprendimento,79


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidando luogo ad attività che, almeno nel breve periodo, non possono essere replicate. Il processo direplicazione richiede infatti tempo e quello delle best practices può risultare illusorio. Le capacità aziendalidevono essere comprese in termini di strutture organizzative e processi manageriali; Pisano, Teece e Shuenhanno identificato i fattori che possono supportare l’analisi delle determinanti delle competenze e capacitàaziendali e le hanno organizzate in tre categorie: processi (processes), posizioni (positions) e percorsi (paths)(Teece, Pisano e Shuen, 1996, p. 19).2.20 Processi, posizioni e percorsiIl vantaggio competitivo di un’azienda deriva dai suoi processi organizzativi e manageriali, dalla suaposizione corrente e dai suoi possibili percorsi di sviluppo.Con l’espressione processi organizzativi e manageriali, gli autori indicano le modalità con cui le cosevengono fatte nell’impresa, ciò cui possiamo riferirci come routine o modelli comportamentali e diapprendimento correntemente usati all’interno dell’organizzazione. Con il termine posizione, invece, vieneindicata la sua dotazione di tecnologia e proprietà intellettuale, le risorse complementari, i suoi clienti e lerelazioni esterne con fornitori e concorrenti. Con sentieri, infine, vengono identificate le alternativestrategiche possibili che l’impresa può intraprendere, la presenza o l’assenza di profitti crescenti in relazioneai vincoli derivanti dalle precedenti decisioni.L’attenzione degli autori è concentrata, come già detto, solo su quelle risorse per cui non esiste unmercato di scambio, essendo queste le uniche risorse di interesse strategico. Il loro studio viene poiarticolato, con lo scopo di evidenziare i processi di imitazione e replicazione attraverso cui i competitorcercano di appropriarsi delle capacità e competenze degli avversari, minando le fondamenta su cui si basanoi vantaggi competitivi e la loro profittabilità (Teece, Pisano e Shuen, 1996, pp. 19 e ss.).2.20.1 Processi organizzativi e managerialiI processi organizzativi svolgono tre ruoli: coordinamento/integrazione (concetto statico),apprendimento (concetto dinamico) e riconfigurazione (concetto di trasformazione).• Coordinamento/integrazione. Sebbene l’attività manageriale assuma importanza fondamentale nelconseguimento dell’efficacia e dell’efficienza dei processi interni di coordinamento e integrazionedelle risorse, il vantaggio strategico richiede sempre di più anche l’integrazione di attività etecnologie esterne. A suffragio di questa teoria, esistono alcune evidenze empiriche come, peresempio, degli studi compiuti da Garvin, nel 1988, in cui si sono esaminati diciotto impianti per laproduzione di condizionatori d’aria. Tra questi, le differenze riscontrate in termini di qualità dellaperformance non dipendevano dal capitale investito o dal grado di automazione dei macchinari deidiversi impianti, bensì erano determinate da particolari routine organizzative. Esse includevanoroutines per accumulare e “processare” le informazioni, collegare le esperienze dei clienti alle sceltedi design ingegneristico e coordinare le attività delle officine con quelle dei fornitori di componenti.Le routine e le capacità di coordinamento sembrano avere un impatto significativo su variabilideterminanti per la performance come i costi ed il tempo di sviluppo e la qualità di un prodotto dainserire nel mercato. Il fatto poi che si siano individuate differenze significative a livello di impresanel modo di coordinare le routine, e che queste differenze persistano per lungo tempo, suggerisce chele routine legate al coordinamento di risorse abbiano natura firm-specific, siano cioè specifiche delcontesto in cui sono state generate. Spesso i processi organizzativi sono correlati e caratterizzati daun alto grado di coerenza; quando ciò si verifica, la replicazione degli stessi appare difficile siaperché richiede sistematici cambiamenti all’interno dell’intera organizzazione, sia perché li richiedeanche a livello di relazioni inter-impresa. Ci pare opportuno evidenziare, in accordo con Teece,Pisano e Shuen, che il concetto di razionalità e coerenza dei processi organizzativi risulta differenteda quello di cultura organizzativa. Quest’ultima si riferisce, infatti, ai valori e ai credo dei membridell’impresa; essa risulta un “sistema di governance de facto” che media il comportamento degliindividui e permette di non ricorrere a metodi gestionali più formali. Le nozioni di coerenza erazionalità sono più vicine al concetto di routine organizzative di Nelson e Winter; anche se peridentificare esattamente le congruenze e le complementarità tra i processi, bisogna comprendere lecapacità organizzative(Teece, Pisano e Shuen, 1996, p. 23).• Apprendimento. Teece, Pisano e Shuen lo definiscono «un processo attraverso il quale ripetizione esperimentazione permettono raggiungere degli obiettivi in modo migliore e più velocemente, e80


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiconsentono di identificare nuove opportunità produttive». L’apprendimento è un fenomenotipicamente sociale e collettivo e non viene attuato soltanto attraverso l’imitazione o l’emulazionedegli individui, ma anche attraverso contributi congiunti per la risoluzione di problemi complessi.«Learning requires common codes of communication and coordinate search procedures. … theorganizational knowledge generated by such activity resides in new patterns of activity, in“routines” or a new logic of organization. … routines are patterns of interactions that representsuccessful solutions to particular problems. These patterns of interaction are resident in groupbehavior, though certain subroutines may be resident in individual behavior» (Teece, Pisano eShuen, 1996, p. 25).• Riconfigurazione e trasformazione. In un contesto che cambia rapidamente, costituisceindubbiamente fonte di valore l’abilità dell’impresa di percepire la necessità di modifiche e ditrasformare, conseguentemente, le variabili aziendali interne ed esterne. Tutto ciò richiede lasorveglianza dei mercati e delle tecnologie, e la volontà di adottare le cosiddette best practices. Inquesta ottica, il benchmarking appare uno strumento prezioso: in un contesto dinamico, leorganizzazioni narcisistiche non sopravvivono.Poiché i cambiamenti organizzativi e managerialirichiedono il sostenimento di costi, le imprese dovranno sviluppare la capacità di “calibrare” lerisorse necessarie alle trasformazioni e di effettuare gli opportuni aggiustamenti. Questa capacitàdipende a sua volta dall’abilità di “sondare” il contesto, valutare mercati e concorrenti, in modo daeffettuare i cambiamenti e riconfigurare le proprie risorse e competenze prima che lo facciano gliavversari (Teece, Pisano e Shuen, 1996, p. 26 e ss.).2.20.2 PosizioniLa competitività di un’azienda non deriva esclusivamente dai processi di apprendimento e dallacoerenza dei processi interni ed esterni di gestione delle risorse, ma anche dal possesso di quelli che Teece,Pisano e Shuen chiamano “business assets”. Con questa espressione vengono indicate le conoscenze cherisultano difficili da scambiare sul mercato (difficult-to-trade knowledge assets), le risorse ad essecomplementari, comprese la reputazione e le relazioni esterne. L’insieme di questi valori determina, in ognimomento, la quota di mercato dell’impresa e la sua profittabilità. Gli autori identificano quattro diversecategorie di “posizioni”:• Risorse tecnologiche. Benché stia emergendo un “mercato del know-how”, gran parte dellatecnologia elaborata dalle imprese non rientra in esso, o perché le aziende non intendono metterla invendita oppure perché esistono delle difficoltà nelle transazioni. L’utilizzo di particolari risorsetecnologiche, siano esse protette attraverso la legislazione che tutela i diritti della proprietàintellettuale o meno, costituisce un differenziale tra le imprese.• Risorse complementari. Le innovazioni tecnologiche richiedono l’utilizzo di risorse correlate per laproduzione e la somministrazione dei nuovi prodotti o servizi. Nuovi prodotti e processi possonotuttavia aumentare o distruggere il valore di questo tipo di risorse; lo sviluppo dei computer, peresempio, ha fatto crescere il valore della forza vendita che si occupava di prodotti da ufficio, mentre ifreni a disco hanno reso inutile gran parte degli investimenti compiuti dalle industrieautomobilistiche nei freni a tamburo.• Risorse finanziarie. Nel breve periodo, la liquidità di un’azienda e il suo grado di leverage possonoassumere rilevanza strategica. Il denaro rappresenta il bene fungibile per eccellenza e non può essererastrellato sul mercato senza che vi sia una notevole dispersione di informazioni nei confronti dipotenziali investitori.• Localizzazione. In certi settori l’unicità può derivare dalla localizzazione, che non risultacommerciabile (per esempio, la posizione di una raffineria in un certo mercato geografico). Spesso,restrizioni a livello ambientale o territoriale possono causare la non commerciabilità di determinateposizioni geografiche e generare quindi vantaggi difficili da replicare, che si manifestano in costi ditrasporto inferiori, convenienza nell’esercizio di certe attività, ecc.2.20.3 Percorsi• Path dependencies. Le alternative di sviluppo di un’impresa sono funzione della sua correntedotazione di risorse e dei sentieri percorsi in passato. Nella teoria microeconomica, le imprese hannoun’infinita gamma di tecnologie tra cui possono scegliere e di mercati che possono occupare.81


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiSoltanto nel breve termine si riscontra la presenza di azioni irreversibili: i costi fissi possono causaredifficoltà nel presente, ma non vincolano gli investimenti futuri. Le cosiddette “path dependencies”non sono riconosciute. La nozione di path dependency, invece, riconosce l’importanza della “storia”.Ciò che è stato, raramente è stato, a dispetto delle previsioni della teoria razionale. Gli investimenticompiuti in passato dalle imprese, così come le loro routine (quindi la loro storia), vincolano ilcomportamento futuro. Questo accade perché l’apprendimento tende ad essere un fenomeno“locale”: le opportunità di apprendere cose nuove, infatti, sono sempre “vicine” alle attivitàprecedentemente espletate. Spesso, l’apprendimento tende ad essere un processo di prove, controlli evalutazioni. Se troppi parametri di un fenomeno cambiano simultaneamente, la capacità dell’impresadi accertare le relazioni di causa-effetto risulta limitata; le strutture cognitive non si formanocontemporaneamente ai cambiamenti e, come conseguenza, l’apprendimento diminuisce. Tutto ciòha come implicazione che certi investimenti hanno conseguenze a lungo termine maggiori di quantosi pensi.• Opportunità a livello tecnologico. Il concetto di path dependency assume ancora maggioreimportanza se consideriamo i settori industriali high-tech. La velocità e la modalità di sviluppo diuna determinata area di un’attività industriale sono parzialmente vincolate dalle opportunità a livellotecnologico che si sono presentate precedentemente. Queste opportunità derivano dallecaratteristiche della scienza di base e dalla rapidità con cui vengono fatte le nuove scopertescientifiche di radicale impatto. Le opportunità a livello tecnologico, comunque, non dipendonoesclusivamente da fattori esogeni rispetto alle imprese non soltanto perché queste sono in grado dicompiere per prime, o comunque di supportare, la ricerca di base, ma anche perché spesso leopportunità scaturiscono da attività del tutto innovative. In più, c’è da considerare che ilriconoscimento di tali opportunità è parzialmente determinato dalle strutture organizzative chelegano le istituzioni che promuovono la ricerca (per prime le università) e le imprese. L’esistenza diopportunità a livello tecnologico risulta (a nostro parere parzialmente) firm specific.2.21 Competenze e catena del valoreIl conseguimento del vantaggio competitivo e l’abilità strategica dell’impresa sono funzione dei suoiprocessi, posizioni e percorsi intrapresi; ognuna di queste variabili deve quindi essere analizzata in un’otticastrategica.Identificando queste componenti e comprendendo le relazioni che le legano, l’impresa è in grado diprevedere la propria performance, tenendo conto dei diversi scenari che potranno prospettarsi. In base aquesta analisi, l’azienda sarà in grado di selezionare l’alternativa migliore tra tutte quelle potenziali.Mai come in questi ultimi anni è stata più importante la necessità di conseguire vantaggi derivanti dalleinterrelazioni che si stabiliscono tra le attività aziendali: lo scopo della strategia complessiva di un’impresaconsiste nel creare valore per mezzo del rapporto che la capogruppo instaura con le varie unità autonome dicui è a capo. In pratica deve creare delle sinergie che consentono il conseguimento del vantaggio competitivograzie alle interrelazioni che potenzialmente possono essere instaurate tra le attività di ogni unitàorganizzativa appartenente.La modelizzazione della catena del valore, consente di capire come le imprese creano il proprio valoresia all’interno (con una specifica catena del valore), sia all’esterno (collegandola alle altre catene di clienti efornitori).L'impresa viene concepita come un insieme di attività concatenate la cui interazione assicura lacreazione del valore. L'analisi delle attività rappresenta la fase decisiva della strategia, in quanto nella attivitàe nelle loro correlazioni si genera il vantaggio competitivo. Il compito della catena è allora quello di legarle econfigurarle in modo da ottenere costi più bassi, ovvero accorparle in modo che il cliente sia disposto apagare un prezzo maggiore.Da un punto di vista strutturale la catena del valore si compone di attività primarie che agisconodirettamente sul ciclo produttivo e distributivo e comprendono le funzioni della gestione caratteristica comela logistica, la produzione e la vendita e di supporto che risultano essere ausiliarie alle prime. Ogni attività hal'obiettivo di contribuire, direttamente o indirettamente, a generare il valore finale per il cliente. Le attivitàindividuate nella catena del valore sono macroattività che a loro volta si compongono di attività elementarispecifiche. (Beretta Zanoni, 1997, p. 112)82


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 1 La catena del valore di Porter (Fonte: Porter, Il vantaggio competitivo, 1987)Attività infrastrutturaleGestione risorse umaneSviluppo tecnologicoApprovvigionamentoLogistica attività logistica marketing serviziin entrata operative in uscita e venditeIl vantaggio competitivo di un'impresa, quindi il valore generato nella sua catena, nasce dunque dalleattività e più precisamente dal fatto di svolgerle in modo migliore dei concorrenti. Svolgere meglio un'attivitàsignifica svolgerla a costi più bassi a parità di output oppure ottenere un output preferito dal mercato.Il processo di creazione del valore è analizzabile non solo all'interno della singola impresa, ma ancheall'esterno nei collegamenti verticali a monte e a valle rispettivamente con le catene dei fornitori e dei clienti,venendosi così a costituire un più complesso sistema di valore.Fig. 2 Il sistema del valore (Fonte:Beretta Zanoni “Strategia e Politica aziendale negli studiitaliani e internazionali”, Milano, Giuffrè, 1997 p. 120catene deifornitoricatenadell’impresacatene deicanaliCatene degliacquirentiSecondo tale visione «i vantaggi che derivano dal loro collegamento si distribuiscono fra tutti ipartecipanti alla catena del valore o al sistema del valore sulla base dei rapporti di forza esistenti» (Porter,1985, p. 35); comprendendo i punti di contatto e di sinergia tra le catene dei diversi soggetti e dal lorosfruttamento si possono generare quindi quote aggiuntive di valore per rafforzare la posizione di mercato.Le determinanti di vantaggio vengono esaminate da Porter in relazione alla tipologia di vantaggioconseguibile: fonte del vantaggio di costo (cost drivers), fonti del vantaggio di differenziazione (drives ofuniquiness). Queste determinanti spiegano perché un’impresa con una determinata catena del valore è ingrado, in tutte o in almeno alcune delle sue attività, di ottenere un vantaggio competitivo di costo o didifferenziazione rispetto ai concorrenti.In particolare Porter individua delle determinanti comuni ad entrambe le strategie:- le economie di scala che l’impresa riesce a sfruttare;83


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei- le curve di esperienza che l’impresa possiede in relazione all’apprendimento che in essa si sviluppacon riferimento alle attività generatrici di valore;- le relazioni tra le attività esistenti sia all’interno della catena del valore, sia all’esterno, con fornitorie clienti;- le relazioni esistenti tra le unità di business interne all’impresa dovute all’utilizzo comune dellestesse attività;- i modelli di utilizzazione della capacità produttiva soprattutto interrelazione alle attività che, per loronatura, sostengono alti costi fissi;- la localizzazione geografica dell’impresa;- il timing o cadenza degli investimenti che consente di anticipare i concorrenti;- la tendenza all’integrazione verticale a qualunque livello di attività generatrici del valore;- i fattori istituzionali che influenzano lo svolgimento delle attività inerenti ad esempio le politichegovernative;- le politiche dell’impresa riguardanti la configurazione delle attività indipendentemente dagli altridrivers.Porter prende in considerazione i concetti di catena del valore e di competenze aziendali parlando dellastrategia dell’impresa a livello corporate e mette in evidenza come la condivisione di competenze tra piùunità possa essere alla base di un esteso vantaggio competitivo, di cui può godere l’intera azienda.Mentre le attività primarie della catena concorrono alla realizzazione vera e propria del prodotto o delservizio, ne svolgono la consegna e la commercializzazione e forniscono l’assistenza post-vendita, quelle disupporto forniscono l’architettura infrastrutturale che permette lo svolgimento delle attività primarie. Lacatena del valore rappresenta e definisce le interrelazioni esistenti tra le attività suddette, interrelazioni checonsentono la realizzazione di sinergie. E’ proprio attraverso catene del valore analoghe, esistenti in diverseunità della stessa azienda, che le competenze e le esperienze di successo possono essere trasferite, in mododa realizzare una strategia complessiva in grado di generare un vantaggio competitivo nei confronti deiconcorrenti (Porter, 1993, pp. 270-272).Mentre ciascuna delle unità operative di una stessa impresa è caratterizzata da una catena del valoreseparata, le competenze concernenti le modalità esecutive delle attività possono essere trasferite da un’unitàall’altra. Le opportunità di trasferimento delle competenze si presentano quando due o più unità hanno catenedel valore analoghe (similarità nella configurazione di insieme, simili rapporti con le autorità pubbliche orelazioni con i fornitori) oppure quando condividono lo stesso concetto strategico, come vendere a bassocosto (Porter 1993, p. 272).3. Le risorse materiali e immateriali3.1 Alcune considerazioni generaliIl concetto di risorse immateriali sembra possedere ancora il fascino dei temi di frontiera (Pozza, 1999,p. 11) giacché è particolarmente difficile darne una definizione precisa.In senso ampio e positivo è possibile definire le risorse immateriali come quelle “basatesull’informazione o che la incorporano” (Itami, 1988, p. 35). L’informazione è qui assunta con significatoallargato: sono sottintesi infatti sia i flussi informativi interni all’impresa (come il know-how tecnologico,produttivo, commerciale, ecc.), sia quelli esterni alla stessa (come la stima, la credibilità, la reputazione, lafiducia, ecc.).Ogni flusso informativo produce una particolare tipologia di informazione:- ambientale prodotta dai flussi informativi che vanno dall’ambiente esterno all’impresa;- aziendale inerente le informazioni che hanno un orientamento opposto rispetto al caso precedente;- interna in cui i flussi informativi hanno origine ed assorbimento all’interno dell’impresa.La rilevanza delle risorse immateriali individuate come risorse basate sulla conoscenza è ovvia: nonesiste risorsa materiale a disposizione dell’impresa (Palmieri, 1999, p. 17) tale che “per essere utilizzata nonrichieda una certa quantità di conoscenza immateriale” (Podestà, 1993).Le risorse immateriali, infatti, concepite in un sistema-impresa cognitivo ed autopoietico - capace dicreare valore sviluppando nuova conoscenza da quella già posseduta (Vicari, 1991) - posseggono energiaentropica che incrementa il patrimonio intangibile stesso.84


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiStante l’eterogeneità delle risorse immateriali se ne identificano alcune caratteristiche comuni:• la sedimentabilità, ossia la possibilità di accantonare risorse (sotto forma di routines e skills) da poterriutilizzare nel momento opportuno;• la difficoltà di acquisizione ed imitazione;• la trasferibilità separatamente all’impresa nel suo insieme;• la deperibilità, nel senso di usura correlata all’obsolescenza tecnologica e commerciale;• la molteplicità di utilizzo, permettendo la realizzazione di interdipendenze di tipo intangibile relativealla loro condivisione (Palmieri 1999, p. 19) tra più unità di business.Con l’evolversi dei tempi, le risorse immateriali hanno assunto importanza crescente nel processo dicreazione del valore affermandosi come i principali driver del successo delle strategie competitive (Pozza,1999, p. 26).Tab. 1 Excursus storico dell’importanza delle risorse immaterialiModello economico di riferimentoModello capitalistico pre-fordistaModello di produzione fordistaModello post-fordistaCaratteristiche del modelloLe imprese utilizzano una tecnologiasemplice orientata prevalentementealla trasformazione delle materieprime in prodotti finitiI processi produttivi sono fondati sulla“parcellizzazione-integrazione” dicicli complessi ed i processi produttividiminuiscono il loro contenuto dimaterialitàL’aumento del livello di complessitàambientale ha determinato ilpassaggio da un’economia fondata suvalori di scambio, ad una basata suvalori d’uso. Si consolida il processodi “terziarizzazione” dell’economia equindi della “smaterializzazione” delprocesso di creazione del valoreRuolo delle Risorse Immateriali nellaproduzione di valore economicoLe risorse immateriali, intese comeinformazioni, non ricoprono un ruolocritico; sono facilmente condivisibilied interscambiabiliLe informazioni acquisiscono un ruolosempre più determinante: i beniprodotti non sono più semplicicontenitori fisici del valoreeconomico, quanto pacchetti integratiin cui l’immaterialità assumeimportanza crescenteL’informazione contenuta nelle risorseimmateriali viene proclamata “il piùimportante fattore propulsivo dellosviluppo economico”(Vicari, 1996).Così, “la produzione industriale siavvia ad essere sempre piùimmateriale, nel senso che sono leinformazioni a generare utilità edunque valore economico” (DiBernardo, 1992, p. 115)Per comprendere appieno la seguente affermazione: le risorse immateriali sono i principali driver delsuccesso delle strategie competitive, occorre riflettere sul rapporto sequenziale tra:risorse immateriali ⇒ vantaggio competitivo ⇒ redditività ⇒ valore economicoIniziamo dalla parte finale della sequenza. La redditività è alla base del valore economico dell’impresain quanto: sono i flussi di reddito prodotti nel medio/lungo termine a generare tale valore; inoltre, sono imetodi a contenuto reddituale a fornirne un mezzo di misurazione; infine, l’equilibrio reddituale, insieme aquello monetario, garantisce la salda continuità aziendale (Palmieri, p. 24).La redditività, a sua volta, è funzione dell’attrattività del settore in cui l’impresa opera e soprattutto dalvantaggio competitivo di ciascuna rispetto ai rivali (Porter, 1987).Le risorse immateriali, il cui possesso è fonte di un vantaggio competitivo superiore, si riflettonoattraverso quest’ultimo sulla redditività e quindi sul valore economico.3.2 La criticità delle risorse immateriali in una prospettiva circoscritta85


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl noto approccio di Porter della concorrenza allargata spiega in modo efficace l’attrattività del settore(Pozza, 1999, p. 33) come conseguenza della maggiore o minore intensità competitiva.Le risorse immateriali possono incidere su molte delle variabili che definiscono la natura e l’entità dellaconcorrenza. Il differenziale competitivo dei competitors, ad esempio, può essere costruito su risorseimmateriali quali la marca, la reputazione, un particolare know-how, ecc.. La tipologia di barriere all’entrata,che tutelano le imprese nel settore da potenziali nuovi ingressi di concorrenti, riflette l’importanza dellerisorse immateriali: infatti, “il concetto di barriera va riferito al differenziale di costo di un’impresa nuovaentrante rispetto ad una già operante nel mercato. Questo differenziale esiste solo in quanto l’impresa nuovaentrante non può acquisire i beni necessari per operare a prezzi competitivi. Questo dipendedall’investimento in risorse immateriali che chi opera da tempo nel settore si trova già sedimentato nellapropria impresa” (Vicari, 1992, p. 131). Così le risorse immateriali occupano un ruolo fondamentale inbarriere costruite su: le economie di informazione, distinte in economie di replicazione, regolazione eselezione (Di Bernardo, 1989, pp. 24-25); le capacità di accedere alle fonti di finanziamento migliori; lerelazioni instaurate con i canali distributivi sui quali si può esercitare un certo potere; la reputazione acquisitain precedenti ritorsioni contro nuovi entranti; la fiducia (fedeltà) dimostrata dal mercato.La sempre maggiore complessità ambientale rende oggi più sfumata la definizione dell’arenacompetitiva in cui l’impresa si trova ad operare; in questo senso, allora, la sua “posizione relativa” all’internodel settore di appartenenza risulta la determinante decisiva per la sua redditività (Pozza, 1999, p. 40). Porterindividua due tipologie di vantaggio competitivo (il contenimento dei costi e la differenziazione) e due livellidi ambito competitivo entro i quali conseguirlo (tutto il mercato oppure un particolare segmento). Dallacombinazione di questi elementi scaturiscono tre strategie di base perseguibili dall’impresa (leadership dicosto, ambito allargato e contenimento dei costi; differenziazione, ambito allargato e differenziazione;focalizzazione, ambito ristretto).Con riferimento all’approccio che vede le risorse di cui l’impresa dispone come le radici del vantaggiocompetitivo, il filone di studio della Resource-based View, (Pozza, 1999, p. 42) si evidenzia, in particolare, lastretta correlazione tra vantaggio competitivo e risorse immateriali. Ad esempio, sia fonti tradizionali deivantaggi di costo (le economie di scala, legate sempre più al concetto di informazione; le curve d’esperienza,connesse all’apprendimento conseguente l’esperienza; le sinergie) che altre (come l’utilizzo di informazionicodificate e protette) testimoniano che la riduzione dei costi si realizza principalmente a causa della“sostituzione di risorse”: da risorse che si esauriscono con l’uso si passa a risorse con fecondità ripetuta,aventi molteplicità d’uso e caratterizzate da una forte capacità di autoincrementarsi durante il loro impiego.La strategia di differenziazione e quella di focalizzazione forniscono a loro volta esempi importanticirca la criticità degli intangible assets: la prima, che per il suo elevato contenuto di firm specific garantisceuna maggiore sostenibilità del vantaggio competitivo rispetto alla leadership di costo, è ottenuta non soloagendo sulle caratteristiche tecniche/fisiche del prodotto. Anzi, il successo imprenditoriale si giocaattualmente sulla capacità delle imprese di soddisfare i bisogni immateriali del mercato, quindi ildifferenziale competitivo risiede nella possibilità di offrire un sistema di prodotto in grado di distinguersi perla dotazione di risorse invisibili che possiede. La seconda, imponendo un’approfondita conoscenza delsegmento cui si intende rivolgere la propria offerta, non può che basarsi sulle risorse immateriali possedutedall’impresa, prime fra tutte la sensibilità alle necessità del mercato, la capacità di anticiparne le aspettative,l’abilità di selezione dei gruppi target.Le considerazioni svolte sopra legittimano la teoria secondo cui la redditività d’impresa dipendasoprattutto da un vantaggio competitivo costruito su risorse immateriali: la loro difficile trasferibilità eriproducibilità, le possibilità di interconnessioni che creano, l’ambiguità causale che ne protegge le relazionicausa-effetto da cui si originano spiegano efficacemente la solidità e la sostenibilità del differenzialecompetitivo che producono.3.3 ... e in una prospettiva allargataL’ambiente con cui l’impresa entra in contatto non è limitato al solo ambito competitivo, ma è costituitoda un “sistema complesso, formato da numerosi sottosistemi variamente connessi tra loro” (Pozza, 1999, p.51). Di conseguenza, anche gli interlocutori cui l’impresa si rivolge con la propria offerta non si esaurisconocon quelli “competitivi” (fornitori, concorrenti, potenziali entranti, clienti, sostituti, ecc.), ma includonoanche quelli “sociali” (sindacati, azionisti, managers, finanziatori, istituzioni, ecc.). L’offerta, formulata inbase al patrimonio di risorse disponibili, di “prodotto” agli interlocutori competitivi e “progettuale” agliinterlocutori sociali, rappresenta il mezzo con cui l’impresa dialoga con il proprio ambiente.86


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl colloquiare tra l’impresa e l’ambiente origina continui flussi informativi: le risorse immaterialiderivanti da tali informational stream partecipano a comporre un sub-sistema specifico tra quelli in cui si puòscomporre il patrimonio aziendale, ovvero quello detto “patrimonio intangibile”. Le intangibles qui accoltesi distinguono in tre categorie (Coda, 1989): la conoscenza (gestionale, organizzativa, tecnologica,produttiva, commerciale), la credibilità dell’impresa nei confronti dei suoi interlocutori esterni ed infine, ladedizione e coesione del personale (manifestata, ad esempio, con il senso di responsabilità verso la missionee gli obiettivi aziendali) (Pozza, 1999, p. 56).3.4 I processi di generazione e di sviluppo delle risorse immateriali.I processi di generazione delle intangibles assets si distinguono in due tipologie:• meccanismi di acquisizione-produzione diretti: le attività volte ad acquisire/produrre in via diretta lerisorse immateriali sono il risultato di politiche di pianificazione ed investimento intraprese dalsoggetto economico dell’impresa. Ne sono un esempio le attività di R&S, di pubblicità, diformazione del personale, ecc. (Palmieri, 1999, p. 55)• meccanismi di acquisizione-produzione indiretti: le intangibles assets in questo caso derivano daattività precipuamente dirette all’ottenimento di risultati (competitivi, sociali, economici).L’accrescimento consequenziale del patrimonio intangibile, tuttavia, non è imputabile soltantoall’ottenimento dei risultati (consenso e reddito), ma anche al normale svolgimento delle quotidianeattività gestionali. Si genera infatti un ciclo continuo di scambio di informazioni tra impresaambienteche si risolve nell’incremento di risorse immateriali (Palmieri, 1999, p. 56).3.5 Le risorse immateriali da un punto di vista contabile: la collocazione nel bilancio d’esercizioLe risorse immateriali, in quanto parte integrante del patrimonio aziendale, devono essere correttamenteposizionate a livello contabile per partecipare alla determinazione del capitale di bilancio e alla valutazioneeconomica dello stesso.Il bilancio d’esercizio, principale strumento informativo a disposizione degli interlocutori d’impresa,benché redatto a norma dei principi contabili (continuità d’impresa, competenza economica, prudenza,criterio del costo come metodo valutativo) si è mostrato, secondo l’opinione generale, sostanzialmenteincapace di rappresentare tutte le risorse immateriali di pertinenza delle imprese.Tradizionalmente, infatti, il problema della rappresentazione contabile delle risorse immateriali venivasuperficialmente risolto ignorando le intangibles prodotte internamente all’impresa e inscrivendo nel bilanciosolo quelle acquisite all’esterno. Tuttavia, la progressiva presa di coscienza dell’importanza delle risorseimmateriali quali fonti di vantaggi competitivi sostenibili, l’esigenza di fornire ai soggetti destinataridell’informativa economica dell’impresa un quadro fedele della situazione aziendale e la necessità diarmonizzare l’informativa economica internazionale evidenziano l’urgenza di assegnare a tutte le risorseun’idonea collocazione nel bilancio d’esercizio.La scelta dell’allocazione più opportuna delle intangibles assets nel capitale di bilancio deriva daun’importante considerazione: “le risorse immateriali costituiscono per l’impresa condizioni di produzione,la cui partecipazione (utilità) allo svolgimento della combinazione economica riguarda archi temporaligeneralmente trascendenti il singolo periodo amministrativo” (Pozza, 1999, p. 85). In questo senso, infatti,le risorse immateriali sono avvicinate al concetto di elementi del capitale di funzionamento, inteso come ilcoacervo di condizioni e vincoli allo svolgimento dell’attività d’impresa e, quindi, acquistano “dignitàcontabile” se sono:- acquisite da terze;- il risultato di processi di sviluppo interno;- esplicitate in conseguenza della realizzazione di operazioni straordinarie;- impiegate nell’esercizio (ovvero, sistematicamente ammortizzate);- oggetto del processo di valutazione di esercizio;- oggetto di attività di manutenzione o di incremento delle loro potenzialità;- invisibili sul piano patrimoniale ma generate mediante costi di esercizio (non capitalizzati).Quindi, le condizioni per le quali le risorse immateriali siano considerate elementi configuranti ilcapitale di funzionamento sono subordinate alla necessità che le stesse soddisfino i requisiti propri delladignità di produzioni attive. In quest’ottica si pongono anche le raccomandazioni contenute nel Framework,in cui le attività sono definite movendo dal concetto di risorse.87


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiAllo stesso modo, se le risorse immateriali verificano le caratteristiche proprie delle attività diproduzione d’impresa (tra cui: derivazione da operazioni svolte nel passato; capacità di fornire beneficieconomici futuri e controllabili dall’impresa; possibilità di esprimersi con un valore misurabile in modoattendibile) allora sono rappresentate come attività e possono concorrere alla determinazione del risultato diesercizio (Pozza, 1999, p. 91).La compresenza di questi caratteri ne comporta l’iscrizione in bilancio come ImmobilizzazioniImmateriali (Palmieri, 1999, p. 84): tale categoria è caratterizzata da forte eterogeneità, dato che accoglierisorse non monetarie e prive di consistenza fisica.3.6 La “scomposizione” delle Immobilizzazioni Immateriali: i Beni Immateriali e i Costi PluriennaliIl problema dell’eterogeneità implica la necessità di dividere il gruppo delle ImmobilizzazioniImmateriali, così da formare almeno dei sottogruppi il più possibile omogenei. Il discriminante utilizzato intal senso è il carattere della trasferibilità di cui le risorse immateriali possono essere dotate o meno. Latrasferibilità, intesa come l’attitudine di una risorsa ad essere ceduta in via autonoma rispetto al complesso dicui fa parte (Palmieri,1999, p. 84), conduce a distinguere le risorse immateriali in due gruppi:• i beni immateriali, ad esempio i marchi e i brevetti;• i costi pluriennali, ad esempio le spese di ricerca e sviluppo.Entrambi sono suscettibili di valutazione economica autonoma, ma soltanto i primi possono esserealienati separatamente all’impresa di cui fanno parte. Quindi solo i beni immateriali verificano il requisitodella trasferibilità.Le risorse immateriali generate indirettamente da risultati competitivi, sociali ed economici alimentanoil patrimonio intangibile su due livelli:- uno visibile e collegato al conseguimento di risultati competitivi (derivanti dai rapporti con ilmercato), sociali (conseguenti relazioni con gli interlocutori sociali) ed economici (risultatireddituali);- l’altro, visibile solo in specifiche occasioni, fa riferimento al continuo scambio ed accumulo diinformazioni che lo svolgimento delle attività operative comporta (Palmieri, 1999, p. 87). Ne sonoun esempio la credibilità che l’impresa ha conquistato rispetto alla concorrenza, la fiducia e la fedeltàdel mercato, la dedizione ed il consenso del personale, ecc.Le risorse immateriali generate dal secondo livello comportano solitamente un problema di rilevazionecontabile in quanto difficilmente verificano tutti i requisiti necessari ad essere considerate risorseimmateriali-attività configuranti il capitale di funzionamento. Infatti: è arduo risalire ai costi storici delleoperazioni che le hanno generate; i benefici economici futuri di tali risorse non sono né prevedibili, né, tantomeno, attendibilmente misurabili; infine, a tali risorse è negata la trasferibilità indipendente rispetto alcomplesso di cui fanno parte. In questo senso, tali risorse sono definite invisibili e non concorrono, sul pianocontabile, ad incrementare il cosiddetto capitale di bilancio, anche se spesso rivestono un ruolo fondamentalenel determinare il valore economico del capitale di impresa (Palmieri,1999, p.89). Solo quando accadonooperazioni di carattere straordinario (fusioni, trasformazioni, conferimenti, cessioni, ecc.) le risorse invisibilivengono rilevate contabilmente nel valore dell’avviamento.Sotto il profilo contabile non tutte le risorse immateriali vengono rilevate: quelle acquisite da terzi,dotate del carattere della trasferibilità, si integrano nella categoria dei beni immateriali; le risorse prodotteinternamente, se verificano i presupposti per considerarle attività del capitale di funzionamento, si rilevanocome costi pluriennali; solo le intangibles ottenute indirettamente non sono manifestate contabilmente, inquanto prive dei caratteri delle attività di funzionamento. Per questo alimentano solo il valore economico delcapitale e non sono esplicitate contabilmente.3.7 I caratteri forti delle immobilizzazioni immateriali rispetto alle altre voci di attivo immobilizzatoLe Immobilizzazioni Immateriali, comprendenti i: Beni Immateriali, i Costi Pluriennali e l’Avviamento,si distinguono dalle altre immobilizzazioni dell’attivo (materiali e finanziarie) per alcuni caratteri distintivi:• la molteplicità d’uso: le immobilizzazioni immateriali sono risorse strumentali all’attività d’impresache possono essere impiegate contemporaneamente, o in tempi diversi, in più processi ecombinazioni produttive differenti. Comportando costi di adattamento ridotti sono fonte diimportanti effetti sinergici;88


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei• l’ambiguità causale: questa peculiarità si riferisce alla difficoltà di riconoscere le relazioni di causaeffettoalla base della formazione delle intangibles. Il competitive advantage che ne deriva è, inquesto senso, più sostenibile, ma si riflette in una valutazione più complicata;• l’instabilità del valore: le immobilizzazioni immateriali sono particolarmente sensibili alle variazioniche avvengono sia nelle variabili ambientali del settore che nei fenomeni interni all’impresa;• la specificità aziendale: le immobilizzazioni immateriali più di ogni altro elemento dell’attivopatrimoniale acquista, con il passare del tempo, il carattere di firm specificity, ossia assumono unruolo fortemente integrato con l’azienda, tanto che è difficile pensare ad un loro impiego al di fuoridel contesto aziendale che le ha generate (Pozza, 1999, p. 110).I profili classificatori e contenutistici delle risorse immateriali nell’ambito del bilancio d’eserciziointrodotto dal D. Lgs. 127 del 9 aprile 1991, sono di seguito riassunti:Tab 2 La collocazione contabile delle risorse immateriali (Fonte: Palmieri 1999, p. 97-102)RISORSE IMMATERIALI NEL BILANCIO D’ESERCIZIOBENI IMMATERIALI COSTI PLURIENNALI AVVIAMENTOI Beni Immateriali sono le risorse –attività che presentano anche ilcarattere della trasferibilità. Ne fannoparte:1. Diritti di brevetto industriale e idiritti di utilizzazione delle operedell’ingegno2. Concessioni, le licenze, i marchi ediritti similiEsiste un’ulteriore categoria di risorseimmateriali (il software, ovvero unsistema di conoscenze coordinate checonsente all’hardware di trasformare idati ricevuti in informazioniutilizzabili; ed il know-how, cioè tuttele conoscenze relative a processi,prodotti, formule e procedureutilmente impiegabili nellosvolgimento dell’attività d’impresa)che nel caso in cui presentino icaratteri delle risorse-attività vengonoqui collocate, altrimenti restanoinespresse sul piano contabile.I Costi Pluriennali configurano tipichecondizioni di produzione di impresa,non monetarie, prive di consistenzafisica, non trasferibili o suscettibili difruibilità separata rispetto all’impresa.Comprendono:1. Costi di Impianto e diAmpliamento: identificano i costirelativi alla fase di costituzione diimpresa e quelli connessi a modifichestrutturali delle capacità produttive.Devono essere riferiti a tutta l’impresae non a singole immobilizzazioni.2. Costi di ricerca, sviluppo e dipubblicità: si tratta di costi strumentaliall’attività d’impresa (R&S), dirilevante entità e capaci di produrrebenefici futuri.In base all’art. 2426 del C.C. n.6l’Avviamento può essere iscritto inbilancio solo se:- acquistato a titolo oneroso- esiste il parere favorevole delcollegio sindacale- si valuta per l’importo massimopagato per acquistarlo- verrà ammortizzato per un periodomassimo di cinque anniLo schema dello stato patrimoniale conclude la trattazione delle Immobilizzazioni Immateriali con altredue voci rispetto a quelle sopra evidenziate: le “Immobilizzazioni in corso e gli acconti” e le “AltreImmobilizzazioni Immateriali”. Nelle prime sono accolti i costi aventi utilità pluriennale, conseguenti aprocessi di sviluppo interni e finalizzati alla costruzione di beni immateriali (le cosiddette costruzioni ineconomia) (Palmieri,1999, p. 103). La seconda voce ha carattere residuale e comprende sia i beni immaterialiche i costi pluriennali.3.8 I criteri valutativi stabiliti dal codice civile per le immobilizzazioni immaterialia:I criteri valutativi comuni a tutte le categorie di immobilizzazioni (immateriali e materiali) sono relativi• l’utilizzo del costo storico d’acquisto o di produzione in cui sono compresi il prezzo-costo negoziatoe gli oneri accessori (se obiettivamente imputabili all’immobilizzazione prodotta sono addebitateanche le quote di costi indiretti e gli oneri di finanziamento della fabbricazione);89


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei• la sottomissione alla procedura di ammortamento: il costo a cui le immobilizzazioni sono iscritte inbilancio dev’essere ammortizzato sistematicamente, in ogni esercizio e in relazione alla residuapossibilità di utilizzazione dell’immobilizzazione stessa (Pozza, 1999, p. 130);• l’assoggettamento dell’immobilizzazione a svalutazione/rivalutazione qualora si verifichinoperdite/incrementi di funzionalità durevoli e tali da: non essere rappresentate dal solo ammortamentoe purché non sia compromessa la rappresentazione veritiera e corretta del bilancio d’esercizio (sivuole evitare che le immobilizzazioni siano incrementate fittiziamente riconoscendo utili nonrealizzati) (Pozza, 1999, p. 133).In generale, la valutazione degli elementi che configurano il capitale di funzionamento deve avvenireconsiderando congiuntamente due prospettive: una storica che rappresenta i valori storici dell’investimentoed una prospettica che riflette i valori prospettici di realizzo.3.8.1 I criteri valutativi specifici delle categorie contabili di risorse immaterialiA fronte di quattro differenti approcci valutativi utilizzabili indistintamente per le ImmobilizzazioniImmateriali considerate (ovvero: il costo storico, il costo di sostituzione, il valore di realizzo e il valorerecuperabile tramite l’uso), si mostrano schematicamente i profili valutativi specifici delle differenticategorie contabili delle risorse immateriali.3.9 La Balanced Scorecard: uno strumento di monitoraggio del patrimonio intangibileL’importanza delle intagibles assets nella formazione del vantaggio competitivo sostenibile perl’impresa ha contribuito alla produzione di sistemi capaci di controllarne lo sviluppo anche sul piano extracontabile.La Balanced Scorecard è uno strumento finalizzato ad offrire “una visualizzazione sintetica ed esaustivadei business in cui opera l’impresa” (Kaplan, Norton, 1992) ed un mezzo di controllo del valore fornito dallerisorse immateriali (Palmieri, 1999, p. 124). Rappresenta, quindi, una valida risposta “all’esigenzadell’impresa di conoscere il proprio grado di efficacia nella gestione del valore” (Kaplan e Norton, 1996).La Balanced Scorecard agisce fondamentalmente in tre direzioni (Palmieri,1999, p.123):• esplicita il valore dei rapporti con la clientela;• verifica l’efficienza ed il potenziale miglioramento dei processi aziendali;• fornisce parametri utili ad apprezzare la qualità delle risorse umane e delle competenze distintivedell’impresa.In ogni area di intervento (mercato, processi, personale) la Balanced Scorecard si propone obiettivispecifici, utilizza parametri di misurazione appositi, elabora soluzioni idonee al miglioramentodell’efficienza puntuale.Specificatamente la Balanced Scorecard consente di realizzare un monitoraggio continuo su:• il livello di coesione interno all’impresa;• il grado di fiducia che il mercato ripone nell’impresa;• la cultura, il know-how, le competenze aziendali;• la natura delle strategie e la loro capacità di incrementare il patrimonio intangibile.In questo modo la Balanced Scorecard si propone quale strumento di approfondimento delleconoscenze dell’impresa, oltre che come mezzo di comunicazione dell’impresa verso i suoi interlocutori(Palmieri,1999, p. 124).3.10 Il peso delle risorse immateriali sul valore del capitale economicoNel processo di creazione del valore del capitale economico le risorse immateriali possono essereanalizzate secondo due prospettive:- le intagibles sono oggetto di valutazione autonoma ed indipendente dall’impresa complessivamenteconsiderata;- le intangibles rientrano in una prospettiva di stima più ampia.90


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiConsiderato che il concetto di valutazione economica sia del capitale proprio sia di un singolo elemento,implica il riferimento al valore di scambio e di trasferimento dell’oggetto di stima, allora, delle tre categorielogiche di risorse immateriali rilevate contabilmente solo i Beni Immateriali, in quanto gli unici ad esserecaratterizzati dal requisito della trasferibilità, sono suscettibili di valutazione economica autonoma.Le altre risorse immateriali (Costi Pluriennali, Avviamento e, a maggior ragione, le risorse invisibili)pur contribuendo ad incrementare il valore del capitale economico non sono autonomamente trasferibili equindi non sono valutabili indipendentemente dagli altri elementi d’impresa.In sintesi, quindi, affinché una risorsa immateriale sia suscettibile di valutazione economica autonomadevono verificarsi tre condizioni (Brugger, 1989):- la intangible deve essere oggetto di un significativo flusso di investimenti (anche se non è facileindividuare quali investimenti realizzati dall’impresa siano collegati alla risorsa in esame: nonsempre, infatti, gli investimenti si traducono in immobilizzazioni visibili contabilmente);- la intangible deve produrre benefici economici di entità apprezzabile a favore dell’impresa;- la intangible deve essere trasferibile in via autonoma rispetto alle altre risorse, o al massimocongiuntamente ad una o poche altre (Pozza, 1999, p. 186).Queste osservazioni ci portano a riflettere sulla mancanza di corrispondenza biunivoca tra la risorsaimmateriale contabile (che, avendone le caratteristiche, è valutabile indipendentemente) e la risorsaimmateriale economica (che non può essere valutata autonomamente).In generale, il valore economico d’impresa dipende dai flussi di ritorno che l’investimento nel capitaleaziendale unitariamente considerato è in grado di generare nel tempo. Tale concetto è espresso in formula nelmodo seguente (Palmieri, 1999, p. 129):W = ∑ n t=1 F t / (1 + i ) tDove:W = valore economico del capitale d’impresaF t = flussi di risultato nel periodo da 1 a nn = orizzonte temporale consideratoi = tasso di attualizzazione3.11 I criteri di valutazione dei beni immateriali trasferibili autonomamente rispetto all’impresaDall’esame dell’ampia letteratura che si è occupata dello studio dei criteri di valutazione dei BeniImmateriali in una prospettiva autonoma si ritiene che si possano individuare tre principali metodi valutativi(Pozza, 1999, p. 191):- i criteri basati sui costi;- i criteri basati sui flussi di risultato attesi;- i criteri basati su osservazioni di mercato.3.11.1 I criteri basati sui costiIl criterio di valutazione autonoma delle risorse immateriali-attività basato sui costi ipotizza che ilvalore dei “flussi di risultato attesi” prodotti da un Bene Immateriale sia pari al costo che si deve sostenereper quel bene o per un altro identico in quanto ad utilità. Da qui, i criteri di valutazione sono:• il criterio del costo storico aggiornato, dato dai costi sostenuti in passato per acquisire/produrre larisorsa immateriale oggetto di stima corretti in funzione del rapporto esistente tra “la vita utilecomplessiva del bene immateriale a <strong>nuovo</strong>” e la “vita utile residua alla data di stima” del bene inoggetto. Questo criterio è suscettibile delle stesse problematiche inerenti l’ambiguità causaleevidenziate trattando dei profili valutativi specifici delle risorse immateriali.• il criterio del costo di riproduzione che implica una stima degli oneri necessari per riprodurre unBene Immateriale identico in quanto ad utilità a quello oggetto di stima. A tale scopo si segnalanodue procedimenti: uno sintetico e l’altro analitico. Il metodo analitico è espresso in formula nel modoseguente (Palmieri 1999, p. 139):91


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiV = ∑ n t=1 C t / (1 + i ) t [-Rd]dove:V = valore del Bene ImmaterialeC t = flussi di investimenti nel periodo da 1 a nn = orizzonte temporale necessario per la realizzazione del bene immaterialei = tasso di attualizzazioneRd = rettifica per degradoAl pregio della precisione il metodo analitico contrappone, tuttavia, l’ostacolo dell’eccessivacomplessità: infatti, implica il riferimento ad un numero elevato di dati di natura prospettica, non tiene contodella difficoltà operativa di trovare un bene immateriale equivalente (a causa del carattere firm specificitydelle intangibles assets) e neanche dell’ambiguità causale.Gli inconvenienti del procedimento analitico portano a preferire il metodo sintetico che ha il pregio diridurre e semplificare la quantità e la tipologia di informazioni necessarie alla sua applicazione, ma che nonrisolve comunque il problema dell’ambiguità causale e del carattere firm specificity tipico di ogni risorsaimmateriale. In formula il metodo sintetico si esprime così (Palmieri, 1999, p. 141):V = C an-i (- Rd)Dove:V = valore del bene immaterialeC = costo medio normale annuo necessario per realizzare il Bene Immateriale “equivalente” al quale siperviene attraverso informazioni desunte da sintesi contabilin = orizzonte temporalei = tasso di attualizzazioneRd = rettifica per degrado3.11.2 Il criterio basato sui flussi di risultato attesiIl criterio di valutazione del Bene Immateriale basato sui flussi di risultato attesi consiste nello stimarela risorsa immateriale in funzione dei flussi di risultato che l’investimento nel bene considerato è in grado diprodurre in una prospettiva economica (flussi di reddito) o finanziaria (flussi di cassa).L’espressione analitica rappresentativa di questo criterio è identica a quella fornita come formulagenerica di valutazione del valore economico del capitale d’impresa, solo che in questo caso si considerano iflussi di risultato attesi in un certo periodo da una specifica intangible.V = ∑ n t=1 F t / (1 + i ) tDove (Palmieri, 1999, p. 142):V = valore economico del capitale d’impresaF t = flussi di risultato attesi nel periodo da 1 a nn = orizzonte temporale consideratoi = tasso di attualizzazioneLa definizione di tali flussi, comunque, non è semplice: infatti, estrapolare dal complesso unitario dioperazioni generatrici di flussi quello specifico del Bene Immateriale è piuttosto complicato.I flussi di risultato attesi possono essere:• ispirati al criterio della competenza economica (flussi economici);• ispirati al criterio di cassa (flussi finanziari);• a seconda della natura delle risorse immateriali possono essere apprezzati in modo pieno edautonomo, rispetto al contesto da cui traggono origine, oppure sono rilevabili solo secondo unalogica differenziale, sia sul fronte dei ricavi (la disponibilità di una risorsa immateriale consente diottenere premium-price) sia sul fronte dei costi (risparmi di costo da economie di scala, ad esempio);• possono essere stimati secondo un approccio analitico (stima puntuale dei singoli flussi di risultatoattesi) o un approccio sintetico (configurazione di un flusso medio normale atteso da proiettare lungo92


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeil’orizzonte temporale rappresentativo della vita utile del bene immateriale). L’utilizzo del primo odel secondo procedimento dipende dalla posizione del Bene Immateriale rispetto al mercato e dallastabilità dei risultati ad esso associati;• possono esprimere alternativamente misure del valore economico, se presentano il carattere delladimostrabilità, ovvero del valore potenziale, qualora siano espressione di capacità ancora daraggiungere.3.11.3 I criteri basati su osservazioni di mercatoI criteri basati su osservazioni di mercato sono metodi di valutazione del Bene Immateriale semplici, inquanto non fanno riferimento a stime e misurazioni analitiche.Si può sintetizzare il ragionamento che ne è alla base nel seguente percorso logico (Palmieri, 1999,p.150):• si procede, innanzitutto, ad un’analisi di un campione di comportamenti ripetuti e rilevati sul mercatotali da essere sufficientemente rappresentativi della negoziazione sottostante i Beni Immaterialiappartenenti alla stessa categoria della intangible oggetto di stima;• si identificano poi le grandezze indicative del valore del Bene Immateriale, espresse attraversoopportune medie, in modo che esplicitino un valore indicativo non viziato da fenomenicongiunturali;• quindi, si individuano parametri idonei ad evidenziale la relazione tra il grado di apprezzamento delmercato relativamente al Bene Immateriale e la grandezza indicativa del medesimo;• infine, si applica il parametro individuato alla grandezza indicativa del Bene Immaterialeconsiderato.La fase cruciale del processo è l’individuazione dei parametri che permettono di esplicitare il valore delBene Immateriale. Si tratta di un’operazione delicata in quanto devono risultarne parametri il più possibilesignificativi. A tale scopo, è opportuno realizzare osservazioni (Palmieri, 1999, p.151):• numerose;• operate su risorse immateriali simili a quella oggetto di valutazione;• relativamente estese nel tempo e nello spazio;• riferite a condizioni di mercato “normali” e non disturbate da situazioni di disequilibriocongiunturale.Tutto ciò non è semplice, anche perché il carattere firm specificity delle risorse immateriali costituisceun limite alle osservazioni di mercato oggettivamente considerabili per configurare i parametri del criterio.La necessità di razionalizzare il comportamento degli operatori e dotarlo di sufficientestandardizzazione conduce all’elaborazione di criteri di valutazione “ibridi” in cui si combinano gli aspettidei criteri basati sui costi o sui flussi con parametri tratti da osservazioni di mercato.Ad esempio: il metodo Interbrand, utilizzato per la valutazione del marchio, coniuga il profiloreddituale o finanziario della risorsa immateriale con parametri empirici. Il processo di stima utilizza trevariabili:- il flusso di risultato imputabile al marchio (brand earning or cash flow) la cui non sempliceindividuazione è paragonabile alla definizione dei risultati attesi;- la forza del marchio (brand strength) che risulta da un processo di ponderazione in cui agisconocontemporaneamente sette variabili (la quota relativa del marchio nel settore di riferimento; lafedeltà del mercato al marchio; le caratteristiche del mercato; la diffusione del marchio oltre l’ambitocompetitivo di origine; lo sviluppo potenziale del marchio; i supporti di marketing al marchio; ladifendibilità giuridica del marchio);- il moltiplicatore da applicare al flusso di risultato generato dal marchio (Palmieri, 1999, p. 154) chedipende fondamentalmente dalla forza del marchio.Il procedimento valutativo si chiude calcolando il prodotto tra il “moltiplicatore” e il “flusso di risultatoimputabile al marchio”. Tale risultato esprime infatti il valore attribuibile al marchio (Palmieri, 1999, p.155).Un altro criterio frequentemente utilizzato dalla passi nazionale per la valutazione dei marchi e deibrevetti è detto Royalty Rate Method. Il procedimento di stima si basa sul concetto di royalty che, in questocontesto, esprime il contributo differenziale in termini di redditività offerto dai Beni Immateriali oggetto di93


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeistima (Renoldi, 1992 in Palmieri, 1999, p. 156). I flussi di royalty attesi sono previsti mediante la definizionedi due variabili:- la grandezza cui parametrare le royalties (Palmieri, 1999, p. 157): solitamente il pagamento delleroyalties nei contratti di licenza d’uso di un marchio o un brevetto è funzione del fatturato raggiuntocon i prodotti venduti (marchio) o realizzati (brevetto);- il royalty rate da applicare alla grandezza precedente: la scelta del coefficiente congruo dovrebbeavvenire sulla base dei caratteri distintivi del bene immateriale considerato (grado di notorietà,molteplicità d’uso, prospettive di settore, posizione del ciclo di vita, ecc.) e dovrebbe consentire ladefinizione della “forza” della intangible. La difficoltà maggiore dell’operazione risiede nellasensibilità del royalty rate sia al settore di riferimento che alle tipologie del prodotto-servizio cui larisorsa immateriale è associata (Palmieri, 1999, p. 157).3.12 I criteri “patrimoniali complessi” di valutazione delle intangiblesTradizionalmente la dottrina e la prassi hanno risolto il problema della valutazione delle risorseimmateriali proponendo criteri di stima impliciti, capaci di esprimere le stesse solo in termini generici equalitativi.La crescente consapevolezza dell’importanza del contributo dato dalle risorse immateriali allaformazione del valore economico d’impresa ha, tuttavia, reso urgente la necessità di elaborare criterivalutativi che esprimano in modo esplicito le intangibles assets.Accanto a metodi di valutazione classici, che esprimono il valore economico del capitale con criterireddituali o finanziari (considerando tutti gli elementi materiali ed immateriali integranti l’impresa) o comela somma algebrica del patrimonio netto rettificato e del valore di avviamento, si affermano i “criteripatrimoniali complessi” basati sulla scomposizione analitica del capitale aziendale complessivo, in modo davalutare separatamente i Beni Immateriali, uniche intangibles assets suscettibili di valutazione autonoma.Il valore economico del capitale è quindi distinto in (Palmieri, 1999, pp. 160-162):- valore del patrimonio netto rettificato consistente nell’esprimere a valori correnti gli elementidell’attivo e del passivo;- valore dei Beni Immateriali stimati attraverso i criteri prima scritti (costi, flussi attesi, osservazioni dimercato) in modo da evidenziare il Bene Immateriale più forte, ovvero più rappresentativodell’impresa;- valore di Avviamento ottenuto in via residuale dal valore delle risorse immateriali non suscettibili divalutazione indipendente.4. La Resource-Based View e l’approccio basato sulle competenzeLa teoria dell’impresa basata sulle risorse (resource-based view), che emerge negli anni ’80 comeevoluzione degli studi di strategia (Lippman e Rumelt, 1982; Teece, 1980; Nelson e Winter, 1982; Dierickx eCool, 1989; Peteraf, 1993; De Leo, 1995; ecc.), trova anche ampi riferimenti nei lavori degli economistiSchumpeter (1956) e Penrose (1959). Essa sottolinea la rilevanza della dotazione delle risorse e dellecompetenze come prerequisito per la realizzazione delle strategie competitive da parte delle imprese(Buttignon, 1996, p. 6).Il paradigma della competizione basata sulle competenze ricollega il vantaggio competitivo a renditeche afferiscono alle imprese in virtù di una maggiore efficienza rispetto ai concorrenti. L’impresa ottienerendite differenziali, non grazie agli investimenti strategici volti a scoraggiare l’entrata dei concorrenti, maperché in grado di produrre a minori costi o di offrire prodotti o servizi che si distinguono per una maggiorequalità o superiore performance. La RBV enfatizza, quindi, le competenze e la dotazione di fattori specificidell’impresa, e vede le rendite ricardiane quale prerogativa dei possessori di risorse scarse, idiosincratiche,difficilmente replicabili in tempi brevi 1 .1 Il concetto di rendita a cui si riferiscono coloro che si rifanno alle teorie dell’impresa fondata sulle risorse differisce,parzialmente, da quello elaborato nel XIX secolo e sviluppato, soprattutto, da Ricardo. Quest’ultimo, infatti, si riferiscealla redditività in eccesso, rispetto al costo dei fattori impiegati, derivante dallo sfruttamento o dal possesso di risorsedisponibili in quantità fisse o limitate. La fonte della rendita così intesa risulta, quindi, la scarsità delle risorse, siatangibili (terre, minerali, impianti unici) che intangibili (talento unico, cultura, informazioni, brevetti). Gli studiosi della94


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiRumelt, nel 1984, è tra i primi ad applicare la RBV alla strategia, nel momento in cui definiscel’impresa un pacchetto di risorse interrelate e idiosincratiche, nonché di attività di conversione di tali risorse.L’autore combina la prospettiva schumpeteriana con la RBV, suggerendo che la formulazione strategicariguarda “la ricerca costante dei modi nei quali le risorse uniche dell’impresa possono essere ricombinate infunzione delle mutevoli circostanze” (Lipparini, p. 11), coerentemente con gli approcci teorici che vedononell’innovazione un’occasione per rimettere in discussione, sostituendole, le vecchie combinazioni di risorse.Un approccio integrativo alla RBV, quello basato sulle competenze organizzative, partedall’apprezzamento delle manovre competitive delle imprese di successo per enfatizzare l’importanza dellecompetenze e dell’abilità di rinnovarle, al fine di rispondere ai cambiamenti avvenuti nell’ambiente. Esseriflettono la capacità delle imprese di raggiungere forme di vantaggio competitivo innovative, nonostante gliaspetti di path dependencies e core rigidities nei processi tecnologici e organizzativi dell’impresa, di cuiparleremo in seguito.Il merito di questa prospettiva consiste nell’aver riportato l’attenzione sulla necessità di comprendere lemodalità con le quali le imprese sviluppano competenze specifiche, ma anche come rinnovano la propriabase di competenze per rispondere ai cambiamenti ambientali. Con l’enfasi sull’aspetto processuale, leimprese vengono indotte a riflettere sulle proprie risorse e competenze, identificando quelle difficilmenteimitabili e ponendole al centro della propria strategia competitiva.4.1 L’impresa come portafoglio di risorseL’idea di fondo della RBV è che le imprese siano dotate di un portafoglio di risorse eterogenee,difficilmente imitabili e riproducibili, che possono essere fonte di vantaggio competitivo. L’eterogeneitànella dotazione delle risorse si riflette sulle caratteristiche dei processi (livelli differenziati di qualità,efficienza, velocità, ecc.) e dei prodotti aziendali (diversa capacità di soddisfare le esigenze dei consumatori).L’eterogeneità e la conseguente asimmetria nella distribuzione delle risorse e competenze che stanno afondamento delle attività nella catena del valore, possono essere ricondotte a condizioni di “imperfezione”dei mercati delle risorse, alimentati dalle attività di innovazione da parte delle imprese che sviluppano nuoverisorse e/o nuove modalità di combinazione delle risorse già esistenti (Dietrickx e Cool, 1989, p. 1504). Irisultati economici delle diverse imprese, quindi, saranno influenzati dalla dotazione di risorse uniche odifferenzianti di cui vengono a disporre (Buttignon, 1996, p. 8).Si possono individuare quattro condizioni che devono verificarsi affinché le risorse (tra cui lecompetenze) accumulate da un’impresa siano fonte di vantaggio competitivo:1. eterogeneità delle risorse;2. limiti alla competizione ex ante;3. limiti alla competizione ex post;4. imperfetta mobilità delle risorse.La prima condizione è già stata illustrata e si riferisce all’unicità di certe risorse rispetto a quellepossedute dalle altre imprese come mezzo per conseguire una posizione di rendita.4.1.1 Limiti alla competizione ex post sulle risorseLa sostenibilità del vantaggio competitivo connesso a risorse uniche richiede che la loro eterogeneità siamantenuta nel tempo e che, quindi, esistano dei limiti alla loro riproducibilità. Questo significa che ènecessario che si instaurino dei meccanismi che impediscano la competizione ex post sulle risorse e la loromobilità.La RBV individua due fenomeni che limitano la competizione ex post sulle risorse: l’imperfettaimitabilità e l’imperfetta sostituibilità. Il primo fenomeno è assimilabile ai “meccanismi di isolamento” cheproteggono e rendono attrattiva un’innovazione imprenditoriale; essi includono: «diritti di proprietà surisorse scarse, economie di scala, economie di apprendimento, costi di riconversione della clientela, effettoRBV trattano delle cosiddette “rendite temporanee” (t-rent) o quasi rendite, determinate da risorse solotemporaneamente fisse nell’offerta, come le conoscenze produttive o un impianto che possono essere replicati in uncerto arco temporale. Parlano, in questo caso, di rendite imprenditoriali o schumpeteriane e sottolineano il fatto che laposizione di vantaggio della dotazione di risorse non è la conseguenza di contingenze o, comunque, fattori esterni, masoprattutto delle attività di innovazione interne alle medesime imprese.95


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeireputazione ed altre “frizioni” che impediscono la realizzazione di condizioni di concorrenza perfetta, qualiritardi nella risposta da parte dei concorrenti e asimmetrie informative» (Buttignon, 1996, p. 11).Particolarmente importanti, per ciò che concerne l’approccio basato sulle competenze, sono imeccanismi di isolamento connessi all’accumulazione ed allo sviluppo di conoscenze superiori che nonpossono essere riprodotte da altre imprese a causa di elementi di ambiguità causale 2 . Le competenze diPrahalad e Hamel sono caratterizzate, per esempio, da una componente tacita e si presentano socialmentecomplesse perché frutto delle potenzialità dell’organizzazione e dei processi di apprendimento che sirealizzano nell’impresa. Il loro sviluppo è path dependent, è cioè strettamente correlato e dipendente daipreesistenti livelli di apprendimento, dai processi di investimento e dalle attività operative già realizzate.4.1.2 L’imperfetta mobilità delle risorseLe posizioni di rendita potrebbero essere intaccate nel caso in cui le risorse eterogenee che ne stannoall’origine, difficili da imitare o da sostituire, potessero essere trattate sul mercato. Tali risorse, infatti,risultano “tendenzialmente immobili” (Buttignon, 1996, p. 10), ossia appare difficile qualificarne i diritti diproprietà oppure sono idiosincratiche, per cui non possono essere profittevolmente utilizzate al di fuori delcontesto in cui sono state generate.Altre risorse possono essere qualificate come “imperfettamente mobili” (Buttignon, 1996, p. 10), ossiatrattabili sul mercato, ma il cui valore all’interno dell’impresa risulta superiore rispetto agli utilizzi esterni.Questo accade quando le risorse sono specializzate rispetto alle modalità di funzionamento checaratterizzano l’impresa; esse possono comprendere, per esempio, le relazioni di tipo esclusivo che siinstaurano tra l’azienda ed i suoi stakeholder (fornitori, dipendenti, clienti, distributori, azionisti, ecc.) chenon riescono, al di fuori di essa, a valorizzare le loro potenzialità in modo altrettanto profittevole.Costituiscono un altro esempio di limitata mobilità le risorse che devono essere utilizzatecongiuntamente ad altre, oppure che risultano avere maggior valore economico soltanto se utilizzate in viacongiunta e che non hanno utilizzatori simili. Altre risorse sono dotate di limitata mobilità perché aventi costidi transazione eccessivamente elevati.Se, da una parte, le risorse generate e combinate internamente sono caratterizzate da immobilità oimperfetta mobilità e possono quindi essere fonte di un vantaggio competitivo, allo stesso tempo, nonessendo convenientemente cedibili sul mercato, possono costituire un limite alla flessibilità strategicadell’impresa. Esse possono infatti ridurre la velocità con cui questa si adatta ai mutamenti della dinamicaambientale e tecnologica, facendo emergere le difficoltà si accompagnano al progressivo processo dispecializzazione che caratterizza la produzione economica d’impresa.4.1.3 Limiti alla competizione ex ante sulle risorseL’ultimo fenomeno che determina l’instaurarsi di posizioni di rendita da parte di alcune imprese èrappresentato dalla limitazione alla competizione per acquisire le risorse uniche. Se infatti così non fosse,«… la lotta per l’acquisizione di quelle risorse sarebbe tale da portare il suo valore ad anticiparne ilrendimento atteso ed il valore della strategia di sviluppo delle risorse sarebbe pari a zero per il miglioreutilizzatore, negativo per gli altri» (Buttignon, 1996, p. 11). Per esempio, se due imprese, a parità delle altrecondizioni, fossero in grado di realizzare un certo prodotto esclusivamente attraverso le competenze di unsingolo individuo, si instaurerebbe una competizione per assicurarsene le prestazioni che porterebbe adanticipare, nella remunerazione ex ante, il valore attuale netto che sarebbe generato dal <strong>nuovo</strong> prodotto.La RBV attribuisce le differenze nella performance delle imprese non soltanto alle condizioni delcontesto competitivo, ma anche alla struttura ed ai caratteri interni. Per questo, oltre al posizionamento, unfattore chiave della strategia aziendale consiste nello sviluppo di risorse e quindi anche di competenze; allostesso tempo, la dotazione delle stesse condiziona profondamente il raggio d’azione dell’impresa e le sceltedi sviluppo nei mercati.4.2 Le risorse e le competenze aziendali2 La causal ambiguity è un fenomeno riconducibile ai caratteri di complessità dei processi di produzione economica erende poco chiari quali siano gli aspetti da imitare o da riprodurre, non solo da parte dei concorrenti, ma anche, a volte,da parte della medesima impresa che realizza le performance superiori.96


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei«Le risorse sono costituite da stock di fattori produttivi a disposizione (posseduti o controllati)dell’impresa, che sono trasformate in beni (prodotti e servizi) utilizzando un’ampia gamma di attivitàaziendali e meccanismi organizzativi (…). Le competenze, invece, si riferiscono alla capacità dell’impresa diimpiegare le risorse, tipicamente in combinazione, utilizzando processi organizzativi e meccanismi culturali,per raggiungere determinati risultati. Esse si caratterizzano come processi, materiali e immateriali, fondatisull’informazione, che sono firm-specific e sono sviluppate attraverso complesse interazioni tra le risorsedell’impresa» (Amit e Shoemaker in Buttignon, 1996, p. 13).Se le risorse sono quindi fattori produttivi identificabili, le competenze vengono generatedall’interazione di un insieme di risorse e caratterizzano il sistema aziendale complessivo. Le competenze sicollocano di conseguenza ad un livello superiore rispetto alle risorse: esse sono delle potenzialità del sistemaaziendale, costituite da una serie di componenti (tecnologiche, ma anche umane, organizzative, culturali,ecc.) che scaturiscono attraverso l’interazione sistemica all’interno dell’azienda e che possono essereapprezzate solo guardando al funzionamento complessivo della stessa.«Le competenze sono, in ultima istanza, una questione di conoscenza. A causa della natura dellaspecializzazione e dei limiti cognitivi, le organizzazioni come gli individui sono limitate in quello chepossono fare efficacemente. Posto in altri termini, le organizzazioni possiedono un insieme di conoscenzepiù o meno incorporate, utili per svolgere particolari classi di attività. Una parte delle conoscenzeincorporate è quella contenuta nel capitale fisico - cioè nelle macchine (…). Ma le competenze incorporatenelle macchine sono, ai nostri fini, le meno interessanti che l’impresa può possedere. Più importanti sono leconoscenze incorporate nel capitale umano dell’impresa, soprattutto in chi la gestisce (…). In sensometaforico, almeno, le competenze aziendali sono qualcosa di più rispetto alla somma (qualunque cosa essasignifichi) delle capacità degli individui nell’organizzazione. In aggiunta alle capacità del capitale fisicodell’impresa, si pone anche una questione di organizzazione. Come l’impresa è organizzata, (…), è anchequesto parte delle competenze aziendali» (Langlois in Buttignon 1996, p. 13).Pare che queste parole vadano a suffragio delle affermazioni di coloro che, nell’ambito delle teoriedell’impresa basata sulle competenze, rilevano l’esistenza di uno stretto collegamento tra le core competencee le competenze individuali: il valore delle prime infatti non può essere slegato e indipendente rispetto aquello generato a livello dei singoli stakeholder. Competenze personali, organizzazione e tecnologia sonointimamente intrecciate ed il vantaggio competitivo dell’impresa scaturisce da un processo sinergico che siinstaura all’interno della stessa, tra le risorse che le appartengono in quanto tale (reputazione, marchio,brevetti, ecc.) e gli individui che vi apportano il proprio contributo professionale o che appartengono, più ingenerale, alla sfera dei suoi stake- o shareholder.4.3 Da un approccio di contenuto ad uno di processoNegli studi di strategia classica, il problema fondamentale dello strategic management è costituito dallascelta di entrare in un determinato settore e dal posizionamento dell’impresa all’interno della stessa. Inquesto contesto la profittabilità deriva dall’esistenza di limiti strutturali alla competizione e dalla capacitàdelle imprese di esercitare il proprio potere sul mercato. Il posizionamento competitivo dipende sia dallastruttura dei costi, sia dalla differenziazione delle produzioni, ed entrambe le strategie possono essererealizzate all’interno dell’intero settore oppure focalizzandosi su specifici segmenti. Affinché la strategia diposizionamento sia realizzata, la catena del valore interna all’impresa deve essere strutturata in modo che leattività primarie e quelle di supporto siano organizzate in un’ottica di efficacia ed efficienza. L’approccioappare evidentemente centrato su tematiche di “contenuto strategico”, content-oriented.La teoria dell’impresa basata sulle competenze sottolinea che l’utilità derivante all’impresa dal possessoo dal diritto d’uso di una risorsa dipende dalle modalità con cui è gestita, combinata e coordinata con le altrerisorse interne. Poiché le capacità di un’azienda di realizzare un coordinato spiegamento di risorse (variabiledi processo) determina i vantaggi strategici che essa può ottenere attraverso le specifiche risorse (variabile dicontenuto), processo e contenuto possono essere visti come interdipendenti ed inseparabili, sia nella teoriache nella pratica aziendale. Gli studiosi dell’impresa competence-based propongono così una struttura teoricache integra le prospettive strategiche basate sui processi organizzativi con quelle basate sulla dotazione dirisorse.Le imprese sono considerate dei “sistemi aperti”: esse perseguono dei fini strategici, comprendenti unaserie di obiettivi che le distinguono le une dalle altre. In relazione a questi fini ogni azienda sviluppa e segueuna “logica strategica” finalizzata al loro raggiungimento. La logica strategica dell’organizzazione “dirige e97


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiregola” i processi manageriali determinanti le modalità attraverso le quali l’impresa identifica, acquisisce edusa le risorse.4.4 L’insostenibilità della sostenibilità: critiche all’approccio basato sulle risorseGavetti (1998) mette in discussione alcune delle conclusioni centrali della resource-based view, inparticolare nega la sostenibilità del vantaggio competitivo fondato sulle risorse allorquando si introducal’ipotesi di competizione schumpeteriana. Egli riconosce però che una delle evoluzioni teoriche di questoapproccio, gli studi dell’impresa basati sulle competenze, risponda, o almeno tenti di rispondere, a questaspecifica debolezza.Si può affermare che la RBV identifichi nelle risorse dell’impresa la principale determinante delvantaggio competitivo e nell’imperfetta mobilità e imitabilità di tali risorse i fattori che permettono lasostenibilità dello stesso. La variabile dinamica appare poco sviluppata: la quasi esclusiva focalizzazionedella RBV su un unico livello di analisi (l’impresa) e la sua natura prevalentemente statica evidenziano dellelacune teoriche.«In un contesto schumpeteriano, infatti, il gioco competitivo è radicato in una dinamica di tipotecnologico che emerge dall’interazione dei tre processi di creazione di nuova conoscenza (ad esempioinnovazione), di replicazione spaziale da parte dell’innovatore e di imitazione da parte dei concorrenti.Nella misura in cui l’intensità dei processi innovativi è elevata, è molto probabile che la base competitivasubisca frequenti cambiamenti. Questo vuol dire che la probabilità che risorse e competenze possanodecadere è particolarmente elevata, a prescindere dalla presenza di meccanismi di isolamento, o dallecondizioni che la RBV identifica come necessarie e sufficienti per sostenere il vantaggio competitivo»(Gavetti, 1998, p. 118).La competence-based view, secondo Gavetti, introduce esplicitamente la dinamica competitivaschumpeteriana in questo dibattito, facendo dipendere il vantaggio competitivo e la sua sostenibilità, non più,o meglio, non solo, dal possesso di generiche risorse strategiche, ma da specifiche competenze organizzativee dalla capacità dell’impresa di adattarle rapidamente ai cambiamenti del contesto competitivo.Il ruolo fondamentale, ai fini del vantaggio competitivo e della sua sostenibilità, è giocato dalle“capacità dinamiche” (dynamic capabilities) (Tecee e Pisano, 1994, p. 1) dell’impresa: tutto ciò provoca unaparziale ridefinizione dei concetti di vantaggio competitivo e del suo mantenimento. L’attenzione si spostasulle variabili di processo (dal content al process), la ricerca si dirige verso lo studio della creazione e deldecadimento delle competenze organizzative, più in generale “dei processi d’adattamento organizzativo”(Gavetti, 1998, p. 119).La RBV e la competence-based view condividono il punto di partenza dal quale sviluppano i principidella teoria strategica: focalizzano l’analisi delle dinamiche competitive sull’impresa anziché sul mercato. Ilsecondo filone di studi non rappresenta però soltanto un semplice avanzamento della RBV: esso supera ilmaggior limite teorico di questo approccio che risiede nella considerazione dell’impresa come unico edesclusivo livello di analisi e vi introduce esplicitamente la variabile contestuale.Il problema centrale della teoria dell’impresa basata sulle competenze non consiste più infatti nellacapacità da parte delle aziende di limitare la riproducibilità o l’imitabilità delle proprie risorse, ma, aprescindere dai meccanismi di isolamento, di creare nuove competenze e consolidare quelle esistenti(riconosciute ovviamente come strategicamente determinanti), attraverso processi e strumenti organizzativi.Entrambe gli approcci hanno comunque il pregio di aver cercato un’alternativa o comunque unostrumento integrativo per le teorie tradizionali di strategia che hanno mostrato, specialmente in questi ultimianni, dei segni di debolezza.4.5 Il contributo della pianificazione strategica alla definizione delle risorseHenry Mintzberg (1994) prende atto del parziale fallimento dell’implementazione dei principi dipianificazione strategica emersi nel 1960, abbracciati dai leader di moltissime imprese come “the one bestway” per elaborare e realizzare le strategie competitive. Gli errori commessi dai manager coinvolti neiprocessi di pianificazione sono derivati dalla sovrapposizione di due concetti: hanno confuso i pianistrategici con la vision 3 , pensando erroneamente che lo strategic planning coincidesse con lo strategic3 “Come spesso accade nelle discipline manageriali, al termine vision vengono date definizioni differenti dai diversistudiosi che nel corso del tempo se ne sono occupati (Nanus, 1985; Abell, 1993; Normann, 1987; Schoemaker, 1992;98


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeithinking. In realtà, così come è stato praticato, il processo di pianificazione strategica ha finito per essere unprocesso di programmazione, ossia un’articolazione e una rielaborazione di strategie che già esistevano. «Lapianificazione formale, a causa della sua natura analitica, è stata, e sempre sarà, dipendente dalmantenimento e dalla modificazione di categorie già stabilite - i livelli già esistenti di strategia (corporate,business, funzionale), i tipi di prodotti stabiliti (definiti come “strategic business units”), gravati dallegenerali unità della struttura (divisioni, dipartimenti, ecc.)» (Mintzberg, 1994, p. 109).Al contrario, il processo strategico dovrebbe consistere nel «… sintetizzare ciò che è stato appreso (daflussi informativi provenienti da fonti interne ed esterne all’organizzazione, esperienze personali e dei propricollaboratori, dati ricavati da ricerche di mercato, ecc.) in una visione della direzione che il businessdovrebbe seguire» (Mintzberg, 1994, p. 107).L’autore individua nell’eccessiva razionalizzazione dei processi di pianificazione strategica e nel fattoche rappresentino un’esclusiva degli alti vertici aziendali la causa del loro parziale fallimento e, allo stessotempo, la ragione per cui alcune delle migliori e più grandi aziende al mondo non sono riuscite a mantenere ivantaggi competitivi precedentemente conquistati. Si dovrebbe passare da un “calculating style” delmanagement ad un “committing style”, da un sistema in cui il processo di pianificazione strategica è di tipotop down ad uno in cui le idee ed i suggerimenti scaturiscono anche dalla “linea” (bottom up), adun’organizzazione in cui si incoraggia l’apprendimento informale, ad ogni livello della struttura,integrandolo con la pianificazione formale, di natura analitica, sviluppata dai manager.Le critiche di Mintzberg ai sistemi tradizionali di pianificazione strategica non sono esclusivamente“distruttive”, come si evince chiaramente dal titolo dell’articolo (The Fall and Rise of Strategic Planning),egli, anzi, mette in evidenza i pitfall (i tranelli, le trappole) dello strategic planning, suggerendo di nondisfarsi affatto delle tecniche fino ad oggi utilizzate, ma di integrarle e modificarle in modo da renderle piùefficaci e funzionali nel contesto attuale.Riteniamo che un modo con cui integrare le metodologie tradizionali di pianificazione, cosa che peraltronon arriva a suggerire Mintzberg, potrebbe consistere nell’affiancare ai sistemi classici di strategic planning,quelli elaborati dalle teorie dell’impresa basata sulle competenze. Come avremo modo di illustrare tra poco,infatti, col trascorrere del tempo e l’evolversi del contesto economico mondiale, è emersa la necessità diesaminare da vicino il vantaggio competitivo, comprendere le radici in cui questo affonda, e, soprattutto,trovare le modalità attraverso cui mantenerlo.Porter parte dall’osservazione del mercato e dall’analisi delle aziende che riescono a differenziare laloro performance rispetto ai concorrenti, dato il contesto in cui operano. Hamel suggerisce diversamente cheil contesto competitivo sia definito dall’azienda, dalle scelte strategiche di quest’ultima e dal potenzialestrategico che essa è in grado di sviluppare. Non si deve, come dice lo stesso Hamel, arrivare a negarel’importanza delle strategie nelle singole aree di affari, ma in modo complementare, integrarle con le scelte alivello di core products e core competences.4.6 Performance-enhancing culturesUno studio riportato da Hodgetts, Luthans e Lee (1994), classifica le 100 imprese industriali più grandidegli Stati Uniti nel 1980. Dopo averle seguite fino al 1992, gli autori hanno raccolto i seguenti dati: soltantoil 56% di esse risultava ancora nelle top 100 dopo dodici anni e soltanto il 18% era salito in graduatoria. Inaltre parole, nell’arco di quel periodo, l’82% delle imprese aveva peggiorato la propria performance o era,addirittura, scomparsa dalla lista. In pratica, anche le più grandi e migliori imprese statunitensi avevanoavuto seri problemi a mantenere nel tempo il proprio vantaggio competitivo.Long e Vickers-Coch, interrogandosi sul ruolo assunto in questo contesto dalla strategia aziendale,concludono che la pianificazione strategica elaborata da queste imprese dedichi eccessiva attenzione allasoddisfazione degli sharehloder e troppo poca alla creazione di valore per i clienti, i prestatori di lavoro e glialtri gruppi di stakeholder. Essi affermano che «la considerazione del prezzo delle azioni come determinantedel valore aziendale e della SBU come livello esclusivo di competizione, ha condotto spesso a risultatiinfelici» (Long e Vickers-Coch, 1996, p. 11).ecc.). Un elemento sembra, comunque, accomunare le varie interpretazioni: l’idea che la vision faccia riferimento aduno stato futuro realistico, credibile e desiderabile per l’azienda, nonché raggiungibile attraverso una serie di mossestrategiche già delineabili anche se non ancora rigidamente definite. Possiamo, quindi, definire la vision come: unprogetto fortemente impegnativo, il disegno di ciò che un’azienda spera ed auspica di diventare; una guida ambiziosa,ma realizzabile delle priorità aziendali, costruita sulla base di realistici scenari interni ed esterni.” (Decastri 1998, p. 18).99


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiL’impostazione tradizionale della strategia tende a mettere le SBU una contro l’altra, in competizioneper le risorse dell’azienda; attribuisce più enfasi all’allocazione delle risorse finanziarie e al bilanciamentodel portafoglio che alla crescita complessiva dell’impresa ed al raggiungimento di una sinergia attraverso lacondivisione delle competenze aziendali. Il focus dell’azione strategica concerne l’aumento della produttivitàattraverso la riduzione del denominatore dell’equazione “produzione/investimenti = produttività”, invece cheattraverso l’aumento del numeratore. Uno studio condotto qualche anno fa da John Kotter e James Heskett,comparava, tra più di 200 imprese esaminate, dodici aziende che, a detta degli studiosi presentavano delle“performance-enhancing culture” (ossia culture fondate su un principio di miglioramento continuo dellaperformance), ed altre venti con culture differenti. Durante il periodo di studio (1977-1988), le imprese con“performance-enhancing cultures” hanno visto crescere i propri profitti di un valore pari a quattro voltequello delle altre aziende, ed il prezzo delle loro azioni è aumentato di un valore pari a dodici volte quellodelle imprese senza questo tipo di cultura (Long e Vickers-Coch, 1996, p. 11).Nel tentativo di capire le ragioni che stavano al di là di queste differenze sorprendenti, i due autorihanno rilevato diverse caratteristiche che interagivano sinergicamente tra loro. Le imprese che conseguivanoperformance superiori avevano culture (Long e Vickers-Coch, 1996, p. 11):• “forti”, con valori e pratiche condivise che favorivano e supportavano quelle core competence (skills,conoscenze, attitudini e know-how) che risultavano più importanti nello sforzo di soddisfare leesigenze degli stakeholder;• “strategicamente appropriate”, con strategie strettamente connesse al contesto del business aziendale(le core capabilities erano efficacemente legate agli obiettivi strategici);• “adattive”, focalizzate sul soddisfacimento di tutti i gruppi chiave di stakeholder e sullo sviluppo diprocessi finalizzati alla realizzazione dei prodotti e dei servizi ai quali essi attribuivano maggiorvalore.Queste imprese concentravano l’attenzione sulle competenze organizzative, distintive e difficili daimitare, piuttosto che sui propri prodotti e mercati, determinando il campo dell’agire strategico in base allapropria vision.4.7 SBU e competenze distintiveSarebbe opportuno, oltre a considerare le imprese come portafogli di business, concepirle anche comeportafogli di competenze. Le business unit sono generalmente definite in termini di specifici prodotti: saponivs. detergenti vs. shampoo; telefoni cellulari vs. walky-talky; ecc. Un’impresa che consideri esclusivamentela prospettiva strategica in termini di prodotti “limita il suo potenziale orizzonte di opportunità” (Hamel inHamel e Heene, 1994, p. 21). Se Canon avesse concepito se stessa soltanto in termini di macchinefotografiche e fotocopiatrici, non sarebbe mai entrata nel mercato delle stampanti laser o dei fax; così Hondanon sarebbe mai entrata nel mercato delle motociclette.Hamel afferma che la prospettiva della strategia basata sulle competenze consente all’impresa di averevisibilità sull’intero orizzonte di potenziali opportunità competitive.I due approcci di analisi, quello basato sui prodotti e quello sulle competenze, non sono antitetici. Anzi,la combinazione dei due potrebbe costituire la risoluzione ai problemi riguardanti le teorie strategichetradizionali, evidenziati da molti studiosi. Hamel, seguendo una metodologia di analisi basata sull’evidenzaempirica, ha cercato di trovare le giustificazioni a dei fenomeni che hanno caratterizzato il panoramaeconomico mondiale degli ultimi anni, integrando gli studi di strategia classici con quelli basati sulle corecompetences. «Le strategie a livello di SBU sono proprio il risultato finale delle scelte al livello di coreproducts e core competences. (…) Quanto detto sopra, tuttavia, non significa negare l’importanza dellestrategie nell’ambito di ciascuna area d’affari» (Della Corte, 1996, p. 118).I risultati dello studio condotto da Hamel sono frutto di una serie di osservazioni compiute all’interno diaziende nipponiche e occidentali, egli ha maturato il suo pensiero seguendo l’iter da lui stesso evidenziato:• ha posto attenzione al processo di diversificazione delle aziende e ne ha analizzato l’underliyingconsistency, con l’obiettivo di capire perché le aziende diversificate giapponesi risultassero vincenti;• ha concluso che il concetto di core competence non rappresenta una prospettiva alternativa rispetto aquello delle SBU;• ha studiato le modalità di gestire in senso dinamico capacità, talento e competenze.L’idea di Hamel è scaturita dallo studio delle big companies americane che, avendo avviato un processodi crescita attraverso l’entrata in diverse aree d’affari nei decenni precedenti, si trovarono, già alla fine deglianni ’70, ma soprattutto nella seconda metà degli anni ’80 di fronte a seri problemi. «Il mito della crescita100


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiincondizionata ed indiscriminata, la tendenza ad operare attraverso divisioni o aziende di gruppi nei settoripiù disparati comincia(va) ad avvertire profondi segni di debolezza» (Della Corte, 1996, p. 117).Il problema che egli ha analizzato è quello tradizionale dei processi di decisione strategica: individuarele business unit in cui è opportuno continuare ad operare e quali dismettere, in base alla loro capacità dicreare o distruggere valore.Nel processo di continui disinvestimenti e ristrutturazioni però non bisogna arrestarsi all’analisi delcontesto e del mercato, bisogna anche cercare di individuare le core competence dell’impresa, svilupparle esfruttarle, perché è su queste che si basa il futuro vantaggio competitivo delle unità aziendali.Il frutto tangibile dell’attività aziendale e delle scelte strategiche ed operative del management sono iprodotti venduti sul mercato. Per comprendere le origini e fonti del vantaggio competitivo, è necessarioindividuare i core product (i prodotti base, da cui derivano quelli finali) e procedere a ritroso fino adidentificare quelle competenze che permettono di realizzarli. Fermare l’analisi a livello di SBU significaelaborare una strategia parziale e incompleta; il management deve essere capace di individuare, sviluppare e,eventualmente, modificare le core competence che stanno alla base delle strategie a livello di ASA.In ogni singola SBU potrebbero svilupparsi delle competenze distintive che rimangono però“intrappolate” all’interno della stessa, senza che le altre unità ne vengano a conoscenza. La condivisione ditali competenze aumenterebbe il successo complessivo dell’azienda superando i tradizionali limiti dellastruttura organizzativa multidivisionale.Nella maggior parte delle aziende, infatti, esistono delle procedure elaborate e ben articolate perl’allocazione del capitale tra le diverse business unit, ma non esistono meccanismi espliciti similari chegestiscano la “distribuzione” delle competenze (quindi di particolari persone, teams, ecc.) laddove esistano lemigliori opportunità di sfruttamento e di sviluppo.Risulta, così, importante la costruzione, da parte del management di un’architettura strategica, ossia diuna “mappa” che evidenzi le core competence da costruire, o quelle che l’azienda possiede già, e chesupportino il futuro successo della stessa.Partendo dall’analisi a livello delle singole SBU è necessario interrogarsi sulla propria capacità di esserecompetitivi e sviluppare, parallelamente, le proprie core competence. La coerenza del management, lacapacità di comunicare l’importanza dei valori e delle competenze da condividere, la diffusione di unacultura manageriale sono fattori che sviluppano all’interno dell’organizzazione la capacità di comunicare e dipensare in un’ottica di ampio respiro, riuscendo a condividere le competenze accumulate.4.8 Giapponesi e risorseSe si guarda indietro nel tempo fino agli anni ’70, si può notare che poche compagnie giapponesipossedevano risorse, volumi di produzione o tecnologie paragonabili a quelle delle imprese statunitensi oeuropee leader dei settori industriali.Komatsu aveva un fatturato inferiore al 35% di quello di Caterpillar, era scarsamente rappresentata fuoridal Giappone e realizzava un’unica linea produttiva (piccoli bulldozer). Honda aveva dimensioni inferioririspetto a American Motors e non aveva ancora cominciato ad esportare negli Stati Uniti. Canon apparivainfinitamente più piccola rispetto ad un colosso da quattro bilioni di dollari come era Xerox.Nel 1985 Komatsu era una compagnia da 2,8 bilioni di dollari in grado di collocare sul mercatoun’ampia tipologia di prodotti, tra cui mezzi di locomozione terrestri, robots industriali e semiconduttori. Nel1987, Honda produceva quasi tante macchine quante ne realizzava Chrysler. Canon aveva raggiunto la stessaquota di mercato, a livello globale, di Xerox.Se, poi, risulta semplice individuare imprese occidentali che hanno mantenuto la posizione leader delloro marchio, a livello globale, per trenta o quaranta anni (Heinz, Siemens, IBM, Ford e Kodak, solo per faredegli esempi), è, invece, difficile trovare un’impresa statunitense o europea che abbia creato un <strong>nuovo</strong>“brand globale” negli ultimi dieci o quindici anni. Le imprese giapponesi, al contrario, ne hanno realizzatidiversi (NEC, Fujitsu, Panasonic (Matsushita), Toshiba, Sony, Seiko, Epson, Canon, Minolta e Honda)(Hamel e Prahalad 1989, pp. 64-74).Durante i loro studi sulla competizione a livello globale, Prahalad e Hamel si sono resi conto che leaziende occidentali e quelle orientali operavano secondo due concezioni differenti di strategia competitiva.Pensando che comprendere le differenze tra i due approcci potesse fornire delle utili informazioni sullemodalità di conduzione e sull’esito delle battaglie competitive, decisero di stendere una “mappatura” deimodelli strategici impliciti utilizzati dal management delle imprese coinvolte nella loro ricerca.101


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl metodo di raccolta dei dati consisteva nel riportare dettagliate ricostruzioni di battaglie competitiveche venivano esaminate con l’intento di identificare i fattori che determinassero prospettive strategichedivergenti, presenza di vantaggi competitivi e differenti ruoli assunti dal top management.Nella primavera del 1989 le loro conclusioni furono pubblicate sulla Harvard Business Review (Hamel ePrahalad, 1989, p. 65):• mentre i manager occidentali riconoscevano la centralità di mantenere il cosiddetto “strategic fit”(ossia la capacità di ottimizzare il “bilanciamento” tra i punti di forza e di debolezza dell’impresa e leminacce/opportunità dell’ambiente esterno), quelli orientali si concentravano sul “leveraging” dellerisorse (ossia l’azione di supporto per il mantenimento e lo sviluppo delle risorse aziendali);• entrambe i modelli riconoscevano la necessità di suddividere l’organizzazione in modo da permettereal top management di portare avanti un’efficiente politica degli investimenti, in base alle esigenzedelle varie unità. Mentre, però, nel modello occidentale, le risorse venivano allocate tra unitàsuddivise in base al prodotto-mercato, presupponendo che esse possedessero tutte le capacità critichenecessarie alla competizione strategica; in quello orientale si investiva tanto in core competences,quanto nelle unità prodotto-mercato. In questo modo, ci si assicurava che il successo delle singoleSBU non andasse a danneggiare l’andamento complessivo dell’azienda;• tutti e due i modelli riconoscevano infine la necessità di coerenza tra le azioni svolte ai diversi livellidell’organizzazione. I modelli occidentali inquadravano la coerenza tra il livello corporate e quellodi SBU in un’ottica finanziaria: cercavano di ridurre al massimo i mezzi attraverso i quali le unità dibusiness dovevano raggiungere i propri obiettivi, stabilendo delle procedure standard da seguire nelloro operato, definendo i mercati in cui essere presenti, ecc.. Quelli orientali invece favorivano lacoerenza business-corporate attraverso la “fedeltà” ad un particolare “intento strategico”,coinvolgevano tutti i livelli dell’organizzazione, focalizzando l’attenzione delle persone sul valoredegli obiettivi da raggiungere, motivandoli, lasciando spazio ai contributi individuali e di teamscross-funzionali, ecc.La differenza principale stava nel rivedere e ripensare i principi basilari della strategia.4.9 La strategia come “stretch and leverage”La conclusione a cui sono arrivati Prahalad e Hamel consiste nell’integrare i principi strategicitradizionali con una nuova visione della competizione. Risulta cioè parzialmente superato il concetto di unastrategia come “fit”, intesa come capacità di ottimizzare il rapporto strategia-ambiente attraversol’allocazione delle risorse nell’ottica di compiere investimenti a medio-lungo termine. Si approda invece aduna prospettiva di strategia come “stretch”: fare leva sulle competenze.Le imprese che riescono a creare, a costruire nuove competenze e a supportare, sviluppare quelleesistenti in nuovi mercati creano nuove tecnologie, nuove forme organizzative, nuovi prodotti e nuovestrategie di prodotto, che stanno cambiando i contesti competitivi. (Sanchez e Heene, 1997, p. 8). In praticala competizione si baserà anche sulla capacità delle imprese di costruire e supportare le competenzeaziendali: diverranno fondamentali le conoscenze (competenze) dei manager “nell’immaginare” qualisaranno le competence dei “settori del futuro” (Hamel e Prahalad, 1995, p. 83), ed i processi organizzativi inbase ai quali verranno create. In ambienti dinamici e turbolenti, come quelli del nostro tempo, costruire esupportare le competenze richiederà un’elevata flessibilità da parte delle aziende per acquisire e utilizzare lenuove risorse in modo efficiente.4.10 La strategia come gioco su più livelliL’approccio tradizionale di strategia identifica le modalità attraverso cui le imprese possono conseguiredei vantaggi competitivi, che De Leo definisce causality chain (De Leo, 1994, p. 35): quei mezzi e queglistrumenti che sono causalmente correlati alla superiorità di un’impresa rispetto ai suoi concorrenti, in terminidi leadership di costo o vantaggio di differenziazione. Il focus degli studi strategici di conseguenza siconcentra sulla competizione all’interno dell’arena prodotto/mercato.La strategia consiste nel fit tra i punti di forza e di debolezza delle imprese rispetto alle opportunità eminacce del mercato. In pratica, come ha affermato Porter (1985) il gioco della competizione consiste nelselezionare quella strategia prodotto/mercato consona alle opportunità e ai vincoli imposti dal contesto.Tutto ciò ha contribuito a indirizzare l’attenzione dei manager verso processi di posizionamento,distraendoli da quelli di creazione del valore. Il modo di condurre la strategia consiste nell’approfittare delle102


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiasimmetrie, costruire barriere all’entrata e selezionare mercati in cui le cinque forze competitive risultanotanto deboli da consentire un alto potenziale di profitto.E’ chiaro che ogni impresa debba, ad un cero punto, sostenere una competizione basata sul binomioprodotto/mercato, ma quello che cerca di spiegare De Leo è che «l’analisi della catena della causalità, chespiega come le imprese siano in grado di conquistare posizioni di superiorità nel mercato, non ha registratosignificativi progressi» (De Leo, 1994, p. 37). Hamel, come già detto, sostiene che l’arena prodotto/mercatosia soltanto l’ultimo stadio di un gioco competitivo costituito da livelli multipli (Hamel, p. 101). Il problemaè che il vantaggio competitivo non è semplicemente una funzione di come le imprese conducono il gioco:esso è senz’altro correlato alle risorse che l’impresa utilizza per condurre il gioco. Forse, allora, lo scopodella strategia consiste, non tanto e non solo nel trovare i modi per sfruttare le asimmetrie esistenti, ma nelcercarne e svilupparne delle nuove.Ribadiamo che, anche se la competizione nell’arena prodotto/mercato rimane, comunque, un passo chel’impresa deve percorrere per conseguire il successo non deve rappresentare il suo unico ambito di interesse.L’analisi che compie l’azienda deve ricercare i legami, seppure latenti, che collegano differenti livelli delgioco competitivo: le nuove regole della competizione fanno sì che la strategia non sia esclusivamente unaquestione di “posizionamento”, ma un processo di “architecturing”, ossia di individuazione di queglielementi e operazioni che legati tra loro in modo sinergico danno luogo al successo dell’impresa, in altreparole, di identificazione delle competenze aziendali.4.11 Competizione tra imprese anziché tra prodottiLe battaglie competitive sono solitamente descritte in termini di prodotto: Diet Coke contro Diet Pepsi,Powerbook di Apple contro ThinkPad di IBM, il servizio di prima classe di British Airways contro quello diAmerican Airlines, ecc. In realtà, le aziende competono anche su piani diversi ma altrettanto fondamentali eprofondi. American Airlines compete con British Airways per sviluppare competenze nella gestione delleflotte di aerei e nei sistemi di prenotazione; Sharp compete con Toshiba per costruire la leadership a livelloglobale nella realizzazione di display a schermo piatto; Ford compete con Honda, Toyota, GM ed altri percostruire la leadership mondiale nella realizzazione dei motori; e così via (Hamel, 1994, p. 20).Esiste una ragione fondamentale per modificare parzialmente la prospettiva con cui esaminare lacompetizione tra le aziende, passando cioè da un’ottica prodotto vs. prodotto ad una inter-impresa.Le core competence contribuiscono alla competitività dell’azienda globalmente intesa, non a quella diun solo prodotto: vincere una battaglia competitiva su una competenza, ottenendone la leadership, ha unprofondo impatto sul potenziale di crescita dell’azienda, molto più di quello che potrebbe avere il fallimentoo il successo di un singolo prodotto.Competere sulle competence anziché sui prodotti, creandole e sviluppandole in modo da superare ipropri concorrenti, fornisce gli strumenti per realizzare lo sviluppo futuro dell’impresa: esse sono infatti leradici dalle quali scaturiscono anche i prodotti di domani.Oltre a “trascendere” la competizione tra prodotti, quella tra le competenze la precede: se, infatti, ilciclo di vita di un prodotto può essere misurato in mesi, il processo necessario alla realizzazione di corecompetences può richiedere degli anni.103


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiCAPITOLO QUARTOIL CONTESTO <strong>DI</strong> SOD<strong>DI</strong>SFAZIONE DELL’UTENZAIl contesto di soddisfazione dell’utenza emerge dalla interpretazione ricorsiva dei poli sevizio richiestodal cliente e risorse tecniche e competenze. Le risorse e competenze si coordinano in apparati attività eprocessi destinati ad acquisire le preferenze dei clienti attraverso la generazione di un prodotto servizioidoneo a sedurli, soddisfarli e fidelizzarli. La soddisfazione dell’utenza rappresenta pertanto un primocontesto che “cuce” il polo esterno del cliente a quello interno delle risorse e competenze definendo anche lamissione del business o del portafoglio business.La visione dal polo delle risorse tecniche e competenze centra su queste le fonti del vantaggiocompetitivo da cui viene generato il valore dell’impresa. La visione dal polo del servizio richiesto dal clientevede invece l’impresa e l’imprenditore intenti a cogliere le opportunità che l’ambiente offre, per mezzodell’interazione con i vari pubblici aziendali. Se non è possibile negare che la visione dal polo del cliente equella delle risorse siano in parte due facce di una stessa medaglia, le posizioni di partenza da cui prendonoorigine sembrano creare più discordanze che convergenze. Per questo motivo, occorre esplorare in chemisura alcuni dei blocchi concettuali alla base dell’una possano essere rivisitati alla luce delle implicazioniderivanti dalla prospettiva dell’altra. Le risorse tecniche e competenze aziendali sono delle potenzialità, ossiadelle premesse di valore che devono necessariamente passare attraverso la strada del mercato e del giudiziodel cliente per essere effettivamente realizzate. Di converso, il valore di un interlocutore costituisce unarisorsa invisibile, ossia una potenzialità che l’abilità imprenditoriale sarà, o meno, in grado di trasformare invalore. A seconda dell’approccio prescelto il contesto della soddisfazione dell’utente è: opportunità fornitabisogni secondo la visione dal polo del cliente; risorsa intangibile potenzialmente generatrici di valore,secondo la visione dal polo delle risorse.Le due prospettive s’intersecano necessariamente nel contesto della soddisfazione del cliente daqualsiasi prospettiva si parta. Per appropriarsi dei profitti che, secondo la visione dal polo del cliente, lasoddisfazione di un interlocutore può generare con la sua fedeltà, è necessaria l’abilità di saper cogliere leopportunità latenti che ogni pubblico aziendale offre. Tale abilità non può che ricondursi alla capacità dicogliere le occasioni offerte dall’ambiente dal punto di vista del cliente. L’analisi del mercato el’individuazione dei segmenti maggiormente attrattivi che l’impresa è in grado di soddisfare sono unapremessa della fidelizzazione dei clienti suscettibile di generare valore sotto forma di maggiori ricavi e piùalti profitti. Se invece il cliente, come pure qualsiasi altro interlocutore, viene visto come una risorsadell’impresa (ottica interna), tale potenzialità deve passare attraverso il mercato e la soddisfazione del clienteper trasformarsi in valore. Non è quindi sufficiente affermare che le risorse tecniche e competenze diun’impresa creano valore di per sé; occorre invece ampliare la prospettiva d’analisi a ricomprendere lavisione dal polo del cliente, poiché il valore si crea attraverso le risorse tecniche e competenze, le capacità ele competenze di un’impresa soltanto se queste vengono valorizzate dal cliente e dall’ambiente dal punto divista del cliente di riferimento.Gli anelli critici trainanti il processo di creazione di valore nel contesto di soddisfazione dell’utentes’imperniano, dunque, su una tensione tra risorse e cliente, intesa come espressione del divario fra situazionepercepita e situazione desiderata sia dall’impresa, sia dal cliente. La situazione percepita può esserecostituita da performance reddituali, competitive e sociali insoddisfacenti e dalla presenza di risorse umane,finanziarie, culturali, infrastrutturali ed ambientali che richiedono di essere valorizzate. La situazionedesiderata è, di conseguenza, la realizzazione di tali performance e la valorizzazione di tali risorse.La tensione è un elemento cardine dell’atteggiamento imprenditoriale teso a modificare la situazionereale; essa può dipendere dalla percezione di una carenza all’interno dell’impresa o dall’esistenza, nelcontesto ambientale, di ostacoli al soddisfacimento delle attese dei clienti. Ogni qualvolta emerga unproblema di percezione dei bisogni del cliente e di individuazione dei mezzi e dei modi migliori perrispondervi economicamente, si genera una tensione al cambiamento della situazione; tale problema genera,104


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiinfatti, un’energia che, a sua volta, sollecita lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali apportate da unaspecifica persona o da una determinata rete di soggetti. Questi ultimi sono, di norma, esposti a stimoli digenerazione di idee a causa della posizione organizzativa ricoperta e possono giungere a delineare unavisione completa soltanto combinando insieme l’idea innovativa, il bisogno di mercato e le competenzeesistenti nell’impresa.Se la tensione imprenditoriale riesce a sviluppare una corrispondenza tra i bisogni del mercato e lerisorse aziendali, il gap di valore fra la situazione percepita e quella desiderata viene colmato. Generandotensione, la risorsa imprenditoriale trasmette il suo valore intrinseco alle altre risorse aziendali; ciò equivaleanche ad affermare che è la risorsa imprenditoriale che valorizza tutte le altre, previa comprensione evalorizzazione dei bisogni del mercato. Sotto quest’aspetto, si può allora sostenere che la valorizzazionedelle risorse dell’impresa sia prodotta dal valore dell’imprenditorialità (come risorsa per eccellenza) e che ilprocesso di valorizzazione si sviluppi nel momento in cui si libera la tensione necessaria al coordinamentosinergico di tutte le risorse isolate a disposizione dell’impresa.In altri termini, il gap di valorizzazione delle risorse percepito dall’imprenditore può essere colmatosoltanto se questi riesce a collegare le risorse aziendali in un sistema unitario rispondente ad un bisognoeconomico, espresso o latente. Questa rispondenza assicura, infatti, che le singole risorse acquistino unplusvalore nell’ambito di un processo che vede la traduzione di un insieme di risorse non coordinate in unsistema di risorse economiche. Tutto ciò grazie alle relazioni che collegano le une alle altre all’interno delsistema e a quelle che connettono il sistema alla domanda.Alla luce di queste considerazioni appare fondamentale l’esame del concetto di bisogno. A questoproposito, una distinzione importante è quella tra desiderio, bisogno e domanda (Hoflack J., Dubois P.,1983). Il desiderio è la pulsione a determinare la propria esistenza in un certo modo di fronteall’indeterminatezza del futuro, poiché crea uno stato di necessità che è, al contempo, pressante e latente e,come tale, capace di influire sulle decisioni e sulle azioni. Il desiderio è, di per sé, non satisfattibile: purmanifestandosi in bisogni specifici, tende a generarne sempre di nuovi. Il bisogno è un concetto psicologico,la domanda ne è una rappresentazione economica. Come è noto, i bisogni originano dalle pulsionifondamentali nell’uomo, capaci di orientare il suo comportamento verso dei mezzi capaci di soddisfare quelbisogno. Ad esempio, attraverso il consumo di un bene, l’individuo cerca di ridurre o eliminare la tensioneche deriva da un desiderio specifico; non è un caso che “l’obiettivo del marketing sia quello di trasformareun bisogno in desiderio d’acquisto del nostro prodotto” (Henault G.M., 1973). Il bisogno psicologico puòallora distinguersi dal bisogno economico, o domanda specifica, poiché il secondo indica la disponibilità(eventuale) a sostenere dei costi, anche monetari, per acquisire la disponibilità di un certo prodotto, in undeterminato momento e luogo, perché percepito come confacente alla necessità implicita nel primo.Accogliere questa distinzione significa, allora, concepire l’emersione dei bisogni come un processo checonsente all’impresa di tradurre un desiderio in un bisogno psicologico e quest’ultimo in uno economico,generando una domanda specifica rivolta al prodotto offerto. L’esistenza di una domanda per il prodotto diuna certa impresa può ricondursi a quattro situazioni principali: la domanda può non avere natura spontanea,nel senso che il bisogno psicologico ad essa sotteso è stato indotto dall’impresa produttrice del bene; ladomanda è allo stato latente, per cui l’offerta di un certo prodotto costituisce una risposta esplicita ad unbisogno psicologico non ancora espresso; la domanda di un certo bene costituisce una specificazione di undesiderio, che può trovare una soddisfazione anche in altri prodotti caratterizzati però dalla stessa funzioneessenziale; la domanda del bene costituisce l’espressione di bisogni psicologici specifici.Anche quando l’impresa risponde ad una domanda già presente, può comunque svolgere un ruolo divalorizzazione dei bisogni. Nel processo di acquisto ed utilizzo si verifica sempre una sorta di “emersione” diun desiderio originario: l’impresa può influenzare tale emersione con la sua azione, determinando in parte ilprocesso di attribuzione di valore al bisogno psicologico derivato dal desiderio.La creazione di valore avviene nella bi-specularità di bisogni e risorse. Infatti, l’impresa valorizza unbisogno, quando può soddisfarlo economicamente attraverso risorse che hanno un valore (costo)sufficientemente basso; valorizza le risorse, quando può impiegarle economicamente per soddisfare unbisogno che ha un valore sufficientemente alto. Nel primo caso, il valore sufficientemente ridotto dellerisorse impiegate è connesso alla loro disponibilità. Nel secondo caso, il valore sufficientemente elevato delbisogno è riconducibile alla scarsità delle risorse che ne consentono la soddisfazione. La tensioneimprenditoriale è quindi finalizzata a massimizzare la differenza (gap di valore) che esiste fra il valore delbisogno per il cliente ed il valore delle risorse per l’impresa, come principale mezzo attraverso cui fidelizzareil cliente stesso. Se, originariamente, si ha soltanto una ripartizione di valore fra il cliente e l’impresa, in un105


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeisecondo momento si ottiene anche, come effetto derivato, la possibilità di ripartire il valore generato perl’impresa fra tutti i suoi stakeholders.La generazione di valore avviene attraverso la tensione generata dalla contraddizione disponibilitàscarsità.Si ha, infatti, da un lato, la necessità di una sintonia fra certe risorse ed uno specifico bisogno, cheimplica la disponibilità del bene; dall’altro, un valore economico del bene, o delle risorse a questo dedicate,che è tanto più elevato, quanto maggiore è la sua scarsità. Il dilemma disponibilità-scarsità deve trovare unasoluzione che generi un valore acquisito per l’impresa superiore a quello ceduto al mercato. Con ladisponibilità del bene senza scarsità, l’utente non attribuisce ad esso un valore economico; con la scarsità delbene senza disponibilità per l’utente, l’impresa non può realizzare il profitto.In tale prospettiva “allargata”, il processo di creazione del valore perde la connotazione di sfruttamentodi posizioni di rendita, che una visione esclusivamente interna tende ad attribuirgli, così come quella diutilizzo di posizioni di potere relazionale, che un’ottica esclusivamente esterna tenderebbe a fargli assumere.La creazione del valore assume, viceversa, la connotazione dinamica ed incrementale propria di ogniprocesso volto al continuo accrescimento di un patrimonio di risorse tecniche e competenze che abbianovalore per il mercato (generino, in altre parole, customer satisfaction e vantaggi competitivi), in uno scenarioin cui la prospettiva oscilla continuamente fra l’impresa ed il mercato, dove la prima crea ininterrottamente lepremesse per la sua unicità ed il se. In sintesi, si vuole sostenere che l’approccio dal punto di vista dellerisorse può correttamente intendersi quale necessaria integrazione di quello dal punto di vista del cliente, eviceversa. Il primo approccio, enfatizzando il ruolo delle risorse tecniche e competenze interne come fontedel vantaggio competitivo, è inevitabilmente connesso alla managerialità ed alle capacità organizzative adisposizione dell’impresa; il secondo, focalizzando il ruolo giocato dalle opportunità esterne, si fa interpretedell’imprenditorialità e dell’abilità strategica di colui che guida l’impresa. Managerialità ed imprenditorialitàche abbiamo visto in precedenza essere fattori bilanciantisi a vicenda.1. La customer satisfactionLe componenti-attività fondamentali che costituiscono le imprese possono essere osservate sia inun’ottica tecnica, sia in un’ottica relazionale. Ottica quest’ultima che è centrale in un approccio ermeneutica.Dall’analisi tecnica delle realtà imprenditoriali, sorge, spicca ovunque la “centralità del cliente”, e per questoè opportuno rivolgere particolare attenzione al cliente in termini di customer satisfaction, fino ad arrivare alconcetto finale di customer loyalty (Costabile, 2001). Oggi, è sempre più in auge, nelle diverse realtàeconomiche, il concetto che vede la customer satisfaction come leva strategica essenziale per lo sviluppo el’acquisizione di un vantaggio competitivo difendibile nel lungo termine da parte di qualsiasi attività oimpresa. Ciò è vero soprattutto nelle attività o imprese di tipo relazionale (come accade nelle attività diprivate banking, che possono identificare al meglio e nel modo più completo un approccio di tiporelazionale). È necessario chiarire, che parlare di relazione significa riferirsi ad un rapporto duraturo,continuativo, complesso, flessibile, personalizzato, cognitivo e valutativo che si instaura tra due soggetti.Ogni singolo aggettivo rappresenta una caratteristica-componente di tale rapporto e ciascuno è strettamentecorrelato a tutti gli altri.Esistono varie tipologie di relazione, aventi alla base motivazioni diverse, come: relazioni per necessità(obblighi normativi, fabbisogni di risorse, riduzione dei rischi di approvvigionamento); relazioni perasimmetria (potenziale esercizio di potere o di controllo su altri soggetti o organizzazioni); relazioni perreciprocità (perseguimento di obiettivi comuni); relazioni per efficienza; relazioni per stabilità (riduzione delrischio d’impresa o fabbisogno di legittimazione) (Zarrillo, Raina, 1996).Qualsiasi forma di relazione è comunque strumentale allo sviluppo e al consolidamento delle relazionicon la domanda, ossia con la tipologia di clienti verso i quali è rivolto il servizio o il bene in questione.Un’impresa e coloro che svolgono una determinata attività, sono valutati proprio in funzione della lorocapacità di attivare la categoria delle relazioni con la domanda, che rappresenta anche momento e luogo diverifica del valore generato da tutte le altre forme di relazione che l’impresa e gli altri soggetti determinati,sono in grado di instaurare. Tale natura relazionale dei processi di scambio, intesa come carattere distintivodel moderno marketing management (marketing relazionale) è ampiamente accettata e condivisa. È quindiopportuno chiarire cosa si intende per customer satisfaction in termini generali (Nannicini, 2001).I sistemi di controllo esistenti fino a qualche anno fa nei diversi tipi di organizzazione eranosostanzialmente orientati ai fenomeni tangibili e quantitativi, l’evolversi però dell’ambiente e delle esigenze(come ad esempio sapere quanto vale un cliente o il management), hanno dimostrato la necessità di106


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeisviluppare il controllo su variabili denominate “risorse invisibili o intangibili” (risorse basatesull’informazione o che la incorporano). Le risorse intangibili (quali clienti e buon management) infatti, sonoconsiderate sempre più gli attributi chiave capaci di creare il vantaggio competitivo per qualsiasi impresa. Siarriva, percorrendo questa strada, al concetto di qualità come capacità globale dell’impresa di saper allineareil sistema aziendale (strategia, struttura, uomini e meccanismi organizzativi) ai bisogni reali espressi daipropri clienti. In questa prospettiva si può affermare che le imprese perseguiranno sempre in misuramaggiore e con maggiore determinazione obiettivi e strategie orientate al perseguimento di zero customerdefection, anziché zero products/servitios defect. Da qui la necessità a motivare e responsabilizzare ilpersonale e a sviluppare programmi di customer satisfaction (Nannicini, 2001).Il principio “the customer is king” (Valdani, Busacca, 1992), è essenziale per riconoscere che la capacitàdi soddisfare pienamente le aspettative della domanda rappresenta in realtà la migliore difesa contro lemanovre dei concorrenti. Il cliente, per il suo valore patrimoniale e in quanto risorsa invisibile portatrice diconoscenze e aspettative, è quindi riconosciuto quale bene capitale da difendere e sviluppare (Costabile,2001). L’analisi della soddisfazione del cliente (nel senso di customer satisfaction) costituisce un momentoconoscitivo di importanza centrale ai fini dell’acquisizione e del consolidamento di vantaggi competitividifendibili nel lungo periodo; infatti il confronto concorrenziale si esercita sul terreno delle preferenze delladomanda, che con le proprie scelte sancisce il successo o l’insuccesso di una politica di marketing attuata daun’impresa (Guatri, Vicari, Fiocca, 1999). La posizione che ciascun offerente occupa nel mercato si rivelacosì, tanto più solida quanto più ampi e solidi sono i motivi di preferenza indotti nei consumatori attraversola differenziazione globale dell’offerta, che si può tradurre in prezzi più favorevoli o in prodotti/servizi piùaderenti alle configurazioni individuali dei gusti. L’importanza della customer satisfaction, al di là di questeconsiderazioni di carattere generale, risulta chiaramente affermata e accresciuta da certe tendenze evolutivedel rapporto domanda-offerta in atto nelle economie più avanzate.Fig. 1 Grafico delle tendenze che evidenziano la criticità della customer satisfaction.Progressivo incremento dellapressione concorrenzialeDinamica evolutiva delladomandaCriticità della customer satisfactionIntegrazione di grappoli dibisogniCrescente rilevanza delle risorseimmaterialiLa prima tendenza è data dal progressivo incremento della pressione concorrenziale, che si esplica, daun punto di vista strategico, in una crescente rilevanza delle politiche di differenziazione dell’offerta;rendendo sempre più critica, sotto il profilo concorrenziale, la capacità di soddisfare le attese delconsumatore. Al crescere dell’intensità della concorrenza, l’impresa può raggiungere sostanziali vantaggicompetitivi soltanto attraverso la conquista di spazi di natura monopolistica sulla domanda, che implicanecessariamente la capacità di individuare e soddisfare i benefici tangibili e intangibili ricercati dallaclientela in modo più efficace rispetto agli operatori rivali. È possibile chiarire che tale incremento (dellapressione concorrenziale) sia la risultante di un complesso di fattori causali come: la trasversalità delle nuovetecnologie dell’informazione, internet e cellulari, che affievolisce i confini tra i settori; la flessibilità deinuovi processi produttivi, che si riflette nell’ampliamento dell’orizzonte strategico delle imprese e dellearene concorrenziali; lo sviluppo internazionale delle imprese e i processi di globalizzazione dei mercati, cheestendendo i territori competitivi accrescono le interrelazioni tra business differenti (Valdani, 1991)(Sciarelli, 1987).107


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiLa seconda tendenza, perno della centralità/criticità della customer satisfaction, è la dinamica evolutivadella domanda. Il progredire dello sviluppo economico e culturale, ha determinato una crescentearticolazione della società, nella quale le esigenze dei clienti/consumatori divengono più sofisticate enascono i bisogni specifici complessi e differenziati. Gli individui in tale contesto, interiorizzano aspettativeeterogenee e a volte conflittuali, associate a ordinamenti comportamentali definiti e strumentaliall’affermazione di tratti della personalità delineati. Allo stesso tempo, l’incremento della complessitàambientale riduce l’influenza dei fattori sociologici di carattere generale, nella formazione delle preferenzeindividuali, aumentando il valore attribuito dalla domanda alla verietà-variabilità dell’offerta, nonché allasoddisfazione di esigenze immateriali ed espressive.Quanto detto si traduce e concretizza nell’esistenza di modelli comportamentali eterogenei, cheriducono le opportunità legate all’adozione di approcci indifferenziati alla domanda, mettendo in risaltol’obsolescenza delle tradizionali variabili socio-demografiche utilizzate per interpretare la struttura e latendenza di sviluppo dei mercati (Busacca, 1989). In quest’ottica è allora impossibile prescindere, per ilconseguimento della desiderata posizione concorrenziale, dall’analisi continuativa della soddisfazione deiconsumatori (tenendo presenti sempre i trend culturali e i valori emergenti nella società), nonché dallacostante evoluzione dei sistemi di segni utilizzati dagli individui per identificare le proprie scelte diconsumo. Inoltre la maggior complessità della domanda si riflette in un progressivo incremento dellacomplessità dell’offerta, riconducibile sia all’aumento del contenuto tecnologico dei mix produttivi, siaall’espansione della loro varianza sincronica e diacronica. L’effetto congiunto di tale complessitàcaratterizzante il rapporto domanda-offerta si manifesta nella formazione di grappoli di bisogni interconnessi(terza tendenza), ossia nella tendenza della clientela a rivolgersi ad un unico fornitore (impresa o istituzione)per la soddisfazione di un insieme integrato di esigenze (Vicari, 1988). Tendenza ricollegabile, oltre che allacrescente complessità dei prodotti/servizi, alla sempre maggiore rilevanza assunta dalle componentiimmateriali dell’offerta e dagli aspetti relazionali e fiduciari nei rapporti di scambio (quarta tendenza).È facilmente intuibile come anche l’integrazione di grappoli di bisogni enfatizzi la criticità dellacustomer satisfaction sul piano analitico e strategico. Infatti, se da un lato questa tendenza si traduce, perciascuna impresa/istituzione, in consistenti opportunità di estensione del territorio competitivo verso campidi attività complementari a quelli tradizionali, dall’altro lato è necessario sottolineare come tali opportunitàsiano strettamente legate ad un notevole incremento dei rischi connessi alla disattesa delle aspettativepalesate dalla domanda. La nascita di motivi di insoddisfazione nell’appagamento di un determinato bisogno,infatti, si riflette negativamente sul rapporto fiduciario esistente tra domanda e offerta, propagandosi in talmodo all’insieme di esigenze interconnesse secondo reazioni a catena di ampia portata.Il fattore che però, più di ogni altro sottolinea l’importanza dell’analisi sistematica della customersatisfaction è l’evidente necessità di considerare il patrimonio di risorse immateriali, di cui l’impresadispone, quale fonte primaria dei suoi comportamenti strategici e del potere di mercato che ne deriva. Inparticolare, definendo le attività immateriali come risorse aziendali fondate sul “sapere” (conoscenza ecreatività) e sulla “fiducia”, e in quanto tali, basate sia sulle conoscenze (tecnologiche, di marketing,produttive, manageriali,….) possedute dall’impresa (risorse di competenza), sia su modelli cognitivi di altrisoggetti (risorse di fiducia), si può percepire immediatamente la relazione esistente tra vantaggiocompetitivo e soddisfazione del cliente/consumatore (Vicari, 1989 e Vicari 1991). Quest’ultima, infatti èdeterminante fondamentale di alcune tra le più importanti risorse di fiducia a disposizione dell’impresa nelperseguimento di finalità di crescita nel lungo termine. La fedeltà alla marca, l’immagine aziendale, lerelazioni con la clientela sono generate da una matrice comune, rappresentata dalla capacità dell’impresa diaccrescere, rispetto ai concorrenti, il livello di customer satisfaction e quindi il “valore” offerto al mercato.Valore che porta direttamente ad un aumento del reddito reale dell’investitore ovvero del valore dell’impresastessa, definito dagli elementi patrimoniali esistenti e dalle attese reddituali. Quindi un cliente soddisfattonon può che generare effetti positivi sia sulle attese reddituali, sia sul patrimonio d’azienda, situazione che siestingue nel momento in cui il cliente non è più soddisfatto.108


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab. 1: Effetti sulle attese reddituali e sul “patrimonio di azienda” generati dalla soddisfazione diun clienteEffetti sui ricaviEffetti sui costiEffetti sulpatrimonioaziendaleCliente soddisfattoAumento delle vendite da up selling e crossselling (ampliamento della scala delladimensione dei prodotti offerti, adozione daparte del cliente di varietà dell’offerta di piùelevato valore e ampliamento del numero deiprodotti venduti); maggiore disponibilità apagare un premium di prezzoAumento di fedeltà del cliente in termini didurata del rapporto, e perciò delle vendite neltempo; minori costi di gestione dei clientiacquisiti.Minori costi di acquisizione di nuovi clienti;miglioramento dell’immagine aziendale;miglioramento della soddisfazione e del climafra i dipendenti.Cliente insoddisfattoPerdita delle vendite totali (cliente perduto);perdita delle vendite da up selling, trading up,cross selling (cliente rimasto); minoriopportunità di premium di prezzo (clienterimasto), inesistenti (cliente perduto).Perdita delle eventuali vendite nel tempo(cliente perduto); maggiori cosi di gestione deiclienti acquisiti: sconti, omaggio, rifacimentivari.Maggiori costi di acquisto di nuovi clienti;perdita dell’immagine aziendale, da qui costi perazioni di recupero immagine; tensione edinsoddisfazione tra i dipendenti, conconseguenza di turn over.Quindi, se il cliente è soddisfatto gli effetti (sui ricavi, sui costi e sul patrimonio aziendale) sono tuttipositivi, e sarà ben disposto ad acquistare anche altri prodotti dallo stesso fornitore, percependo un minorrischio rispetto a quello che percepirebbe rivolgendosi ad altri fornitori poco conosciuti o addiritturasconosciuti. Inoltre la fiducia verso il proprio fornitore porterà il cliente: da un lato a non doversi impegnaretroppo nel controllarlo, dall’altro a non sentire la necessità di ricercare delle alternative o nuovi fornitori eper questo sarà disposto anche a pagare un sovra-prezzo. Infine un elevato livello di soddisfazioneriscontrato in un cliente fa si che quest’ultimo non abbia motivi per cambiare il proprio fornitore, e garantiràuna continuità del rapporto nel tempo e conseguentemente delle vendite.Un cliente soddisfatto diventa, infatti spesso, un cliente abituale, con la conseguenza positiva di arrivaresia a conoscere meglio i suoi gusti e le sue abitudini,sia all’ottenimento della sua collaborazione, facilitandocosì la funzione di gestione clienti. I clienti soddisfatti incidono quindi positivamente sul patrimonioaziendale, riducendo i costi di acquisizione di nuovi clienti, migliorando l’immagine aziendale e migliorandoil clima fra i dipendenti; compiendo da un lato un passaparola positivo nei confronti di altre persone spessonon-clienti, dall’altro inviando segnali positivi che raggiungono il personale, che può così trovare in questiuna fonte di soddisfazione e di motivazione nel proprio lavoro. È facile intuire come tutti questi vantaggisiano perduti nel momento in cui un cliente risulta insoddisfatto; quando infatti ciò si verifica, oltre a unalogica diminuzione dei ricavi, si realizza automaticamente anche un deterioramento dell’immagine(passaparola negativo), che porta ad un aumento sia dei costi di conquista di nuovi clienti, sia di quelli diriconquista dei clienti rimasti. Tutto ciò inoltre, influisce in modo assolutamente negativo sulla morale ecredibilità dei dipendenti, arrivando il più delle volte alla loro sostituzione con il conseguente sostenimentodi ulteriori costi. Appare chiaro, alla luce di queste riflessioni, il collegamento tra customer satisfaction eposizione di mercato conseguibile dall’impresa/istituzione. L’interdipendenza concorrenziale si rivela,infatti, tanto minore quanto maggiore risulta la solidità dei motivi di preferenza indotti nella domanda, chesono soltanto l’esplicazione del giudizio formulato dai consumatori sul livello di soddisfazione che ciascunaalternativa di offerta è in grado di procurare. Le preferenze generate nella domanda si traducono inmeccanismi di isolamento capaci di ampliare le distanze concorrenziali, accrescendo nello stesso tempo ilpatrimonio di risorse immateriali attraverso il consolidamento della fedeltà dei clienti/consumatori,dell’immagine aziendale, delle relazioni tra impresa e mercato. La customer satisfaction si rivela, quindi,come la filosofia gestionale più idonea a favorire il sistematico incremento del patrimonio di risorseimmateriali, determinando in via diretta l’accrescimento delle risorse di fiducia basate sul sistema cognitivodei clienti interni, intermedi e finali (reputazione e immagine dell’azienda e dei suoi prodotti/servizi, fedeltà109


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeialla marca/istituzione, relazioni) e lo sviluppo della conoscenza, della creatività e del valore del capitaleeconomico.Chiarita la centralità della customer satisfaction ai fine della generazione di valore, si pone in primopiano il tema delle condizioni più idonee a favorirne una concreta interpretazione gestionale. Condizioni chepossono essere sintetizzate in alcuni principi di carattere generale (Nannicini, 2001):Fig. 2 Condizioni di concreta interpretazione della customer satisfactionDalla comunicazioneunidirezionaleall’interazioneDalla misurazioneoccasionale allamisurazione sistematicaDalla conoscenza tacita allaconoscenza esplicitaSviluppo della customersatisfactionDalle funzioni ai processicriticiDalla gerarchia alcoinvolgimento eall’autorganizzazioneDalla qualità al valore1.1. Dalla comunicazione unidirezionale all’interazioneL’abbandono del tradizionale approccio alla comunicazione rappresenta una condizione fondamentaleper lo sviluppo della customer satisfaction. La flessibilità produttiva dettata dalle nuove tecnologiedell’informazione può essere opportunamente valorizzata solo imparando a governare l’aumento dicomplessità dei rapporti tra domanda e offerta. I clienti/consumatori, da tempo non più legati alsoddisfacimento di bisogni relativamente elementari e standardizzati, pongono in essere processi sempre piùcomplessi in termini tecnologici, economici e linguistico-culturali. La cosiddetta “rivoluzione delleaspettative crescenti” (in termini di qualità-prezzo dei prodotti/servizi) e la crescente consapevolezza deicomportamenti di acquisto rendono inefficace ogni tipo di strategia rivolta alla riduzione del potenziale divarietà e variabilità espresso dalla domanda.Tutto questo implica lo sviluppo di adeguate capacità di interazione diretta con i clienti sia durante ilprocesso di scelta, che durante quello di utilizzo; infatti solo attraverso un intervento attivo nel processo diconsumo, da un punto di vista linguistico-culturale, finalizzato all’interiorizzazione del sistema cognitivo delcliente nei processi aziendali, possiamo arrivare all’attivazione completa del valore-utilità connesso allaflessibilità dell’offerta. Il cambiamento nella concezione/attuazione delle politiche di comunicazione èpertanto fondamentale e le caratteristiche dell’interazione (contestualità, sistematicità, reciprocoadattamento, identità riconoscibile e stabilità delle parti coinvolte) impongono lo sviluppo di strumenti ecapacità del tutto nuovi rispetto a quelli che si erano affermati nell’ambito del paradigma della produzione dimassa.1.2. Dalle funzioni ai processi criticiUno dei maggiori ostacoli allo sviluppo della customer satisfaction è spesso rappresentato dall’assenzadi una connessione tra le diverse funzioni, che induce ciascuna di esse a perseguire obiettivi propri, a volte inaperto contrasto con le esigenze del cliente.Per rimuovere questo ostacolo è necessario, focalizzare le energie aziendali sui processi critici da cuidipende il valore offerto al mercato, ampliando le interrelazioni organizzative e favorendo il coinvolgimentodi tutte le componenti aziendali nell’individuazione delle determinanti della soddisfazione del cliente e dellepossibili aree di miglioramento. La customer satisfaction è infatti frutto dello sforzo congiunto di tutto ilpersonale e non soltanto di chi è a contatto diretto con il cliente finale; ciascun membro dell’organizzazionedeve pertanto considerarsi come «partner di un network fornitore-cliente che forma una catena estesa in tuttal’azienda, partecipando all’avanzamento dei processi secondo una logica relazionale anziché preoccuparsisoltanto del successo della propria funzione» (Busacca, 1998). L’ottenimento di tutto questo, comportal’attuazione di interventi articolai come: «la ridefinizione dei criteri di divisione del lavoro, la modifica deisistemi di gestione delle risorse umane, la redistribuzione del potere organizzativo, l’attuazione di specificiprogrammi formativi, la gestione della comunicazione interna come processo sulla base di principi quali la110


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiparità informativa, la predisposizione all’ascolto, la valorizzazione del dialogo, l’orizzontalità dei processi diproduzione della conoscenza» (Comboni, 1994).1.3. Dalla gerarchia al coinvolgimento e all’auto-organizzazioneStrettamente connessa alle considerazioni precedenti è la necessità di infondere a tutti i livelliorganizzativi un senso forte di commitment, di impegno, di determinazione, affinché in tutte le scelteriguardanti la gestione strategica ed operativa trovino effettiva concretizzazione i valori della customersatisfaction. Il raggiungimento di un simile obiettivo si basa sulla capacità dei soggetti di elaborareautomaticamente risposte efficaci per i problemi che si presentano di volta in volta (Vicari, 1996),intervenendo su fattori quali partecipazione ai cambiamenti; coordinamento; competenze specifiche; criteridecisori sulla gestione del personale. La partecipazione diretta ai cambiamenti promuove una diagnosicongiunta tra tutto il personale sui problemi di customer satisfaction e il consenso verso un eventualeprogetto. Il coordinamento integra funzioni ed attività nel perseguimento della customer satisfaction,attraverso il lavoro di gruppo sui problemi più critici. Le competenze specifiche individuano e risolvono iproblemi creati da un <strong>nuovo</strong> modo di lavorare e soprattutto di orientarsi al cliente. Tali competenzesupportano un livello di empowerment necessario per assegnare ed assumere quelle responsabilità capaci difar tendere le energie dell’organizzazione verso la customer satisfaction. I criteri decisori di gestione delpersonale riguardano soprattutto modalità di progettazione delle mansioni, politiche di formazione delpersonale e, soprattutto, i sistemi di ricompensa, di carriera e di controllo delle performance che,incentivando comportamenti coerenti con i valori della customer satisfaction, si dimostrano indispensabiliper la creazione di un clima positivo e partecipativo.1.4. Dalla qualità al valoreUn’impresa orientata alla customer satisfaction passa da obiettivi zero product defect a obiettivi zerocustomer defect; ciò non significa però che la qualità intrinseca di beni e servizi sia irrilevante ai fini dellacustomer satisfaction, essa difatti attualmente, è una risorsa necessaria ma non più sufficiente per lo sviluppodelle risorse di fiducia quali immagine, fedeltà, relazioni (customer-based). Le scelte d’acquisto sonodeterminate infatti, sempre più da un’attenta valutazione del valore-utilità, tradibile dai prodotti/servizi,inteso come rapporto tra il loro valore d’uso (funzionale e simbolico) e tutti i costi di acquisizione dellostesso. La creazione di valore quindi, per il cliente presuppone la comprensione e il presidio della customervalue chain, ossia dei nessi cognitivi attraverso i quali il cliente identifica i prodotti/servizi (intesi comeinsiemi di attributi tangibili ed intangibili) con i benefici funzionali e simbolici che essi possono offrire.Ovviamente tutto questo è subordinato alla comprensione del sistema motivante, del sistema percettivo e delsistema valutativo del cliente, nonché al sistematico miglioramento dell’integrità dell’offerta attraversoazioni tattiche e strategiche.Quest’ultime in particolare devono essere rivolte a una maggiore personalizzazione dell’offertaattraverso strategie di micro-segmentazione e attraverso un intervento attivo dell’impresa nella diffusione deicodici e dei simboli da cui dipende il valore semantico dei comportamenti di consumo (Valdani, 1994). Perporre in essere queste azioni sarà necessario, per l’impresa, dotarsi di nuovi strumenti analitici e gestionali,rivedendo in quest’ottica tutti gli investimenti commerciali, il sistema informativo, e più in generale, l’interoprocesso di marketing.1.5. Dalla conoscenza tacita alla conoscenza esplicitaLa customer satisfaction è allo stesso tempo fonte e risultante del patrimonio di risorse di conoscenza edi fiducia dell’impresa. Questa centralità certamente le è riconosciuta a livello teorico, ma non sempre alivello operativo: «spesso il rapporto fra conoscenza esplicita e conoscenza tacita e di 1:9, cioè solo il 10%della knowlwdge base potenzialmente utilizzabile dall’impresa risulta realmente codificato e trasferibile»(De Leo, 1995).Questo pone in primo piano il tema dell’esplicitazione della conoscenza, che è strettamente connesso adalcuni principi: l’orientamento ai processi, il coinvolgimento e l’auto-organizzazione. Gli interventiorganizzativi sono infatti fondamentali per l’attivazione della spirale della conoscenza, basatasull’integrazione di competenze sia individuali che organizzative, e strutturata nelle seguenti quattromomenti: sviluppo della conoscenza soggettiva tacita attraverso l’osservazione continuativa della clientela,111


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeil’imitazione, la sperimentazione, la valorizzazione degli errori; conversione della conoscenza tacita inconoscenza esplicita, per facilitare la divulgazione e la condivisione a tutti i livelli organizzativi;sistematizzazione della conoscenza maturata e condivisa in procedure e metodologie idonee ad agevolarne iltrasferimento nei processi produttivi e di erogazione; internalizzazione da parte dei singoli del sapereincorporato nei prodotti/servizi.1.6. Dalla misurazione occasionale alla misurazione sistematicaRequisito essenziale affinché la customer satisfaction diventi un linguaggio organizzativo, è lacostruzione di un sistema di indicatori dal significato condiviso, atto a favorire l’interazione, l’allineamento eil coinvolgimento di tutti i soggetti coinvolti nella rete di relazioni dell’impresa/istituzione. Ciò impone alleimprese un cambiamento radicale dal punto di vista culturale e metodologico, che si traduce nellaconsapevolezza di dover affrontare la misurazione della customer satisfaction attraverso approcci nonriduzionistici, utilizzando cioè modelli concettuali e tecniche quantitative coerenti rispetto alle caratteristichedi multidimensionalità, soggettività e dinamismo della variabile oggetto di studio. Proprio in quest’ottica glistudiosi, da tempo, si sono trovati d’accordo sul ricorso a modelli focalizzati sull’analisi degli scostamentifra il sistema cognitivo dell’impresa e quello dei clienti, per cui un modello di analisi della customersatisfaction potrebbe essere rappresentato dal seguente (Nannicini, 2001):2. I tre momenti della customer satisfaction: seduzione, soddisfazione,fidelizzazione del clienteIl cliente costituisce la fonte primaria per il conseguimento di un vantaggio competitivo nel lungoperiodo, un servizio quindi sarà di alta qualità o di valore solo se ritenuto tale dal cliente verso cui è rivolto.In quest’ottica assume, quindi, fondamentale importanza la fase di acquisizione di un cliente e larelazione che conseguentemente viene a instaurarsi tra quest’ultimo e l’impresa.L’obiettivo principale di una qualsiasi attività (produttiva, di servizi e commerciale), è costituito dellacustomer satisfaction, anche se in realtà è più appropriato parlare di customer loyalty. La customer loyalty siraggiunge nel momento in cui una relazione viene ad essere basata su valori quali la lealtà e la totalecooperazione, massimo grado di fidelizzazione a cui possiamo aspirare nei confronti di un cliente;ovviamente il concetto di customer satisfacion è ampiamente compreso in quello di customer loyalty.Il raggiungimento della customer loyalty avviene attraverso quattro momenti identificati nella relazioneche, benché rappresentabili lungo un continuum, sono caratterizzate da differenti processi di valutazione. Ilcliente conduce tali valutazioni sulla base del valore percepito nell’offerta dell’impresa; un valore comparatocon le alternative di mercato, conosciute o sperimentate e che, in alcuni casi, nella prospettiva della teoriadell’equità viene confrontato con il valore che si ritiene l’impresa stia ottenendo dalla relazione di scambio.In sostanza, le determinanti del ciclo di vita della relazione, considerate le diverse configurazioni di valorepercepito dal cliente, sono (Costabile, 1996): il valore atteso, il valore percepito dopo l’acquisto o l’uso; ilvalore percepito in termini comparativi dopo le prime esperienze d’uso; il valore equità;Il valore atteso, in termini relativi, è il rapporto tra i benefici attesi e i costi che il soggetto ritiene didover sostenere per l’acquisizione e il godimento dei predetti benefici, la cui percezione è influenzata dalconfronto con le alternative disponibili, e dalla cui superiorità, percepita rispetto ai concorrenti conosciuti osperimentati, dipende la scelta d’acquisto.Il valore percepito dopo l’acquisto e l’uso, è generalmente rapportato al valore atteso, per derivarnesoddisfazione o insoddisfazione, e quindi adottato quale riferimento prevalente per valutare l’esperienzad’acquisto e di consumo in senso lato, e dunque l’impresa.Il valore percepito in termini comparativi dopo le prime esperienze d’uso, è confrontato con lealternative d’offerta prese in considerazione nel corso del ciclo di vita della relazione. Tale configurazioneviene denominata valore monadico per enfatizzarne la natura di soggettivismo estremo e dinamico. Si trattadi una percezione determinata dalla prospettiva strettamente individualistica del cliente (monade) checonduce la valutazione delle sue esperienze di consumo, e che nel tempo matura considerazioni del valoredifferenti proprio a seguito di tali esperienze. Le percezioni di valore monadico, infatti, derivano dalconfronto tra il valore sperimentato nel corso di uno o più riacquisti e il valore atteso dai concorrenti. Lacomparazione, in questi casi, avviene tra esperienze (certe) e aspettative (aleatorie). La percezione di valoremonadico, pertanto, ha quale riferimento l’offerta dell’impresa verso la quale si è dimostrato un112


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicomportamento di riacquisto, ed emerge dalla comparazione di tale valore con quello atteso dalle alternativedi mercato, più o meno accuratamente considerate, nell’ipotesi di transizione.Il valore equità, ossia il rapporto fra il valore che il cliente ritiene di aver ottenuto (rapporto fra output einput) e quello che ritiene di aver generato per l’impresa, nel corso della relazione. Tale configurazione vienedefinita valore diadico per evidenziarne l’essenziale natura di comparazione interna alla diade “clienteimpresa”,nella logica dello scambio sociale, e nella prospettiva dell’equità seriale (passata e prospettica)che si sviluppa in genere nel corso di una specifica relazione.La percezione e la rilevanza delle differenti, seppur correlate, configurazioni di valore sono, quindi,soggette a variazioni lungo il ciclo di vita della relazione, e le differenti forme di valore vengono valutate conmaggiore attenzione in alcuni stadi della relazione rispetto ad altri. La valutazione dell’equità, infatti, anchese viene effettivamente condotta ab inibitio, presenta una rilevanza limitata per le decisioni di acquisto - o diriacquisto - proprio a causa della contenuta autofiducia del cliente, ossia della bassa fiducia relativa allapropria capacità valutativa di tale configurazione di valore, almeno nelle prime fasi del ciclo di vita dellarelazione. Il processo elaborativo sull’equità, ossia sul valore diatico, verrebbe quindi attivato solo a seguitodi una consuetudine di rapporti, con l’istituzione e con i suoi prodotti, sufficiente a sviluppare livelli diapprendimento che rendono validi e affidabili le valutazioni sull’equità delle ragioni di scambio.Tali considerazioni inerenti alla percezione del valore diadico sono estensibili anche alle altreconfigurazione di valore. L’evoluzione normale delle valutazioni condotte dal cliente nelle diverse fasi delciclo di vita della relazione, prendendo in considerazione le variabili d’intervento e gli strumenticaratterizzanti ogni singola fase, sono: la seduzione; soddisfazione, fidelizzazione. La seduzione eacquisizione del cliente, riguardante la configurazione del valore atteso, proprio in termini di rapporto trabenefici attesi e costi che l’agente ritiene di dover sostenere per poter godere dei suddetti benefici. Lasoddisfazione e dell’accumulazone della fiducia, caratterizzata dal valore percepito dopo l’acquisto e l’uso,generalmente rapportato al valore atteso. La fidelizzazione può essere suddivisa, a sua volta, in tre sottomomenticonsequenziali: la fase della fedeltà comportamentale (valore monadico), la fase della fedeltàmentale (valore diadico), la fase della lealtà (il raggiungimento della customer loyalty: fiducia , valoremonadico e valore diadico).3. La seduzione del cliente3.1 La psicologia della seduzioneIl termine seduzione è considerato spesso e non a ragione sinonimo di inganno e tradimento, vocaboliquesti, che non riflettono in modo adeguato il vero significato di tale parola. Secondo il Garzanti, seduzionederiva da sed-ducere, dove il monferma sed significa “a parte”, e in questo senso seducere acquista ilsignificato di condurre in disparte, sviare. Tale monferma (sed) appartiene anche al termine sedizione,indicante una rivolta contro l’autorità costituita, ossia una sommossa pericolosa per l’ordine pubblico.Baudrillard, sulla base dell’origine comune di questi due termini, riesce ad evidenziare la forte caricarivoluzionaria implicita nella seduzione, ritenuta fonte di sovversione dell’ordine interno, della quotidianità edella linearità. Il seduttore conduce fuori dalla retta via, sebbene sia la più sicura (Saraval, 1989), sostituendoe sconvolgendo l’ordine di significati attribuiti alla realtà per sostituirvi i propri. La seduzione, perraggiungere questo obiettivo, utilizza strumenti quali il fascino e lo charme, dotati di un forte poteresuggestivo-ipnotico: fascino e charme. Fascino deriva da “fasciare per un’operazione magica” ed indicaun’influenza malefica effettuata mediante malia o incantesimo. Charme deriva da “carme”, ovvero formulamagica, incantesimo, e da “charmer”, ossia raggirare, incantare (Andreatta, 1989). Alla seduzione èriconosciuto un potere quasi soprannaturale che permette al seduttore di sviare e affascinare un soggetto (ilsedotto), facendogli provare un incanto e una magia che lo culleranno fino a farlo addormentare, rendendolovulnerabile ai desideri del seduttore (Saraval, 1989).Tutti questi elementi rendono la relazione di tipo deduttivo negativa, collocandola sul versante delmaligno e collegandola a termini quali ingannare, intrappolare, assoggettare, anche nel mondo greco anticola seduzione era collegata a interventi di forze soprannaturali demoniache che ipnotizzavano il soggettorendendolo oggetto (Carotenuto, 1994). Attualmente la questione della seduzione, non essendo piùconsiderata un peccato ma semplicemente un <strong>nuovo</strong> oggetto teorico, sta suscitando un interesse crescente tra113


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeile più svariate tipologie di intellettuali: dagli psicoanalisti, agli psicologi, agli antropologi e sociologi, nonchétra gli studiosi di materie economiche.Carotenuto sostiene, ad esempio, che la seduzione non è un’esperienza saltuaria, ma rappresenta unacostante dell’intera esistenza umana, è il modo di ciascun’individuo di entrare in contatto e di scoprire ilmondo che lo circonda. L’uomo durante il suo ciclo vitale viene continuamente sedotto, in particolarequando diventa adulto la seduzione assume i mille volti del desiderio: «le molteplici figure con le qualil’uomo popola il suo immaginario per padroneggiare la sua solitudine esistenziale, la sua condizione diindividuo che forgia forme e simboli, creando racconti per darsi un’identità e una collocazione nelmondo…..» (Carotenuto, 1994).A seguito della progressiva trasformazione da modalità di interazione con il mondo, in vera e propriastrategia manipolativa, si rende necessaria, più che nel passato, un’analisi approfondita della seduzione, equesto soprattutto in campo economico, dove tale analisi non è fondamentale soltanto nei confronti delcliente, ma anche nei confronti dei dipendenti, dei fornitori e di tutti coloro che ruotano intorno all’impresa(stakeholders), non essendo più sufficienti le vecchie tecniche autoritarie.In una condizione così diversa rispetto a quella passata, sono ovviamente necessari studi e tecnichecapaci di sviluppare un <strong>nuovo</strong> potere nei confronti del proprio interlocutore, ed è in quest’ottica che inumerosi studi sviluppati, hanno portato da un lato, alla conclusione che non esiste solo la seduzioneamorosa, e dall’altro alla consapevolezza che ciò che in realtà seduce di più l’individuo è legato alle idee,alle immagini e soprattutto ai segni e ai significati che stanno dietro alla sua personale proiezione del mondo(Carotenuto, 1994).La seduzione diventa così una sottile arte con cui il seduttore prima ancora di insediarsi nella realtà delsedotto, deve insediarsi nel suo immaginario, acquistando quelle valenze simboliche che fanno di luil’oggetto del desiderio dell’altro. Non ha importanza quello che viene inseguito, sia solo un desiderio oun’illusione non reali, la seduzione è comunque scintilla vitale dell’esistenza (Saraval, 1989).Inoltre, non esiste una sola forma di seduzione, così come non esiste un unico tipo di legame che sistabilisce tra i due soggetti in gioco, sebbene sia possibile trovare elementi che la caratterizzanocostantemente, come ad esempio la dinamica domanda-offerta che si instaura tra i soggetti che entrano ingioco, secondo cui il seduttore stimola un qualche desiderio nell’altro e, nel momento in cui quest’ultimocomincia a desiderare, si offre di rispondere. Inoltre il tipo di risposta desiderato e ottenuto varianotevolmente in funzione della posizione reciproca dei soggetti coinvolti. Su questa base è possibiledistinguere quattro tipologie di relazione seduttiva (Saraval, 1989): empatica, narcisistica, super-egoica,perversa.La seduzione empatica: caratterizzata dal fatto che il seduttore tende ad identificarsi emotivamente conl’altra persona e viceversa, tanto che i loro interessi diventano complementari, per cui la soddisfazione diquelli dell’uno è allo stesso tempo soddisfazione degli interessi dell’altro.La seduzione narcisistica: contraddistinta dal fatto che il seduttore e il sedotto si trovano su pianidiversi, perché mentre il primo mira esclusivamente a realizzare i propri desideri, non disdegnando diingannare il prossimo, il secondo si trova in una posizione fortemente alienante.La seduzione super-egoica: dove il seduttore per prima cosa individua empaticamente il desiderio didipendenza e protezione del sedotto, per poi offrirsi di soddisfarlo in cambio del riconoscimento dellapropria superiorità (relazione che si instaura tra servo e padrone, oppure tra allievo e maestro, dove i primisoggetti della coppia sottostanno ai secondi riconoscendoli come capi indiscussi).La seduzione perversa: caratterizzata dal fatto che il seduttore tende a stimolare nell’altro desideri chenon intende affatto soddisfare provocando una sorta di frustrazione a livello oggettuale e narcisistico. Inquesta tipologia di relazione seduttiva l’illusione volutamente creata dal seduttore verte inevitabilmente indelusione.Queste modalità seduttive non sono sempre categoricamente distinte le une dalle altre, ma possonopresentarsi tra loro combinate in termini di caratteristiche, oppure sovrapporsi nel tempo: ad esempio nelcampo della pubblicità si possono trovare sia tracce di seduzione empatica, laddove il coinvolgimento delpubblico in un messaggio in cui esso possa identificarsi è di fondamentale importanza (empatia), sia tracce diseduzione perversa, poiché in realtà non si ricerca la vera soddisfazione del cliente, ma solo unasoddisfazione temporanea, presto trasformata in insoddisfazione da sedare con una nuova offerta (Saraval,1989).Una qualità che accompagna costantemente qualsiasi tipo di seduttore, è quella secondo cui egli con isuoi accenni, con i suoi movimenti evasivi, con la sua strategia di presenza-assenza fa sempre una promessaall’altra parte, una promessa di appagamento dei suoi desideri, reali o indotti. Questo in una società114


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiconsumistica equivale ad una promessa che suona come: «se acquisterai questo prodotto, ciò dimostrerà latua importanza, il tuo essere speciale, diverso dalla massa senza volto in cui stai vivendo adesso eraggiungerai quell’importanza, bellezza, classe, forza o cos’altro desideri, propria di quei personaggi che lapubblicizzano, sarai finalmente qualcuno per me e per tutto il resto dell’umanità….» (Finkielkraut, 1981).È quindi, necessario spiegare perché il sedotto dovrebbe credere a tale promessa o a tale minaccia. Larisposta è che il seduttore svia il sedotto riuscendo abilmente a dare una tale definizione della situazione e deipossibili risultati, dove il primo appare come un compagno di squadra, come l’unica persona in grado dicomprendere, mettendosi nella possibilità di entrare nell’immaginario dell’altro. Una volta riuscito in questointento il seduttore è anche in grado di mobilitare interessi latenti fino ad allora non percepiti o addiritturainesistenti modificando così la scala di valori che è disposto ad abbandonarsi al seduttore-conquistatore, afare ciò che gli chiede, a dare informazioni strategicamente importanti e ad accordare la propria fiducia.Analizzando tale relazione dal lato del sedotto la prima cosa che viene evidenziata è la sua posizione divittima nei confronti del seduttore, in realtà però, la posizione del sedotto è assai più complessa. Infatti ilsoggetto in questione è disposto alla seduzione, in altri termini è come se fosse abitato da un desiderioinconscio di essere vulnerabile al seduttore. E proprio in questo senso il sedotto è in qualche modo complicedel gioco seduttivo, in lui si muovono componenti inconsce che si esplicano nel campo conscio ed emotivosottoforma di coinvolgimento con qualcuno e qualcosa che appartenga al mondo esterno. Inoltre questoqualcuno o qualcosa affascina perché viene arricchito di contenuti interni che chiedono ascolto, e disignificati/simboli che sono propri del soggetto con cui sono coinvolti. È così evidente come la seduzionedebba essere considerata, relazione collusiva tra seduttore e sedotto. Un’altra osservazione importante è latipologia di potere che deve essere attribuita alla seduzione. La seduzione, infatti, in quanto tale ha ilparticolare potere di persuadere, di manipolare, ovvero la capacità di modificare e influenzare ilcomportamento dell’altro soggetto disorientandolo e portandolo su un terreno ove l’unico punto fermo sia ilseduttore e l’oggetto seduttivo, dove l’esistente sedotto non ha più potere, ma è disorientato dal mistero chelo circonda e che lo rende impotente.3.2 Il legame oggettualeLa seduzione può essere analizzata anche da un altro punto di vista, ossia come modalità per creare unlegame oggettuale con l’oggetto deduttivo (legame oggettuale).A tale scopo utilizziamo un modello concettuale, utilizzato a suo tempo da Freud, che si basasull’individuazione di quattro elementi dell’unità pulsionale che, rapportati al legame oggettuale, possonocosì essere definiti (Spacal, 1989): fonte; modalità, oggetto, meta. La fonte del legame oggettuale è la realtàpsichica, è qui che prende forma il legame, dove l’oggetto del desiderio viene caricato di immagini,significati e segni interni. Spesso l’oggetto non è identificato con una valenza propria, ma bensì come sefosse uscito dal soggetto, come pura espressione dell’attività del soggetto stesso. La modalità o spinta dellegame oggettuale: è la tecnica relazione tra fonte ed oggetto che se da un lato è sintomatica della realtàpsichica, dall’altro lato è condizionata anche dalla realtà dell’oggetto, assumendo così funzione dimediazione tra fonte ed oggetto. L’oggetto del legame oggettuale: va considerato per la sua corrispondenza,il suo adattamento e quindi per la sua seducibilità nei confronti della realtà psichica del soggetto oppure perla sua rigidità, impenetrabilità o indisponibilità al legame. La meta del legame oggettuale: è ilraggiungimento del piacere, della soddisfazione della sicurezza o, per utilizzare una terminologia piùappropriata al campo economico, una riduzione della tensione dovuta all’avvertimento del bisogno stessosedata con l’acquisto. Però esiste un’altra meta molto importante in campo economico, rappresentata dallacapacità dell’oggetto di stimolarci e di combattere così la noia e monotonia. Il più delle volte l’uomopreferisce la caccia alla cattura, il che amplia notevolmente il campo d’azione del marketing e dei nuoviprodotti, in altre parole del cosiddetto consumo creativo, volto a privilegiare le motivazioni di progresso, diautorealizzazione e di crescita. Il <strong>nuovo</strong> consumatore compra un prodotto certamente per il suo uso, maancor più per il fascino e la magia che gli offre (Lambin, 1995).Particolarmente interessante è la fonte del legame ovvero il come e il perché l’oggetto seduttivo diventacosì importante da far sì che il sedotto permetta al seduttore di sviarlo, di incantarlo e affascinarlo. La societàodierna è una società caratterizzata dalla rapida evoluzione ed espansione del settore terziario, dovepredominano il settore informatico, l’alta tecnologia, l’innovazione e dove la manipolazione culturale ègiunta a livelli altissimi e assai raffinati, è la società dell’informazione e della comunicazione, da cuiscaturisce l’impellente necessità di sapersi districare tra codici e linguaggi simbolici (Secondulfo, 1990). Unsoggetto, qui ricerca continuamente una conferma della propria autostima, qualcuno o qualcosa su cui115


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiriflettere il proprio io, come in uno specchio. Inoltre tale soggetto avverte la necessità di associarsi a coluiche gode di potere, fama o carisma, ed è qui che intervene l’azione deduttiva di oggetti e persone cheidentificano la realtà nel suo particolare aspetto di comunicazione attraverso gli oggetti ed i beni di consumo.Emerge così la necessità di abilità diverse da quelle utilizzate nella società industriale, come, ad esempio, lacapacità di scambio, di relazione ed il possesso di competenze legate alla comunicazione, alla manipolazionedi linguaggi simbolici e alla capacità di persuasione alla collaborazione, necessarie per ottenere il consenso el’adesione degli altri ai propri scopi. Tutto ciò significa caricare ogni gesto, ogni appartenenza di significatiche vanno al di là della realtà ed arricchire gli oggetti di valori che oltrepassano la semplice utilitas cheimplica il loro uso.Quindi oltre al valore d’uso e di scambio, di un bene è opportuno considerare anche altri elementi qualiil valore di scambio/segno, il valore di consumo e il consumo autoriferito. Per capirne il significato ènecessario effettuare un’analisi fondata sul rapporto e sull’uso sociale degli oggetti, nonché sui bisogni chevanno a soddisfare (che sono classificati, da Maslow, in cinque tipologie: bisogni fisiologici come ilsostentamento, bisogni di sicurezza sia fisica che psicologica, bisogni sociali come il senso di appartenenzaad un gruppo, bisogni di stima come lo status sociale e maggior potere, bisogni di realizzazione, crescitapersonale) (Lambin, 1995). Quindi ad un prodotto devono essere attribuite diverse funzioni tra cui quella dicomunicare con l’ambiente e di instaurare un rapporto tra l’individuo e ciò che lo circonda, e ovviamente conse stesso.Inglehart, inoltre elabora una classificazione che distingue i bisogni fisiologici o materialisti (disicurezza e di sostentamento) da quelli sociali e di autorealizzazione o post-materialisti (bisogni estetici,intellettuali, di appartenenza e di stima), rispecchia in pieno l’evoluzione del contesto ambientale, ciòevidenzia il passaggio dalla società industriale alla post industriale caratterizzante i giorni nostri erappresentante il contesto/ambientale della presente analisi.Resta però da chiarire, con maggior precisione, il significato dei concetti di valore precedentementemenzionati (Secondulfo, 1990):valore d’uso, valore di scambio, valore di scambio segno, valore di consumo,valore di consumo autoriferito. Il valore d’uso viene definito come la capacità di un bene/prodotto disoddisfare i bisogni, ciò implica che tale valore riflette l’utilità di quel bene, indipendentemente da chi lo usae da ciò a cui serve, tuttavia Baudrillard afferma che l’utilità è un codice astratto, identificante un rapportosociale. Il valore di scambio: viene definito come la forma sociale del bene. È il lavoro incorporato nellemerci che determina la loro grandezza-valore, tanto che l’individuazione del valore di scambio corrispondealla delimitazione del lavoro astratto riferito al bene. Il sistema di scambio riflette così le caratteristichesociali del proprio lavoro come lavoro sociale e astratto, e non più soltanto fisico e materiale. Questo valore,come il precedente, racchiude in sé un rapporto sociale, soprattutto in un sistema consumistico dove i bisognisono lontani dal desiderio e dalle esigenze proprie dell’individuo, ma sono collegati ad utilità riflesse dallemerci. Il valore di scambio segno: è rapportato al sistema di stratificazione sociale, significa che attraversogli oggetti coloro che li possiedono esibiscono potere e prestigio, rimarcando la differenza con i gruppiconsiderati socialmente al di sotto del livello di riferimento prescelto. È il codice delle differenze che simuove secondo la dialettica identificazione-distinzione, per cui tramite gli oggetti di consumo e tramite illoro uso da un lato si affermano le differenze di status sociale e dall’altro vengono favoriti il senso diappartenenza e quello di identificazione degli individui ai gruppi di appartenenza o di riferimento(Secondulfo, 1990). Il valore consumo: si sviluppa nel campo affettivo-relazionale dove gli oggettiacquistano la valenza di accettazione o di rifiuto relazionale. Il bene ed il suo rituale di consumo divengonosempre più simbolo del legame con il gruppo, dell’inclusione o dell’esclusione dallo stesso così come il suouso e il suo scambio divengono segno del posto ricoperto dall’individuo all’interno del gruppo stesso. Ilconsumo autoriferito riflette un uso immateriale dei beni consumati in termini di proiezione/introiezione disignificati dal sé al sé, è come se gli oggetti funzionassero da amplificatori della propria personalità da unlato e da lenitori delle proprie paure e dei propri malesseri dall’altro (Secondulfo, 1990).Tale legame oggettuale può anche essere schematizzato:FONTE______________________realtà psichicaMODALITA’_________________tecnica relazionale sintomatica sia della realtà psichica che dallarealtà dell’oggettoOGGETTO META_____________piacere, soddisfazione di un bisogno.116


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiAnalizzando l’importanza dei prodotti sulla base di questo modello si può dedurre che è la realtàpsichica dell’individuo a caricare l’oggetto di significati che oltrepassano la realtà fisica attraverso unprocesso di astrazione della materialità fino all’estrapolazione di significati nuovi allo scopo di soddisfare ibisogni post-materialisti.Nell’esame della fonte del legame oggettuale, lo stratega prima di tutto deve così cercare dicomprendere come e perché un oggetto diventa un oggetto cosiddetto d’amore, quali sono le movenze e ibisogni che attivano quell’attribuzione di significati e quali sono le necessità prioritarie in quel determinatomomento o contesto e scegliere poi se soddisfarle, indurne di nuove o, entrambe le cose. Questo affinchésiano individuati gli aspetti su cui fondare l’attività deduttiva dell’oggetto, ossia fare in modo che ciòrisponda ai bisogni manifestati dal soggetto oppure ne sveli di nuovi. Lo stratega, inoltre, può operare nelcampo della meta del legame oggettuale, cercando di attribuire agli oggetti non tanto la funzione di“soddisfare un individuo”, ma esattamente il contrario, adoperandosi affinché ciascuno generi una serie dibisogni insaziabili e mai soddisfacibili (seduzione perversa dei prodotti) ed, allo stesso tempo, avvertiti comenecessari per la sopravvivenza, rendendo così in qualche modo i consumatori dipendenti da chi o che cosapossa renderli realizzabili.In definitiva è necessario individuare il modo migliore affinché il comportamento, la presentazione dellarichiesta o l’oggetto i vendita, siano tali che il destinatario del messaggio sia a tal punto affascinato eincantato da essere pronto a collaborare in ogni modo con il promotore del messaggio e per ottenere questotipo di adesione occorre sviluppare capacità idonee a svelare le movenze interne dell’individuo, a dissimularei veri intenti e rispondere alle esigenze individuate. Ma quali sono queste capacità?3.3 Le tecniche della seduzioneSguardo, voce, forma, modo di muoversi e di interagire, nonché capacità di ascolto sono strumenti ingrado di esercitare un fascino potente e misterioso; possono diventare gli elementi chiave di una vicenda diseduzione, così come il forte fascino e attrazione esercitato dalla forza segnica di cui un oggetto o unapersona sono caricati (Carotenuto, 1994). In ognuno di questi casi quello che è stato determinante per ilseduttore è l’abilità di insediarsi nell’immaginario di colui che vuole sedurre, il farsi evocatore delle sueimmagini interne, inconsce, apparire ai suoi occhi come l’ideale a cui non poter rinunciare, una sfida a cuinon poter non rispondere. Questa abilità di inserirsi nell’immaginario altrui implica, una serie di capacitàfondamentali che il seduttore deve possedere per dare un’immagine di sé idonea al suo ruolo come adesempio la sicurezza di sé (Papillon, 1994), la quale consente all’individuo di affrontare le situazioni piùdisparate, senza perdere la faccia e quindi la posizione conquistata nei confronti del sedotto, senzasmascherare i propri intenti e le manipolazioni poste in atto per ottenere i propri scopi. È quello che Goffmandefinisce il carattere di un individuo, la sua capacità di affrontare situazioni fatali, ossia consequenziali eproblematiche. Le forme e gli attributi più importanti del carattere sono il coraggio, la costanza, l’integrità, lacavalleria, la compostezza e la presenza di spirito ossia quella calma mentale e fisica che tanto oggi èrichiesta per affrontare ogni tipo di situazione.Tali attributi incantano ed affascinano il prossimo, perché sono doti che tutti vorrebbero possedere, chediffondono un’immagine del soggetto che lo fa apparire come colui che è in grado di rassicurare e al quale èutile associarsi per lenire le pene tipiche delle personalità narcisistiche sempre più diffuse nella società postindustriale.Si tratta quindi di creare un’immagine di sé, o dell’oggetto da vendere, capace di evocareimmagini interne o di rispondere ai bisogni latenti che chiedono di essere ascoltati.La prima impressione è quindi molto importante sia nell’incontro amoroso sia in quello d’affari, inquanto diviene poi difficile successivamente modificare l’immagine che si è creata nella mente di colui che èoggetto della seduzione. Questo è il motivo per cui tutti i manuali che trattano di tecniche di seduzioneparlano dell’importanza della stretta di mano, della prima frase, del modo in cui l’individuo è vestito e delmodo in cui si muove. Tutti concordano sull’importanza o meglio sulla preponderanza dello sguardo (nonsolo di quello languido, ma anche di quello indagatore probabilmente più determinante) e dalla capacità diascoltare attentamente (sia quello che viene detto al soggetto dal proprio interlocutore, sia quello chel’individuo viene a sapere dal soggetto che intende sedurre), sulle altre capacità, come sta a dimostrare ilfatto che i più grandi seduttori del mondo sono anche grandi ascoltatori degli occhi penetranti. Quindisguardo e capacità di ascolto sono forse i due skill più importanti.L’obiettivo principale del sedurre è influenzare il comportamento altrui, ispirare fiducia e catturarel’altro per ottenere il consenso e la cooperazione necessari per raggiungere i risultati desiderati, e lo sguardoe l’arte di ascoltare sono appunto gli strumenti fondamentali per l’ottenimento di detti risultati. È palese, che117


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiil potere e la forza sono due forme di influenza non più adeguate ed efficaci per costringere l’altro a fare ciòche il seduttore vuole, e comunque il loro utilizzo esclusivo nel lungo termine, conduce probabilmente glialtri a non collaborare o a non voler più stabilire dei rapporti con i propri interlocutori, che potevano essere,al contrario, assai vantaggiosi. È necessaria l’elaborazione di una nuova strategia per affrontare la situazioneche preveda un piano d’attacco diverso e cioè attaccare con la seduzione e la persuasione per ottenere unaforma di intesa che possa continuare fino a che l’individuo lo desidera. In tal caso la formula per il successodiviene:INFLUENZA = ATTENZIONE + FLESSIBILITÀdove per attenzione si intende la capacità di leggere un’altra persona, una situazione e i segnali che neprovengono, nonché la sensibilità alla comunicazione verbale e non (importanza degli skill di ascolto eosservazione), mentre per flessibilità si intende la capacità di assumere un atteggiamento appropriato,facendo attenzione agli indizi verbali e non provenienti dall’altro, ossia la capacità di capire il modo miglioreper influire su questo qualcuno adattando il proprio stile alla comunicazione dell’altro (Zuker, 1995).Gli occhi e lo sguardo sono da sempre i depositari di un fascino potente e misterioso a cui è difficilesottrarsi e in cui è facile perdersi. Il linguaggio degli sguardi è un modo per lanciare messaggi e per rivelare,o dissimulare, le intenzioni del soggetto, questi possono esercitare un potere quasi magnetico sugli altri ed èper questo motivo che i manuali sulla seduzione consigliano di esercitarsi molto a sfoderare sguardi languidio a tenere lo sguardo fisso su chi sta di fronte. Ma gli occhi come l’ascoltare, sono strumenti determinantianche perché: sono in grado di proiettare l’agente all’interno di un’altra persona per individuare i suoibisogni, i suoi desideri, le sue mancanze, informazioni fondamentali per il venditore che voglia creare unprodotto di successo, che voglia dimostrare che il suo bene è capace di soddisfare tali esigenze, ossiafacendo in modo che l’oggetto di seduzione faccia la promessa giusta, scatenando quell’attrazione fatale chesvia dalla retta via. Diventa così essenziale la capacità di prestare massima attenzione a quegli aspetti noncontrollabili della comunicazione e dell’atteggiamento altrui che sono assai più espressivi della realtàpsichica ed emozionale del soggetto, rispetto a quelli che sono manifestati in modo conscio.Rovesciando la medaglia, il seduttore deve essere in grado di dissimulare nel modo migliore possibile leproprie intenzioni e i propri fini, per evitare che l’altro possa servirsi delle stesse risorse di cui lui gode. Eglideve quindi porre attenzione agli altrui atteggiamenti corporei e comunicativi, ma anche ai propri, affinchénon comunichino ciò che l’individuo vuole tener celato.Tornando alle capacità di ascolto e di osservazione, e importante ricordare che, per ottenere leinformazioni che si desiderano, sarà necessario porre domande mirate e di precisazione per ottenere unquadro completo del contesto dell’individuo interlocutore.La finalità è quella di sviluppare un’intesa con il soggetto in questione, ossia sviluppare quel senso difiducia e benessere che ognuno prova quando si trova con qualcuno che lo apprezza, riuscendo così adabbassare le difese del soggetto e a renderlo percettivo alle altrui richieste: “il coinvolgimento è alla base diquest’intesa” (Zuker, 1995). Questa è una forma di interazione strategica, dove un individuo, il seduttore,interagisce con un altro, il sedotto, per conseguire un pagamento finale. Come tale, l’azione del seduttoredeve essere portata avanti in modo tale che questi sia sempre in grado di tenere sotto controllo le mosse e lerisorse, soprattutto psicologiche, dell’altro, nonché di disporre d’informazioni atte a conferirgli una posizionedi vantaggio sul sedotto, riuscendo così ad apparire in ogni momento come rispondente alla situazione(Goffman, 1971).Cruciale diviene la questione della credibilità, infatti, il soggetto che deve essere sedotto per ilraggiungimento dei propri fini (sia che si tratti di vendergli qualcosa, sia che si tratti di ottenere il suoconsenso) si accorge delle vere intenzioni del seduttore e si sentirà tradito e sarà assai disposto adassecondare i piani dell’altro. Si origina da qui l’importante arte di fare promesse e minacce nonché dicomportarsi in modo tale da ingenerare la certezza che un determinato corso d’azione verrà mantenuto tale.L’impegno dimostrato, l’attenzione riservata all’altro soggetto, il mostrare che anche il seduttore mette ingioco qualcosa sono strumenti di particolare importanza per raggiungere quella credibilità necessaria perporre in atto il gioco deduttivo. La strategia della seduzione è quindi un’arte difficile da praticare, ma non viè alcun dubbio sul fatto che se ben realizzata, può dare risultati assai più soddisfacenti di qualsiasi altrastrategia.4. La fase della soddisfazione e della fiducia118


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiUna qualsiasi relazione che venga ad istaurarsi fra cliente ed impresa ha sempre origine da una sceltache il primo opera sulla base di una preferenza suscitata da quanto offerto dalla seconda, preferenza spessofondata su una percezione di valore differenziale che il cliente ritiene di poter ottenere in seguito all’attod’acquisto e di consumo. La letteratura sul comportamento del consumatore ha, da sempre, elaborato modellidi analisi dei processi di scelta, e recentemente sono state condotte numerose ricerche sul concetto di valoreper il cliente e sulle sue principali componenti, sia razionali sia emozionali (Costabile, Lanza, 2000; eCastaldo, Botti, 1999). Può essere opportuno ricorrere ad una configurazione semplificata di valore per ilcliente identificata dal rapporto tra i benefici (B) e i sacrifici (S) percepiti in associazione e una data offerta(bene o servizio che sia):V = B/SIl valore per il cliente, secondo questa accezione, è definito dalla soggettiva percezione del rapporto tra ibenefici attesi dal prodotto e i diversi tipi di costo (sacrifici in senso lato) che devono essere sostenuti pergodere dei predetti benefici. In altri termini il valore emerge dal confronto fra i benefici di natura funzionalee psico-sociale (prevalentemente razionali, prevalentemente emozionali, oppure misti e quindi esperienziali)e le diverse categorie di costo che il cliente deve sostenere sia nei diversi momenti del processo di acquistosia in quelle che definiscono il ciclo di vita della relazione:Fig. 3 L’acquisto e ciclo di vita della relazione.Le canoniche fasi descrittive delcomportamento del consumatorePERCEZIONE DEL BISOGNOIl continuum relazionale che caratterizzail comportamento del clienteSOD<strong>DI</strong>SFAZIONERICERCA <strong>DELLE</strong> INFORMAZIONIFIDUCIAVALUTAZIONE <strong>DELLE</strong> ALTERNATIVEFEDELTÀ COMPORTAMENTALEDECISIONE D’ACQUISTOFEDELTA’ MENTALEVALUTAZIONE POST ACQUISTOLEALTA’In sostanza, il valore per il cliente è definibile esaminando e misurando, la catena di connessioni chelega il prodotto e i suoi attributi (tangibili ed intangibili) ai benefici ricercati, in modo esplicito o implicito.Da tale catena e dall’esame dei momenti del processo d’acquisto e del comportamento del cliente, è possibileidentificare le diverse categorie di costo che lo stesso deve sostenere per ottenere i benefici ricercati: costiinformativi, di reperimento o di accesso, cognitivi, emotivi, e così via (Costabile, 1996).La scelta d’acquisto, in genere, si fonda sulle aspettative differenziali di valore (Costabile, 1996), ossiasulla percezione di capacità dell’impresa nell’offrire i benefici ricercati in misura superiore rispetto aiconcorrenti, ed eventualmente anche su quella di equità, fra tali benefici e le componenti di onerosità che lamedesima impresa, direttamente o indirettamente, propone e richiede. In un primo momento il clienteeffettua una valutazione di equità grazie alla comparazione tra le offerte concorrenti, piuttosto cheall’approfondita analisi delle regioni di scambio, sulle quali, la sua conoscenza è in genere modestaspecialmente nelle momenti iniziali.119


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiI numerosi studi sulla customer satisfaction hanno dimostrato che dalla congruenza tra valore atteso evalore percepito (paradigma della disconferma), in seguito all’acquisto e all’esperienza d’uso, ha origine lapercezione di soddisfazione, con cui ha formalmente inizio il processo valutativo post-acquisto.Fig. 4 Lo sviluppo della relazione “soddisfazione-fiducia”.FIDUCIASOD<strong>DI</strong>SFAZIONEToT1VALORE ATTESO ACQUISTO VALORE PERCEPITOLa figura spiega il processo che, dal momento “T0” (quello della scelta) al momento “T1” (quello dellapositiva conferma delle aspettative di valore), da inizio al ciclo di vita della relazione. Infatti, lasoddisfazione (verso un oggetto o un individuo) rappresenta la percezione che alimenta il processo diformazione di un fondamentale atteggiamento: la fiducia (intesa come giudizio stabile circa le proprietà di unindividuo, di un’organizzazione o di un oggetto).Al primo acquisto che produce valutazioni di soddisfazione, seguono, in linea di principio, ulterioriacquisti, motivati dalla soddisfazione sperimentata. In termini economici, la percezione di soddisfazionerappresenta un “flusso”, prodotto a seguito di ogni interazione che il cliente ha con l’impresa, o con unospecifico prodotto dell’impresa; tale “flusso”, consapevolmente o inconsapevolmente, alimenta uno stock:“la fiducia”, intesa quale pregiudizio riguardante la capacità dell’impresa (o del prodotto, o della marca, odell’insegna,….) di offrire un valore congruo con quanto atteso. Ciò significa che le esperienze di acquisto econsumo caratterizzate da soddisfazione del cliente alimentano la tendenza al riacquisto.La dinamica “soddisfazione-riacquisto-soddisfazione”, quindi, favorisce l’accumulazione di unpatrimonio fiduciario (premessa per la successiva fidelizzazione), che ha valore tanto nella prospettiva delcliente (Vicari, 1991), quanto in quella dell’impresa verso cui è stato sviluppato (Busacca, 1994). In più se datali riacquisti l’esperienza “soddisfacente” viene ulteriormente confermata, il fenomeno di accumulazione dàorigine a livelli sempre più consistenti di fiducia e consente l’evoluzione della relazione verso la fedeltà.Bolton ha rilevato, ad esempio, che sulla correlazione fra soddisfazione e riacquisto esercita un significativoruolo d’influenza la longevità dei clienti. Infatti, coloro i quali hanno più esperienza, tendono a pesare di piùla soddisfazione e di meno l’insoddisfazione. Fenomeno che si può spiegare grazie alla “distorsioneconfermativa”, ossia alla maggiore probabilità che gli individui selezionino come rilevanti le informazioniche confermano le loro precedenti convinzioni, trascurando quelle che generano dissonanza (Bolton, 1999).Inoltre eventuali esperienze non soddisfacenti possono incidere sullo stock di fiducia precedentementecumulato con un peso asimmetrico rispetto ai flussi di soddisfazione. Tale asimmetria potrebbe esserespiegata ipotizzando che la soddisfazione agisca quale percezione di guadagno e l’insoddisfazione qualepercezione di perdita. Altresì è possibile affermare che la relazione tra flusso (soddisfazione) e stock (fiducia)non sia lineare, ma dipenda sia dall’intensità della positiva disconferma delle aspettative sia dalle modalitàcon le quali le percezioni di nuovi stimoli vengono elaborate (sotto il profilo cognitivo) e comparate con gliatteggiamenti e le convinzioni pre-esitenti. Solitamente la percezione di uno stimolo come la soddisfazione,dipende dal livello di comparazione considerato (per esempio il livello di soddisfazione offerto da altriprodotti, seppure non direttamente concorrenti) (Marzili, 1982), mentre la sua categorizzazione (per esempiola percezione e la memorizzazione di un valore nettamente superiore alle attese) dipende dalla grandezzadella distanza rispetto al valore (Nannicini, 2001).4.1 La qualità del prodotto-servizioLa soddisfazione richiama il concetto di qualità del prodotto-servizio. Nella qualità si confrontano duelogiche quella della qualità totale e quella della soddisfazione. Confronto che solo in parte è integrazione,ma che presenta anche elementi di profonda contrapposizione. Infatti la soddisfazione dell’utente sfugge percerti versi alla logica della qualità totale.120


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiAd una prima analisi la qualità totale è centrata riguarda soltanto i processi produttivi e i loro risultatima la soddisfazione si concentra sugli esiti che eccedono le capacità di controllo dell’impresa: la centralitàdella soddisfazione del cliente implica variabili che non rientrano nel controllo dei processo/i interessato/i.In effetti, ma solo per certi versi, la logica della qualità totale è in conflitto con quella della soddisfazione. Imetodi di misurazione della soddisfazione dell’utente portano il concetto di qualità lontano da parametritecnici e ingegneristici a mutabili psicologiche e cognitive. Ed una qualità del prodotto servizio che non è piùfunzionale all’uso di quanto il cliente non sia in grado di apprezzare è una qualità spesso scarsa. Una qualitàche è sicuramente più funzionale alla vendita e ai profitti dell’impresa che all’uso del prodotto da parte delcliente o al senso di eccellenza dell’impresa.Comunque, per altri versi, anche la soddisfazione è ben lontana dalla felicità o dalla realizzazioneesistenziale profonda. La customer satisfaction è uno stato psicologico superficiale che non interroga a fondoil cliente su quali siano i suoi reali bisogni o le proprie motivazioni al consumo. Come nella qualità totale lasoddisfazione dell’utente più che un profilo esistenziale di emancipazione del cliente è un metodo diorientamento del management. In ciò la customer satisfaction è la centralità dell’output in ottica di qualitàtotale che ricomprende anche il relativo processo a monte. La stessa norma ISO 8402 definisce la qualitàcome l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un servizio o di un prodotto tali da renderlo capace disoddisfare esigenze espresse o implicite.Inoltre, come esaminato più avanti, i metodi logici e statistici di interpretazione, progettazione eimplementazione sono praticamente gli stessi sia nella qualità totale, sia nella customer satisfaction.In effetti,anche storicamente, si può affermare che il rilievo teorico attribuito alla soddisfazione del cliente nelleimprese di servizi si sviluppi di pari passo con il diffondersi delle tecniche connesse alla qualità. Infatti,nonostante i diversi approcci alla qualità totale (tra cui TQM e QWQC), la soddisfazione del cliente è unodei cardini su cui ruotano i diversi corollari (Galgano, 1992, p.77).Il concetto di soddisfazione dell’utente del servizio è in ombra nella teoria della qualità fino alla finemetà degli anni ’50: la definizione qualità è solo la rispondenza ingegneristica di un prodotto alle specifichedel progetto e del prototipo mentre si trascurano le esigenze del cliente rinviandole implicitamente a un soloproblema di progettazione. (Aielli, Cavegnaghi, 1994, p.107). In termini di servizio ciò equivale allarispondenza a predefinite procedure operative di erogazione. Anche con in un successivo momentol’estensione delle logiche della qualità ai servizi è pesantemente influenzata dalla teoria industrialista cosìche l’attenzione è focalizzata sugli aspetti tecnici della fornitura del servizio (macchine a noleggio pulite,camere d’albergo funzionali, ecc.) e non sull’ottica del cliente. Si può dire che la stessa evoluzione delconcetto di qualità totale (QT) è legata alla estensione della immaterialità dei servizi alle imprese industriali.E’ infatti innegabile che indipendentemente dalle sistemazioni teoriche la cultura degli operatori di servizi è,da sempre, molto più orientata al cliente rispetto a quella dei colleghi industriali. E’ proprio la difficoltàintrinseca nella definire la qualità di un servizio rispetto ad un bene fisico prodotto che ribalta il problemaaprendo la porta al cliente.Il dato più rilevante è che qualità e soddisfazione del cliente si sviluppano di pari passo. Ma la qualitàsembra avere uno spettro per certi versi maggiore per altri minore rispetto alla soddisfazione del cliente.Maggiore in quanto in grado di riferirsi sia al soddisfacimento delle esigenze del cliente sia al rispetto dellespecifiche tecniche dettate internamente (Aielli, Cavegnaghi, 1994, p.105). “Il concetto di qualità comeaderenza alla specifica tecnica assume allora un ruolo strumentale rispetto a quello di qualità comesoddisfacimento delle esigenze del cliente, evidenziando come queste due prospettive siano nella realtàcomplementari e non alternative” (Ciappei, Giusti, 1997, p.109).Una vera cultura della qualità a tutto tondo, invece, pone al centro dell’attenzione l’educazionedell’utente a percepire quei caratteri, spesso sottili, che fanno apprezzare il prodotto-servzio anche al di là deicaratteri funzionali dando, anche nel consumo potenzialmente banale, un appagamento derivantedall’autorealizzazione di una relazione tra conoscenza ed esperienza del prodotto-servizio. Chi miraveramente alla qualità del prodotto porta le logiche del miglioramento continuo al di fuori delle muradell’impresa o della stessa filiera produttiva per educare il consumatore. Un educazione al consumo diqualità che se non mira direttamente alla emancipazione dei modelli di consumo del cliente sia in grado difar apprezzare gli sforzi di miglioramento interno e generi valore. Se il valore è apprezzamento relazionaleallora l’educazione del cliente all’apprezzamento è il presupposto indefettibile alla creazione di ricchezza nelconsumo di qualità.4.2 La misurazione sistematica della soddisfazione121


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl passaggio da un contesto di occasionalità percettiva ad uno di sistematica rilevazione del grado disoddisfazione comporta un certo cambiamento di ottica. In effetti la soddisfazione del cliente più che un datoreale, legato indissolubilmente alla condizione esistenziale della persona utente, è utilizzata comeorientamento del management al servizio desiderato dal cliente.Dall’esigenza di sistematicità nella gestione della qualità in funzione della soddisfazione si sviluppanouna serie di dottrineSecondo Eiglier e Langeard (1988, p.122) “il servizio di buona qualità è quello che, in una datasituazione, soddisfa il cliente”. La qualità è valore soggettivo percettivamente rilevata dal cliente ecaratterizzata da un’elevata contestualità. La soddisfazione percepita, inoltre, secondo gli autori, dipende dalconfronto con le proprie attese, dal livello qualitativo dei diversi servizi elementari (componenti del servizioglobale), dal loro assetto nell’ambito della prestazione generale, dalla qualità delle componenti di ogniservizio elementare (supporto fisico, personale, interazione con il cliente). Ma la qualità del servizio riguardaanche aspetti più oggettivabili come la prestazione in sé vista in termini di: di risultati conseguiti; dicaratteristiche del processo di “servuction”; di elementi interagenti del sistema d’erogazione (1988, p.45). Siè qui di fronte ad una visione dicotomica della qualità: oggettiva e soggettiva. Riferendosi piùoggettivamente agli elementi fisici del sistema d’erogazione, assoggettabili a controlli in una fase precedentealla prestazione e più soggettivamente al grado di soddisfazione del cliente, come esito della qualitàpercepita, delle valutazioni effettuate dal cliente (1988, p.121).Normann (1985, p.36) si concentra, invece sull’aspetto soggettivo della soddisfazione percettivamenterilevata nel già ricordato “momento della verità”: prestazione, solitamente quella finale, in cui il clienteinteragisce col personale di contatto usufruendo del servizio. La visione fortemente soggettiva dell’autoreconcentra l’attenzione sulle componenti umane del servizio, e supporta l’idea di una elevata discrezionalitànel contatto.Gronroos (1994, p.68) ripropone invece una distinzione, in termini fortemente commerciali, tra dueaspetti qualitative: quello funzionale, modo (che chi scrive equipara a una sorta di pakaging) in cui laprestazione è fornita (atteggiamento del personale, facilità di accesso, ecc.) e quella tecnica, ossia ciò che ilcliente effettivamente acquisisce.Da più parti, soprattutto in Italia, si propone il modello di quantificazione del valore per i clienti esterniin senso stretto significa fornire un sistema di offerta che renda positivo lo spread risultante dalla differenzatra il valore d’uso percepito e quello atteso (Guido P., 1995, p. 83 e segg.). Il valore d’uso percepito è ilvalore netto che il cliente avverte di ricevere quando, attraverso il processo di distribuzione o di erogazione,entra nella disponibilità del sistema di offerta dell’impresa. Esso è espresso dalla seguente relazione:VUP = Bp – CpDove: VUP = valore d’uso percepito dal cliente;Bp = benefici percepiti dal cliente;Cp = costi sostenuti dal cliente.I costi sostenuti sono dati dall’insieme dei sacrifici che il compratore sopporta per entrare nelladisponibilità del sistema di offerta dell’impresa. Sono costi non solo le spese monetarie, ma anche tutti icosti-opportunità che il cliente sostiene per i tempi di attesa, lo sforzo fisico, i disservizi o i danni fisiciconnessi al processo di acquisto e uso del servizio. In termini analitici abbiamo:Cp = Cm + Codove: Cm = costo monetario eCo = costo opportunità.Il valore atteso corrisponde al valore netto che il cliente si aspetta di ricevere entrando nelladisponibilità del sistema di offerta. La relazione che lo esprime è:Dove: VA= valore atteso;Ba = benefici attesi dal cliente;Ca = costi attesi dal cliente.VA = Ba – Ca122


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl valore d’uso percepito ed il valore atteso possono essere legati alla soddisfazione del cliente nel modoseguente:S = VUP – VADove: S = soddisfazione del cliente;VUP= valore d’uso percepito;VA= valore atteso.Oppure, equivalentemente, con l’espressione:S = (Bp - Cp) - (Ba - Ca)L’acquirente può ritenersi soddisfatto quando 0≤S oppure 1≤S, ossia ogni volta che il valore d’usopercepito (VUP) è maggiore o uguale al valore atteso (VA). Tale appagamento può essere definito“soddisfazione assoluta”. Per valutare la soddisfazione prodotta dal sistema di offerta dell’impresa neiconfronti dei propri clienti comparativamente a quello creato dai concorrenti, è necessario definire la“soddisfazione comparata”. Una sua misura è data dalla differenza tra la “soddisfazione assoluta” realizzatadal sistema di offerta dell’impresa e quella prodotta dalle imprese concorrenti. Una determinazionealternativa della “soddisfazione comparata” potrebbe essere quella di confrontare la “soddisfazione assoluta”del sistema di offerta delle imprese concorrenti con quelle ritenute più importanti (Cantone L.A.N., 1996, pp.35 e segg.). L’impresa acquisisce un vantaggio competitivo duraturo sul mercato, quando il proprio sistemadi offerta produce un livello di soddisfazione (spread positivo) più elevato di quello generato dai complessidi proposte alternative erogate dalle imprese concorrenti. Pertanto, l’obiettivo dell’impresa è quello diprodurre e massimizzare la soddisfazione per i propri clienti comparativamente ai sistemi di offerta deiconcorrenti. Per conseguire la massimizzazione del valore d’uso percepito, le strategie customer value-baseddell’impresa possono essere finalizzate ad aumentare i benefici percepiti dai clienti, o a ridurre i costi da essisostenuti, oppure a combinare in modo adeguato entrambe le opzioni. Il posizionamento vincente del sistemadi offerta di un’impresa, quindi, è quello che assicura ai clienti esterni la migliore combinazione beneficicostipercepiti, comparativamente a quella dei sistemi di offerta dei concorrenti. Il posizionamento de factodel sistema di offerta dell’impresa e dei concorrenti sul mercato va però analizzato alla luce delle aspettativedi valore dei clienti: il valore atteso consente infatti di misurare, per ciascun sistema di offerta alternativo, ilgrado di soddisfazione-insoddisfazione dei clienti e il vantaggio-svantaggio competitivo dell’impresa verso iconcorrenti. Poiché la soddisfazione dei clienti si ottiene quando il valore d’uso percepito è maggiore ouguale alla qualità attesa, il posizionamento competitivo delle imprese può essere ottimizzato agendo anchesui fattori che determinano il valore atteso: le scelte di acquisto e la soddisfazione da esse prodotta si basanosulle aspettative di valore che vengono attribuite ad ogni sistema di offerta alternativo. Il valore atteso, nellapercezione del mercato, è funzione delle eventuali esperienze precedenti dei clienti, delle loro caratteristicheed esigenze, degli stimoli esterni. Sotto quest’ultimo aspetto, le imprese possono influenzare il valore attesoattraverso l’azione di marketing, in particolare tramite la comunicazione al mercato, al fine di raggiungeredue obiettivi: 1. acquisire un posizionamento differenziale nelle percezioni del mercato, agendo sui fattoriche influenzano il valore atteso attribuito dal cliente al sistema di offerta; 2. evitare la formazione sulmercato di aspettative troppo elevate e non compatibili con il sistema di offerta e di produzione-erogazionedell’impresa che possono creare insoddisfazione nei clienti. Nel primo caso, il valore atteso percepito daiclienti rende il sistema di offerta dell’impresa poco attraente rispetto a quelli concorrenti: è allora necessarioporre in essere azioni volte a modificare le aspettative di valore attribuite a quel sistema di offerta, in mododa aumentarne l’attrattività comparativamente ai sistemi offerti dai concorrenti. Ciò significa, dunque, agirein modo da aumentare VA e ridurre il gap di soddisfazione rispetto ai competitori. Nel secondo caso, invece,il sistema di offerta dell’impresa genera insoddisfazione nei clienti in seguito al processo di erogazione:l’azione dell’azienda deve essere volta, quindi, a ridurre il gap fra le aspettative di valore dei clienti (valoreatteso) e la qualità che effettivamente entra nella loro disponibilità. A tal fine è necessario: a) verificare se ilvalore atteso dei clienti è compatibile con il sistema di offerta e di produzione-erogazione attualedell’impresa. Nell’ipotesi negativa, o si adegua il complesso di proposta e di fabbricazione-fornituradell’azienda, in modo da innalzare la performance ai livelli attesi, o si ridimensionano le aspettative di valorenella percezione del mercato, riportandole a livelli più coerenti con il sistema di produzione-erogazione123


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiattuale; b) verificare se il valore effettivamente erogato risulta inferiore alle attese a causa di incoerenze nelprocesso di creazione della qualità per il cliente; in tal caso è necessario individuare le carenze ed eliminarle.Ben più articolato è il modello Berry e Parasuraman (1991, p.15) che individua cinque elementi digiudizio della qualità del servizio da parte del cliente: l’affidabilità, elemento fondamentale per il giudizio diqualità, gli aspetti tangibili, la capacità di risposta, la capacità di rassicurazione, l’empatia, ossia la capacitàdi fornire al cliente cure e attenzioni. Modello sistematizzato anche con il contributo di Zeithaml nelSERVQUAL, sviluppato per confrontare dei gap tra le prestazioni offerte e quelle attese dai clienti.Ben più articolato è il modello Berry e Parasuraman (1991, p.15) che individua cinque elementi digiudizio della qualità del servizio da parte del cliente: l’affidabilità, elemento fondamentale per il giudizio diqualità, gli aspetti tangibili, la capacità di risposta, la capacità di rassicurazione, l’empatia, ossia la capacitàdi fornire al cliente cure e attenzioni. Modello sistematizzato anche con il contributo di Zeithaml nelSERVQUAL, sviluppato per confrontare dei gap tra le prestazioni offerte e quelle attese dai clientiFig. 5 Il modello della qualità dei servizi secondo Parasuraman, Zeithaml, BerryComunicazioniverbaliEsigenzepersonaliEsperienzapassataGap 5Servizio attesoonsumatoreServiziopercepitoOfferta diserviziFornitura delservizioGap 4Comunicazioniesterne aiconsumatoriGap 3Gap 1Gap 2Traduzione dellepercez. inspecifiche delservizioPercezione delmanagement delleaspettative delcliente4.3 Un primo tentativo ricostruttivo a quattro gap del prodotto-servizioNel modello proposto è possibile individuare quattro principali gap tra nella generazione del prodottoserviziopercepito dal cliente e precisamente:- il gap nella individuazione dei desideri del cliente;- il gap tra quanto percepito da management riguardo i desideri del cliente e quanto progettato;- il gap tra quanto progettato e quanto realmente erogato;124


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei- il gap tra la percezione della prestazione e la prestazione stessa da parte dell’impresa.Il gap nella individuazione dei desideri del cliente, può derivare dall’incapacità del managementnell’individuare le esigenze precise del cliente o da una erronea definizione, da parte dei dirigenti, dellepriorità nelle esigenze dei clienti.L’incapacità del management nell’individuare, con esattezza, le esigenze del cliente, a sua volta, puòessere determinata da: scarso orientamento dell’impresa al mercato per comprendere le esigenze dei clientifinali; scarsa comunicazione all’interno della struttura aziendale anche per l’eccessivo numero di livelligerarchici; difficoltà, da parte dei clienti, nell’esprimere e comunicare i propri desiderata. Il superamento diquesto gap passa nell’osservazione e nell’ascolto dei propri clienti creando un rapporto di “comakership”(Ciappei, Neri, 1998, p.21).Figura 6 Il primo gap e le sue fontiScarsa comunicazioneinterna all’impresa epresenza di un numeroeccessivo di livelligerarchiciScarsoorient.todell’impresaal mercatoDifficoltà dei clientinell’esprimere ecomunicare i propridesideriIncapacità delmercatonell’individuarele esigenze delclienteGap 1Serviziodesideratodal clientePercez. delmanag. deidesideri delclienteErronea defin.delmanagementdelle prioritànelle esigenzedei clientiIl gap tra quanto percepito da management riguardo i desideri del cliente e quanto progettato, puòverificarsi quando: l’apparato non si impegna a sufficienza nel realizzare un prodotto-servizio di qualità (adesempio per l’attenzione posta quasi esclusivamente su parametri di performance economico-finanziari dibreve periodo come, ad esempio, dei tagli ai costi); difficoltà oggettive nella prestazione di un prodottoserviziodi qualità (il fornitore del prodotto-servizio, pur ritenendo importante, se non fondamentale, fornireun prodotto-servizio di qualità, si rende conto della difficoltà nel realizzarlo); insufficiente possibilità diprogettazione del prodotto-servizio.125


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFigura 7 Il secondo gap e le sue fontiLa struttura direzionale nonsi impegna nel realizzare unservizio di qualitàIl fornitore delservizio si rendeconto delladifficoltà nelrealizzare unservizio di qualitàGap 2Percez. delmanag. deidesideri delclienteInsufficientepossibilità diprogettare ilservizioServizioprogettatoIl gap tra quanto progettato e quanto realmente erogato si verifica quando non si riesce a realizzare lecorrette specifiche di risultato e di processo espresse dalla progettazione. Tale divario è spesso, legatoall’incapacità o volontà del personale dell’impresa di raggiungere standard fissati dal management in base aidesideri dei clienti. Le cause possibili del gap in questione possono, dunque, essere causate da: insufficienzadelle risorse disponibili; assenza o carenza di un sistema di controllo e di incentivazione basato su parametriqualitativi; mancanza di chiarezza nei ruoli del personale e conseguente inattività, esistenza di un conflitto diruoli; possibilità che il personale ritenga di non poter soddisfare contemporaneamente tutte le richieste deiclienti.Un tentativo di riduzione di tale gap può derivare da un intervento simultaneo su tre principali fronti(Valdani, Busacca, 1992, p.23): una diagnosi congiunta tra tutto il personale dei problemi di soddisfazionedei clienti; un adeguato coordinamento attraverso, ad esempio, il lavoro di gruppo, specialmente sui problemipiù critici; un miglior sistema di selezione, formazione e incentivazione.Figura 8 Il terzo gap e le sue fontiAssenza o insufficienza di unsistema di controllo qualitativoInsufficienzadelle risorsedisponibiliGap 3Servizio erogatoServizioprogettatoMancanza dichiarezza nei ruolidel personale econseguenteinattivitàEsistenza di un conflitto diruoli126


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl gap tra la percezione della prestazione e la prestazione stessa da parte dell’impresa è di piùcomplessa interpretazione in quanto dipende da una molteplicità di fattori quali: il filtro dell’immagine, lapresenza di intermediari; la partecipazione del cliente; la non piena comprensione da parte del cliente dellaqualità della prestazione ricevuta (per ignoranza del prodotto-servizio o scarsa preparazione tecnica);un’errata realizzazione delle politiche di comunicazione aziendale (messaggi non coerenti con gli obiettiviperseguiti dall’impresa); una dissonanza tra le strutture cognitive dei clienti e le comunicazioni da essiricevute, (con attivazione di meccanismi di percezione selettiva suscettibili di vanificare lo sforzoinformativo sostenuto dall’impresa) (Valdani, Busacca, 1992, p.18).Più in generale il cliente sente, infatti, spesso, la necessità di mantenere un certo grado di consonanza trale sue componenti cognitive che definiscono la struttura dei comportamenti, evitando l’esposizione adinformazioni potenzialmente “destabilizzanti”. Si ha così, una percezione selettiva dei messaggi volta arimuovere quelli il cui contenuto contrasta con il suo sistema consolidato di valori, convinzioni edatteggiamenti.Figura 9 Il quarto gap e le sue fontiPartecipazione delcliente/Immagine/IntermediariIl cliente nonconosce a fondo ilservizio o non ha lapreparazionetecnica necessariaGap 4Serviziopercepito dalclienteServizioerogatoErratarealizzazionedelle politiche dicomunicazioneaziendaleDissonanza tra strutturacognitiva dei clienti e lecomunicazioni da essi ricevute4.4 Un modello a otto gap nella soddisfazione del clienteIl modello a sei gap è una evoluzione di quello appena esaminato e presenta, al di là di nominalistichedifferenze, due elementi innovativi: considera direttamente la soddisfazione e non il prodotto-servizio da cuideriva; e scinde la posizione dei manager dalla posizione del personale nella interpretazione, progettazione eimplementazione del prodotto-servizio.Anche secondo questo modello l’analisi della customer satisfaction è incentrata sulla verifica dellaconsonanza esistente tra la soddisfazione pianificata dal management, la soddisfazione desiderata dal cliente,la soddisfazione recepita dal personale, la soddisfazione offerta dall’impresa e la soddisfazione percepita dalcliente. La presenza di eventuali scostamenti tra questi elementi si riflette ovviamente in modo negativo sullivello di customer satisfaction.Dal modello ivi riportato si estrapolano otto tipologie fondamentali di scostamento strettamentecorrelate, al punto che per una corretta identificazione delle cause ad esse sottostanti e per una loro giustaquantificazione, non si può prescindere dalla disamina delle reciproche interrelazioni di casualità. Questi gapsono di: sintonia; di valore, di percezione di allineamento; di realizzazione; di coinvolgimento; diconsonanza.127


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 10 Modello di analisi della customer satisfaction.Soddisfazione desideratadal management(1)Gap disintoniaSoddisfazionedesiderata dal cliente(7)Gap dicoinvolgimento(6)Gap direalizzazione(4)Gap diallineamentoSoddisfazione offerta dall’impresa(2)Gap divalore(5)Gap diprogettazione(3)Gap dipercezioneSoddisfazione recepita dalpersonale(8)Gap diconsonanzaSoddisfazionePercepita dal clienteIl gap di sintonia coincide con lo sviluppo di un prodotto o di un prodotto-servizio di successo, chedipende a sua volta dalla capacità dell’impresa di analizzare in profondità il sistema di aspettative e dipreferenze dei clienti, individuando e soddisfacendo le esigenze funzionali e simboliche da essi palesate. Iconsumatori, infatti, non ricercano prodotti o servizi, ma soluzioni ai propri problemi; e proprio su questidovrebbero concentrarsi gli sforzi innovativi delle imprese. Nessuna impresa dovrebbe quindi iniziare unaqualsiasi attività ignorando i benefici ricercati dalla domanda.L’incapacità di interpretare e definire correttamente i bisogni della domanda, formulando un concetto diprodotto o di prodotto-servizio idoneo a garantirne il soddisfacimento, costituisce una determinatefondamentale dell’insoddisfazione dei clienti e quindi della perdita di valore del patrimonio aziendale dirisorse tangibili e intangibili. La rilevazione del gap di sintonia implica così, la verifica dell’allineamentodell’offerta rispetto alle esigenze e alle aspettative dei clienti, verifica che presuppone l’analisi sistematicadelle tendenze evolutive del rapporto domanda-offerta, ed in particolare: la valutazione della segmentazionedella domanda; la determinazione della aderenza del portafoglio prodotti-servzi ai gusti dell’utenza. Lavalutazione della natura segmentata della domanda avviene sia a livello di orientamenti valoriali ecomportamentali (macro segmentazione), sia a livello di benefici ricercati e di sensibilità alle diversecomponenti dell’offerta (micro segmentazione). La determinazione dell’aderenza del portafoglioprodotti/servizi alle molteplici configurazioni dei gusti è l’accertamento di una coerenza tra gli obiettivi diposizionamento e di differenziazione perseguiti (soddisfazione pianificata dal management) e gli aggregatidi preferenze (soddisfazione desiderata dal cliente). Il conseguimento di questi obiettivi è subordinatoall’esistenza di un efficace orientamento al mercato, e ciò implica, da un punto di vista metodologico ilricorso a ricerche di marketing qualitative e quantitative (come indagini psicografiche, analisi diposizionamento, concept testing, test di mercato, focus group e ricerche motivazionali) (Nannicini, 2001). Ilgap di sintonia però, pur derivando in generale da una conoscenza poco approfondita della clientela, è dovuto128


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeia tre cause specifiche: esigenze altamente differenziate; difficoltà di espressione di bisogni latenti; presenzadi esigenze mutevoli e aspettative crescenti.Una prima causa del gap di sintonia può essere rintracciata in clienti che mostrano esigenze altamentedifferenziate, dando vita ad una domanda complessa e articolata. La tendenza ad ignorare la diversità deibisogni espressi dai clienti è una delle cause principali di questo gap e del progressivo indebolimento dellaposizione concorrenziale. L’acquisizione di un vantaggio competitivo sostenibile è infatti anche direttaconseguenza della capacità di segmentare creativamente il mercato. Il momento della segmentazionerappresenta così per l’impresa occasione per selezionare il proprio territorio concorrenziale coerentementealle capacità distintive possedute. Quindi, qualora il gap di sintonia dipenda da un’inadeguatasegmentazione, l’impresa dovrà affinare le proprie abilità di analisi del consumatore, e realizzare unasegmentazione basandosi su fattori causali (come valori condivisi, benefici attesi, localizzazione dei profili fiofferta ideali, percezioni di utilità), attraverso l’adozione di tecniche di indagine capaci di rispettare lacomplessità dei meccanismi di formazione delle preferenze.Secondariamente nel gap di sintonia i clienti possono incontrare difficoltà ad esprimere e comunicare ipropri bisogni e desideri. L’individuazione dei bisogni e desideri dei clienti richiede ricerche approfondite econtinuative, tuttavia il più delle volte le imprese basano le proprie strategie di sviluppo dell’offerta, suconoscenze assai superficiali o peggio, su conoscenze precostituite in relazione ai bisogni attuali, incipienti elatenti della clientela. Vi sono aziende che addirittura decidono cosa desiderino i propri clienti ancora primadi porsi tale interrogativo, partendo dalla convinzione che i consumatori apprezzino esclusivamente ibenefici offerti dal prodotto o dal servizio, convincimento che li induce a realizzare prodotti e serviziconformi alle proprie aspettative, ma non a quelle della clientela. Vi è quindi una difficoltà evidente, nelcomprendere a fondo le esigenze della clientela, attuale e potenziale, durante la realizzazione di un <strong>nuovo</strong>prodotto o servizio e la definizione delle politiche di marketing idonee a supportarne l’introduzione delmercato. Difficoltà che cresce allorché l’impresa desideri perseguire un progetto di innovazione radicale enon disponga di alcun punto di riferimento. La capacità dei consumatori, infatti, di esprimere i beneficifunzionali e simbolici ricercati, orientando così il processo di sviluppo dell’offerta, risulta molto ridottaqualora essi non conoscano cosa sia tecnologicamente possibile. Le percezioni che i consumatori hanno deipropri bisogni sono ristrette al già conosciuto, ai prodotti e servizi appartenenti agli schemi cognitiviconsolidati. Le imprese innovatrici di successo affrontano questa causa del gap di sintonia dedicandonotevoli risorse all’osservazione e all’ascolto dei propri clienti. Tali imprese cercano di creare un rapporto dipartnership con la clientela, coinvolgendola nel processo di sviluppo dell’offerta e cooperando con essa allaricerca di soluzioni tecnologiche reciprocamente vantaggiose. Queste relazioni rappresentano una delle piùimportanti risorse immateriali dell’impresa, anche per il conseguimento di economie di velocità, permettendodi individuare opportunità di mercato in anticipo rispetto alla concorrenza.In terzo luogo, sempre nel gap di sintonia, i clienti possono manifestare esigenze mutevoli ed aspettativecrescenti. Le aspettative espresse dal mercato tendono a modificarsi sempre più rapidamente proprio inrelazione alle tendenze evolutive. I cambiamenti nella domanda che, più esigente ed esperta, ricerca prodottie servizi di maggior valore, sono riconducibili a mutamenti nelle macro variabili economiche e socio-cultualie ai continui miglioramenti apportati dalle imprese ai prodotti o servizi offerti. Il gap di sintonia così, viene adipendere dalla poca attenzione posta dalle imprese verso tali cambiamenti, che riducono il ciclo di vita e lacompetitività dei prodotti e dei servizi, rendendoli obsoleti e incapaci di soddisfare la crescente varietà evariabilità dei benefici ricercati. Questo è ancor più evidente, in quelle imprese che godendo di posizionimonopolistiche tendono a ridurre gli investimenti volti all’analisi della domanda e all’innovazioneincrementale dell’offerta. Così una situazione di elevato dinamismo di mercato (ipercompetitività) puòtrasformarsi in una grossa opportunità, soltanto se l’impresa è capace di cogliere i segnali deboli deicambiamenti, anticipando la concorrenza, e ciò porta spesso a dover identificare i bisogni emergenti primache gli stessi consumatori/clienti li esplicitino.Quindi una strategia di marketing finalizzata alla riduzione del gap di sintonia non deve solo predisporrel’impresa al confronto concorrenziale, ma deve soprattutto orientarla efficacemente alla creazione di unvalore riconosciuto dal mercato. Inoltre le tendenze evolutive in atto nella domanda evidenziano la centralitàdelle problematiche organizzative, infatti quando i mutamenti di mercato sono intuibili le risposte possonoessere pianificate creando canali informativi idonei a controllare tali cambiamenti, modificando in anticipo ilportafoglio prodotti o servizi, ma quando questi mutamenti sono difficilmente prevedibili, l’impresa deveaccrescere la propria flessibilità, predisponendo piani di azione “proattivi” ed organizzando meccanismioperativi capaci di migliorare la velocità di risposta ed il patrimonio di risorse materiali e immateriali(Nannicini, 2001).129


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl gap di valore si manifesta quando la qualità attribuita dai clienti all’offerta risulta inferiore alla qualitàda essi desiderata. Il cliente identifica, secondo i benefici ricercati e secondo le conoscenze, convinzioni edesperienze maturate, le proprie attese con un insieme di attributi rilevanti dell’offerta, specificandone lagerarchia e l’intensità ritenute ottimali (Collesei, 1988), definisce la composizione del suo prodotto/servizioideale, e su questa base analizza le alternative esistenti sul mercato. In seguito effettua la scelta d’acquisto everifica il grado di soddisfazione derivante dall’esperienza di consumo valutando la corrispondenza delprodotto/servizio acquistato rispetto al proprio ideale, da tale comparazione fuoriesce il valore attribuitoall’alternativa selezionata, inversamente correlato alla distanza esistente tra il prodotto/servizio ideale(qualità desiderata) e il prodotto/servizio percepito (qualità percepita). Tuttavia la misurazione di talescostamento risulta tutt’altro che agevole, essendo il valore percepito funzione di molteplici variabili, allequali ciascun individuo attribuisce una diversa importanza. Il valore percepito deriva quindi, da un giudizioformulato sulla base di dimensioni eterogenee, alcune di natura tecnico-funzionale, altre di natura simbolica,deriva cioè dalla valutazione dell’attitudine dei prodotti/servizi acquistati ad appagare uno o più bisogni dinatura funzionale e/o simbolica (valore d’uso), alla luce del sacrificio (prezzo, costo monetario e non)necessario per acquisire il valore d’uso stesso. Si arriva così all’utilizzo di tecniche di analisi multivariata perstimare le relazioni esistenti tra le diverse variabili, rappresentando l’unica soluzione per cogliere la naturamultidimensionale del concetto di valore. In quest’ottica il processo di determinazione del gap di valore puòessere suddiviso in: identificazione delle caratteristiche distintive del prodotto o del servizio (specificazionedei nessi attraverso cui i clienti correlano sul piano cognitivo tali caratteristiche ai benefici attesi);individuazione della posizione assegnata da ciascun cliente al prodotto o al servizio dell’impresa e alprodotto o al servizio ideale (nello spazio percettivo definito alle caratteristiche dell’offerta considerate);indeterminazione della distanza/scostamento esistente tra il posizionamento percepito e il posizionamentoideale (e conseguente quantificazione del gap di valore).La concreta attuazione di queste fasi ci porta alla scelta tra due alternative metodologiche (Busacca,1991). La prima è data dalla costruzione per ciascun cliente di una mappa delle percezioni, le cui dimensionisono costituite dai fattori identificativi dello spazio di prodotto o di servizio oggetto di indagine. In essa,attraverso l’elaborazione di giudizi espressi dai clienti su un insieme di scale di attributi, vi è larappresentazione della posizione percepita del prodotto o del servizio rispetto ai vettori relativi alle suecaratteristiche differenziali. Alla mappa delle percezioni è poi sovrapposta una mappa delle preferenze,definita dalle stesse dimensioni, in cui è evidenziata la localizzazione del profilo di offerta ideale per ilcliente. Questo permette una facile individuazione dello scostamento esistente tra il prodotto o serviziodesiderato ed il prodotto o servizio percepito. La seconda metodologia invece consiste da un lato nelladeterminazione dell’importanza relativa che il cliente attribuisce alle varie componenti dell’offerta, edall’altro nella misurazione dell’utilità associata alle diverse intensità con cui ciascuna componente simanifesta. Tale obiettivo non è raggiunto, come nella prima alternativa, sulla base delle valutazioni espressedai clienti con riferimento a scale di attributi preventivamente specificate, ma scomponendo il giudizioglobale formulato dai consumatori stessi su un insieme di profili di offerta alternativi. Questi profili sonoottenuti selezionando alcune delle combinazioni tra i livelli che le caratteristiche rilevanti dell’offertapossono assumere. Una volta quantificato il grado di soddisfazione procurato dai livelli delle caratteristicheconsiderate, è possibile procedere alla determinazione del valore attribuito da ciascun cliente al prodotto o alservizio, nonché alla verifica dello scostamento esistente tra questo e il profilo di offerta idoneo amassimizzare l’utilità individuale.Specificare gli stadi analitici di identificazione del gap di valore risultano utili anche per comprendere lecause di manifestazione ed esso sottostanti. In primo luogo tali cause sono riconducibili ad un’erratavalutazione della correlazione esistente tra le caratteristiche del prodotto e le esigenze mostrate daiconsumatori. Concettualmente tale valutazione dovrebbe basarsi sulla determinazione dei nessi cognitivi tra ivalori strumentali (che si riferiscono all’immagine che ciascuno desidera diffondere di se stesso) e terminali(come l’autostima individuale) condivisi dagli individui, i benefici funzionali (che attengono allaperformance dei prodotti o servizi) e psico-sociologici (legati al significato che i prodotti o servizi assumonosul piano dell’autogratificazione o considerazione sociale) da essi ricercati e gli attributi tangibili eintangibili dell’offerta (Rynolds-Gutman, 1985). Tuttavia per ricostruire questa sequenza sussistono grandidifficoltà, specialmente per la comprensione delle esigenze espressive che definiscono il valore simbolico deicomportamenti di consumo. In questo senso è, quindi opportuno individuare l’insieme integrato deisignificati denotativi e connotativi attribuiti dagli individui ai prodotti o servizi, nonché alle convenzioniesplicite o implicite che regolano il processo di attribuzione dei significati. Tutto questo conduce ad unapproccio interpretativo multidisciplinare dove, accanto alle tradizionali concezioni di matrice economica,130


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeipsicologica e sociologica, trovano spazio metodi di indagine mutuati dalla semiotica, dall’antropologiaculturale. Secondariamente, il gap di valore può derivare da una sbagliata definizione della posizioneoccupata dal profilo di offerta ideale all’interno dello spazio percettivo dei clienti. Tale causa è imputabile acarenze nell’analisi del processo di formazione della preferenze ed in particolare del processo valutativo cheregola le attività di comparazione e di scelta. Carenze che si traducono nell’inadeguata comprensione deicriteri di scelta utilizzati dal cliente, dell’interazione tra le conoscenze individuali e le informazioni recepite ealtresì delle modalità sottostanti alla formazione degli atteggiamenti. Infine, un’ultima determinante delloscostamento tra la qualità desiderata e percepita dal cliente è rappresentata da un’errata interpretazione deimeccanismi sottostanti la percezione delle caratteristiche qualitative e d’immagine dell’offerta. La qualitàpercepita dipende, infatti, in buona parte dai convincimenti maturati dal consumatore circa le relazioniesistenti tra: le caratteristiche del prodotto ed i benefici funzionali e simbolici ad esse ricollegabili(convinzioni attributo-beneficio); l’oggetto di consumo e gli attributi considerati rilevanti (convinzioniprodotto-attributo); il prodotto oggetto di valutazione ed i benefici derivanti dal suo utilizzo (convinzioniprodotto-beneficio).L’ordine di elencazione delle diverse categorie di convinzioni, ricostruisce idealmente l’iter logicoseguito dal cliente nel processo percettivo e valutativo, e palesa come l’incapacità dell’impresa di intervenireadeguatamente su di esse si traduce in una divergenza tra qualità oggettivamente offerta e qualità percepita.Il gap di valore, quindi, può essere colmato attraverso due strategie, non necessariamente alternative, magraduate secondo una scala crescente di complessità: la prima è costituita dalla modifica della posizioneoccupata dal prodotto nello spazio percettivo del cliente attraverso interventi sulle caratteristiche dell’offertae/o sul sistema di convinzioni e di atteggiamenti; la seconda dallo spostamento della localizzazione delprofilo di offerta ideale attraverso azioni sul sistema di preferenze e sui parametri di giudizio individuali(Nannicini, 2001).Il gap di percezione, è riferibile a una divergenza tra la qualità oggettivamente offerta dall’impresa e laqualità percepita dai clienti. La necessità di quantificare con precisione l’esistenza di tale scostamento èevidenziata dalla considerazione che la gerarchia di preferenze espressa dai consumatori dipende non dalleconnotazioni oggettive caratterizzanti le diverse alternative di offerta, ma dalle percezioni che essi maturanoal riguardo (Busacca, 1990). La capacità dell’impresa di accrescere la customer satisfaction consiste, daquesto punto di vista, nella comprensione delle procedure mentali della clientela sottostanti alla percezionedelle caratteristiche qualitative e d’immagine che definiscono l’offerta, nonché sulla precisa definizione dellaposizione, attuale e prospettica, da questa occupata nello spazio percettivo dei clienti.Per l’accertamento del gap di percezione, come per quello di valore, essendo i prodotti o servizipercepiti come “insiemi finiti di attributi, ognuno presente con una diversa importanza relativa (grado dipresenza dell’attributo) e con una data intensità (dose di presenza)” (Collesei, 1988), è sempre necessario:costruire una mappa delle percezioni (definita da un insieme di dimensioni che rappresentino gli attributi sucui i clienti basano i processi valutativi precedenti e successivi all’acquisto); determinare la posizione teoricache il profilo dell’offerta dell’impresa occupa nello spazio multidimensionale (anche alla luce dell’intensitàoggettivamente posseduta dagli attributi che lo compongono); stimare la posizione percepita del profilo diofferta con riferimento alle dimensioni considerate (qualificando la dose di presenza di ciascun attributo chei clienti riconoscono nel profilo stesso); definire lo scostamento (distanza esistente) tra la posizione teorica ela posizione percepita, (coincidente concettualmente con il gap di percezione).Chiarito il processo analitico di rilevazione del gap in questione, è opportuno esaminare le causeesplicative sottostanti a tale scostamento, che sono riconducibili a tre fondamentali tipologie (derivanti ingenerale da una carenza nell’analisi del sistema percettivo dei clienti): incapacità dell’impresa di comunicareadeguatamente le caratteristiche qualitative della propria offerta; esistenza di una distorsione tra le strutturecognitive dei clienti e le comunicazioni da loro ricevute; divergenza tra le dimensioni utilizzate dai clientiper identificare il livello qualitativo dei prodotti o servizi ed i parametri adottati dall’impresa per definire laqualità della propria offerta.L’incapacità dell’impresa di comunicare adeguatamente le caratteristiche qualitative della propriaofferta è situazione che può dipendere da un’errata selezione delle fonti informative, da una realizzazionecreativa sbagliata delle politiche pubblicitarie, da un insufficiente controllo degli effetti esercitati da fattoriesogeni (diffusione di comunicazioni informali contrastanti con i messaggi inviati dall’impresa, tendenza deidistributori ad influenzare le percezioni della domanda secondo modalità non coerenti con gli obiettivi diposizionamento perseguiti dall’impresa,….). L’esistenza di una distorsione tra le strutture cognitive deiclienti e le comunicazioni da loro ricevute, che vanifica lo sforzo informativo sostenuto dall’impresa; in taleottica però il gap di percezione, oltre che da un’inadeguata concezione delle politiche di comunicazione, può131


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiderivare anche dall’incapacità dell’impresa offerente di rassicurare continuamente i propri clienti sullavalidità della scelta compiuta, annullando gli effetti di dissonanza indotti dai concorrenti (Busacca, 1990). Ladivergenza tra le dimensioni utilizzate dai clienti per identificare il livello qualitativo dei prodotti o servizi edi parametri adottati dall’impresa per definire la qualità della propria offerta è dovuta al fatto che spesso leimprese sopravvalutano la capacità dei clienti di apprezzare adeguatamente la correlazione tra lecaratteristiche intrinseche dei prodotti o servizi ed i benefici ricercati, non soltanto nel caso di innovazioni oprodotti/servizi molto complessi che oltrepassano gli schemi cognitivi consolidati, ma anche nell’ipotesi dibeni ampiamente conosciuti, qualora il medesimo beneficio possa essere ricavato da attributi differenti.Quindi per l’annullamento del gap di percezione è fondamentale la comprensione delle modalità con cuii clienti procedono alla raccolta, alla memorizzazione e all’utilizzo delle informazioni relative ai prodotti oservizi; la modifica, infatti, della posizione occupata da un’alternativa di offerta, nello spazio percettivo deiclienti, implica da un lato il cambiamento delle convinzioni attributo-beneficio, prodotto-attributo e prodottobeneficio,dall’altro la definizione dell’organizzazione interna delle strutture cognitive dei clienti.Quest’ultimo passaggio è basilare per una corretta individuazione delle leve sulle quali agire per ridurre ladistanza tra la qualità percepita e la qualità offerta dall’impresa. Ciò perché i legami cognitivi esistenti tra lecaratteristiche percepite dei prodotti si riflettono sulla loro centralità percettiva e sul loro leverage percettivo(Busacca, 1991), influenzando sia la reattività di ciascun attributo ad iniziative volte ad alterarne la posizionepercepita, sia la natura e l’intensità degli effetti che il cambiamento nelle percezioni attinenti ad un certoattributo può determinare sulle percezioni relative ai restanti attributi. (Nannicini, 2001).Il gap di allineamento, espresso dalla divergenza tra la qualità pianificata dal vertice aziendale e glistandard qualitativi percepiti dal personale, si manifesta quando il management non si preoccupa di suscitareuna partecipazione diretta di tutte le componenti dell’impresa, per stimolare la formulazione congiunta di unadiagnosi sui problemi di customer satisfaction, e di generare una visione unitaria sui problemi derivantidall’orientamento dell’impresa alla soddisfazione del cliente. Per il successo di un programma disoddisfazione dell’utenza è essenziale un’elevata partecipazione ai piani, alle iniziative e alle tipologie dicollaborazione che tale piano comporta. Prima di attivare un piano di cambiamento è quindi opportunodefinire chiaramente e congiuntamente i problemi che riducono la sintonia dell’impresa con le esigenzeespresse dalla propria clientela. A tale scopo è necessario effettuare una diagnosi su ciò che non funziona esu quello che potrebbe o dovrebbe essere migliorato. Questo processo di controllo sul livello di customersatisfaction conseguito dall’azienda, può essere realizzato analizzando e confrontando quattro diverseprospettive: descrizione sul piano normativo degli obiettivi di customer satisfaction (progettati dal verticedell’impresa o della SBU); descrizione del livello di comprensione e di condivisione degli obiettivi da partedel personale dell’impresa (critica perché deve mettere in risalto le differenze di allineamento tra lecondizioni effettivamente offerte e le condizioni ideali); valutazione della customer satisfaction in terminimeramente descrittivi (con misurazione delle condizioni effettive di offerta di un bene o di un servizio,analizzando tutte le componenti tangibili e intangibili del prodotto offerto alla clientela); definizione da partedella clientela delle attese (aspettative) e delle percezioni maturate sulle condizioni di offerta dell’impresa.La rilevazione di notevoli divergenze fra gli obiettivi di customer satisfaction pianificati dal vertice,quelli interiorizzati dal personale ed il grado di soddisfazione effettivamente percepito dalla clientela,possono indicare: da un lato una discordanza interna nella visione unitaria tra vertice e personale oun’incapacità di realizzare tale visione per la mancanza di coerenti meccanismi organizzativi e di adeguatecompetenze professionali, e dall’altro lato una discordanza esterna fra le esigenze di integrazione impresa emercato e la capacità di soddisfare le aspettative della clientela. Un raffronto continuativo delle prospettiveindicate favorisce la creazione di un orientamento generale dell’impresa alla customer satisfaction, capace diorientare le scelte tattiche e strategiche nel breve e nel lungo termine. La continua ricerca di una visioneunitaria si è tradotta nell’adozione di due diversi tipi di provvedimenti: principi fondamentali o modelliorganizzativi. Alcune imprese si sono sforzate di definire i principi fondamentali alla base dell’orientamentoalla customer satisfaction, elaborando una sorta di vision statement per regolamentare, descrivere e farcondividere i valori ad esso sottostanti. Altre imprese hanno perfezionato modelli e meccanismi organizzativiper favorire da un lato la condivisione dei nuovi valori di customer satisfaction e dall’altro la definizionedelle responsabilità secondo principi e modalità idonee a facilitare il coordinamento e l’integrazione deicompiti. A questo proposito molte imprese hanno costituito gruppi di lavoro congiunti trans o interfunzionalidefiniti nei modi più vari: customer action team, customer value team, customer value council. La lorofunzione, pur variando da azienda ad azienda relativamente alla natura e alla complessità delle attività svolte,è quella di definire in termini misurabili gli obiettivi di customer satisfaction, di coordinare la preparazione132


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidi piani per il conseguimento di tali obiettivi, di controllare il progressivo sviluppo di piani e di azioni perperseguire tali obiettivi e di coordinare la gestione e l’amministrazione dei processi di coinvolgimento.La nascita di una visione unitaria necessita anche di una grande innovazione nei processi dicomunicazione e di conoscenza interni all’impresa, infatti una maggiore circolazione delle informazioniaumenta sia la conoscenza interna delle routine gestionali, sia la conoscenza del sistema competitivo esterno.La condivisione di una visione unitaria viene, quindi ad essere incentivata anche dalla creazione di momentiformali ed informali di incontro tra persone appartenenti a aree diverse (riunioni di specialisti, convegni,comitati, corsi di formazione,….). Questo significa, che non può nascere collaborazione interna senza lacreazione di meccanismi che consentano, attraverso esperienze comuni, una maggiore comprensionereciproca.I clienti o consumatori ricercano nei prodotti o servizi una risposta alle tendenze espresse dai loro valorie dai mutamenti negli stili di vita, la misura in cui un <strong>nuovo</strong> prodotto o servizio riesce a conseguire taleobiettivo è quindi un indicatore della sua integrità. Integrità che intesa quale “perfezione” del prodotto oservizio presenta una dimensione interna ed una esterna all’impresa. L’integrità esterna si riferisce allacoerenza tra le prestazioni del prodotto o servizio e le aspettative del cliente. L’integrità interna di unprodotto o servizio riguarda la coerenza tra le sue funzioni e la sua struttura tecno-fisica, nonché allaperfezione ed all’affidabilità delle componenti che lo caratterizzano.La causa della maggiore o minore integrità interna ed esterna di un prodotto o servizio è imputabilealtresì alla capacità di ridurre il gap di progettazione e il gap di realizzazione.Ipotizzando una corretta comprensione delle esigenze manifestate dalla domanda e un sostanzialeallineamento tra gli obiettivi pianificati dal top management e gli obiettivi percepiti dal personale, il gap diprogettazione si riferisce al processo di ricerca e di sviluppo di un prodotto o servizio, motivando unaeventuale divergenza tra gli standard qualitativi condivisi dall’organizzazione e la qualità effettivamenteofferta al mercato.Il gap di realizzazione riguarda, invece, l’incapacità di comporre un profilo di offerta perfettamenterispondente alle specifiche del progetto con un’affidabilità tecnico funzionale zero defect.Il primo passo per ridurre i gap di progettazione di realizzazione consiste, quindi nella capacitàorganizzativa di sviluppare una maggiore integrazione esterna per generare concetti di prodotto o servizioche anticipino i bisogni e i desideri futuri dei clienti e di far penetrare tali concetti nei disegni, nei piani e neiprocessi di sviluppo dei prodotti o servizi. Di conseguenza se l’impresa non opera per integrare i clienti nelprocesso di sviluppo dei suoi prodotti o servizi, finirà col creare beni e servizi aggiornati, tecnologicamenteavanzati e di ottimo valore, ma non corrispondenti alle attese dei segmenti di domanda più esigenti. Lacrescente flessibilità dei processi produttivi e le esigenze di varietà e di variabilità espresse dai clientirenderanno, infatti, sempre più critica sotto il profilo concorrenziale la capacità dell’impresa di crearerelazioni durature con la propria clientela, coinvolgendola direttamente nella fase di specificazione deibisogni confluente, a sua volta, nella fase di progettazione del prodotto o servizio (Fiocca, 1990). Il processodi sviluppo dell’offerta dipende quindi, dal flusso di informazioni acquisite dall’impresa e dalla lorocircolazione all’interno dell’impresa stessa. Quando un cliente acquista un prodotto o un servizio, lotrasforma automaticamente in informazioni, risultanti sia dalle opinioni maturate con l’esperienza e l’uso, siadagli stimoli che gli provengono dall’ambiente di appartenenza. In questo senso l’integrazione esterna è ilcompito più importante nello sviluppo di un <strong>nuovo</strong> prodotto o servizio: rappresenta cioè il consapevolesforzo organizzativo per aumentare l’integrità esterna del processo di progettazione e di realizzazione,facendo coincidere la filosofia e i dettagli del disegno del prodotto o servizio con le aspettative dei clienti acui si rivolge.Il secondo passo da fare, per colmare gli scostamenti in esame è imputabile ai meccanismi diintegrazione delle attività di progettazione all’interno delle imprese. Un solido concetto di prodotto, acquistavalore se include una “giusta” quantità di immaginazione del mercato, che permette di comprendere quanto iclienti dicono di volere e quanto i creatori di concetti immaginano che i clienti vorranno in futuro. I clienticonoscono, infatti, solo i prodotti e le tecnologie esistenti, ma non le opportunità ed i benefici generatidall’innovazione.L’integrazione esterna quindi si ribalta all’interno dell’impresa richiedendo un’effettiva collaborazionetra le aree e le funzioni, che svolgono un ruolo determinante nello sviluppo di un <strong>nuovo</strong> prodotto o servizio(marketing, ricerca e sviluppo e produzione). Da qui deriva uno degli aspetti più critici nella creazione di unvalido concetto di prodotto, cioè quanto e come coinvolgere specialisti che non appartengono al gruppo disviluppo del prodotto.133


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIn definitiva ciò che distingue la capacità di sviluppare prodotti di successo è la coerenza tra la strutturaformale e l’organizzazione informale che deve caratterizzare l’opera critica dello sviluppo (Nannicini, 2001).Il gap di coivolgimento, rappresentando lo scostamento tra gli standard qualitativi pianificati dal verticeaziendale (qualità desiderata dal management) e la qualità offerta dall’impresa, è uno degli ostacoli più criticiper la diffusione dei valori della customer satisfaction. Tuttavia tale gap può essere ridotto intervenendosimultaneamente su quattro fattori reciprocamente interconnessi: partecipazione diretta ai cambiamenti tratutto il personale; coordinamento per integrare attività di customer satisfaction; competenze specifiche per unrinnovato modo di lavorare e di orientarsi alla clientela; incentivi e i meccanismi di riconoscimento.L’efficacia della customer satisfaction, come di ogni altro processo aziendale, può essere stimolatainvitando ogni membro dell’organizzazione a considerarsi costantemente elemento di una relazione clientefornitoreche forma una catena che si estende in tutta l’azienda per concludersi con il cliente finale.Questa struttura è alla base di tutti i processi complessi, in quanto rappresenta il flusso naturale dellavoro attraverso funzioni aziendali e persone. Solo una piccola parte del personale dell’impresa è in contattodiretto con i clienti finali, tutti però dipendono potenzialmente da qualcuno per ottenere prodotti o servizinecessari a svolgere il proprio lavoro. Perciò si è fornitori di coloro ai quali si dà un input e si è clienti dicoloro dai quali riceviamo un output, così in tale processo i clienti interni ricevono input dai loro fornitoriinterni o esterni, vi aggiungono valore e trasferiscono output ai loro clienti esterni o interni.Emerge così, che le esigenze del cliente sono soddisfatte meglio se tutti i componenti dell’impresa purappartenendo a funzioni diverse, si sforzano di partecipare all’avanzamento dei processi organizzativisecondo una logica relazionale, anziché preoccuparsi del successo della propria funzione. In quest’ottica, unavolta che l’azienda ha definito i nuovi ruoli e le nuove responsabilità, è necessario lo sviluppo di nuovecompetenze analitiche e comportamentali attraverso sistematici interventi sul piano della formazione e deimeccanismi di incentivazione e di controllo, finalizzati all’incremento dell’empowerment del personale.L’empowerment è una componente decisiva per la realizzazione della customer satisfaction, è un’investitura,un’assegnazione ed assunzione di responsabilità che, una volta riconosciuta, muove all’azione consapevole edeterminata (Nannicini, 2001).Il gap di consonanza, derivando da una divergenza tra gli standard di qualità percepiti e dichiarati dalpersonale e le percezioni maturate dalla clientela sul livello qualitativo dell’offerta dell’impresa, costituiscenel lungo periodo una minaccia alla sopravvivenza stessa dell’impresa. Il suo perdurare si traduce infatti inuna crescente distanza tra le aspettative della domanda ed il risultato delle esperienze d’acquisto e diconsumo, miniando alle fondamenta la credibilità e l’immagine aziendale, due tra le più importanti fontiimmateriali del vantaggio competitivo. A chiarimento è sufficiente sottolineare che per i clienti, i prodotti e iservizi presenti nel mercato rappresentano un insieme di benefici attesi, così qualora gli standard di qualitàassunti come obiettivi non trovino effettivo riscontro nelle valutazioni successive all’acquisto, viene disattesala promessa di risultato formulata dall’azienda, con evidenti conseguenze sul valore attributo dai clientiall’alternativa di offerta selezionata e sulla reputazione dell’impresa fornitrice.L’identificazione e la rimozione del gap di consonanza assumono dunque un’importanza centrale edindiscussa, se osservate alla luce dell’influsso diretto che la qualità percepita dal personale esercita sulleaspettative della clientela, e del ruolo di primo piano che queste esercitano nell’ambito dei processivalutativi.L’individuazione del gap di consonanza consiste in un approccio analitico articolato in cinque fasifondamentali: disaggregazione in attributi rilevanti; specificazione di responsabilità; determinazione deglistandard; determinazione dei criteri utilizzati dai consumatori; quantificazione dei giudizi della clientela. Ladisaggregazione dell’offerta permette di individuare una serie di attributi rilevanti, tangibili ed intangibili,suscettibili di orientare il processo di formazione delle preferenze della clientela. La specificazione delle areedi responsabilità a livello funzionale permette di generare una rispondenza organizzativa con riferimento allecomponenti del profilo di offerta individuate in precedenza. La definizione degli standard qualitativi assegnaa ciascuna funzione dei parametri in relazione alle proprie possibilità operative. La determinazione deglieffettivi criteri di scelta utilizzati dai consumatori permette di stimare la loro importanza relativa e lacorrelazione esistente tra tali criteri e gli attributi tangibili e intangibili dell’offerta. La quantificazione deigiudizi formulati dalla clientela con riferimento ai diversi attributi permette la verifica degli scostamentiesistenti tra il profilo di offerta percepito dalla domanda e gli standard qualitativi perseguiti dall’impresa.Se l’impresa però, non persegue strategie di marketing indifferenziato l’approccio descritto dovrà essereripetuto per ciascuno dei segmenti obiettivo fino alla personalizzazione dell’analisi (marketing one to one).L’annullamento del gap di consonanza, invece, è subordinato alla corretta esplicitazione delle cause adesso sottostanti. In primo luogo potrebbero essere riconducibili all’errata identificazione delle esigenze134


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeipalesate dai consumatori (gap di sintonia) e/o all’incapacità del top management di attivare efficaci processidi comunicazione degli obiettivi perseguiti (gap di allineamento). Secondariamente, questo scostamentopotrebbe essere imputato al fallimento di strategie di over-extension, finalizzate all’incremento delpatrimonio di risorse immateriali a disposizione dell’impresa. In tal senso l’adozione di strategie disovraestensione può tradursi nella fissazione di obiettivi di qualità che eccedono le attuali capacità aziendali,obiettivi il cui effettivo conseguimento nel breve periodo risulta impossibile alla luce delle risorse ecompetenze possedute. Ciò determina inevitabilmente la nascita di uno scostamento tra gli standardqualitativi perseguiti dall’impresa e la qualità percepita dai clienti, scostamento comunque destinato adannullarsi progressivamente al crescere del patrimonio di risorse immateriali.All’incompiuta realizzazione di tale disegno strategico può dunque essere ricondotta l’esistenza di ungap di consonanza, la cui permanenza nel tempo può portare a risultati opposti a quelli perseguiti. È evidenteche, secondo questo modello di analisi, ciascun scostamento dovrà essere interpretato attraversol’individuazione delle cause (generali, specifiche, esplicite e latenti) che lo determinano, e dovrà essererimosso, mediante l’attuazione di un piano integrato di azioni di miglioramento finalizzato alla reingegnerizzazionedei processi aziendali (di comunicazione, di progettazione, di sviluppo delprodotto/servizio, di segmentazione del mercato, di delivery,…), che incidono sui diversi gap, interni edesterni (Nannicini, 2001).5. La misura della soddisfazione dei clienti esterni ed interni verso una TotalCustomer SatisfactionCome visto, un corretto controllo della soddisfazione del cliente non può prescindere da unametodologia per una sua sistematica misura e rilevazione. Si tratta di predisporre una serie di indicatori peruna misurazione che cerci di sintetizzare la qualità di soddisfazione in termini quanto più condivisibili (equindi oggettivati) possibile.Con approccio più operativo e riduzionista di quello fin qui assunto i momenti del processo dimisurazione e valutazione orientato alla soddisfazione del cliente nel più ampio controllo del livello diqualità non presentano forti specificità rispetto a qualsiasi altro modello di controllo: scomposizione delleprestazioni in un insieme di prodotti-servizi elementari; individuazione di variabili critiche, qualitative eproduttive per ogni servizio elementare (attraverso magari un indagine presso il cliente); la fissazione di unaloro gerarchia in base alle caratteristiche del mercato-obiettivo; determinazione delle metodologie dautilizzare (in particolare l’individuazione, per ogni variabile critica, d’indicatori in grado di registrare uncerto fenomeno ritenuto indicativo ai fini di una prestazione di qualità) e dei responsabili, per la misurazionedei risultati; fissazione di obiettivi guida per ciascuna variabile; misurazione interna ed esterna dei risultati;analisi degli scostamenti; eventuale modifica degli obiettivi o azioni di miglioramento del servizio verso taliobiettivi (Ferrari, 1998, p. 106).Un prodotto-servizio, per quanto semplificato e strutturato nella sua composizione elementare, puòessere sempre abbastanza flessibile, in modo da adattarsi, in linea generale, alle esigenze del cliente specificoe alla personalità di chi lo eroga. Diviene quindi difficile trovare variabili che, da sole, consentano, in ognitempo e in ogni realtà aziendale, di misurare la qualità delle singole prestazioni e del sistema in generale.Ecco, allora, che diviene importante misurare le prestazione dell’impresa attraverso il grado di soddisfazionedell’utenza, attraverso, cioè elementi, diversi di nome e di importanza, in base alle differenti realtà aziendali,individuati come necessari per l’ottenimento di un adeguato livello di soddisfazione del cliente.Una volta privilegiati i fattori del prodotto-servizio più “pressanti” per il proprio tipo di prestazione, edeventualmente dettagliati ulteriormente le misurazioni di tali fattori ritenuti decisivi per la qualità del serviziofornito dall’impresa in oggetto, si può procedere ad una loro stima (a livello, quindi, di servizio di erogazioneprogettato) così da confrontarla con le misure rilevate direttamente presso il cliente, in modo, poi, daapportare le eventuali modifiche necessarie per un loro allineamento e miglioramento (figura).135


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab. 2 Calcolo della soddisfazione del cliente (aaaautore)Variabili critiche (j)Giudizio da 1 a 4 (xj) Criticità da 1 a 4 (pj)Immagine• Estetica locali• Manutenzione• Pulizia locali• Comodità (d’attesa, ecc..)• Iniziative pubblicitarie intraprese• Ampiezza locali• Numero locali• ConsensoAccessibilità• Facilità di contatto telefonico e orari aziendali• Facilità d’individuazione della struttura aziendale e delpersonale front office o di eventuali tecnologie sostitutive• Disponibilità di parcheggio auto• Disponibilità pubblici servizi di accessoCapacità di risposta• Capacità di problem solving (richieste di suggerimenti, ecc.)• Competenza tecnica• Ampiezza gamma servizi offerti• Grado di flessibilità dell’offerta• Adeguatezza giorni ed orari di aperturaCapacità di comunicazione• Disponibilità d’ascolto• Capacità di comunicare in modo chiaro e adeguato• Comunicazione cordialeAffidabilità• Garanzia del servizio• Attendibilità delle informazioni che vengono fornitedall’impresa• Tempestività nell’informazione su cambiamenti intervenutiProntezza nell’erogazione• Puntualità nella fornitura del servizio in base a tempi concordaticon il cliente• Tempo di avviamento di una unità di lavoro (cassa, ecc.)• Disponibilità dipendenti (presenza/assenza nei loro ruoli, ecc.)• Tempo di attesa durante il normale funzionamento di una unitàdi lavoro (code di Attesa, ecc.)Sprechi• Gestione del disservizio• Scorte eccessive (cancelleria, ecc.)• Servizi esterni eccessivamente costosi• Eccesso burocratizzazioneSegue136


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl modello di misurazione proposto si basa sulla valutazione degli elementi ritenuti rilevanti ai fini dellasoddisfazione del consumatore fornendo un giudizio compreso tra quattro e uno (molto buono, buono, scarsoe molto scarso), indicando inoltre, sempre da uno a quattro, il peso di criticità, ossia l’importanza attribuitaall’elemento sotto analisi. Si può pervenire, in seguito, ad un confronto tra le opinioni sul livello progettato epercepito dall’impresa con quello realizzato dal consumatore.Un primo giudizio complessivo può indicare il probabile grado di soddisfazione che, secondo quantoprogettato e percepito dall’impresa, il cliente può raggiungere. Tale sintesi può avvenire attraverso adesempio la media aritmetica dei giudizi ponderata per la criticità dichiarata. Questa stima può esseresuccessivamente confrontata con indici di soddisfazione rilevati direttamente presso il cliente (e riflettenti lesue opinioni) così da poter valutare, attraverso la medesima procedura, l’eventuale gap e le cause delladifferenza. Più in particolare, combinando le due dimensioni (soddisfazione rilevata presso il consumatore equella stimata secondo l’impresa) è possibile individuare una matrice del tipo riportato in figura, chepermette di confrontare le autovalutazioni complessive dell’impresa con giudizi espressi dai clienti.Fig. 11 Una matrice di confronto della soddisfazione del cliente esterno (autore)I“CustomerSatisfaction”<strong>II</strong><strong>II</strong>I1IV1 Soddisfazione rilevata4presso il clienteIn tale modo vengono individuati quattro quadranti, ciascuno dei quali può suggerire azioni dimiglioramento o sostenimento dell’attuale situazione per l’impresa. In particolare, nella situazionerappresentata dal primo quadrante grado di soddisfazione stimato da parte dell’impresa è alto, mentre èbassa, invece, la soddisfazione reale del cliente. In tal senso occorre intervenire per favorire una correttapercezione dei clienti e portare ad allineamento realtà e percezione da parte dell’impresa. Nel secondoquadrante, caratterizzato sia da una elevata stima del probabile grado di soddisfazione che il cliente puòraggiungere, sia da un altrettanto elevata soddisfazione rilevata, si ha la “soddisfazione”, dove però,l’impresa non può limitarsi a “vivere nell’oro” ma cercare, continuamente, di gestire l’evoluzione. Nel terzoquadrante, al polo opposto, dove le due determinanti sono entrambe basse, si ha la “insoddisfazione”, unasituazione, si può dire, dove tutto è da rifare, ma dove l’importante è non arrendersi ma iniziare adintraprendere il <strong>nuovo</strong> percorso verso la soddisfazione. Nel quarto quadrante, infine, l’impresa, si trova adover sostenere un processo reale acquisizione di consapevolezza: a fronte di una alta soddisfazione rilevatapresso i clienti ma non confermata secondo quanto stimato all’interno.In tutti i punti che si collocano in un opportuno intorno della diagonale relativa a tutta la matriceevidenziano comunque una consonanza tra la percezione dell’impresa e quella del cliente sulla grado disoddisfazione. Le diagonali dei singoli quadranti che individuano un rombo evidenziano posizioni esterneche estremizzano i rilievi effettuati per i quadranti di riferimento.Ma una soddisfazione complessiva del cliente esterno, non può prescindere da una adeguatamisurazione della soddisfazione del cliente interno sul quale è opportuno notare: le unità organizzativecoinvolte nel perseguimento di desiderati livelli di performance; le relazioni esistenti tra le unità e, inparticolare rilevare la presenza o meno di un “clima” orientato ai dipendenti ed ai servizi; l’eventualesoddisfazione globale del cliente, sia questo interno sia esterno. Da qui l’individuazione di alcune variabilicritiche per la soddisfazione del cliente interno (in figura) che potranno essere trattate alla stregua di quellerelative al cliente esterno.137


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab. 3 Calcolo della soddisfazione del cliente internoVariabili critiche (j) Giudizio da 1 a 4 (xj) Criticità da 1 a 10 (pj)Immagine• Estetica locali• Manutenzione• Pulizia• Comodità• Forma, contenuti, modalità di diffusione di comunicazioniinterne (avvisi, giornali, ecc.)• Ampiezza locali• Numero locali• ConsensoAccessibilità• Reperibilità di capi e colleghi• Distanza fisica tra unità organizzative• Dislocazione delle unità organizzative• Disponibilità di servizi di accessoCapacità di risposta• Capacità di risposta alle richieste dei clienti e dei fornitoriinterni• Competenze tecniche• Ampiezza gamma servizi interni offerta• Grado di flessibilità dell’offerta di servizi interni• Adeguatezza giorni ed orari d’aperturaCapacità di comunicazione• Disponibilità d’ascolto• Capacità di comunicare in modo chiaro e adeguato• Comunicazione cordialeAffidabilità• Garanzia degli accordi presi con clienti e fornitori interni intermini di qualità del lavoro• Attendibilità delle informazioni circolanti all’internodell’impresa• Tempestività delle informazioni su cambiamenti in attoProntezza nell’erogazione• Puntualità nella fornitura del servizio in base ai tempiconcordati con i clienti interni• Time to market• Disponibilità dei dipendenti(presenza assenza nei loro ruoli,ecc.)• Tempo di attesa nei contatti tra unità organizzativeSprechi• Gestione dei reclami interni• Scorte eccessive• Servizi interni eccessivamente costosi• Eccesso burocratizzazione interna138


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIntersecando, in una matrice di confronto, la soddisfazione rilevata presso il cliente interno e quellapresso il cliente esterno è possibile generare un ulteriore modello di riflessione.Fig 12 Una matrice di confronto della soddisfazione del cliente interno-esterno4<strong>II</strong>I“CustomerSatisfaction”1<strong>II</strong><strong>II</strong>V1 Soddisfazione rilevata4presso il cliente esternoIn particolare, nel primo quadrante, di elevata soddisfazione rilevata presso il cliente interno, ma bassaper quanto riguarda quello esterno, occorre riuscire ad applicare le logiche interne e riorientarle al clienteesterno; altrimenti, rischia di diventare una “nicchia parassitaria”, incapace cioè di applicare all’esterno ilclima soddisfacente vissuto internamente all’impresa. Il quarto quadrante, caratterizzato da un elevatasoddisfazione rilevata presso il cliente esterno, ma bassa, presso quello interno, rappresenta il caso opposto alquadrante precedente. In tale situazione, che può essere definita di “soddisfazione forzata”, poiché non èsupportata anche da una reale soddisfazione del cliente interno, è opportuno intervenire, in particolare modoall’interno, in modo da incrementare la percezione di logiche orientate al servizio, magari anche previstedall’impresa. Il terzo quadrante, caratterizzato da una bassa soddisfazione rilevata sia presso il clienteesterno sia interno, può essere definita di “Total Customer Unsatisfaction”, situazione per l’impresa ancorapiù grave, se non supportata, almeno, da una elevata stima del probabile grado di soddisfazione che il clienteinterno ed esterno possono raggiungere. L’impresa, comunque, anche in tale caso, può non abbandonarel’idea di un orientamento alla qualità totale ma può, al contrario, trarne spunto per iniziare a muoversi in taledirezione, magari, attraverso, se necessario, una riprogettazione radicale dell’intera struttura organizzativa,operativa e strategica. Infine, non per importanza ma poiché inquadrabile piuttosto come risultato finale a cuitutte le organizzazioni possono tendere, il secondo quadrante, denominato di “Total Customer Satisfaction”.Si è già avuto modo, nel corso del presente lavoro, di sottolineare l’importanza di tale ottica all’interno delleimprese di servizi; il raggiungere, cioè, una situazione in cui sia la soddisfazione rilevata presso il clienteesterno, sia presso quello interno, è elevata. Tale soddisfazione complessiva che potremmo definire come laGlobal Quality Performance assume ancora più valore e solidità, se supportata da una elevata stima delprobabile grado di soddisfazione che il cliente interno ed esterno possono raggiungere. Si tratta, dunque, diuna situazione a cui tutte le imprese di servizi possono costantemente tendere, con un’ottica di gestione tesaal miglioramento continuo, anche una volta raggiunta.Attraverso tale matrice, l’impresa, può, quindi, individuare una sua strada verso quella che qui potrebbeessere definita la Total Customer Satisfaction: una tecnica manageriale che ponga la massima attenzionegestionale alla soddisfazione del cliente, interno ed esterno che sia, attraverso quei processo di fidelizzazionee di acquisizione di conoscenze che sembrano rappresentare, soprattutto nei servizi, il binomio comune adapprocci resource based e marketing oriented.Una Total Customer Satisfaction implica una doppia fertilizzazione reciproca della logica della qualità edi quella della soddisfazione. Da una parte l’attenzione alla soddisfazione e le metodologie di sua rilevazionedevono essere applicate anche al cliente esterno. D’altra parte la logica del miglioramento continuo deveessere applicata anche al cliente esterno. Non tanto un miglioramento della relazione dell’impresa con ilcliente, quanto una miglioramento dei modelli di consumo dello stesso cliente: una educazione delconsumatore. Solo una educazione al consumo permette di apprezzare la qualità. Se non si puòrealisticamente pretendere che l’impresa miri direttamente alla emancipazione dei modelli di consumo delcliente, può essergli molto conveniente che egli sia realmente in grado di apprezzare gli sforzi di139


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeimiglioramento interno. Soprattutto in un consumo di qualità non più relegato al lusso in quanto tale èl’apprezzamento relazionale delle proprie conoscenze e della reciproca fiducia che genera valore. La fiduciae la conoscenza non sono solo risorse dell’impresa, ma sono anche criteri di valorizzazione del consumo daparte del cliente. Allora solo l’educazione del cliente all’apprezzamento della qualità prodotta el’apprendimento dell’impresa della qualità percepita possono rappresentare il nocciolo della creazione divalore nel consumo di qualità: un consumo che la qualità della vita non consuma, ma genera.6. La fidelizzazione del clientePer un’impresa già avviata le azioni sui clienti esterni devono essere volte prioritariamente a manteneree rafforzare la fedeltà dei clienti attuali (customer retention) per i seguenti motivi: i clienti ripetutamenteinsoddisfatti abbandonano l’impresa, qualora esistano alternative; i clienti insoddisfatti, attraverso il“passaparola”, possono diffondere un’immagine negativa dell’impresa rendendo più difficile e costoso ilprocesso di acquisizione di nuovi compratori e riducendo le opportunità di crescita dell’impresa (in terminidi clienti nuovi, fatturato, profitti, ecc.); i clienti soddisfatti, invece, diventano “compratori fedeli”, con glieffetti positivi che ciò comporta (maggiori acquisti, “passaparola” positivo, maggiore efficienza, superioremotivazione del personale, fedeltà dei dipendenti, facilità e minori costi di acquisizione di nuovi clienti, ecc.)(Raimondi M., 1993, p. 16 e ss.)La fedeltà è indissolubilmente legata alla fiducia e alla sostituibilità. Alcrescere dello stock di fiducia, aumenta la tendenza al riacquisto e tale fenomeno si può interpretare alla lucedel ruolo della fiducia, quale probabilità, soggettivamente percepita, che il valore atteso divenga effettivo. Lafiducia, inoltre, agisce sulla percezione dei costi di transazione, e di transizione, riducendo i primi eaccrescendo i secondi, nell’ipotesi che il cliente valuti l’opzione di uscita dalla relazione.In riferimento alla prima categoria di effetti, al crescere del patrimonio fiduciario si stabilizza (versol’alto) la probabilità che il cliente assegna all’impresa di offrire un valore in linea con quanto atteso. Conriferimento ai costi di transazione, invece, al crescere del suddetto patrimonio il riacquisto diventaeconomicamente più conveniente, rispetto all’opzione di valutazione e scelta di un <strong>nuovo</strong> fornitore. Leprincipali categorie di economie generate dalla fiducia sono riconducibili alla percezione dei costi che ilcliente associa alla scelta di una differente alternativa di offerta (costi di transizione). Questi sono di quattrotipi, in funzione dei costi di transazione che la fiducia contribuisce a ridurre, se non addirittura ad“affondare”: costi cognitivi; costi emotivi; costi operativi; costi strutturali del cambiamento. I costi cognitividerivano dallo sforzo di ricerca e di elaborazione delle informazioni, per l’acquisto e l’apprendimento, cheverranno sostenuti nell’ipotesi in cui il cliente non ritenesse le performance offerte soddisfacenti. I costiemotivi, legati al coinvolgimento psicologico nei confronti dell’acquisto, e dell’impresa, e alla percezione dirischio e incertezza che, in genere, la fiducia contribuisce a ridurre in misura considerevole. I costi legatiall’incertezza sono conseguenza del generico rischio di performance (ossia che il valore prestato noncoincida con le attese) determinato da alcune componenti specifiche di rischio percepito (fisico, economico,sociale, psicologico, funzionale o di performance nel tempo) che di solito si manifestano nel processo diacquisto, determinando il grado di coinvolgimento (negativo) del cliente. I costi emotivi sono così definiti, inquanto all’eventuale transizione è collegato l’insorgere di emozioni negative quali paura, vergogna,….,derivanti dal rischio che il valore della nuova alternativa d’acquisto non sia in linea con le attese, o quantomeno in linea con quello generato dal prodotto di cui è già stata sperimentata l’offerta. Inoltre si parla dicosti emotivi quando l’intensità delle relazioni interpersonali genera dei social bond, ossia dei contesti dicomfort (familiarità, amicizia, affetto) che vengono vissuti quali barriere all’uscita dai clienti. (Wilson eJantrania, 1996). I costi operativi sono connessi al tempo, ai costi di trasferta e a tutte le altre categorie dicosti da sostenere per la valutazione delle alternative d’offerta e per l’acquisizione in via definitiva deibenefici ricercati, nel caso si debba sostituire il fornitore. I costi strutturali del cambiamento, derivano daspecificità tecnologiche del prodotto che rendono interdipendenti i singoli atti d’acquisto e/o di consumo, daeventuali strategie di lock in e di bundling longitudinale (formule tipo “abbonamento” o “contrattoadottate”) dall’impresa.È interessante rilevare che tutte le categorie di costi sopra descritte possono presentarsi sia come veri epropri sunk cost, ossia costi ormai affondati e che andrebbero nuovamente sostenuti qualora l’impresavolesse attivare una nuova relazione, sia come costi emergenti, da sostenere cioè nel caso in cui volesseinterrompere la relazione. Si tratta, ad ogni modo, di costi che non gravano sulla funzione del valorenell’opzione di riacquisto, rendendo più competitiva l’offerta dell’impresa e maggiormente probabile ilriacquisto (fedeltà comportamentale) (Busacca, 1994). La percezione del vantaggio economico derivante dal140


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiriacquisto è ovviamente, tanto più elevata quanto maggiore è la fiducia cumulata sin dalle prime fasi dellarelazione. Alla luce di tali convenienze al riacquisto è possibile dedurre come nei primi momenti del ciclo divita della relazione, un atteggiamento fiduciario da parte del cliente induca al riacquisto dal medesimofornitore. La probabilità di riacquisto cresce, quindi, all’aumentare dello stock di fiducia cumulata nel corsodelle interazioni, fino a stabilizzarsi su livelli che, presumibilmente, raggiungono l’asintoto dell’evento certo.Ed è probabile che in condizioni di elevata fiducia il riacquisto avvenga senza neppure considerare lealternative di offerta sul mercato. La fiducia secondo Castaldo, diventa fondamentale in condizioni diincertezza e di ambiguità: le prime rappresentate da “probabilità di accadimento di un dato evento (valore);le seconde, invece, sono definite da condizioni di incertezza di grado elevato, ossia relative alla distribuzionedi probabilità associata all’accadimento dell’evento sia alla natura stessa dell’evento. La fiducia si distinguedalla fede e dal confidare, quest’ultima infatti è considerata una convinzione, ossia una certezza relativa alcomportamento della controparte (Castaldo, 1995).Così quanto più elevato è lo stock di fiducia tanto maggiori saranno le economie di transizione rivolte alriacquisto, e tanto più si consolideranno le forme di fedeltà comportamentale guidate dalla convenienza,anche in presenza di offerte alternative che potrebbero generare un valore monadico superiore a quello“garantito” dalla fiducia nell’impresa verso la quale di dimostra fedeltà.6.1 La fedeltà comportamentaleLe forme di fedeltà comportamentale sono state ampliamente studiate nella letteratura di marketing,comprese quelle inerziali o di routine (ossia caratterizzate dalla scarsa valutazione delle alternatived’offerta). In altri termini esistono comportamenti d’acquisto ripetitivi che, conseguenti alla sperimentataaffidabilità dell’impresa, diventano vere e proprie routine di comportamento (Assael, 1981).Fig. 13 Lo sviluppo della relazione nella fase “fiducia-fedeltà comportamentale”.RIACQUISTOFIDUCIASOD<strong>DI</strong>SFAZIONET0T1VALORE ATTESO ACQUISTO VALORE PERCEPITOFEDELTÀ COMPORTAMENTALEIn una prospettiva dinamica, la fase della relazione caratterizzata dall’accumulazione della fiducia e,conseguentemente, della fedeltà comportamentale ha solitamente una durata che varia in funzione del livellodi pressione competitiva, del tasso di obsolescenza delle soluzioni tecnologiche percepito dal cliente e dalsuo grado di coinvolgimento. In presenza di contenuti livelli di concorrenza, di obsolescenza tecnologica e dibasso coinvolgimento verso il prodotto, l’instaurarsi di comportamenti di routine è più probabile. Sempresecondo Assale il comportamento abitudinario è frequente quando si verifica una condizione di bassocoinvolgimento e di modesta differenziazione percepita tra le alternative di offerta. In caso di elevatocoinvolgimento e di bassa differenziazione, invece, si rileva una forma di infedeltà strutturale, ovvero difedeltà ad un gruppo di imprese o marche, conseguente alla ricerca di varietà da parte del cliente (Assael,1981).In particolare, la durata di tale fase è funzione del tipo di bene o servizio offerto dall’impresa e dellecaratteristiche (individuali, sociali, economiche, ……) degli attori coinvolti nella relazione. Questa investeun intervallo definito da un numero variabile di riacquisti (T2,…………..,Tm) e, solitamente, si conclude inseguito a nuovi stimoli, interni o esterni (situazionali o concorrenziali) al sistema valutativo del cliente. Insostanza, le valutazioni espresse con riferimento al livello di soddisfazione offerto dall’impresa, e la fiduciacumulata nel periodo più o meno lungo della fedeltà comportamentale, vengono sottosposte (prima o poi) auna verifica. Per descrivere lo svolgimento di questa fase, è opportuno utilizzare la “teoria del conflitto”141


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiaffinché siano spiegate le cause di discontinuità, ma anche le modalità di rafforzamento delle relazioni.Secondo tale teoria (proposta inizialmente da Tuckman nel 1965, e sperimentata poi da Iacobucci e Zerrillonel 1996), l’evoluzione della relazione fra il valore sperimentato nel periodo “T1,……, Tm” e il valore dellealternative disponibili sul mercato. Ovviamente è il dinamismo tecnologico e concorrenziale percepito dalcliente, più immediato sarà l’insorgere del “conflitto relazionale” e l’attivazione di un <strong>nuovo</strong> processocomparativo. La comparazione, che in genere coincide con il momento “Tm” del ciclo di vita della relazione,avviene, di solito, sulla base del valore monadico, ossia del rapporto fra benefici e sacrifici percepitinell’offerta delle diverse alternative di mercato disponibili. Il cliente, cioè, confronta il valore atteso dalleimprese concorrenti, scontato però delle economie della fiducia, acquisite nel corso della relazione conl’impresa verso cui ha manifestato fedeltà comportamentale. È quindi per questi motivi necessarioconsiderare tale comparazione, asimmetrica, distinta da quella condotta per la prima scelta d’acquisto.L’esperienza d’uso e le relative economie conseguite nei successivi riacquisti, rendono il valore dicomparazione sperimentato, inevitabilmente, differente rispetto al valore che aveva guidato la scelta di primoacquisto. Questa comparazione determina il “valore monadico” (confronto fra il valore sperimentato e quelloatteso dai concorrenti, considerati nel caso in cui il “conflitto relazionale” dovesse continuare).La comparazione che avviene al tempo “Tm” produce tre risultati alternativi liberamente applicati dalmodello di Hirshmann: exit, loyalty, voice.Il primo viene definito exit: il cliente, dopo aver verificato che, nella sua prospettiva individualistica(monadica), vi sono imprese con offerte di valore superiori a quella verso cui ha manifestato fedeltàcomportamentale, decide di interrompere la relazione. La superiorità di valore atteso deve, naturalmente,essere tale da compensare i costi di transizione;Il secondo risultato è costituito dalla cosiddetta voice, ossia una forma di protesto o lamentelacostruttiva, volta a suscitare nell’impresa reazioni tali da ottenere il potenziamento del valore offerto e,quindi, poter proseguire convenientemente la relazione, rinforzandone le ragioni. È giusto chiarire che voice,loyalty ed exit non si escludono a vicenda, nel senso che alla prima spesso precede la secondo, ed in casiestremi la terza. Inoltre la protesta, che può anche precedere l’abbandono. È una straordinaria opportunitàche alcuni clienti (clienti inert) offrono all’impresa. Se tutti i clienti esercitassero l’opzione di uscita dallarelazione (clienti alert), l’impresa non avrebbe alcuna chance di recupero. In tal senso per i clienti inert, laloyalty può precedere la voice o l’exit;Il terzo risultato non conduce, invece, all’interruzione della relazione grazie alle “economie dellafiducia” sperimentate nelle prime due fasi. In questo caso la relazione prosegue configurandosi come unaforma di fedeltà “spuria” oppure “coatta” (ossia obbligata dalla convenienza rilevata su singole componentidi costo). Tra queste forme di fedeltà devono essere comprese anche quelle cosiddette di loyalty, ovveroanche se il termine non è appropriato, le forme di fedeltà speranzose e quelle rassegnate. Le prime, sonoquelle secondo cui, i clienti ritengono probabile e in tempi ragionevoli il miglioramento delle performanceofferte dall’impresa, quindi del valore; le seconde, sono quelle caratterizzate dalla convinzione che ilcontesto non subirà significative modificazioni e allo stesso tempo non percepiscono sul mercato la presenzadi alternative tali da giustificare lo switching. La fedeltà coatta, infine, è quasi sempre connessa ad attributidell’offerta che non producono benefici differenziali, ma solo una minore incidenza delle categorie checompongono il costo o il sacrificio da sostenere. In entrambi i casi la fedeltà comportamentale èaccompagnata dalla consapevolezza del valore delle alternative di mercato e da un’attenzione selettiva alleinnovazioni dal lato dell’offerta o, addirittura, dalla ricerca attiva di imprese la cui offerta di valore possacompensare le “diseconomie” dell’opzione di uscita dalla relazione. Non è raro, in questi casi, riscontrareuna forma di disimpegno della relazione, ossia di parziale uscita da questa mediante la riduzione delleoccasioni di interazione o delle quote di acquisti, anche a costo di rinunce e sacrifici al limite del“boicottaggio”. Situazione particolare si verifica quando la valutazione comparativa dimostri che il valoreofferto dall’impresa è superiore rispetto a quello offerto dai concorrenti, così il “conflitto” si risolvepositivamente e la relazione si consolida entrando nella fase successiva.6.2 La fedeltà mentaleConseguentemente ad una comparazione della quale emerga che l’impresa verso cui è stato adottato uncomportamento di riacquisto continui ad offrire un differenziale positivo di valore, alla soddisfazionesperimentata nel tempo e alla fiducia che ha portato alla fedeltà comportamentale, si aggiunge un <strong>nuovo</strong>costrutto percettivo: la fedeltà mentale. Si tratta di una convinzione relativa alla capacità dell’impresa dimantenere nel tempo un differenziale di valore costante, o comunque positivo, rispetto ai concorrenti. Tale142


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiconvinzione contribuisce ad aumentare anche il senso di “autoefficacia” del cliente, relativo cioè alla propriacapacità di scelta dell’alternativa “migliore” fra quelle disponibili sul mercato. Lo stadio di sviluppo dellarelazione è adesso caratterizzato da elevata stabilità e disponibilità del cliente, che procede al riacquisto dellamedesima impresa, non solo perché incentivato dalle economie della fiducia, ma anche sulla base dellaconvinzione che il valore offerto sia superiore a quello delle alternative disponibili sul mercato (Castaldo,1995).Fig. 14 Lo sviluppo della “fedeltà mentale”FEDELTÀ MENTALERIACQUISTOFIDUCIASOD<strong>DI</strong>SFAZIONET0T1VALORE ATTESO ACQUISTO VALORE PERCEPITOTmFEDELTÀ COMPORTAMENTALEANALISI DEL VALOREMONA<strong>DI</strong>COLa figura sintetizza il processo di sviluppo della relazione che conduce sino alla fase della fedeltàmentale (Castaldo S e Busacca B, 1996). Caratterizzata da elevata solidità della relazione e da disponibilitàdel cliente all’ampliamento della sua portata. In questo stadio, la componente fiduciaria dell’impresapermette l’esplicamento del potenziale di estensione a nuove varietà dui prodotti, a nuove categorie e a nuovibusiness. Quindi, in presenza di fedeltà mentale, sostenuta da elevati livelli di customer satisfaction e difiducia cumulati nel tempo, sono frequenti (e di successo) le politiche di up selling, trading up, cross selling,compatibilmente con le economie di scala, di apprendimento e quelle di scopo per il cliente. Ilcomportamento del cliente mentalmente fedele è caratterizzato da scelte di riacquisto che non sono preceduteda una ricerca attiva di alternative di offerta, mentre in genere l’attenzione alle offerte dei concorrenti diventamolto selettiva. In questo stadio della relazione è possibile osservare fenomeni di fedeltà proattiva, ossia diriacquisto dell’offerta verso la quale l’individuo fedele anche in presenza di negative influenze situazionali oconcorrenziali (evidenti vantaggi economici dal cambiamento di impresa fornitrice). Gli acquisti del clientementalmente fedele assicurano, a parità di altre condizioni, un’elevata durata prospettica della relazione,fenomeno questo, che produce significativi risultati anche sotto il profilo economico.Tale forma di fedeltà non rappresenta, tuttavia, ancora lo stadio più evoluto che la relazione “clienteimpresa”può raggiungere. La fedeltà mentale, infatti, può assumere nel tempo due diverse configurazioni, infunzione del risultato di un ulteriore processo valutativo, generalmente condotto dai clienti più longevi.Nelle fasi successive al momento della verifica del valore monadico i clienti, in genere, hanno maturatouna lunga consuetudine di rapporti con l’impresa, acquisendo conoscenze approfondite sia sull’offerta chesui processi organizzativi, ed è proprio questa (maggiore conoscenza) nonché la crescente autofiducia delcliente nelle proprie capacità valutative, che determina un’ulteriore opportunità di conflitto.Il conflitto avviene, anche in questo caso, sotto forma di comparazione del valore, ma a differenza delleprecedenti valutazioni la configurazione di valore assume importanza nei processi valutativi: il cliente, dopouna più o meno lunga fase di fedeltà mentale, sostenuta da elevate percezioni di valore monodico, giunge allaconsapevolezza di dover prendere in considerazione anche il valore diadico. Il cliente, in sostanza, confrontail valore “storicamente” ottenuto dall’impresa con il valore che, durante il ciclo di vita della relazione, ritienedi aver generato per l’impresa, proiettando tali valutazioni (equità) anche sul futuro (contenuto sociale delloscambio) (Nannicini, 2002/2001).La ragione di tale comparazione può avere diverse origini (per esempio la crescente capacità dellostesso cliente di valutare accuratamente l’offerta dell’impresa, lo sforzo economico e organizzativo mostrato143


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeinella relazione,….), ma principalmente sorge dal fatto che la longevità della relazione e il successoeconomico e competitivo dell’impresa producono nel cliente la convinzione di aver contribuito, almeno inparte, a tali successi. Così, essendo il valore dell’impresa ricondotto anche alla fedeltà del propriocomportamento di scelta, il cliente diventa sensibile all’equilibrio della ragioni di scambio e intende, valutarein modo appropriato il rapporto fra valore generato e valore ottenuto. Tra i molteplici motivi che aumentanola sensibilità verso il valore diadico, andando a costituire le cause del conflitto (trigger event), vi sono:percezioni di interdipendenza; percezioni di discriminazione; percezioni di congruità; percezioni di elevatovalore.Le percezioni di interdipendenza aumentano fisiologicamente all’allungarsi della relazione. Lepercezioni di discriminazioni ingiustificate nelle condizioni di vendita o di erogazione, talora correttamentepraticate sui mercati non comunicanti, ma che, nell’era dell’economia digitale e delle aste via internet, seanche non provocano immediati fenomeni di arbitraggio fisico certo non tutelano dall’“arbitraggioinformativo”. Le percezioni di congruità in progressiva diminuzione tra il numeratore e il denominatore delvalore, che inducono a valutare cosa stia modificando tale rapporto, e a percepire iniquità, o addiritturaopportunismo, da parte dell’impresa. Le percezioni di elevato valore (cumulato) generato per l’impresa aseguito della longevità della relazione.È possibile notare, facendo riferimento a quest’ultima motivazione che i comportamenti degli individuisono spesso guidati da valutazioni naif (di psicologia ingenua), ovvero ipotesi semplici circa icomportamenti, le percezioni e le motivazioni dei terzi, e definite da nessi causali (attribuzioni) di buonsenso comune, ma non per questo sbagliate. L’ingenuità denota una linearità di connessioni percettive,parsimoniosa ma non banale, e particolarmente combaciante con la realtà del fenomeno oggetto divalutazione.Uno dei principi della psicologia economica, ingenua, per esempio induce i clienti a considerare laripetizione degli acquisti nel tempo, e ancora di più le manifestazioni di fedeltà comportamentale e mentale,una fonte di straordinario (extra) valore per l’impresa. Tale convinzione, da sempre diffusa anche nel mondodelle imprese, è divenuta un dato di fatto molto importante, e per niente naif. Pertanto, al crescere dellalongevità della relazione, e della percezione che i ripetuti acquisti generino un valore economico rilevanteper l’impresa, il cliente tende ad elaborare una propria convinzione sul livello di equità che caratterizza leragioni di scambio.Il valore diadico emerge dal confronto di benefici (B) e sacrifici (S), derivanti dall’acquisto e dalconsumo dei beni o dei servizi dell’impresa (valore monadico), con costi (C) e ricavi (R) che si consideranocome rappresentanti della contropartita del valore per l’impresa:B/S = R/COvviamente la percezione di equità (che può essere: percezione distributiva alla quale viene fattoprevalente riferimento; percezione procedurale, che si manifesta quando una particolare attività, alla quale ilcliente partecipa è condotta in modo equo; percezione internazionale, connessa alla cortesia ed alladisponibilità percepita nell’interazione con l’impresa) potrebbe non essere l’esito della valutazione che haluogo al tempo “Tn”. È solo nell’ipotesi in cui le ragioni di scambio siano percepite come eque (equità checomprende anche la percezione i empatia, quale determinante delle forme più intense di commitment), e ilvalore offerto dall’impresa sia conseguentemente ritenuto corretto ed equilibrato, che la dinamica dellarelazione raggiunge lo stadio evolutivo ottimale: la customer loyalty.6.3 La lealtàLa customer loyalty rappresenta lo stadio evolutivo a cui le relazioni di mercato dovrebbero idealmentetendere. Il cliente leale, infatti, è legato all’impresa da una relazione di fedeltà, mentale e comportamentale,ma anche da una convinzione di equità e correttezza, che sulla base del principio di reciprocità, conduceall’assunzione di atteggiamenti e comportamenti corretti e cooperativi. La reciprocità, quindi, è il principiouniversale che regola le relazioni di scambio.È così possibile definire, la customer loyalty come un costrutto multidimensionale, composto sia dadimensioni comportamentali (la ripetizione d’acquisto) sia da dimensioni cognitive, connesse allasoddisfazione e alla fiducia, nonché alla percezione di superiorità dell’offerta dell’impresa (elevato valoremonadico) e di equità delle ragioni di scambio (elevato valore diadico).144


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiSecondo quest’ottica, la customer loyalty presenta un fondamentale elemento di distinzione da tutte lealtre configurazioni di fedeltà, elemento che è identificabile nell’atteggiamento cooperativo, derivante da unalunga sequenza di interazioni e scambi valutati ognuno, in termini di efficienza (valore monadico) e di equità(valore diadico), da parte del cliente ed eventualmente anche nei comportamenti conseguenti a ciò.La percezione di equità delle ragioni di scambio costituisce, infatti, una fondamentale determinante delcostrutto lealtà, tale percezione, sebbene correlata a quella di valore monadico, è generata da una valutazionesoggettiva della congruenza delle ragioni di scambio nella diade, e in, questo modo, concorre a determinarela convinzione di correttezza dell’impresa, inducendo atteggiamenti e comportamenti cooperativi da parte delcliente. Il cliente leale, così, è pronto a collaborare con l’impresa, sia sotto il profilo commerciale (peresempio attivando flussi di passaparola positivi) sia sotto il profilo tecnico-produttivo (per esempio fornendosuggerimenti su come migliorare i prodotti, i processi e le forme di interazione), fino a sperimentare nuovesoluzioni organizzative e commerciali.In conclusione il cliente leale, sulla base della percezione di equità del valore diadico, elabora unaconvinzione di correttezza dell’impresa, che ne determina reciprocità di atteggiamenti e di comportamenti.Fig. 15 Il modello dinamico di Customer loyalty:LEALTÀANALISI VALORE<strong>DI</strong>A<strong>DI</strong>COTnFEDELTÀ MENTALERIACQUISTOFIDUCIASOD<strong>DI</strong>SFAZIONET0T1VALORE ATTESO ACQUISTO VALORE PERCEPITOFEDELTÀ COMPORTAMENTALETmANALISI DEL VALOREMONA<strong>DI</strong>COQuesta figura è rappresentazione completa del modello dinamico di customer loyalty che, a partire dallascelta d’acquisto basata sul valore atteso, rinnovata nel tempo sulla base della customer satisfaction e dellafiducia, conduce allo sviluppo delle diverse forme di fedeltà e, infine alla customer loyalty. Della quale èpossibile dare una definizione formale: «la customer loyalty è un costrutto multidimensionale, il cui dominioè costituito da due dimensioni comportamentali (fedeltà comportamentale e comportamenti cooperativi) e datre dimensioni cognitive (fiducia, valore monodico e valore diadico)» (Costabile, 2001).Nella prospettiva dell’impresa, il valore di customer loyalty determina quello del capitale relazionale, alquale sono riconducibili sia la stabilità sia lo sviluppo dei flussi di cassa e del patrimonio intangibile,obiettivi conseguibili solo con relazioni di vera lealtà. Ed è proprio nella logica delle opportunità di coevoluzionedella diade impresa-cliente che la customer loyalty può acquistare un ulteriore valore, ossia ilvalore-potenziale, specialmente in quei mercati caratterizzati da ipercompetitività (Busacca, 1997). In taletipologia di mercati, infatti, le imprese sono obbligate alla continua ricerca di nuove modalità per ilmiglioramento dei prodotti e dei processi aziendali; pertanto, è evidente che il valore economico ecompetitivo di relazioni con i clienti leali sia particolarmente importante ed elevato. Inoltre, alla customerloyalty può seguire un’ulteriore evoluzione della relazione: la partnership con il cliente. Le differenti formedi partnership con i clienti possono istaurarsi sulla base dei rapporti esaminati nel modello, ma a condizioneche si sviluppi anche una chiara percezione di comunalità e di convergenza di obiettivi e valori.Affinché una relazione sia definibile di partnership è prima di tutto necessario che il cliente sostengainvestimenti specifici per alimentare l’interazione con l’impresa fornitrice, investimenti che saranno tanto piùqualificanti quanto maggiore sarà la loro “intolleranza” ad altri utilizzi, qualora la relazione si interrompesse.145


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiNaturalmente, però, non tutti gli investimenti specifici, e conseguentemente i sunk cost reciproci,determinano relazioni di partnership, così l’ulteriore requisito necessario è che i risultati dell’investimentospecifico non siano facilmente definibili a priori e nei dettagli, né lo sia il loro orizzonte temporale (Lanza,1998). Nasce in questo modo, la convinzione che la convenienza per l’impresa sia strettamente connessa alvantaggio per il cliente, grazie a obiettivi e valori comuni condivisi, o quanto meno convergenti.In definitiva, la partnership è una forma di relazione intrinsecamente co-evolutiva, fondata sullaconvinzione di poter creare insieme (impresa e cliente) un futuro non predeterminato, non quantificabile, nonconosciuto, e, quindi, non governabile a priori (Rullani e Vicari, 1999).7. Le variabili influenti sul modello della customer loyaltyIl modello presentato prevede una serie di momenti che, il più delle volte, mostrano una sequenzatemporale ben definita. Tuttavia, l’elaborazione cognitiva delle diverse configurazioni di valore potrebbe nonrispettare la rigida sequenza tracciata, ma certamente avvenire in parallelo; infatti, lo stesso cliente potrebbenon attribuire importanza differenziata alle diverse percezioni di valore nelle diverse fasi del ciclo di vitadela relazione.Le variabili che, intervenendo sul modello, ne modificherebbero la formulazione generale sia sotto ilprofilo temporale sia sotto quello causale sono molteplici, ma quelle più ricorrenti sono individuabili in:asimmetria dimensionale; asimmetria informativa; coinvolgimento e differenziazione percepita; livello estruttura dei costi di transazione e di transizione.L’asimmetria dimensionale è differenza dimensionale fra cliente e impresa che esprime lo squilibrio dipotere e influenza che quasi sempre ne deriva, potrebbe alterare la sequenza descritta nel modello. Un clienteparticolarmente grande e importante, infatti, potrebbe condurre accurate analisi del valore diadicoparallelamente a quelle del valore monadico, o addirittura già in fase di avviamento della relazione. Infatti, èmolto frequente, soprattutto nei mercati business to business, che clienti di rilevanti dimensioni “impongano”l’esame preventivo dei loro processi produttivi, organizzativi e amministrativo-contabili. Tale esame, chedetermina poi la scelta dell’impresa fornitrice con la conseguente attivazione della relazione, è motivatoanche dall’elevata importanza attribuita all’equità delle ragioni di scambio. Dunque, l’analisi del valorediadico potrebbe addirittura precedere, sia in termini di accadimento che di importanza, quella inerente lasoddisfazione e l’affidabilità (fiducia).L’asimmetria informativa è un divrsa disponibilità di informazioni idonee a valutare l’offerta chepotrebbe provocare una priorità, sia dal punto di vista temporale che di importanza, del valore diadicorispetto al valore monadico e alla valutazione dell’affidabilità (derivante dalla soddisfazione cumulata neltempo). Proprio nel caso dei beni fiducia, per i quali la performance non è oggettivamente valutabile da partedel cliente, se non dopo molto tempo dalla prestazione o dal consumo del bene, è frequente rilevare unosforzo valutativo concentrato su singole componenti del valore diadico (per esempio gli investimentispecifici da parte dell’impresa), ovvero sulla trasparenza, quale indicatore di equità del processo di scambio(equità procedurale). Questo per compensare le difficoltà di valutazione della soddisfazione e quelle, ancorapiù grosse, di analisi del valore monadico. Al contrario, un’elevata capacità del cliente di valutare“tecnicamente” il prodotto, che in alcuni casi potrebbe derivare da competenze e conoscenze addiritturasuperiori a quelle del fornitore, conduce a risultati analoghi a quelli descritti sopra.Nel coinvolgimento e differenziazione percepita si confronta l’offerta. Non tutte le relazioni con i clientiportano alla loyalty, e ciò non solo a causa dei vincoli economici e della capacità relazionale dell’impresa,quanto per le specificità dei processi d’acquisto, definite dal livello di coinvolgimento e differenziazionepercepita dal cliente fra le alternative d’offerta. Il coinvolgimento, in particolare, esprime la rilevanzapercepita dal cliente verso un oggetto o un evento, e rappresenta l’intensità della motivazione (delleemozioni) e dell’interesse da parte dei clienti (Costabile, 2001). Inoltre è possibile ipotizzare che quantomaggiore è la differenziazione percepita e il livello di coinvolgimento da parte del cliente tanto piùl’evoluzione dei momenti che portano alla customer loyalty coinciderà con il modello proposto. L’elevatorischio percepito (fisico, economico, sociale, di prestazione nel tempo e psicologico) e l’interesse per ilprodotto, che rappresentano le due dimensioni (rispettivamente negativa e positiva) del coinvolgimento,infatti, inducono il cliente ad essere maggiormente sensibile, a parità di altre condizioni, sia all’analisi delvalore monadico (interesse e differenziazione) sia del valore diadico (rischio percepito e motivazioneall’apprendimento).146


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiCAPITOLO QUINTOPOSIZIONE <strong>DI</strong> MERCATOLa posizione di mercato è la premessa per la progettazione di un’offerta differenziata e competitiva, ingrado di riscontrare meglio il mercato e distinguersi dalla concorrenza. Una posizione che localizza l’impresasu una mappa evolutiva e dinamica le cui dimensioni sono i differenti prodotti-mercati, i segmenti reali opotenziali.Per definire la posizione di mercato sono importanti due profili di interpretazione: l’interpretazioneattrattività dei prodotti-mercati anche attraverso la stima del mercato potenziale e del ciclo di vita delprodotto e L’interpretazione della competitività dell’impresa anche attraverso lo studio del vantaggiocompetitivo e delle qualità distintive.La posizione di mercato orienta l’impresa verso opportunità di scambio, adeguate alle risorse e allecompetenze dell’impresaL’importanza della posizione di mercato nasce dal fatto che l’impresa si confronta ogni giorno con ilproprio contesto di scambio per cui diventa necessario mantenere un consapevole rapporto con i propriinterlocutori sinallagmatici. La posizione di mercato genera un senso contestuale alla segmentazione delmercato, all’interpretazioni di attrattività, all’interpretazioni di competitività delle relazioni di scambio.Per quanto possibile, infatti, una strategia di impresa deve essere supportata da interpretazioni dimercato sia per valutarne ricettività, possibilità e opportunità.Nel mercato, ambiente esterno d’impresa per antonomasia, si concentrano opportunità e minacce.Contesto complesso è articolabile in “in cui” e “con cui”. L’in cui del mercato è rappresentato da contestiinterpretativi di ordine demografico, economico, socio-culturale, fisico, tecnologico, politico-istituzionalecioè da elementi generalmente non influenzabili direttamente dall’impresa che rappresentano la proiezione dipoli e contesti strategici nel macrocontesto sociale. In particolare il contesto demografico è la proiezionedella soddisfazione dell’utente, quello tecnologico è relativo a risorse e competenze, quello macroeconomicoè inerente ai valori economico-finanziari e così via.1. I diversi contesti dell’attrattività del mercatoLe più importanti interpretazioni effettuate nell’ambito della posizione di mercato sono:- le interpretazioni di segmentazione che descrive i diversi segmenti (prodotti-mercati) che formano ilmercato di riferimento;- l’interpretazione di attrattività dei prodotti-mercati.Per attrattività si intende la preferibilità e l’appetibilità di un mercato basata su una interpretazionevalutativa delle tendenze principali che assumono la valenza di reali opportunità o minacce che il mercatopuò riservare. Interpretazione che può considerare o meno la preferibilità con riferimento ai punti di forza odebolezza dell’impresa. Tradizionalmente per lo studio dell’attrattività del mercato di riferimento siprendono in esame, tra l’altro, le tendenze del mercato; il contesto concorrenziale; le evoluzioni ambientali(demografiche, economiche, tecnologiche, ecologiche, socio-culturali e politico-istituzionali).1.1 Le tendenze del mercatoL’interpretazione delle tendenze del mercato consiste nello stimare l’evoluzione della domanda globaledel prodotto-mercato di riferimento anche con riferimento al suo ciclo di vita. Lo scopo dell’interpretazionedella domanda è quello di misurare, spiegare e prevedere il comportamento dei potenziali acquirenti di unprodotto. degli obiettivi strategici a breve ed a lungo termine e del piano di marketing.147


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei1.1.1 I fondamenti dell’interpretazioni della domandaLa domanda, in una accezione generale, esprime la quantità di prodotto e/o servizi che vengonorichiesti, in un determinato periodo e in una definita situazione contestuale, dall’insieme di individui,famiglie e aziende presenti in un certo mercato (Guatri, Vicari, Fiocca, 1999, p.113). Questa definizionerestringe però il concetto di domanda di mercato ad una espressione quantitativa tradotta da un valorenumerico.L’interpretazione e la misurazione quantitativa della domanda di mercato invitano lo stratega a porre ingiusta evidenza la distinzione concettuale tra domanda globale (di mercato); domanda relativa all’impresa;potenziale di mercato. Con la prima espressione si indica il totale delle vendite realizzate in un prodottomercato(o in un’industria, o in un mercato), in una determinata area geografica, in un dato intervallo ditempo, dato un certo contesto di marketing e a un certo livello dello sforzo di marketing del settore,dall’insieme delle marche o delle imprese in concorrenza (Lambin, 2000, p.272 e Kotler, Armstrong,Saunders, Wong, 2001, p.264). In ogni caso la definizione di domanda globale, detta anche domandacomplessiva di un dato segmento, presuppone l’identificazione preliminare del mercato di riferimento.Con l’espressione domanda relativa all’impresa, invece, si definisce la parte della domanda globale chesi incanala verso un certo prodotto od una certa impresa. Questa parte corrisponde alla quota di mercato dicui sono detentrici la marca o l’impresa del prodotto preso a riferimento (Lambin, 2000, p.272). Ovviamentela domanda aziendale è soggetta, sia alle determinanti della domanda del mercato, sia ad altre variabili diinfluenza sulla quota di mercato dell’impresa e definisce le vendite stimate di questa ultima, in relazione aidiversi livelli di sforzo di marketing.La previsione della domanda aziendale è il tentativo volto a conoscere, anticipatamente, in terminiquantitativi, i risultati di una condotta programmata dall’impresa entro la struttura di un insieme di ipotesirilevate sulla concorrenza e sulle reazioni del consumatore, in funzione delle capacità, competenze e dellerisorse investite dall’azienda (Valdani, 1984, p.78).I dati che più spesso le aziende cercano di ottenere ed elaborare, per valutare determinate situazioni,sono i valori espressivi della dimensione effettiva, in un dato periodo e potenziali della domanda primaria dicerti beni o servizi.La domanda globale risulta dipendente da diverse variabili sia più controllabili dalle imprese sia quasitotalmente non controllabili, riconducibili, invece, alla molteplicità di aspetti che definiscono gli stati di “incui” natura del contesto in cui operano le imprese stesse e i consumatori.La domanda di mercato, perciò, in questa eccezione, è una variabile dipendente di vari elementi dicarattere sia esogeno che endogeno al comportamento delle imprese; in particolare, per quanto riguarda leazioni di marketing del settore, la domanda stessa risulta condizionata sia da un punto di vista quantitativo(dimensioni della domanda totale, tasso di crescita, ecc.) che qualitativo (comportamenti degli acquirenti edei consumatori). Il rapporto tra la domanda globale e le spese totali di marketing del prodotto-mercato, datocome costante il contesto socio-economico, è rappresentato graficamente da una curva a S.148


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 1 Domanda globale e investimenti totali di marketing nel periodo considerato (Lambin, 2000,p. 274).DomandaglobalePotenziale dimercato oDomanda Q 2potenzialeDomandaattesa oprevista Q 10Domandaminima Q 0PSpese previstaInvestimenti totali di marketingL’andamento generale della funzione parte da una situazione iniziale corrispondente al livello didomanda Q 0 che si avrebbe anche in assenza di qualsiasi spesa commerciale (minimo di mercato o domandaminima). Di conseguenza, all’aumentare degli investimenti di marketing anche la domanda aumenta,dapprima a un tasso crescente e, in seguito, ad un tasso decrescente, fino a tendere asintoticamente,nell’ipotesi di una spesa commerciale molto elevata, verso un livello massimo denominato il potenziale dimercato (domanda potenziale). Dunque, “il mercato potenziale è il limite verso cui tende la domandaglobale, quando la pressione di marketing del prodotto-mercato tende ad infinito” (Lambin, 2000, p.273).Illivello intermedio Q 1 , inoltre, indica il valore della domanda atteso (domanda prevista), quando lo sforzo dimarketing raggiunge il livello previsto P e la distanza tra il minimo del mercato Q 0 e il potenziale Q 2 mostrala sensibilità globale della domanda all’azione commerciale del settore (Kotler, Armstrong, Saunders, Wong,2001, p.265).La domanda globale, come già evidenziato, è influenzata non solo dagli investimenti di marketing delleaziende concorrenti, ma anche dai contesti socio-economici del contesto, le cui variazioni hanno l’effetto dispostare verticalmente (verso l’alto o verso il basso) la curva. Il livello della domanda globale sarà, quindi,più elevato in periodi di prosperità e più deboli in periodi di recessione (Lambin, 2000, p.273).Le impresa, quindi, essendo impotenti di fronte alle incognite del contesto, dovrebbero: definire conestrema attenzione la situazione specifica in funzione della quale stanno valutando la domanda, tentare dianticipare al meglio il futuro attraverso un sistema di controllo dei contesti chiave e dotarsi di una elevatacapacità di adattamento.149


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 4 Domanda globale e investimenti totali di marketing nel periodo considerato (prosperità erecessione a confronto) (Lambin, 2000, p.274).DomandaglobalePotenziale dimercato oDomanda Q 2potenzialeProsperitàRecessioneDomandaattesa oprevista Q01Domandaminima Q 0Spese previstaP P 1Investimenti totali di marketingInoltre, la conoscenza della dimensione effettiva della domanda globale di beni o servizi è, talvolta,ottenibile con facilità, quando Enti Pubblici, Associazioni di categoria, ecc., che si occupano delle questioniin esame, sono in grado di fornire tali informazioni o addirittura le pubblicano correntemente; altre volte,invece, si verificano problemi di difficile soluzione.In alcuni settori, infatti, non vi è modo, se non tramite costose ricerche da parte delle singole aziende, disapere, anche in modo non preciso, il valore complessivo del mercato. In qualche caso si cerca di ottenere idati utilizzando, direttamente, le cifre fornite dai concorrenti, anche se spesso le informazioni avute risultanonon veritiere; talvolta, invece, il compito viene affidato a società le quali si specializzano, quasiesclusivamente, nel fornire tale servizio.Le interpretazioni della domanda e delle sue determinanti, come ho già detto, è al centro degli studisull’attrattività di mercato. L’obiettivo consiste nel formulare le stime del potenziale di mercato e del livelloattuale della domanda globale , senza le quali è impossibile effettuare un’interpretazioni economica.La delimitazione dei confini della domanda globale pone problemi simili a quelli riscontrati nelladefinizione dei confini di qualsiasi contesto competitivo (settore, SBA, raggruppamento strategico). Ladomanda globale, infatti, può essere riferita a un prodotto generico o ad uno specifico. Spesso, tuttavia,vengono utilizzati livelli di aggregazione più ampi quando si vogliono affrontare problemi di caratterestrategico e/o di lungo periodo, mentre per interpretazioni della domanda a fini operativi si preferisconolivelli di aggregazione inferiori (Guatri, Vicari, Fiocca, 1999, p.114).Una seconda importante distinzione si può fare tra domanda di beni industriali e quella di beni diconsumo. Nel primo caso la domanda è generata da operatori economici (imprese, enti, organizzazioni, ecc.),i quali acquistano prodotti e servizi per la produzione o distribuzione della propria offerta commerciale, alloscopo di contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione alla quale appartengono e non persoddisfare esigenze personali. Gli acquirenti business conoscono in modo approfondito i fornitori e i prodottie generalmente hanno maggiori capacità di svolgere interpretazioni comparative tra varie alternative (Guatri,Vicari, Fiocca, 1999, p.114). La domanda dei beni di consumo, questa è determinata da consumatori cheacquistano i prodotti per soddisfare un bisogno o una necessità personali, quindi non per essere inseriti in unprocesso produttivo. In particolare modo per i beni di largo consumo, di norma, l’acquirente non investemolto tempo, né nella ricerca di informazioni sulle loro caratteristiche, né nel confronto tra le diversealternative presenti sul mercato (prezzi correnti), dal momento che non attribuisce a questo tipo di acquistoun livello di rischio elevato (Scott, Sabatini, 2001, p.68).150


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiA sua volta la domanda di beni di consumo si divide in domanda di beni non durevoli e consumo di benidurevoli. Per quanto attiene ai primi, esiste una sostanziale coincidenza temporale tra l’atto della richiesta e ilfenomeno del consumo, infatti sono beni tangibili la cui capacità di fornire benefici si esaurisce in uno opochi atti di consumo (es: bevande, cibo) e beni a precoce obsolescenza (es. articoli fuori moda). Alcontrario, per i beni durevoli, l’intervallo di tempo che intercorre tra la domanda e il consumo può essereanche notevole. Per tutti i beni è comunque importante fare una distinzione tra domanda di primo acquisto edi sostituzione (detta anche domanda di rinnovo). La prima è costituita dagli acquisti da parte deiconsumatori che per la prima volta impiegano il bene ed un dato importante da definire è la velocità didiffusione del bene nella popolazione di riferimento. La domanda relativa alla sostituzione è più complessada valutare, poiché corrisponde al periodico riacquisto da parte dei consumatori che già utilizzano il bene,per effetto dell’avvenuto consumo o per altri motivi.Nei beni durevoli e semidurevoli la durata media dell’intervallo tra acquisto e sostituzione non èdeterminata soltanto dalle caratteristiche fisiche del prodotto, ma è frequentemente determinata anche daobsolescenza economico-tecnica od estetica quali motivi economici (costi di utilizzo dei prodotti nuovi èsensibilmente inferiore) o ragioni psicologiche (sensibilità al fattore moda). Per numerosi beni durevoli, unaquota consistente delle vendite del settore corrisponde a richieste di sostituzione, ciò dipende dal fatto che siriscontrano, nei sistemi economici occidentali, percentuali di dotazione dei beni già molto elevate a livello dinuclei familiari e tassi di crescita demografica molto bassi (Lambin, 2000, p. 279).Infine abbiamo la domanda di servizi che presentano un certo numero di caratteristiche distintive chedevono essere prese in considerazione nell’interpretazione della domanda. Tra queste le più importanti sono:la intangibilità, infatti i servizi sono immateriali, cioè non esistono se non nella misura in cui sono prodotti econsumati, la deteriorabilità, che è la conseguenza del loro carattere intangibile e l’inseparabilità, infatti iservizi vengono prodotti e consumati contemporaneamente e il consumatore partecipa direttamente alprocesso di produzione del servizio stesso (Lambin,2000, pp. 279-280).Il potenziale di mercato è il valore limite a cui tende la domanda di mercato al diffondersi del prodottonella popolazione, all’intensificarsi delle intensità individuali di consumo e al crescere all’infinito delle speseinvestimenti di marketing del settore (Scott, Sabatini, 2001, p. 446).Nonostante la semplicità concettuale, la stima è assai difficoltosa. In sintesi, infatti, il potenziale dimercato non è un generico valore massimo che il mercato dovrebbe assorbire, ma esprime al contempo:l’interesse del consumatore nei confronti di una specifica offerta di prodotto (in relazione al suo stato dinecessità e al reddito disponibile), il risultato di un’attenta valutazione della situazione contestuale in cuioperano le imprese e i consumatori (inflazione, occupazione, aspetti psicologici, pressione competitiva, ecc.)ed, infine, una stima precisa degli effetti delle azioni di marketing sui processi di consumo (Guatri, Vicari,Fiocca, 1999, p. 117).Comunque, è quasi impossibile determinare il livello della spesa commerciale a partire dal quale ladomanda effettiva cessa di crescere ulteriormente. Poi, le spese di marketing globali non sonotendenzialmente infinite, ma anzi difficilmente possano raggiungere l’ammontare corrispondente al massimopossibile. Insomma, il potenziale di mercato è meglio apprezzabile come vendite massime possibili incontingenti e reali di contesti di mercato. Volendo, dunque, misurare il potenziale di mercato a posteriori,date cioè determinate condizioni ambientali, si può sostenere che la domanda potenziale coincide con quellaeffettiva quando un certo prodotto ha raggiunto il “tetto” delle vendite o, come si vuol dire, quando si ètrovato in uno stadio di “maturità” (Guatri, 1988, pp. 428 e 429).151


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 5 Il potenziale di mercato (Guatri, Vicari, Fiocca, 1999, p.118)VenditePotenziale di venditaV 1Vendite del prodotto0t 1TempoIl potenziale di mercato in termini numerici è ovviamente connesso al numero totale delle unità chepossono essere consumate durante un certo periodo se il prodotto fosse consumato in dose adeguata ogniqualvolta vi sia occasione d’uso. “Analiticamente la definizione matematica di potenziale è pari a” (Valdani,1984, p. 69):PMKT t = N t ×P k ×O uso ×D pienadove: PMKT t = potenziale di mercato al tempo t;N t = numerosità della popolazione totale;P k = percentuale della popolazione che può essere considerata potenzialmente interessata alprodotto;Ouso = numero delle occasioni d’uso del prodotto;Dpiena = dose minima del prodotto consumato in ogni occasione d’uso.In termini analitici la misura del potenziale prevede alcune differenze significative in relazione al tipo dibene oggetto di osservazione.Nei mercati dei beni di largo consumo, la misurazione del potenziale necessita la definizone di “chi”può essere ragionevolmente considerato quale potenziale utilizzatore del prodotto; la stima delle possibilioccasioni di utilizzo; l’ipotesi di una dose adeguata e ragionevolmente “piena” (Valdani, 1984, pp. 69 e 70).Nel caso, invece, del mercato dei beni durevoli, la cui utilizzazione può protrarsi anche per lunghiperiodi di tempo, il calcolo del potenziale richiede che siano rese esplicite le due componenti fondamentalidella domanda, quella espressa da i nuovi consumatori (domanda di primo acquisto) e la domanda disostituzione, quest’ultima condizionata , come è noto, dalle ipotesi formulate sulla vita media del prodotto.Una volta definita la misura del potenziale di mercato, è necessario valutare il differenziale esistente tradomanda attuale, effettiva e domanda potenziale (spazi di potenziale ancora disponibili), così che l’aziendapuò desumere alcune importanti considerazioni utili all’indirizzo strategico della politica di marketing(Guatri, Vicari, Fiocca, 1999, p. 119).152


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiUn differenziale elevato, infatti, indica un basso grado di saturazione del mercato e, quindi, buonimargini di sviluppo dei consumi futuri, mentre un differenziale minimo è sintomo di elevati livelli disaturazione del mercato, ai quali corrispondono margini via via più ristretti e, al limite, nulli.La misurazione del potenziale di mercato riveste un ruolo importante nel processo di definizione e dicontrollo delle condotte di mercato dell’impresa e nella definizione dei criteri di allocazione delle risorseaziendali, tra i vari prodotti componenti il suo portafoglio di attività.L’utilizzo e la misurazione dei valori di potenziale è infatti determinante per : il lancio di un <strong>nuovo</strong>prodotto; l’allocazione delle risorse alle diverse attività di marketing (pubblicità, promozione, ricerche dimercato, ecc.); la localizzazione di nuovi impianti o di dispositivi distributivi; la determinazione dellastrategia di vendita; la scelta di ingresso in <strong>nuovo</strong> mercato (Valdani, 1984, pp. 67-68).Concetto non dissimile da quello di domanda potenziale, ma molto più utilizzato e, naturalmente,definito adottando una nozione più ristretta, è quello di potenziale di vendita. Esso corrisponde a quello didomanda potenziale, quand’essa sia riferita non all’intero mercato, ma ad una porzione di questo, in generedi tipo geografico (oppure distributivo o relativo ad una particolare versione del prodotto) (Guatri, 1988, p.429). La conoscenza dei potenziali di vendita è legata a decisioni di carattere più operativo, rispetto allamisurazione dei potenziali di mercato, quali, per esempio, la delimitazione delle zone dei singoli venditori, lequote di mercato, l’assegnazione dei budget commerciali, ecc.Per i potenziali di vendita territoriali vengono applicati degli indici, detti di consumo, i qualirappresentano quantitativamente l’attitudine di determinate regioni o zone, variamente delimitate,all’acquisto di certi beni e servizi. Indici generali, quando si riferiscono alla generalità dei beni e dei servizidestinati al consumo finale, Indici particolari, quando riguardano, invece, esplicitamente, singole classi dibeni o servizi. Dagli indici di consumo si derivano indici della capacità di assorbimento delle varie zoneutilizzati per stabilire la capacità relativa al potenziale acquisto di specifici ambiti territoriali (in Italia, leprovince) e per calcolare le quote di vendita dell’azienda nella specifica zona (Guatri, Vicari, Fiocca, 1999,pp. 120-121).1.1.2 Il modello del ciclo di vita del prodottoIl potenziale di mercato è una prima dimensione dell’attrattività, essenzialmente quantitativa, che èopportuno completare con una valutazione dinamica della sua durata: l’interpretazioni, cioè, dell’evoluzionedella domanda potenziale nel tempo (Lambin, 2000, p. 288). Per descrivere questa evoluzione si fariferimento, di solito, al modello del ciclo di vita del prodotto (CVP), teoria che ha avuto molto seguito tragli studiosi di marketing degli anni Sessanta e Settanta, secondo la quale i prodotti sono soggetti a successivefasi evolutive in relazione alla loro diffusione nel mercato. Il ciclo di vita dei prodotti permette all’impresa difocalizzare in maniera strategica quella serie di interventi che debbano accompagnare un prodotto, infatti,questo modello non può essere considerato una semplice elaborazione teorica, ma rappresenta un punto diriferimento importante per tutta l’attività aziendale, in particolare per l’azione strategica da attivare.Il management è consapevole del fatto che ciascun prodotto seguirà un ciclo preciso, a cominciaredall’introduzione per finire con il declino, ma non ne può conoscere, in anticipo e con esattezza, la duratacomplessiva, nonché il peso relativo di ciascuno stadio del ciclo stesso (Kotler, Armstrong, Saunders, Wong,2001, p. 485).Il modello del CVP descrive il ciclo vitale di un prodotto per mezzo di una funzione dove in ordinata èriportato il volume di vendita (quantità) ed in ascissa il tempo. La descrizione è in due spezzoni: il primocorrispondente ad una classica funzione logistica a forma di S (ovviamente il grafico ha valoresostanzialmente indicativo), il secondo corrisponde ad una funzione decrescente. La forma campanulare noninduca in errore: non si tratta di funzioni di tipo gaussiano.153


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 6 Rappresentazione schematica del ciclo di vita del prodotto.VenditeINTRODUZIONE SVILUPPO MATURITÀ DECLINOTempoNel ciclo si distinguono quattro fasi principali: una fase di decollo (introduzione), una di esponenzialecrescita (sviluppo), una stazionaria (maturità) e la fase di declino.L’introduzione è caratterizzata da una crescita lenta delle vendite, dal momento che il mercato nonconosce ancora il prodotto e i profitti sono ancora inesistenti a causa delle elevate spese iniziali ( ad esempiole spese di marketing destinate a stimolare la distribuzione e ad informare il mercato). In questo contestol’obiettivo strategico principale, per l’impresa innovatrice, consiste nel creare la domanda globale, il piùrapidamente possibile, per uscire dalla fase di incertezza, attraverso una politica di informazione ed“educazione” del mercato (Lambin, 2000, p. 292).Se il prodotto supera con successo il test di introduzione, entra nella fase di sviluppo, caratterizzata daun rapido aumento di accettazione dello stesso da parte del mercato e conseguentemente da unmiglioramento dei profitti dell’impresa.Il potenziale di redditività associato alla diffusione del prodotto, però, richiama nel mercato nuoveimprese concorrenti.Cambia, infatti, progressivamente la natura del rischio d’impresa: se nella fase di introduzione questoera legato alla reazione del mercato a fronte dell’offerta proposta, ora la componente di rischio maggiore siorigina dall’accentuarsi del livello di competitività interna (Scott, Sabatini, 2001, p. 110).Per questo motivo, le decisioni di marketing, in particolare a livello strategico (segmentazione,posizionamento), assumono maggiore rilievo e gli obiettivi prioritari dell’impresa devono mutare diconseguenza: ampliare ed estendere il mercato, dato che la domanda è espandibile; massimizzare il tasso diassorbimento del mercato; costruire un’immagine di marca forte; creare e mantenere la fedeltà della marca.Le iniziative di marketing di ogni azienda, quindi, contribuiscono allo sviluppo del mercato; crescere alritmo del mercato è un obiettivo soddisfacente per tutti (Lambin, 2000, pp. 293 e 294)Successivamente, in un primo momento 1 , le vendite continuano a crescere ad un tasso decrescente, poi,rallentano e si assestano al ritmo di crescita del Pil in termini reali o a quello della crescita demografica. Ilprodotto è entrato nella fase di maturità (Lambin, 2000, p. 294).1 J.J. Lambin lo chiama periodo di turbolenza, nel quale la segmentazione e la selezione dei segmenti target orientano lapolitica di prodotto, allo scopo di differenziare i prodotti offerti da un’impresa da quelli dei suoi concorrenti. Il periododi instabilità può essere molto breve e violento e può, a volte, comportare ristrutturazioni considerevoli. Il climacompetitivo, inoltre, si fa più teso e l’obiettivo dell’impresa non consiste più nello sviluppare il mercato, ma piuttostonel massimizzare la quota di mercato dei segmenti target.154


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiNelle economie industrializzate la maggior parte dei settori è situata in questa fase , che di solito è la piùlunga ed ha livelli di profitto piuttosto stabili.Il rallentamento della crescita ha, naturalmente, un impatto sul clima concorrenziale, che raggiunge ilivelli più intensi; infatti, ogni aumento delle vendite della propria marca è ottenuto a danno dei concorrenti.“In questa fase, le caratteristiche principali del contesto economico e competitivo sono le seguenti: ladomanda primaria è divenuta in espandibile; i mercati dei beni durevoli sono dominati dalla domandasostitutiva; i mercati sono ipersegmentati; i prodotti-mercati sono controllati da alcuni concorrenti potenti; letecnologie sono banalizzate.In questo contesto, l’obiettivo strategico prioritario consiste nel mantenere e, se possibile, ampliare laquota di mercato, conquistando un vantaggio competitivo difendibile sui concorrenti diretti”(Lambin, 2000,p. 295).La fase finale del ciclo di vita del prodotto (declino), si contraddistingue per il progressivo diminuire delvolume delle vendite con il conseguente calo dei profitti, dovuto diversi motivi. Ad esempio, compaiononuovi prodotti con migliori prestazioni, che sostituiscono quelli preesistenti. È l’impatto del progressotecnologico. Oppure, le preferenze, i gusti e le abitudini di consumo si modificano col tempo e fanno sì che ilprodotto appaia sorpassato. Od anche intervengono cambiamenti nel contesto sociale, economico, politicoecc., che vietano od ostacolano l’uso del prodotto o lo fanno diventare obsoleto.In questa situazione, alcune imprese disinvestono e si ritirano dal mercato, altre, al contrario, cercano dispecializzarsi sul mercato residuo se rappresenta ancora un’opportunità valida. Comunque, salvo casi diinversione di rotta del mercato, verificatisi a volte, l’abbandono del prodotto tecnologicamente sorpassato è alungo andare inevitabile (Lambin, 2000, p. 296).Non tutti i prodotti seguono questa tipologia del ciclo di vita (curva ad S) ed, inoltre, la durata di ognistadio varia a seconda del prodotto.Alcuni impiegano anni per superare la fase di introduzione, mentre altri vengono accettati dal mercatonel giro di poche settimane. Certi , subito dopo essere stati lanciati sul mercato, passano rapidamente allafase di declino; altri si stabilizzano per lunghi periodi in quella di maturità; altri ancora entrano nell’ultimafase e vengono poi rivitalizzanti per tornare allo stadio di crescita tramite una forte attività promozionale oattraverso una strategia di riposizionamento (Stanton, Varaldo, 1986, p. 148).Il modello del CVP, inoltre, viene applicato in maniera diversa per descrivere una categoria o classe diprodotto (auto a benzina), una forma di prodotto (coupè) o una marca (la BMW) o uno specifico modello(325i) (Kotler, Armstrong, Saunders, Wong, 2001, p. 486).Le forme di prodotto tendono a presentare un CVP più rispondente allo schema standard, ad esempio ideodoranti cremosi o i telefoni senza filo sono passati attraverso una sequenza tipica di introduzione, rapidacrescita, maturità e declino.Il ciclo di vita di una marca specifica può modificarsi per via degli attacchi e delle reazioni dellaconcorrenza in continua evoluzione. Sebbene i prodotti per la pulizia dei denti (classe di prodotto) e identifrici (forma di prodotto) abbiano goduto di cicli invidiabilmente lunghi, per le marche è stata registratauna tendenza verso CVP molto più corti (Kotler, Armstrong, Saunders, Wong, 2001, p. 486).1.2 Il contesto concorrenzialeIl contesto concorrenziale costituisce il “con cui” per antonomasia nel quale l’impresa intendeperseguire i propri obiettivi di sviluppo e redditività. L’attrattività fondamentale di un settore, quindi,dipende, oltre che dalle tendenze del mercato e dalle evoluzioni,ambientali, anche dalle forze competitiveche, pur non essendo sotto il controllo diretto dell’impresa, devono comunque essere soppesate nell’ipotesidi elaborazione di una propria strategia competitiva.L’interpretazione strategica deve, infatti, considerare il riferimento del contesto concorrenziale comeuno degli elementi più qualificanti per arrivare ad avere, anzitutto, una giusta considerazione della realtà delmercato, nonché ad individuare la mappa concorrenziale da attraversare per giungere, con successo, almercato stesso.L’impresa deve, quindi, ricercare tutte le informazioni possibili sui suoi diretti concorrenti, svolgendo,così, un costante confronto tra i prodotti, i prezzi, i canali di distribuzione e le attività promozionali.In questo modo l’impresa ha la possibilità di: distinguere aree di potenziale vantaggio competitivo daaree più deboli da controllare, sviluppare campagne di marketing di maggior efficacia e prepararsi tramiteinterventi di difesa agli attacchi e alle azioni dei concorrenti.155


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiLe informazioni da reperire riguardano: l’identità dei concorrenti dell’impresa; la loro posizione dimercato; gli obiettivi e le strategie della concorrenza; i punti di forza e di debolezza dei concorrenti.L’interpretazione, quindi, inizia con l’identificazione della concorrenza, cioè delle imprese con le qualiconfrontarsi e, generalmente, si tradizionalmente si distingue tra concorrenza a vari livelli (settore, mercato,arena competitiva, SBA)Altro step consiste nella valutazione della posizione di mercato delle imprese concorrenti, cioè laconoscenza della loro quota di mercato, che indica il grado di accettazione del prodotto dell’impresa inesame, da parte della domanda. Poi l’attenzione si rivolge all’individuazione degli obiettivi e delle strategieche ciascun concorrente persegue all’interno del mercato. A tale proposito si può affermare che ogniconcorrente persegue una combinazione di obiettivi diversi, ciascuno caratterizzato da uno specifico peso.È pertanto necessario che l’impresa verifichi l’importanza relativa che ogni concorrente assegna aidifferenti obiettivi, quali: la redditività di medio termine, lo sviluppo della quota di mercato, la leadershiptecnologica ed altri ancora. Sulla base di queste valutazioni è possibile stabilire se i concorrenti sonosoddisfatti dei risultati conseguiti e come essi potrebbero reagire alle possibili azioni competitive.L’impresa deve costantemente controllare questi obiettivi per cercare di raggiungere nuovi segmenti diprodotto-mercato: se essa scopre che un concorrente ha individuato un <strong>nuovo</strong> segmento, questo potrebberivelarsi un’opportunità; se, viceversa, si rende conto che i concorrenti si stannoorientando verso i segmenti in cui essa opera, può intraprendere tempestive azioni di difesa e di reazione(Kotler, Armstrong, Saunders, Wong, 2001, p. 382).Inoltre, più le strategie adottate da due imprese presentano punti di contatto, più le stesse imprese sonoin competizione tra loro. È pertanto opportuno procedere ad una classificazione dei concorrenti in un certonumero di raggruppamenti strategici, formati da imprese che perseguono le stesse strategie di fondo e che sirivolgono allo stesso mercato obiettivo. L’interpretazione deve, quindi, prendere in considerazione tutte ledimensioni che identificano i vari gruppi strategici all’interno dello stesso settore. L’impresa dovrebbeconoscere, infatti, per ciascun concorrente: le caratteristiche dei prodotti (gamma e qualità), il livello deiservizi offerti alla clientela, la politica dei prezzi, la copertura dei canali distributivi, la strategia della forza divendita, i programmi di ricerca e sviluppo e le fondamentali strategie di produzione, di acquisto e finanziarie.L’ultima fase del mio studio consiste nella precisa individuazione e successiva valutazione dei punti diforza e di debolezza dei rivali e permette di verificare concretamente se un’impresa è in grado di attuare lestrategie definite e raggiungere gli obiettivi prefissati.Le informazioni raccolte fasi costituiscono il termometro che permette all’impresa di stabilire il gradodella temperatura nel contesto competitivo, il grado di intensità della rivalità e il tipo di vantaggiocompetitivo di cui beneficia ciascun concorrente (Lambin, 2000, p. 402).In conclusione, un’azienda diventa consapevolmente competitiva sul mercato nella misura in cuiconosce la sua concorrenza.156


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiCAPITOLO SESTOINTERPRETAZIONE DEL CONTESTO COMPETITIVO1. L’analisi competitiva: verso una nuova prospettiva d’indagineIl background in cui le imprese svolgono, in questi anni, la loro attività è un contesto notoriamente“complesso e complicato” (Bettis R., Hitt M., 1995, p.7-19), caratterizzato da un forte incremento dellapressione concorrenziale e da un progressivo affievolimento dei confini settoriali, i quali diventano semprepiù “porosi” e tendono a convergere verso una sorta unico settore, risultato della fusione di settori primaindipendenti, in cui la concorrenza assume dimensioni globali. In questo senso, il fenomeno concorrenzialediventa, quindi, più ibrido e sfuggente alle codificazioni tradizionali. Di pari passo, ma con verso opposto,l’analisi concorrenziale assume una sempre maggiore criticità nella determinazione delle scelte strategicocompetitive(Ancarani,1999, p.13-17). L’imprenditore e il management sono dunque influenzati dal livello dicomplessità e di turbolenza dell’intero contesto di riferimento, il quale, a sua volta, riflette il processo di“radicale modificazione del contesto concorrenziale” tipico dei mercati contemporanei (Ancarani, p.13).L’aumento della forza concorrenziale spinge verso esiti di ipercompetizione (D’Aveni 1994) e diconvergenza settoriale e di (Valdani, 1995 e 1997), mentre i modelli tradizionali di analisi della concorrenzasembrano gradualmente sbiadirsi richiedendo all’interprete capacità nuove e abilità di managing out ofbounds (Hamel G., Prahalad C.K., 1996). Di qui la necessità non tanto di nuovi strumenti, quanto di nuoveimpostazioni mentali per assumere le scelte strategico-competitive consone con un contesto non dotatofacilmente intelleggibili coerenze.Per questo, la letteratura attualmente è alla ricerca di nuove e diverse lenti d’osservazione del contestocompetitivo in grado di leggere la dinamicità morfogenetica della concorrenza. Insomma si deve concordarecon chi afferma che per interpretare l’attuale environment competitivo: “gli schemi classici economici eporteriani hanno come mondo di riferimento industriale quello dell’economia fordista, delle produzioni hard,delle fabbriche: un mondo il cui principale problema è produrre a bassi costi, beni relativamente omogenei,avendo tutt’al più presenti i bisogni dei consumatori” (Podestà S. e Golfetto F., 1997, p.46). Ma le dinamichecompetitive ed i cambiamenti radicali descritti configurano davvero la necessità di un buttare a mare unpatrimonio di teorie e conoscenze? Oppure un pur necessario cambio di paradigma deve in qualche modoriconfigurare la tradizionale didtinzione tra analisi, diagnosi, programmazione e controllo? A differenza dichi si sofferma sul binomio tempi nuovi / strumenti diversi (Ancarani, p.20-21), qui si vuol sottolineare comeil complesso è sempre stato presente nei vissuti di ogni tempo e che pertanto anche paradigmi non certonuovi come quello ermeneutico possano essere di una certa utilità nell’affrontare la contingente turbolenzache è prima di senso e solo poi di fenomeni.Obiettivo, assai limitato rispetto alla prospettiva proposta, è l’individuazione di logiche e metodologied’interpretazione competitiva non tanto diverse da quelle consolidate, ma che si inquadrino in schemiermeneutici altamente reattivi al <strong>nuovo</strong> quali quelli della scoperta. Proprio per questa prospettiva sirichiamano e si accostano strumenti d’analisi tradizionali e strumenti solo proposti in dottrina, ma non ancoracompiutamente operativi. Una strada che per certi versi è controtendenza rispetto ad contesto accademico emanageriale in cui è di moda l’approccio resource based per l’analisi delle imprese e delle loro strategie.Come già accennato, l’approccio è stato favorito dalla tendenza alla terziarizzazione della società edell’economia, causata a sua volta dallo sviluppo delle nuove tecnologie e dall’emergere dell’informazionecome key-factor (Ancarani, p.14). In effetti l’acquisto e l’uso contemporaneo appare strettamente connessoad un contesto di segni e di simboli, in cui le valenze semantiche prevalgono spesso sulle modalità d’usofunzionale dei prodotti (Busacca B., 1994, p.15). Ma se è vero che il consumo odierno è consumo di senso è157


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiallora opportuno che anche il modello di corrispondente creazione di valore utilizzi metodologieermeneutiche che da sempre danno ben conto del senso raacchiuso in segni e simboli e su cui non certo daora si fondano le risorse di fiducia e di conoscenza.In un punto la prospettiva assunta coincide con le tendenze attuali: l’adozione di un punto di vista cheprivilegi l’ottica di osservazione “dell’impresa nella considerazione della concorrenza e dell’analisicompetitiva” (Ancarani F., 1999, p.21). Dal che il ribaltamento del rapporto impresa-contesto competitivo:mentre nella teoria classica l’ambiente esterno è qualcosa di esogenamente dato, nella prospettivadell’impresa il contesto diventa “attivato” (Vicari 1991, 1998) dall’impresa in funzione della propriadotazione di risorse. Si afferma così la proattività dell’impresa (Valdani 1992, 1995), nonché la sua capacitàstrategica di progettare e costruire il proprio contesto competitivo, facendo leva sulle proprie capacità dimarket driving (Valdani E., 1994).1.1 Il contributo tradizionaleSembra utile fare riferimento ad alcune prospettive di analisi del rapporto impresa concorrenza: laprospettiva economica; quella economico-industriale; quella manageriale; quella resource-based.1.1.1. La prospettiva economicaNella prima prospettiva, quella degli economisti non industriali, si distinguono quattro filoni: glieconomisti classici e neoclassici; teorici della concorrenza perfetta; economisti eterodossi ed austriaci.L’approccio classico viene arrichhito dall’affermazione del paradigma microeconomico neoclassicoavviene prevalentemente ad opera di Alfred Marschall (Marschall, 1890), il quale fornisce strumenticoncettuali fondamentali per l’analisi delle condizioni di equilibrio tra la domanda e l’offerta di un bene odun servizio all’interno di un settore. Gli immediati seguaci di Marschall (Pigou, Jevons, Edgeworth)permettono che Marschall “sopravviva nei libri di testo in una versione della teoria dell’impresa diconcorrenza che non è affatto di Marschall, ma post-marschalliana” (Ridolfi, 1972). La tradizionemicroeconomica si caratterizza per aver basato l’analisi del sistema competitivo principalmente su duemodelli di strutture di mercato: la concorrenza perfetta ed il monopolio. Questi due patterns sono concepitisostanzialmente immodificabili stante condizioni stabili di domanda e tecnologia. Ciò che varia è quindi ilgrado di omogeneità del prodotto e la numerosità delle imprese. In entrambi l’impresa non viene consideratanella sua individualità, ma come pezzo della struttura di mercato. L’impresa, che non può modificare questiassetti, può solo tenere un comportamento passivo rispetto ai vincoli esogeni: “questa impresa ha le stessecaratteristiche di quella di Walras: è price-taker e può solo definire quanto produrre, data la tecnica ottimaleche la concorrenza le impone. Il mondo in cui si muove è caratterizzato da certezza e il suo obiettivo è ilmassimo profitto, ma in equilibrio non vi è profitto..” (Silva, 1987). In questi termini, l’interpretazionedell’impresa nel contesto competitivo è quasi interamente protesa a fissare le precondizioni su cui fondarel’equilibrio di un’industria in ottica di equilibrio economico generale. In questo modo, inoltre, dando assolutacentralità all’equilibrio di mercato non si riesce a concepire forme diverse di concorrenza. Lo scarso realismodelle due strutture di mercato suddette, che hanno retto il pensiero microeconomico fino agli anni’30, ha benpresto evidenziato la necessità di introdurre nuovi modelli (Ferrucci, p.18-21).Ma accanto ai neoclassici anche gli altri economisti non industriali sono, con più o meno intensità,accomunati dall’oggetto di studio (tutti rivolgono, infatti, la loro attenzione al sistema economico nel suocomplesso) e che si differenziano, invece, per le sue finalità. Infatti, per gli economisti classici, neoclassici e,in un certo senso, per quelli austriaci, nonché per i teorici della concorrenza perfetta, la finalità è quella digarantire efficienza, equilibrio e benessere del sistema economico. Invece, per quelli eterodossi (inparticolare Schumpeter, 1912), lo scopo è quello di comprendere il divenire del sistema economico e lelogiche di funzionamento del capitalismo. Al variare della finalità di studio varia anche il contributo che, isingoli filoni di pensiero hanno apportato al concetto di concorrenza; nessuno di essi, tuttavia, ha saputofornire un aiuto importante al concetto di strategie competitive ed all’analisi della concorrenza nellaprospettiva dei decisori aziendali (Ancarani, 1999, p.28).Nella tabella che segue si propone uno schema riassuntivo del contributo degli economisti alladefinizione di concorrenza. Si tenga presente che gli autori qui analizzati non hanno contribuito all’analisidella concorrenza in una prospettiva Decision Maker poiché tale argomento non era contemplato nell’oggettodei loro studi.158


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab. 1 Una sintesi del contributo degli economisti (adattato da Ancarani, 1999, p. 29).economisticlassicieconomistineoclassicieconomistiteorici dellaconcorrenzaimperfettaeconomistieterodossi:schumpetereconomistiaustriaciprincipali autori edopere più rilevantiSmith A., 1776,(“Wealth of Nations”):concetto di “invisiblehand”Cournot A., 1829,(“Recherches sur lesprincipesmathematiques de latheorie des richesses”):studia per primo ilconcetto di concorrenzasecondo un approccioanaliticoChamberlin E. eRobinson J. siallontanano dalle ipotesipoco realiste dellaconcorrenza perfettaipotizzando unacommistione delle dueforme estreme(concorrenza perfetta emonopolio)Schumpeter J., 1912,1942: la concorrenza èrappresentata come unprocesso disequilibrante,continuamenteinnovativa, vista come“distruzione creatrice”,come elemento dirottura rispettoall’equilibrioMenger, Von Mises,Von Hayek (1958) eKirzner (1973):attingono daSchumpeter epropongono un modelloeconomico e politico distampo liberale,criticando la concezionestatica della concorrenzaoggetto di studioIl sistema economiconella sua globalitàIl sistema economiconella sua globalità e leforme di mercatoIl sistema economiconella sua globalità eforme di mercatointermedie tra laconcorrenza ed ilmonopolioLo sviluppo del sistemaeconomico e le logichedi funzionamento delsistema capitalisticoIl sistema economiconella sua globalitàscopo dello studioAssicurare l’efficienzadel sistema economico,equilibrio e benessereAssicurare l’efficienzadel sistema economico,equilibrio e benessere.Produrre una teoria dellaformazione del prezzoin un sistema economicoin equilibrioAssicurare efficienza delsistema economico,equilibrio e benessereInterpretare ledinamiche delcambiamentoAssicurare l’efficienzadel sistema economico,equilibrio e benesserenell’ipotesi di esistenzadi condizioni diinformazione imperfettatributo al concetto diconcorrenza ed a quellodi strategia competitivaTeoria della concorrenzacome processo di“rivalità”. Non esistecontributo al concetto distrategia competitivapoiché non previstodall’oggetto e dagliobiettivi dello studio.Formalizzazione delconcetto di concorrenzanella forma di mercatodi concorrenza perfetta.Non esiste contributo alconcetto di strategiacompetitiva poiché nonprevisto dall’oggetto edagli obiettvi dellostudio.Si afferma ladifferenziazione comestrumento competitivoed un’autonomacapacità strategicoconcorrenzialedelleimpreseLa concorrenza come unincessante processodisequilibrante e lastrategia competitivacome una continuainnovazioneimprenditorialeTeoria della concorrenzacome processoequilibrante di scopertaimprenditoriale di nuovaconoscenza. Non esisteun contributo alconcetto di strategiacompetitiva poiché nonprevisto dagli obiettividello studio1.1.2 Gli economisti industriali159


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiSuccessivamente, si trova l’attività svolta dagli economisti industriali, che spostano l’attenzione verso larealtà operativa dei settori industriali, eleggendoli come oggetto del proprio studio, utilizzando, a tale scopo,un approccio fortemente empirico.Gli economisti industriali, distinti in strutturalisti, comportamentisti, e nuovi industrialisti giungono, iprimi con maggiore rigidità ed i secondi in modo più attenuato, a portare un contributo al concetto diconcorrenza sintetizzabile nel noto paradigma “struttura- condotta- performance”, che propongono qualeapparato teorico in grado di spiegare i fenomeni competitivi nelle differenti industrie. In particolare, essidefiniscono i primi fondamenti per un’analisi settoriale nelle sue determinanti strutturali, anche attraverso ladefinizione dei confini settoriali e l’identificazione della situazione competitiva.Tra questi economisti si diffonde per primo il così detto paradigma strutturalista. ha sviluppato l’idea diuna concorrenza potenziale. Bain, per primo, ha evidenziato che la politica di prezzi perseguita dalle impresein un contesto oligopolistico è condizionata, in una situazione di interdipendenza decisionale, daicomportamenti dei potenziali entranti. Da qui, il concetto delle “barriere all’entrata” entra a far parte delcorpus teorico dell’economia industriale, contribuendo all’elaborazione di un <strong>nuovo</strong> paradigma teoricodefinito “struttura- condotta- performance” (Bain, 1959). L’interpretazione strutturalista delle industrie chene deriva (Bain, 1959) si fonda su sole tre variabili: la concentrazione dei produttori, il grado didifferenziazione dei prodotti e le condizioni di entrata. Anche se, solo quest’ultima variabile rende evidentela distinzione nel legame concettuale di questa impostazione con quella neoclassica, i motivi di differenzasono molti (Ferrucci, 2000, p.22): tra questi, si consideri la visione attiva dello Stato nell’economia che sicostruisce con l’approccio teorico in questione (Machlup, 1952; Galbraith, 1968; Clark, 1940). Negli anni’70il paradigma strutturalista prende campo e viene recepito da tutta la manualistica (Scherer, 1970; Needham,1978; Hay, Morris, 1979; Jacquemin, De Long, 1977). La sua definitiva consolidazione si realizza, tral’altro, con un arricchimento sostanziale delle variabili costituenti la struttura del settore (ad esempio, ilmodello di Scherer, 1970 presenta un numero particolarmente elevato di variabili esplicative di una datastruttura, di una data condotta e di una data performance d’impresa e settoriale), per il miglior realismointerpretativo. Il <strong>nuovo</strong> paradigma consente anche di interpretare le differenze tra le imprese relativamentealle condotte strategiche, con riferimento al settore. Lo strutturalismo economico industriale appare tropporigido e determinista nel rapporto tra struttura del settore e comportamento delle imprese Infine, le azionistrategiche delle imprese risultano sempre decisivamente influenzate variabili esterne (progresso tecnologico,variazioni legislative, ecc.). In questo senso il paradigma strutturalista è ancora fortemente attaccato ad unoschema che vede l’impresa passiva rispetto ai fattori del cambiamento. Inoltre, come gli altri gli economistile dinamiche di impresa non vengono esaminate dell’interno. Nella sua formulazione ortodossa, infatti, ilparadigma strutturalista soffre di un eccessivo determinismo e di una rigidità causale che ne rendono difficilel’applicazione empirica rispetto alle imprese utilizzando solo i dati esogeni di settore: “se il comportamentoderiva dalla struttura e la performance deriva dal comportamento non ci sono spazi né per un comportamentoattivo dell’impresa, né essa ha margini di discrezionalità” (Podestà, 1988).Gli economisti industriali comportamentisti cominciano ad entrare nel merito delle logiche interne allasingola impresa. Tra questi bisogna ricordare il contributo di Porter, il cui apporto al concetto di concorrenzae di analisi competitiva è di portata rilevante. L’autore, prima di tutto, sposta l’oggetto di studio dal settoreall’impresa appartenente al settore ed acquisisce la finalità di fornire non più strumenti di politica economica,ma strumenti capaci di aiutare i decisori d’impresa a comprendere la concorrenza ed a formulare correttestrategie competitive. Il contributo di Porter alla definizione della concorrenza è rappresentatodall’elaborazione del concetto di gruppi strategici e di concorrenza allargata; contemporaneamente, glistrumenti connessi alle teorie presentate, ossia la mappa dei raggruppamenti strategici ed il modello dellecinque forze concorrenziali, evidenziano il contributo di tale autore all’analisi della concorrenza nellaprospettiva dei decision maker aziendali. Il limite più evidente di Porter è quello di essere ancora troppoinfluenzato da una logica strutturalista, che confina al grado d’attrattività del settore le condotte competitivedelle imprese.Nella tabella che segue è riepilogato il contributo degli economisti industriali tenendo presente che, perentrambi i filoni, il contributo all’analisi competitiva dal punto di vista del Decision Maker è ancora a livelloembrionale. Comunque si gettano i primi fondamenti per un interpretazione del contesto competitivo nellesue determinanti strutturali, nonché si procede a fornire una delimitazione dei confini settoriali.160


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab. 2 Una sintesi del contributo degli economisti industriali (adattato Ancarani, p.40)economisti industrialistrutturalistieconomisti industrialicomportamentistioggetto di studioIl settoreIl settorescopo dello studioLe differenze intersettoriali sonoanalizzate con una prospettivaempirica al fine di produrrestrumenti per la politica economicadell’autorità pubblicaLe differenze intersettoriali sonoanalizzate con una prospettivaempirica al fine di produrrestrumenti per la politica economicadell’autorità pubblicatributo al concetto diconcorrenza e di strategiacompetitivaIl principale è il paradigma S-C-P. Epistemologicamente ilcontributo al concetto diconcorrenza e di strategiacompetitiva è simile a quelloneoclassicoFocalizzazione sulcomportamento competitivodell’impresaNel corso degli anni’80 si sviluppa, come ulteriore sviluppo dell’economia industriale di stampocomportamentista, un <strong>nuovo</strong> filone di pensiero, detto Nuova Economia Industriale, che prende le mosse dallaversione più debole del paradigma struttura- condotta- performance, il quale si pone l’obiettivo di superarequest’ultimo concetto, nonché di formulare un’analisi delle interazioni dinamiche tra le condotte delleimprese e le strutture settoriali, ad un livello dettagliato settore per settore e, se necessario, caso per caso. “Lanuova economia industriale colloca al centro del proprio schema il comportamento strategico delle imprese,ovvero le scelte razionali delle imprese in condizioni di interdipendenza concorrenziale” (Grillo M. e SilvaS., 1989, p.34).Secondo Schmalensee (Schmalensee R., 1982) le peculiarità della Nuova Economia Industriale sisostanziano (Ancarani, 1999, p. 56):! nel ritorno all’analisi settore per settore, contrariamente alle analisi cross section di Bain e dei suoiallievi;! il riferimento alla teoria macroeconomica formale e, specificatamente, alla teoria dei giochi (VonNeumann, Morgenstern, 1944);! un maggiore impegno dal punto di vista della teoria, rispetto al prevalente contenuto empirico deglistudi precedenti.Nella nuova economia industriale si distinguono quattro diverse impostazioni teoriche, ognuna dellequali fornisce un proprio specifico contributo al concetto della concorrenza, mentre quasi tutte (tranne laseconda), sono piuttosto aride in quanto a sostegno per l’analisi competitiva nella prospettiva dei decisoriaziendali. Esse sono: la teoria dei contestable market, la game theorists, la teoria transazionalista e la teoriaevoluzionista.1. la teoria dei contestable markets: nel 1982 Baumol, Panzar e Willig propongono la teoria dei mercati“contendibili”. Secondo i tre autori, infatti, la concorrenzialità di un mercato non è tanto decisa dallanumerosità degli offerenti, quanto dalla maggiore o minore difficoltà di entrare ed uscire dal mercatostesso. In particolare, un mercato è “contendibile” quando è possibile entrarvi ed uscirvi senza costo.In caso contrario, esistono costi irrecuperabili (sunk cost, o costi affondati) che rendonoparticolarmente oneroso l’insuccesso nel mercato in cui si verificano.2. i cosiddetti game theorist: rappresentano un insieme di studiosi che si occupano delle situazionicaratterizzate da elevata interdipendenza decisionale ed in particolare dei settori in cui esiste unoligopolio differenziato. A tale proposito Tirole J. sostiene che “il comportamento oligopolisticoverrà presentato sotto forma di giochi non cooperativi, in cui ciascuna impresa si comporti secondo ilproprio interesse. L’accento verrà posto sugli equilibri di questi giochi; l’equilibrio di Nash è ilconcetto fondamentale di soluzione della teoria dei giochi” (Tirole J., 1991, p. 352). I game theoristfanno emergere l’importanza del comportamento strategico delle imprese (introducendo il concettodi “barriere strategiche all’entrata” come funzione di comportamenti strategici realizzati dalleimprese - Shelling T., 1960), delle logiche di differenziazione, delle politiche di pricing (la politicadi prezzo viene ad assumere la connotazione di una politica di investimento volta a crearereputazione - Jacquemin A., 1989) e quindi di tutto ciò che costituisce strumento di competizione.161


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei3. la teoria transazionalista: oggetto di studio della teoria in questione è l’esame della convenienzarelativa tra l’utilizzo del mercato e quello dell’impresa nel governo delle transazioni (Ancarani,1999, p. 65). Le transazioni, definite da Williamson (1975) come “il trasferimento di beni e servizitra differenti unità di produzione”, impongono infatti una scelta tra mercato ed organizzazione, laquale “dipende dalla loro efficienza relativa, cioè dal confronto tra i costi di uso del mercato ed icosti dell’organizzazione” (Faccipieri S., 1988, p. 61). Secondo il modello di Williamson (basato suconcetti di “razionalità limitata” e “comportamenti opportunistici” per quanto attiene la definizionedegli attori e “frequenza”, “incertezza” e “relazioni di scambio più o meno idiosincratiche”) laconvenienza all’organizzazione si ha quando: la frequenza delle transazioni è bassa, l’incertezza èelevata ed esiste un ampio spazio perché si possano verificare comportamenti opportunistici(Ancarani, p. 66).4. la teoria evoluzionista: la teoria evolutiva di Nelson e Winter (1982) causa una delle crisi più gravinella teoria neoclassica dell’equilibrio. Le imprese, in questo approccio, sono viste come soggetti chehanno, in un certo momento, alcune capacità e regole decisionali che, nel tempo, si modificano aseguito di sforzi deliberati di problem solving sia di eventi del tutto casuali. In ciò risiede lacomunanza rispetto alle teorie biologiche (Ancarani, p. 67). In sintesi, la teoria evolutiva di Nelson eWinter fornisce una prospettiva particolare di analisi della concorrenza: a fronte di mutamentiesogeni e di stimoli esterni le imprese si comportano in modo differente. Tuttavia solo alcune hannosuccesso. La concorrenza si configura, allora, come una sorta di meccanismo di selezione che,individuando le caratteristiche genetiche delle imprese (le routine), permette di sopravvivere solo aquelle più adatte rispetto al contesto (Ancarani, p. 69).All’interno della teoria organizzativa si individuano altri tre filoni che risulta interessante analizzare perla loro vicinanza alla teoria transazionalista ed a quella evoluzionista:- la teoria delle contingenze strutturali: evidenzia il rapporto di dipendenza dell’impresa, in quantoorganizzazione, dal contesto circostante. Il fulcro di tale teoria è esprimibile così: “in condizioni diefficienza, la configurazione dell’organizzazione è correlata alla configurazione del contesto”(Grandori A., 1984, p. 11). Ha origine così, nell’ambito della teoria organizzativa, il concetto difitness, ovvero di adattamento dell’impresa al contesto.- la teoria della dipendenza delle risorse: secondo Pfeffer e Salancick (1978) la sopravvivenzadell’impresa è influenzata dal suo controllo sulle risorse scarse. E proprio per mantenere il controllodi risorse critiche l’impresa cambia la propria struttura ed il proprio comportamento, adeguandosiperiodicamente al contesto circostante.- la teoria dell’ecologia delle popolazioni: Hannan e Freeman (1977) sostengono che “nel contestodove esistono risorse scarse, operano differenti forme (specie) di organizzazioni, che sono capaci disopravvivere solo in particolari nicchie ecologiche, utilizzando certe combinazioni di risorse. Dalmomento che le risorse sono limitate, esiste concorrenza tra le popolazioni di organizzazioni”(Ancarani, 1999, p. 64). Di conseguenza, una forma organizzativa sopravvive solo se è in grado difar corrispondere le peculiarità strutturali della propria organizzazione al contesto esterno (ritorna lalogica di fitness).Nella tabella seguente è sintetizzato il contributo degli studiosi della Nuova Economia Industriale,osservando che, tranne un piccolo contributo del filone dei “game theorist”, le altre scuole di pensiero nonforniscono alcun aiuto all’analisi della concorrenza nella prospettiva dei Decision Maker.162


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab. 3 Una sintesi del contributo della Nuova Economia Industriale (adattato Ancarani, 1999,p.58)oggetto di studioscopo dello studiotributo al concetto di concorrenzae di strategia competitivateoria dei contestablemarketsgame theoristteoria transazionalistateoria evoluzionistaI settori, maconcepiti in modonon perfettamenteconcorrenziale cosìcome intesoclassicamenteI settori in situazionidi oligopoliodifferenziato e, piùin generale, lecondizioni di elevatainterdipendenzacompetitivaLe transazioni e laconvenienza relativaall’utilizzo delmercato odell’impresaall’interno delsistema economicoI settori ed il sistemaeconomico nel suocomplessoAssicurare le condizioni diequilibrio, efficienza ebenessere anche se non sonoverificate le condizioni diconcorrenzialità neoclassicheCapire le situazioni diequilibrio che si formano inseguito alle interazionidinamiche in mercatioligopolisticiAssicurare la efficienteallocazione delle risorse:efficienza relativanell’utilizzo del mercato edella gerarchiaCapire il mutamento e ledinamiche economicheContributo di stampofondamentalmente neoclassico.Contributo non premeditato alconcetto di concorrenza e distrategia competitiva: la logica deisunk cost e degli investimentiirrecuperabili come fonte didifferenziale competitivoAnalisi dei comportamentistrategici delle imprese, dellepolitiche competitive didifferenziazione, delle politiche dipricingIl vantaggio competitivo nellaminimizzazione dei costi ditransazione; l’esame di formeintermedie tra il mercato e lagerarchia; la costruzione divantaggi competitivi asimmetriciOttica evolutiva e dinamica dellaconcorrenza: Concorrenza comemeccanismo di selezione1.1.3 La prospettiva managerialeI contributi finora analizzati (dagli economisti agli economisti industriali, tradizionali e nuovi), nonfocalizzano mai come oggetto centrale di studio l’impresa, né si pongono come finalità, ad eccezione diPorter, quella di facilitare il management nel suo processo decisionale. L’impresa diviene, invece, l’oggettocentrale di studio dei contributi di Management e in particolare dello Strategic Management e al MarketingManagement.Con tale approccio centrale per lo studio è il processo decisionale di impresa per fornire ai responsabililogiche e strumenti di direzione strategica. A tale proposito, Rumelt, Schendel e Teece (1994, p. 547)sostengono che “economics has been chiefly concerned with the performance of markets in the allocationand coordination of resource. By contrast, Strategic Management is about coordination and resourceallocation inside the firm”. L’approccio dello Strategic Management si impegna a chiarire quattro puntispecifici: il comportamento delle imprese, il motivo dell’esistenza di imprese differenti, la funzione dellesedi centrali delle imprese multinazionali, la chiave del successo nella competizione internazionale(Ancarani, p. 72). A differenza di quello strutturalista, questa impostazione concentra l’attenzione sulcomportamento delle imprese, anziché sulla struttura del settore: l’impresa con le proprie strategie vieneritenuta capace di influenzare gli stessi assetti strutturali del settore. In questi termini si mina radicalmentel’impostazione strutturalista, relativa ai contenuti attribuiti alle stesse componenti analitiche della strutturadel settore.Lo Strategic Management propone una prospettiva di analisi sostanzialmente nuova ed originale di tipofirm-centered: all’impresa viene assegnato, per la prima volta, un determinato potere di condizionamento neiconfronti di una parte dei consumatori che si riflette a sua volta nella sua disponibilità di parametridecisionali di azione. In altri termini, il paradigma strategico introduce sul piano teorico la dinamica163


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiendogena dell’impresa (Ferrucci, 2000, p. 27): “la struttura non può determinare completamente ilcomportamento competitivo, perché essa ha natura statica, mentre la competizione è un fenomeno dinamico”(Podestà, 1988). Lo schema strutturalista è così stravolto nel modo seguente:condotta strategica → performance → struttura di settoreA tali risultati si giunge anche per altre strade e solo per certi versi sia tramite la rivisitazione delparadigma strutturalista in chiave evoluta (Caves e Porter), sia attraverso modelli di teoria dei giochi costruitisulle caratteristiche dei mercati oligopolistici (Neumann, Morgenstern, 1947). Entrambi i patternscostituiscono comunque una rivisitazione delle assunzioni in materia di teoria neoclassica dell’impresa:permangono infatti logiche massimizzanti in contesti di interdipendenza decisionale, finalizzate alladeterminazione delle condizioni di equilibrio (Vickers, 1985; Schmalensee, 1988). Il pregio fondamentale ditali evoluzioni è quello di ammettere che le imprese non sono omogenee, mentre il limite maggiore è quellodi assumere molti fattori dati dall’inizio.Nonostante l’importanza di questi contributi il puro Strategic Management è quello della businesseconomics che, a partire dai lavori pionieristici di Ansoff (1968), cerca di interpretare il percorso di studiodel management all’elaborazione della strategia in termini di carattere soggettivo delle scelte di ogni singolaimpresa.Quattro scuole di pensiero hanno, in particolare, determinato l’evoluzione storica degli studi di StrategicManagement:1. la Business Policy il cui contributo al concetto di concorrenza è riassumibile nella logica dellosviluppo come momento di rottura dell’equilibrio, mentre, a causa del ridotto target accademico diriferimento, risulta scarso o nullo il sostegno all’analisi della concorrenza nella prospettiva delmanagement strategico. La Business Policy raggruppa studiosi appartenenti a discipline diverse,quali: la Penrose (che fornisce una propria teoria sull’espansione delle imprese: se “l’espansioneconsente di utilizzare i servizi delle proprie risorse più convenientemente di quanto non sianoutilizzati in assenza di tale processo, allora un’impresa ha l’incentivo ad espandersi” - Penrose E.,1959, ed. it. 1973, p. 17), Chandler (che esamina le case histories di alcune grandi impreseamericane - eneral Motors, Sears, Standard Oil, Du Pont - verificando il rapporto tra strategia estruttura delle stesse - Chandler, 1962) ed Ansoff (che pone attenzione ai problemi delladiversificazione ed introduce il concetto di pianificazione di lungo periodo, affermando la naturarazionalistica della strategia competitiva - 1965).2. La scuola harvardiana e delle società di consulenza, che contribuiscono al concetto di concorrenzaattraverso la rappresentazione della strategia competitiva come momento di valutazione congiunta eponderata, delle forze e debolezze interne, con le opportunità e le minacce esterne; inoltre, glistrumenti proposti da tali studiosi, ossia, il modello della SWOT Analysis (Strengths WeaknessesOpportunities Threats) da parte della scuola di Harvard e la curva d’esperienza (la quale producebenefici solo se accompagnata da strategie competitive di investimento preventivo “preemption ofrivals with commitment today was necessary for success tomorrow” - Rumelt R.P., Schendel D.,Teece D.J., 1994, p. 19), le matrici di portafoglio (BCG, McKinsey) ed il processo strategicocompetitivo a livello corporate (per la scelta dei business in cui competere, utilizzando il criteriodell’attrattività esterna) da parte delle società di consulenza, costituiscono i primi veri modellioperativi finalizzati ad agevolare l’attività di formulazione della strategia competitiva dell’altadirezione.3. La strategia emergente, il cui massimo esponente è Minzberg (secondo cui fra intenzioni strategichee le effettive realizzazioni, il processo strategico genera la strategia emergente - Minzberg H., 1978-Inoltre, l’autore sostiene il concetto di crafting strategy - 1987 -, che utilizzando la metaforadell’artigiano si oppone alla logica della pianificazione meccanicistica e spiga bene il processo che faemergere la strategia competitiva - Ancarani, 1999, p.81), osserviamo che relativamente al concettodi concorrenza si verifica un allontanamento dalla concezione razionalistica della strategiacompetitiva, adottando, invece, la logica della strategia emergente, appunto; limitato è il sostegnodato al management strategico, visto che si privilegia il momento di implementazione della strategia,piuttosto che quello di formulazione. Sorgono così il concetto di muddling trought di Lindblom(1959) e di logical incrementalism di Quinn (1980, 1981). Anche Normann (1977, ed.it. 1979), afronte di un environment particolarmente turbolento e dinamico, contribuisce all’analisi competitivacon il concetto di business idea, la cui logica assume valore operativo: “è nell’attività operativa164


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeigiornaliera, infatti, che si costruisce ed emerge la miglior consonanza tra impresa ed contesto”(Ancarani, p. 80).4. La scuola cognitiva fornisce un contributo essenziale sia al concetto di strategia che all’analisi dellastrategia competitiva nella prospettiva del management. Il filone della scuola cognitiva si propone,infatti, la finalità di comprendere le scelte competitive in funzione degli schemi cognitivi delmanagement (Ancarani, p.82); questo fa si che la prospettiva cognitiva interpreti in modo piùsoggettivo il contesto competitivo. In particolare, mentre la teoria e la pratica tradizionali hanno dasempre considerato il contesto esterno come qualcosa di “dato”, in una prospettiva cognitiva, invece,il contesto esterno è sempre più un contesto “attivato”, ossia definito e ri-definito continuamentedall’impresa e dal suo management (Ancarani, p.82). In altre parole, “da un punto di vista cognitivo imanager agiscono in base ad una propria rappresentazione mentale del contesto; perciò, qualsiasispiegazione alla scelta di una certa risposta strategica alle pressioni competitive deve, in ultimaanalisi, prendere in considerazione i modelli mentali dei decisori aziendali” (Porac J.F. e ThomasH., 1990, p.224). In sintesi, tale scuola di pensiero contribuisce al concetto di concorrenza,fornendole una connotazione sempre meno oggettiva e sempre più soggettiva, dipendente daglischemi cognitivi del management; in questo senso, essa aiuta, quanto meno, a riflettere sullemodalità di formulazione delle strategie competitive, anche grazie allo strumento d’analisi dellemappe cognitive (definite come “rappresentazioni mentali significative della realtà” –Vicari S. eTrolio G., 1997, p.101) e dei raggruppamenti cognitivi (Rispoli, 1998). L’uso delle mappe cognitiveconsente la definizione dei competitor sotto un’ottica nuova: le percezioni dei manager rispetto aiconcorrenti ed alle loro strategie assumono una struttura di “gruppo” (Reger e Huff, 1993). Nellastessa linea di pensiero si collocano Fiegenbaum e Thomas (1995), che reinterpretando il concetto digruppi strategici in una logica cognitiva, propongono il concetto di reference group, definibile comecluster di imprese percepite come concorrenti dai decisori aziendali.Nella tabella seguente è riportato, in sintesi, il contributo degli studiosi di Strategic Management,tenendo in considerazione il fatto che per tutti e quattro i filoni l’oggetto di studio è l’impresa (solo nellascuola cognitiva si precisa ulteriormente il tema analizzato specificando l’ottica soggettiva di osservazionedell’impresa). Inoltre, il contributo all’analisi della concorrenza nella visione dei Dcision Maker è fortementelimitato nei filoni della Business Policy (a causa del limitato target accademico di riferimento) e dellaStrategia Emergente (poiché si privilegia l’attenzione al processo di costruzione della strategia emergenterispetto al momento di studio analitico). Nelle altre due scuole un minimo di contributo è garantito: infatti, laScuola Harvardiana e le Società di Consulenza forniscono strumenti quali la SWOT Analysis, la curva diesperienza, le matrici di portafoglio (BCG; McKinsey), mentre la Scuola Cognitiva produce tools quali iGruppi Strategici Cognitivi e le Mappe Cognitive.Tab. 4 Una sintesi degli studiosi di Strategic Management (adattato da Ancarani, 1999, p. 74)studiosi di business policyscuola harvardiana econtributo delle societa’di consulenzastrategia emergentescuola cognitivascopo dello studioLa crescita e l’evoluzione delleimprese presuppone lapianificazione delle scelte aziendali,in funzione dello sviluppo edell’attrattività ambientaleElaborazione di una strategiacompetitiva razionale che passiattraverso la comprensione del fit tracompetenze distintive interne efattori critici di successo esterniCapire il processo che conduceall’emergere della strategiaCapire le scelte strategicocompetitivein base agli schemicognitivi del managementtributo al concetto di concorrenza e distrategia competitivaLa concorrenza è interpretata come processo dirottura dell’equilibrio nel percorso di sviluppo.Vengono prodotte strategie di sviluppo e lapianificazione strategicaStrategia competitiva come valutazionecongiunta e ponderata dei punti di forza e diquelli di debolezza interni con le opportunità eminacce esterneAllontanamento dalla concezione razionalisticadella strategia competitiva ed adozione di unalogica di strategia emergenteSi perviene ad una configurazione soggettiva diconcorrenza165


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiGli studiosi di Strategic Management, così come gli economisti, si sono principalmente dedicati allostudio dell’offerta, relegando ad uno spazio marginale lo studio della domanda che, invece, è diventataoggetto di studio della scuola del Marketing Management. La finalità di tali studiosi è quella di mostrarecome l’orientamento al mercato sia condizione determinante per il successo economico delle scelted’impresa (Lambin, 1996) e come tale orientamento debba essere esplicitato in opportune strategie epolitiche di marketing. Gli studiosi di Marketing Management, in particolare, contribuiscono al concetto diconcorrenza e d’analisi della strategia competitiva per sostegno dell’alta direzione, attraverso l’introduzionedella domanda e del cliente, nel rapporto con l’impresa, come oggetti centrali di studio (Ancarani, 1999,p.85).I più rilevanti contributi degli studi di marketing sono quelli dei seguenti filoni:1) il pensiero di Lancaster relativamente all’analisi del consumatore: Lancaster (1966, 1979), definendoi beni come bundle of characteristic, ritiene che i consumatori abbiano diverse preferenze rispettoagli attributi dei beni cercati. La conseguente differenziazione operata dalle imprese nella propriaofferta è rilevabile a livello di contenuto di caratteristiche (Lancaster, 1979, p. 7). Lancasterindividua il grado ottimale di differenziazione del prodotto nell’esistenza di un unico gruppo diprodotti - caso paradigmatico-: la differenziazione è verificata solo tra i beni appartenenti al gruppo ela sostitutività è interna. Nonostante i limiti (ricerca, secondo una logica tipicamente neoclassica,all’interno di una precisa forma di mercato –concorrenza monopolistica perfetta- la soluzione ottima,statica e di equilibrio; la teorizzazione della forma di mercato della concorrenza monopolisticaperfetta toglie spazio alla possibile rappresentazione della concorrenza in una prospettiva nuova;l’ipotesi della stabilità delle preferenze del consumatore verso le caratteristiche dei beni èdifficilmente sostenibile) il modello di Lancaster apre lo stesso la strada ad una nuova teoria delconsumatore (Ancarani, p. 88).2) la moderna teoria del consumatore. Podestà (1974, 1988) evidenzia chiaramente i limiti della teorianeoclassica del consumatore: la non stabilità delle preferenze; l’impossibilità di escludere dalla teoriadel consumatore la qualità del prodotto; il concetto di qualità che deve comprendere i riferimenti siaalla materialità che all’immaterialità; il consumatore acquista quantità finite di beni; ecc. - Ancarani,p.89. Basandosi su questi concetti Podestà formula l’idea dell’eterogeneità della domanda come unodei fattori determinanti strutturali più significativi; a questo proposito l’autore rileva anche che perdifferenziare un prodotto da quello offerto dai concorrenti non è necessario ricorrere a variazioninella sua qualità oggettiva (Ancarani, 1999, p. 90), in quanto “il giudizio di differenziazione cheformula il consumatore può essere fondato anche su elementi puramente soggettivi e ciò lasciaspazio non solo ad interpretazioni soggettive di caratteristiche misurabili in termini razionali, maanche a modalità di differenziazione derivanti esclusivamente dall’immagine del prodotto” (Podestà,1988, p. 223).3) l’evoluzione degli studi di marketing ed il concetto di concorrenza e di strategia competitiva.L’evoluzione degli studi di marketing (nasce negli USA dopo il primo dopoguerra –Vicari S., 1988,p. 416- e si sviluppandosi tra gli anni ‘50-’60 con un approccio funzionale; tra la fine degli anni ’60ed i primi anni’70 il marketing acquista un approccio sistemico. E’ soltanto alla fine degli anni ’80 el’inizio degli anni ’90 che il marketing diventa di tipo relazionale - Busacca B, Grandinetti R. eTroilo G., 1998) ed il loro rapporto con il concetto di concorrenza e di strategia competitiva, siaccompagna ad un cambiamento dei possibili approcci operativi delle imprese alle attività dimarketing (Ancarani, 1999, p. 92). Un primo orientamento adottato è quello l prodotto, in cuil’attenzione è concentrata sulle funzioni di produzione e progettazione dei beni, mentre l’attivitàcommerciale è molto ridotta, trascurando di curare i rapporti con i clienti. Un secondo orientamentoè alla vendita, in cui l’obiettivo è la maggiore espansione possibile delle vendite, attraverso lasofisticazione delle tecniche di pubblicità e di avvicinamento al mercato. Un terzo orientamento è almarketing e si propone di costruire l’offerta dell’impresa sulla base delle esigenze della domanda.L’ultimo orientamento sfocia nello strategico ed evidenzia l’importanza dell’analisi edell’interpretazione del fenomeno concorrenziale. In sintesi, il marketing fornisce un contributoessenziale al concetto di concorrenza, descrivendola come “un processo competitivo tra imprese dicui il cliente è centro e motore” (Ancarani, 1999, p. 93).4) i patterns di analisi competitiva di tipo customer based. Tali modelli di analisi della concorrenzasono definiti da Valdani (1995) modelli “a posteriori”, in quanto si distinguono dai precedentipoiché questi ultimi, ponendosi dal lato dell’offerta, “focalizzano il comportamento del produttoresenza considerare il comportamento dell’acquirente” (Valdani, 1995, p. 272). I modelli di analisi166


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicompetitiva customer based, definiti dal Rispoli “raggruppamenti competitivi” (1998), consentono diidentificare l’ambito competitivo come “l’insieme dei prodotti giudicati sostituibili dai consumatoriall’interno di situazioni d’uso richiedenti simili benefici” (Ancarani, 1999, p. 94). Il modellocustomer based più utilizzato è la perceptual mapping, consistente nella mappatura delle percezionidel cliente per rilevare il posizionamento do un prodotto o di una marca nello spazio percettivo delcliente stesso (Molteni, 1993). Il limite dei modelli in questione, che hanno il pregio di fornire allaconcorrenza una rappresentazione che fornisca la centralità al cliente, è quello di, ponendosi a livellodi prodotto, non consentire un’analisi strategico-competitiva delle differenti imprese concorrenti adun livello corporate. Inoltre, i modelli customer based devono essere considerati solo integratori enon sostitutivi dei modelli precedenti (Ancarani, 1999, p. 95).In conclusione, la prospettiva manageriale permette al pensiero economico di realizzare significativiprogressi teorici, concentrando l’analisi sul comportamento effettivo delle imprese; nonostante ciò, questoapproccio riesce a spiegare solo limitatamente le determinanti endogene della loro diversità comportamentale(Rosenberg, 1982).1.1.4 La prospettiva istituzionaleA fronte dei limiti della prospettiva strategica tende a svilupparsi un <strong>nuovo</strong> approccio che poneattenzione primaria agli aspetti istituzionali che accanto ai comportamenti e alle condotte esamini anche gliaspetti organizzativi e sociali delle imprese. L’impresa non viene rappresentata più come combinazione solotecnica o economica di fattori produttivi, ma anche sociale e culturale. Entra così nel corpus teorico dellaletteratura economico-mangeriale il concetto di “efficienza organizzativa” (la cosiddetta x-efficiency,Liebnestein, 1975) ad integrazione (e talvolta in opposizione - Egidi, 1989) dell’efficienza tecnica formulatanel paradigma microeconomico neoclassico (Ferrucci, 2000, p. 31). Due filoni sono riconducibili a questaprospettiva: il filone assetti-condotte e ilIl filone assetti-condotte assume una prospettiva costituzionale dell’impresa ed è, in Italia, direttamentericollegabile alla matrice teorica dello Zappa (impresa istituzione destinata a perdurare) compiutamentesviluppata da Fazzi (1982) e recentemente rivitalizzata da Coda (1990). Tale filone sembra il piùcaratteristico delle scuole latine di management, anche se trova molte corrispondenze negli studianglosassoni. In questo filone l’impresa è vista come composta da diversi soggetti aventi logiche di azione efinalità diverse. Indubbio punto di partenza è l’osservazione, soprattutto nelle grandi imprese, la mancatacoincidenza tra soggetto proprietario e management. Ciò implica la definizione di una molteplicità diobiettivi, a volte conflittuali, che non coincidono con quello della massimizzazione dei profitti (Berle, Means1966; Marris, 1972; Baumol, 1959; Williamson, 1964). Altri studiosi, peraltro, rilevano che il modellodell’impresa manageriale, fondato sul dualismo managers-proprietari, non è l’unico ipotizzabile. Adesempio Fazzi propone una trilogia di assetti: proprietà, imprenditore, management e suggerisce una varietàdi modelli istituzionali che, per certi versi, dipende più che dalla dimensione dal rapporto tra i differentipubblici dell’impresa (stakeholders: lavoratori, finanziatori, proprietari, clienti, fornitori, ecc.). L’originalitàdi questa prospettiva è quella di non fermarsi ad una analisi organizzativa costituzionale, ma di affrontare ilproblema struttura-condotta attraverso lo studio procedure decisionali ed i suoi modelli di interazione trasoggetti. La condotta di impresa, infatti, è costruita da persone, spesso riunite in coalizioni, che perseguonoobiettivi diversi. Con queste premesse all’analisi strategica e organizzativa si aggiunge una visione politica incui realisticamente ammettere che nella presenza di “conflitti organizzativi” esistono obiettivi divergentiespressi dalle differenti coalizioni che danno luogo a fenomeni di bargaining tra le diverse parti.La concorrenza tra imprese è allora vista non solo come competizione tra istituzioni, ma anchecompetizione tra principali attori di queste organizzazioni. I proprietari competono sul mercato dei capitali,gli imprenditori sugli stili di leadership, i manager su strumenti gestionali e così via.Il filone contestuale tende a considerare l’impresa nell’ambito di un particolare contesto culturale diriferimento, composto da proprie routine forgiate da una storia che esprimono peculiari regolazioni delleattività d’impresa. Le peculiarità distintive del comportamento delle imprese dipendono quindidall’inserimento di queste ultime in uno specifico sistema sociale ed istituzionale: “l’azione dell’attore ècondizionata dal contesto in cui si svolge e di cui l’attore fa esperienza, spesso insieme ad altri attori”(Rullani, 1996). In questo senso non esiste un mercato concorrenziale univocamente interpretabile sulla basedelle teorie neoclassiche, ma, al contrario, ogni mercato presenta proprie peculiarità per effetto di un diversosistema istituzionale a cui è riferito. A tale proposito in molti parlano di “costruzione istituzionale e socialedel mercato” (Hodgson, 1990; Bagnasco, 1988). Uno sviluppo florido di questo filone si è avuto con l’analisi167


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidelle varietà dei sistemi capitalistici, attualmente identificati in tre modelli istituzionali principali: quellogiapponese, quello americano e quello tedesco (Albert, 1993). Su scala territoriale inferiore rispetto alsistema capitalistico nazionale è possibile individuare un altro filone di analisi (Ferrucci, 2000, p.31-32),connesso alla localizzazione ed al radicamento delle imprese nei vari sistemi locali di industrializzazione, inparticolare nei distretti industriali (Ferrucci, Varaldo 1993; Becattini, 1989). Quindi, le specificità deimodelli locali di industrializzazione sono tali da modellare le imprese che vi operano (Vaccà, 1995). Tuttoquesto conduce ad una varietà delle imprese basata sulla localizzazione intesa come appartenenza sia ai varicapitalismi nazionali, sia a sistemi locali e distrettuali di industrializzazione. Insomma l’attenzione in questosecondo filone istituzionale viene riposta su un ambiente fortemente osmotico in cui la lotta tra imprese rivalinon può prescindere dalla considerazione del contesto istituzionale in cui sono collocate (Zamagni, 1990).La concorrenza tra imprese è allora interpretata come competizione tra contesti istituzionali, tra sistemicapitalistici, tra norme di governance, tra culture locali e storie distrettuali.In conclusione, la prospettiva istituzionale, sembra privilegiare l’analisi della struttura dell’impresa. Négli assetti istituzionali, né le culture e le regolazioni di riferimento sono capaci di condizionare univocamentela condotta strategica delle imprese. Ma in questa prospettiva la varietà delle strategie competitive delleimprese nasce anche in funzione delle loro diverse strutture vuoi di tipo istituzionale vuoi di tipo relazionalecosì come derivanti da rapporti storicamente e geograficamente sedimentati. In questo approccio si assumeinoltre che il passato svolga un ruolo rilevante nell’apprendimento dell’impresa, tale da poterne condizionarela struttura organizzativa stessa: in questo senso si esprime, pionieristicamente, Chandler (1976, 1981).Secondo l’autore, infatti, “la struttura dell’impresa rappresenta l’organizzazione progettata e costruita peramministrare i settori di attività e le risorse della stessa, mentre la strategia è la determinazione delle metefondamentali e degli obiettivi di lungo periodo di un’impresa, la scelta dei criteri di azione ed il tipo diallocazione delle risorse necessari alla realizzazione degli obiettivi suddetti”. Sulla base di questi concettiChandler analizza le reciproche influenze ed i rapporti intercorrenti tra i termini di strategia e struttura: “latesi che si può dedurre è che la struttura consegue la strategia e che il tipo più complesso di struttura è ilrisultato della concatenazione delle varie strategie di base”. Il modello di Chandler, supportato da contributiteorici precedenti, evidenzia anche un rapporto biunivoco tra le due dimensioni: la struttura dell’impresa, checondiziona la struttura del settore, influenza ed è influenzata dalla condotta strategica, che a sua voltadetermina la performance. Quest’ultima, tuttavia, è in grado di incidere direttamente sulla struttura d’impresa(Ferrucci, p. 35-36).1.1.5 La prospettiva Resource BasedUn ultimo contributo rappresenta un ulteriore cambio di prospettiva. Il riferimento è alla già citataResource Based View of the Strategy (RBV), che tra gli anni Ottanta e Novanta emerge come <strong>nuovo</strong> modellostrategico-competitivo in conseguenza di un percorso evolutivo proprio dello Strategic Management. LaRBV si focalizza internamente sull’impresa e sulle sue risorse, ossia su tutto ciò che può essere interpretatocome punto di forza dell’impresa stessa. In altre parole, the resource-based view research focuses on theimplications of resources for the actions taken by top management, because, these resources can influence avariety of the managing actions and of business performace (Combs, Ketchen, 1999, p. 867-888). L’oggettodi studio della RBV è l’impresa, considerata come insieme delle risorse eterogenee ed analizzata dallaprospettiva interna e non da quella esterna; la principale finalità degli studiosi della RBV è quella dicomprendere le differenze di performance tra le imprese in funzione della dotazione di risorse, piuttosto chein funzione di fattori esterni. I contributi al concetto di concorrenza e di strategia competitiva elaborata dalmanagement, sono sintetizzati nelle elaborazioni di tre differenti filoni di studio: i Padri Fondatori; laCompetence Based; la Capabilities Based. Tali filoni già esaminati tra le risorse vengono ora rivisti sotto ilprofilo della interpretazione della competizione.Il primo gruppo di studiosi (Rumelt R.P., Wernerfelt B., Barney J.B., Dierickx I. e Cool K., Peteraf M.)definisce la concorrenza come competition su risorse scarse che genera vere e proprie rendite dovutaall’asimmetria delle risorse disponibili (Ancarani, 1999, p. 108). D’altra parte, se il contributo al concetto diconcorrenza e di strategia competitiva è elevato, per ciò che concerne il fornire strumenti all’analisi dellaconcorrenza nella prospettiva dei decisori aziendali, il filone oggetto d’esame è piuttosto scarno, data laprevalenza del contributo teorico e la forte contaminazione delle teorie economiche.Dal 1990 in poi, anche se lentamente, il paradigma della RBV si diffonde e, soprattutto ad opera dellavoro di Prahalad ed Hamel (Prahalad, Hamel, 1990, p. 79-91), assume una connotazione diversa. Inparticolare, mentre finora ci si è riferiti indistintamente al concetto di risorse, ora, la letteratura comincia ad168


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiutilizzare anche altre terminologie, quali competenze e capacità. Da questa distinzione prendono vita i duefiloni sopra indicati, ossia il competence based ed il capabilities based.Il contributo fornito al concetto di concorrenza dal filone competence based, è riassumibile nella logicadella competence based competition, rispetto alla quale la formulazione della strategia competitiva, nondovrebbe più essere funzione esclusiva dell’attrattività della struttura del settore o della partecipazionedell’impresa a determinati gruppi strategici, ma il vantaggio competitivo ad essa connesso dovrebbedipendere dal possesso, da parte dell’impresa, di competenze uniche e difficili da imitare. In una tale ottica,emergono, alla fine dei salmi, due livelli di concorrenza: uno più superficiale e finale, a livello di prodottomercato(product based competition) ed un altro, più profondo ed iniziale, a livello di competenze(competence based competition) disponibili all’impresa. Se il contributo del filone in questione èestremamente rilevante in quanto a concetto di concorrenza e di strategica competitiva, il punto debole di talistudiosi è dato, ancora una volta, dalla scarsa capacità di fornire strumenti idonei a supportare il managementnell’attività di formulazione della strategia.L’ultimo gruppo di studiosi appartenente alla scuola della RBV è quello delle capabilities based, chepongono la loro attenzione su un concetto ancora più sofisticato rispetto a quello di risorse e competenze; illoro oggetto di studio sono, infatti, le capacità aziendali, ossia le abilità dell’impresa ad utilizzare le risorsedisponibili. Il filone in oggetto contribuisce al concetto di concorrenza fornendo la logica della capabilitiescompetition; inoltre, propone l’interpretazione della strategia competitiva come la ricerca continua di renditenon solo economiche, ma anche organizzative, derivanti dalla capacità dell’impresa di utilizzare e combinarele risorse in processi in grado di, in una prospettiva dinamica, di trasmettere al cliente il valore superiore aquello generato dai concorrenti. In particolare, nei contributi più recenti del filone delle capabilities based,l’enfasi sulle capacità organizzative si accentua e si focalizza sulla centralità della risorsa “conoscenza”(cosiddetta knowledge based). Anche nel caso del filone capabilities based, alla ricchezza del contributo alconcetto di concorrenza e di strategia competitiva, corrisponde una scarsità di contributi all’analisi dellaconcorrenza nella prospettiva del management strategico.In conclusione, si può senza dubbio affermare che, la prospettiva d’analisi della concorrenza Resource-Based ha fornito un contributo fondamentale all’evoluzione degli strumenti di sostegno all’attività strategicadel management, in quanto ha saputo operare un cambiamento del punto d’osservazione della dinamicacompetitiva, facendo dell’impresa l’oggetto primario di analisi ed il soggetto costruttore della propriastrategia competitiva. Per questo, proseguendo nel processo di presentazione di nuovi sistemi d’analisi, saràadottata tale prospettiva quale lente interpretativa del fenomeno concorrenziale.1.1.6 La paradigma evoluzionistaLa visione evoluzionista L’origine di questo approccio, mutuata dal campo della biologia (Ferrucci,2000, p.37), è un paradigma che permea molti dei filoni già visti. Trasversale alle prospettive,l’evoluzionismo proposte è un vero e proprio paradigma: un insieme di convinzioni epistemiche di base cheinfluenza varie interpretazioni di un certo fenomeno.Il declino del paradigma strutturalista è ascrivibile alla sua rigidità ed alla sua incapacità di considerarela varietà strutturale e comportamentale delle imprese. Il paradigma strategico e quello istituzionalerappresentano decisi passi in avanti nell’assunzione di una prospettiva di indagine endogena all’impresa enell’acquisizione di una capacità di analisi più dinamica. La visione evoluzionisita attenua queste criticheproiettatandosi verso la concezione dinamica degli assetti economici.Pur nella sua trasversalità, sembra comunque che alcuni autori abbiano una spiccata capacità diinterpretare in termini economici il <strong>nuovo</strong> paradigma: numerosi economisti già all’inizio del secolo avevanoben chiaro che il processo competitivo opera in un contesto di continuo disequilibrio (Menger, 1871; Mises,1949; Hayek, 1948) e che la competizione è guidata sia dalla scoperta imprenditoriale di certe opportunità diprofitto (Kirzner, 1973) sia dalla creazione di nuovi mercati combinando in modo diverso le risorse(Schumpeter, 1912). Di conseguenza, il vantaggio competitivo “non è qualcosa di statico e predefinito”, marisulta, sostanzialmente “dalla percezione soggettiva delle opportunità di profitto, dallo sfruttamentodell’incertezza e dal coordinamento dell’apprendimento e della conoscenza sedimentata nell’impresa”(Minzberg, 1994). Da ciò derivano contributi più recenti che collegano gli studi sul processo strategicodell’impresa a quelli sul cognitivismo soggettivo (Daft, Weick, 1984), sulla coordinazione della conoscenzatacita delle organizzazioni (Nonaka, Takeuchi, 1995), sulla scoperta di opportunità di profitto (Ginsberg,1994) e sulla creazione di nuove opportunità di profitto basata sulla combinazione di risorse, anche tramitel’immaginazione (Loasby, 1976; Hamel e Prahalad 1994). In questo nuova raffigurazione concettuale169


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicollocabile tra stratgie e modelli interorganizzativi (Ferrucci, 2000, p.37), si distinguono sostanzialmente duefiloni di contributi teorici.: la scuola di Chicago e la scuola neoharvardiana.La scuola di Chicago propone un evoluzionismo selettivo di matrice darwiniano-spenceriana. Qui sisostenitore di questa tradizione concettuale, sviluppatasi negli USA a partire dagli anni’50-’60, è Stigler(Stigler, 1968) che si è distinto per la sua impostazione teorica sul tema delle economie di scala. Inparticolare, tale autore sostiene che “l’esistenza delle economie di scala è derivabile solo ex-post sulla basedell’affermarsi, all’interno di un settore, di un livello dominante” (Ferrucci, 2000, p.38): importante èosservare che “per Stigler le economie di scala sono definite internamente al conflitto concorrenziale, mentreper altri autori (Bain) sono solo un dato storico da inserire esternamente” (Bianchi, 1990). In questaconcezione evoluzionistica, la fiducia nell’attività selettiva del mercato concorrenziale è tale da attribuireallo Stato il solo ruolo di “regolatore minimo dell’economia”, così come sostenuto teoricamentenell’approccio dei mercati contendibili (Baumol, Panzar e Willig, 1982). La costruzione strutturale di questofilone di analisi nel pensiero evoluzionistico si ha, tra l’altro, a seguito dei contributi di “ecologia dellepopolazioni” (i cui studiosi sostengono che i mutamenti nelle diverse forme di impresa, nel tempo e nelsettore, dipendono anche dai tassi di natalità e mortalità delle singole forme - Hannan e Freeman, 1989).La scuola neoharvardina si ispira all’evoluzionismo lamarkiano e si basa su un approccio storicizzato efondato sulla ricostruzione di casi di settore o di imprese. Elementi fondamentali per lo sviluppo di questoparadigma sono il ruolo imprescindibile delle istituzioni, dei processi di apprendimento delle imprese e delleloro condizioni di crescita in relazione a differenti contesti storici e sociali. L’approccio storico tipico diquesto filone “spiega il permanere di imprese inefficienti dal punto di vista economico o di imprese chenascono e si sviluppano a seguito di condizioni od opportunità non legate all’efficienza economica”(Gambardella, 1993). In questo filone l’impresa muta la posizione competitiva attraverso un strategie assuntein condizioni di forte incertezza. In conclusione, in questo paradigma evoluzionistico la specificitàdell’impresa (sia come struttura che come comportamento) non deriva soltanto dall’influenza di variabilipuramente oggettive ed esogene, ma, soprattutto dalle specifiche competenze e capacità sedimentate nelcorso della sua storia (da cui derivano le routine comportamentali - Nelson e Winter, 1982). Da questaimpostazione teorica consegue un <strong>nuovo</strong> approccio connesso alla teoria dell’impresa e basato sulla RBT(Hunt, 1997; Hunt, Morgan, 1996): criticano l’impostazione di Porter (accusato di ignorare il contributo alvantaggio competitivo delle competenze e delle conoscenze sedimentate nell’impresa –Barney, 1991), inquesta nuova prospettiva si afferma che “i risultati ed i successi delle imprese dipendono dalla capacità, dallecompetenze e dalle risorse messe in campo, piuttosto che dalle condizioni e dal contesto in cui le impreseoperano” (Lorenzoni, 1992 in Ferrucci, 2000, p. 39-40).1.2 Un approccio ermeneutico alla concorrenzaRecenti contributi della letteratura all’analisi dei fenomeni concorrenziali portano all’elaborazione di unapproccio ermeneutico tra il punto d’osservazione centrato sulle determinanti interne (tipico della RBV) equello puntato sui comportamenti esterni (caratteristico degli Economisti Industriali - soprattutto quelli“nuovi”- e dello Strategic Management). Infatti, l’interpretazione della competitività a livello di risorseinterne, divenuta essenziale nello studio del fenomeno concorrenziale, in seguito ai contributi della RBVTheory, dev’essere comunque considerata complementare, e non sostitutiva, a quella esterna a livello disettore. In questo senso, la stessa Penrose, precursore storico della RBV, aveva a suo tempo osservato chel’interpretazione dell’contesto esterno rappresenta in ogni caso un compito critico, in quanto il cambiamentoambientale può modificare il significato delle risorse detenute dall’impresa. Inoltre, altri autori (HendersonR. e Mitchell W., 1997, p.5-14) affermano che non è possibile stabilire la maggiore importanza dei fattori dimercato rispetto a quelli interni (e viceversa) nel determinare le azioni e le performance competitive delleimprese; infatti, sia l’impresa nei suoi aspetti interni, sia il settore sono chiaramente importanti neldeterminare la strategia e le performance competitive dell’impresa.Per queste considerazioni, nel momento in cui si affronta il fenomeno della concorrenza, si proponed’utilizzare un approccio ermeneutico. Il funzionamento di quest’ultimo è sintetizzabile in una metafora: siipotizzi che l’interpretazione del fenomeno concorrenziale sia rappresentata da una bilancia composta di duepiatti, di cui uno indica l’orientamento esterno e l’altro quello interno. Prima della presentazione dellaprospettiva della RBV, la bilancia risultava chiaramente sbilanciata verso l’esterno: infatti, il fenomenoconcorrenziale si ritiene influenzato da soli fattori esterni; la RBV, ponendo sul piatto della bilancia ilproblema delle fonti del vantaggio competitivo, individuandole nelle risorse, nelle competenze e nellecapacità uniche e specifiche dell’impresa, riequilibra i piatti della bilancia. D’altra parte, l’adozione della170


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiRBV nella sua formulazione “pura”, squilibrerebbe nuovamente la bilancia, anche se dal lato opposto. Di quila necessità d’adottare un approccio ermeneutico cioè di una visione che dia conto di tutti i contesti diriferimento in modo bilanciato in relazione al loro contributo alla generazione del senso dell’agire strategico.Da qui il già presentato modello dei poli e dei contesti.Mentre la prospettiva interna d’interpretazione del fenomeno concorrenziale è pacificamenterappresentata dalla RBV, altrettanto non può dirsi per quella esterna, interpretabile attraverso un approccioindustry based, oppure da uno marketing based. Per gli economisti industriali sono spesso molto influenzatida una prospettiva di equilibrio interno-esterno in cui il valore delle risorse dipende dal confronto tra lerisorse stesse dell’impresa e le caratteristiche del settore di riferimento. Per i teorici del marketing invece talevalore dipende dal differenziale attribuito dai clienti ai prodotti servizi dell’impresa rispetto a quelli dei suoiconcorrenti. La pur semplice riflessione sulla crescente evanescenza dei confini tra settori, nonché la lorocrescente tendenza a convergere, portano a preferire, per quanto concerne il riferimento alla prospettivaesterna, l’approccio marketing based. Ma nel tentativo di bilanciare l’interpretazione si recupera l’esigenzadi un collegamento tra interno ed esterno tipico dell’approccio industry based anche se non in un ottica diequilibrio durevole.Si giunge così a rappresentare il fenomeno concorrenziale in una prospettiva, contemporaneamente,resource based e marketing based.Relativamente alla prima, si ha che le imprese differiscono le une dalle altre (e, quindi, sono inconcorrenza tra loro), per la dotazione di risorse, materiali ed immateriali, di competenze e di capacità, diconoscenza e di fiducia, anche in seguito al differente patrimonio iniziale di risorse, ai comportamentistrategico-competitivi intrapresi, ed alle scelte di investimento assunte dai responsabili aziendali. Ciòsottintende il processo circolare di influenza delle risorse sul comportamento e sulla creazione del valore,secondo cui, le risorse possedute originariamente danno luogo a comportamenti capaci di creare valore. Talevalore si traduce anche in nuove risorse che, a loro volta, contribuiscono a riavviare l’intero processo (logicacircolare risorse- comportamenti- valore). In questo senso, sono indiscutibilmente premiate le unità findall’inizio dotate di maggiori risorse. L’asimmetria nella dotazione delle risorse tra le imprese, comunque, ècondizione necessaria ma non sufficiente, a trasformasi in vantaggio competitivo; ciò che traduce,definitivamente, le asimmetrie in un vantaggio duraturo e difendibile, è l’assunzione della prospettiva dimarketing based, la quale, attraverso l’informazione al mercato, rende tangibile alla clientela il vantaggiodelle asimmetrie nella dotazione di risorse. I poli di senso strategico afferenti a questa prima prospettiva sonole Risorse tecniche e competenze e i Valori economico finanziari, che in un certo senso sono riconducibili arisorse finanziarie o a valorizzazione (al costo o al ricavo) di risorse tecniche.Ma la contemporanea adozione di una prospettiva Marketing Based permette all’impresa di tradurre ilpatrimonio di risorse esistenti in vantaggi competitivi percepibili dal mercato e dall’ambiente sociale (clienti,concorrenti e stakeholders). Ciò guida il processo di accumulazione di risorse e l’incremento di quelleesistenti, secondo la logica circolare del modello dei poli e dei contesti. Sembra ovvio sottolineare come ipoli afferenti a questo aspetto esterno siano: Soddisfazione dell’utenza; Posizione di mercato; Interessi deglistakehoders.La prospettiva ermeneutica si discosta da altri tentativi di bilanciamento in quanto non central’attenzione sulle imprese, ma direttamente sulle persone che la governano. Inoltre, a differenza di altriapprocci equilibrati l’interazione produttiva di senso e di valore avviene non a livello complessivo tra internoe esterno, ma si aggrega da interazioni più limitate in contesti elementari, aggregati e solo infine complessivi.Similmente a altri approcci bilanciati alla concorrenza e al valore, l’approccio ermeneutico esprime dueprospettive: quella vantaggio comparato e quella del vantaggio competitivo. La logica concorrenziale sullerisorse, che è guidata dalla RBV e si propone di raggiungere una posizione di vantaggio comparato neiconfronti dei concorrenti in termini di dotazione asimmetrica delle risorse. La logica concorrenziale suimercati, tipica della prospettiva Marketing Based, rappresenta la trasformazione del vantaggio comparato invantaggio competitivo nei prodotti/mercati che rende esternamente apprezzabile la fonte di superiorità,rispetto ai concorrenti, rappresentata dalla dotazione asimmetrica delle risorse.Come in altri approcci qui si sottolinea la necessità di un concetto <strong>nuovo</strong>, quello di contesto attivato,inteso come “quella porzione di contesto in cui l’impresa opera, a cui essa attribuisce un senso, in cui essa èimmersa ed in cui individua il riferimento per le proprie azioni e le proprie necessità” (Vicari S., 1998, p.53). Attivazione significa: eliminazione di una logica di adattamento e di fitness; centralità dell’impresa;individuazione, nel rapporto impresa-contesto, di un nesso che va dall’impresa al contesto e non viceversa.Anche la strategia competitiva necessita di essere rivista secondo il <strong>nuovo</strong> concetto di contesto attivato, peressere resa più coerente alle dinamiche ambientali attuali. Infatti, in un contesto complesso, difficile da171


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidecifrare e prevedere, non ha più senso parlare di strategia competitiva quale adattamento a quest’ultimo; lastrategia competitiva diviene, più propriamente, il mezzo con cui il management procede a costruire ilproprio contesto, al fine di poter sviluppare la propria capacità strategica e progettuale in coerenza con lapropria dotazione di risorse materiali ed immateriali. In altre parole, se i bisogni sono indistinti, la tecnologiafortemente evolutiva e le istituzioni incapaci di percepire in tempo il cambiamento, allora il managementdeve abbandonare l’idea di adattarsi a tutto ciò ed agire, piuttosto, nel senso di costruire il contesto in cuiopera in base alle sue esigenze specifiche (Ancarani F., 1999, p. 144-145). Infine, per concludere le analogietra l’approccio ermeneutico e altre nuove visioni della concorrenza, la capacità che dev’essere individuatanella strategia competitiva di non presupporre soltanto lo sfruttamento al meglio le risorse esistenti, ma,piuttosto, la gestione delle stesse in modo da ricercare le migliori opportunità per difenderle, svilupparle edaccrescerle (logica incrementale di generazione delle risorse).In conclusione, l’interpretazione del fenomeno concorrenziale e la strategia idonea, secondo laprospettiva ermeneutica, implica riferirsi ad un contesto “soggettivo” ed attivato, nel senso che ogni impresaprocede a selezionare clienti e concorrenti che sono rilevanti per essa in base alle sue caratteristiche ed allapropria dotazione di risorse. Tutto ciò, facendo sempre riferimento ad un approccio bilanciato, che consentaun’interpretazione, contemporaneamente, nell’ottica esterna ed in quella interna. Ma, superando l’approcciocentrato sull’impresa, è l’agente che viene posto in primo piano rispetto al contesto che egli stesso genera oconcorre a generare. Non l’impresa, ma i decisori suoi protagonisti devono essere necessariamente posti inprimo piano. Il cambiamento del punto di osservazione del fenomeno competitivo è alla base di un processopiù radicale che conduce all’adozione di una nuova prospettiva d’interpretazione della concorrenza ed unanuova definizione della strategia. Una prospettiva che è centrata sugli uomini che pensano e decidono, unaprospettiva in cui, in definitiva, non solo i settori o i mercati sono esterni, ma anche la stessa impresa e le suerisorse sono un contesto per l’uomo che interpreta e da un senso al suo vissuto anche formulando strategieche dovranno essere recepite, più o meno consapevolmente, da altri uomini. L’approccio ermeneuticoevidenzia come non dall’ora della post-modernità, ma dal sempre del “da che mondo è mondo” la centralitàdella generazione di valori e della competizione sugli stessi sia negli uomini che governano i contesti.Da qui una rinnovata prospettiva di antropologia imprenditoriale e manageriale da cui derivano alcuneriflessioni.Innanzitutto, bisogna considerare l’interpretazione e la formulazione della strategia competitiva comeespressione di una competizione tra persone e gruppi di persone. La prospettiva esistenziale delle persone è ilfuturo in cui si proiettano le strategie.Poi, visto che la post-modernità è caratterizzata dal moltiplicarsi a dismisura il numero e ilprotagonismo delle persone che partecipano attivamente alla creazione del valore i contesti competitivi èipotizzabile che questi diverranno sempre più dinamici.Inoltre, avendo assunto l’ottica interna dell’agente imprenditoriale, occorre ridefinire anche il rapportocon il suo contesto di riferimento. Non esiste, infatti, dal punto di vista dell’imprenditore, un contesto insenso oggettivo, come finora è stato dipinto dagli studiosi tradizionali, ma la definizione del contesto sarànecessariamente soggettiva e diverso per ogni agente. Ma al contempo l’agente è un interagente per cui laco-definizione del contesto non potrà essere solipsistica. In parte condizionata da altri la co-definizionequindi darà vita ad oggettizzazioni sociali tanto più condizionanti, quanto meno le strategie della personasaranno dotate di capacità di generare senso per i propri vissuti.172


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiCAPITOLO SETTIMOEQUILIBRIO ECONOMICO-FINANZIARIO1. L’equilibrio economico-finanziarioGli equilibri economico-finanziari si formano tra il polo dei valori monetari e quello della posizione dimercato. I flussi monetari devono in uscita devono trovare equilibrio finanziario in corrispondenti flussi inentrata. Le risorse in quanto valorizzazioni di costo devono trovare il loro equilibrio economico nei mercatidi vendita con la realizzazione dei correlati ricavi. Sempre le risorse come investimenti ed impieghi sonovalorizzate come attivo e devono trovare propria copertura finanziaria in un corrispondente fondo di fonti difinanziamento valorizzate come passività e netto. Nell’equilibrio vi è insita la logica del bilancio comegenerazione di un surplus che però riporta a parità i valori in gioco. Una dinamica che non solo vienemisurata nel polo dei valori monetari, ma che viene governata direttamente da una posizione di mercato vuoidei beni e servizi, vuoi dei capitali. Questi mai scontati equilibri hanno per oggetto le interpretazioni di costoe di ricavo, di entrata ed uscita, di investimento, di finanziamento e di dividendo considerate nelle lororeciproche connessioni e nelle loro ripercussioni sull’assetto complessivo d’impresa. L’impostazioneproposta è coerente con quella storicamente adottata degli autori appartenenti alla scuola aziendalistica.Secondo Brunetti “…è facile suddividere le decisioni economico finanziarie nelle seguenti sottoclassi:decisioni di investimento (dove investire i mezzi e per quale ammontare); decisioni di dividendo (quanto utiledistribuire agli aventi diritto); decisioni di finanziamento o finanziarie (dove raccogliere i mezzi monetari eper quale ammontare)’’ (1974, passim). Coda afferma: “Per strategia economica finanziaria intendiamo ilcomplesso delle decisioni di investimento, finanziamento e dividendo considerate sotto il profilo delle lororipercussioni sulla capacita’ di autofinanziamento, sul tasso di crescita del capitale investito, sullaliquidità…” (Coda 1976, n.1). Diverge parzialmente, più nel successivo sviluppo che nel contenuto, ladefinizione tratta da Berni: “…per strategia finanziaria deve intendersi il complesso di regole fissate perl’assunzione di decisioni relative al coordinamento quantitativo e qualitativo fra fabbisogni di capitaligenerati dall’attività produttiva e fonti di finanziamento, o, in altri termini l’insieme delle regole fissate alfine di perseguire, almeno tendenzialmente, la migliore coordinazione fra fonti e fabbisogni” (1984,febbraio). Reboa assegna alle strategie economico-finanziarie altre “funzioni-obiettivo” oltre alla funzione disalvaguardia dell’equilibrio economico–finanziario d’impresa; egli analizza in modo esplicito lacomplementarità e reciprocità delle relazioni che legano le strategie competitive con le strategie economicofinanziarie: “il vincolo della salvaguardia dell’equilibrio economico – apprezzabile sotto i profili congiuntied interdipendenti della liquidità, solidità, redditività e sviluppo – deve pertanto integrarsi strumentalmentecon il compito di assistere ed assicurare una corretta crescita delle strategie di business” (Reboa M.,Strategie economico-finanziarie: modelli e parametri di valutazione, 1984, passim).Nella dottrina statunitense è invece diffuso un approccio di tipo prettamente finanziario secondo il qualele strategie economico-finanziarie hanno il compito di massimizzare il valore dell’impresa per gli apportatoridel capitale di rischio. “… il successo è di solito valutato per mezzo del valore: shareholders sono attratti dadecisioni che incrementano il valore del loro interesse nell’impresa. Si potrebbe dire che una buonadecisione di investimento consiste nell’acquisto di un’attività reale con un valore superiore al suo costo.Quindi il successo nella gestione finanziaria è dato dalla creazione di valore” (Brealy e Myers 1981).173


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei1.1 L’interpretazione della dinamica finanziariaL’insieme di cicli relativi ai diversi fattori produttivi costituisce la dinamica finanziaria dell’impresa(Brugger, 1975, p. 730). Ciò non significa però che la dinamica complessiva risulti dalla semplice sommadelle singole dinamiche; queste infatti con il loro intrecciarsi producono un risultato complessivo che hadelle caratteristiche diverse da quelle dei singoli cicli finanziari. Nel caso, ad esempio, di acquisto di materieprime, ciascuna singola operazione produce un fabbisogno di natura temporanea legato alla necessità direperire i fondi per l’acquisto della risorsa. Il ripetersi con continuità e contestoticità di tali operazioni neltempo però fa si che l’impresa debba affrontare un fabbisogno durevole e non temporaneo. Allo stesso modo,alcuni finanziamenti a breve termine, come ad esempio le aperture di credito in c\c, costituiscono di fattodelle fonti a medio lungo termine a causa del loro continuo rinnovarsi una volta scaduti.Naturalmente, i fabbisogni finanziari o monetari non sono prodotti solo dalle operazioni relative allagestione corrente. Più in generale, i fabbisogni possono essere generati dai seguenti fattori: gli investimentiin capitale immobilizzato e in capitale circolante; i rimborsi di capitale proprio; i rimborsi di capitale didebito; le remunerazioni del capitale di debito e del capitale proprio.Le fonti di finanziamento, invece, sono invece generate da operazioni che implicano la creazione dirisorse finanziarie o monetarie. Si parla, sotto questo profilo, di incremento di risorse. Esse sono generate daiseguenti fattori: i disinvestimenti (per cessione o eliminazione, ad esempio) di capitale immobilizzato e dicapitale circolante; l’accensione di capitale di debito; l’accensione di capitale di rischio; le vendite diprodotti e di servizi e le remunerazione degli investimenti accessori o complementari rispetto a quelli tipici.Nella dottrina sono stati elaborati diversi modelli di prospetti, finanziari e monetari, per l’analisi delladinamica dei flussi. Nell’ottica dell’assetto imprenditoriale tali prospetti rappresentano strumenti di controllodiretti a consentire la gestione dello sviluppo aziendale senza alterare le condizioni di liquidità dell’impresa.L’analisi dei flussi considera tipicamente le variazioni del capitale circolante netto o della cassa. Uno deiprimi prospetti elaborati per l’analisi delle variazioni del capitale circolante netto è riconducibile all’opera diFinney e Cole in “The Journal of Accountancy”, 1920: gli autori proponevano un rendiconto dimostrativo deifondi realizzati nell’esercizio e il loro impiego. La novità dello schema era data dal fatto che le vocidell’attivo e del passivo corrente risultavano raggruppate insieme nell’unico saldo “incremento (odecremento) del capitale d’esercizio”, inserito nella sezione del totale minore così da agire da elementobilanciante. In altre parole, l’oggetto principale dello schema era la variazione complessiva dell’entità delcircolante, mentre i cambiamenti nelle altre voci patrimoniali rappresentavano le cause, positive o negative,di tale modificazione. In effetti, le variazioni tra due stati patrimoniali successivi non chiariscono ledinamiche finanziarie se non opportunamente raggruppare le variazioni relative a determinate categorie dielementi patrimoniali, distinguendo quelle che riguardano il capitale fisso da quelle relative al capitalecircolante (quest’ultimo analizzato in un apposito allegato) (Finney 1923). Quindi In realtà l’analisi dei flussidi cassa sembra essere più importante di quella del circolante per esprimere un giudizio sull’equilibriofinanziario nel breve periodo. Se un’impresa non riesce a produrre liquidità sufficiente per fronteggiare lenecessità giornaliere, rischia, nonostante una buona redditività, di trovarsi in una condizione critica. Lavalutazione delle variazione della risorsa cassa è effettuata attraverso il rendiconto monetario. Brugger(1975, p. 33) presenta in merito un rendiconto in forma scalare che evidenzia le variazioni delle disponibilitàliquide separando il flusso monetario derivante dalla gestione corrente dai flussi estranei a tale gestione.Nella rappresentazione che segue i flussi estranei alla gestione corrente sono suddivisi a seconda cheriguardino la sfera degli investimenti o quella dei finanziamenti. Il fabbisogno nascente dalle attivitàproduttive dell’impresa è mostrato dalla voce “Saldo della gestione operativa”, mentre il fabbisognoderivante dal servizio prestiti e dal pagamento dei dividendi è rappresentato dal “Saldo della gestionefinanziaria”.174


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 1 Esempio di rendiconto monetario (Fonte: Brugger, p. 33)Reddito netto di esercizio (+)Ammortamenti (+)Interessi attivi (+)Altri componenti di reddito estranei alla gestione corrente (+)= FLUSSO <strong>DI</strong> CIRCOLANTE DELLA <strong>GESTIONE</strong> CORRENTE (A)Aumento crediti verso clienti (+)Aumento magazzino (+)Riduzione debiti diversi (+)Riduzione crediti diversi (-)Aumento debiti verso fornitori (-)Aumento fondo imposte (-)Aumento fondo licenziamento (-)= INVESTIMENTI IN CAPITALE CIRCOLANTE (B)= FLUSSO MONETARIO DELLA <strong>GESTIONE</strong> CORRENTE (C =A - B)Nuovi impianti (+)Disinvestimenti (-)= INVESTIMENTI FISSI NETTI (D)= SALDO DELLA <strong>GESTIONE</strong> OPERATIVA (E = C – D)Banche (+)Mutui (+)Aumento capitale sociale (+)Rimborso mutui (-)Interessi passivi (-)Dividendi (-)= SALDO DELLA <strong>GESTIONE</strong> FINANZIARIA (F)= SALDO MONETARIO D’ESERCIZIO (G = E – F)Un modello simile di analisi dei flussi di cassa è presentato da Giunta. In tale rendiconto il flusso dicassa complessivo è determinato come somma di aree distinte: la gestione operativa corrente, la gestioneoperativa non corrente, la gestione finanziaria e, in caso di fabbisogno finanziario, le operazioni di raccolta dicapitali.Il prospetto assume la seguente forma:175


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 2 Esempio di rendiconto monetario suddiviso per aree di gestione (Giunta, A.A. 1998/1999, p.104).MOL (MON + Ammortamenti)- Imposte= Autofinanziamento operativo netto+ Variazioni del CCNop+ Variazioni del TFR= FLUSSO <strong>DI</strong> CASSA OPERATIVO CORRENTE A- Acquisti di immobilizzazioni+ Variazioni dei debiti verso fornitori di impianti- Capitalizzazioni di investimenti strutturali+ Decremento di immobilizzazioni(rettificato con plus/minusvalenze da alienazione)= FLUSSO <strong>DI</strong> CASSA DELLA <strong>GESTIONE</strong> OPERATIVA NON CORRENTE BFLUSSO <strong>DI</strong> CASSA OPERATIVO <strong>DI</strong>SPONIBILE o(FABBISOGNO FINANZIARIO DELLA <strong>GESTIONE</strong> OPERATIVA)C = A + B+ Variazioni in attività finanziarie+ Proventi finanziari- Rimborso di debiti finanziari- Oneri finanziari- Distribuzione dividendi= FLUSSO <strong>DI</strong> CASSA DELLA <strong>GESTIONE</strong> FINANZIARIA DFLUSSO <strong>DI</strong> CASSA <strong>DI</strong>SCREZIONALE o(FABBISOGNO FINAZIARIO COMPLESSIVO)E = C + D+ Accensione debiti+ Aumento capitale sociale= OPERAZIONI RACCOLTA CAPITALI FFLUSSO <strong>DI</strong> CASSA COMPLESSIVOG = E + FDi particolare interesse risulta il confronto tra l’area di gestione operativa corrente e non corrente. Ladeterminazione di un flusso di cassa positivo può essere interpretata come la capacità dell’impresa difinanziare i fabbisogni monetari relativi agli investimenti necessari per lo sviluppo attraverso la propriaattività operativa. Nel caso si verificasse un fabbisogno finanziario, infatti, l’impresa dovrebbe ricorre a unincremento dei finanziamenti per proseguire l’attività di sviluppo. Il saldo monetario della gestionecomplessiva indica, invece, la capacità dell’impresa di generare un flusso monetario positivo (flusso di cassadiscrezionale) oppure l’ammontare e la composizione del fabbisogno finanziario derivante dall’interagestione aziendale (fabbisogno finanziario complessivo). Le operazioni di raccolta, infine, sono attivate solonel caso in cui la gestione determini un fabbisogno finanziario. L’indicazione separata è importante inquanto permette di comprendere le modalità di copertura di tale fabbisogno.176


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiI flussi positivi e negativi sono strettamente collegati da un continuo rapporto di reciprococondizionamento. Se infatti, in ogni impresa il fabbisogno di capitale si trova da un lato qualitativamente equantitativamente condizionato dal fabbisogno dei restanti fattori, dall’altro pone condizioni e limiti, anchein questo caso sia di ordine qualitativo che quantitativo, al determinarsi di tale fabbisogno. In altri termini,mentre da un lato è necessario garantire che i mezzi di finanziamento raccolti siano adatti a coprire ilfabbisogno generato dagli investimenti, dall’altro occorre anche verificare continuamente che i piani e iprogrammi operativi siano compatibili con i mezzi finanziari convenientemente accessibili.I flussi di acquisizione del capitale possono essere distinti in esogeni ed endogeni. Col processo diacquisizione endogena del capitale, l’impresa “rigenera” il capitale attraverso i ricavi che la compositagestione determina, ma riesce a produrre <strong>nuovo</strong> capitale soltanto se opera in condizioni di equilibrioeconomico. Solo in tale caso essa riesce a produrre un risparmio sotto forma di utili non distribuiti nelrispetto del vincolo della remunerazione di tutti i fattori produttivi. Tale processo viene denominato processodi finanziamento interno e dipende sia dall’efficacia funzionale della interpretazione economico-finanziariasia dall’efficacia delle “aree complementari” alla finanza (produzione, logistica, marketing, ecc...). L’altroprocesso caratteristico dell’area finanziaria è invece il processo di acquisizione esogena del capitale ossia ilricorso a mezzi esterni di finanziamento reso necessario per integrare i mezzi finanziari che hannoformazione interna. L’insufficienza del finanziamento endogeno costituisce una condizione quasi fisiologicae non eliminabile neanche nelle gestioni economicamente equilibrate. I flussi finanziari di acquisizione delcapitale possono essere dunque distinti in flussi generati dalla gestione industriale e flussi ottenuti dafinanziatori esterni; conseguentemente è possibile distinguere all’interno dalla complessiva attivitàfinanziaria dell’impresa una gestione finanziaria collegata all’attività industriale dell’azienda da unagestione finanziaria collegata al reperimento di capitali da soggetti esterni all’impresa.La distinzione introdotta risulta rilevante anche da un punto di vista “teorico”, in quanto la risorsafinanziaria assume un diverso significato per i due tipi di flussi. La gestione industriale infatti è costituitaprincipalmente da scambi reali nei quali l’oggetto di negoziazione sono i beni o i servizi, mentre la moneta o,il credito o il debito rappresentano i mezzi regolatori del pagamento. In altri termini essi svolgono unafunzione di unità di misura in quanto il valore economico del bene o del servizio è misurato dall’entitàmonetaria necessaria al regolamento dello scambio. Nel processo esogeno di acquisizione del capitale, ilcredito o debito non hanno la funzione di unità di misura, ma sono essi stessi l’oggetto di negoziazione. Percogliere la differenza è sufficiente pensare al credito che concesso da un fornitore per l’acquisto di una certapartita di merci, rispetto al mutuo contratto con una banca. Nel primo caso il debito ha solo la funzione dirinviare l’uscita monetaria e quindi di sostituire momentaneamente la cassa, fornendo anche la misura delvalore delle risorse acquisite, nel secondo il movimento monetario accompagna il sorgere dell’obbligazionefinanziaria, la quale dal suo canto, assume valore economico. In altri termini, mentre nel primo casol’operazione ha per oggetto l’acquisizione di merci il cui valore è misurato dal debito che conseguentementea tale operazione sorge, nel secondo caso oggetto del contratto è la compravendita della stessa obbligazionefinanziaria. Anche da un punto di vista contabile, i due flussi di capitale vengono rilevati in conti che hannouna natura diversa. Nel caso di acquisto di merci, ad esempio, il conto debiti vs. fornitori è un contonumerario, mentre se l’impresa ottiene un mutuo il conto mutui passivi è un conto economico e nonnumerario. Un’ultima distinzione riguarda anche, il fatto che mentre i flussi endogeni producono interessiimpliciti , quelli esogeni generano interessi espliciti, cioè indicati in modo esplicito.Il processo di acquisizione di capitale all’esterno dell’impresa si concreta dunque in uno scambio che haper oggetto uno strumento finanziario, inteso questo come un obbligo di pagare un certo importo ad unacerta data, o come titolo rappresentativo della proprietà del capitale dell’impresa. Nel caso di debito glistrumenti finanziari rappresentano una forma di indebitamento per l’impresa quali i mutui, i prestitiobbligazionari, i debiti finanziari a breve. L’accensione di un mutuo ad esempio consiste nella vendita daparte dell’impresa di uno strumento finanziario, vendita che realizza un’entrata di cassa. Non rientranoinvece in tale classe i debiti concessi dai fornitori in quanto in tale caso, come abbiamo già detto, l’oggettodel contratto stipulato con il fornitore non è rappresentato dal debito ma dal bene o dal servizio acquistati.Nel caso si capitale sociale, invece, l’impresa “vende” quote del proprio capitale (ad esempio azioni). Illegittimo titolare di tali quote diventa quindi proprietario di una parte dell’impresa.La gestione deve perseguire un continuo equilibrio fra entrate ed uscite nel breve andare (Ferrero,1981): tale equilibrio viene normalmente inteso come capacità di disporre, economicamente ed in ogniistante, delle risorse monetarie necessarie a far fronte ai propri impegni di pagamento senza compromettereil normale funzionamento dell’impresa.177


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIn modo economico significa che tale equilibrio deve essere raggiunto tramite un’attentaprogrammazione delle entrate e delle uscite future, senza dover ricorrere, ad esempio, a richieste di costosifinanziamenti a breve per far fronte ad uscite non previste e superiori alle disponibilità di cassa.Si tratta dunque di studiare con attenzione la dinamica dei movimenti di moneta che quotidianamenteinteressano l’impresa per far si che esistano in ogni momento le condizioni di equilibrio di cassa.L’attenzione deve essere in particolare posta non solo sul confronto quantitativo fra masse di valori in entrataed in uscita, ma anche sulla sincronia di tali movimenti. In altri termini, non è sufficiente ai finidell’equilibrio finanziario, che le entrate siano complessivamente superiori alle uscite in un certo arcotemporale, occorre anche che, momento per momento l’impresa sia in grado di far fronte ai propri impegni,in condizioni di economicità.La gestione aziendale è infatti caratterizzata da un susseguirsi continuo di investimenti e di realizzi,variamente e reciprocamente intrecciati; la disponibilità di cassa ora scompare per convertirsi nei fattoriproduttivi, ora ritorna in seguito alla vendita del prodotto ottenuto con la trasformazione dei fattori stessi. Ilritardo temporale che caratterizza tali movimenti produce un fabbisogno finanziario la cui copertura deveessere assicurata in modo continuo, senza ritardi e senza interruzioni.L’insufficienza dei mezzi finanziari vincolati alla gestione costituisce un fattore negativo che, in genere,non tarda a far sentire i suoi sfavorevoli effetti. Essa provoca un duplice effetto sugli andamenti economicidella gestione.Un primo effetto è l’aumento dei costi, soprattutto a causa dei costi dell’illiquidità, spesso affiancatospesso da una caduta del volume dei ricavi. L’aumento dei costi è da ricondursi ad un probabile aumento delcosto dei finanziamenti ottenuti in quanto l’impresa agli occhi dei finanziatori risulta più a rischio. A talioneri si aggiungono poi quelli legati ad un eventuale “scompenso” nell’attività produttiva causato dallatemporanea illiquidità; in generale dunque si ha come risultato finale un peggioramento dell’economicitànetta.Un secondo effetto è quello dell’allontanamento dell’interesse della direzione aziendale dall’otticaeconomica. Può accadere infatti che la situazione di illiquidità faccia si che le scelte non vengano più attuatesecondo il metro dell’economicità, bensì secondo quello di una mal intesa finanziarietà: un’entratamonetaria è giudicata favorevole non se contribuisce positivamente alla verifica dell’equilibrio economico,ma solo quando concorre a ripristinare l’assetto finanziario turbato.Il criterio di valutazione della funzionalità delle scelte risulta quindi l’aspetto finanziario delle stesseche, invece, non è altro che un aspetto derivato o mediato, non adatto ad orientare in modo corretto lagestione aziendale. Si verifica dunque una sopravvalutazione dell’aspetto finanziario rispetto a quelloeconomico, cioè un sovvertimento totale della logica di piano nel cui arco si staglia ogni decisione.L’insufficienza dei mezzi finanziari può condurre ad esempio ad una serie di “sotto-acquisti” di fattoriproduttivi o acquisti di qualità più scadente con una inevitabile ripercussione sulle possibilità operativedell’azienda. Inoltre, l’illiquidità può incrinare i rapporti con i clienti e con i fornitori, in quanto determinauna perdita di forza contrattuale dell’azienda, una maggiore rigidità di comportamento, quindi, una riluttanzaa concedere quelle condizioni di favore (dilazioni, sconti, servizi accessori) che rappresentano un importanteaspetto della politica di acquisto e di vendita. Spesso, realizzazioni di estrema importanza per l’economicitàdella combinazione devono essere scartate o sospese a causa della mancanza attuale o prospettica delnecessario sostegno finanziario.Da un tale insieme di cause deriva prima o poi un declino della dinamica aziendale; le “forze ostili”tendono a prendere il sopravvento e trascinano la gestione dapprima in zona di incertezza e poi in zona didisequilibrio, in modo più o meno rapido a seconda dei casi. Dire che l’impresa deve essere in grado di farfronte in modo economico ai propri impegni in ogni istante, significa dunque assicurare alla gestione stessa,in ogni momento, le disponibilità monetarie necessarie per l’economico svolgimento dell’attività produttiva.Per raggiungere l’obiettivo della liquidità, il vertice non può concentrarsi solo sugli aspetti finanziari dellagestione ma deve prima di tutto prendere in considerazione quelli economici. L’aspetto finanziariorappresenta “in un certo senso”, un aspetto derivato da quello economico e per tale ragione ne risultapesantemente influenzato. La logica finanziaria del vertice non può allora focalizzare la propria attenzioneesclusivamente sull’equilibrio finanziario, trascurando gli aspetti economici. Si ha equilibrio economicoquando nel medio e lungo termine, i ricavi coprono i costi e consentono un’adeguata remunerazione delcapitale investito nell’impresa (utile d’esercizio).L’equilibrio economico deve essere realizzato in periodi di tempo medio lunghi, superiori generalmenteall’anno. Verificare la redditività per periodi inferiori all’esercizio ha scarsa significatività; le vendite, adesempio, possono avere un andamento stagionale (si pensi al caso dei farmaci), e allo stesso modo gli178


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiacquisti possono concentrarsi solo in alcuni periodi dell’anno. Quindi sarebbe fuorviante confrontare costi ericavi in un periodo di tempo breve ed inferiore alla durata del ciclo economico corrente. Si correrebbe ilrischio di considerare solo una parte dei valori economici. Normalmente, per esigenze di varia natura, sidetermina il risultato di esercizio al termine di ciascun esercizio (che di solito coincide con l’anno solare).Per formulare un giudizio corretto occorre allora prendere in considerazione più esercizi.I surplus di ricavi realizzati sono generalmente destinati: sotto un profilo economico, a stabilizzare neltempo la capacità di remunerazione dell’impresa; sotto un profilo patrimoniale, a consolidare il patrimonio ea “proteggerlo” dalle erosioni causate dalle perdite di esercizio; sotto un profilo finanziario, a costituire unafonte interna di autofinanziamento.Da quanto detto si può in sostanza concludere che la stabilizzata capacità remunerativa, la tendenzialesolidità patrimoniale e la consolidata capacità di autofinanziamento, costituiscono aspetti diversi maconnessi di un’equilibrata situazione economica. Riuscire ad operare in una situazione di equilibrioeconomico facilita il governo di impresa. Da un lato permette all’impresa di conseguire e consolidare unacerta forza contrattuale necessaria per negoziare a condizioni economiche fattori di ogni specie e quindianche quelli di natura finanziaria. Dall’altro l’impresa guadagna e rafforza nel mercato dei capitalil’immagine propria di un ambito punto di investimento sia per i fornitori di capitale a titolo di credito che pergli azionisti.Mentre l’equilibrio finanziario deve esistere giorno per giorno, poiché l’azienda deve essere sempre ingrado di far fronte ai propri impegni, l’equilibrio economico deve essere realizzato in periodi di temposuperiori, riferiti generalmente all’anno.La condizione di equilibrio finanziario, a differenza di quella dell’equilibrio economico, è condizione diesistenza dell’azienda: se l’impresa non è in grado di far fronte ai propri impegni giorno dopo giorno essadiventa insolvente e rischia il fallimento. Viceversa, un’impresa può continuare a sopravvivere anche se nonopera in condizioni di equilibrio economico, purché esista un ente proprietario che è disposto ad apportarecontinuamente <strong>nuovo</strong> capitale in azienda. Dopo aver chiarito i concetti di equilibrio economico e finanziarioè necessario spendere ancora qualche parola sulle relazioni che li legano reciprocamente.Un importante contributo al raggiungimento di una situazione di liquidità è fornito dall’economicitàdella gestione. La fonte principale su cui fondare la solvibilità dell’impresa è pertanto la redditività, e ciòanche se l’equilibrio economico non costituisce un requisito né necessario né sufficiente per ilconseguimento di una situazione di equilibrio finanziario.Non costituisce un requisito necessario in quanto, anche in caso di perdite l’impresa può continuare adesistere a condizione che il proprietario sia disposto a conferire capitale in essa per coprirle. Una talesituazione era, ed in parte è, riscontrabile ad esempio nelle imprese a capitale pubblico. La gestione delleaziende pubbliche non risponde sempre a criteri di redditività, ma attraverso tali organismi si tentano diraggiungere anche finalità sociali. Quando si prendono in considerazioni le imprese private, la precedenteaffermazione, seppur rimanendo valida, perde parte del suo significato. Si può sempre immaginare un privatoche, per una qualche ragione, sia disposto a ripianare le perdite della propria impresa pur di continuare a“tenerla in vita”. Molto spesso però, è difficile immaginare che una simile situazione possa verificarsi per unlungo periodo di tempo. Anche la solidità patrimoniale del proprietario può esaurirsi, o comunque, può venirmeno la sua volontà di continuare ad investire in un’impresa in perdita. Diventa allora importante chel’azienda sia in grado autonomamente di produrre un flusso reddituale sul quale basare la propria solvibilità.L’assenza di tale flusso, a meno di casi particolari, prima o poi causa pregiudizio alla liquidità dell’impresa.Inoltre, buone condizioni di redditività sono importanti per consolidare la fiducia nell’impresa da parte deifinanziatori esterni, sia fornitori che intermediari finanziari. Tale fiducia è il presupposto imprescindibile perottenere sempre nuovi finanziamenti.L’equilibrio economico non costituisce neanche un presupposto sufficiente in quanto anche se l’impresariesce a produrre un flusso di ricavi e quindi di entrate molto elevato e comunque superiore ai costi, unagestione non corretta di tali flussi può portare a tensioni finanziarie. Il fatto che in un periodo medio lungol’impresa possa garantire un flusso complessivo di ricavi superiori ai costi non implica che giorno per giornole entrate siano in grado di coprire le uscite. Si immagini una situazione in cui la maggior parte dei ricavi e leconseguenti entrate si concentrano negli ultimi mesi dell’esercizio mentre i costi e le conseguenti uscite sonosostenute nella prima parte dell’anno. Anche se in sede di redazione del bilancio risultasse un utile, perché iricavi sono superiori ai costi, l’impresa ha probabilmente sopportato delle tensioni finanziarie dovute al gaptemporale che esiste fra il momento in cui sono state sostenute le uscite e quello in cui sono stati monetizzatii ricavi. Ciò significa che anche un’impresa che opera in condizioni di equilibrio economico può trovarsi insituazioni di illiquidità e quindi rischiare di fallire.179


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiL’equilibrio economico rappresenta dunque molto spesso un presupposto necessario (o almenodesiderabile), anche se non sufficiente per garantire una situazione di liquidità. Del resto però, anchel’equilibrio finanziario costituisce un presupposto necessario (anche se non sufficiente) per la verificadell’equilibrio economico. Fra i due tipi di equilibrio non esiste una relazione unidirenzionale, ma, almeno inuna certa misura, sono legati da una relazione di stretta interdipendenza.Si è infatti accennato al fatto che operare in condizione di liquidità significa disporre in ogni momentoed in modo economico dei mezzi finanziari necessari per il normale svolgimento della gestione. Ciòsignifica, in altri termini, creare una situazione favorevole allo sviluppo dell’impresa, anche se su talegrandezza esercitano la loro influenza fattori di natura non finanziaria. Anche la gestione finanziaria influiscesull’equilibrio economico; se l’impresa non operasse in condizioni di liquidità, si produrrebbero dei costidella gestione finanziaria che incidono sulla redditività; per questa ragione la liquidità deve essere raggiuntatenendo anche un occhio al risultato dell’area finanziaria e in particolar modo al ROD (Return On Debt).Per tutte le precedenti ragioni, nell’ottica del vertice la logica finanziaria è saldamente intrecciata conquella economica. Un altro importante esempio, è l’influenza esercitata sulla situazione di liquidità dal tassodi sviluppo dell’attività aziendale. Il concetto di sviluppo è legato al concetto di dimensione aziendale, e puòessere interpretato lungo due dimensioni: la dimensione operativa è misurata dal volume del fatturato; ladimensione strutturale che è tipicamente espressa dalla consistenza in investimenti in attivo che determinanola capacità produttiva aziendale.Entrambe le dimensioni dello sviluppo incidono evidentemente sulla situazione di liquidità aziendale; inentrambi i casi si ha una crescita del fabbisogno finanziario e un cambiamento nelle condizioni di redditivitàdell’impresa. In un’ottica di breve periodo però probabilmente la dimensione in grado di influenzare in modorilevante la situazione di liquidità è la dimensione operativa. Una crescita impetuosa e non controllata delfatturato può causare delle tensioni finanziarie. Si consideri il seguente esempio (dati in milioni di lire).Fig. 3 Esempio di determinazione del tasso di sviluppo aziendale e di autofinanziamentoStato patrimoniale Anno t-2 Anno t-1 Anno tCapitale Netto 661 654 696Passività Correnti 388 584 1096Totale 1049 1238 1792Attivo Fisso 159 272 271Attivo Corrente 890 966 1521Totale 1049 1238 1792Dati sul RisultatoeconomicoRicavi di vendita 1325 1766 2280Risultato ante imposte 85 56 184Imposte 41 14 67Dividendi 23 19 23Utili Trattenuti 18 3 44Ratios Anno t-2 Anno t-1 Anno tCurrent ratio 2,3 1,6 1,4Indebitamento/attività 37% 47% 61%ROE 13% 6% 20%180


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiSi osservino i dati dello stato patrimoniale; il valore delle attività al tempo t è superiore a quello relativoal tempo t-2 del 70%. Analizzando le differenze nelle varie poste dei due prospetti, si può notare che imaggiori cambiamenti sono intervenuti sia nelle attività correnti che nelle passività correnti. Il forte aumentodel valore del primo è stato finanziato quasi interamente dalle passività correnti. L’azienda si è spostata dauna posizione solida, ad una molto instabile, ad alto rischio, come sottolinea la caduta degli indici diliquidità. Per comprendere cosa sia accaduto l’attenzione deve essere posta sui seguenti tre parametri: ricavidi vendita; capitale circolante netto operativo; utili trattenuti.Al tempo t, il rapporto fra CCN e vendite è di 0,38 e ciò significa che ogni lira di vendite richiede uninvestimento netto in attività correnti di €.0,38. Per ogni incremento nelle vendite dell’anno successivo di€1000, sarà necessario disporre di ulteriori €.380 di attività correnti. Il rapporto tra utili trattenuti e vendite èpari a 0,02, cioè ad ogni lira di vendita corrispondono €.0,02 di utili trattenuti, che aumentano i fondi dellostato patrimoniale. Dunque, ogni 1000 lire di vendite generano 2 lire di fondi e 380 di fabbisogno. Il rapportofra i due precedenti valori (0,02:0,38) è circa 0,05 e fornisce una misura approssimata del tasso di crescitadelle attività correnti che può essere finanziato con utili trattenuti. Il precedente rapporto determina dunqueun tasso di crescita sopportabile del 5% circa. L’azienda per finanziare questa crescita delle attività correnti,può attingere fondi dagli utili non distribuiti. La società invece, è cresciuta ad un tasso del 15%; l’eccessonella crescita, pari al 10%, è stato finanziato con l’indebitamento. I finanziamenti esterni, però, sono statiprincipalmente a breve termine, da qui la causa del problema finanziario.Le considerazioni precedenti sono riassunte nelle seguenti relazioni.Relazioni criticheCCN/venditeTUtili trattenuti/venditeRTasso di crescita nelle venditeG875 =E2280£.0,3844 £.0,02½= 22802280 - 1 x 100 = 31,2 %1325L’equilibrio di crescita nell’esempio proposto, può allora essere riassunto con la seguente relazione:R =G × TIl termine E misura la percentuale della crescita autofinanziata attraverso il cashflow. Tale espressionepresenta alcuni limiti quali: il fatto di considerare solo le attività correnti anziché quelle totali; il fatto diignorare la capacità dell’impresa di sostituire gli utili trattenuti con altre fonti di finanziamento.Oltre alle leve gestionali di carattere finanziario, il vertice può agire anche su leve di carattereprettamente finanziario. Una condizione necessaria anche se non sufficiente per raggiungere la liquidità èl’equilibrio della struttura finanziaria. Questo equilibrio si verifica quando si realizzano contemporaneamentetre requisiti: 1) il mantenimento o perseguimento dell’equilibrio strutturale nell’ambito delle fonti; 2) ilmantenimento o perseguimento dell’equilibrio strutturale nell’ambito degli impieghi; 3) il mantenimento operseguimento dell’equilibrio strutturale tra fabbisogni di capitale e mezzi di copertura sul piano dellerispettive durate e per quanto riguarda i caratteri di varia elasticità della struttura finanziaria.La struttura finanziaria viene esaminata oltre, ma si ritiene importante introdurre già da adesso alcuneconsiderazioni di carattere generale. Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna osservare che in generalela presenza di un certo livello di indebitamento sia quasi “fisiologica” in ogni impresa, anche in quelle chesono più equilibrate; del resto l’indebitamento, se contenuto in un giusto rapporto con il capitale proprio, puòcostituire un vantaggio per l’impresa. I capitali ottenuti dai finanziatori, infatti, se da un lato comportano uncosto in termini di interessi passivi (eventualmente al netto dell’effetto fiscale), dall’altro consentono, unavolta investiti in azienda, di incrementare gli utili conseguiti. Il problema delle imprese non è dunque quellodi come raggiungere la completa indipendenza finanziaria, bensì quello, una volta accettata la presenza di uncerto indebitamento come fattore positivo, di stabilire quale sia il rapporto ottimale fra il capitale di credito equello proprio. In altri termini, il problema che la funzione finanziaria si deve porre è quello di individuare181


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeifino a che punto convenga indebitarsi, valutando i benefici e i costi connessi con ciascun livello diindebitamento. Un livello di indebitamento eccessivo può condurre verso situazioni patologiche di varianatura, come ad esempio: - difficoltà di accesso a ulteriori finanziamenti; - difficoltà di accedere al credito acondizioni economiche, sia per l’onerosità dovuta al maggior rischio percepito dal finanziatore, sia perl’imposizione di altri gravosi vincoli posti dai finanziatori quali le garanzie reali o personali, interventi nelcontrollo della gestione, ecc...); - perdita di fiducia da parte di coloro che conferiscono capitale a titolo dirischio nei confronti del management dell’impresa, con conseguente difficoltà a reperire <strong>nuovo</strong> capitaleproprio, e così via. Allo stesso modo, un totale o comunque molto elevato grado di capitalizzazione nonrappresenta una situazione ottimale in quanto non permette di sfruttare tutte le potenzialità all’indebitamento(si pensi, ad esempio, all’effetto di leva finanziaria).Per quanto riguarda il secondo punto, occorre stabilire ad esempio nel contenere i fabbisogni di capitalenei limiti richiesti, evitando situazioni che vanno dai fabbisogni superflui ai fabbisogni per erosione deimezzi finanziari (dovuti cioè a perdite di gestione). Occorre inoltre definire il rapporto ottimale fra capitalecircolante e capitale immobilizzato. Il primo nasce dall’esigenza di mantenere un livello di scorte o diliquidità sufficienti per garantire la continuità della gestione anche nel caso in cui si verifichino imprevisti ocomunque dalla necessità di avere una struttura aziendale flessibile. Il secondo risponde invece alla necessitàdi proiettare la gestione e la sua redditività nel lungo termine, mantenendo impegnati capitali a lento rigiroche contribuiscono alla gestione in più esercizi e per i quali la liquidità resta ancorata a condizioni di realizzoindiretto (ossia attraverso i ricavi di vendita della produzione che questi investimenti consentono) o acondizioni di realizzo diretto che si hanno nel caso in cui l’impresa decida di venderli; decisioni che nonessendo fra l’altro molto ricorrenti, vengono considerate come parte della gestione straordinaria.Infine, il raggiungimento di una equilibrata struttura finanziaria, passa anche attraverso l’equilibrio frale fonti e gli impieghi. Tale espressione indica che il ciclo finanziario degli impieghi deve essere coerentecon il ciclo finanziario delle fonti; in generale gli investimenti durevoli devono essere finanziati da fontidella stessa durata o superiore e lo stesso vale per gli investimenti di più breve durata. Allontanarsi da questasituazione di equilibrio, ricorrendo ad esempio a coperture elastiche per fronteggiare i fabbisogni rigidi,risulta estremamente rischioso in quanto nel caso in cui per una qualsiasi ragione non sia più possibilerinnovare il credito a breve, può accadere di trovarsi di fronte a situazioni di esigenze di realizzoantieconomico o di finanziamento sostitutivo a condizioni non sempre sostenibili. Un rapporto che puòessere impiegato per verificare tale coerenza è il grado di rigidità delle fonti determinato come quoziente frai finanziamenti a lungo termine (passività consolidate e capitale netto) e passività correnti. Tale rapporto puòessere confrontato con quello che esprime l’elasticità del capitale investito. Riuscire ad equilibrare lastruttura finanziaria che, come detto, dipende anche dall’economicità della gestione, non garantisce però ilrispetto dell’obiettivo di fondo dell’area finanza che consiste nel mantenere o perseguire una liquiditàcompatibile con un’equilibrata situazione economica. Per raggiungere tale scopo occorre realizzare altrecondizioni, altrettanto necessarie, senza le quali, l’amministrazione delle risorse di capitale potrebbe addurread una liquidità a qualsiasi costo che per sua natura non è compatibile con un’equilibrata situazioneeconomica. Fondamentalmente, tali condizioni possono essere riassunte in quella di amministrareeconomicamente il capitale “comunque acquisito” sorvegliandone l’impiego sia per esigenze di rimborso cheper esigenze di investimento (Ferrero 1984, p. 7).L’obiettivo di minima della finanza è quello di contribuire al raggiungimento e al mantenimento di unasituazione di liquidità. E ciò non significa, come si è visto, garantire che in ogni momento l’impresa siasolvibile, ma anche assicurarsi che ciò avvenga in modo compatibile con una situazione economica che siaequilibrata. Da ciò discende la necessità di qualificare e quantificare le risorse in entrata ed in uscita, diosservarne la dinamica nel tempo con riferimento ad archi temporali più o meno estesi, di individuare lecause generatrici di eventuali disequilibri finanziario o monetario, di predisporre, in modo tempestivo edeconomico le risorse necessarie per far fronte alle esigenze, di analizzare le interazioni tra le decisioni diinvestimento e di finanziamento. Non si può attribuire all’area finanziaria anche la responsabilità diraggiungere l’equilibrio economico però essa deve vigilare affinché l’obiettivo della liquidità sia compatibilecon un’equilibrata situazione economica. Rappresenta invece un sub-obiettivo il raggiungimento di unastruttura finanziaria in equilibrio.1.2 L’interpretazione del fabbisogno finanziarioIl concetto di fabbisogno deriva dal ritardo temporale che intercorre fra le uscite monetarie perl’acquisto delle risorse produttive e le entrate monetarie generate dall’impiego di tali risorse. Tale gap182


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeitemporale rende necessario un investimento di capitale per garantire il normale svolgimento della gestioneaziendale; il complesso dei mezzi finanziari investiti viene denominato fabbisogno finanziario. Compitodella interpretazione economico-finanziaria è quello di determinare l’entità di tale fabbisogno e diprovvedere alla sua copertura. Tale analisi assume particolare rilevanza quando vengono studiati i singolifabbisogni generati dalle diverse aree aziendali. I mezzi finanziari che sono complessivamente richiestidall’attività di gestione possono infatti essere distinti in base all’area di provenienza. Ciascuna area digestione produce “spontaneamente” sia investimenti che finanziamenti. Dalla differenza di tali valori è allorapossibile determinare il fabbisogno (o il flusso) generato dall’area in questione.Qui si introduce la distinzione tra gestione caratteristica corrente e le altre possibili partizioni dellagestione economico-finanziaria. Si pone l’attenzione sulla gestione caratteristica corrente che rappresenta ilcuore dell’attività dell’impresa per poi generalizzare anche agli altri aspetti della gestione.1.3.1 Il fabbisogno finanziario come prodotto tra flussi e tempiIn generale, il fabbisogno finanziario generato da una certa risorsa deriva da:• il flusso f degli esborsi compiuti, in un certo arco temporale, per acquistare la risorsa in questionedall’esterno (tale flusso può in genere determinato sulla base dei valori-costo iscritti nel contoeconomico dell’anno);• il tempo t che misura la durata preventivata del ciclo finanziario della risorsa stessa (cioè la distanzatemporale fra esborso e entrate corrispondenti). L’entità del fabbisogno finanziario dipende quindianche dal tempo necessario affinché inizino ad arrivare i primi ritorni finanziari, ossia dal tempomedio in cui la risorsa rimane investita nell’impresa. In realtà operativa risulta difficile calcolare ilvalore esatto di t. È possibile però calcolare delle stime di tale valore attraverso alcuni rapporti fra ivalori di stock, contenuti nello stato patrimoniale, e i valori di flusso contenuti nel conto economico(Ad esempio per determinare la durata del ciclo finanziario relativo alle scorte di prodotti finiti sipuò calcolare il rapporto fra le rimanenze finali di prodotti finiti (dato di stock che risulta dallo StatoPatrimoniale) e il fatturato (dato di flusso che risulta dal Conto Economico). Se il valore dellerimanenze fosse pari a 50 e il fatturato pari a 200, t sarebbe uguale a 0,25. Ciò significa che durantel’esercizio il magazzino di prodotti finiti si è rinnovato per quattro volte).Dato un valore di f e un valore di t è possibile calcolare per ogni risorsa il corrispondente fabbisognofinanziario con la seguente relazione (Rullani, 1984)F = f × t [1]Nel caso di più risorse, ciascuna caratterizzata da un proprio ciclo finanziario, la precedente relazionediventa:F =Limitando l’attenzione alla gestione corrente, è possibile determinare il fabbisogno generato dal ciclooperativo di acquisto-trasformazione-vendita. Tale fabbisogno è indicato come Capitale Circolante NettoOperativo.1.3.2 Il gap temporale e i cicli della gestione caratteristica correnten∑i=1f i× t iLe operazioni correnti generano investimenti che, in prima approssimazione, sono espressi dalleconsistenze di magazzino e dall’ammontare dei crediti esclusivamente di natura commerciale. Ifinanziamenti “spontanei” legati alla gestione operativa sono costituiti da tutti i debiti di “funzionamento”verso i fornitori per l’acquisto di fattori produttivi impiegati nella gestione corrente. Per comprendere ladinamica legata al ciclo tipico può essere considerato l’esempio di un’impresa di nuova costituzione che nonsvolge attività extra caratteristiche. Nell’attività d’impresa possono essere individuati: un ciclo produttivoche inizia con la trasformazione della materia prima e ha termine con la realizzazione del prodotto finito; unciclo economico che ha inizio con il sostenimento dei costi per l’acquisto dei fattori produttivi e si concludecon la realizzazione dei ricavi; un ciclo finanziario il quale inizia con il sorgere dei debiti commerciali e hatermine con l’incasso dei crediti commerciali.183


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiPer realizzare la propria attività, l’azienda per prima cosa deve sostenere le uscite monetarie perl’acquisizione (o comunque per averne la disponibilità) della struttura produttiva (impianti, macchinari,mobili, ...). Deve poi dotarsi delle materie prime per iniziare il processo produttivo e anche delle scorte dimaterie, di semilavorati per garantire la continuità di tale processo. Una volta ottenuti i prodotti destinati allavendita, di norma viene mantenuto un serbatoio di prodotti finiti per soddisfare tempestivamente gli ordinidei clienti. Realizzate le vendite, trascorre un certo periodo di tempo prima dell’incasso dei crediti e ciòtende a prolungare l’esposizione finanziaria dell’azienda. Tuttavia, una quota del fabbisogno per ilfinanziamento delle scorte e dei crediti sarà “autofinanziata” dalla possibilità di usufruire di dilazioni dipagamento concesse dai fornitori.Il ritardo temporale che intercorre tra l’uscita monetaria per l’acquisizione delle risorse e l’entratamonetaria relativa alla vendita del prodotto finale costituisce il gap temporale. Tale gap rende necessario uninvestimento di capitale generando dunque un fabbisogno finanziario che l’impresa deve fronteggiare peracquisire la risorsa in questione. Se tale ritardo temporale non esistesse o fosse addirittura negativo nel sensoche l’impresa prima incassa e poi investe tali soldi nell’acquisizione di risorse, non esisterebbe alcunfabbisogno finanziario 1 .La gestione corrente genera dunque da un lato un fabbisogno di capitali necessario per alimentare ilciclo di operazioni correnti e dall’altro, un flusso di finanziamento 2 . Nel caso di un’impresa “sana”, il divariotra i flussi dalle operazioni correnti non solo è sufficiente a coprire il fabbisogno di tale area di attività, maanche quello di altre aree di gestione (per esempio di quella operativa non corrente).Dopo aver considerato la gestione corrente l’analisi può essere estesa alla gestione operativa noncorrente (o strutturale). Esempi di investimenti relativi alla dimensione strutturale sono l’acquisto diimmobili industriali, impianti e attrezzature, brevetti e marchi. Analogamente i finanziamenti sono costituititipicamente da ogni passività operativa non direttamente legata al ciclo operativo (come, ad esempio, debitiverso fornitori per impianti).Il concetto di Capitale Circolante Netto Operativo è stato ampiamente analizzato in dottrina. Fazziafferma:“La gestione finanziaria – sempre relativa alla gestione corrente – si ordina in un complessocoordinamento e relativamente di cicli monetari (di investimento e disinvistimento) simultanei e successivi,ed in assiduo intreccio dove flussi di uscite danno inizio a processi nuovi, flussi di entrate concludonoprocessi in corso e altri processi, con o senza flussi di uscita sono in svolgimento. Cosicché i cicli monetari,1 Si pensi ad esempio al caso delle imprese assicurative che prima riscuotono i premi per le varie polizze e solo in unsecondo momento sostengono le uscite nel caso in cui si verifichi l’evento dannoso contro il quale ci si è assicurati. Ilciclo finanziario prodotto dall’attività caratteristica di queste aziende è in un certo senso invertito rispetto quello delleimprese industriali. In realtà si potrebbe osservare che, anche in questo caso, le imprese devono fronteggiare un certofabbisogno, almeno al momento della loro nascita, in quanto devono reperire i capitali per l’acquisizione degli uffici,delle attrezzature,2 Si consideri il seguente esempio. Supponiamo che l’attività dell’impresa si limiti ad acquistare una merce e arivenderla dopo un certo periodo di tempo. Questo periodo corrisponde alla durata di un ciclo produttivo comprensivosia dei tempi di trasporto, sia dei vari tempi di attesa, sia dei tempi di distribuzione. Se tale ciclo produttivo ha unadurata di 6 mesi, allora ogni lira spesa nell’acquisto della merce tornerà sotto forma liquida al momento della venditadopo 6 mesi. Nel caso in cui l’impresa si limitasse alla commercializzazione di una singola unità di merce, potrebbefinanziarsi con un prestito a sei mesi e restituire il capitale più gli interessi dopo i 6 mesi. Ma l’imprese nella realtà haun ciclo produttivo che si ripete: essa non svolge un ciclo di acquisto-vendita una tantum, ma organizza nel tempo unasuccessione ininterrotta di cicli produttivi. Il capitale che l’impresa deve immobilizzare per attivare la successione ditutti gli acquisti ha un ciclo diverso da quello immobilizzato nella singola unità di merce.Continuiamo l’esempio fatto e si supponga che l’impresa acquisti in un anno 360.000 unità di merce dacommercializzare, ossia 1000 al giorno e che il costo di acquisto di ciascuna unità sia pari a 1000 lire, per un esborsopari a 1 milione al giorno. Ci domandiamo allora quale sia lo stock di capitale richiesto per alimentare il flusso soprarichiamato, supponendo un’equidistribuzione nel tempo degli acquisti e delle vendite. Per calcolare tale fabbisognoipotizziamo che l’impresa cominci ad operare in un certo momento, al tempo zero. Il primo giorno acquista un milionedi merce, il secondo giorno un altro e così via: fino a quando l’impresa non comincia a riscuotere le prime vendite, ilsuo fabbisogno di capitali è pari alla somma degli acquisti fino a quel momento fatti. Così dopo un mese tale fabbisognosarà di 30 milioni e dopo 6 mesi di 180 milioni. A partire dal sesto mese però l’impresa oltre a subire una uscita di unmilione, comincia anche ad incassare i primi ricavi; se supponiamo che le entrate dei ricavi siano in grado di coprire icosti e siano anch’esse pari ad un milione. Ciò significa che a partire dal sesto mese i nuovi acquisti cesserebbero dicreare un fabbisogno addizionale in quanto tale fabbisogno è coperto dai ricavi. In altri termini, la stessa gestioneindustriale è in grado in parte di auto-alimentarsi, ossia di generare un flusso finanziario autonomo.184


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeipur nel loro manifestarsi simultaneo e successivo, si caratterizzano sempre per un gap temporale fra deflussie flussi monetari cioè per un lasso più o meno lungo di impiego di tali mezzi, determinato dalla durata dellefasi attraverso le quali si realizza finanziariamente il processo di scambio-trasformazione economicascambio.Ciò significa che in ogni tempo, a cagione del complesso di cicli monetari in atto, la gestionefinanziaria reclama stabilmente impieghi non saltuari in risorse non monetarie pur caratterizzate dal lororimuoversi ed ancora impieghi in risorse monetari che, con le prime, reciprocamente e assiduamente sitramutano. Tali risorse, monetarie e non, costituiscono gli “investimenti di esercizio” la cui entità, al nettodei volumi di debito a breve contratti con la gestione corrente rappresenta un fondo valori – il cosiddettoCapitale Netto Circolante o Capitale Netto d’Esercizio spesso chiamato Working Capital destinato asoddisfare le occorrenze finanziarie dell’area a breve termine e soggetto pertanto a variazioni proprie di talegestione. (Fazzi 1982, I, p. 99-101). “Il gap temporale è costituito dalla durata: a) della giacenza dei fattoriproduttivi in attesa di impiego; b) del processo di trasformazione economica di essi; dalla giacenza delprodotto finito in attesa di collocamento; del credito accordato alla clientela e che protrae la durata del ciclooltre il tempo di tale collocamento.” (Fazzi 1982, p. 100 nota 37).Appare evidente che per Fazzi il capitale circolante netto è solo quello qui definito operativo. Infattiafferma che si distingue tra gestione corrente e operazioni ad essa estranee (1982, p. 102)Il ciclo operativo consiste nel continuo e quotidiano succedersi delle operazioni di acquisto dei fattoriproduttivi, della loro trasformazione attraverso gli investimenti strutturali e della vendita dei prodotti finiti.Tali operazioni generano da un lato degli investimenti costituiti principalmente da rimanenze di magazzino eda crediti verso clienti e dall’altro dei finanziamenti rappresentati dalle dilazioni di pagamento concesse daifornitori, cioè dai debiti verso i fornitori.A causa del continuo ripetersi del ciclo operativo, scorte e crediti commerciali vengono, nel loroinsieme, continuamente “ricostituiti” originando un fabbisogno finanziario durevole. Analogamente, anche idebiti verso i fornitori, una volta estinti, si vengono a riformare, in seguito alla ricostituzione delle attivitàcorrenti operative (acquisto di nuove materie prime,…). Pertanto, rinnovandosi in continuazione essi sirivelano dei finanziamenti del tutto stabili, e quindi idonei a fronteggiare il fabbisogno durevole degliinvestimenti correnti.Il valore del CCNop esprime dunque la consistenza del fabbisogno finanziario netto derivante dal ciclooperativo, ossia le disponibilità monetarie che occorrono per “mandare avanti” la gestione corrente. Se taleaggregato è positivo, esso indica che la gestione caratteristica corrente genera un fabbisogno finanziario chedeve essere coperto. Nel caso in cui esso sia negativo invece, non si è necessariamente in presenza di unosquilibrio. Quando il CCNop è negativo significa che non solo il ciclo operativo non genera fabbisogni, maanzi produce disponibilità monetarie 3 .Ciò premesso, è opportuno comprendere come la relazione [1] possa essere utilizzata per determinare ilfabbisogno collegato al ciclo operativo.L’esempio presentato riguarda un’impresa che inizia la propria attività in data 1.1.1997 e che presenta iseguenti tempi medi (in giorni lavorativi):dilazione ai fornitori 30 gg;dilazione ai clienti 60 gg;giacenza materie 10 gg;giacenza prodotti 20 gg;processo produttivo 15gg.Supponendo che il costo di acquisto sia di lit. 1.000.000 mentre quello di vendita di lit 1.500.000,l’azienda vuol determinare il capitale circolante netto operativo al termine dell’anno 4 , ipotizzando inoltre chei giorni lavorativi effettivi siano stati 260.3 Emblematico, ad esempio, è il caso dei supermercati: il ciclo operativo di queste forme di dettaglio è caratterizzato da:• Un volume di crediti tendenzialmente nullo, dato che la vendita dei prodotti avviene essenzialmente in contanti;• Una contenuta dimensione delle scorte, in quanto si punta principalmente su acquisti frequenti per il rinnovo dellegiacenze;• Un volume di debiti piuttosto consistente grazie alla forza contrattuale nei confronti dei fornitori (vuoi per ifrequenti acquisti che per la consistenza) che permette di usufruire di ampie dilazioni di pagamento.Il risultato finale è che il CCNop del supermercato tende ad essere generalmente negativo in quanto le passivitàoperative sono di importo superiore alle attività operative. In altri termini, il ciclo operativo non produce in questo casoun fabbisogno finanziario, ma al contrario genera un surplus di mezzi monetari temporaneamente a disposizione.4 In questo esempio abbiamo volutamente inserito l’ipotesi semplificatrice che la gestione industriale si svolgaattraverso una continua e regolare successione degli acquisti e delle vendite nel tempo. Quindi quando l’attività185


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiNell’esempio fatto l’impresa inizierà ad acquistare al tempo 0 le materie prime e ripeterà tale acquistoogni giorno sostenendo un costo quotidiano di un milione. Le materie acquistate al tempo 0, dopo unagiacenza di 10 gg. (dovuta ai tempi di trasporto, di movimentazione, di attrezzaggio degli impianti,...)vengono inserite nel processo produttivo che dura 15 gg., diventando quindi prodotti finiti al 25° giorno.Solo dopo altri 20 gg. questi prodotti vengono collocati sul mercato (le prime vendite avvengono a partire dal45 gg.), ma per ottenere i primi flussi monetari legati alle vendite occorre attendere altri 60 gg. In totaledunque, l’impresa dovrà attendere un periodo medio di 105 giorni per vedere le entrate generate dal cicloiniziato al tempo 0.Il fabbisogno generato al termine dell’anno (al 260° giorno per la precisione in quanto si consideranosolo i giorni lavorativi) può essere agevolmente determinato attraverso la [1].Per quanto riguarda le materie prime (si veda la figura 30) dato che esse rimangono tali solo per 10 gg,al 260° giorno saranno presenti in magazzino solo le materie acquistate a partire dal 250° giorno in poi e datoche l’esborso giornaliero è di un milione il fabbisogno complessivo sarà di 1.000.000 × 10 = 10.000.000. Lematerie acquistate prima del 250° giorno non saranno più tali al termine dell’esercizio; quelle ad esempioacquistate al 230° giorno diventano prodotti a partire dal 240° giorno. Il valore 10 rappresenta esattamente ilvalore di t, cioè il tempo in cui le materie restano tali, ossia il loro ciclo finanziario.Occorre però precisare che il fabbisogno generato dalle materie prime non è esattamente quellocalcolato con la precedente formula in quanto occorre anche considerare che i fornitori mediamenteconcedono una dilazione di pagamento di 30 gg. Tale dilazione determina un debito di fornitura che vaportato in detrazione del fabbisogno generato dall’acquisto di materie prime. Il valore complessivo ècalcolato considerando che la riduzione giornaliera del fabbisogno è pari al costo degli acquisti (un milione)e che il tempo complessivo che determina tale riduzione è dato dalla dilazione concessa dai propri fornitori. Idebiti verso fornitori risultano dunque pari a 1.00.000 × 30 = 30 milioni.Ragionando in modo analogo è possibile individuare il fabbisogno generato dai prodotti finiti che saràpari a 1.000.000 × 20 = 20 milioni, in quanto in magazzino al 260° giorno avremo i prodotti finiti che sonousciti dal processo produttivo a partire dal 240° giorno (quelli realizzati prima sono già venduti al 260°giorno); il valore di tali prodotti è inoltre misurato dal costo di acquisto giornaliero.Dal precedente esempio risulta evidente come una variabile determinante del fabbisogno finanziario siacostituita, oltre che dal volume f degli acquisti e delle vendite relativi ad un certo arco temporale(generalmente l’anno), anche dalla durata del ciclo del capitale circolante ottenuta sommando i tempi medid’incasso dei crediti commerciali e di rotazione del magazzino e sottraendo il tempo medio di pagamento deifornitori (Bini in Guatri pag. 548 e ss). Essa esprime il tempo medio che intercorre fra il pagamento difornitori di materie e l’incasso dei beni realizzati con tali materie. Nel caso tale durata assuma un valorenegativo, gli incassi dei crediti verso clienti anticipano i pagamenti ai fornitori; l’impresa dunque, dopo averincassato i proventi delle vendite, dispone di liquidità per un periodo temporaneo e cioè fino al momento incui i debiti di fornitura devono essere saldati. Tale liquidità consente di ridurre, almeno temporaneamente,nei cicli economici successivi il ricorso all’indebitamento bancario a breve per finanziarie il circolante. Nelcaso opposto in cui la durata del ciclo del circolante risulti positiva, i debiti giungono in scadenza prima chesiano riscossi i crediti, il ciclo economico genera un fabbisogno più elevato rispetto al caso precedente inquanto al giungere a scadenza dei debiti l’impresa, non avendo ancora incassato i crediti verso i clienti oultimato la produzione, deve necessariamente reperire le risorse per saldare i debiti (ricorrendo, ad esempio,ai finanziamenti bancari). In definitiva, dunque, la consistenza del CCNop dipende essenzialmente da dueordini di fattori: dal volume del fatturato e quindi dalla dimensione dell’attività dell’impresa; dalle politichecommerciali adottate. Aumenti del fatturato comportano infatti, a parità di politiche commerciali, aumentidel CCNop, ossia del fabbisogno finanziario legato al ciclo operativo. Un aumento delle vendite significainfatti un aumento del volume di attività dell’impresa e quindi anche un incremento degli investimentidell’impresa è a regime essa, ogni giorno, acquista materie e vende prodotti finiti. Tuttavia vi sono situazioni in cui lacontinuità delle operazioni aziendali è alterata e ciò comporta delle conseguenze anche a livello di fabbisognofinanziario. Si pensi ad esempio al caso dei settori caratterizzati da stagionalità della produzione o delle vendite che dàluogo ad un fabbisogno che fluttua durante l’anno da un massimo ad un minimo. Nel caso di stagionalità delle vendite(ad esempio prodotti il cui consumo è legato al clima) il massimo delle scorte si avrà all’inizio della stagione di venditae il minimo al termine della stessa. Se consideriamo invece il caso della stagionalità nella produzione (tipicamente unaproduzione agricola) cui corrisponde un consumo uniforme durante l’anno, il massimo dell’investimento in capitalecircolante si avrà al termine del processo produttivo, con una successiva diminuzione durante il resto dell’anno fino adun minimo corrispondente al periodo iniziale del ciclo produttivo.186


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeinell’attività operativa. Talvolta, nel caso in cui l’impresa non riesca a coprire il fabbisogno generato da unrepentino aumento del fatturato, possono crearsi pericolose tensioni finanziarie. Anche le politichecommerciali, a parità di fatturato, producono delle variazioni nella consistenza del CCNop. Nel caso adesempio di una riduzione della dilazione di pagamento concessa ai propri clienti, diminuisce la consistenzadei crediti commerciali e di conseguenza quella del CCNop. Il CCNop consente quindi di valutare ledisponibilità operative (ma non totali) necessarie per realizzare il ciclo operativo in relazione a determinatilivelli di fatturato e a certe scelte di approvvigionamento e di gestione del magazzino, tenuto conto delledilazioni concesse alla clientela e accordate dai fornitori. Il CCNop consente quindi di valutare ledisponibilità operative (ma non totali) necessarie per realizzare il ciclo operativo in relazione a determinatilivelli di fatturato e a certe scelte di approvvigionamento e di gestione del magazzino, tenuto conto delledilazioni concesse alla clientela e accordate dai fornitori.Passando ad esaminare la gestione caratteristica non corrente, il primo problema da risolvere èindividuare il valore di t. Al momento in cui un impianto è acquistato o costruito dalla stessa impresa, essasostiene un esborso monetario la cui entità misura l’investimento iniziale di capitale. I ritorni finanziari legatia tale investimento sono connessi al momento di sua entrata in funzione. Ogni anno, a partire da tale data,una parte dei ricavi che sono ottenuti grazie alla vendita dei prodotti realizzati con gli impianti, vienedestinata alla copertura dei costi fissi sostenuti sotto forma di ammortamento. L’investimento iniziale vienedunque recuperato , per ogni impianto, attraverso la successione nel tempo delle quote di ammortamento. Intermini finanziari, l’ammortamento ha un significato diverso da quello che ha da un punto di vistaeconomico. Sotto il profilo economico infatti, l’attribuzione ad un esercizio di una certa quota diammortamento ha come significato quello di ripartire un costo fisso fra gli esercizi in cui il bene pluriennaleè stato impiegato nel processo produttivo. È in sostanza un’operazione di bilancio che trasla profitti da unesercizio all’altro. Da un punto di vista finanziario, l’ammortamento rappresenta invece uno strumentoattraverso cui le entrate derivanti dai ricavi conseguiti sono vincolate al contesto aziendale ed attribuite adiverse destinazioni finanziarie: alla copertura delle uscite correnti, al recupero dei mezzi finanziari investitinelle immobilizzazioni, alla retribuzione del capitale di credito e del capitale investito. Non è dunquel’ammortamento in sé per sé che crea i fondi, esso si limita ad “etichettare” fondi generati dalla gestioneindustriale complessiva attraverso i ricavi delle vendite. Il tempo medio delle diverse rate di ammortamentoprevisto potrebbe essere considerato come il valore di t ricercato; utilizzando tale valore però, la formulaprecedente consente di individuare l’investimento mediamente sostenuto dall’impresa durante la vitadell’impianto, ma non risulta utile per individuare il fabbisogno annuo generato da tale immobilizzazione.Per determinare il “valore corretto” di t occorre considerare la dinamica temporale degli investimenti. Iflussi annui di uscite generati dall’acquisizione degli impianti possono essere distribuiti nel tempo nei modipiù diversi, ma comunque compresi all’interno di due casi estremi: quello in cui l’impianto è costituito daun’unica unità tecnica, non frazionabile in parti, il cui rinnovo avviene al termine della vita utile del bene;quello in cui l’impianto è costituito da una pluralità di unità tecniche il cui rinnovo può avvenire in modograduale nel tempo.Nel primo caso il flusso di esborsi sostenuti dall’impresa hanno un andamento necessariamenteirregolare: ci sono esercizi nei quali l’esborso presenta punte molto elevate (ogni volta che viene acquistatoun <strong>nuovo</strong> impianto) ed altri (la maggioranza) con esborsi nulli o minimi. In tale ipotesi non è identificabileun flusso annuo e il fabbisogno finanziario è pari al valore dell’impianto al momento dell’acquisizione odella costruzione in economia e diminuisce ogni anno a seguito dei rientri finanziari generati dalle quote diammortamento. Al termine del periodo di ammortamento il fabbisogno generato dall’impianto si saràcompletamente annullato. Il fabbisogno di capitale relativo a ciascun esercizio è allora determinato dalladifferenza fra il valore iniziale dell’impianto e il fondo ammortamento iscritto nel passivo patrimoniale. Èimportante comunque sottolineare come in questa ipotesi il fabbisogno non abbia natura permanente maricorrente. L’impresa non ha infatti necessità ogni anno di sostenere un esborso monetario (f) perl’acquisizione o la costruzione dell’impianto, ma solo ciclicamente.Un altro aspetto importante da sottolineare è rappresentato dal fatto che la riduzione del fabbisognolegato al processo di ammortamento implica che delle risorse finanziarie prodotte dai ricavi siano liberate peracquisire temporaneamente risorse appartenenti ad altre aree aziendali. In un certo senso la gestione degliimpianti genera un flusso di autofinanziamento utilizzabile dalle attività aziendali, fino al momento in cuil’impianto deve essere riacquistato e per tale motivo occorre far fronte (anche con mezzi addizionali rispettoall’ammortamento) all’esborso richiesto in tale esercizio.Un caso diverso è invece quello in cui le immobilizzazioni tecniche siano costituite da una pluralità diimpianti a loro volta formati da più macchine indipendenti che possono essere rinnovate gradualmente. In187


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiquesta ipotesi, ogni anno l’impresa deve sostenere un esborso monetario per la sostituzione di qualchemacchinario per una cifra f.L’impresa può ad esempio disporre di parco macchine costituito da n unità destinate ad essereutilizzate per un periodo di d anni. Per la i-esima macchina, la consistenza del fondo di ammortamento risultapari a:F.do ammDRiii= Ammi( D − R )= periodo di ammortamento relativo all' i − esimo bene=×durata residua dell' i esimo beneiiammortizzabileDa notare come nel caso in cui R i = D i , il bene ha terminato la sua funzione economica e quindi saràceduto all’inizio dell’esercizio successivo. Analiticamente ciò significa che il valore del fondoammortamento di tale macchinario è pari a 0 e non è quindi più compreso nel complessivo fondo diammortamento.Introducendo l’ulteriore ipotesi che l’ammortamento sia effettuato a quote costanti,il fondo di ammortamento risulta pari a:F.do ammAmmIiiiI i=<strong>DI</strong>⎞=iR×Diii( quote cos tan ti)= cos to storico dell'⎛( − ) = × ⎜ −iDiRiIi1⎟ ⎝ D ⎠i esimo bene( al netto del presunto valore di realizzo)La consistenza del complessivo fondo di ammortamento dell’impianto è data allora dalla somma deisingoli fondi:n ⎛ R ⎞= × ⎜ −iF.do amm ∑ I i 1⎟i=1 ⎝ Di⎠ponendo I i = I Di= D risulta :⎛ n ⎞⎜ ∑ Rn⎟⎛ Ri⎞= × ∑ ⎜ −i⎟ = × ⎜ i=1F.do amm I 1 I n − ⎟i=1⎝D ⎠ ⎜ D ⎟⎝ ⎠Ma la somma di R i può essere scritta come:n∑i=1Rin( n − 1)= 0 + 1 + 2 + 3 + ... + n − 1 =2La durata residua uguale a 0 riguarda il macchinario che nell’esercizio precedente è statocompletamente ammortizzato e che quindi viene eliminato.Perciò:⎡ n( n − 1) ⎤F.do amm = I × ⎢n−2D ⎥ =⎣⎦⎛ n − 1⎞⎛ n − 1⎞⎛ n + 1⎞= I × n × ⎜1− ⎟ = I × n × ⎜1− ⎟ = I × ⎜ ⎟⎝ 2D ⎠ ⎝ 2n ⎠ ⎝ 2 ⎠se D = n188


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl fondo ammortamento, grazie alle ipotesi introdotte, risulta dunque sempre costante nel tempo e il suovalore dipende solo dal costo unitario dei macchinari (I) e dal numero di unità che costituiscono l’impianto(n).Nella precedente espressione sono state introdotte tre ipotesi semplificatrici:il valore unitario dei macchinari è costante e pari ad I;la durata del periodo di ammortamento è comune a tutte le macchine e pari a D;il periodo di ammortamento è pari al numero di macchine che costituiscono l’impianto. Questa ipotesigarantisce che, in condizione di normalità, ogni anno l’impresa sostituisca un macchinario completamenteammortizzato con uno <strong>nuovo</strong>.Sulla base delle precedenti ipotesi, il valore complessivo del fabbisogno complessivo legato allagestione tipica non corrente può essere individuato con la formula f × t, con t rappresentato dall’anzianitàmedia del parco macchine.Come ricordato, il fabbisogno è infatti costituito dalla differenza fra il valore complessivo delleimmobilizzazioni e il fondo di ammortamento. In simboli:⎛ n − 1⎞⎛ n − 1⎞F = I × n − F.do amm. = I × n − I × n × ⎜1− ⎟ = I × n⎜⎟ = I⎝ 2D ⎠ ⎝ 2n ⎠( n − 1)Dato che il flusso annuale f è pari al valore di acquisto I è possibile determinare il valore t checorrisponde ad un fabbisogno F.F = f × tIt =( n − 1)2( n − 1)2= I × t= anzianità mediaÈ facile dimostrare come il valore di t calcolato rappresenti effettivamente la media delle anzianità dellemacchine del parco. Tale anzianità oscilla infatti da un valore minimo di 0 (il <strong>nuovo</strong> macchinario acquistato)ad un massimo n-1 (il bene destinato ad essere sostituito nel prossimo esercizio). Il macchinario conanzianità pari ad n, invece, è stato venduto e quindi non deve essere conteggiato. Un’impresa può ad esempiodisporre di un impianto costituito da 10 macchinari del valore unitario di 100 milioni. Si supponga inoltre,che tali macchinari siano stati acquistati in epoche successive e che siano ammortizzati in n=10 anni in modoche ogni anno una macchina venga eliminata ed una acquistata per rinnovo. All’inizio di ogni esercizio,l’anzianità medie delle macchine andrà da 0 (la macchina appena rinnovata) a 9 anni (la macchina piùvecchia, infatti la macchina che ha un’anzianità di 10 anni non è presente nell’impianto in quanto vienesostituita con una nuova) e sarà quindi pari a 4,5 anni. Tale periodo rappresenta anche il valore di t cioè deltempo medio di investimento del capitale macchine, in quanto il capitale investito in ciascuna macchinarientra con gli ammortamenti in un tempo pari a 4,5 anni. Ogni anno vi è un flusso f di rinnovo pari a 10milioni, corrispondenti all’acquisto di un <strong>nuovo</strong> macchinario. Allo stesso tempo è “imputato” unammortamento complessivo dello stesso importo (10 milioni) in quanto il parco macchine è semprecostituito da 10 unità ciascuna ammortizzata per un milione. Il fabbisogno finanziario relativo a taleimpianto è costituito dalla differenza fra il valore complessivo e il fondo di ammortamento. Data ladistribuzione dell’anzianità delle diverse macchine, il fondo di ammortamento sarà pari sempre a 550milioni 5 e le immobilizzazioni tecniche nette (fabbisogno finanziario da coprire) saranno dunque25 Per comprendere perché, sotto le ipotesi fatte, il fondo di ammortamento abbia un valore costante nel tempo èpossibile ragionare anche in un altro modo. In un dato esercizio, il parco macchine è composto da 10 unità di cui una èstata acquistata all’inizio dell’anno. Al termine dell’esercizio, la nuova macchina ha un fondo di ammortamento parialla quota accantonata e cioè 1 milione. La macchina invece che è stata acquistata lo scorso anno ha un fondo diammortamento di 1.000.000 × 2 (anni di presenza) =2.000.000. Analogamente, il macchinario più anziano, acquistato 9anni fa, alla fine dell’esercizio ha un fondo di 10 milioni. Tale macchina verrà eliminata nell’esercizio successivo. Intotale, il fondo complessivo è pari a 1+2+…..10=550 milioni. L’anno successivo tale valore rimane costante perché:1) da un lato la dismissione del bene completamente ammortizzato comporta una riduzione del fondo di 10 milioni;189


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicostantemente 1.000 milioni meno 550 milioni, cioè F= 450 milioni. A tale risultato è possibile arrivareanche attraverso l’impiego della formula [1], considerando che f è l’esborso annuo di 100 milioni, e t èinvece pari a (n-1)/2, ossia 4,5 anni. Ogni anno l’impresa copre questo esborso esattamente con unammortamento equivalente. In questo caso dunque, le uscite da rinnovi e le entrate finanziarie daammortamento tendono ogni anno ad essere equivalenti: non si crea cioè nella gestione degli impianti, alcunautofinanziamento utilizzabile per acquisire temporaneamente altre risorse, come accadeva invece nel casoprecedente. Una volta determinato il fabbisogno relativo alla gestione corrente e non corrente, è possibiledeterminare il fabbisogno complessivo della gestione caratteristica. Il fabbisogno finanziario cumulato èinfatti costituito dall’investimento complessivo sia in elementi del capitale circolante che inimmobilizzazioni, sostenuto dall’impresa per svolgere la propria attività 6 .Riepilogando quanto detto in precedenza, la formula f × t rappresenta un importante strumentoconcettuale a disposizione della funzione finanziaria per determinare il fabbisogno finanziario di un’azienda.Tale formula assume una particolare efficacia se impiegata in un’ottica di gestione strategica. Ladeterminazione del fabbisogno finanziario non ha una grande utilità se esso viene determinato ex-post,ovvero sia sulla base dei risultati passati per capire quanto capitale è stato necessario per realizzare i cicliproduttivi degli esercizi passati. Ciò non significa che il valore del fabbisogno non serva a niente se calcolatosu bilanci consuntivi, anche perché esso consente in ogni caso fornisce delle informazioni utili relativesoprattutto all’evoluzione temporale del fabbisogno. Certo è che l’impiego di tale strumento raggiunge la suamassima efficacia da un punto di vista strategico quando viene utilizzato per stimare gli effetti finanziaridelle scelte di gestione industriale programmate per il futuro. In altri termini, la relazione vista diventaimportante da un punto di vista strategico al momento in cui viene utilizzata per rispondere a domande deltipo: qual è il fabbisogno richiesto da un certo piano di investimento? Per raggiungere un certo obiettivo dicrescita del fatturato, quale fabbisogno occorre preventivare?E’ possibile in qualche modo ridurre il valoredel fabbisogno previsto?In un’ottica strategica, la relazione:F = f × t2) dall’altro la quota complessiva di ammortamento accantonata di 10 milioni comporta un aumento del fondo di 10milioni.6 Nell’analisi che abbiamo finora condotto abbiamo volutamente semplificato la realtà aziendale per comprendere ilmeccanismo di calcolo del fabbisogno finanziario. Analogamente a quanto abbiamo già fatto studiando la dinamica deiflussi finanziari, possiamo adesso tentare di rendere le considerazioni del presente paragrafo più vicine alla realtàquotidiana delle imprese rimuovendo alcune delle ipotesi implicitamente adottate.Si considerino ad esempio gli effetti provocati sul fabbisogno dalle imposte sia indirette che dirette. Per quanto riguardale prime, esse dilatano i crediti ed i debiti commerciali generando di riflesso un gonfiamento dei flussi finanziari inentrata ed in uscita; si soffermi l’attenzione sull’IVA. Normalmente le imprese industriali presentano un saldo debitored’IVA, in quanto se il valore aggiunto è positivo il valore degli acquisti è inferiore a quello delle vendite per cui, aparità di aliquota, l’IVA riscossa dai clienti è superiore a quella pagata ai fornitori. In alcuni casi comunque si possonopresentare anche saldi creditori; ciò può avvenire ad esempio quando l’aliquota da applicare alle vendite è più bassadell’aliquota corrisposta sugli acquisti, oppure quando si realizzano investimenti di notevole entità,..Il sorgere di un saldo creditore d’IVA significa che l’impresa ha pagato più IVA di quanta non ne abbia incassata equindi vanta un credito nei confronti dell’Erario (si ricorda che l’IVA non costiuisce né un costo né un ricavo per leimprese, si tratta di un tributo che grava sui consumatori finali e che viene riscosso tramite le aziende che operano comesostituti d’imposta). Si tratta quindi di un flusso in uscita di risorse fino al momento in cui il credito non viene saldatoche richiede l’accensione di nuovi finanziamenti con la conseguente introduzione di altri oneri finanziari a detrimentodell’utile conseguito.Una circostanza analoga è destinata a ripetersi nel caso di saldi debitori se le condizioni di pagamento concesse all’attodella vendita costringono a versare all’erario l’IVA a debito prima di averla incassata dai clienti. Si tratta di unasituazione abbastanza diffusa se si tiene conto che il debito d’IVA gode di una dilazione media di pagamento di ventigiorni circa. Se l’impresa concede crediti superiori a tale periodo la quota a debito non compensata da fatture di acquistigenera un <strong>nuovo</strong> fabbisogno di risorse.Per quanto riguarda le imposte dirette (esempio ILOR e IRPEG) esse richiedono un pagamento che gode di unadilazione assai più considerevole rispetto al regime IVA. Tuttavia anch’esso può generare considerevoli fabbisogni incapo alla società poiché, come abbiamo già sottolineato, il ciclo economico -costi, ricavi- generalmente non corrispondeal ciclo monetario -entrate, uscite-. Di conseguenza può accadere che l’impresa può trovarsi costretta a versare leimposte prima di aver monetizzato l’utile lordo. Cfr. Bini.190


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeipuò essere impiegata per determinare il fabbisogno addizionale che l’impresa deve fronteggiare perraggiungere certi obiettivi di fatturato. L’aumento del fatturato (causata ad esempio dalla crescita del mercatoservito dall’impresa e non solo dall’aumento dei prezzi dei prodotti) richiede evidentemente una crescita delfabbisogno per l’acquisto di un volume maggiore di materie, servizi, lavoro e più in generale risorseproduttive. Attraverso la stima di t per le varie risorse è possibile allora calcolare l’incremento delfabbisogno da mettere in conto per realizzare determinati obiettivi di fatturato. Nel caso questo risulti troppoelevato nasce il problema di come ridurlo comprimendo t con opportune politiche. Tali variabili non sonoinfatti date, ma frutto della politica degli investimenti e delle soluzioni gestionali che l’impresa adotta. Èstato, ad esempio, mostrato come il fabbisogno finanziario generato dal ciclo di acquisto-produzione-venditasia funzione diretta della durata del ciclo finanziario del capitale circolante. Tale durata dipende in primoluogo dalla lunghezza del ciclo produttivo realizzato dall’impresa. Il controllo dei tempi richiesti dallesingole fasi che compongono i cicli produttivo, economico e finanziario rappresenta uno strumentoindispensabile per ridurre l’assorbimento di risorse finanziarie richiesto dalla gestione. In definitiva, ilCCNop fornisce una misura dell’investimento necessario per alimentare il caratteristico ciclo di acquistoproduzione-vendita(che nella versione semplificata proposta, il CCNop non è compreso il costo dellamanodopera impiegata nell’attività caratteristica. In realtà, per determinare in modo preciso il capitalecomplessivamente investito nella gestione corrente andrebbe preso in considerazione anche tale voce dispesa), dato un certo livello di fatturato una certa politica commerciale e un certo tempo di giacenza deiprodotti.1.3.3 La relazione fra CCN operativo e gap temporaleFazzi scrive: “Il gap temporale è costituito dalla durata: a) della giacenza dei fattori produttivi inattesa di impiego; b) del processo di trasformazione economica di essi; dalla giacenza del prodotto finito inattesa di collocamento; del credito accordato alla clientela e che protrae la durata del ciclo oltre il tempo ditale collocamento.” (Fazzi 1982, p. 100 nota 37). Il Capitale Circolante Netto operativo (CCNop) indica ilfabbisogno di capitale necessario ad alimentare il ciclo operativo corrente dell’impresa. Tale espressioneindica le operazioni di acquisto-produzione-vendita tradizionalmente svolte dall’impresa. Il CCNop noncostituisce comunque il fabbisogno complessivo originato dalla gestione corrente. In tale gestione rientra, adesempio, anche il personale che comporta finanziamenti sotto forma di accantonamenti al fondo TFR efabbisogni legati all’utilizzo di tale fondo (Giunta, 1998, passim). Nella versione semplificata qui propostacomunque, tali voci non sono state considerate (sarebbe anche possibile considerare il debito nei confrontidel personale nel CCNop qualora si considerasse il flusso di ore giornaliere fissate moltiplicate per il costoorario. In ogni caso, l’informazione sul personale può essere comunque recuperata passando al flusso dicassa della gestione caratteristica corrente).CCNop = Crediti Commerciali + Rimanenze di merci − Debiti CommercialiIl gap temporale del ciclo corrente indica il lasso temporale che intercorre fra il momento in cui sisostiene l’esborso monetario per l’acquisto dei diversi fattori produttivi e il momento in cui, attraversol’impiego di tali fattori, l’impresa registra i primi ritorni monetari. Il gap temporale complessivo del ciclocorrente è costituito dalla somma dei seguenti elementi:Gap temporale del ciclo corrente = dilazione media concessa ai clienti + giacenza media delle merci− dilazione media ottenuta daifornitoriI due concetti, CCNop e gap temporale sono naturalmente fra loro collegati; un gap positivo, adesempio, indica che l’impresa deve pagare i propri fornitori prima di incassare i ricavi delle vendite. Per taleragione, essaFCCNopn= ∑ fi× tii=1191


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidovrà reperire in qualche modo i capitali necessari, fino non riscuoterà i propri crediti, il CCNop èdunque funzione del gap temporale.La relazione è quella individuata attraverso la formula F =f × t :Ossia:dove:F = f × t + f × t − f × tCCNopcrediticreditimercimercidebitidebiti[] 1tfcreditifcreditimerci= flusso giornaliero di ricavi= giacenza media dei crediti com merciali= flusso giornaliero di acquistitmerciftdebitidebiti= giacenza media delle merci= flusso giornaliero di acquisti= giacenza media dei crediti com mercialiMettendo in comune i flussi di acquisto giornaliero, che vengono utilizzati sia per valutare le merci che idebiti risulta che:dove :FCCNop× tf = f merci = f debiti = f acquistiL’espressione può essere ulteriormente semplificata indicando il flusso di ricavi giornaliero comesomma del flusso giornaliero di acquisti più una certa percentuale di ricarico r su ogni lira di acquisto:dove, almeno in condizioni di normalità, r è positivo.Sostituendo la [3] nella [2] risulta che:=fcrediticreditifcrediti = f acquisti + rf acquisti = f + rf+f×( t − t ) [] 2merci[] 3debitiGap temporale del ciclo correnteF = f x (t merci + t crediti - t debiti ) + r x f acquisti x t creditiIl CCNop è dunque determinato dal prodotto del flusso di acquisti giornaliero ed una quantità costituitadalla somma dei seguenti addendi; il gap temporale del ciclo corrente; il ricarico che l’impresa effettua sugliacquisti moltiplicato per il tempo di giacenza media dei crediti.[( t + t − t ) + r t ] [ 1]FCCNop = f × crediti merci debiti ×Si tratta in sostanza del fabbisogno giornaliero collegato al ricarico, moltiplicato per il tempo chemediamente occorre prima che le vendite siano incassate. Un aumento nella dilazione concessa ai clienti onel tempo di rotazione delle merci, causa, a parità di altre condizioni, un aumento del gap temporale e quindidel CCN operativo. Dalla precedente relazione emerge inoltre come il CCNop si annulli quando il gaptemporale è pari a zero e i flussi di acquisto e di vendita giornalieri sono uguali (ipotesi che sembra in realtàimprobabile nella realtà operativa). In tal caso infatti, il primo addendo si annulla perché è nullo il gap,mentre il secondo perché r (la percentuale di ricarico) è pari a zero. Una simile situazione indica chel’impresa incassa i propri crediti al momento in cui deve estinguere i propri debiti. Inoltre, poiché il marginedi ricarico è nullo, gli importi a debito e a credito si compensano esattamente. Il risultato finale è che lerisorse ottenute con le vendite vengono totalmente investite per acquistare i fattori produttivi e perciò non c’èalcuna necessità di reperire altre fonti di finanziamento.Se invece r≠0, anche nel caso in cui il gap temporale complessivo sia pari a zero, il CCNop non ènecessariamente nullo. Con ad esempio r>0 e un gap nullo, la [1] diventa:CCNop192crediti[( tcrediti+ tmerci− tdebiti) + r × tcrediti] = f × [ 0 + r × tcrediti] = f × r tcreditiF = f ××


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiDato che la dilazione media concessa ai clienti è normalmente positiva, il valore complessivo delfabbisogno finanziario è maggiore di zero anche se il gap è nullo. La spiegazione intuitiva va ricercata nelfatto che anche se i crediti sono riscossi in tempo per estinguere i debiti, l’azienda deve investire in taleoperazione il ricarico sul prezzo di vendita (in proporzione al tempo di dilazione dei crediti).1.3 L’interpretazione dell’autofinanziamentoNel precedente paragrafo sono state esaminate le modalità di calcolo del fabbisogno finanziariogenerato dalle attività aziendali. Tale fabbisogno è, nel caso di imprese che operano in condizioni diequilibrio economico e finanziario, fisiologicamente crescente nel tempo. La causa può essere ricercata,ricordando la formula [1], in due aspetti principali: l’aumento dei flussi f relativi a ciascuna risorsa; lavariazione del valor medio di t. L’aumento dei flussi f relativi a ciascuna risorsa è causato, ad esempio siadall’aumento dei prezzi di acquisto dei fattori (un motivo va ricercato nelle condizioni di inflazionestrisciante che fanno ormai parte della fisiologia del contesto economico occidentale) che all’aumento delledimensioni aziendali ( a tale riguardo, invece, è stato ricordato come l’esigenza naturale di ciascuna impresasia la crescita delle proprie dimensioni; ciò significa che l’azienda ha un maggior volume di affari il che, asua volta, implica maggiori investimenti sia in elementi del capitale circolante e in elementi del capitalefisso). La variazione del valor medio di t può indurre un maggior fabbisogno. Ad esempio, un processo diinternalizzazione di lavorazioni prima svolte all’esterno può allungare il tempo di rotazione delle rimanenze.Analogamente se aumenta la dilazione concessa ai clienti aumenta anche il relativofabbisogno.Naturalmente, il fabbisogno complessivo di risorse finanziarie richiesto dall’attività dell’impresadeve essere coperto tramite il ricorso a fonti di finanziamento di tipo interno o esterno. Le fonti interne sonorappresentate dall’autofinanziamento, ossia dall’eccedenza delle risorse finanziarie generate dall’attivitàdell’impresa e trattenute al suo interno. Il concetto di autofinanziamento è collegato ai flussi di fondi. La suacorretta determinazione richiederebbe dunque l’utilizzo delle grandezze dello Stato Patrimoniale (i fondiappunto). In realtà una strada più agevole per calcolare l’autofinanziamento consiste nell’impiego delle vocidel Conto Economico (costituito da grandezze di flusso). Considerando la situazione patrimoniale,l’autofinanziamento complessivo generato dall’impresa può essere determinato a partire dall’identitàfondamentale di bilancio:ATTIVITA ' = PASSIVITA' + CAPITALE NETTOScomponendo in termini più analitici (il riferimento è al bilancio redatto secondo la disciplinacomunitaria introdotta con il d.lgs 9 aprile 1991, n.127 che ha dato attuazione alle direttive UE n.78/660 en.83/349):Im m+ Ac = MT+ F.dirischi e oneri + F.doTFR+ CS + Ris + Undove:Imm = immobilizzazioni netteAc = Attività Correnti (al netto degli eventuali fondi di svalutazione)MT = DebitiCS = Capitale SocialeRis = RiserveUn = Risultato di esercizioPassando alle variazioni la relazione diventa:∆ Im m + ∆Ac= ∆MT+ ∆F.dirischie oneri + ∆F.doTFR+ ∆CS+ ∆Ris+ Unt− Unt−1[] 1La variazione dei fondi è determinata sia dal valore dell’accantonamento effettuato che dall’eventualeutilizzo durante l’esercizio.193


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei∆F.di∆F.dorischi e oneriTFR= Acc= AccTFRrischi e oneri− UtUt = Utilizzo del fondoTFR− Utrischi e oneriInoltre l’Attivo corrente (e quindi la relativa variazione) possono essere scomposte nella somma di duecomponenti:1. la componente operativa misurata dalla somma delle rimanenze e dei crediti verso clienti;2. la componente finanziaria costituita dalla liquidità e dai crediti finanziari.∆Ac= ∆Ac fin + ∆Ac opInfine, i debiti possono essere suddivisi in base alla durata:∆MT breve∆MT = ∆MT lungo + ∆MT breve = ∆MT lungo + ∆MT fin + ∆MT opSostituendo le precedenti relazioni nella [1] risulta che:∆ Im m + ∆Ac− ∆MT− ∆CS− ∆Ris+ Un + Ut + Ut = Un + Acc + Acct−1TFRrischi e oneririschi e oneriTFR∆CCN op ∆CCN fin∆Imm = ∆AC op - ∆MT op + ∆AC fin - ∆MT fin - ∆MT lungo - ∆CS – ∆Ris + Un t-1 + Ut TFR ++ Ut rischi e oneri = Un + Acc rischi e oneri + Acc TFR + Amm + svalutazAl secondo membro è stato aggiunto e tolto il valore degli ammortamenti (Amm) e delle svalutazioni dielementi iscritti nell’attivo (svalut).In definitiva, l’autofinanziamento risulta pari a:∆Capitale investito ∆fonti esterne fattori correttivi∆Imm + ∆CCN op + ∆CCN fin + Ut TFR + Ut rischi e oneri + Un t-1 – ∆MT lungo – ∆CS – ∆Ris + Amm ++ Svalutaz = AUTOFINANZIAMENTO =Un + Acc rischi e oneri + Acc TFR + Amm + SvalutazL’autofinanziamento può cioè essere interpretato sotto due diversi punti di vista: quello patrimoniale equello reddituale. In un’ottica patrimoniale (prima parte della relazione), l’autofinanziamento è costituitodalla variazione del capitale investito nell’impresa diminuita della variazione relativa alle fonti difinanziamento esterno. In altri termini, esso è misurato dal valore degli investimenti (sia in immobilizzazioniche in capitale circolante, che in utilizzi di fondi spese e distribuzione di dividendi) non coperti da fontiesterne. In un’ottica reddituale, invece (seconda parte della relazione), l’autofinanziamento è ottenutosommando al risultato di esercizio il valore dei costi non monetari. Naturalmente tutte le aree di attività incui può essere suddivisa la complessiva gestione aziendale sono in grado di produrre un certo livello diautofinanziamento. Fra le diverse aree comunque, una “posizione privilegiata” è occupata dalla gestionecorrente. Il vertice è infatti principalmente interessato a determinare il grado di autofinanziamento prodottodalle attività di gestione che alimentano l’attività corrente dell’azienda. Le operazioni suddette si riferisconoal capitale circolante netto inteso come differenza aritmetica fra l’attivo corrente (liquidità, magazzino ecrediti) e l’indebitamento a breve. Quindi analizzare l’autofinanziamento prodotto dalla gestione correntesignifica studiare la capacità dell’impresa di produrre ricchezza attraverso le caratteristiche operazioni diacquisto-trasformazione-vendita che generano, tra l’altro, crediti, debiti e rimanenze.Fra le due vie proposte per calcolare l’autofinanziamento, la seconda risulta indubbiamente più sempliceed immediata.194


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiAutofinanziamento= Un + Accrischi e oneri + AccTFR+ Amm + SvalutDel resto, per valutare la capacità di produrre risorse finanziarie, è sufficiente sommare alcuni addendi.La prima forma di autofinanziamento è rappresentata dall’utile netto non distribuito. Tale flusso misurauna eccedenza complessiva dei ricavi sui costi e rappresenta dunque un insieme di risorse finanziarieprodotte dall’impresa dopo avere remunerato “in modo congruo” tutti i fattori produttivi (nel caso in cui nonrisulti soddisfatta la condizione della congruità di rimunerazione di tutti i fattori produttivi sotto forma diautofinanziamento verrebbero camuffati taluni impliciti finanziamenti esterni, ad es. rinuncia dei soci aprelevare utili, per intero o in parte. Ferrero, 1984). È una fonte che si genera col formarsi del reddito diesercizio e quindi in via continuativa. Essa rimane inoltre investita in azienda a tempo indeterminato fino aeventuale distribuzione. Naturalmente nel caso di perdita non vi è alcun autofinanziamento, ma anzi, lagestione origina un fabbisogno di capitale che l’impresa deve coprire in qualche modo (il valore dell’utilenetto non risulta però adeguato a stimare l’autofinanziamento prodotto dalla gestione corrente; l’utile nettoinfatti rappresenta il risultato finale prodotto da tutte le aree di attività e non solo da quella corrente). Unaseconda fonte di autofinanziamento è costituita dai costi non monetari, cioè da tutti quei costi imputatiall’esercizio, che non hanno prodotto movimenti finanziari. I principali esempi sono costituitidall’ammortamento (se si vuol determinare l’autofinanziamento della gestione caratteristica invece di quellacorrente, è spesso sufficiente considerare la quota di ammortamento al netto degli investimenti di rinnovoche l’impresa effettua ogni anno. Nel caso in cui il rinnovo degli impianti avvenga in modo gradualel’ammortamento non rappresenta una fonte di autofinanziamento consistente in quanto il valore di taleaccantonamento è “bilanciato” dagli esborsi monetari corrispondenti ai rinnovi compiuti ogni anno. Nel casoinvece in cui il rinnovo degli impianti avvenga a scadenze ricorrenti, ogni dieci o quindici anni, ad esempio,l’ammortamento rappresenta una rilevante fonte di autofinanziamento anche se con un ciclo finanziario piùbreve di quello dell’utile reinvestito; in questo caso infatti la disponibilità finanziaria “liberata” rimane inazienda dall’anno in cui è calcolato l’ammortamento a quello in cui si effettua il rinnovo. Si tratta dunque diuna fonte di finanziamento di natura essenzialmente temporanea), se si vuol limitare l’attenzione solo allagestione caratteristica corrente, il risultato da prendere in considerazione è il Margine Operativo Netto dagliaccantonamenti ai fondi spese e rischi, dal fondo di indennità di fine rapporto (In questo caso può sorgere ildubbio se si tratti di una fonte di finanziamento interna o piuttosto una forma di finanziamento esterna,offerta anche se coattivamente dal personale, tale fonte è qualificata come appartenente alla gestionecorrente, e la sua durata è a tempo determinato è cioè misurata dal periodo che intercorre fra l’esercizio incui viene fatto l’accantonamento e quello in cui termina il rapporto di lavoro con il personale. Sotto il profilofinanziario il fondo TFR è assimilabile ad un debito di fornitura, anche se sono rilevabili sostanzialidifferenze riguardo alla dinamica e alla durata dei finanziamenti in questione. In effetti la dinamica del fondoTFR risulta in larga misura svincolata dal ciclo economico dell’impresa a causa dell’agire congiunto difattori quali, ad esempio, la rigidità del costo del personale che, indipendentemente dall’andamento dellevendite, comporta un accantonamento sostanzialmente stabile) e dalle svalutazioni di elementi dell’attivo. Inrealtà, i suddetti costi non producono direttamente autofinanziamento, ma si limitano ad etichettare evincolare al contesto aziendale le risorse generate dalla gestione. Se infatti non ci fosse alcuna eccedenzareddituale, anche imputando al reddito di esercizio ammortamenti o accantonamenti, non risulterebbe alcunautofinanziamento. Viceversa, quando i ricavi sono superiori ai costi monetari, è possibile vincolare alcontesto l’eccedenza imputando i suddetti costi.Un’altra importante fonte di autofinanziamento può essere costituita dal criterio di valutazione dellerimanenze di merci. È il caso, ad esempio, del criterio LIFO (last in, first out). L’idea di base è che le merciche entrano per ultime in magazzino siano le prime ad uscire (in caso di vendita). Ciò implica che i prodottiesistenti in magazzino alla fine dell’esercizio siano quelli acquistati in epoche più lontane. La lorovalutazione sarà allora fatta sulla base non del costo di acquisto attuale ma di quello degli esercizi passati. Inpresenza di inflazione, il magazzino e di conseguenza il reddito di esercizio risultano dunque “sottovalutati”.In altre parole, si creano delle riserve occulte, che non emergono dalla lettura del bilancio. Per comprenderein modo migliore il fenomeno dell’autofinanziamento aziendale è possibile suddividere il valore complessivonella somma di due componenti. Per far ciò occorre partire da un esempio considerando il Conto Economicodi una ipotetica impresa che svolge solo la sua attività corrente e che quindi non ha proventi o oneri chederivano da altre gestioni (finanziaria, accessoria, tributaria, straordinaria). Il prospetto in questione potrebbead esempio essere il seguente:195


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 4 Esempio di Conto economico riclassificato per analisi di autofinanziamentoCONTO ECONOMICORicavi di esercizio (R) 100+ variazione rimanenze (∆Rim) 50- Costi monetari o accertati (C) 7 20130- Ammortamenti (Am) 10- Accantonamenti a F.di spese e F.di rischi (Ac) 20Utile Netto (Un) 8 100Sia inoltreVariazione crediti (∆Crediti) 20Variazione debiti (∆debiti) 10In simboli il valore dell’autofinanziamento può essere calcolato nel seguente modo:AU = UN + Ac + Am = ∆Rim+ R − C = 130Sommando e sottraendo la variazione dei crediti (∆Cr) e la variazione dei debiti (∆Db) risulta che,l’autofinanziamento complessivo è scomponibile in due flussi finanziari complementari e cioè:UN + Ac + Am = AU=[( R − ∆Cr) − ( C − ∆Db)] + ( ∆Rim+ ∆Cr− ∆Db)[] 1un flusso monetario netto;un flusso netto non monetario.Il flusso monetario netto, denominato normalmente “net cash flow”, individuato dal primo addendodella [1] che può essere espresso nel seguente modo:7 Per costi monetari o accertati si intendono i costi che trovano la propria contropartita in elementi dell’Attivo o delPassivo, tipicamente rappresentati da conti numerari certi o assimilati. Rientrano in tale categoria tutti i costi checausano movimenti di cassa o di crediti o di debiti.8 In questo caso l’Utile netto coincide con il Margine Operativo Netto; si sta infatti supponendo, per semplicità, che nonesistano altri costi o ricavi al di fuori di quelli della gestione operativa.196


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 5 Esempio di calcolo di flusso monetario nettoRicavi di esercizio 100- ricavi non ancora monetizzati corrispondenti alla variazioneincrementativa dei crediti di funzionamento20= Flusso monetario lordo d’esercizio (a) 80Costi accertati nell’esercizio 20- costi non ancora monetizzati, corrispondenti allavariazione incrementativa dei debiti di funzionamento= Fabbisogno monetario d’esercizio (b) 1010Flusso monetario netto d’esercizio (a - b ) 70Sottraendo ai ricavi di esercizio l’incremento dei crediti verso clienti si ottengono i ricavi che“monetizzati”, cioè già trasformati in liquidità; allo stesso modo diminuendo i costi dell’aumento dei debiti siottengono i costi che nell’esercizio hanno provocato una uscita di cassa. La differenza fra i ricavimonetizzati e i costi monetizzati, costituisce il flusso monetizzato; si tratta di un flusso di finanziamento nelcaso in cui sia positivo, altrimenti si tratta di un impiego di mezzi finanziari.Il flusso netto non monetario, indicato nel secondo addendo della [1] che è determinabile per sommaalgebrica delle seguenti componenti:Fig. 6 Esempio di calcolo del flusso netto non monetarioFlussi non monetari:Variazione crediti verso clienti 20+ Variazione rimanenze di magazzino 50- Variazione debiti di regolamento 10= flussi (o fabbisogni) non monetari 60I flussi non monetari rappresentano degli impieghi di risorse che generano un fabbisogno, come gliinvestimenti in crediti, rimanenze di prodotti, materie, semilavorati e in altri componenti dell’attivo a breve(ad esempio ratei e risconti attivi). Sono inoltre fonti di finanziamento generate dall’aumento dei debiti difornitura e di altre componenti passive a breve (ad esempio ratei e risconti passivi). I flussi definiti “nonmonetari” sono flussi di finanziamento che nascono già investiti nell’ambito della gestione: non sono dunquerisorse monetarie prodotte dall’attività dell’impresa che sono disponibili ad un certo momento sotto forma didenaro liquido che l’impresa deve decidere come investire, bensì di risorse prodotte e investite in crediti, e inrimanenze. Il flusso monetario di autofinanziamento non coincide dunque con il livello di profitto reinvestitoconseguito dall’impresa. Esso dipende anche dal volume dei ricavi che non si sono ancora tradotti in entrate,dall’entità dei costi che non hanno ancora dato luogo ad uscite, dall’intervallo temporale che intercorre fra ilsostenimento dei costi e la formazione dei ricavi (Brugger, in Pivato, 1987, pp. 802 e ss). Da un punto divista propriamente finanziario, buona parte dei problemi relativi alla gestione corrente riguarda appunto ilcontrollo degli impieghi in capitale circolante.Il flusso netto di autofinanziamento può essere (Ferrero, 1984): negativo, nullo o positivo. Se negativo,il finanziamento da ricavi è insufficiente rispetto ai fabbisogni della gestione. In altre parole, l’attività197


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidell’impresa non è in grado di creare autonomamente le risorse per autoalimentarsi e per coprire i costi diesercizio e ciò comporta la necessità di ricorrere a finanziamenti esterni. Se nullo la gestione riesce aprodurre risorse che sono in grado di fornire una copertura limitata ai soli fabbisogni; i due flussi“complementari” - il cash flow il corrispondente flusso netto non monetario risultano di pari importo ma disegno opposto (l’uno positivo e l’altro negativo). In altri termini i ricavi sono in grado di coprire solo i costidi gestione. Se positivo: in tal caso la gestione oltre ad essere in grado di produrre risorse che coprono ifabbisogni della stessa è anche capace di produrre un flusso residuo che segnala propriamente unautofinanziamento avente origine economica in flussi, “economicamente esistenti, di “rigenerazione” delcapitale investito e di auto-produzione di risorse di capitale.In tale caso, la gestione corrente riesce anche a contribuire alla copertura di ulteriori fabbisogni monetarinon legati all’attività corrente; si tratta dei fabbisogni generati dagli investimenti in capitale immobilizzato oper eventuali crediti o “rimanenze” prodotte dalle altre aree di gestione.Restano a questo punto da determinare le caratteristiche del flusso di autofinanziamento sia in termini dicosto che di ciclo finanziario. Generalmente l’autofinanziamento è rappresentato da mezzi che: non costantoall’impresa, se non indirettamente in quanto una volta reinvestiti in azienda non possono essere impiegati inalternative forme di investimento; si tratta quindi di un costo opportunità (in alcuni casi l’autofinanziamentopuò produrre anche un costo esplicito per l’impresa, se ad esempio il reinvestimento di utili, che produce unaumento delle riserve, viene utilizzato per l’emissione gratuita di nuove azioni, si possono creare negliazionisti delle aspettative di maggiori dividendi in futuro. In tale ipotesi l’impresa deve mettere anche inconto di aumentare negli esercizi futuri i dividendi ai titolari del capitale azionario), hanno generalmente unadurata abbastanza lunga. Nel caso di utili reinvestiti la durata risulta a tempo praticamente indeterminato, inquanto l’impresa non ha l’obbligo se non in casi particolari di rimborsare il valore delle azioni. Per quantoriguarda invece l’ammortamento e i costi non monetari la durata si accorcia ed è legata, alla dilazione neltempo del rinnovo e delle spese corrispondenti. Gli ammortamenti infatti, vincolano risorse finanziarie alcontesto fino al momento in cui il bene viene sostituito. Analogamente, gli accantonamenti per fondi spese erischi consentono di trattenere risorse finanziarie fino al momento in cui non si verifica la spesa prevista. Leconsiderazioni sin qui svolte sono state relative all’autofinanziamento prodotto dalla gestione corrente;naturalmente le osservazioni e le conclusioni raggiunte possono essere generalizzate ad ogni area in cui puòessere suddivisa la complessiva gestione aziendale; in tal caso il flusso finanziario complessivo è denominatoautofinanziamento globale. Per ogni area della gestione aziendale è possibile determinare il flusso diautofinanziamento prodotto dalla stessa individuando, in modo analogo a quanto è stato fatto per la gestionecorrente, le due componenti di tale flusso ossia il net cash flow e il flusso non monetario.Avremo allora chel’autofinanziamento globale risulta costituito dalla somma dei singoli autofinanziamenti parziali generatedalle diverse aree gestionali.AU = ∑ ( α i + β i )dove:α i indica il flusso monetario netto prodotto dalla i esima area gestionale;β i indica il flusso non monetario prodotto dalla i esima area gestionale.1.4.1 La relazione fra autofinanziamento e capitale circolante nettoSi è appena mostrato come il flusso di autofinanziamento sia immaginabile come somma di duecomponenti fra loro complementari: il net cash flow, e il flusso non monetario. I due flussi che costituisconol’autofinanziamento confluiscono entrambi nel capitale circolante: il net cash flow è costituito in sostanzadalla variazione delle liquidità aziendali (cassa, c.c. bancari, c.c. postali,); analogamente il flusso nonmonetario rappresenta la variazione degli elementi del circolante non espressi in forma liquida quali, adesempio, le rimanenze e i crediti al netto dei debiti, ed è misurato sostanzialmente dalla componenteoperativa del capitale circolante netto. Sarebbe comunque errato ritenere che l’autofinanziamento “affluisca”totalmente negli elementi del CCN e che i due concetti coincidano. La discrasia fra il concetto diautofinanziamento e capitale circolante netto generato dalla gestione corrente va ricercatafondamentalmente in due motivi: la gestione corrente può generare anche flussi che non riguardano ilcapitale circolante; anche le operazioni estranee alla gestione corrente possono influenzare il livello delcircolante.198


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIn precedenza è stata spesso adottata un’ipotesi semplificatrice che adesso è opportuno sottolineare; èstato infatti supposto che la gestione corrente (costituita dalle operazioni del ciclo di acquisto-produzionevendita)riguardasse operazioni relative esclusivamente al breve termine. Normalmente, gestione corrente ea breve termine tendono a sovrapporsi, nel senso che sono costituite dalle stesse operazioni; l’acquisto deifattori produttivi fa sorgere dei debiti che normalmente sono a breve termine; analogamente la vendita deiprodotti fa nascere dei crediti che generalmente hanno un ciclo finanziario a breve termine. In realtà però,può succedere che i due concetti non coincidano. Vi possono infatti essere operazioni di gestione definitacome corrente che non riguardano il breve termine: si pensi ad esempio alla vendita di un determinato benecon pagamento a credito di durata superiore all’anno. In questo caso l’operazione appartiene alla gestioneoperativa in quanto è una operazione di vendita di prodotti tipicamente realizzati dall’impresa; non si trattainvece di una operazione di gestione corrente dato che il credito diventa esigibile dopo un anno (e quindi nonnel breve termine).Dall’altro lato, il concetto di CCN fa sempre infatti riferimento all’investimento aggregato compiutodall’impresa nella gestione a breve termine. Il circolante netto è generato dunque dagli elementi patrimonialia breve ciclo finanziario prodotti da qualsiasi operazione di gestione. Quando la gestione corrente producevalori che non sono di breve termine, si ha allora uno “scollamento” fra il flusso di autofinanziamento e lavariazione del CCN.Fig. 7 Classificazione delle tipologie di autofinanziamento derivante dalla gestione correnteFlussi di net cashflow<strong>GESTIONE</strong>CORRENTEAutofinanziamentodella gestioneFlussi dicircolante nettoFlussi di elementinon circolantiLe operazioni di gestione corrente producono tre flussi: capitale circolante netto operativo, net cashflow e elementi non circolanti. Un primo flusso riguarda il capitale circolante netto operativo. I processipropri della gestione corrente provocano infatti continue dilatazioni e contrazioni dei debiti commerciali, deicrediti commerciali, delle rimanenze di materie prime, di semilavorati, di prodotti finiti (Brugger osserva: “ineconomia, come è noto, si afferma che la gestione aziendale produce reddito. Con riguardo alla gestionecorrente,..., si può parlare di reddito operativo netto, reddito al netto delle imposte ma al lordo degli interessipassivi e di altri componenti estranei alle tipiche operazioni di acquisto-produzione-vendita, per esprimere unconcetto analogo, in finanza si deve dire che la gestione produce capitale circolante netto. Il flusso dicircolante della gestione corrente costituisce, in un certo senso, l’equivalente finanziario del concettoeconomico di reddito operativo netto. Cfr. Brugger, 1975 pag. 17); il risultato finale di tali operazioni perl’impresa è costituito da un incremento netto (oppure da una riduzione netta) del circolante. Un secondoflusso riguarda invece la variazione del net cash flow, ossia delle disponibilità liquide e dei crediti o debitifinanziari. Un esempio sono le operazioni di acquisto o vendita di prodotti con regolamento in contanti. Leattività di acquisto-produzione-vendita dunque, creano e distruggono circolante (inteso nella sua accezionepiù ampia). Queste variazioni di segno opposto, nel corso dell’esercizio, dovrebbero lasciare nel complessoun surplus positivo. L’incremento (o la diminuzione) che il capitale circolante subisce nel periodoconsiderato, in conseguenza di tali attività, ferma restando ogni altra grandezza finanziaria, costituisce ilflusso di circolante prodotto dalla gestione corrente (Brugger, 1975, pag. 18). Infine l’attività correnteproduce anche flussi di autofinanziamento che non riguardano elementi del circolante, ma elementiappartenenti all’attivo immobilizzato. Un esempio è costituito dalla vendita di prodotti finiti conregolamento a credito di durata ultrannuale. In questo caso l’operazione produce un flusso diautofinanziamento che però non ha come contropartita un credito commerciale a breve (che perciò nonrientra nell’attivo circolante), ma un credito a medio lungo termine che per tale motivo è considerato199


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeielemento dell’attivo fisso. In altri termini, la precedente operazione causa un flusso di autofinanziamento, manon una variazione del capitale circolante.Generalmente gli elementi patrimoniali generati dai processi tipici della gestione corrente sonocaratterizzati da un ciclo finanziario a breve; a volte tuttavia, come nel caso appena visto, presentano unadurata maggiore. In altre parole, non vi è necessariamente coincidenza piena fra attività e passività correntied attività e passività a breve termine. La seconda causa della discrasia fra autofinanziamento e variazionedel circolante è schematizzata nella seguente figura.Fig. 8 Classificazione delle tipologie di autofinanziamento derivante dalla gestione extra corrente<strong>GESTIONE</strong> EXTRACORRENTEAutofinanziamento dellagestione non correnteFlussi di net cashflowFlussi di elementinon circolantiOltre alla gestione corrente, che produce o distrugge circolante, altre operazioni aziendali influenzano illivello del capitale circolante netto e concorrono a determinare le variazioni di livello che esso presenta fral’inizio e la fine di un determinato esercizio. Tali operazioni sono definibili come estranee alla gestionecorrente. Esempi sono forniti dalle operazioni relative agli investimenti, i disinvestimenti, all’accensione eall’estinzione di finanziamenti, la corresponsione di dividendi e interessi. Tali operazioni generano flussifinanziari che possono avere come contropartita delle variazioni negli elementi finanziari del capitalecircolante, o negli elementi del capitale non circolante. Di conseguenza, non tutte le poste del CCN sonoprodotte da flussi di autofinanziamento. Il pagamento dei dividendi in contanti modifica ad esempio il livellodella cassa; l’acquisto di partecipazioni strategiche in altre imprese crea delle immobilizzazioni di caratterefinanziario, l’accensione di finanziamenti bancari a breve modifica la componente finanziaria del CCN,ecc… (in ogni caso, le operazioni non appartenenti alla gestione non caratteristica non influenzano glielementi del capitale circolante netto operativo. Quando l’impresa ottiene un’apertura di credito in c/c, adesempio, nasce una passività finanziaria a breve e non un debito commerciale).1.4 L’interpretazione per indicatori e indiciL’interpretazione dei valori permette di apprezzare la presenza di equilibri delle componentieconomiche, patrimoniali e finanziarie. Tradizionalmente la metodologia più utilizzata a tal fine è l’analisi dibilancio svolta attraverso indici (rapporti fra le grandezze) previa riclassificazione dei prospetti di StatoPatrimoniale, Conto Economico e Rendiconto Finanziario. Il contesto degli indicatori è stato oggetto dinotevole attenzione da parte della dottrina e della realtà operativa, ed esiste oggi una letteratura copiosa etalvolta discorde. Uno dei primi contributi italiani in materia fu apportato da Masi nel 1932, ma la vera epropria letteratura in materia ha un primo sviluppo compiuto solo al termine degli anni 60 e durante i primi70 (Masi 1932, passim). Già nel 1951 Onida raggruppava gli indici di bilancio in indicatori di attività,elasticità, efficienza e redditività (Onida 1951, p. 129). Bergamin Barbato è tra i primi autori ad evidenziare ilimiti degli indicatori di bilancio primo tra tutti: il problema degli indicatori ad offrirne una visioneprospettica dell’attività dell’azienda stessa; l’incapacità dei quozienti di fornire notizie fini a se stessi,evidenziando, non solo la propedeuticità, ma l’essenzialità dell’operazione di confronto; il legame trasignificatività degli indicatori e quella dei dati di bilancio (Bergamin Barbato 1974, p. 5). Tra le tassonomiepiù feconde per le proposte attuali si ricordano quelle di Coda e Caramiello.Il primo costruisce, nella classica tradizione degli affidamenti bancari, un modello per sviluppare lostudio della solvibilità a breve termine d’impresa, articolando il ragionamento attorno a quattro puntifondamentali: l’analisi della liquidità; l’analisi della solidità patrimoniale; l’analisi della redditività; l’analisi200


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidello sviluppo. Dopo aver evidenziato le reciproche relazioni tra le quattro analisi, Coda associa a ciascunodi essi indicatori tipici a cui far riferimento, senza per questo avere la presunzione di stilarne un elencocomplessivo (Coda 1990). Caramiello (1984) raggruppa invece gli indicatori in: indici relativi all’analisi diredditività; indici per l’analisi della struttura patrimoniale a “non breve”; indici relativi alla strutturapatrimoniale “a breve”. Di seguito sono presentati alcuni dei più significativi indici.1.5.1 Gli equilibri di redditivitàLa capacità remunerativa rappresenta il punto cardine per il raggiungimento dell’equilibrio economico.L’analisi di tale capacità viene tipicamente svolta attraverso l’analisi degli indici di bilancio. Gli indicatorimaggiormente adottati sono: il ROE (Return On Equity) e le sue scomposizioni, per l’esamedell’economicità complessiva; il ROI (Return On Investiment) e sue le scomposizioni, per l’economicitàoperativa.ROE = UN/CNDove: UN = Utile NettoCN = Capitale NettoQuesto indice misura, quindi, la remunerazione spettante ai portatori di capitale proprio che viene peròraffrontato non sul loro investimento (costo di acquisto della loro partecipazione), ma sul valore risultantedal bilancio rettificato dell’impresa. E’ il saggio di remunerazione del capitale netto. In merito si sottolinea:“un determinato livello di ROE può dirsi a tutti gli effetti soddisfacente, cioè valido indicatoredell’economicità della gestione, qualora sia stato ottenuto dopo avere remunerato in modo congruo i diversiportatori di interessi economici” (Airoldi, Brunetti e Coda 1989).Per superare la sinteticità del ROE e individuare le cause determinanti della redditività, è possibilescomporre l’indice. I principali metodi seguiti sono: la formula Du Pont (scomposizione moltiplicativa); laformula Modiglioni Miller (scomposizione additiva).Il primo schema suddivide il ROE nel seguente modo:Dove: ROI = MON/Attività Operative;IGE = Utile Netto/MON;Leverage = Attività Operative/ Capitale NettoROE = ROI * IGE * LeverageLa determinazione del valore del ROI può impiegare esclusivamente valori contabili o valori rettificati(Pisoni e Puddu, 1987). Nel primo caso si ottiene:ROI = MON non rettificato/ Capitale investito nella gestione tipicaAl fine di rendere più omogenei gli elementi del rapporto e di fornire un’informazione più esatta, sipossono - correggendo i valori a numeratore o a denominatore - considerare gli effetti degli oneri impliciti.Modificando il denominatore occorre sottrarre al capitale investito nella gestione tipica tutti i valori chedeterminano oneri finanziari impliciti (ad esempio debiti verso fornitori).Si ottiene così:ROI = MON non rettificato/ (Capitale investito nella gestione tipica – Debiti che “contengono” onerifinanziari impliciti).Nel caso si rettifichi il numeratore occorre separare i costi operativi dagli oneri finanziari impliciti. Contale separazione, difficilmente operabile da un analista esterno, si ottiene:ROI = MON rettificato/ Capitale investito nella gestione tipicaIl secondo indice che compone la formula Du Pont misura l’incidenza degli oneri e proventiappartenenti alla gestione extra-caratteristica (area finanziaria, straordinaria e tributaria). La qualità201


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidell’informazione ottenuta è tuttavia non essendo separati i contributi delle singole aree. Il Leverage, infine,indica l’influenza esercitata dalla struttura finanziaria sulla redditività. In realtà, visto il legame inversoesistente tra Leverage e IGE, le relazioni tra questo rapporto e il ROE non sono chiare nella formulamoltiplicativa. Un eventuale incremento dell’indebitamento, infatti, determina, da un lato, l’incremento delLeverage e, dall’altro, una diminuzione del valore dell’IGE: gli effetti dell’incremento dell’indebitamentohanno, quindi, effetti contrastanti sul ROE.Scomposizione del ROE attraverso la “formula additiva”. Lo schema è stato proposto da Modigliani-Miller (1958) ma contributi in merito erano stati anticipati Williams (1938) e Duran (1952) e sono stati messia punto da Contas (1968), Cohen e Robbins (1966), Solomon (1967).Tra le più classiche versioni si ricorda:Rn / Cn = [Ro / Ci + (Ro / Ci – OF / Ct) Ct / Cn] Rn / R’nDove: Rn = Reddito netto;Cn = Capitale netto;Ro = Reddito operativo;Ci = Capitale investito;OF = Oneri finanziari;Ct = Capitale di terzi;Rn = Reddito prima degli oneri fiscali e delle sopravvenienze e insussistenzeL’approccio seguito consente di individuare l’apporto della leva finanziaria,(Ro/Ci – OF/Ct)*Ct / Cn,alla redditività: per differenziali positivi tra redditività operativa e costo del debito, un incremento delrapporto di indebitamento contribuisce positivamente all’economicità totale.Nel tempo la dottrina ha elaborato numerose varianti alla versione originale. Una possibileraffigurazione “estesa” della formula Modigliani-Miller è proposta da Giunta (1999):ROE = [ROI + (ROI – RODfin)*Dfin/CN + (ROI – RODcom)*Dcom/CN – (ROI – ROFA)*AF/CN]* RNai/RO * RN/RNaiDove RODfin = Oneri Finanziari espliciti/ Debiti Finanziari (Dfin)RODcom = Oneri impliciti/ Debiti a onerosità implicita (Dcom)ROFA = Proventi finanziari/ Attività finanziarie (AF)RNai = Reddito netto ante imposteLa formula evidenzia sia un doppio effetto leva (finanziaria e commerciale ), sia il contributo delle areedi gestione extra-caratteristica (area finanziaria, straordinaria e tributaria).Il calcolo della leva finanziaria:(ROI – RODfin)*Dfin/CN,si differenzia dalla soluzione precedente richiedendo l’individuazione dei soli debiti che generano onerifinanziari espliciti.La leva commerciale,(ROI – RODcom)*Dcom/CNmostra il contributo offerto alla redditività aziendale dall’indebitamento commerciale.La differenza tra il ROI e il costo delle passività di funzionamento mette in evidenza la capacitàdell’impresa di ottenere una remunerazione reinvestendo le risorse finanziarie offerte in modo indiretto daifornitori. Il contributo dell’area finanziaria,202


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei– (ROI – ROFA) *AF/CN,evidenzia il divario esistente tra redditività operativa e remunerazione delle attività finanziarie. Nel casosia positivo, l’investimento in attività finanziarie rappresenta un costo opportunità poiché l’impresa distogliecapitali dalla più redditizia attività operativa. Nel caso in cui il rendimento delle attività finanziarie siasuperiore a quello delle attività operative è evidente che l’impresa sta distruggendo ricchezza invece dicrearne.L’analisi della economicità operativa permette di comprendere in maniera più approfondita ilfondamentale apporto dell’attività principale dell’impresa allo sviluppo della capacità remunerativa e, diconseguenza, al raggiungimento dell’equilibrio economico. L’ analisi più appropriata prevede ladeterminazione del ROI e la sua scomposizione:ROI = ROS*TurnoverDove: ROS (Return On Sale) = Margine Operativo Netto/Fatturato;Turnover = Fatturato /Attività OperativeUna delle prime analisi del ROI nelle due suddette componenti è svolta da Jerome come ulteriorescomposizione della Du Pont. Impiegando la scomposizione del ROI è possibile comprendere che laredditività operativa deriva dal margine di guadagno su ogni ciclo di acquisto-produzione-vendita (ROS) edal numero di cicli effettuati (Turnover o rotazione del capitale investito). In merito al secondo rapporto,considerato come segnale di efficienza, Coda afferma: “E’ interessante osservare che “il tasso di rigiro degliinvestimenti netti” esprime la relazione tra una “dimensione operativa” dell’azienda (espressa dal fatturato alnumeratore) e una “dimensione strutturale” (espressa dagli investimenti netti posti al denominatore). Essoperciò, se posto in relazioni con opportuni termini di confronto (dati di anni precedenti, obiettivi di budget,dati di concorrenti), segnala la presenza eventuale di squilibri tra volume dell’attività svoltasi nell’esercizio edimensioni strutturali” (Coda, 1984, p. 47).1.5.2 Gli equilibri di liquiditàPer esprimere un giudizio sull’equilibrio finanziario attraverso l’analisi di bilancio si ricorre al calcolodi indicatori riguardanti la situazione di liquidità e solidità patrimoniale. L’esame della condizione diliquidità viene tradizionalmente effettuato impiegando svariati indicatori sintetici. I principali sono ilCapitale Circolante Netto (CCN) e il Margine di Tesoreria (MT).CCN = AC– PCMT = Liquidità immediate e differite – PCDove: AC (Attività correnti) = liquidità + crediti commerciali + crediti finanziari + rimanenzePC (Passività correnti) = debiti finanziari e commercialiLiquidità immediate e differite = liquidità + crediti commerciali e finanziariI due indicatori sono evidentemente calcolati per mezzo di differenze. In sostituzione dei marginipotrebbero essere impiegati dei rapporti. Si otterrebbero così due indici:Current Ratio = Attività correnti / Passività correntiQuick Ratio = (Liquidità immediate + Liquidità differite)/ Passività correntiTuttavia, Russo, sembra preferibile impiegare i margini poiché “in caso di squilibrio tra i due valori,consentono di apprezzare l’ordine di grandezza del divario da colmare per ripristinare una condizionegiudicata fisiologica” (Russo, 1994, p. 209).L’importanza del CCN è stata evidenziata dalla dottrina già nei primi anni ’60 da Weston: “Si dovràesprimere un giudizio sfavorevole non solo su imprese che hanno capitale circolante negativo, ma anche suquelle che, pur avendolo positivo, non lo abbiano dilatato sufficientemente in modo da fondare ilfinanziamento di impieghi poco elastici su fonti di finanziamento stabili”(1962, p. 262). Si verifica unasituazione di liquidità nel caso di margini positivi: passività a breve maggiori delle attività indicano che parte203


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidegli investimenti a lungo termine sono finanziati con fonti a breve. Questo rappresenta una situazione disquilibrio in quanto i debiti a breve hanno una scadenza nettamente inferiore al tempo di reintegro delleimmobilizzazioni. È comunque opportuno sottolineare alcuni limiti dei precedenti indicatori. Innanzitutto ivalori dell’attivo e del passivo corrente, non considerando le entrate e le uscite derivanti da operazioni digestione futura, esprimono solo una parte dei futuri flussi di entrate e uscite nel breve termine. I margini,inoltre, non considerano adeguatamente l’aspetto temporale di liquidità. L’arco temporale di confronto, ilbreve termine (convenzionalmente considerato pari a un anno), risulta troppo esteso per garantire lasolvibilità istante dopo istante.Infine appare rilevante la suddivisione tra debiti e crediti finanziari e commerciali può risultare utile perl’individuazione del cosiddetto Capitale Circolante Netto Commerciale (CCNop) e del Capitale CircolanteNetto Finanziario (CCNfin):CCNop = rimanenze + crediti commerciali – debiti commercialiCCNfin = liquidità + crediti finanziari – debiti finanziari.Il primo è formato da elementi che derivano dall’attività corrente dell’impresa. A causa del continuoripetersi del ciclo operativo, scorte e crediti commerciali vengono continuamente rinnovate determinando unfabbisogno finanziario durevole. Il rinnovamento continuo dei debiti commerciali genera, invece, deifinanziamenti stabili. Valori positivi del CCNop indicano i fabbisogni finanziari generati dalla gestionecaratteristica corrente da coprire. Gli elementi del CCNfin rappresentano delle riserve di liquiditàprontamente smobilizzabili per far fronte ad impegni di pagamento nel breve termine e risultano idonee acoprire le evoluzioni del fabbisogno finanziario corrente.1.5.3 Gli equilibri di soliditàUna più completa analisi dell’equilibrio economico-finanziario richiede un approfondimento dellecondizioni di solidità aziendale intesa come l’attitudine a resistere alle erosioni di patrimonio derivanti dallagestione e da altre circostanze. A tale scopo alcuni degli indicatori maggiormente sono: l’indice di autonomiafinanziaria, il margine di struttura e l’indice di incidenza degli oneri finanziari sul fatturato.Indice di autonomia finanziaria = CN/ Capitale investito totaleDove: CN (Capitale proprio) = Capitale sociale + riserve + utili non distribuiti – perdite accumulateL’indice esprime la misura in cui l’impresa ricorre al finanziamento esterno. Valori poco elevati,generalmente inferiori al 30%, indicano una situazione di sottocapitalizzazione con rischi di perditadell’indipendenza finanziaria. Informazioni analoghe possono essere ricavate dall’indice di indebitamento(rapporto tra mezzi di terzi e capitale investito). Bergamin Barbato evidenzia in merito: “Il rapporto diindebitamento (..) esprime il grado di dipendenza finanziario. (..) Quanto più elevato risulta il rapporto,minore è la garanzia offerta ai creditori di essere presto o tardi rimborsati, mentre maggiori sono sia ladipendenza dell’azienda dai terzi finanziatori che il rischio finanziario, cioè l’eventualità di non essere ingrado di soddisfare le attese dei finanziatori (rimborso dei prestiti e pagamento delle remunerazioni fisse adate prestabilite)” (Barbato, 1974, p. 3). Come si può osservare dalle relazioni sottostanti, l’indice diautonomia finanziaria è strettamente collegato al concetto di Leverage. Il Leverage fornisce informazioni sulgrado di indebitamento dell’impresa e può essere calcolato in due diverse modalità (L1 e L2)Leverage = L1 =Attivo/CNLeverage = L2 = Passivo/CNEssendo valida la relazione Attivo = Passivo + Capitale Netto, si possono mettere in relazione le duetipologie di leverage e l’indice di autonomia finanziaria.L1= Attivo/CN = (Passivo + CN)/CN = CN/CN + P/CN = 1+ L2204


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIndice autonomia finanziaria = CN/A = 1/ L1 = 1/(1+ L2)Il margine di struttura è così determinato:Margine struttura = CN – Immobilizzazioni tecniche netteL’indicatore mostra la misura in cui il capitale apportato dai proprietari finanzia la struttura tecnicadell’impresa. Un valore inferiore all’unità indica generalmente può comportare difficoltà a rimborsare idebiti contratti. L’importanza di tale indicatore è ben nota dottrina. Occhipinti afferma: “Il controllodell’investimento in immobilizzazioni tecniche è ineccepibilmente di notevole importanza, sia perchéinteressa una condizione della capacità di reddito della gestione, sia perché, normalmente ingente capitalein immobilizzazioni tecniche ha come contropartita l’insufficienza di capitale circolante”(1979, p. 27).L’ultimo indice evidenzia la quota di vendite destinata alla remunerazione del capitale di terzi:Incidenza oneri finanziari sul fatturato = Oneri finanziari/ FatturatoPer valori elevati il livello degli oneri finanziari (OF) può rendere inadeguata o negativa la redditivitàdel capitale, incrementando di conseguenza il rischio finanziario dell’impresa.Un approfondimento dell’indice è fornito da Brunetti:Incidenza oneri finanziari sul fatturato = (OF/ CT)*(CT/Fatturato)Il valore assunto dall’indice dipende quindi dal ROD (OF/CT), il costo medio del capitale preso aprestito e dall’incidenza di tale capitale sul fatturato. E’ da notare che fino a quando il secondo terminerisulta inferiore a uno, svolge un’azione frenante sull’incidenza degli oneri finanziari. Nel caso che i debitifinanziari superino il valore dei ricavi sorge una situazione pericolosa:l’incidenza degli oneri sul fatturatodiventa superiore al costo dell’indebitamento. Tale situazione è tipica delle imprese dissestate: il secondotermine è definito “punto di non ritorno” per esprimere l’idea che, superata la soglia dell’unità, diventa moltocomplicato per l’impresa risollevarsi autonomamente.Brunetti scompone ulteriormente l’indice di incidenza degli oneri finanziari:Incidenza oneri finanziari sul fatturato = (OF/ CT)*(CT/CN)*(CN/Fatt)Secondo l’autore «Questo cambiamento permette di comprendere come il punto del non ritorno e quindil’incidenza degli oneri finanziari sui ricavi di vendita, siano funzione del rapporto di indebitamento verso ifinanziatori istituzionali e del volume di ricavi che si è in grado di conseguire. Il terzo indicatore è, infatti,una misura sintetica del volume dell’attività svolta o della potenzialità di lavoro che un’impresa riesce adottenere con l’investimento del suo capitale proprio … Risulta allora facile rendersi conto del perchéun’azienda altamente indebitata e che presenta, in genere, da molto tempo rilevanti problemi di redditività,quando subisce una drastica riduzione del volume dell’attività in termini di ricavi, si incamminainevitabilmente lungo una strada dalla quale risulta impossibile fare ritorn»o” (1974, p. 70).1.5.4 Gli equilibri di sviluppoUn esempio per comprendere gli equilibri economico finanziari e lo sviluppo di impresa è quello delconfronto tra la redditività e la crescita massima sostenibile che in termini analitici può essere rappresentatacon una retta di fattibilità finanziaria. In merito al tasso di crescita ed alla redditività, può essere il casod’accennare il metodo di valutazione delle scelte di sviluppo basato sull’analisi della fattibilità finanziaria.Analiticamente, sia g A il tasso di crescita del capitale investito nella SBU “A”, dove,g A = ∆A / A 0 = A 1 - A 0 / A 0 ,con: A = attivo;A 0 = attivo al tempo iniziale;A 1 = attivo al tempo t 1 .E siano, inoltre: l’ = A/N = il tasso d’indebitamentol’’ = P/N = il tasso di dipendenza finanziaria.205


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiNotiamo, infine, che: l’ = (l’’ + 1).Osserviamo che:∆ l’ = ∆ l’’è, la variazione del tasso d’indebitamento è uguale alla variazione del tasso di dipendenza finanziaria.Concentriamoci, adesso, su ∆A:Se A = P + N, allora: ∆A = ∆P + ∆N;inoltre, se l’ = A/N, allora: A = (l’⋅ N),da cui:∆A = ∆l’⋅ ∆N = ∆ (l’⋅ N) == [(N 1 ⋅ l’ ) − (N 0 ⋅ l’ 0 )] =[( N 0 + ∆N) ⋅ (l’ 0 + ∆l’) – (N 0 ⋅ l’ 0 )] == N 0 ⋅ l’ 0 + N 0 ⋅ ∆l’ + ∆N⋅ l’ 0 + ∆N⋅∆l’- N 0 ⋅ l’ 0 ==[ ∆N⋅ l’ 0 + ∆l’(N 0 + ∆N)] = ∆N⋅ l’ 0 + ∆l’⋅ N 1In questo modo, abbiamo ottenuto la variazione dell’attivo, tramite il prodotto del leverage e dellavariazione del netto, sommato al prodotto della variazione del leverage e del netto. A questo punto, possiamoscrivere che:g A = (∆A / A 0 ) = (∆N⋅ l’ 0 + ∆l’⋅ N 1 ) / A 0 = [∆N⋅ l’ 0 + ∆l’(N 0 + ∆N)] / N 0 ⋅ l’ 0 == ∆N / N 0 + ∆l’ / l’ 0 ⋅ (1 + ∆N / N 0 )dove: ∆N / N 0 = tasso di incremento, in percentuale, del capitale netto e si indica con “n”;∆l’ / l’ 0 = tasso di incremento, in percentuale, del leverage, e si indica con δ l’.Possiamo, dunque, riscrivere la formula del tasso di crescita dell’attivo nella seguente forma piùsintetica:g A = n + δl’(1 + n) = n + δl’ + nδl’= n(1 + δl’) + δl’Quest’ultima formula indica che: l’aumento delle attività è direttamente proporzionale all’aumento delnetto sommato all’aumento del leverage.Facciamo adesso un passo avanti e consideriamo la fattibilità finanziaria in termini diautofinanziamento.Sia: C = S = capitale investito;R = reddito;D = dividendo esia la variazione del netto espressa dalla seguente somma algebrica:∆N = R – D + CEsprimendo l’autofinanziamento (AU) come: AU = R – D, allora, si ha che: ∆N = AU + C.Riprendiamo la formula che esprime l’incremento del capitale investito, cioè:ed introduciamoci le nuove scritture del ∆N:g A = (∆A / A 0 ) = ∆N / N 0 + ∆l’ / l’ 0 ⋅ (1 + ∆N / N 0 )g A = (AU + C)/ N 0 + ∆l’ / l’ 0 ⋅(1 + (AU + C)/ N 0 )Ponendo ora:AU/ N 0 = a, ad indicare il tasso di autofinanziamento, ossia l’incremento del capitale netto dovuto adautofinanziamento (saggio di autofinanziamento del capitale proprio);C/ N 0 = c, ad indicare l’incremento unitario di capitale netto dovuto a conferimento,si ottiene:g A = a + c + δl( 1 + a + c) == a(1 + δl) + c(1 + δl) + δl206


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidove: (1 + δl) rappresenta il fattore moltiplicativo che amplifica l’effetto degli investimenti iniziali e,quindi: per ogni lira investita, la variazione corrispondente, indotta nell’attivo secondo tale formula, è data da1⋅(1+ δl).Data l’equazione che esprime il tasso d’incremento del capitale investito (g A ), cerchiamo di collegarlaal tasso di redditività dello stesso, ossia al ROI, introducendo, a tale scopo, alcune ipotesi semplificatrici:prima di tutto, che il ROI non vada ad incidere sull’aumento di capitale conferito a titolo di capitale proprio(c), anche se sappiamo che: ROE = ROI + (ROI – i)⋅qi; inoltre, che il ROI non incida neanche su δl, anchese, in realtà, il ROI, nella formula sopra ricordata, è moltiplicato per qi. In altre parole, supponiamo diconsiderare c e δl come dati esogeni.Al fine di ottenere la funzione di g A in termini di ROI, definiamo quest’ultimo indice come la somma ditutti i margini reddituali che vengono apportati al corporate dai vari business. Inoltre, consideriamo ilreddito in modo semplificato, ossia dato dalla sola somma algebrica del reddito netto, degli oneri finanziari edelle imposte.L’autofinanziamento come la differenza tra il reddito ed i dividendi, allora, alla luce della nuova formad’espressione del reddito, possiamo scrivere:AU = (RO – Of – I) – Ddove: RO = reddito operativo;Of =oneri finanziari;I =imposte;D =dividendi.= (RN – D), da cui: D = RN⋅ ddove d rappresenta i dividendi espressi come congrua percentuale alla remunerazione del capitale dirischio.AU = RN – (RN⋅ d) = RN(1 – d)Allo stesso modo dei dividendi possiamo scomporre le imposte, ossia:I = t(RO – Of)dove t = aliquota fiscale.Con quest’ultima scomposizione otteniamo:RN = RO – Of – t(RO – Of) = [RO(1 – t) – Of(1 – t)] = (1 – t)(RO – Of)E, sostituendo il tutto nell’equazione dell’autofinanziamento, si ha:AU = [(RO – Of)(1 – t)⋅ (1 – d)]Infine, scomponendo Of in: Of =(i⋅P), otteniamo:AU = [(RO – i⋅P)(1 – t)⋅ (1 – d)]Dividendo ambo i membri per A = N ⋅ l’ e, moltiplicando per l’, si ottiene:(AU ⋅ l’ / N⋅ l’) =[ l’(RO - i⋅P)/ N ⋅ l’] ⋅ (1 – t) ⋅ (1 – d)Effettuando le dovute semplificazioni otteniamo:AU/N =[(l’⋅RO/N⋅l’) – (l’⋅i⋅P/N⋅l’)] ⋅(1 – t) ⋅(1 –d)Dove: RO/N⋅l’ = RO/A = ROIP/N = l’’AU/N = aQuindi:a = (l’⋅ ROI - i⋅l’’) ⋅(1 – t) ⋅(1 – d)Questa formula indica il tasso d’incremento netto dell’attivo dovuto ad autofinanziamento.L’ultimo passaggio, che ci consentirà d’esprimere g A in funzione del ROI, implica inserire per esteso anella funzione g A , ossia:g A = a(1 + δl) + c(1 + δl) + δl=207


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei= (ROI⋅(1 + l’’ 9 ) - i⋅l’’) ⋅(1 – t) ⋅(1 – d) ⋅ (1 + δl) + c(1 + δl) + δlA questo punto esplicitiamo il ROI:g A = {[ROI⋅(1 + l’’)⋅(1 – t) ⋅(1 – d) ⋅ (1 + δl)] - [i⋅l’’⋅(1 – t) ⋅(1 – d) ⋅ (1 + δl)] + c(1 + δl) + δl}dove: ROI = variabile indipendente;[(1 + l’’) ⋅(1 – t) ⋅(1 – d) ⋅ (1 + δl)] = α = coefficiente angolare della retta di fattibilità finanziaria;[- i⋅l’’⋅(1 – t) ⋅(1 – d) ⋅ (1 + δl) + c(1 + δl) + δl] = β =intercetta all’origine della medesima retta(costituisce il termine noto della funzione).Riassumendo:g A = ROI⋅α⋅βDove: se g A >ROI, allora ci troviamo nella zona di non fattibilità finanziaria, in quanto non esistonorisorse sufficienti per poter sostenere la crescita proposta dalla SBU; mentre, se: g A < ROI, allora siamo inuna zona di fattibilità finanziaria, in quanto le risorse allocate a quella SBU sono sufficienti a sostenerne lacrescita.Un’ultima riflessione ci conduce alla considerazione del seguente rapporto:COEFFICIENTE <strong>DI</strong> ATTRATTIVITÀ ALLOCATIVA = (P 1 ⋅ ROI sbu ) / (P 2 ⋅ g A sbu )dove: P 1 e P 2 rappresentano dei coefficienti che possiamo far variare a seconda che si vogliaprivilegiare, quale criterio allocativo, la redditività o la crescita.1.5 L’interpretazione per leve e sensitivitàL’interpretazione per indici del bilancio d’esercizio rappresenta una «fotografia» della situazioneeconomica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa ad un dato momento. Tale “istantanea” sintetizza tutti ifenomeni economici e finanziari prodotti dalla complessiva attività dell’impresa. Rappresenta perciò unaimportante fonte di informazioni per tutti coloro che sono interessati all’andamento aziendale (banche,fornitori, concorrenti, management,…). Le interpretazione di bilancio sono un complesso di elaborazionisvolte su tale documento al fine di valutare, sotto vari punti di vista, lo «stato di salute» dell’impresa. Iprincipali metodi di interpretazione sono riconducibili a tre categorie: i ) tecniche di interpretazione perindici basate su rapporti fra grandezze aziendali; ii ) tecniche di interpretazione per flussi che studiano levariazioni che intervengono in alcune grandezze aziendali per individuare le cause; iii) tecniche disimulazione che tentano di immaginare come potrebbe modificarsi la situazione aziendale di fronte acambiamenti negli scenari competitivi o in alcuni singoli elementi.In seguito viene analizzata una particolare tecnica di simulazione denominata interpretazione disensitività. L’obiettivo di fondo di tale metodologia è valutare l’impatto esercitato su una certa grandezza diinteresse (per esempio il risultato di esercizio, il ROE, o il flusso di cassa) da una variazione di una delle suedeterminanti (per esempio i costi delle materie, il costo del lavoro o i volumi di vendita). La misura della“variazione indotta” è un coefficiente di elasticità, e costituisce un’applicazione del calcolo differenziale. Intermini formali, indicando con y la grandezza aziendale di interesse e con x una sua determinante è possibiledefinire l’elasticità (o sensibilità ) di y rispetto ad x come segue:Il coefficiente di sensibilità è dunque costituito dal prodotto fra la derivata di y rispetto ad x ed un fattorecorrettivo costituito dal rapporto fra il valori iniziali di x e di y 10 . Alcune osservazioni risultano opportune.9 Questa scrittura è stata possibile giacché l’ = (1+ l’’).∂yxsd= ⋅∂xy∂y∆ycon = lim∂x∆x→0∆x208


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiQuesto tipo di interpretazione presuppone un modello (matematico e/o probabilistico) che espliciti larelazione fra la grandezza oggetto di studio e le sue determinanti. I coefficienti di sensibilità sono numeripuri cioè privi di dimensione logica, che non risentono quindi dell’unità di misura adottata. Lo studio dellasensitività non rappresenta una tecnica di interpretazione del rischio. Esaminando, ad esempio, l’effetto dellavariazione del 10% nei costi degli impianti, è possibile definire la sensibilità del flusso di cassa a talevariazione, ma non il rischio connesso ad un possibile cambiamento dei costi. Per analizzare tale rischio,∂yx x xs d = ⋅ = 1⋅=∂xy y yoccorre invece riflettere sulla possibile entità delle variazioni dei costi degli impianti rispetto alle aspettativeiniziali e sulla frequenza di tali variazioni. La sensitività è sostanzialmente un indice di reattività. Da ciòdiscende che i valori assunti dai coefficienti di elasticità vengono ordinati in base ai valori assoluti e non aivalori algebrici. Così, una sensitività pari a –2 è maggiore di una sensitività pari a –1, anche sealgebricamente sarebbe vero il contrario. In alcuni casi, quando la relazione fra le variabili del modello èlineare (cfr § 3), il calcolo dei coefficienti di sensitività risulta agevolato. In effetti, in tali situazioni il valoredella derivata parziale è pari a 1 o a –1, a seconda del segno della relazione. Da ciò deriva che, in tale ipotesi,è possibile determinare i coefficienti di elasticità dividendo il valore della variabile indipendente per il valoredel parametro di interesse. In simboli:Nell’interpretazione dei risultati ottenuti attraverso tale tecnica occorre comunque fare attenzione. Unlimite di tale interpretazione è infatti quello di non considerare le relazioni che esistono fra i diversi fattoriche influenzano il risultato di interesse. La variazione indotta sulla grandezza di interesse è calcolataipotizzando che sola una delle sue determinanti si modifichi, mentre tutte le altre restano invariate. In altritermini, viene condotta un’interpretazione separata delle singole variabili, che conferisce semplicità alleelaborazioni, ma ne riduce parte del valore. L’incertezza infatti agisce simultaneamente su tutti i fattori chedeterminano la grandezza di interesse, perciò l’esame delle possibili deviazioni dalle ipotesi base dovrebbeavvenire in forma congiunta (potrebbe, ad esempio, non essere corretto considerare gli effetti di un aumentodella dimensione del mercato, considerandolo come evento a se stante. Se le dimensioni del mercatosuperano le aspettative, è probabile che anche la domanda sia maggiore rispetto a quanto previsto, e che iprezzi unitari aumentino. E ancora, potrebbe essere inadeguato analizzare come evento isolato gli effetticausati da un aumento del prezzo. Se l’inflazione causa un aumento dei prezzi è razionale supporre cheanche i costi aumentino). I risultati ottenuti non devono essere considerati come verità assoluta ma come unaapprossimazione del vero risultato.Ciò nonostante, l’interpretazione di sensitività ha una forte importanza strategica in quanto fornisce unaidea (anche se approssimata) di quello che accadrebbe in presenza di cambiamenti nelle condizioni in cuiopera l’impresa.L’utilità di una simile interpretazione è duplice: fornisce un’indicazione della solidità dei risultatiaziendali; fornisce importanti indicazioni di carattere strategico. Fornisce un’indicazione della solidità deirisultati aziendali di fronte a cambiamenti di fattori su cui l’impresa non può intervenire. Un’eccessivasensibilità del risultato di esercizio dal tasso di interesse ad esempio, può rappresentare un punto didebolezza da cui occorre tutelarsi. Una variazione imprevista nei tassi praticati all’impresa potrebbe erodereanche interamente i buoni risultati ottenuti in altre aree. Fornisce importanti indicazioni di caratterestrategico sui risultati che potrebbero essere ottenuti manipolando le leve su cui l’impresa può agire.Potrebbe ad esempio, essere interessante valutare l’effetto che ha sulla liquidità una modifica dei tempi dipagamento concessi dai fornitori o di quelli offerti ai clienti. Allo stesso modo, potrebbe essere stimatol’effetto sul reddito di esercizio prodotto da ipotetiche riduzioni di costi nelle diverse aree in modo daindividuare quella più influente.1.6.1 La natura strategica dell’interpretazione di sensitività10 Il ragionamento che sta dietro tale risultato è il seguente. Per determinare la relazione fra le due grandezze vienecalcolato il rapporto tra la variazione relativa della variabile y e la variazione relativa della variabile x:∆y∆x∆yxsd = ÷ = ⋅y x ∆xyConsiderando variazioni infinitesime e richiamando alla mente la nozione di derivata, la precedente espressione diventaquella indicata nel testo. Da notare come siano considerate le variazioni relative e non quelle assolute in modo darendere indipendente il risultato ottenuto dall’unità di misura adottata.209


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl concetto alla base dell’interpretazione di sensitività è la nozione di «leva». Tale concetto, preso aprestito dalla Fisica, è il risultato finale della contrapposizione fra forze tra loro contrastanti 11 e può essereimpiegato per misurare l’effetto esercitato su una grandezza aziendale dalla variazione di una delle suedeterminanti. Includendo fra le determinanti le leve strategiche che possono essere manovrate dall’impresa,l’interpretazione di sensitività diventa un importante strumento di diagnosi ed indirizzo.Le principali leve possono essere ricondotte alle seguenti tipologie: le leve «reddituali»; le leve«finanziarie»; le leve «gestionali». Le leve reddituali mettono fra loro in relazione opportuni flussieconomici (costi, ricavi,..) al fine di individuare le principali determinanti del reddito aziendale (Caramiello,pag. 383 e ss., Golinelli, pag.73 e ss.). Le leve finanziarie mettono invece in relazione significativi indicatoridi redditività e di onerosità. A differenza delle leve reddituali, quelle finanziarie analizzano le relazioni fraflussi economici e corrispondenti stock di capitale. La filosofia di fondo consiste nel verificare la capacitàdell’impresa di ottenere dai propri investimenti una redditività superiore al costo della raccolta dei capitalinecessari per realizzare tali investimenti (ad esempio la cosiddetta «leva finanziaria», si veda Ferrero Finanzaaziendale e Il controllo finanziario nelle imprese). Le «leve gestionali» collegano indicatori di performanceeconomico-finanziaria con parametri di «performance gestionale». In particolare, all’interno dell’ultimatipologia rientrano vari tipi di misure. Le misure di tempo che fanno riferimento ai tempi necessari persvolgere alcuni processi quali ad esempio il processo di sviluppo del prodotto, il tempo di produzione, iltempo di approvvigionamento delle materie prime, ecc. Le misure di produttività, calcolate come rapportofra l’output di una certa attività e l’input necessario per realizzarla. Un esempio è dato dalla produttività dellavoro calcolata come rapporto fra volume della produzione e numero di addetti che l’hanno realizzata. Lemisure di qualità volte a misurare sia la qualità del prodotto/servizio offerto dall’azienda, sia l’entità deglisprechi e delle inefficienze legate ai processi aziendali. Il paragrafo successivo illustra un particolare caso diinterpretazione di sensitività. In seguito viene proposto un modello generale di interpretazione ed esempioapplicativo.1.6.2 Un particolare tipo di interpretazione della redditività: la leva operativaUn’applicazione “classica” dell’interpretazione di sensitività è legato allo studio della redditivitàoperativa. Per illustrare il contenuto di tale tecnica, è opportuno ricorrere ad un esempio. Nella seguentetabella è presentato un bilancio semplificato di due imprese. La situazione dell’attività corrente sembraessere apparentemente identica. Le aziende presentano infatti lo stesso volume di ricavi, di costi operativi equindi hanno lo stesso MON.11 Il principio della «leva» in Fisica è basato sull’equilibrio che si instaura tra due momenti di forze, il «momentoponente» ed il «momento resistente», come indicato nella seguente figura.Indicando con:a = "braccio"del momento resistentea12= "braccio"del momento potenteR = resistenza;Braccio ResistenzaResistenzaFulcro210PotenzaBraccio PotenzaP = potenzadalla relazione a 1 R=a 2 P è possibile notare come la potenza stia alla resistenza in ragione inversa ai rispettivi bracci. Nelcaso in cui a 1 =a 2 la leva non produce risparmio di energia per equilibrare la resistenza R. Nel caso in cui a 1 R e il meccanismo risulta vantaggioso. Nel caso opposto invece, P


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 9Impresa AlfaImpresa BetaRicavi netti (P×Q) 200 200Costi variabili (P×C V ) 140 75Margine di Contribuzione (MDC) 60 125Costi Fissi (C F ) 40 105Margine Operativo Netto (MON) 20 20In realtà, le imprese presentano una sostanziale differenza: la struttura dei costi operativi, ossia ildiverso peso dei «costi fissi» e dei «costi variabili». Tale diversità causa un diverso comportamento delMON in seguito ad una variazione del fatturato: la presenza di costi fissi infatti causa una maggiore reattivitàdel MON e perciò della redditività operativa, alle variazioni dei ricavi. La leva operativa rappresenta ilcoefficiente di elasticità che misura il grado di sensitività del risultato operativo alle variazioni delle vendite.Il punto di partenza per calcolare tale coefficiente consiste nell’esprimere il margine operativo netto (MON)come differenza fra i ricavi ed i costi fissi (CF) e i costi variabili (CV):MON=( P − C V ) × Q − C Fdove: C v indica i costi variabili unitari,p il prezzo di vendita,Q le quantità prodotte e vendute.A questo punto è possibile determinare il coefficiente di elasticità del MON rispetto a Q (in caso divariazione della quantità i costi fissi non cambiano, ipotizzando di rimanere nell’ambito di una certa capacitàproduttiva. Inoltre la variazione è stata considerata in valore non assoluto ma relativo rapportandola al valoredel MON):La leva operativa è determinata quindi come rapporto fra il Margine di contribuzione (MDC) e il MON;più alto è questo valore (dato un certo reddito operativo) maggiore è l’incidenza dei costi fissi sui costicomplessivi dell’impresa (perché ciò implica un basso livello di costi variabili e quindi un elevato margine dicontribuzione).La leva operativa così calcolata fornisce utili indicazioni circa: la vulnerabilità dell’equilibrio redditualee quindi il grado di rischio insito nell’assetto esistente; le potenzialità di miglioramento reddituale. Peranalizzare il primo aspetto è utile continuare l’esempio precedente, considerando le conseguenze di unadiminuzione delle vendite del 30%.Fig. 10s∂MONQ= ⋅∂QMON( P − C )v ⋅QMONMON ==MDCMONImpresa AlfaImpresa BetaI° <strong>II</strong>° I° <strong>II</strong>°Ricavi netti 200 140 200 140Costi variabili 140 98 75 52,5Margine di Contribuzione 60 42 125 87,5Costi Fissi 40 40 105 105MON 20 2 20 -17,5Leva operativa 3 6,25211


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiDall’esame della tabella risulta come le imprese siano caratterizzate, nella situazione di partenza (I°) daun diverso valore della leva operativa, e per tale motivo esse reagiscono in modo diverso ad una stessavariazione della domanda. Nella prima impresa l’incidenza dei costi variabili (sul complesso dei costi), èsuperiore a quella dei costi fissi, perciò al momento in cui si verifica la riduzione nella domanda, l’azienda èin grado di adeguarsi in una certa misura a tale calo, riducendo il consumo dei fattori produttivi variabili.Nell’altro caso invece, l’elevata incidenza dei costi fissi (che devono essere sostenuti anche al momento incui diminuiscono le vendite) impedisce all’impresa di adottare le contromisure necessarie ad evitare unaperdita. Naturalmente, nel caso opposto di aumento del mercato l’impresa Beta risulta favorita. In tale casoinfatti, i costi fissi unitari diminuiscono in quanto si ripartiscono fra una maggiore produzione. In generale,dunque la vulnerabilità dipende dalla prevalenza dei costi fissi o variabili. Il rischio determina inoltre laqualità dell’utile dell’impresa: in presenza di un alto rischio vi è infatti una bassa qualità del risultato diesercizio, in quanto estremamente sensibile ad eventuali contrazioni del mercato. In merito al secondoaspetto occorre sottolineare come la leva operativa rappresenti un valido aiuto nella formulazione di strategieindirizzate allo sfruttamento di un’eventuale capacità produttiva inutilizzata. In effetti, il valore della levapuò consentire di determinare gli effetti indotti da un incremento della quantità di produzione e di vendita equindi le potenzialità di sviluppo dell’impresa. Naturalmente una valutazione del genere dipendedall’andamento del mercato; un alto valore della leva operativa risulta buono in caso di un settore in pienosviluppo, mentre nel caso di un settore maturo o in declino è auspicabile un basso livello di leva operativa.Inoltre, il valore della leva potrebbe fornire utili indicazioni circa il ricorso all’indebitamento. Se laredditività operativa dell’impresa è caratterizzata da un alto grado di leva operativa il “pilastro” su cui poggiala redditività è piuttosto fragile. Infatti, anche piccole variazioni del fatturato possono determinare fortivariazioni del risultato operativo e quindi del ROI. Se a causa di tale diminuzione il ROI scende al di sottodel costo medio del capitale di terzi, l’effetto finanziario dell’indebitamento diventa negativo. Le scelte distruttura finanziaria sono dunque strettamente collegate al rischio operativo che caratterizza l’attività diproduzione e vendita dell’impresa. In particolare, la leva finanziaria può essere utilizzata soprattutto daquelle imprese che presentano un basso grado di leva operativa.1.6.3 L’interpretazione di sensitività: un approccio di carattere generaleIn generale, per realizzare un’interpretazione di sensitività occorre affrontare i seguenti aspetti:1. la scelta dei parametri di performance da monitorare;2. la selezione delle leve strategiche su cui il vertice può agire per modificare i parametri diperformance prescelti;3. la costruzione di un modello attraverso cui simulare il funzionamento dell’impresa;4. la stesura di un bilancio preventivo;5. il calcolo dei coefficienti di elasticità.Il primo passo consiste nella scelta di una grandezza aziendale ritenuta significativa ai finidell’interpretazione. In seguito, ad esempio, sarà utilizzato il flusso di cassa. Il secondo passo da compiere èla selezione delle più significative leve strategiche.Di seguito sono elencate alcune delle possibili leve,distinte in base all’area di appartenenza.212


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 11Leve gestione caratteristicaprezzo di vendita;dilazione media concessa ai clienti;tempo di giacenza dei prodotti finiti;dilazione media ottenuta dai fornitorivolume di vendita minima programmatastandard produttivo;prezzo medio di acquisto delle materie prime;costo orario della manodopera (diretta e indiretta);ore di presenza media del personale produttivo;ore di lavoro per prodotto;personale di marketing, di ricerca e sviluppo e «indiretto»;incidenza servizi esterni;quota di fatturato destinata alle attività di marketing.Leve gestione non caratteristicaNumero degli impiantiDebiti verso fornitori impiantiLeve gestione finanziariaestinzione dei finanziamenti esistentiAumento di fonti finanziarie esogeneTasso di interesse attivo sui crediti finanziari e sui c/c attiviTasso di interesse passivo sui debiti finanziari e sui c/c passiviAltre operazioni di gestione finanziariaIl momento successivo consiste nel riassumere la struttura aziendale in un modello di relazionimatematiche fra grandezze aziendali e leve strategiche. Tale modello è necessariamente una semplificazionedella realtà e può raggiungere il livello di complessità desiderato. L’ampia disponibilità di programmiinformatici facilita notevolmente tale tipo di interpretazione. In generale, la struttura aziendale può esserevista come un insieme di stock e di flussi. Le grandezze stock rappresentano la consistenza di determinatifattori in un dato istante di tempo. Le grandezze flusso invece misurano la variazione intervenuta negli stockin un certo arco temporale (coincidente generalmente con il periodo amministrativo). Il modello può alloraessere visto come un insieme di relazioni matematiche e/o probabilistiche che collegano le principaligrandezze stock e flusso con le leve strategiche. Una volta costruito il modello, la fase successiva èrappresentata dalla costruzione del bilancio preventivo basato su previsioni delle grandezze aziendali e delleleve strategiche.Infine, l’ultima tappa consiste nel compiere l’interpretazione di sensitività vera e propria con il calcolodei coefficienti di elasticità. Tali coefficienti misurano l’efficacia con cui le diverse leve sono in grado diindirizzare la gestione nella direzione voluta e permettono di individuare i punti di forza e/o di debolezzadella struttura aziendale, fornendo dunque preziose indicazioni strategiche.1.6.4 Un esempio di interpretazione di sensitivitàIn generale, l’interpretazione di sensitività deve essere considerata alla stregua di «vestito» da costruiresu misura dell’impresa analizzata. In seguito come esempio viene utilizzato come riferimento una ipoteticaimpresa di produzione monoprodotto. Per semplicità, viene considerata esclusivamente l’area operativa213


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicorrente dell’impresa ed inoltre viene ipotizzata l’assenza di imposte. Inoltre le stesse relazioni checostituiscono il modello di impresa sono estremamente semplificate. Di seguito sono illustrate le principalifasi che costituiscono l’interpretazione di sensitività: (1) la scelta del parametro di performance, (2) laselezione delle leve strategiche, (3) la definizione del modello, (4) la costruzione del bilancio preventivo, (5)la determinazione dei coefficienti di elasticità.La scelta del parametro di performance. Obiettivo dell’interpretazione è il flusso di cassa prodottodall’attività di gestione corrente:CFoperativo corrente= MOL − ∆CCNop+ ∆TfrL’area corrente è costituita da tutte le operazioni relative al ciclo di acquisto-produzione-venditarealizzato dall’impresa. Sono dunque le operazioni che consentono la realizzazione dell’attività cuore dellagestione. I principali elementi che costituiscono il flusso di cassa sono il Margine Operativo Lordo (MOL) ela variazione degli elementi del Capitale Circolante Netto Operativo (DCCN op ).Il MOL è dato dalla seguente espressione:MOL = Fatturato (F) - costi materie prime e servizi (CMPS) -Sotto il profilo economico, il MOL è una significativa misura della redditività dell’area caratteristicadell’impresa. La sua importanza deriva dal fatto che tale indicatore è calcolato al lordo degli accantonamentie degli ammortamenti. Di conseguenza, esso non è influenzato dalle politiche di bilancio realizzatedall’impresa, e può essere dunque proficuamente impiegato per confronti sia nel tempo che nello spazio.Sotto un profilo finanziario, il MOL può essere considerato come un indicatore “grezzo” del flusso di cassaprodotto dalla gestione caratteristica. In effetti, esso nasce dalla contrapposizione di quei costi e ricavioperativi che hanno diretta “manifestazione numeraria”. Da un lato sono dunque considerati i soli ricavi checomportano entrate di cassa, dall’altro sono considerati solo i costi quali le spese per materie prime, perservizi e per il personale, spese cioè che causano uscite monetarie. Non sono invece considerati fra i costi gliammortamenti e gli accantonamenti, ossia quei costi operativi che non hanno causato movimenti di cassa.Per tale ragione il MOL è in grado di esprimere l’entità approssimata dell’autofinanziamento o flusso dicassa generato dalla gestione operativa. Per ottenere una misura esatta occorre considerare anche lavariazione degli elementi del Capitale Circolante Netto Operativo quali: crediti verso clienti, rimanenze,debiti verso fornitori. Se l’impresa concede dilazioni di pagamento ai clienti, parte dei ricavi non generaimmediate entrate di cassa ma si trasforma in crediti. Per ottenere il flusso di cassa effettivo occorre allorasottrarre al MOL i crediti esistenti al termine dell’esercizio. Al contrario è necessario aggiungere il valore diquelli esistenti all’inizio in quanto comportano entrate nel corso del periodo amministrativo. Le rimanenze dimerci, prodotti finiti e semilavorati. Le rimanenze rappresentano il valore di una produzione (o comunque dimerci) che non sono state vendute nel corso dell’esercizio e che quindi non hanno generato movimenti dicassa. È necessario dunque togliere il valore delle rimanenze finali e aggiungere quello delle rimanenzeiniziali. I debiti verso i fornitori. Le dilazioni di pagamento ottenute dai propri fornitori consentono diritardare nel tempo le uscite di cassa. I debiti risultanti al termine dell’esercizio rappresentano dunque minoriuscite monetarie e devono perciò essere aggiunti al valore del MOL. Viceversa i debiti iniziali, che sarannoestinti nel corso del periodo amministrativo, devono essere sottratti. Sottraendo la variazione del CCNoperativo al MOL è possibile ottenere il flusso di cassa effettivo (al di là delle correzioni del TFR che inquesta sede non è presa in considerazione).Le leve strategicheLe leve a disposizione dell’impresa per influenzare il flusso di cassa sono:• gli investimenti in marketing (l);• il tempo di dilazione medio concesso ai clienti (t c ) ;• il tempo di dilazione media ottenuto dai fornitori (t d ) ;• il tempo di giacenza media di magazzino (t r ).spese personale(SP)Il modelloLe relazioni che descrivono in modo sintetico i legami fra leve strategiche e parametro di performancesono le seguenti. Come ricordato, il Margine Operativo Lordo è determinato dai seguenti componenti:214


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiMOL = F - CMPSSulla base dell’esperienza e delle informazioni disponibili, viene ipotizzata la seguente relazione frafatturato complessivo e investimenti in marketing:1000F =−λ×9(1 + 35 × edove l rappresenta la quota di investimenti in marketing (misurata in percentuale sul fatturato delprecedente esercizio) costituita sia da promozioni rivolte agli intermediari, investimenti in campagne dimarketing, in miglioramenti nei prodotti, ecc...La relazione, illustrata nella seguente figura, presuppone che inizialmente gli investimenti abbiano uneffetto più che proporzionale sul fatturato. Oltre un certo livello tendono però a creare effetti sempre minori,fino a stabilizzarsi su un tetto massimo di ricavi pari a circa 1000.- SP)1000Relazione fra Fatturato previsto ed Investimenti in Marketing900800700Fatturato previsto60050040030020010000 0.2 0.4 0.6 0.8 1Investimenti in MarketingI costi indicati con CMPS sono rappresentati dai costi per materie e servizi utilizzati nel processo diproduzione e vendita. La relazione ipotizzata che li lega al fatturato previsto è la seguente:CMPS= C ind −1+ λ F t+ αFLa componente C ind è costituita dai costi fissi ed è relativa ad esempio alle spese per il funzionamento emantenimento degli impianti, oppure a commesse preesistenti che l’impresa non ritiene vantaggiosocancellare anche in caso di un calo del mercato. Un altra fonte di costo è costituita dagli investimenti inmarketing (λF t-1 ). Infine vi è la parte variabile proporzionale al fatturato previsto rappresentata dagli acquistiin prodotti e servizi che l’impresa farà in funzione del volume di lavoro previsto (αF).Le spese per il personale sono costituite da una parte fissa (SP ind ) ed una parte variabile (αF) legata adesempio a contratti di lavoro a tempo determinato che possono essere non rinnovati. La parte variabile èipotizzata proporzionale al fatturato previsto:SP = SPind + βFLe componenti del Capitale Circolante Netto Operativo sono i crediti vs. clienti (CR), le rimanenze dimaterie prime e prodotti finiti (RIM) e i debiti verso fornitori (DEB):CCN OPERATIVO= CR + RIM− DEBPer determinare i valori di tali componenti occorre premettere che, in generale, il fabbisogno finanziariogenerato da una certa risorsa deriva da:• il flusso f degli esborsi compiuti, in un certo arco temporale, per acquistare la risorsa in questione;215


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei• il tempo t che misura la durata preventivata del ciclo finanziario della risorsa stessa (cioè la distanzatemporale fra esborso ed entrate corrispondenti). L’entità del fabbisogno finanziario dipende infattianche dal tempo necessario affinché inizino ad arrivare i primi ritorni finanziari, ossia dal tempomedio in cui la risorsa rimane investita nell’impresa.Dato un valore di f e un valore di t, il fabbisogno finanziario di ogni risorsa può essere determinatoattraverso la seguente relazione(Rullani, in Rispoli):F = f × t[] 1Sulla base della [1], la variazione nei crediti (∆CR) è costituita:∆CR= CRt− CRt-1= tc×fc− CRt-1dove t c rappresenta la dilazione media concessa ai clienti e f c il fatturato medio giornaliero (dato da F/gdove g sono i giorni lavorativi nell’anno).Il valore dei crediti al tempo t ossia l’immobilizzazione di risorse sostenute per concedere finanziamentiai clienti è costituito dunque dal valore giornaliero delle vendite (f c ) moltiplicato per la durata media in giornidi tale finanziamento. Il valore dei crediti relativi al precedente esercizio (CR t-1 ) è considerato come datofisso.Analogamente, la variazione dei debiti (∆DEB) risulta pari a:∆DEB= DEBt− DEBt-1= td×fd− DEBt-1dove t d rappresenta la dilazione media ottenuta dai fornitori e f d il valore medio degli acquisti dato daCMPS/g.Infine, la variazione delle rimanenze (∆RIM) è data da:∆RIM= RIMt− RIMt-1= tr×fd− RIMt-1dove t r rappresenta il tempo medio di giacenza di magazzino. Le rimanenze sono valutate al costo diacquisto.Il bilancio preventivoDopo aver costruito un modello che simula in modo semplificato il funzionamento dell’impresa, occorrefare delle previsioni (che possono essere anche obiettivi) principalmente sui valori delle «leve strategiche»:Fig. 12PrevisioniDati precedente esercizioMaterie e Servizi fisse 35 Crediti 20Materie e Servizi variabili 0.05 Debiti 35Spese personale fisse 26 Magazzino 20Spese personale variabili 0.02 Giorni lavorativi 100Inv. Marketing (λ) 0.3 Fatturato 230Durata Crediti (t c ) 35Durata Debiti (t d ) 25Giacenza Magazzino (t r ) 46Sulla base delle precedenti ipotesi il flusso di cassa previsto dell’area corrente risulta:216


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFlusso di tesoreria previstoFatturato 298Materie e Servizi 119Spese Personale 32MOL 147∆ Crediti 84∆ Magazzino 35∆ Debiti -5∆ CCN operativo 124∆ TFR 5Flusso Tesoreria 28I coefficienti di elasticitàPer determinare esplicitamente i coefficienti di elasticità occorre scrivere in modo analitico il valore delflusso di cassa operativo sulla base delle relazioni in precedenza individuate.CFoperativo corrente= MOL − ∆CCNop+ ∆Tfr= F − CMPS − SP − ∆CR− ∆RIM+ ∆DEB+ ∆Tfr⎛ tc⎞CFoperativo corrente= ⎜1− α − β − ⎟ × F +⎝g ⎠1000con F =−λ×9(1 + 35 × e )eI = ∆TFR - Cind− SPind+ CRt-1( t − t )d+ RIMt-1r×− DEBCMPSgt-1− λFt−1+ IL’elasticità rispetto agli investimenti in marketingL’effetto stimato di sul flusso di tesoreria è:dove:sλ∂CF=operativo corrente∂λ⋅CFλoperativo corrente∂CFoperativo corrente∂λ⎛= ⎜⎝t ⎞g ⎠∂F∂λ⎛t ⎞g ⎠315000×e9λcc1−α− β − ⎟ × − Ft−1= ⎜1−α− β − ⎟ ×− F2 t−1⎝9λ( e + 35)L’elasticità rispetto alla dilazione media sui creditiAnalogamente a quanto visto in precedenza, per i crediti risulta:stc∂CF=operativo corrente∂tc⋅CFtcoperativo correntedove:∂CFoperativo corrente∂tc= −Fg217


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiL’elasticità rispetto alla dilazione media concessa dei fornitoriIl coefficiente di elasticità risulta:CMPS tfstf= ⋅g CFL’elasticità rispetto alla giacenza media del magazzinoInfine, tale coefficiente è pari a:CMPSstr= ⋅g CFoperativo correnteoperativo correnteI risultati dell’interpretazioneLa seguente tabella riassume il calcolo dei coefficienti di sensitività nel caso in esame.trLEVE STRATEGICHECoefficienti863 elasticitàInv. Marketing (λ) 0.3 ### 9.230.6Durata Crediti (t c ) 35 -3.72Durata Debiti (t d ) 25 1.06Giacenza Magazzino (t r ) 46 -1.95Sulla base dei risultati ottenuti, emergono le seguenti considerazioni. Le leve strategiche con maggiorinfluenza sul flusso di cassa previsto sono gli investimenti in marketing e la durata dei crediti. Un aumentodell’1% degli investimenti in marketing consente di aumentare, a parità di altri fattori, il flusso di cassa dioltre il 9%. Inoltre nel caso che l’impresa riesca a diminuire la dilazione concessa ai propri clienti, puòlimitare i propri investimenti in crediti ed ottenere un ritorno in termini di flusso pari al 4% circa per ognidiminuzione dell’1%. La durata dei debiti non ha invece una grande incidenza sul flusso finale e quindi nonrisulta una leva importante ai fini strategici. Un qualche effetto può essere ottenuto migliorando l’efficienzadel processo produttivo e quindi riducendo la giacenza media del magazzino ma anche in questo caso la levanon presenta una elevata efficacia. L’impresa deve in ogni caso porsi il problema del ciclo finanziario delsuo capitale circolante che è aumentato comportando investimenti addizionali per 124. In altri termini,l’impresa sulla base delle previsioni, per continuare a svolgere la propria attività corrente nel prossimoesercizio ha bisogno di immobilizzare ulteriore capitale.Uno scenario alternativo possibile potrebbe allora essere, ad esempio, quello in cui l’impresa investe inmarketing un valore pari a 40 e riesce a ridurre la durata dei crediti a 30. In tal caso i risultati sono illustratinelle seguenti tabelle:LEVE STRATEGICHEC oefficienti### elasticitàIn v . M ark etin g (λ) 0.4 ### 3.230.6D u ra ta C red iti (t c ) 30 -1.04D u ra ta D e b iti (t d ) 25 0.26G iacenza M agazzino (t r ) 46 -0.48Flusso di tesoreria previstoFatturato 511M aterie e S ervizi 153S pese P ersonale 36M O L 322∆ C re d iti 133∆ M agazzino 50∆ D e b iti 3∆ CCN operativo 180∆ T FR 5Flusso T esoreria 147218


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl flusso di tesoreria aumenta fino a 147 mostrando un buon risultato. La riduzione del tempo medio deicrediti non risulta però sufficiente a comprimere gli investimenti in crediti. Infatti l’aumento del fatturatolegato ai maggiori investimenti pubblicitari comporta un aumento dei crediti superiore alla riduzionegenerata dalla minore giacenza media. Nonostante che il risultato finale complessivo sia migliorato,l’impresa deve valutare se, ad esempio, è in grado di sostenere finanziariamente il <strong>nuovo</strong> volume di attività.Per conseguire il risultato finale occorre infatti tenere investito un volume di risorse pari a 180. A tal fineoccorrerà presumibilmente ricorrere al mercato del credito. Sarebbe allora opportuno nel modello inserireanche i debiti finanziari e i relativi costi. Nel caso in cui l’impresa non ritenga soddisfacente tale situazione,può elaborare un diverso scenario.1.6 L’interpretazione simulativo-dinamicaUn utile supporto per le sempre più complesse decisioni aziendali può essere fornito dagli strumenti dicontrollo simulativo di impresa. Questa tipologia di strumenti, basata sul concetto di dinamica dei contesti escolta con simulazioni al computer, favorisce un monitoraggio più consapevole delle complesse dinamicheeconomico-finanziarie caratterizzanti l’assetto produttivo. Per introdurre l’analisi di dinamica dei contesti èopportuno evidenziare le nuove esigenze manifestatesi negli ultimi decenni negli approcci decisionali. Tra inuovi aspetti da prendere in considerazione si distinguono:la maggiore complessità dei problemi cui leaziende devono reagire richiede decisioni sempre più rapide e precise; l’impossibilità di conseguire gliobiettivi aziendali senza possedere una visione globale dell’impresa e senza avere compreso come ilcomportamento delle variabili strategiche sia dovuto alla interazione delle varie funzioni aziendali e non allasommatoria dei risultati ottenuti dalle singole funzioni; la necessità di possedere unitamente a degli indicatoristatici (documenti contabili) delle performance dell’azienda una visione dinamica del comportamento dellevariabili fondamentali; l’inadeguatezza di alcuni modelli classici nell’interpretare il comportamento diimprese che non rientrano negli schemi previsti.Volendo sintetizzare gli aspetti in atto è possibile farlo osservando la figura 13 da cui è possibilericonoscere due tendenze principali: la natura ermeneutica e dinamica delle problematiche aziendali el’integrazione dei modelli mentali con i modelli causa-effetto.Fig. 13 Tendenze in atto tra gli approcci ai problemi aziendali (Fonte: Ciappei C., Diagnosistrategica e controllo direzionale di impresa, p. 442)Approccio settorialeVisione staticaApproccio sistemicoVisione dinamicaNatura sistemica edinamica delleproblematicheaziendaliModelli mentaliModelli analiticodeduttiviModelli formaliesplicitiModelli causaeffettoIntegrazione deimodelli mentalicon i modelli causaeffettoLe decisioni manageriali hanno assunto in misura crescente carattere sistemico, in quanto devono tenereconto di un rilevante numero di variabili tra loro interagenti, della necessità di coordinare gran parte delleattività dell’impresa e dell’importanza di individuare l’insieme ristretto di variabili fondamentali chedeterminano il comportamento dinamico dell'impresa stessa. Gli elementi che devono essere considerati pereffettuare delle scelte sono molteplici e le capacità necessarie per individuarli e controllarli superano spessole singole competenze funzionali, le quali, in realtà, interagiscono fra loro e con l’ambiente originando ununico contesto in evoluzione.219


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiUna prospettiva ermeneutica , oltre a sviluppare una visione globale delle problematiche aziendali,consente di rilevare che vi sono differenti politiche che possono essere adottate all’interno diun’organizzazione per influenzarne il comportamento futuro. L’integrazione tra modelli mentali (raramenteformalizzati) e modelli causa-effetto (formalizzati) permette di cogliere con maggiore chiarezza quali siano imeccanismi logici che sovrintendono alle politiche decisionali, generando in tal modo interrogativi estimolando a riflettere attentamente sul problema oggetto di analisi. Il modello causa-effetto può quindi, nonsolo aumentare la comprensione del contesto, ma anche diventare una base fondamentale di discussioneinerente alla struttura e ai vincoli imposti dal contesto. La dinamica dei sistemi, metodologia sviluppata apartire dagli anni ’50 negli U.S.A. da parte di J. Forrester, può essere definita come l’approccio della teoriadei contesti ai problemi manageriali, organizzativi e sociali. L’oggetto di studio della metodologia in esame ècostituito dal contesto, che è composto da una serie di elementi o variabili che interagiscono tra loro al finedi perseguire un obbiettivo comune nel corso del tempo. Una delle caratteristiche di maggior pregio di taleteoria consiste nell’osservazione delle relazioni temporali che regolano il succedersi degli eventi, fatto chepermette di fare una comparazione dei cambiamenti nel contesto secondo una dinamica che simula il temporeale (I contesti possono essere classificati in statici e dinamici, in rapporto al loro cambiamento di stato. Lostato di un contesto può essere rappresentato da una n-pla di variabili (o di informazioni), dette appuntovariabili di stato, ad es. le voci di bilancio di una azienda). Questa n-pla rappresenta quindi un vettorefunzione del tempo, in grado di descrivere la vita del contesto. Se dette variabili sono indipendenti dal tempo(per lo meno in un certo periodo; diremo che il contesto è statico, altrimenti è dinamico). Gli studi effettuatida Forrester hanno evidenziato come ciascun essere umano, nella sua vita quotidiana, agisca nell’ambito dicontesti sociali di diversa natura. Poiché le aziende rappresentano dei contesti sociali che, peraltro, assumonospesso caratteristiche assai complesse, ad esse è possibile applicare i principi della Dinamica dei Sistemi.Per comodità di analisi, l’azienda può essere, infatti, opportunamente articolata in sub-sistemi, conriferimento, ad esempio, a diverse combinazioni prodotti-mercati-tecnologie oppure a specifiche areefunzionali (es. approvvigionamento, produzione, vendita, finanza, etc.). Inoltre l’azienda interagisce con altricontesti esterni (i contesti possono essere aperti o chiusi a seconda che interagiscano o meno con l’ambienteesterno. Un contesto aperto è caratterizzato dalla presenza di flussi in entrata indipendenti dai flussi in uscita.In un contesto siffatto, cioè, i flussi in uscita non realizzano alcun tipo di controllo sui flussi in entrata chesono autonomamente definiti, sulla base di una o più variabili esogene. La classificazione di un contestocome chiuso o aperto non risponde però ad un criterio di tipo assoluto, ma è invece subordinata al punto divista da cui viene definito l’obbiettivo del contesto medesimo e, quindi, alla definizione dei suoi confini),quali, ad esempio, il contesto competitivo e il contesto degli altri interlocutori sociali, anch’essi, a loro volta,articolabili in sottosistemi. I principi della Dinamica dei Sistemi si possono applicare secondo due diversilivelli di analisi, tra loro reciprocamente collegati, che consentono di distinguere la dinamica qualitativa deicontesti dalla dinamica quantitativa dei sistemi. La Dinamica dei Sistemi consente di unire due aspettitradizionalmente separati: l’analisi di tipo strettamente quantitativo-matematico, applicata alle problematicheaziendali e caratterizzata da un approccio orientato all’ottimizzazione e la concreta realtà aziendale cherichiede, invece, delle risposte non univoche, cioè delle chiavi di lettura che consentano di comprendere etrattare opportunamente la complessità dei fenomeni (Bianchi, 1996). Gli obiettivi che l’analisi dinamica deicontesti intende raggiungere sono riconducibili ai seguenti punti: aumentare la comprensione dei problemi;aiutare ad identificare le relazioni di causa ed effetto ed i circuiti di retroazione che determinano ilcomportamento dinamico del contesto; fornire uno strumento, il modello simulativo, che sia in grado diesplorare rapidamente ed a basso costo gli effetti di politiche alternative; generare un dibattito intorno allastruttura e al comportamento dinamico delle variabili del contesto considerato; facilitare le comunicazioniall’interno del management; ricercare un miglioramento nelle performance aziendali, eliminando eventualicomportamenti indesiderati; prevedere i risultati ottenibili nel futuro per pianificare l’attività aziendale.Una volta determinata la struttura del contesto 12 , l’obiettivo ultimo è quello di testare, impiegando unmodello di simulazione, le politiche alternative per migliorarne il comportamento.12 La definizione della struttura del contesto rappresenta uno degli aspetti più complicati dovendo individuare gli anellicritici, gli anelli di retroazione, il concetto di dominanza tra i vari anelli, i ritardi esistenti nelle relazioni causa-effetto eil confine del contesto. Gli anelli (loops) critici rappresentano intricate relazioni causa-effetto capaci di influenzaremaggiormente i risultati conseguiti. Gli anelli di retroazione (feedback loops) possono essere considerati cometrasmissioni con ritorno di informazione. Nella realtà dei contesti complessi come l’azienda, una azione cambia ilcontesto in un qualche modo (non necessariamente quello giusto), quindi c’è la necessità di riutilizzare le informazioni,che ritornano, per ridefinire il problema, seguendo un percorso iterativo. Viene a crearsi una logica di tipo circolare: ladecisione dà origine all’azione, l’azione che ne deriva modifica la condizione attuale del contesto che, a sua volta,220


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiCon il termine simulazione si fa riferimento a una tecnica numerica per condurre esperimenti su uncalcolatore digitale, che implica certi tipi di modelli matematici e logici, descriventi il comportamento di uncontesto economico industriale (o componenti di esso) durante estesi periodi di tempo reale” (Naylor,Balintfy, Birdick, Chu, 1966). In termini più generali, tuttavia, la simulazione rappresenta un metodo peraffrontare e risolvere dei problemi di analisi e di decisione mediante la messa a punto di un modello esplicitoe lo sviluppo su di esso di calcoli ed esperimenti. Si tratta, quindi, non soltanto di una o più tecnichequantitative ma piuttosto di una vera e propria metodologia decisionale attraverso cui si indaga sullecaratteristiche di un contesto reale, al fine di comprenderne il funzionamento e di prevederne il naturalesviluppo in vista della selezione di eventuali linee di intervento.La logica del modello presentato nelle paginesuccessive è di tipo sequenziale, come indicato in figura.Fig.4 Schema della simulazione (Fonte: Ciappei C., Diagnosi strategica e controllo direzionale diimpresa, p. 524).Stato del contesto al tempoUtentetValore delle grandezze“esogene” al tempotSIMULAZIONENEStato del contesto al tempot + ∆tCome si osserva dalla figura, l’evoluzione del contesto dipende anche dallo stimolo generatodall’utente. La rapidità di risposta permette, inoltre, la formulazione di numerose ipotesi composte da unpiano a medio termine (business plan) e rapporti annuali utilizzabili come:fornisce informazioni che influenzeranno la decisione futura. L’analisi del concetto di dominanza è importante poichénei contesti complessi non troviamo mai un unico anello di retroazione ma sempre una combinazione tra alcuni positivied alcuni negativi, cosicché diviene difficile capire il risultato finale di tutte queste forze che interagiscono tra di loro.La Dinamica dei Sistemi aiuta a comprendere quali siano le forze dominanti in un contesto e come esse si modifichinoin base alle azioni portate su determinate variabili-chiave (logica what if…?). L’analisi dei ritardi è importante in quantoil comportamento di un contesto è spesso influenzato dalla presenza di ritardi insiti nella sua struttura. Le relazionicausali che collegano i vari elementi possono manifestarsi in modo diretto e immediato o possono esistere ritardi fra ilmomento in cui la decisione si tramuta in azione, l’azione trova attuazione con la modificazione dello stato del contestoe tra quest’ultima e la percezione delle informazioni. Per questo motivo è essenziale riconoscere la presenza dei ritardiallorché si costruisce un modello di un contesto. Un ulteriore elemento per la definizione del modello è datodall’individuazione del confine del contesto inteso come la scelta dell’insieme degli elementi da includere o escluderedall’analisi. E’ impossibile identificare gli elementi che compongono un contesto senza avere una chiara idea di qualesia il problema e quali siano gli obiettivi. Molto spesso, infatti, la linea di demarcazione diviene incerta, in quantodipende strettamente dal punto di vista dell’osservatore. L’approccio sistemico utilizza quattro importanti regole guida,utili per identificare gli elementi da includere nel contesto:definire chiaramente l’obiettivo;analizzare il comportamento dinamico delle principali variabili oggetto di studio;determinare l’orizzonte temporale del modello;identificare le variabili ritenute cruciali nel determinare i comportamenti indesiderati.221


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiStrumento gestionale – area dell’uso contestotico: politiche di contabilità industriale, politiche distoccaggio delle materie prime, e dei relativi approvvigionamenti, politiche di stoccaggio e distribuzione deiprodotti finiti, valutazione di ipotesi di bilancio, ecc.Aiuto decisionale – area dell’uso non ricorrente: valutazione di decisioni rilevanti per l’azienda qualiinvestimenti e disinvestimenti, ingressi in altri mercati, differenziazioni produttive, lancio di nuovi prodotti,ristrutturazioni, espansioni, ecc..Un modello adottato utilizza il programma di simulazione dinamica Powersim Constructor 2.5 dellaPowersim AS e riguarda l’avvio di una nuova impresa. In particolare esamina, dal punto di vista economicofinanziario,gli effetti delle politiche decisionali che si sono pianificate con la redazione del business plan alfine di verificare la loro correttezza, mettere in atto le eventuali azioni correttive o predisporre sceltealternative. Il modello inoltre consente di ridurre il rischio relativo al progetto in quanto, attraversomolteplici simulazioni, si possono proiettare vari scenari futuri, a seconda delle decisioni prese, e valutare ilmigliore a priori: ciò costituisce un innegabile passo in avanti considerata la natura irreversibile di certedecisioni prese durante l’avvio di una impresa. Ad esempio ci potremmo chiedere se la struttura prescelta perfinanziamenti a medio/lungo termine sarà adeguata a coprire i fabbisogni che si genereranno da qui a treanni, oppure, quanto tempo dovrà passare prima di aver recuperato completamente l’investimento iniziale.Oltretutto tali dati saranno ottenuti con pochissimo sforzo in quanto sarà il computer a svolgereautomaticamente in pochi secondi tutta la mole di calcoli, cosa altrimenti impossibile, non tanto per ladifficoltà materiale dei calcoli stessi, ma per l’alto numero di relazioni tra le variabili del contesto.L’organizzazione del modello prevede la suddivisione dell’impresa in sottocontesti o sottocircuitiognuno dei quali può rappresentare un contesto finalizzato a sé stesso oppure essere visto come un contributoparziale al funzionamento di un contesto di livello superiore, l’impresa appunto. Un’impresa funzionante èsolitamente composta da risorse fisiche, come i macchinari, le immobilizzazioni, le materie prime ed iprodotti, combinate con risorse umane che le utilizzano e le fanno funzionare, più talune risorse immateriali,come l’avviamento o il know how, ma ciò che interessa maggiormente, cosa essendo lo scopo dell’impresastessa, è la trasformazione di tutte queste risorse in valori economici e finanziari. Attraverso tali valori èpossibile misurare le performance e il grado di successo dell’attività di impresa e capire quali sono le aree damigliorare. I sottocontesti dell’impresa possono dunque essere suddivisi in due categorie, in base allegrandezze utilizzate come misure dei loro output risultati: sottocontesti a grandezze quantitative esottocontesti a grandezze economico-finanziarie.222


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig. 15 I sottocircuiti del contesto azienda (Fonte: Ciappei C., Diagnosi strategica e controllodirezionale di impresa, p. 461).sottocontestia grandezzequantitativeSottocontestoMercatoSottocontestoProduzioneSottocontestoImmobilizzazioniTecnicheSottocontestoPersonaleSottocircuitoRicaviSottocircuitoInvestimentiTecniciSottocircuitoCosti delLavoroSottocircuitia grandezzeeconomicofinanziarieSottocircuitoCostiVariabiliSottocircuitoIVASottocircuitoCosti FissiSottocircuitoFinanziarioSottocircuitoMarginiSottocircuitoErarioSottocircuitoMezzi2. Gli equilibri economico-finanziari tra assettiLa visione per assetti d’impresa, che distingue proprietà, impresa e azienda, consente di analizzarel’equilibrio economico-finanziario attraverso tale scomposizione osservare le problematiche economicofinanziariedi pertinenza di ciascun assetto. Sia l’assetto imprenditoriale che quello proprietario e quelloproduttivo sono coinvolti, in varia misura e in modi diversi nelle questioni di carattere finanziario. L’otticaermeneutica studia la finanza scomponendola in un contesto di elementi costitutivi, fra loro strettamentecollegati e interdipendenti. Le componenti del contesto finanza possono essere sostanzialmente individuatenelle seguenti: flussi finanziari; logiche economico-finanziarie; funzioni economico-finanziarie; singoleoperazioni.I flussi finanziari sonoi movimenti nelle disponibilità monetarie generati dalle varie strategie e politicheadottate dall’impresa. Ogni decisione, ogni scelta fatta a qualsiasi livello gerarchico è in grado di produrredelle conseguenze finanziarie. Le funzioni economico-finanziare sono l’insieme di compiti che devonoessere assolti dai vari assetti d’impresa in materia equilibrio economico e finanziario. Le logiche economicofinanziariesono costituite dai nessi mezzi-fini, cioè dal collegamento di risorse e azioni a finalità e obiettividi carattere finanziario tipicamente, anche se non necessariamente, perseguiti. Ciascun assetto segue dellelogiche proprie che non sono necessariamente allineate con quelle degli altri assetti. Il contesto finanza diuna certa impresa risulta allora influenzato, in modo determinante, dal combinarsi delle logiche dicomportamento dei vari assetti. Naturalmente non tutte le logiche sono sullo stesso livello di importanza. Lelogiche del capitale di comando e dell’assetto imprenditoriale, ad esempio, in generale hanno un pesomaggiore nell’influenzare i destini dell’impresa rispetto alle logiche degli altri assetti. Le singole operazionio attività finanziarie sono poste in atto per l’esecuzione delle funzioni finanziarie.223


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiLa visione per assetti e l’ottica ermeneutica non rappresentano evidentemente dei punti di vistaalternativi. Anzi il loro impiego congiunto consente un esame più approfondito della questione finanziaria. Inseguito l’analisi della funzione finanziaria viene condotta ponendo l’attenzione sui singoli assetti d’impresa,distinguendo per ciascuno di essi, le diverse componenti del contesto economico-finanziario.Fig. 16 L’equilibrio economico-finanziario: alcuni esempiLivello dianalisiStrategicoCapitale dicomandoCapitalecontrollatoImprenditorialeAttività Obiettivi Funzioni Flussi•Aumento dei dividendipercepiti;• apporto di capitale;• scelta delle variecategorie di azioni• condizionamento sullescelte strategiche;• operazioni di finanzastraordinaria (fusioniscissioni, trasformazioni)• finanziarizzazionedell’impresa industriale• valutazione del proprioinvestimento in termini dirischio e rendimento• determinazione dellacrescita sostenibile;• scelta del livello disoddisfazione dei varipubblici;• Studio degli sviluppidegli aspetti istituzionali edei lineamenti operativi delmercato finanziario e delcontesto del credito;• scelta dellacombinazione ottimaledelle fonti difinanziamento;• esame dei progetti diinvestimento proposti daidirettori funzionali eallocazione delle risorseaziendali;• gestione dei rischi degliinvestimenti e soliditàfinanziaria• ROEdell’investimento;• rapporto utile/dividendo prezzoper azione;• conservazionedel controllominimizzando gliinvestimenti;• aumento delvalore azionario• rapporto utileprezzo;• minimizzazionedei rischi.• governo degliequilibrifinanziario edeconomico;• incremento delvaloredell’impresa• nomina e sostituzionedell’organo imprenditoriale ;• orientamento dell’atttivitàstrategica;• avallo delle strategie impostedal vertice;• supervisione dell’attivitàdell’organo imprenditoriale;• valutazione e destinazionedei risultati dell’attività.• tutela dei diritti delleminoranze• determinazione fabbisogno;• determinazione mezzi dicopertura• pianificazione finanziariastrategica (decisioni diinvestimento e difinanziamento)• comando e coordinazionedei centri decisionali finanziari(flusso informativo top-down):• gestione dell’immaginefinanziaria dell’azienda.• Scegliere la strutturaorganizzativa della funzionefinanziaria• apporto di<strong>nuovo</strong> capitale dirischio;• remunerazionedel capitaleinvestisto• apporto di<strong>nuovo</strong> capitaledi rischio;• remunerazionedel capitaleinvestisto• flusso dicreazione dellaricchezza;• flusso diallocazione dellerisorsedisponibili fra levarie aree• flusso didistribuzionedella ricchezzaaziendaliFunzionaleOperativo• elaborare le politichegenerali per la concessionedi credito alla clientela;• selezione dei finanziatori• seguire l’evoluzionedella normativa in materiadi finanza e di credito;• seguire le fluttuazioni delmercato.• gestione dei rischivalutari e finanziari.• effettuare incassi,compiere i pagamenti,provvedere allaconservazione di mezziliquidi e dei titoli;• ROD;• equilibriofinanziario• leverage• compiere nelmodo ottimale lasingolaoperazione.• pianificazione finanziariaannuale;• gestione del circolante;• controllo finanziario;• conclusione delle singoleoperazioni;• acquisizionedel fattorecapitale• flussi in uscitarelativi agliimpieghi• flusso di cassadelle singoleoperazioni224


• redazione dellasituazione periodica dicassa;• mantenere i contattiquotidiani con operatori,istituzioni, ed enti finanziari• gestione di tesoreriaDispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei2.1 Gli equilibri economico-finanziari dell’assetto proprietarioPer un esauriente interpretazione del contesto economico-finanzario a livello strategico è opportunodistinguere tra ente proprietario e vertice imprenditoriale. Essendo gli obiettivi economico-finanziari dellaproprietà notevolmente articolati, sembra utile introdurre alcune considerazioni generali prima di esaminare ifini specifici dei diversi tipi di capitale.2.1.1 Le logiche economico-finanziarie dell’assetto proprietario: considerazioni generaliLe logiche che guidano l’assetto proprietario risultano molto variabili nella realtà aziendale e per taleragione sono difficilmente riconducibili a tipologie generali(Vallini, 1990, p.161). A rendere la situazioneancora più complessa gioca il fatto che la proprietà non è detenuta da un unico soggetto, ma da unacoalizione di soggetti. In tale ipotesi gli scopi dell’assetto proprietario risultano da una composizione degliinteressi individuali dei vari soggetti che lo costituiscono. Nonostante ciò, non si può pensare di escluderedall’analisi delle problematiche finanziarie, l’assetto proprietario. Tale assetto ha infatti un elevato potere diinfluenza sull’andamento (sia economico che finanziario) dell’impresa. Un soggetto proprietario interessatoad un generico scopo di lucro realizzabile nel medio e lungo andare (attraverso l’incremento del valore dellapartecipazione), favorisce, ad esempio l’autofinanziamento e probabilmente condiziona in misura limitata lastrategia del vertice, a condizione che esso sia in grado di garantirgli un livello di redditività soddisfacente.Gli indicatori che sono tenuti sotto controllo dall’assetto proprietario sono allora quelli che indicano lacapacità dell’impresa di produrre (e distribuire) ricchezza; si pensi ad esempio ad indici quali il rapportoutile/ prezzo delle azioni, rapporto dividendo/ prezzo delle azioni e il ROE prodotto dall’impresa. Attraversotali quozienti i titolari del capitale di rischio possono effettuare un confronto con le prestazioni di altreimprese che operano nello stesso settore o comunque con i rendimenti di forme di investimento alternative.Di contro, in presenza di necessità di cassa, vi sono vincoli più forti all’attività del vertice, realizzati, adesempio, imponendo la distribuzione dei dividendi, o l’alienazione di rami di azienda.Tradizionalmente, comunque, il principale obiettivo finanziario riconducibile alla proprietà in manoprivata è la massimizzazione del valore economico del capitale dell’impresa (Fazzi, 1982,p. 68). Tale valorepuò essere inteso sia come valore contabile che come valore di mercato. Ai problemi di valutazione diimpresa sono dedicati diversi tomi del presente lavoro, qui si ricordano alcuni concetti per far comprenderela logica di massimizzazione del valore azionario.Il Valore contabile dell’impresa è il valore del netto che risulta dal bilancio d’esercizio. Si tratta insostanza della differenza fra il totale delle attività (il capitale investito) e il totale dei finanziamenti esterni.Tale grandezza è per lo più valutata al costo storico in quanto generalmente gli elementi che lo compongonosono iscritti in bilancio al valore che avevano al momento in cui sono sorti. Si tratta dunque delle risorsenette che sono state investite nell’azienda. Ai fini di analisi strategico-finanziarie il valore contabile puòcomunque essere calcolato ai costi di sostituzione invece che ai costi storici.Il Valore di mercato di un’impresa si determina generalmente come il prodotto della quotazione delleazioni per il numero delle stesse. Tale valore rappresenta la capacità dell’impresa di produrre redditi futuri o,in modo più formale esso indica, il valore attuale dei futuri flussi netti di cassa. Per ottenere un’espressionedel prezzo di mercato delle azioni, occorre tener conto non solo dei dividendi futuri ma anche dell’aumentodel valore delle azioni nel corso del tempo (capital gain).In effetti, ai titolari di azioni ordinarie i flussi positivi di cassa pervengono in due forme: dividendi incontanti e guadagni in conto capitale.ren dim ento atteso totaleDiv+ P − P1 1 0= r =[] 1P0225


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl tasso di rendimento che gli investitori si aspettano da un’azione nel prossimo anno può esserecalcolato come il dividendo per azione atteso <strong>DI</strong>V1, più la plusvalenza per azione attesa P1 - P0, tutto divisoper il prezzo all’inizio dell’anno, P0.Dalla [1] si ottiene che:P0Div=1( 1 + r)ma per determinare il prezzo dell’azione il prossimo anno P 1 , è possibile applicare nuovamente la [1]:+ P1[] 2P1=Div2+ P( 1 + r)2[] 3In definitiva, sostituendo la [3] nella [2] si avrà che:P0=1⎛⎜⎝Div+ P2 2Div1+ ⎟( 1 + r) ( 1 + r) ⎞⎠Div1=1 + r+Div+ P2 2( 1 + r) 2h= ∑t=1+Divt+Pt( 1 + r) ( 1 + r) hhIl risultato ottenuto pone in relazione il prezzo corrente con i dividendi previsti per due anni (<strong>DI</strong>V 2 ,<strong>DI</strong>V 1 ) e con il prezzo previsto alla fine del secondo anno. Lo stesso procedimento può essere ripetuto per unperiodo di tempo stabilito a piacere, ottenendo una formula generale per determinare, “in prima facie”, ilprezzo delle azioni e quindi il valore dell’impresa.P0=Div+DivDiv + P+ .... +1 + r12h h2( 1 + r) ( ) ( ) h1 + rDal confronto fra il valore contabile e quello di mercato dell’impresa è possibile esprimere un giudiziosulla sua efficienza: nel caso in cui il valore di mercato sia superiore a quello contabile l’azienda staproducendo ricchezza, mentre nel caso opposto l’impresa sta distruggendo il proprio capitale (Brealy eMyers 1981, p. 48).Fig.17 Confronto tra valore contabile e valore di mercatoVMVCVMVCVMVCercatoontabileercatoontabileercatoontabile= 1> 1< 1l'impresa non crea e non distrugge valorel'impresa sta producendo valorel'impresa sta distruggendo il proprio capitaleIn realtà al precedente modello si possono porre delle critiche; la principale è relativa al calcolo delvalore di mercato come prodotto fra prezzo unitario di ciascuna azione e numero delle azioni in circolazione.In primo luogo un tale modo di procedere si riferisce principalmente alle società con azioni quotate inborsa. L’esistenza di un mercato organizzato dove formano in modo trasparente i prezzi è una condizionequasi imprescindibile per determinare il valore di mercato dell’impresa.Ma anche in questo caso, la dinamica dei prezzi azionari può essere considerata come dinamica delvalore di mercato dell’impresa? Per rispondere occorre ricordare che il capitale sociale può esserescomposto nella somma di due componenti: il pacchetto di controllo e il pacchetto controllato. Il valoreeconomico del pacchetto di controllo è diverso da quello di minoranza, perché, anche se si tratta di azioniche hanno gli stessi diritti, coloro che detengono il nocciolo duro riescono ad influire sulla gestionedell’impresa, ad esempio nominando gli amministratori, mentre gli altri azionisti di fatto non hanno un tale226


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeipotere.La precedente formula per il calcolo del valore di mercato complessivo dell’impresa non tiene inconsiderazione che il valore economico delle azioni non è per tutte uguali.Se, ad esempio, un azionista possiede il 50% + 1 delle azioni di una società e il restante 50%-1 èflottante sul mercato, il prezzo si forma su quest’ultimo in quanto solo quest’ultimo è soggetto acontrattazione: tale prezzo non può dunque essere applicato anche al pacchetto di controllo.Se la società è “in salute”, la differenza fra il 50%+1 e il 50%-1 non è uguale al valore di una singolaazione, ma è molto di più: il controllo della società sta, infatti, nel primo pacchetto. Naturalmentequest’ultimo è un bene indivisibile, nel senso che assume un valore elevato a condizione che non vengasuddiviso in pacchetti più piccoli. La somma dei singoli pacchetti è quindi minore del valore del pacchettototale.Moltiplicando il valore di mercato di un’azione per il numero delle azioni, non si ottiene il valore dimercato della società, ma il valore di mercato della società rapportato al flottante. La dinamica del valoreborsistico è, in ogni caso, un fenomeno rilevante per una società quotata; ma diventa essenziale solonell’ottica degli azionisti di minoranza, che traggono da questa informazione, spesso l’unica indicazionesulla dinamica del valore. Essa, congiuntamente al dividendo, è in sostanza la misura di performancepercepita dal piccolo azionista non in grado di interpretare o ottenere altre informazioni rispetto a quelleufficiali. Ciò non vale però né per gli azionisti di controllo, né per gli investitori istituzionali, e tanto menonell’ottica dell’impresa che deve valutare se stessa. In quest’ultimo caso diventa rilevante distinguere ilvalore creato dal valore diffuso cioè incorporato nei prezzi. Un modo alternativo per determinare il valoredel capitale economico dell’impresa si basa sul concetto di economic value added (EVA). Si tratta di unamisura di performance che si ottiene sottraendo dal reddito contabile “normalizzato” il costo di tutti icapitali investiti: sia dei capitali propri, sia dei capitali presi a prestito. In simboli (Guatri, 1998, p .153):da cui:NOPATr =CEVA =( r − WACC) ⋅ CEVA = NOPAT− WACC ⋅ Cdove: NOPAT = reddito normalizzato;WACC = costo medio ponderato dei capitali investiti;C = capitale investito (costituito da :capitale proprio, debiti finanziari, accantonamenti).La normalizzazione del reddito consiste nell’apportare al risultato di bilancio una serie di correttivi peravere una misura della redditività più rispondente di quella contabile alla reale performance dell’impresa. Inparticolare, attraverso tali correttivi si punta a: eliminare alcuni vincoli giuridico-formali che intralcianoun’efficace misura dei risultati effettivi; eliminare gli effetti distorsivi delle politiche di bilancio; ridistribuirenel tempo o escludere componenti straordinari o “estranei alla gestione”; eliminare gli eventuali effettidistorsivi causati dall’inflazione (utili o perdite illusorie).Un breve accenno alle metodologie di determinazione del NOPAT e WACC può essere utile per unamigliore comprensione del concetto di EVA.Il NOPAT (net operating profit after taxes) rappresenta l’ammontare di ricchezza disponibile per laremunerazione dei finanziatori interni e esterni dell’impresa. Per il calcolo del NOPAT è opportunoriclassificare il conto economico secondo lo schema a Valore della Produzione e Valore Aggiunto. Questoschema prevede una riorganizzazione dei costi per natura in base cioè all’area di gestione (tipica-operativa,accessoria-patrimoniale, finanziaria, tributaria) che li ha originati consentendo così di capire le modalità diformazione della ricchezza e della sua distribuzione tra i vari attori del contesto produttivo. Dopo averriclassificato il conto economico è possibile calcolare il NOPAT.NOPAT = Margine Operativo Lordo- Ammortamenti= Risultato operativo netto - ImpostePer una corretta determinazione del NOPAT occorre detrarre le imposte che gravano direttamente sulreddito operativo prodotto. In realtà la determinazione delle imposte di pertinenza della sola gestioneoperativa risulta notevolmente complicata e per questo vengono spesso applicate delle semplificazioni. Tra lepiù impiegate si ricordano le procedure di imputazione di tutte le imposte presenti nel conto economico al227


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeireddito operativo e quindi in detrazione del margine operativo oppure moltiplicando il margine operativonetto per l’aliquota d’imposta marginale.Il WACC (weighted average cost of capital) indica la remunerazione media richiesta dai finanziatoridell’impresa. Il suo valore è ottenuto con la seguente formula:WACC = K e * E/(D+E) + K d *(D/D+E)Dove: Ke = Costo-opportunità del capitale proprio;Kd = Costo del debito;E = Capitale proprio;D = capitale di debito.Per il calcolo del WACC occorre ricordare che il costo del debito deve tenere in considerazione glieffetti dello scudo fiscale. Si ottiene di conseguenzaKd = (1 – t)*RODDove: t = aliquota fiscale marginale;ROD = Oneri finanziari/Debiti finanziari.Per motivi di coerenza nel rapporto, il ROD dovrebbe prevedere a denominatore solo i debiti a onerositàesplicita. Il costo-opportunità del capitale proprio rappresenta la remunerazione richiesta da un investitoreper finanziare l’impresa. La stima della remunerazione richiesta può essere effettuata ricorrendo al CAPM.K e = r f + β*[ E(r m ) – r f ]Dove: Rf = tasso privo di rischio;β = coefficiente di rischio per l’attività dell’impresa;E(rm) = rendimento atteso per il mercato;E(rm) – rf = premio per il rischio di mercato.La misura di rendimento proposta risulta dunque proporzionale allo spread tra il rendimentodell’investimento (r) e costo del capitale; ed alla misura totale del capitale investito. Dal divario fra r eWACC è allora possibile trarre delle indicazioni sulla capacità dell’impresa di creare o distruggere valore,senza “scomodare” i concetti di valore contabile o valore di mercato. Si mettono a confronto infatti da unlato la capacità reddituale dell’impresa (misurata con indicatori non basati esclusivamente su dati contabili)e dall’altro il costo medio di tutti i finanziamenti ottenuti dall’impresa (sia a titolo di capitale di rischio che dicapitale di credito). I risultati che si possono ottenere sono in particolare:Fig 18 Creazione e distruzione di valore esaminate attraverso lo spread di rendimentor= 1WACCr> 1WACCr< 1WACCl' impresa non crea e non distrugge valorel' impresa staproducendovalorel' impresa sta distruggendo ricchezzaL’EVA è un indicatore diverso dai tradizionali basati essenzialmente sui dati contabili. Recenti ricerche,misurando le prestazioni di campioni di imprese attraverso EVA, hanno mostrato come anche le imprese conbilanci chiusi con un utile possano in realtà distruggere valore e non crearlo. E’ comunque possibile, anche inquesto caso, determinare il valore di mercato per poi confrontarlo con il capitale netto investito nell’azienda.L’EVA viene direttamente collegato al valore dell’impresa attraverso il calcolo del Market Value Addedcome valore attuale di tutti i futuri EVA. In effetti Market Value Added= valore attuale di tutti i futuri EVA.Per vedere se l’impresa crea o distrugge valore si può procedere anche confrontando il MV con il Capitaleinvestito nell’impresa.228


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFig 19 Confronto tra valore di mercato e capitale investitoMVMVACEva 1 ⋅v + Eva 2 ⋅v 2CValoredistruttoEva 1 ⋅v + Eva 2 ⋅v 2MVCreazione di valoreDistruzione di valore2.1.2 Le logiche economico-finanziarie del capitale di comandoPer una corretta stima del valore economico della società occorre quindi tenere presente che il pacchettodi minoranza e quello di maggioranza devono essere valutati in modo diverso. L’assetto proprietario èdunque composto da un capitale di comando, formato da tutti gli azionisti che detengono il pacchetto dicontrollo e da un capitale controllato, individuabile negli azionisti titolari delle restanti quote. Nello studiodelle logiche finanziarie dell’assetto proprietario occorre tener conto di tale distinzione, in quanto, ingenerale, gli scopi del capitale di comando non necessariamente coincidono con quelli del capitalecontrollato.Individuare delle finalità di carattere generale non è molto agevole, comunque si può affermareche i titolari del pacchetto di controllo tendono normalmente al raggiungimento di due obiettivi finanziari:mantenere il controllo dell’impresa o del gruppo di imprese minimizzando l’investimento necessario;massimizzare il valore economico del proprio investimento.In altri termini il capitale di comando avrà come obiettivo quello di rendere massimo il valore delseguente rapporto:Valore economico della partecipazione di controlloPlusvalore del capitale di controllo =Investimento in capitale pr ottenere il controlloTale indice misura il valore di mercato della società o del gruppo controllati per ogni lira di capitale cheil gruppo di comando ha dovuto investire per ottenere il controllo. Il classico indicatore della capacità diremunerare il capitale di rischio, ossia il ROE sembra essere un indicatore di performance inadatto a questasituazione.Re ddito NettoROE =Capitale NettoIn primo luogo tale indice considera il reddito netto prodotto dall’impresa (che, nel caso di un gruppo diimprese, potrebbe essere sostituito con il risultato netto aggregato ), che comunque è un importante misuradi redditività per il capitale proprio. L’utile netto, infatti, rappresenta il reddito che residua dopo averremunerato tutti i principali fattori produttivi: finanziatori, lavoratori, e struttura, ed è quindi destinatotipicamente alla remunerazione dei titolari del capitale di rischio. Il nucleo di comando, però, nonnecessariamente è interessato solo ad un elevato utile netto. Più in generale, esso ha interesse nelmassimizzare il valore (di mercato) della propria partecipazione nell’impresa o nel gruppo.Utilizzando il valore della partecipazione di controllo al posto del risultato netto è allora possibilecomprendere una tipologia di situazioni più vasta. Inoltre, invece che considerare l’intero capitale sociale (siveda il denominatore del ROE), è più corretto, nel caso in questione considerare solo il capitale cheeffettivamente ha investito il gruppo di controllo. Per massimizzare l’indicatore proposto, si possonofondamentalmente seguire due strade: far crescere il valore della partecipazione di controllo a parità dicapitale investito; ridurre il più possibile il capitale investito a parità di valore di mercato dellapartecipazione.229


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIn relazione quest’ultimo aspetto, occorre osservare che per ottenere il controllo di una società nonoccorre necessariamente acquistare una quota del capitale sociale pari al 50%+1 dello stesso, esistono infattivari strumenti che consentono di mantenere il controllo di una società con investimenti molto limitati chepossono arrivare, ad esempio, fino al 5-6% del capitale sociale. In altri termini, è possibile che un pacchettoazionario molto contenuto consenta di controllare l’azienda o un intero gruppo di imprese.Si assiste, in tali situazioni, ad una sorta di deroga di fatto al principio per cui il controllo (e quindianche la gestione) spetta a che colui o coloro che detengono la maggioranza del capitale sociale; tali soggetti,infatti, dovrebbero aver diritto al comando in quanto investono nell’impresa un capitale maggiore degli altriazionisti e sopportano quindi maggiori rischi. Gli strumenti a disposizione del capitale di comando perminimizzare il proprio apporto di capitale pur mantenendo il controllo sono molteplici.Fig. 20 Strumenti per la minimizzazione del capitale di comando1. Leverage;2. Autofinanziamento3. Tipologie di azioni;4. Partecipazioni indirette;5. Assenteismo degli azionisti di minoranza:6. Frazionamento del capitale;7. Forma giuridica dell’impresa;8. Patti di sindacato;9. Partecipazioni incrociate;Un primo strumento è il leverage (ossia il livello di indebitamento), che consente di far affluireall’azienda finanziamenti che non richiedono aumenti del capitale sociale. Il ricorso all’indebitamento èanche favorito dalla disciplina fiscale. Le imprese hanno infatti convenienza a ricorrere al capitale di creditoanche perché gli interessi passivi sono deducibili dal reddito e quindi diminuiscono il carico fiscalecomplessivo. Naturalmente, il ricorso ai finanziatori esterni non può essere sfruttato oltre un certo limite: unaeccessiva utilizzazione del capitale di credito può infatti rischiare di compromettere la situazione finanziariadell’impresa. Ma quello che più conta, ai fini della presente analisi, è che un elevato livello di indebitamentorischia di sottrarre la gestione dell’impresa al controllo del capitale di comando. Per tutelare i propriinteressi infatti, i finanziatori (ad esempio banche) tendono ad ingerire sulle scelte aziendali, e tale influenzaè più forte quando il livello di capitalizzazione dell’impresa è basso. Altro grande strumento a difesa delcapitale di comando è il trattamento di fine rapporto che è in sostanza un finanziamento fruttifero di uninteresse annuo modesto, (attualmente nell’ordine del 4%). Il TFR era semplicemente un finanziamento abasso costo, che i dipendenti sono costretti a concedere a tutte le aziende, ivi comprese quelle che presentanosituazioni di incaglio finanziario. Per le imprese si tratta di un finanziamento di medio lungo termine chedura fino al momento in cui, per una qualche ragione, si interrompe il rapporto di lavoro. Quando il credito el’autofinanziamento non bastano più ed occorre aumentare il capitale, esiste la possibilità di quotare lapropria impresa in borsa, vista sempre come strumentale rispetto al mantenimento del controllo. Si inizia adesempio mettendo sul mercato il 25% del capitale e conservando il controllo del 75%. Quando le necessitàfinanziarie aumentano, si immettono nuove azioni sul mercato, facendo scendere la quota di proprietà al51%. Si possono inoltre emettere azioni diverse da quelle ordinarie che consentono di non attribuire dirittipolitici in quanto forniscono maggiori diritti economici (si pensi all’istituto delle azioni privilegiate). Unaltro strumento che consente limitare l’investimento necessario per avere il controllo di una certa società è ilmeccanismo delle partecipazioni indirette.Si consideri ad esempio il gruppo di imprese rappresentato nella seguente figura.230


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiFigura 6 Partecipazioni indirette per la minimizzazione del capitale di comandoassettoproprietario100CapitalecontrollatoHOL<strong>DI</strong>NG50% 50%CapitalecontrollatoCapitalecontrollato50%50%B50% 50%CapitalecontrollatoCapitalecontrollatoC50% 50 %Capitalecontrollato50%50% 50%DEFGSi ipotizzi che ciascuna società abbia un valore contabile di bilancio pari a 100 milioni.La proprietà controlla in modo diretto o indiretto tutte le società, anche quelle in fondo alla catena: lasocietà D, ad esempio è controllata al 60 % dalla società B che a sua volta è controllata con la stessapercentuale dalla holding. L’investimento di capitale effettivo della proprietà in tale impresa è però pari al100x60x60% cioè il 36% del capitale sociale della stessa. Oltre al meccanismo delle partecipazioniincrociate, anche la polverizzazione del capitale azionario fra una pluralità di piccoli azionisti, fenomenotipico delle società a larga base azionaria, contribuisce a limitare l’investimento necessario per mantenere ilcontrollo di una certa società. Inoltre si aggiunga che molto spesso il piccolo azionista conscio dello scarsopeso che può avere nell’influenzare le sorti aziendali, rinuncia anche a partecipare alle assemblee. Il risultatofinale è che in genere è sufficiente una quota ben inferiore al 50% +1 del capitale per avere il controllo difatto di una società. Anche un 30%, ad esempio, mette sufficientemente al riparo da eventuali tentativi discalata. Mentre infatti “lo scalatore” deve riuscire a rastrellare sul mercato almeno una quota superiore aquella posseduta dall’attuale coalizione di comando, questa deve semplicemente aumentare la propria quotadel 10 o 20% per restare relativamente tranquilla. Le società del gruppo possono essere collocate su piùlivelli realizzando in tal modo un meccanismo tipo “scatole cinesi” per cui l’attività effettiva (industriale) èsvolta dalle società collocate all’ultimo livello (D, E, F, G), mentre i livelli superiori sono occupati daholding che hanno solo una funzione finanziaria (ossia di raccolta di mezzi finanziari di terzi e diconcentrazione del loro comando nel soggetto del gruppo). Ad ogni livello è possibile raccogliere capitaliemettendo azioni in borsa o indebitandosi con obbligazioni e banche. In tal modo si avrà ad ogni livello lamoltiplicazione del capitale controllato, fermo restando l’investimento iniziale del capitale di comando.In definitiva, il capitale di comando riesce a controllare un gruppo di imprese il cui valore contabilecomplessivo è di 600 milioni (100 x 6) con un investimento effettivo pari a 100 milioni (ossia il capitaledella holding finanziaria). Anche la scelta della forma giuridica dell’impresa può rispondere all’esigenza delcapitale di controllo di minimizzare il proprio investimenti. In generale, sotto il profilo della tipologia dicontrollo, esiste una sostanziale differenza fra le società di persone (e imprese individuali), le società inaccomandita (s.a.s e s.a.p.a) e le società a responsabilità limitata, e le società per azioni. Mentre le società dipersone sono strutturate sul presupposto di un controllo diretto del capitale, le società in accomandita e les.r.l consentono un controllo indiretto del capitale con modesta separazione tra proprietà e management; lesole s.p.a, invece, si basano, almeno istituzionalmente, su un controllo indiretto del capitale con accentuataseparazione fra proprietà e imprenditore.Una particolare attenzione merita la forma giuridica della società in accomandita per azioni. Si trattasostanzialmente di una società per azioni modificata dalla presenza di soci accomandatari, i qualirispondono senza limiti ed in solido delle obbligazioni sociali ed ai quali spetta il potere di amministrare la231


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeisocietà. La figura dell’accomandatario è caratterizzata quindi da tre aspetti: la responsabilità illimitata esolidale delle obbligazioni sociali; il potere di amministrate che ad essi spetta di diritto indipendentementedal capitale posseduto; l’incarico non è soggetta a limiti di tempo (a condizione che si presentino cause diineleggibilità o di decadenza). Nelle s.a.p.a., può accadere che il controllo strategico istituzionale spetti ad ungruppo di soggetti (accomandatari) che spesso rappresentano solo una minoranza del capitale. Vi ècomunque una importante differenza fra questa situazione e quella che si ha nel caso di partecipazioniindirette. In quest’ultimo caso, infatti, è possibile mantenere il controllo del gruppo con una quota delcapitale sociale relativamente contenuta e quindi anche assumendo rischi moderati. I soci accomandatari,invece, anche se detengono una quota ridotta del capitale, sono responsabili in modo illimitato delleobbligazioni societarie.Riepilogando, si è visto finora come sia possibile mantenere il controllo di una certa società limitando almassimo la consistenza del pacchetto di controllo. In sostanza una tale situazione si realizza se si riesce adaumentare la quota del capitale sociale che di fatto non esercita il controllo, o se, in altri termini si riesce asopperire all’esigenza dell’organismo impresa senza far entrare <strong>nuovo</strong> capitale che può mettere a repentaglioil pacchetto di controllo. Esistono anche altri strumenti che possono essere impiegati a tale scopo quali lepartecipazioni incrociate (che non sono comunque ammesse dalle disposizioni legislative) e i patti disindacato.La possibilità di mantenere il controllo limitando l’investimento necessario, può talvolta far venir meno,nel capitale di comando, il “tradizionale” interesse a massimizzare il valore economico dell’impresa. Ilmotivo va ricercato nel fatto che nel caso in cui il management e la proprietà non riescano attraverso unagestione efficiente a mantenere alto il valore delle azioni, pongono la società al riparo dal rischio di unascalata ostile da parte di altre società in quanto rendono eccessivamente costosa tale operazione. Perrealizzare la scalata occorre lanciare una OPA, cioè un’offerta pubblica di acquisto delle azioni della societàbersaglio, offrendo agli azionisti un prezzo più elevato del valore di mercato delle loro azioni. Nel caso in cuisi riesca a mantenere alto il valore di tali titoli si riesce a scoraggiare tentativi di OPA che risulterebberoeccessivamente onerosi. Le scalate rappresentano quindi un correttivo alle inefficienze nelle gestioni delleimprese in quanto garantiscono un ricambio nell’economia; in un certo senso, esse stanno alla fisiologia diun mercato finanziario avanzato come la possibilità di un’alternanza al potere sta alla fisiologia dellapolitica. Il motore del mercato dei capitali è l’OPA ostile; l’azionista (soprattutto di minoranza) nel caso incui non siano soddisfatti dell’andamento negativo delle imprese nelle quali hanno investito, può sempresperare che proprio l’inefficienza nella gestione spinga un gruppo rivale a lanciare un’OPA ostile, offrendoper le azioni un prezzo più alto di quello corrente in Borsa. Quando tale scalata ha successo, è lecitoattendersi che essa produca benefici per l’azienda e per il mercato. Nel caso in cui il capitale di comandosegua la logica suddetta (e cioè tenti di limitare il proprio investimento pur mantenendo il controllo) si hannoinevitabilmente delle conseguenze sulle scelte finanziarie adottate. Si pensi ad esempio al caso di unaimpresa “sana” che opera in condizioni di equilibrio economico e finanziario; probabilmente, laminimizzazione del capitale investito per avere il controllo, può essere sostenuta solo fino ad un certo limite.L’impresa è destinata infatti fisiologicamente a crescere e ciò implica che il suo fabbisogno sarà crescente:per coprire tale fabbisogno sarà necessario reperire capitali. Fino a quando il capitale di comando attraversole tecniche viste riesce a reperire <strong>nuovo</strong> capitale senza mettere a rischio il suo grado di controllo, non sipresentano problemi. Nel caso in cui la crescita però richieda fonti di finanziamento che rischiano di metterein discussione la capacità di controllo dell’intero contesto da parte del nocciolo duro, questo si trova a doverscegliere fra le esigenze dell’impresa (trovare fondi per finanziare la sua crescita) e quella proprie dicontinuare ad esercitare la funzione di comando. In tale ipotesi, la logica finanziaria dell’assettoproprietario può dunque rappresentare un ostacolo nel medio lungo termine alla capacità di crescitadell’organismo impresa.Il secondo obiettivo preso in considerazione è la massimizzazione del valore del capitale di controllo.La possibilità di riuscire a mantenere il controllo pur limitando i propri investimenti, fa si che nonnecessariamente la logica finanziaria del capitale di comando sia l’incremento del valore dell’impresa.Quando infatti il capitale di controllo possiede una quota effettiva del capitale di un’azienda pari al 5-6%della stessa, è lecito supporre che le sue finalità non necessariamente siano rappresentate dall’aumento delvalore di un’impresa di cui detiene una quota minima.L’obiettivo della massimizzazione del valore dell’impresa diventa più correttamente la massimizzazionedel valore del pacchetto di controllo. Queste due finalità non necessariamente coincidono.Il primo caso si ha quando il capitale di controllo ha interesse ad aumentare il valore dell’azienda.232


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiSi pensi ad esempio alla figura dell’imprenditore vecchio tipo; in questo caso il proprietariodell’impresa ricopre, al tempo stesso, il ruolo di imprenditore, occupandosi direttamente della gestione, cioèdei rapporti con i clienti, con i fornitori, con i dipendenti, ecc.. Un simile figura è presente soprattutto nelleimprese di piccola dimensione. In questo caso, l’interesse del proprietario è quello di far crescere eprosperare l’azienda, ossia di massimizzare il suo valore. Un ulteriore esempio di applicazione di tale logicaè fornito il cosiddetto fenomeno di finanziarizzazione dell’impresa industriale. Con tale espressione siintende una situazione per cui l’impresa industriale viene considerata dal soggetto di comando come unaforma di investimento finanziario. Una tale ottica vede l’impresa come un operatore che converte il capitalefornito dagli azionisti in un paniere differenziato di investimenti, ossia nei capitali reali (impianti, scorte,...) enei capitali finanziari (titoli, crediti) iscritti nelle varie voci dello stato patrimoniale. In altri termini,l’impresa è vista come un istituto che gestisce, per conto degli azionisti (spesso solo di quelli dimaggioranza), un portafoglio di attività differenziate: essa si trova dunque nella posizione del gestore di unportafoglio titoli che mira a ridurre il rischio e massimizzare il rendimento per conto del cliente azionista dimaggioranza. Tale modo di vedere l’impresa viene ricondotto alla teoria dell’agenzia. Il capitale di comandoin tale situazione impone pesanti vincoli alle strategie dell’imprenditore.In molti casi, in cui finanzieri, più o meno noti, hanno acquisito il controllo di un’impresa e ne hannocambiato il vertice imprenditoriale; successivamente hanno risanato l’impresa e ottenuto un consistenteaumento del suo valore di borsa; a questo punto il finanziere vende il suo pacchetto di controllo e, con laliquidità ricavata, si predispone ad attivare altre operazioni del genere. In tal caso il capitale di comando èguidato da una logica esclusivamente finanziaria; non è infatti interessato a cosa produce l’impresa chetemporaneamente controlla, ma solo a come riuscire ad incrementare il suo valore per rivenderla e ottenerecosi un capital gain. La liquidità ottenuta gli consente di realizzare nuove operazioni finanziarie su altreimprese, una volta esaurita e liquidata la sua posizione nella prima.La logica finanziaria del capitale di comando può invece non coincidere con la massimizzazione delvalore dell’azienda controllata. Si pensi al caso di un capitale di comando che controlla un gruppo diimprese. Se fra queste aziende una si trova in pericolose condizioni di incaglio finanziario, il nucleo dicomando può decidere la fusione con un’altra impresa del gruppo che invece è sana. In questo caso, il valoredell’impresa che risulta dalla fusione probabilmente sarà inferiore a quello dell’impresa sana. Coloro chesubiscono passivamente le conseguenze di tale operazione sono gli azionisti di minoranza.2.1.3 Le logiche economico-finanziarie del capitale controllatoDopo avere analizzato le finalità proprie del capitale di comando è possibile studiare quelle relative alcapitale di minoranza. Si tratta di uno studio che viene affrontato principalmente per esigenza dicompletezza, in quanto i titolari del flottante spesso non hanno una importanza strategica dato che non sonoin grado di condizionare in modo pesante le scelte del vertice aziendale. Ciò non significa che il vertice almomento della distribuzione della ricchezza generata, non tenga assolutamente conto delle esigenze degliazionisti di minoranza; significa invece che a tali esigenze può essere attribuito un livello di priorità inferiorea quelle di altri pubblici.Gli scopi che i titolari del capitale controllato si prefiggono di raggiungere attraverso il loroinvestimento sono riconducibili ai seguenti: la massimizzazione del rendimento; la minimizzazione delrischio ad esso connesso. In linea generale, a differenza del capitale di comando, il capitale controllato ha uncomportamento rivolto a privilegiare la distribuzione massima dei profitti di esercizio, anche se ciò puòpregiudicare gli investimenti di sviluppo (Fazzi, 1982, p.68). Si tratta evidentemente di un comportamentovolto alla massimizzazione del rendimento nel breve termine. Quest’ultimo non proviene esclusivamente daidividendi percepiti, ma anche dal valore di mercato del titolo, il quale a sua volte dipende dalle prospettive disviluppo futuro dell’impresa.Uno scopo strettamente collegato al precedente è quello della minimizzazione del rischiodell’investimento, intendendo con tale espressione, “in prima facie”, la variabilità del rendimento. Ilsoddisfacimento di tali obiettivi trova ostacolo nella asimmetria informativa che caratterizza i titolari delcapitale di minoranza. Questi infatti, a differenza degli azionisti di maggioranza, raramente sono coinvoltinella gestione aziendale e quindi non dispongono di fonti di informazioni al di fuor dei canali istituzionaliprevisti dalla legge (come ad esempio il bilancio di esercizio). Nel caso di azionisti di minoranza coinvoltinella realizzazione delle strategie aziendali, questi sono in grado di valutare il rischio di impresa e laredditività della stessa sulla base della storia passata della stessa ed eventualmente anche sulla base dellescelte attuali. Non hanno però sufficienti elementi per poter valutare in modo attendibile i flussi di reddito233


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiche l’impresa sarà in grado di produrre in futuro. Tali flussi dipendono infatti dalle scelte del capitale dicomando e del vertice, e su tali scelte si possono avere delle aspettative, ma difficilmente certezze.Nel caso di azionisti che non hanno di fatto alcun contatto con la vita dell’impresa, (si pensi al caso deipiccoli risparmiatori), questi possono basare la loro valutazione sul rischio solo sulle informazioni pubblicheelaborate dall’azienda. Si assiste, in questi casi ad un fenomeno paradossale di assenza o comunque scarsitàdi informazioni disponibili, associato ad un contemporaneo elevato grado di assunzione del rischio diimpresa. Il problema centrale di questi soggetti, che si assumono in parte più o meno consistente il rischio diimpresa, è quello di poter accorciare il loro orizzonte temporale di valutazione del rischio. Per ottenere talerisultato, l’investitore deve avere la possibilità nel caso in cui lo desideri, di trasferire il suo titolo ad altrioperatori. Ciò implica in primo luogo l’esistenza di un mercato di dimensioni accettabili all’interno del qualesia possibile acquistare e vendere tali titoli: generalmente l’istituto preposto a tale funzione è la Borsa valori.Un secondo requisito è invece collegato all’immagine dell’impresa sul mercato. Quanto migliore è taleimmagine, frutto in primo luogo dei comportamenti aziendali, tanto più liquidi (cioè facilmentesmobilizzabili) saranno i titoli emessi dalla stessa. Gli azionisti di minoranza saranno perciò interessati da unlato ai dividendi percepiti e alla loro stabilità nel tempo, e dall’altro alla liquidità dei titoli in loro possesso,ossia alla facilità con cui possono essere trasferiti ad altri soggetti.2.1.4 I flussi finanziari e le funzioni relative all’assetto proprietarioI flussi finanziari che interessano l’assetto proprietario sono riconducibili essenzialmente al: flusso diconferimento (o eccezionalmente di rimborso) di capitale nell’impresa; flusso prodotto dalla distribuzionedei dividendi. Le problematiche relative a tali flussi sono approfondite facendo ricorso alla teoria delledecisioni di finanziamento.Le funzioni che vengono svolte a livello strategico-proprietario sono strettamente collegate alle logichedel capitale di comando. In generale possono essere individuate le seguenti funzioni: funzione di nominadell’organo imprenditoriale; funzione di sostituzione dell’organo imprenditoriale; funzione di orientamentodell’attività strategica; funzione di avallo delle strategie impostate dal vertice; funzione di supervisionedell’attività dell’organo imprenditoriale; funzione di valutazione e destinazione dei risultati dell’attività(Ciappei, 1990, p. 142). Tali funzioni, proprio perché dotate di validità generale, possono essere consideratein relazione alla gestione finanziaria.La funzione generale di orientamento e supervisione dell’attività strategica produce inevitabilmentedelle ripercussioni di carattere finanziario. La decisione di realizzare certi progetti di investimento, leoperazioni di finanza straordinaria quali fusioni, trasformazioni e scissioni sono tutti esempi di sceltestrategiche destinate a condizionare in modo pesante la vita aziendale e quindi anche i suoi “equilibrifinanziari”. Inoltre, un importante compito è quello di controllo, di monitoraggio sulla capacità dell’impresadi soddisfare ad un livello almeno accettabile gli interessi dei titolari del capitale di rischio, qualunque sianotali interessi. Se, ad esempio, l’azionariato di comando che ha come scopo principale lo sviluppodell’impresa, esso terrà sotto controllo la capacità del vertice di gestire l’impresa in modo da produrre unelevato flusso di reddito e di raggiunge un elevato valore del ROE. Tale funzione è evidentemente collegataanche ad una funzione di ingerenza sulle scelte del vertice per apportare quei correttivi che sono ritenutinecessari.2.2 Gli equilibri economico-finanziari dell’assetto imprenditorialeL’assetto imprenditoriale rappresenta il vertice del potere decisionale e la fonte delle idee dominantiche, non solo fissa gli obiettivi, attribuisce valori, interpreta e governa la complessa realtà d’impresa, macompone, scompone e ricompone la sua unità. L’organo imprenditoriale assume, attraverso logiche proprie efunzioni specifiche, un ruolo fondamentale per il raggiungimento e mantenimento dell’equilibrio economicofinanziariodell’impresa.2.2.1 Le logiche economico-finanziarie dell’assetto imprenditorialeLa separazione fra assetto imprenditoriale e assetto proprietario è più frequente di quanto si possa aprima vista pensare anche nelle PMI italiane. Il fenomeno ha trovato ampio riscontro anche in campodottrinale: si pensi ad esempio all’opera di Fazzi, per citare il principale autore italiano. Tale autore ha messoin evidenza come i nuovi modelli imprenditoriali si caratterizzino per la rottura del legame personale fra234


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeifunzioni imprenditoriali e proprietà (Fazzi, 1982, p. 151) e quindi per la distinzione sempre più marcata frafigura e funzioni dell’imprenditore ed interessi del capitale.L’imprenditore segue dunque una propria logicae ha compiti propri da assolvere che non gli derivano dall’essere o meno proprietario; l’assettoimprenditoriale esiste con una sua fisionomia, con funzioni ed obiettivi propri. I tre momenti centrali checostituiscono la logica imprenditoriale sono riconducibili ai seguenti: idealizzazione delle caratteristiched’impresa, quasi prescindendo da ogni dato contingente; immaginazione dei percorsi di realizzazione;azione informata alla idealizzazione e alla visualizzazione anzidette (Ciappei, 1990, p. 136).La logica imprenditoriale tende dunque a “idealizzare” una determinata situazione d’impresa, tende cioèa formare un concetto più chiaro possibile delle caratteristiche d’impresa che si vogliono ottenere; in altritermini il vertice individua attraverso le proprie capacità e la propria immaginazione il rapporto impresaambienteche desidera instaurare e modella la struttura aziendale per ottenere il risultato sperato. È ilpensiero dell’imprenditore a dominare i modi di essere dell’impresa, è infatti il pensiero a formare un ideale,a costruire i sentieri mentali per la sua realizzazione, a informare l’azione. Il primo passo di questo processoconsiste dunque nell’immaginare un quadro, il più nitido possibile, della situazione aziendale desiderata, enell’individuare i sentieri percorribili per realizzarla. Una volta che l’idea si è formata e si è immaginato ilmodo di realizzazione è necessario diffondere tale “visione” fra tutti gli organi dell’impresa, facendoladiventare parte della sua identità culturale. All’interno di questa “visione imprenditoriale” un postoimportante è occupato dagli aspetti finanziari. In generale si può pensare che la situazione tipica a cuil’imprenditore aspira è quella di una azienda finanziariamente stabile capace di incrementare il valoredell’investimento dei titolari del capitale di rischio.La logica finanziaria del vertice può dunque, almeno in prima approssimazione, essere sintetizzata indue aspetti: la continua ricerca di un equilibrio finanziario economicamente raggiunto; il tentativo direndere massimo il valore dell’impresa.Il primo aspetto è già stato trattato. La liquidità rappresenta un obiettivo minimo nel senso che la finanzadeve garantire il raggiungimento di tale obiettivo con continuità, ma ciò non fa finire il compito dellafinanza, che deve contribuire al raggiungimento dello scopo di massimizzare il valore dell’impresa (Brealy eMyers, 1981).A tale proposito sembra essere diffusamente accettata la tesi proposta nella dottrina americana secondola quale creare valore per l’azionista significa creare valore per tutti. Secondo Copeland (1994, p.103)l’evidenza empirica indica che l’accrescimento del valore per l’azionista non confligge con gli interessi alungo termine degli altri stakeholder… le imprese vincenti creano infatti valore per tutti gli stakeholder:clienti, lavoro, pubblica amministrazione e fornitori di capitali. E ancora: gli azionisti sono i soli stakeholderche, cercando di massimizzare le loro rivendicazioni contemporaneamente massimizzano le rivendicazioni diciascun altro.In sostanza, la logica di massimizzazione del valore dell’impresa è una sorta di obiettivo generale chesembra accontentare la maggior parte dei pubblici che gravitano attorno all’impresa. tutti. Qual’è ilcontributo che l’area finanziaria può fornire al raggiungimento di tale scopo? Il management deve risolveredue fondamentali problemi. Primo, quanto e in quali attività specifiche dovrebbe investire un’impresa?Secondo, come raccogliere le risorse necessarie per gli investimenti?La risposta alla prima domanda rappresenta una decisione di investimento o di capital budgeting, quellarelativa alla seconda, una decisione di finanziamento. La bontà di una decisione si misura in funzione delvalore: i titolari del capitale di rischio beneficiano di qualsiasi decisione che sia in grado di aumentare ilvalore del loro investimento nell’impresa. Pertanto si potrebbe dire che una buona decisione di investimentoè una decisione che si traduce nell’acquisto di un’attività reale che vale più del suo costo, così come unabuona decisione di finanziamento consiste nel riuscire a vendere una passività finanziaria al massimo prezzopossibile e comunque superiore al suo valore. Si tratta di una regola semplice, ma difficilmente realizzabilein pratica. In generale comunque, se il vertice persegue una logica di massimizzazione del valore del valoredell’impresa, dovrà sempre valutare il riflesso che le sue strategie hanno nell’influenzare il valore di mercatodell’azienda. Un ricorso all’indebitamento, ad esempio, che influenza ha nel valore dell’impresa?Tale considerazione ha, inoltre, un valore solo di carattere generale. Essa infatti implica che ilmanagement dell’azienda operi nell’esclusivo interesse degli azionisti. Le scelte di investimento e difinanziamento sono cioè volte alla massimizzazione del valore dell’impresa. Di conseguenza, almenolimitatamente a tale presupposto, la struttura proprietaria e la separazione tra proprietà e controllo non hannoalcuna influenza sulle politiche finanziarie adottate. Non sempre però la realtà segue tale logica.Il rapporto che si instaura fra azionisti e management può essere interpretato attraverso la teoria dellerelazioni di agenzia. Tale teoria indaga la relazione contrattuale che si forma tra un principale e un agente in235


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeibase alla quale il primo assume l’altro perché presti servizi nel suo interesse. Questo tipo di relazione ècaratterizzata da: discrezionalità nel comportamento dell’agente; asimmetrie informative legate al fatto che ilprincipale non dispone delle informazioni di cui dispone l’agente, ma cerca di ricavarle osservandone ilcomportamento; squilibri nella distribuzione dei risultati e del rischio che grava quasi interamente sulprincipale e non sull’agente il quale gode solitamente di una remunerazione non vincolata ai risultatiraggiunti e privilegiata rispetto a quella del principale (Jensen e Meckling, 1976). La relazione con gliazionisti può infatti essere viziata dal nascere del moral hazard (opportunismo post-contrattuale dovuta allapossibilità che chi esegue cetre prestazioni possa perseguire propri interessi a spese della controparte)causato dal fatto che gli interessi dei manager possono divergere da quelli degli altri. Mentre infattil’interesse degli azionisti è in generale l’incremento del valore della loro ricchezza, l’interesse dei managerpuò essere indirizzato ad un miglioramento della loro posizione economica e/o del loro status sociale. Ilmanagement potrebbe ad esempio decidere di realizzare investimenti espandendo oltremisura le dimensioniaziendali solo per ragioni di prestigio, o perché ad essi è legata la sua remunerazione, acquistando macchineaziendali di lusso, rinnovando l’arredamento del proprio ufficio, ecc.. In questo caso i costi degliinvestimenti ricadrebbero sugli azionisti sotto forma di spese improduttive e quindi di un minor rendimentodel capitale. Inoltre il management potrebbe tentare in ogni modo di rimandare il più possibile ladichiarazione di fallimento dell’impresa al fine di continuare a godere dei vantaggi connessi alla propriaposizione, che svanirebbero invece con la sua cessazione. Un atteggiamento di questo tipo potrebbecomportare notevoli danni alla società in termini di aggravamento del dissesto e svalutazione dell’attivo,danneggiandone inoltre i creditori (Volpato, 1996, p. 694).2.2.2 I flussi finanziari relativi all’assetto imprenditorialeUn’importante funzione tipicamente imprenditoriale è quella strategica di impostazione e di soluzionedei problemi dello sviluppo aziendale. Per assolvere tale compito, il vertice individua dei poli di attenzioneda tenere sotto controllo per monitorare l’andamento aziendale e verificare il raggiungimento degli obiettivistabiliti. Come già ricordato da un punto di vista finanziario, i poli di attenzione, possono essere ricondottiessenzialmente ai seguenti flussi di risorse: il flusso di creazione della ricchezza; il flusso di distribuzionedella stessa. Il vertice aziendale deve dunque tenere sotto controllo sia il processo di creazione dellaricchezza che quello della sua distribuzione fra i vari pubblici che hanno contribuito a produrla. A livelloimprenditoriale, le dinamiche di creazione e distribuzione della ricchezza possono essere analizzate facendoricorso al concetto di valore aggiunto. Con questo termine si intende la capacità dell’impresa di creare,attraverso la propria attività, maggiore ricchezza rispetto ai fattori produttivi acquistati da terzi e consumati.Il valore realizzato è poi impiegato per remunerare i diversi fattori produttivi impegnati all’internodell’impresa. Tra i fattori produttivi sono inclusi il personale (retribuzioni), la struttura tecnica(ammortamenti), i finanziatori esterni (oneri finanziari), il fisco (imposte) e il capitale di rischio (reddito). Ladeterminazione del valor aggiunto richiede una riclassificazione del conto economico secondo il modello avalore della produzione e valore aggiunto precedentemente illustrato. Di seguito si evidenzia come il valoreaggiunto rappresenti l’elemento di “congiunzione” tra le dinamiche di creazione e distribuzione di ricchezza.UN = VP – CEst – CPer – CAmm – OFin – Imp –PFin + P/O Acc + P/O StrVP – CEst = VALORE AGGIUNTO OPERATIVO = UN + CPer + CAmm + OFin + Imp –PFin + P/O Acc + P/O StrVP – Cest + PFin + P/O Acc + P/O Str = VALORE AGGIUNTO COPLESSIVO = UN + CPer + CAmm + OFin + ImpCreazione ricchezzaDove:VP = Valore ProduzioneCEst = Costi esterniPFin = Proventi finanziariP/O Acc = Proventi e oneri della gestioneaccessoriaP/O Str = Proventi e oneri della gestionestraordinariaDistribuzione ricchezzaUN = Utile nettoCPer = Costi PersonaleCAmm = Costi AmmortamentiOFin = Oneri finanziariImp = Imposte236


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl valore aggiunto operativo rappresenta la creazione di ricchezza realizzata dall’impresa attraverso losvolgimento della propria attività operativa e, quindi, fornisce indicazioni di notevole importanza perinterpretare l’andamento della gestione. Il valore aggiunto complessivo indica, invece, la ricchezzaglobalmente generata dall’impresa nell’esercizio (sia attraverso la gestione ordinaria, sia per mezzo di eventistraordinari) ed effettivamente ripartibile per la remunerazione dei fattori produttivi interni. La suddivisionedel surplus disponibile merita un esame attento da parte del vertice strategico al fine di mantenere un correttoequilibrio tra i vari pubblici evitando fenomeni di sotto o sovra-remunerazione. A questo scopo può essereutile disporre di un prospetto capace di evidenziare le modalità di ripartizione del valore aggiunto nel tempo(Giunta, p.1999, n.2, p. 77). In generale, ogni fattore produttivo presente in azienda produce flussi negativi dirisorse (o fabbisogni) legati alla sua acquisizione e flussi positivi di ricchezza generati dal suo utilizzo. Iltempo che mediamente intercorre fra il momento dell’acquisto del fattore (e del conseguente pagamento percontanti o sorgere del debito) e il momento in cui il suo impiego produce un movimento finanziario positivo,rappresenta il ciclo finanziario della risorsa.2.2.3 Le funzioni finanziarie a livello strategico-imprenditorialeLe questioni di carattere finanziario presentano generalmente un alto grado di accentramento a livello divertice imprenditoriale e assetto proprietario. Il motivo deve ravvisarsi nella delicatezza e nell’importanzaspesso vitale di quelle decisioni ai fini della sopravvivenza e dello sviluppo dell’impresa. Le operazioni diinvestimento, da un lato, imprimono una rotta generalmente non più modificabile nel breve periodo in ordinealla capacità produttiva disponibile, ai prodotti e ai servizi offerti, alle tecnologie utilizzate; dall’altro,costituiscono un impiego duraturo di risorse, capace di incidere in modo determinate sulla formazione esull’acquisizione di altre risorse. Anche le decisioni relative alle fonti di finanziamento rappresentano spessomomenti cruciali per l’impresa sia per i vincoli che il capitale a credito rappresenta che per le implicazioniche si possono avere sul piano dei rapporti di potere e di proprietà. Al momento dell’impostazione dellestrategie le valutazioni di carattere finanziario risultano quindi fondamentali. È compito del vertice diimpostare e rendere effettiva l’attività di pianificazione finanziaria, attività svolta naturalmente sotto “ilcontrollo” dell’assetto proprietario.La pianificazione finanziaria rappresenta un momento particolare di tutto il processo di pianificazioneaziendale che consiste nel processo nel quale vengono posti gli obiettivi da raggiungere negli anni futuri incongruenza con le risorse disponibili e con le opportunità offerte dal mercato (Gulisano, 1995, p. 34). Non hadunque senso parlare di pianificazione finanziaria in maniera slegata alla pianificazione relativa alle altrefunzioni aziendali. L’implementazione delle strategie pianificate richiede, inoltre, un’attività dicoordinazione dei vari centri decisionali fra i quali c’è naturalmente il manager finanziario. Risulta infinefondamentale in campo finanziario la funzione di armonizzazione degli interessi dei vari gruppi di pressionecollegati all’impresa. Il vertice deve infatti decidere il modo in cui ripartire la ricchezza aziendale generatadalla gestione fra i vari “fattori produttivi” che hanno contribuito a realizzarla. Occorre, ad esempio,riconoscere al capitale di rischio una quota “ragionata” del flusso reddituale di bilancio e analogamente ènecessario vincolare una ulteriore quota al contesto aziendale per finanziare la sua crescita. In generale,occorre garantire un sufficiente livello di soddisfazione per ogni pubblico che gravita attorno all’impresa.Come già ricordato, l’assetto imprenditoriale deve occuparsi sia del flusso di creazione della ricchezza che diquello della sua distribuzione.2.3 Gli equilibri economico-finanziari dell’assetto produttivoL’assetto produttivo è composto dal complesso di informazioni, finanziamenti, persone e mezzimateriali destinati a permanere nell’impresa per periodi non brevi, e necessari per lo svolgimento dell’attivitàeconomica. Ogni impresa richiede infatti per lo svolgimento della propria attività una serie di investimenti inrisorse durature quali gli impianti, i fabbricati, le persone, le informazioni, ecc..2.3.1 Le logiche economico finanziarie dell’assetto produttivoLa struttura direzionale che si occupa dell’area finanziaria fa propri gli obiettivi stabiliti dal vertice e litraduce in sotto obiettivi strumentali al raggiungimento degli stessi. In particolare, l’obiettivo di fondo dellafunzione finanza, è quello di garantire l’esistenza dell’equilibrio finanziario.237


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiPer raggiungere tale scopo, a livello di assetto produttivo, l’attenzione è generalmente concentrata suiseguenti aspetti (Ferrero, 1984, p.6): il mantenimento o il perseguimento di idonei equilibri strutturalifinanziari;l’economica amministrazione del capitale “comunque acquisito”.La relazione esistente fra struttura finanziaria e liquidità aziendale è stata già analizzata; in questa sede èopportuno ricordare come nell’asseto produttivo si cerchi di raggiungere un equilibrio globale nella strutturaattraverso i seguenti equilibri parziali: il mantenimento o il perseguimento dell’equilibrio nell’ambito dellefonti, per quanto attiene ai mezzi finanziari, di origine esterna o interna, acquisiti con vincoli differenti; ilmantenimento o il perseguimento dell’equilibrio nell’ambito degli impieghi, per quanto attiene all’originedei fabbisogni da coprire tenuto conto delle relazioni convenientemente istituibili tra “capitale circolante” e“capitale immobilizzato”; il mantenimento o il perseguimento dell’equilibrio tra fabbisogni di capitale emezzi di copertura sul piano delle rispettive durate e per quanto attiene ai connessi caratteri di varia elasticità(o anelasticità) della struttura finanziaria.Il raggiungimento di tali equilibri parziali non garantisce comunque il raggiungimento dell’equilibrioglobale. Non viene infatti considerata nelle precedenti osservazioni la dinamica temporale dei flussifinanziari sia in entrata che in uscita. Lo studio e la gestione di tale dinamica è fondamentale per garantire laliquidità dell’impresa in ogni istante. L’equilibrio finanziario è raggiunto non solo attraverso la gestione digrandezze stock, ma anche, e soprattutto, attraverso la gestione di grandezze flusso. La liquidità deve inoltreessere compatibile con un’equilibrata situazione economica; non è cioè sufficiente garantire la solvibilitàcontinua, occorre anche evitare che tale obiettivo sia raggiunto in modo scriteriato, senza tenere inconsiderazione i costi sostenuti.È necessario quindi, anche amministrare economicamente il capitale “comunque acquisito”sorvegliandone l’impiego sia per esigenze di rimborso, sia per esigenze di investimento (Ferrero, 1984, p. 7).Le esigenze di rimborso, che dipendono da condizioni contrattuali e da circostanze di fatto, non devonoappesantire, oltre i limiti della convenienza, l’onerosità del capitale stesso acquisito. Le esigenze diinvestimento devono tener conto da un lato della congrua onerosità e/o fruttuosità delle scorte liquidemantenute nella specie e nei livelli di conveniente disponibilità, dall’altro della funzione economica allaquale si mantengono vincolati gli investimenti che si trovano in attesa di realizzo sia diretta che indiretta.Indiretta nel senso che, ad esempio, occorre ridurre i “fabbisogni superflui” che costituiscono immobilizzi dicapitale non richiesti dall’economico svolgimento della gestione e come tali forieri di negativi influssi sullaredditività della stessa.Il ritardo nel regolamento degli scoperti di conto, la “scarsa movimentazione dei saldi” nei conticorrenti, l’affrettata ed antieconomica provvista di fondi destinabili all’ammortamento di prestiti di lungascadenza, costituiscono degli esempi di inefficienze finanziarie, che in misura più o meno sensibile, sonosintomi di peggioramenti nella redditività dell’impresa.Il classico indice di bilancio che deve essere dunque tenuto sotto controllo è il ROD, calcolato comerapporto fra gli oneri finanziari sostenuti dall’impresa e l’indebitamento medio della stessa. Tale indicemisura il costo medio sostenuto per utilizzare finanziamenti esterni, e quindi può essere utilizzato comemisura del costo che l’impresa deve sostenere per operare in condizioni di liquidità. Il livello ottimale delROD, viene individuato in base alla specifica situazione dell’impresa, ma in generale si ritiene che esso nondebba essere superiore alla reddititità prodotta dalla gestione tipica dell’impresa (espressa dal ROA). In taleipotesi infatti l’impresa non riuscirebbe a far fruttare i mezzi finanziari presi a prestito in misura maggiore alloro costo.In sostanza, la principale logica di comportamento del management finanziario deve dunque essereindividuata nella continua ricerca del binomio liquidità-redditività.2.3.2 I flussi finanziari dell’assetto produttivoA livello produttivo, la principale funzione di tipo finanziario consiste nel rendere operative le strategiefinanziarie impostate dal vertice.I flussi finanziari che interessano tale assetto sono sostanzialmente simili a quelli che sono stati visti peril vertice aziendale. La principale differenza risiede essenzialmente nel fatto che a livello di assettoproduttivo non interessa tanto avere una visione generale e di sintesi dei diversi flussi, ma soprattuttoanalizzarli in modo più analitico possibile.L’assetto operativo si occupa quindi dello studio dei flussi finanziari generati dalle singole operazioni.A differenza del livello di analisi strategico, quello operativo è caratterizzato da una visione meno globaledella dinamica finanziaria, e più esattamente per una visione che si “articola” fino al flusso di cassa prodotto238


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidalle singole operazioni aziendali. Compete, ad esempio, all’assetto operativo la gestione dei flussi collegaticon un’operazione di finanziamento bancario, o con una emissione di prestito obbligazionario (pagamentoperiodico degli interessi, rimborsi,....).2.3.3 Le funzioni finanziarie dell’assetto produttivoNon tutte le politiche e le decisioni che hanno riflessi finanziarie sono infatti di esclusiva competenzadel management finanziario. A tale riguardo è possibile distinguer e (Ferrero, 1984, p. 3 e ss) fra: compiti digestione diretta; compiti di controllo finanziario; compiti misti. I compiti di gestione diretta sono quelli diimmediata ed esclusiva competenza del management finanziario. Tali funzioni comprendono ad esempio lagestione delle fonti esterne di finanziamento, ossia l’acquisizione di capitale nelle sue diverse forme e duratee i relativi impieghi di capitale per l’estinzione di debiti, recesso di soci, pagamento dei dividendi, ecc...Rientra fra tali compiti anche la gestione della tesoreria che è in sostanza formata dalla gestione delleliquidità disponibili in azienda (formazione di scorte liquide, investimenti temporanei in valori mobiliari arapido smobilizzo).Il controllo finanziario riguarda invece essenzialmente due aspetti: analisi di investimenti epianificazione finanziaria. L’analisi degli investimenti direttamente gestiti da altre aree funzionali: si pensiad esempio allo studio critico dei progetti di investimento in beni strumentali, o all’esame delle conseguenzefinanziarie relative alle scelte di mantenere scorte di sicurezza. La pianificazione e programmazionefinanziaria della composita attività aziendale che significa in primo luogo nel controllare la fattibilitàaziendale dei piani aziendali, nel redigere un piano finanziario che individui le modalità più convenienti diraccolta dei mezzi finanziari necessari e nel controllare la realizzazione di tali piani.I compiti misti sono funzioni congiunte di controllo e di gestione diretta, essi riguardano ad esempio lagestione dei crediti, la gestione dei fondi quiescenza. La gestione dei crediti, per la quale l’area della finanzasvolge da un lato funzioni di controllo sugli investimenti in crediti decisi dalla funzione di marketing in basealle proprie strategie, e dall’altro è coinvolta con la gestione dal momento in cui i crediti concessirappresentano con la loro estinzione; si tratta ad esempio di decidere un loro smobilizzo attraverso varieforme come il factoring, o l’ormai desueto sconto. La gestione dei fondi di quiescenza, che richiedonocompiti amministrativi svincolati da ogni manovra finanziaria, dal momento che la loro movimentazioneavvengono a “condizioni vincolate”; tuttavia la finanza si occupa generalmente di controllare i flussicollegati al TFR e la loro influenza sulla struttura finanziaria in quanto dall’esistenza di tali fondi dipende,molto spesso anche in misura rilevante, il livello globale d’indebitamento dell’impresa. Il fondo TFRrappresenta infatti, come vedremo, una forma di finanziamento per le imprese; nel caso in cui tali soldi nonfossero disponibili, occorrerebbe rimpiazzarli con finanziamenti esterni come ad esempio di tipo bancario.Le precedenti funzioni finanziarie richiedono per la loro realizzazione la presenza di una strutturaorganizzativa. In generale la divisione dei compiti fra i vari organi delegati dipende da un insieme di fattorispecifici di ogni situazione quali la dimensione dell’organico e la propensione al decentramento decisionale.Nelle imprese che dispongono di sufficiente organico ed in cui vi è una elevata propensione ladecentramento funzionale si può immaginare una struttura articolata nelle seguenti aree di responsabilità:pianificazione finanziaria, gestione dei crediti, gestione di tesoreria, operazioni di finanziamento, analisidegli investimenti.I compiti di tipo finanziario svolti a livello di assetto produttivo possono essere fondamentalmentesuddivisi in tre compiti principali (Rullani, 1984):1. identificare il fabbisogno finanziario generato dalle varie risorse impiegate o impiegabili nell’attivitàaziendale;2. identificare la quota del fabbisogno coperta dall’autofinanziamento prodotto dalla gestioneindustriale;3. individuare le fonti finanziarie addizionali (di natura esterna) che permettano di generare unammontare di disponibilità tale da coprire insieme alle risorse interne (autofinanziamento) ilfabbisogno finanziario complessivo;4. contribuire alla realizzazione di una programmazione finanziaria dei fabbisogni e delle disponibilità,in modo da far corrispondere nel tempo il ciclo finanziario degli investimenti nelle diverse risorsecon il ciclo finanziario delle disponibilità.I flussi non monetari rappresentano degli impieghi di risorse che generano un fabbisogno, come gliinvestimenti in crediti, rimanenze di prodotti, materie, semilavorati e in altri componenti dell’attivo a breve(ad esempio ratei e risconti attivi). Sono inoltre fonti di finanziamento generate dall’aumento dei debiti di239


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeifornitura e di altre componenti passive a breve (ad esempio ratei e risconti passivi). I flussi definiti “nonmonetari” sono flussi di finanziamento che nascono già investiti nell’ambito della gestione: non sono dunquerisorse monetarie prodotte dall’attività dell’impresa che sono disponibili ad un certo momento sotto forma didenaro liquido che l’impresa deve decidere come investire, bensì di risorse prodotte e investite in crediti, e inrimanenze. Il flusso monetario di autofinanziamento non coincide dunque con il livello di profitto reinvestitoconseguito dall’impresa. Esso dipende anche dal volume dei ricavi che non si sono ancora tradotti in entrate,dall’entità dei costi che non hanno ancora dato luogo ad uscite, dall’intervallo temporale che intercorre fra ilsostenimento dei costi e la formazione dei ricavi (Brugger, in Pivato, 1987, pp. 802 e ss). Da un punto divista propriamente finanziario, buona parte dei problemi relativi alla gestione corrente riguarda appunto ilcontrollo degli impieghi in capitale circolante.Il flusso netto di autofinanziamento può essere (Ferrero, 1984, passim): negativo, nullo o positivo. Senegativo, il finanziamento da ricavi è insufficiente rispetto ai fabbisogni della gestione. In altre parole,l’attività dell’impresa non è in grado di creare autonomamente le risorse per autoalimentarsi e per coprire icosti di esercizio e ciò comporta la necessità di ricorrere a finanziamenti esterni. Se nullo la gestione riesce aprodurre risorse che sono in grado di fornire una copertura limitata ai soli fabbisogni; i due flussi“complementari” - il cash flow il corrispondente flusso netto non monetario risultano di pari importo ma disegno opposto (l’uno positivo e l’altro negativo). In altri termini i ricavi sono in grado di coprire solo i costidi gestione. Se positivo: in tal caso la gestione oltre ad essere in grado di produrre risorse che coprono ifabbisogni della stessa è anche capace di produrre un flusso residuo che segnala propriamente unautofinanziamento avente origine economica in flussi, “economicamente esistenti”, di “rigenerazione” delcapitale investito e di autoproduzione di risorse di capitale.In tale caso, la gestione corrente riesce anche a contribuire alla copertura di ulteriori fabbisogni monetarinon legati all’attività corrente; si tratta dei fabbisogni generati dagli investimenti in capitale immobilizzato oper eventuali crediti o “rimanenze” prodotte dalle altre aree di gestione.Restano a questo punto da determinare le caratteristiche del flusso di autofinanziamento sia in termini dicosto che di ciclo finanziario. Generalmente l’autofinanziamento è rappresentato da mezzi che: non costanoall’impresa, se non indirettamente in quanto una volta reinvestiti in azienda non possono essere impiegati inalternative forme di investimento; si tratta quindi di un costo opportunità (in alcuni casi l’autofinanziamentopuò produrre anche un costo esplicito per l’impresa. Se ad esempio il reinvestimento di utili, che produce unaumento delle riserve, viene utilizzato per l’emissione gratuita di nuove azioni, si possono creare negliazionisti delle aspettative di maggiori dividendi in futuro. In tale ipotesi l’impresa deve mettere anche inconto di aumentare negli esercizi futuri i dividendi ai titolari del capitale azionario); hanno generalmente unadurata abbastanza lunga.240


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiCAPITOLO OTTAVOCONTESTO DEGLI INTERESSI SOCIO-ECONOMICI E CONTESTO DEGL<strong>II</strong>NTERESSI SOCIO-AMBIENTALI1. Il contesto degli interessi socio-economici1.1 Il valore aggiunto nel contesto degli interessi socio-economiciIl contesto degli interessi socio-economici viene qui identificato nella ripartizione economicofinanziariadella ricchezza generata dall’impresa. Ricchezza primariamente identificata nel valore aggiunto alcontempo: differenza tra i ricavi totali e costi esterni; somma della remunerazione dei fattori interni.L’interpretazione del contesto in esame richiede la considerazione del valore aggiunto come oggetto diuna ripartizione non dovuta esclusivamente a forze di mercato, ma, in parte, impostata anche da un progettoimprenditoriale. L’imprenditore dovrebbe avere cioè un certo margine di manovra nel decidere laretribuzione di coloro che apportano fattori produttivi. Insomma quanto assegnare ai dipendenti, agliazionisti, ai finanziatori, alla rigenerazione dell’azienda. Tale discrezionalità dell’imprenditore èevidentemente limitata sia da condizioni di mercato, sia dal rispetto di specifiche normative. Il margine dimanovra dipende quindi essenzialmente dall’eccedenza del valore aggiunto prodotto rispetto a quelloallocato in via eteronoma dal mercato o da regolamenti legislativi o contrattuali.In questo senso, la ripartizione del valore aggiunto rappresenta l’altra faccia della creazione del valore diimpresa. Se logicamente il primo problema imprenditoriale riguarda la modalità, essenzialmente strategica,di creare valore, il secondo concerne infatti la modalità, essenzialmente politica, di ripartire il valore stesso.Tradizionalmente l’analisi del valore aggiunto rappresenta il crinale contabile tra l’interno e l’esternodell’impresa. I prezzi pagati a fornitori sono esterni e vanno tolti ai ricavi per determinare il valore aggiunto,mentre la remunerazione dei fattori è interna e va sommata per arrivare allo stesso valore.Una tale impostazione acquista <strong>nuovo</strong> smalto nelle teorie istiuzionali di organizzazione e mercato. Inparticolare, leggendo Williamson in termini contabili il profitto non può essere considerato il valoreresiduale, in quanto la residualità si deve estendere fino almeno al valore aggiunto (ovvero, quello checonsidera i costi esterni propriamente detti). Infatti, secondo Williamson esistono due istituzioni cheregolano la produzione: il mercato e l’organizzazione.Il mercato, da parte sua, implica solo costi variabili da sostenere solo quando si devono necessariamentefare acquisti a fronte di un bisogno. L’organizzazione, invece, implica costi fissi che devono esserecomunque sostenuti per sostenere la propria capacità produttiva.Tuttavia, accanto a queste posizioni estreme l’autore sostiene che possano verificarsi anche situazioniintermedie e precisamente situazioni di quasi-mercato e di quasi organizzazione.Ad esempio, il rapporto con i sub-fornitori è un rapporto di quasi-mercato perché pur essendo soggettiesterni sono legati all’imprenditore da una relazione di stretto coordinamento, in cui si inseriscono elementidi organizzazione. Oppure si ha un rapporto di quasi-organizzazione allorquando si mettono in contatto dueelementi della stessa impresa con prezzi di trasferimento riferiti al mercato. In questo caso si simula ilmercato dentro l’organizzazione.La teoria di Williamson si conclude con una riflessione in merito ai costi di transazione, ovvero ai costidi accesso e di regolazione delle attività attraverso modalità posizionate lungo un continuum le cui formelimite sono il mercato e l’organizzazione.241


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiAdottando un ottica istituzionale di organizzazione mercato è possibile ricostruire varie configurazionidi valore aggiunto in relazione al contingente rapporto che l’impresa ha nella ripartizione del valoregenerato.La presente riflessione nasce dalla considerazione del fatto che l’attuale configurazione del valoreaggiunto non fa sufficiente chiarezza sul ruolo di alcune figure nella partecipazione alla ripartizione delvalore generato dall’impresa.La riflessione si può articolare su due punti:• la ricomprensione o l’esclusione di taluni interlocutori dalla determinazione del valore aggiunto;• la ripartizione all’interno di ciascun elemento di remunerazioni di mercato e remunerazioni dicoordinamento.Un primo punto di riflessione è quello di considerare che l’imprenditore ha un differente poterecontrattuale verso le differenti categorie di stakeholders aziendali e che questi hanno un diverso approcciocollaborativo o competitivo nei confronti dell’impresa. Ad esempio, con riferimento ad i costi esterni ingenerale non si presta sufficiente attenzione alla distinzione che c’è tra i fornitori ed i sub-fornitori: mentre iprimi, infatti, rappresentano costi tipicamente esterni, i secondi, in quanto si suppone facciano parte di unacostellazione, sono legati all’imprenditore anche da un rapporto partecipativo. Oppure, al contrario certiapportatori di capitale di credito tradizionalmente considerati esterni.Un secondo punto di riflessione appare più problematico in quanto intende scindere la remunerazionedei fattori tra le componenti di mercato e le componenti di coordinamento. Insomma verificare l’idea che nonsolo la proprietà è destinataria di un extraprofitto, ma anche altri fattori sono potenzialmente aggiudicatari diun extraremunerazione derivante dal partecipare attivamente al coordinamento impostato dal progettoimprenditoriale. In questi termini, assumento dall’ottica classica che dal valore aggiunto è escluso tutto ciòche nasce da una visione di puro mercato, inteso come “sistema discrezionale di scambio” (Williamson,1989), si finisce per ricomprendervi la sola remunerazione extra dovuta al coordinamento. Questaconfigurazione viene qui chiamata “valore aggiunto dal coordinamento”.In entrambi i punti di riflessione la prospettiva del solo profitto non è più sufficiente e la distinzione trainterno ed esterno non è così netta e definibile a priori in quanto il valore aggiunto va anche a retribuirefigure in cui si rilevano anche elementi di coordinamento, ovvero alcuni fattori il cui prezzo si determinasolo in parte in base al mercato ed in parte in base ad accordi di medio lungo periodo (come ad esempio ilcaso dei sub-fornitori). Se non si scambia in virtù di un prezzo determinato attraverso il solo mercato, ma taleprezzo deriva anche da un progetto condiviso, allora la teoria della ripartizione del valore aggiuntodev’essere rivisitata.Non tutte le figure di stakeholders partecipano alla ripartizione del valore aggiunto secondo un sistemacontrattuale definito mediante il mercato. A questo proposito, secondo una scala di riferimento sempre piùesclusivo ai prezzi di mercato per la remunerazione, si può riscrivere l’ordine degli stakeholders elencatiprecedentemente nel modo seguente: 1) ammortamenti; 2) Autofinanziamento; 3) Azionisti; 4) Dipendenti;5) sub-fornitori; 6) Finanziatori.Mentre, infatti, relativamente agli ammortamenti, l’autofinanziamento e gli azionisti, la partecipazioneal progetto imprenditoriale è forte e la determinazione del prezzo di remunerazione è determinato conparticolare riferimento all’organizzazione, quando si considerano i dipendenti, i sub-fornitori ed i finanziatoriil riferimento ai prezzi di mercato diventa sempre più determinante.Nel contesto degli interessi socio-economici due stakeholder assumono particolare rilievo: gli azionisti ei lavoratori. Gli azionisti sono trattati nel polo dei valori economico-finanziari, qui si affronta il tema deirapporti con i lavoratori che in termini collettivi prendono il nome di relazioni industriali.A ben vedere solo la parte retributiva di tali relazioni rientra nel contesto socio-economico in sensostretto, mentre quella normativa (riguardante orari e altre modalità di svolgimento della prestazione) travalicatale contesto. In effetti le relazioni industriali rappresentano il principale archetipo di governo di interessinegoziabili a cui si informano anche le interpretazioni dei rapporti con gli altri stakeholders.1.2 Le relazioni industriali e il conflitto nell’impresaFin dalla sua origine la teoria delle relazioni industriali (Commons, 1934) ha riguardato il ruolo delconflitto e della cooperazione nelle organizzazioni centrato sul governo delle relazioni con il personale vistocome interlocutore collettivo.I rapporti lavoratori/imprese sono considerati come relazioni mosse da un mix di motivazioni (Walton eMcKersie, 1965). Da un lato, i membri dell’impresa sono motivati da interessi contrapposti, mentre dall’altro242


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeisono legati obiettivi comuni. In questo senso, il fine normativo della teoria delle relazioni industriali stadunque nel promuovere negoziazioni, risoluzione di conflitti o processi gestionali che possano portareall’ordinaria composizione delle confliggenti aspettative (Walton e McKersie, 1965), come pure alla ricercadi soluzioni per tutti soddisfacenti (Sani, 1996, p.25). Quindi “l’enunciato teorico che emerge con più forzada queste primi capisaldi della teoria delle relazioni industriali, è che la gestione efficace e la soluzione delconflitto contribuisce all’efficacia dell’impresa ed al benessere individuale” (Kochan e Verma, 1983, p.18).E’essenziale comunque che la configurazione di interessi ora comuni, ora divergenti sia analizzata, in modoche la prospettiva negoziale possa ottenere un qualche potere analitico.La comprensione “politica” delle dinamiche aziendali è quindi completa e fornisce le basi per andareverso una fondazione teorica del conflitto/consenso, che poi possa permettere di muoversi anche ad unlivello di astrazione teorica inferiore. Tradizionalmente (Kochan e Verma, 1983, p.19-20) si identificanocinque enunciati costituenti al base della comprensione politica delle dinamiche aziendali, prospettiva cheintegra la rappresentazione politica dell’impresa con la teoria del conflitto e quella della negoziazione comeprincipale soluzione dello stesso.In primo luogo, le imprese sono costituite, per loro natura, un insieme di interessi eterogenei: ipartecipanti condividono alcuni interessi, mentre ne hanno altri che confliggono. Ed è proprio la differenteorigine di tali interessi che fornisce la motivazione per negoziare e per dar vita a forme più cooperative didecision-making.Secondariamente, gli obiettivi o gli interessi che separano le parti possono variare considerevolmente.Da divergenze negli scopi che originano da diversi interessi economici o dai diversi ruoli strutturali che leparti occupano e rappresentano nell’organizzazione, si arriva a percezioni delle differenze socialmentecostruite o comunque altamente soggettive ed interpersonali.In terzo luogo, per capire le dinamiche delle interazioni tra i partecipanti dell’organizzazione, bisognafare affidamento al concetto di potere (Pfefer, 1981 e 1992; Sani, 1996, p.27;). Infatti, qualsiasi analisiorganizzativa che consideri il conflitto, la sua soluzione e, specialmente l’uso della negoziazione, necessitaassolutamente di considerare il potere, sia come meccanismo di interazione tra i vari attori del contestopolitico, sia come importante fonte di influenza utile nel processo decisorio. Nella teoria delle relazioniindustriali, quindi, si tratta il potere come un aspetto fondamentale della negoziazione che aiuta ad arrivarealla definizione di un contratto di lavoro tra datori di lavoro e lavoratori.Inoltre, un quarto assunto è che bisogna considerare le forme di conflitto aperto come il prodottonaturale delle negoziazioni: mentre l’occorrenza del conflitto non può avere in se stessa una valenza positivao negativa in quanto si relativizza all’effetto che esso determina in ognuno dei soggetti aziendali, lamancanza di procedure per la soluzione dei contenziosi, porta a livelli di performance sicuramente inferiori.Infine, la valutazione dei risultati di un conflitto di una negoziazione o di altri processi organizzativideve essere fatta in termini di contributo che essi danno ai fini delle differenti parti; quindi, solo nel caso incui le varie parti condividano gli stessi obiettivi, l’efficacia organizzativa può essere giudicata con un singolocriterio (Sani, 1996, p.28).Tab. 1 Le teorie sul conflittoLE TEORIE SUL CONFLITTOInnanzitutto, il conflitto è visto dai teorici marxisti come inerente i divergenti interessi delle varie classisociali. I teorici delle relazioni industriali pluralisti rimarcavano la differenza di ruoli (Dahrendorf, 1959;Commons, 1934; Kochan, 1980), di interessi economici e quindi di scopi alla base delle controversie. Leimpostazioni più vicine al paradigma politico, ponevano l’accento anche sulle percezioni, le convinzioniindividuali così come sulle tensioni personali e intergruppi. La posizione di Brown (Brown, 1983), invece, èincentrata sulle tensioni sociali, culturali, politiche che provengono dalla società, la quale ha, quindi, deiconcreti riflessi sull’impresa. Quindi, maggiore è l’eterogeneità e maggiore è il conflitto. Altri, tra i quali,Bazerman/Neale (Bazerman e Neale, 1983) e Greenhalgh/Neslin (Greenhalgh e Neslin, 1983) esplorano levariabili fondanti in relazione agli stili cognitivi, ai sistemi di valori, alle preferenze, che sono tutte variabilidi livello individuale importanti per capire le origini del conflitto nelle interazioni aziendali. (Fonte: Sani,1996, p.28-29).243


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiChiarite le dinamiche conflittuali, l’analisi del contesto politico dev’essere integrata con lo studio dellesoluzioni/strumenti con cui i conflitti si possono risolvere al fine di raggiungere il consenso sociale. L’analisidella distribuzione delle risorse e del potere tra i partecipanti, nonché delle tattiche e strategie d’influenza chequesti scelgono devono essere prioritariamente comprese al fine di interpretare correttamente le azioni chepossono condurre a concrete decisioni.Un prerequisito per la negoziazione è infatti l’assunto che ogni gruppo di interesse deve avere unqualche potere sugli altri; senza interdipendenza o condivisione del potere una parte potrebbe unilateralmentedecidere il risultato senza negoziare. Da qui discende che maggiore è la disuguaglianza nella distribuzionedel potere, maggiori saranno le determinazioni non negoziate e più alta sarà la probabilità che la parte piùpotente sopprimerà o ignorerà le differenze di interessi.Relativamente agli strumenti per la soluzione dei conflitti si osserva che l’attenzione è posta oltre allanegoziazione, che rimane il mezzo principe, anche ad altre modalità di mediazione come gli arbitrati, allecorti interne od ad appositi manager investiti della gestione della micro-conflittualità. Recentemente, si èsviluppato il ricorso a programmi aziendali che, coinvolgendo lavoratori e datori di lavoro, si propongono dipromuovere una maggiore comunicazione, un maggiore impegno, una maggiore motivazione ed uncoinvolgimento più forte dei singoli lavoratori, al fine di superare i costi di relazione all’interno dell’impresa(Sani, 1996, p.31). Queste iniziative si sono basate sulle tecniche di sviluppo organizzativo di addestramentodelle persone nella soluzione di problemi, sulla costituzione di teams, sul raggiungimento di decisioniconsensuali. La gestione delle risorse umane (HRM), che attualmente sembra orientata in modo più decisoverso programmi di ispirazione globale (come il cosiddetto empowerment), anziché affidarsi a strategiepuntali e volte allo sviluppo di specifici skills, dimostra la consapevolezza della scarsa idoneità delle formestandard di negoziazione forse non sempre si adattano ai cambiamenti organizzativi ed alle questioni nonfinanziarie che richiedono la modificazione delle consolidate percezioni dei ruoli dei lavoratori, supervisori,managers e della condivisione delle informazioni e della conoscenza.In ogni caso, nel perseguimento di queste intenzioni la maggior parte delle imprese (e dei sindacati)hanno imparato a tenere distinti le negoziazioni contrattuali dai più flessibili processi di partecipazione deilavoratori. Si cerca di usare cioè la negoziazione nelle questioni altamente distributive che rientrano nellospettro tradizionale della contrattazione collettiva, integrandole con le pratiche HRM che si diffondono piùinformalmente nel posto di lavoro. Il mantenimento della convivenza tra questi due approcci è comunqueuna cosa ardua: esempi di malfunzionamento si hanno nei casi in cui i datori di lavoro si rivolgonodirettamente ai loro dipendenti per negoziare, mediante le strutture ed i processi tradizionali, concessioni evantaggi economici (congelamenti di retribuzioni, cambiamenti del modo di lavorare, differimenti e così via)(Sani, 1996, p.32).Le relazioni industriali sono considerate relazioni complesse in quanto sono formate dall’insieme dirapporti che creano il contesto di cessione e di uso del lavoro subordinato (Giudici, 1995, p.3). Talirelazioni, inoltre, si sviluppano sostanzialmente su tre piani (economico, politico ed ideologico) di cui quelloeconomico costituisce la determinate principale. In questo senso, infatti, si afferma che le relazioni industrialirappresentano un sistema in cui vari attori agiscono operando transazioni che implicano riflessi su più piani;le condizioni contestuali dell’ambito d’azione, tuttavia, dimostrano la netta rilevanza di variabili ambientalibasate su interessi precipuamente economici.L’oggetto delle relazioni industriali attiene l’area dei rapporti “che intercorrono tra l’azienda ed ilavoratori sul piano collettivo” (Giudici, 1995, p.6). Tali interrelazioni si caratterizzano per il grado dicomplessità e per la contrapposizione di interessi. Un visione in cui da una parte “l’impresa cerca diacquisire il fattore lavoro ad un prezzo più basso possibile” e dall’altra ogni lavoratore (nella dimensione siaindividuale sia collettiva) cerca di vendere la propria capacità lavorativa professionale ad un prezzo più altopossibile è sicuramente riduttiva, ma coglie l’essenza storica del fenomeno. Questa contrapposizione diinteressi (che non è esclusiva dell’impresa privata capitalistica, ma è rilevabile in ogni tipologia di impresa) ècomunque disciplinata da una serie di norme che agiscono, contemporaneamente, come vincolo e come fontedi libertà sia per l’impresa che per i lavoratori.In quest’ottica, quindi, “il fondo delle relazioni tra imprese e lavoratori si innesta nella sferadell’esercizio del potere dando luogo ad una contrapposizione strutturale che induce necessariamentel’aggregazione dei lavoratori sul piano collettivo al fine di massimizzare un potere che, sul piano del singolo,è certamente di gran lunga inferiore a quello dell’impresa” (Giudici, 1995, p.6). Di qui il concetto direlazioni sindacali in cui vi è una mediazione da parte istanze rappresentative dei lavoratori.244


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei1.3 Il conflitto industrialeIl tema principale delle relazioni industriali concerne, dunque, il conflitto industriale sulle cui causesono state formulate numerose teorie. A tale proposito si distinguono le teorie del conflitto patologico efisiologico.Le teorie del conflitto come fatto patologico fanno riferimento al difetto di integrazione tipico diParsons. In una sua lettura estremistica il conflitto è qualcosa da eliminare. In queste impostazioni l’originedel conflitto è ricercata nelle distorsioni di potere e nelle interruzioni nelle comunicazioni ed informazioniall’interno del sistema aziendale. In generale genera conflitto tutto ciò che non favorisce l’integrazionesociale come il comportamento fallace dei capi o scarso senso di partecipazione nei compiti svolti dailavoratori.Le teorie che considerano il conflitto come fatto fisiologico lo ricollegano alla determinante tecnologica.Nell’impostazione marxista classica il passaggio dalla tecnologia artigianale a quella industriale implica lamonotonia e l’alienazione del lavoro, favorendo l’insorgere dei conflitti. Mentre nell’impostazionetecnologica più avanzata e proprio l’eccesso di cambiamento e di flessibilità del lavoro a generare conflitto.Sempre a questo filone appartengono le teorie che spiegano il conflitto come conseguenza della“distribuzione dicotomica dell’autorità all’interno dell’impresa” (teoria dell’isolamento istituzionale diDahrendorf) e, seppur con una certa cautela, quelle che si riferiscono al rapporto prezzi/salari (Giudici, 1995,p.10).Il problema comunque non sembra tanto l’esistenza del conflitto quanto il suo livello. In effetti certeforme di conflittualità competitiva possono essere anche indotte e favorite dalla stessa impresa. Comunque alvarcare di certi livelli soglia i sintomi della presenza di conflitto entropico nella generazione di valore non siesauriscono in manifestazioni collettive di insoddisfazione (sciopero, incremento del tasso disindacalizzazione, irrigidimento nella mobilità interna, rifiuto di prestazioni straordinarie, ecc.), ma siesprimono anche sul piano individuale. Ad esempio, la comparazione tra il tasso di assenteismo, il tasso diturn over, l’andamento dei comportamenti disciplinarmente perseguibili dei lavoratori, le oscillazioni delrendimento dei lavoratori, ecc. dell’impresa indagata con gli stessi indici di altre imprese del settore puòessere utile a rilevare la presenza di una situazione conflittuale a livello di singoli individui.La gestione del conflitto, ed il suo contenimento entro limiti accettabili, è da sempre stata affidata allaproduzione normativa finalizzata a disciplinare il comportamento sia dei lavoratori che dell’imprenditore.Inizialmente sono state prodotte norme unilaterali da parte delle imprese, che hanno senza dubbio consentitoa queste ultime di tutelare principalmente le proprie esigenze, pur cercando di raggiungere l’obiettivo diottenere un accordo con la controparte. Solo successivamente sono state introdotte norme concordate,espressione anche del consenso manifestato dall’insieme dei lavoratori. L’Italia, differentemente dagli altripaesi europei (come Germania o Svezia, ad esempio) si contraddistingue per avere una strutturaparticolarmente frammentata della rappresentanza imprenditoriale, la quale è evidenziata da due indicatori:l’elevato numero di associazioni ed il peso che in molte di queste assumono le organizzazioni territorialirispetto a quelle centrali.1.4 I protagonisti delle relazioni industrialiGli interessi coinvolti nelle relazioni industriali sono primariamente quelli dei lavoratori e dei datori dilavoro tipicamente mediati da sindacati ed associazioni imprenditoriali che, in quanto rappresentanti di talisoggetti, costituiscono gli attori collettivi principali (Alacevich, 1994, p.43). Lo Stato come terzo attore,tuttavia, sta assumendo un peso via via crescente sia perché pone sul tavolo delle trattative i contenuti dipolitiche pubbliche in materia fiscale, contributiva e del lavoro, sia perché è in grado di condizionare forme econtenuti del confronto tra imprese e lavoratori, oltre che di farsi portatore di altri interessi rilevanti anche senon necessariamente coincidenti con quelli delle parti (Alacevich, 1994, p.43).1.4.1 La rappresentanza degli interessi dei lavoratori: i sindacati dei lavoratoriIl primo soggetto delle relazioni industriali è costituito dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori, inquanto le forme organizzative dei lavoratori precedono storicamente quelle delle imprese a causa della“consapevolezza della sproporzione del potere contrattuale del singolo lavoratore rispetto all’impresa”(Giudici, 1995, p.21). A differenza della rappresentanza degli imprenditori, la rappresentanza dei lavoratori245


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiin Italia è meno frammentata, anche se, diversamente da altri paesi, i lavoratori non sono comunque riuniti inun’unica organizzazione. Infatti, nel nostro paese esistono tre principali confederazioni sindacali: Cgil, Cisl eUil (Alacevich, 1994, p.21).Con il termine ‘sindacato’ si intende un’organizzazione che sia espressione degli interessi dei lavoratorie che tradizionalmente si occupa della determinazione: dei livelli di retribuzione del lavoro; delle modalità diofferta e di uso della prestazione lavorativa; delle modalità di presenza politica dei lavoratori nella societàcome gruppo di pressione.Si possono identificare alcune principali tipologie sindacali.In relazione al livello e alle modalità di gestione delle relazioni industriali si distinguono i sindacati dicompetizione, da quelli di controllo. Nei sindacati di competizione o di opposizione (Nacamulli R.C., 1979)il lavoro si vende al prezzo più alto possibile in relazione alla forza contrattuale autonoma che riesce a darsil’organizzazione degli associati. Nei sindacati controllo si limita la libertà decentrata del conflitto e dellacontrattazione a favore di una politica intesa ad amministrate le occasioni di conflitto ed di contrazione in unottica di mutamento istituzionale complessivo.In relazione ai soggetti che, potenzialmente, traggono beneficio dalla loro azione si identificano: isindacati di mestiere (raggruppamenti di lavoratori con determinata qualifica professionaleindipendentemente dal settore di appartenenza) i sindacati industriali (raggruppamenti di lavoratori cheoperano in un medesimo settore economico o produttivo, indipendentemente dalla loro qualifica); i sindacatigenerali (raggruppamenti di lavoratori indipendentemente dalla qualifica professionale e dal settoreeconomico, ma unicamente in virtù della posizione di lavoratore dipendente).In relazione all’importanza della componente ideologica il sindacalismo si distingue in associativo o diclasse. Il sindacalismo associativo si contraddistingue in negativo per la scarsa rilevanza della componentepolitica sia in termini di categorizzazione ideologica, sia per militanza partitica e in positivo per una strutturaorganizzativa centrata sull’impresa o sull’unità produttiva. Il sindacalismo di classe si caratterizza per la suaconnotazione politica, ideologica e partitica.Anche i sindacati hanno il problema di impostare una governance che al contempo garantiscademocrazia e governabilità, partecipazione e rispondenza. Per democrazia sindacale s’intende lapartecipazione dei lavoratori alla formazione delle posizioni da assumere e la corrispondenza dell’azione delsindacato agli interessi ed agli intenti della maggioranza dei suoi membri. La governabilità ètradizionalmente intesa in termini di efficienza ed efficacia.La storia mostra che non è semplice verificare in modo ottimale e contemporaneo le due condizioni:ogni volta è necessario sacrificarne uno per privilegiare il raggiungimento degli altri. In particolare, anche lastruttura organizzativa dei sindacati è analizzabile in due momenti: uno verticale e l’altro orizzontale. Nelprimo oggetto di indagine è il doppio flusso di rapporti tra la base ed i vertici dell’organizzazione sindacale(dal basso verso l’alto si trasmettono: “gli input su cui costruire le politiche comportamentali e la definizionedegli obiettivi da perseguire, il consenso o il dissenso sulle operazioni condotte dai livelli più elevati e ilgrado di rispondenza alle aspettative della base” –Giudici, 1995, p.33), mentre nel secondo si prestaattenzione ai diversi livelli intermedi che compongono internamente il sindacato stesso.1.4.2 La rappresentanza degli interessi delle imprese: le associazioni datorialiIl principale antagonista ed interlocutore dei lavoratori è il gruppo di governo dell’impresa e cioè ilvertice imprenditoriale, il capitale di comando e il management, soprattutto quello delegato alle relazioniindustriali. La contrattazione collettiva avviene, ad eccezione di quella a livello aziendale, tra i sindacati deilavoratori e le associazioni degli imprenditori.La rappresentanza sindacale delle imprese è caratterizzata da una struttura molto più frammentata diquella dei lavoratori (Alacevich, 1994, p.5-9) e nonostante questo la disomogeneità fra le singole imprese ènettamente superiore a quella fra i lavoratori. Inoltre fra le imprese spesso prevalgono spinte concorrenziali einteressi in conflitto rispetto ad elementi di interessi comune.Tutto ciò si riflette sul significato e sull’ambito d’azione dei sindacati delle imprese, che sononecessariamente diversi rispetto a quelli descritti per i sindacati dei lavoratori. Il termine ‘sindacato’ conriferimento alle associazioni imprenditoriali è parzialmente improprio anche perché rappresenta unasemplificazione di un fenomeno molto più vario e complesso. Da un punto di vista funzionale le associazioniimprenditoriali svolgono nella maggior parte dei casi un’attività polivalente (solo raramente prestano solofunzioni sindacali); infatti, i sindacati imprenditoriali si occupano spesso di coniugare all’attività di246


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeirappresentanza degli interessi dei propri membri, un’attività di assistenza e servizio alle imprese associate(Giudici, 1995, p.51).A semplice titolo esemplificativo si ricordano le principali associazioni datoriali indicando tra parentesile tipologie di imprese associate: Confindustria (private: industria trasporti costruzioni); Confai (private:medio-piccole industria trasporti e costruzioni); Confartigianato (artigiane: industria trasporti e costruzioni);C.n.a. (artigiane: industria trasporti e costruzioni); C.l.a.a.i. (artigiane: industria trasporti e costruzioni);C.a.s.a. (artigiane: industria trasporti e costruzioni); Lega delle cooperative (coop.: agricoltura industriaservizi); Confooperative (coop.: agricoltura industria servizi); Confagricoltura (agricole medio grandi);Coldiretti (agricole medio-piccole); Confcoltivatori (agricole medio-piccole); Confcommercio (commercio eturismo); Confesercenti (commercio e turismo); C.i.s.p.e.l. (aziende municipalizzate e pubblici servizi);Federazione del terziario avanzato (imprese private di servizio) (Alacevich, 1994, p.6).1.4.3 Lo StatoSolo negli ultimi decenni lo stato è divenuto il terzo attore delle relazioni industriali. Ciò anche perl’accresciuto interventismo statale manifestatosi in tutti i paesi occidentali (Alacevich, 1994, p.43-44), che haampliato la gamma di strumenti di intervento pubblico nella disciplina delle relazioni industriali siadirettamente che indirettamente e con vari livelli di formalizzazione (Lange e Regini, 1987).L’importanza del ruolo giocato dallo stato nelle relazioni industriali deriva però dalla considerazione delfatto che quest’ultimo è attivo in questo campo sotto tre aspetti: come produttore/distributore di norme che,in modo diretto od indiretto, influenzano i rapporti imprese-lavoratori; come datore di lavoro; come“compositore di conflitti tra le cosiddetto ‘parti sociali’” (Giudici, 1995, p.54).In via diretta lo stato interviene con norme sui rapporti di lavoro sul piano sia individuale che collettivo,che fissando limiti al potere contrattuale delle parti, regolamentano il mercato del lavoro e le relativerappresentanze sindacali. In via indiretta, invece, le politiche fiscali, assistenziali e previdenziali vedono unprotagonismo acceso. Ma anche le politiche scolastiche e culturali, la politica della ricerca scientifica, lapolitica di gestione della domanda aggregata e della domanda pubblica hanno un interesse elevato per ilmondo del lavoro.Inoltre, lo stato come datore di lavoro influenza sia l’andamento del mercato del lavoro sia, econseguentemente, le relazioni sindacali (Giudici, 1995, p.54-55); lo stato-imprenditore (Alacevich, 1994,p.49-53), evidente nelle realtà in cui lo stato stesso ha assunto direttamente la gestione di attivitàeconomiche, implica a sua volta notevoli influenze sulle relazioni industriali (Sapelli G., 1981 e 1984). Interzo luogo, lo stato è chiamato ad intervenire direttamente allorquando, nonostante la normativa prodottaper regolare i rapporti di lavoro, emergono situazioni di conflitto tra le imprese ed i lavoratori. Lo strumentopiù importante a disposizione dello stato per la mediazione dei conflitti è l’intervento del potere giudiziario,esercitata in Italia per mezzo di una magistratura speciale ed un rito processuale specifico del lavoro.Infine l’intervento dello stato come compositore di conflittiè arrivata ad un opera di vera e propriamediazione. Ad esempio, a livello ministeriale esistono due tipi di mediazioni: una presso il ministero dellavoro, relativa al rinnovo dei contratti collettivi nazionali ed una presso il ministero dell’industria riguarda iprocessi di ristrutturazione industriale e di crisi industriale che implichino, in qualche modo, misure diintervento statale. In alcuni casi di contrattazione a livello aziendale, inoltre, è fondamentale l’interventodelle autorità locali, tra cui spicca l’amministrazione comunale.1.5 La contrattazione o negoziazione come strumento di risoluzione dei conflitti di lavoroIl processo di contrattazione collettiva permette di giungere, pur partendo da posizioni contrapposte, aduna mediazione di interessi.1.5.1 La piattaformaLa contrattazione viene attivato dalla presentazione tipicamente da parte dei rappresentanti deilavoratori di una ‘piattaforma’, termine di gergo per designare un documento in cui sono contenute lerichieste che possono attenere sia agli aspetti economici, sia a quelli normativi e regolamentari del rapportolavorativo (Giudici, 1995, p.135).247


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiI soggetti collettivi rappresentanti i lavoratori possono essere: rappresentanze dei lavoratori interneall’azienda (RSA; RSU; Consiglio d’azienda), sindacati esterni nelle loro articolazioni territoriali, o ancora lerappresentanze interne ed i sindacati esterni congiuntamente.Le piattaforme, che oltre ad essere redatte in forma scritta possono anche essere presentate in modoverbale nel corso di appositi meeting, esistono in almeno tre tipologie fondamentali: le piattaforme analitiche(in cui sono riportate dettagliatamente le richieste, corredate dalle relative motivazioni, avanzate dairappresentanti dei lavoratori), quelle sintetiche (in cui ci si limita a tracciare a grandi linee le richieste,riservandosi di fornire i dettagli in un momento successivo della trattativa) e quelle ermetiche (in cui sonoindividuate solo le aree e gli argomenti che si intendono discutere, senza tuttavia indicare richiestespecifiche).Qualunque tipologia di piattaforma rappresenta sempre “il massimo obiettivo che la controparte sipropone di conseguire”, pur sapendo che, in sede di negoziazione dovrà sacrificare una parte delle richiesteottimale al fine di garantire la mediazione e raggiungere un accordo.La piattaforma, una volta presentata, dev’essere sottoposta ad un’attenta valutazione da parte del verticeimprenditoriale o della direzione delle relazioni sindacali e, in seconda battuta, dai responsabili dei settoriaziendali che possono essere influenzati dall’accoglimento o dal rifiuto delle richieste. Infine, la piattaformaè sottoposta dal datore propria associazione di categoria.La piattaforma ha differenti scopi: innanzitutto, verificare la compatibilità della stessa rispetto allapolitica del personale adottata dalla direzione aziendale; poi, riflettere sulla corrispondenza o meno dellerichieste avanzate con la politica rivendicativa generale del sindacato; inoltre, distinguere le rivendicazioni diorigine interna (nate, cioè, dai bisogni dei lavoratori) da quelle di origine esterna (dettate dalle politichesindacali); identificare i problemi reali dei lavoratori e cercare di risolverli concretamente (Giudici, 1995,p.142-143).La preparazione del processo di negoziazione presuppone anche il compimento di altre attivitàpreliminari, dalla realizzazione delle quali dipende il buon esito della negoziazione stessa tra cui si possonoricordare:• la valutazione del contesto all’interno del quale la trattativa si colloca. La negoziazione si inseriscein un contesto complesso che potendo influenzare la dinamica e gli esiti della contrattazione imponel’analisi (Giudici, 1995, p.155-157): della situazione dei rapporti negoziali per verificare quantoquesta possa essere favorevole ad una delle parti; delle condizioni di attività delle imprese dette diriferimento in merito alla dialettica sindacale; del clima interno aziendale in cui si situa la vicendanegoziale, e così via.• la definizione dei luoghi della trattativa. Anche se non esiste un logo ‘ideale’ in cui svolgere lanegoziazione emerge dalle analisi empiriche e dall’esperienza che ogni luogo fisico rifletteparticolari effetti sull’atteggiamento psicologico e comportamentale dei negoziatori (Giudici, 1995,p.157-160).• la definizione del mandato. Questa attività costituisce “la formalizzazione degli obiettivi che siintendono raggiungere al termine del processo negoziale” (Giudici, 1995, p.160). A tale proposito, ilmandato deve scaturire da una valutazione approfondita degli obiettivi che ciascuna parte intenderaggiungere, anche in relazione alle ambizioni della controparte; deve essere conferito in modochiaro, proprio perché rappresenta la mete a cui si vuole arrivare; deve contemplare la possibilità diessere modificato a causa di elementi ostacolanti il raggiungimento degli obiettivi originari; e cosìvia (Giudici, 1995, p.160-162).• la composizione della delegazione e suddivisione dei ruoli al suo interno: un minimo di riflessionidevono riguardare la composizione della delegazione, i ruoli che vengono assunti al suo interno e leregole che disciplinano il funzionamento della delegazione stessa.• l’analisi delle precedenti risoluzioni negoziali.1.5.2 Il processo di negoziazione vero e proprioLa negoziazione è un processo fondamentale di risoluzione dei conflitti di lavoro con cui, ancheattraverso reciproche concessioni, si tenta giungere ad un accordo di regolazione sinalgmatica di interessi.D’altra parte è noto che si ha una situazione ‘negoziale’ ogniqualvolta due o più soggetti abbiano interessi evalori differenti, ma intendano raggiungere un compromesso per indurre comportamenti collaborativi(Provasi G., 1987, p.15).248


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiNelle relazioni industriali esistono divergenze di interessi e di valori, ma le parti in gioco devono, invirtù della loro reciproca interdipendenza e dell’impossibilità di imporre in modo unilaterale il proprio puntodi vista, tentare di giungere a degli accordi che siano garanzia del coordinamento necessario a far vivere esviluppare il sistema economico-sociale-politico di cui, insieme, fanno parte. In effetti il processo dinegoziazione “è costituito da quella serie di attività di interrelazione tra i soggetti finalizzate a mutare lasituazione iniziale di aspettative, rapporti di forza contrattuale, disponibilità alla mediazione, allo scopo dicostituirne un’altra più favorevole al raggiungimento dei propri obiettivi” (Giudici, 1995, p.145).E’ interessante notare che possono essere identificati diversi approcci all’osservazione dei processinegoziali tra cui emergono il modello analitico-razionale, il modello strategico debole, il modello (Provasi,1987, p.16).Nel modello analitico-razionale o modello economico gli elementi costitutivi di tale modello teoricosono: la contemporanea presenza di solo due parti contraenti che risultano tra loro legati da un alto grado didipendenza reciproca; la posta in gioco viene concepita come semplice ed omogenea, essenzialmentericonducibile alla divisione e distribuzione di una certa quantità di risorse tra loro combinabili ed integrabilisotto un’unica unità di valore.Il fulcro del modello di matrice economica è comunque rappresentato dal concetto di ‘zona contrattualeche definisce l’ambito del negoziato possibile sulla base della complementarità delle curve di utilità deisoggetti contraenti. I limiti della zona contrattuale (le rispettive funzioni di resistenza) rappresentano infatti ilminimo di utilità che le parti prevedono di ricavare anche in mancanza di accordo. La zona contrattuale,identificata anche grazie ai contributi offerti dalla teoria dei giochi a somma nulla (Nasch, 1950 e 1953;Shapley, 1953; Raiffa, 1953), è facile determinare in modo rigoroso e formale le soluzioni di equilibrio delnegoziato.Altro elemento importante del modello economico è il presupposto che “ciascuna delle parti sia, primaed indipendentemente dal processo negoziale, pienamente consapevole della propria funzione di utilità epossa formarsi una opinione consistente sull’altrui funzione di resistenza e sui rischi (o costi) di non-accordoa questa connessi.L’ultima assunzione rilevante è una conseguenza dei presupposti precedenti: lo spazio teorico di unreale e concreto processo negoziale è assai esile. L’obiezione più lampante è la considerazione del fatto chese i termini della contrattazione fossero così oggettivi e limpidi (i contraenti avessero, cioè, piena conoscenzal’uno dell’altro) allora il negoziato stesso non avrebbe ragione di esistere. Chamberlain, inoltre, in modo piùradicale mette in dubbio l’esistenza di una zona contrattuale oggettiva ed identificata da elementi ambientaliche si diano prima ed indipendentemente dal processo negoziale.Il modello strategico “debole” è imputabile a Schelling nella sua opera “The strategy of conflict” (1960,1980) propone un estensione della teoria dei giochi.. L’autore, pur rimanendo sostanzialmente all’internodella teoria dei giochi, finisce per dare un approccio strategico caratterizzato dall’assenza di qualsiasi formadi “determinismo e prescrittivismo a priori di chiaro stampo razionalistico” (Bonazzi, 1986). Schellingintroduce in tale opera alcuni concetti importanti: innanzitutto quello di ‘bargaining power’, che definiscecome “il potere di legarsi, di vincolare se stessi ad un determinato corso di azione” (Schelling, 1980, p.22).Inoltre, ed in quest’ottica, Schelling propone un particolare concetto di potere negoziale, assumendo chequesto indichi una manipolazione tattica delle altrui possibilità di scelta sulla base di un credibile impegno(commitment) a perseguire un determinato corso di azione. A sua volta il concetto di commitment comportadue conseguenze degne di nota: l’implicazione di costi o rischi a carico della parte che assume tale impegnoe il concetto di minaccia (threat) che in Schelling si sovrappone spesso al concetto di commitment. In alcunidei punti problematici della riflessione di Schelling trovano una eco significativa nel lavoro di Bacharach eLawler (1981) secondo i quali il potere contrattuale di una parte dipende innanzitutto dalle alternative chel’altra parte ha a disposizione per ottenere i medesimi risultati da altre fonti (Provasi, 1987, p.27). Inoltre,esiste un’altra dimensione che qualifica l’approccio di Bacharach e Lawler: secondo gli autori la dipendenzaè funzione anche del grado di impegno che ogni parte riserva al perseguimento delle poste in gioco, laddoveper ‘impegno’ intendono assumere la consapevolezza del valore che il raggiungimento della posta in giocoassume. Tuttavia, né Schelling né Bacharach e Lawler sono in grado di risolvere alcuni aspetti del poterenegoziale: merito di Crozier e Friedberg (1978) è stato quello di chiare in modo opportuno questi punti. Per idue autori “il potere negoziale di un attore sociale è funzione dell’area di incertezza che l’imprevedibilità delsuo comportamento gli permette di controllare a fronte del suo partner” (Crozier e Friedberg, 1978, p.42 ess.). In base a tale definizione “il potere negoziale dipende dalla struttura delle interdipendenze sociali e dallapossibilità o capacità che ciascun attore ha di rendere incerte le sue prestazioni al riguardo” (Provasi, 1987,249


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeip.30). Quindi, come per Bacharach e Lawler, la causa ultima del potere è la struttura delle dipendenze socialiche, tuttavia, per Crozier e Friedberg è socialmente determinata: “la possibilità, infatti, di esercitare unadeterminata pressione negoziale sulla propria controparte non dipende solo da condizioni di rodinestrutturale, ma anche e soprattutto dal sistema di regole che governano le proprie interazioni con gli altri”.Infine, Adam e Reynaud (1978) introducono la distinzione tra jeux fixes e jeux glissants, tra giochi negozialiche operano dentro le regole e giochi sulle regole.Nel modello “formula-dettaglio” Zartman (1977) si sofferma sulla process analysis che, secondol’autore, riesce ad esprimere meglio di tutti gli altri modelli la vera natura dei processi negoziali. Infatti, laprocess analysis vede il negoziato come un processo incrementale verso un accordo aggiustando i propriobiettivi e corsi di azione attraverso reciproche concessioni. Pur non sottraendosi ai problemi posti dallasostanziale simmetria incrementale che postula tra le parti, il modello di Zartman ha il pregio di soffermarsinon è tanto sulla convergenza attraverso concessioni successive, quanto piuttosto la definizione di unaformulazione adeguata e di una implementazione dei relativi dettagliIn altre parole: “innanzitutto gli attori negoziali si sforzano di trovare una generale definizione deiproblemi in discussione, vale a dire cercano di concepirli e raggrupparli in modo tale da permettere unaccordo sulla base di una comune nozione di giustizia. Una volta che l’accordo sulla formula è statoraggiunto è possibile affrontare i problemi specifici e scambiare proposte, concessioni e accordi sui dettagli”(Zartman, 1977, p.76).1.5.3 Le tre componenti del negoziatoInsomma, dall’esame delle principali teorie sul processo negoziale emergono tre componenti: ilconflitto; la cooperazione; il ritualismo.Il conflitto è la premessa indispensabile al processo negoziale: se non esiste divergenza di interessi, nonesiste neanche il motivo di dar origine ad un processo di risoluzione. I comportamenti dettati dal conflittosono la competizione, la prevaricazione, la scarsa propensione alla informazione reciproca, l’altaelaborazione tattica; il forte atteggiamento polemico nelle affermazioni e opportunista nelle condotte. Nelcaso in cui gli aspetti conflittuali siano maggiormente presenti rispetto agli altri due elementi si crea unasituazione di negoziazione in cui le relazioni tra le parti sono finalizzate a un diversa distribuzione dellerisorse o del potere (contrattazione distributiva). Nel conflitto negoziale il sostegno viene dal poterecontrattuale sia in termini di rapporti di forza, prevalentemente dettati dalle asimmetrie di sostituibilitàreciproca, sia in termini di relazioni comunicative tese a acquisire vantaggio da rappresentazioni della realtàfondate su una apposita selezione informativa. Gli interessi che danno origine a negoziazioniprevalentemente conflittuali sono quelli così detti aggregativi che hanno una forte carica “egoistica”.La cooperazione è altro ingrediente indispensabile per il sorgere di un negoziato: il fatto di scegliere lavia della negoziazione alla risoluzione del conflitto dimostra che esiste un minimo di atteggiamentocooperativo tra le parti, altrimenti la soluzione sarebbe cercata in provvedimenti più traumatici. Lacollaborazione induce collaborazione, pragmatismo, alta propensione alla informazione; bassa elaborazionetattica, apertura all’innovazione. Nel caso in cui sia l’elemento cooperativo a prevalere si determina unprocesso negoziale di tipo integrativo, in cui le parti tendono ad incrementare la quantità di risorsedisponibili per occuparsi poi della distribuzione reciproca. Gli interessi che danno origine a negoziazioniprevalentemente cooperativi sono quelli così detti integrativi che hanno una forte carica istituzionale.Il ritualismo, pur non essendo elemento essenziale, influenza notevolmente il clima negoziale ed icomportamenti degli attori. I comportamenti indotti sono diffidenza, espressione linguistica complessa, altaelaborazione tattica, uso di schemi collaudati, formalismo e il legame con la tradizione. Se prevale ilritualismo si ha una contrattazione che al suo termine lascia sostanzialmente invariate le ragioni didistribuzione tra le parti (Giudici, 1995, p.149-152).1.5.4 I momenti della negoziazione sindacaleLo svolgimento della negoziazione sindacale si articola tradizionalmente in più momenti: l’apertura delnegoziato; il tavolo delle trattative; la tattica; le interruzioni; le riunioni ristrette; il tempo delle trattative;l’entrata della gerarchia aziendale; l’entrata di terze parti; l’accordo (Giudici, 1995, p.171-187).L’apertura del negoziato. E’ il momento in cui le delegazioni delle due parti si incontrano ufficialmenteper la prima volta; l’operazione più importante di questa fase è la predisposizione di un calendario con lasuddivisione dei temi da trattarsi in una serie di incontri successivi.250


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl tavolo delle trattative e la comunicazione. Questo momento sottintende la fase di effettivoscambio di messaggi tra le parti: attraverso la comunicazione quasi sempre verbale ciascuna delegazionecerca di modificare la percezione della realtà della propria controparte, al fine di giungere ad un accordo. Loscambio di messaggi tra le parti a volte non può avvenire tramite la parola, così si ricorre a messaggi nonverbali costituiti da atteggiamenti, gesti, smorfie, ecc. Il problema in questo caso è dato dalla capacità didecifrazione.La tattica. Con mosse veritiere, simulative, dissimultive e di bluffing si rappresenta alla controparte leproprie risorse negoziali. Risorse che possono essere reali, ma anche diverse da quelle effettivamente adisposizione in modo da sbilanciare a proprio favore il rapporto di forza contrattuale. Attraverso tatticheopportunistiche (dalle blandizie a veri e propri artifizi e raggiri) si può rappresentare un rapporto di forzasulla base di risorse contrattuali non effettive, ma solo percepite come tali dai negoziatori (Provasi G., 1987,p.60).Le interruzioni. L’uso delle interruzioni della negoziazione da parte delle delegazioni è finalizzata a:evitare di dare risposte affrettate alla controparte; valorizzare una controproposta; ecc. E’ consigliabile nonricorrere alle interruzioni nei momenti topici della trattativa: potrebbero causarne il fallimento.Le riunioni ristrette. Essendo le delegazioni che partecipano al negoziato numerose, per aumentarel’efficienza del processo di negoziazione può essere utile ricorrere allo strumento della riunione ristretta, inbase al quale continuano a partecipare alla contrattazione solo un ridotto numero di rappresentanti diciascuna delegazione.Il tempo nella trattativa. Chiunque non sia esperto di negoziazioni sindacali è portato a giudicare inmodo negativo il rapporto tra i negoziatori ed il tempo, in quanto le riunioni si protraggono in modoestenuante. Tuttavia, il tempo nelle contrattazioni sindacali è al contempo un vincolo ed una risorsa. Il primoperché pone i negoziatori in difficoltà nel momento in cui si avvicina la scadenza del termine che è stato loroconcesso per la negoziazione; il secondo perché il tempo modifica naturalmente e senza traumi le aspettativeoriginarie delle parti.L’entrata della gerarchia aziendale. Lo svolgimento delle trattative sindacali non preclude la normaleprosecuzione della vita aziendale. I capi ed i responsabili di azienda (nonché i lavoratori), tuttavia,affiancheranno ai dialoghi quotidiani riflessioni sull’andamento della contrattazione. In questo senso, iresponsabili di linea, di settore o di gruppo possono influenzare la trattativa, se non altro perché costituisconoun importante tramite tra i propri negoziatori e i lavoratori.L’entrata di terze parti. L’intervento di mediatori nelle negoziazioni può essere imposto dalla legge perl’espletamento di particolari procedure, oppure può essere necessario se: nel corso della contrattazione ci siaccorge che una certa proposta ha minori possibilità di essere accolta se presentata da una delle parti; latrattativa si blocca perché le parti non hanno più risorse per continuare lo scambio negoziale (Giudici, 1995,p.187-189)L’accordo. Il raggiungimento dell’accordo o l’acquisizione della consapevolezza di non poterlo mairaggiungere costituisce il momento finale di ogni processo negoziale (Giudici, 1995, p.191). La finalitàprecipua dell’accordo è quella di “rimuovere le situazioni conflittuali che disturbano il normale svolgimentodella vita aziendale” (Giudici, 1995, p.191). La formalizzazione delle intese raggiunte, testimoniatedall’accordo verbale su tutti i punti, o su una parte di essi sufficienti a fornire una reciproca soddisfazione,avviene attraverso la redazione di documenti scritti, la cui stesura è tradizionalmente compito deirappresentanti delle associazioni imprenditoriali (Giudici, 1995, p.195). L’accordo, una volta tradotto informa scritta, deve essere valutato (Giudici, 1995, p.202-203) e gestito (Giudici, 1995, p.203-205)1.6 Gli orientamenti più recentiIl protocollo del luglio 1993 tra il governo e le parti sociali influenza in modo determinante le futureevoluzioni nel sistema di relazioni industriali. In particolare, l’accordo fa nascere un sistema di relazioniindustriali misto, in cui il decentramento delle relazioni industriali non è assoluto poiché è sempre regolatodal confronto tra le parti a livello nazionale, dove si stabiliscono gli aspetti normativi e gli spazi di azionedecentrata (Alacevich, 1994, p.110). In questo senso, “si profila un <strong>nuovo</strong> modello di concertazione che tieneconto dei problemi di regolazione decentrata posti dalle esigenze di maggiore flessibilitàdell’organizzazione produttiva ma anche del welfare state” (Alacevich, 1994, p.113).D’altra parte, il protocollo del 1993 non può essere considerato “un epilogo delle politiche diconcertazione, ma ha però segnato il loro inizio in Italia” (Accornero A, 1999, p.40). Il periodo successivo al251


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei1993 ha mostrato “alcuni elementi di ‘crisi’ del metodo concertativo e/o delle modalità della suaapplicazione, addebitabili in alcuni casi soprattutto a fattori squisitamente politici, in altri ad una ancoracarente cultura della concertazione e condivisione delle sue regole, che ne ha reso incerta la stabilità”(Bellardi, 1999, p.90). Nonostante questa situazione, tuttavia, “la linea della concertazione sociale non solonon è venuta meno, ma è stata anzi progressivamente aggiornata, completata ed adeguata dal punto di vistadelle misure da adottare, degli obiettivi da perseguire e delle regole da applicare” (Bellardi, 1999, p.91).Infine, un ulteriore e recente stimolo allo sviluppo delle relazioni industriali proviene dalle politichestabilite a livello di comunità europea: d’altra parte, nonostante che gli accordi sulla politica sociale presi inquesto ambito “esprimano l’esigenza di una concertazione a livello comunitario delle priorità e degliobiettivi generali delle politiche nazionali di innovazione legislativa (..) non è prevedibile che nel prossimofuturo si realizzi un coordinamento deliberato a livello sovranazionale delle relazioni industriali in grado dicontrastare le spinte a livello nazionale o locale verso pratiche incontrollate di dumping sociale e di regolarela competizione tra regimi nazionali” (Bordogna, 1996, p.480, in: Bellardi, 1999, p.101). Lo sviluppo dellaconcertazione può essere indotto, piuttosto, dalla ‘europeizzazione’ della politica degli interessi nazionali,determinata dalla necessità dei governi degli stati membri di adeguare il quadro economico-istituzionaleinterno agli obblighi ed agli standard di derivazione comunitaria. La negoziazione con le parti sociali, infatti,appare il metodo più idoneo ad ottenere quel consenso volontario ed attivo che è così importante per ilsuccesso competitivo e per il comune tentativo di difendere particolari politiche nazionali (Bellardi, 1999,p.101. Si veda anche: Schmitter P.C. e Grote J.R., 1997, p.209 e ss.).1.7 Procedure e strutture della contrattazione collettivaAl pari di ogni altra componetene delle relazioni industriali anche la contrattazione collettiva, aprescindere dal livello a cui è considerata, risulta influenzata dal contesto economico, politico e legale in cuisi realizza (Treu T., 1998, in “Dialoghi sul sistema”).I diversi livelli su cui si basa il modello di svolgimento delle relazioni sindacali e contrattuali sonoemersi in seguito allo sviluppo storico della contrattazione: tra tali livelli non si crea un vero e propriocollegamento normativo volto a determinarne cadenze e contenuti, ma, l’esperienza storica rileva che, inogni caso, tra i livelli esiste una certa suddivisione per quanto riguarda le competenze negoziali (Giudici,1995, p.90-91).Tab. 2 I diversi livelli di base delle relazioni sindacaliIl livellointerconfederaleIl livellonazionaleIl livelloaziendaleTale livello si distingue per fare riferimento ad accordi che non hanno una durataprestabilita nel tempo: sono intese che si percepiscono come assunte a tempoindeterminato e vengono rinegoziate solo quando il loro contenuto non sembra piùadeguato alla mutata realtà, o quando una delle parti ritiene di poter usufruire di una forzacontrattuale tale da consentirle di modificare in meglio le precedenti pattuizioni. Gliargomenti trattati negli accordi interconfederali si distinguono in: normativi edeconomici. I primi riguardano materie di interesse comune a tutti i lavoratori,indipendentemente dalla loro appartenenza merceologica; mentre i secondi fissanoobiettivi e politiche economiche condivisi, ponendosi quindi come punti di riferimentoper gli altri livelli negoziali chiamati a tradurre in pratica gli orientamenti generali in essicontenuti (Giudici, 1995, p.91-92).I contratti collettivi nazionali di settore regolamentano una serie di materie specifiche delsettore di appartenenza, sia di carattere normativo che di carattere economico. La duratadi tali contratti, rivista dall’accordo del 1993 –Protocollo tra Governo, imprese e sindacatidel luglio 1993- è di quattro anni per la parte normativa e di due anni per quellaeconomica. Da un punto di vista contenutistico gli argomenti trattati in tali accordiriguardano: orari di lavoro, inquadramenti professionali, ferie, trattamenti di malattia edinfortunio e quant’altro si riferisca alle concrete condizioni di lavoro (Giudici, 1995, p.92-93)Tale livello di contrattazione si è sviluppato sul finire degli anni Sessanta come tentativodi una gran parte della base operaia di sottrarsi ai condizionamenti sindacali nella gestionedella politica rivendicativa. La durata di tali accordi segue quella degli accordi nazionali,mentre i contenuti si riferiscono ad aspetti tipici della vita aziendale (ambiente di lavoro,252


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiservizi, concessione di permessi, ecc.), oppure altri riguardano la traduzione sul pianodella specificità aziendale le norme contrattuali (orari di lavoro, ferie contrattuali,inquadramenti professionali, ecc.), infine altri ancora hanno un carattere prettamenteeconomico che integrano i benefici del contratto nazionale (Giudici, 1995, p.93-95)Di tutti i livelli di contrattazione quella ‘decentrata’, ovvero a livello di impresa è senza dubbio la piùattraente sia per la parte sindacale che per quella imprenditoriale, ciò a motivo del suo minor coinvolgimentonegli aspetti politici, legali ed istituzionali delle relazioni industriali (Treu, 1998, p.323). Nonostante questorelativo isolamento, la contrattazione di impresa ha riunito sempre una grande attenzione sia delle partisociali, sia dello Stato e ciò, anche se in modi diversi, in tutti i Paesi, sia in quelli sviluppati che in quelli invia di sviluppo (Treu, 1998, p.324).1.7.1 La contrattazione aziendale all’interno della struttura contrattualeStabilire quale sia (o quali siano) il livello dominante della struttura contrattuale ed in che modo illivello di contrattazione aziendali si coordini con gli altri livelli è un’operazione che può essere condottaattraverso un’ottica estesa a tutti i paesi aventi più di un livello contrattuale e, soprattutto, aventi una strutturacontrattuale più ampia che contiene anche la contrattazione aziendale. Se in alcuni paesi (tra cui: Stati Uniti,Giappone, Nazioni Latino-Americane, ecc.) la contrattazione aziendale è di gran lunga il livellotradizionalmente dominante, in altri (tra cui molti paesi europei) si hanno sistemi contrattualitradizionalmente molto centralizzati, che si basano su unità contrattuali di categoria (a livello nazionale oregionale) o addirittura estesi ad interi settori dell’economia (Treu, 1998, p.329). Comunque, in generale sipuò affermare che “qualche tipo di contrattazione d’impresa è sempre presente anche nei sistemimassimamente centralizzati” (Treu, 1998, p.329). Tra gli estremi sopra descritti, in ogni caso esiste uncontinuum di posizioni intermedie (Treu, 1998, p.330).La contrattazione collettiva svolge una serie di funzioni: una funzione di mera esecuzione di direttivepreviste a livelli superiori; una funzione ausiliare o residuale, per la quale al contrattazione di impresariempie le lacune lasciate, a livello nazionale o territoriale, qualunque sia il suo ambito; una funzionesupplementare o complementare per la quale la contrattazione d’impresa determina salario, condizioni dilavoro, ecc. oltre i livelli minimi stabiliti dalla contrattazione nazionale o di territorio; un ruolo autonomo oautosufficiente in quei sistemi dove la contrattazione d’impresa è libera, di fatto o di diritto, di estendersi aqualunque materia senza condizionamenti da direttive superiori, legali o contrattuali (Treu, 1998, p.330). Lacontrattazione aziendale, nello stesso sistema può svolgere più di una funzione.Le esigenze di coordinamento tra i diversi livelli della contrattazione collettiva hanno portato allosviluppo di principi giuridici al riguardo, resi espliciti talora nella legge, altre volte dall’interpretazionegiudiziaria e dottrinale. Lo sviluppo maggiore di questi principi si registra nella tradizione europea dove ladottrina giuridica da indicato una serie di regole di coordinamento a livelli: principio di gerarchia (in base alquale il livello superiore domina e controlla quello inferiore che, a sua volta, ha potere solo circa materiedelegate dal primo) principio del favor (secondo cui i livelli decentrati hanno potere di influenzare salari econdizioni di lavoro solo in senso migliorativo rispetto ai termini previsti dal livello nazionale) principio dispecializzazione (secondo cui la disciplina inerente specifiche peculiarità dell’unità interessata, conriferimento a qualsiasi materia, giustifica la prevalenza della regolazione speciale a livello di impresa suquella generale dei livelli territoriali o nazionali) (Treu, 1998, p.334).1.7.2 Le procedure di contrattazioneLe procedure di contrattazione riflettono l’approccio istituzionale di ogni sistema alla contrattazionecollettiva (Treu, 1998, p.345); le situazioni variano da un massimo di formalità per cui il processocontrattuale è sostanzialmente lasciato al customs and practies, fino ad interventi rigidamente regolatori delcomportamento delle parti, sia per legge sia per, accordi, usualmente centralizzati (Treu, 1998, p.345).1.8 I fattori che condizionano le relazioni sindacaliGli elementi che interagiscono con il sistema di relazioni sindacali possono essere distinti in due gruppiprincipali: quelli interni e quelli esterni all’impresa.253


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiTab. 3 I fattori che condizionano le relazioni sindacaliFATTORIESTERNIALL’IMPRESAFATTOR<strong>II</strong>NTERNIALL’IMPRESA1. Il mercato dei prodotti o dei servizi su cui l’impresa agisce (in termini di: fasciaqualitativa di mercato servito, eventuale stagionalità dello stesso, ecc.) è in grado diinfluenzare i comportamenti che si sviluppano nelle relazioni sindacali e negliatteggiamenti delle parti di fronte al conflitto ed alle sue modalità di gestione (Giudici,1995, p.59-60);2. Il mercato del lavoro, inteso come “il meccanismo attraverso cui l’impresa acquisisce lepotenzialità di produttività del lavoro” (Giudici, 1995, p.60), nelle sue tre diverseconfigurazioni (mercato del lavoro macroeconomico, rilevante e interno) è il fattore piùimportante di influenza delle relazioni sindacali;3. Il contesto normativo, ovvero l’insieme di “tutte quelle norme che direttamente oindirettamente regolano l’attività dei soggetti delle relazioni sindacali” (Giudici, 1995,p.63-64), che dipende dall’attività legislativa dello Stato e da quella contrattuale deisoggetti medesimi, costituisce la ‘cornice’ entro cui le relazioni industriali si muovono esi sviluppano;4. I fattori socio-culturali (tra cui “risultano significative sia l’articolazione della strutturasociale in termini di classi di reddito, tassi di scolarità, composizione dei nucleifamiliari, tendenza all’aggregazione associativa, ecc., sia l’articolazione della culturaintesa come insieme di valori e modelli comportamentali individuali e collettivi nellavoro e fuori da esso” –Giudici, 1995, p.65) sono ulteriori fonti esterne di influenzadelle relazioni sindacali.1) L’impresa opera sul mercato con i propri prodotti e/o servizi; il rapporto tra questi ed ilmercato di riferimento, “influenzando i risultati economici dell’impresa, finisce conl’influenzare i rapporti contrattuali che intervengono tra l’impresa ed i lavoratori”(Giudici, 1995, p.66). D’altra parte la relazione tra prodotto e mercato “influenza lerelazioni sindacali soprattutto sul versante della capacità negoziale e di resistenza”(Giudici, 1995, p.66), anche rispetto ad alcune specifiche caratteristiche, tra cui lacollocazione dell’impresa sul mercato (le possibili relazioni di un’impresa con il mercatodei propri prodotti o servizi possono, sinteticamente esplicarsi in tre tipologie: laposizione monopolistica, quella oligopolistica e quella della concorrenza diffusa –Giudici, 1995, p.66-68);2) La variabilità nel tempo del mercato di riferimento può influire sulla forza contrattualereciproca dell’impresa e dei lavoratori: infatti, mentre un mercato costante non influisce,né positivamente né negativamente, sui rapporti contrattuali tra le parti, un mercatostagionale rende l’impresa, inevitabilmente, debole in certi periodi sul piano dellaresistenza contrattuale (Giudici, 1995, p.68-69);3) L’impresa è normalmente composta da più unità tecnologiche (dove la tecnologia èintesa come “un processo attraverso cui alcuni input mediante un’opportuna specifica,vengono trasformati in output” –Giudici, 1995, p.70) e l’analisi della posizione diciascuna di esse rispetto alle altre, tesa a verificare eventuali rapporti di dominanza,influisce sulla forza contrattuale globale dell’impresa;4) Un altro fattore di influenza interno è dato dall’organizzazione. In particolare,l’organizzazione può essere fortemente integrata o fortemente decentrata: nel primo caso“la forza contrattuale dei lavoratori è massima perché ogni azione conflittuale svolta inuno dei punti dell’organizzazione si propaga quasi istantaneamente a tutto il complessoorganizzativo” (Giudici, 1995, p.71-72), mentre nel secondo caso “la forza contrattualescema considerevolmente perché ogni unità organizzativa è per così dire isolata e tendea non risentire, se non indirettamente ed in forma mediata, delle azioni conflittuali inatto in altre unità organizzative” (Giudici, 1995, p.72);5) Il mercato del lavoro interno all’impresa, ovvero lo stock di manodopera esistentenell’azienda, può a sua volta “influenzare la dialettica sindacale in termini di capacitàcontrattuali reciproche” (Giudici, 1995, p.72). Il livello di conflittualità causato dallapopolazione di lavoratori interni all’azienda può essere determinato dall’incongruenzadella situazione del mercato interno rispetto a quello esterno, dall’aspetto anagraficodello stesso e dal grado di professionalità degli individui (Giudici, 1995, p.72-73);254


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei6) Infine, “le relazioni sindacali di una singola impresa, per quanto grande e significativaessa sia, fanno pur sempre parte di un sistema complesso ed articolato di relazionisindacali, in cui esistono flussi intrecciati di influenza reciproca fra le varie parti delsistema medesimo” (Giudici, 1995, p.73). Innanzitutto, sull’impresa e sulle sue relazionisindacali influiscono le imprese esterne poste a due livelli: territoriale (ossiageograficamente vicine) e settoriale (ovvero appartenenti al medesimo settore diattività). “Infine, un ruolo non di poco conto svolge il condizionamento dovuto allerisoluzioni dei conflitti storicamente precedenti nella medesima impresa” (Giudici,1995, p.74).1.9 Il passaggio da un modello tradizionale ‘normativo’ ad un modello ‘partecipativo’ di relazioniindustrialiI tradizionali modelli interpretativi dell’impresa risultano obsoleti a fronte delle innovazioni, delledinamiche evolutive e dei continui cambiamenti che caratterizzano la società post-industriale (Negrelli,1991, p.11; si veda anche: Sansone, 1988). Di conseguenza, anche i sistemi di relazioni industriali sonoinvestiti da quest’onda rinnovatrice che, sulla scia di quanto avviene in modo pionieristico negli Stati Uniti,tendono ad assumere sempre più un’impostazione di tipo worker’s participation (Negrelli, 1991, p.14). Inparticolare, nella formulazione originaria dei Webbs la contrattazione collettiva costituiva solo un’alternativaalla contrattazione individuale, un metodo di azione sindacale per controllare la concorrenza tra i lavoratori emigliorarne quindi le condizioni di lavoro; una istituzione esclusivamente economica (Negrelli, 1991, p.15).Soltanto in un periodo successivo si identifica nella stessa attività di contrattazione collettiva, l’esistenza diun processo normativo non riscontrabile nella contrattazione individuale di tipo economico (Negrelli, 1991,p.15). Di qui la distinzione tra “processo economico di bargaining” e “processo politico di negotiation”(Flanders, 1980), entrambi orientati a fornire un <strong>nuovo</strong> concetto di contrattazione collettiva: “unprocedimento istitutivo di norme che implica relazioni di potere tra organizzazioni” (Negrelli, 1991, p.15).D’altra parte, nelle nuove realtà aziendali, di tipo evolutivo e sistemico, le relazioni industriali vanno al di làdi questo ambito ancora ristretto della contrattazione collettiva (Negrelli, 1991, p.15): la tendenza è quella diaprirsi alle fasi preventive della informazione e della consultazione ed a prolungarsi successivamente aimomenti consuntivi dell’applicazione e della verifica congiunta degli effetti (Negrelli, p.15). In generale,questo sviluppo delle relazioni industriali può essere identificato come passaggio da strutture e regole di tiponormativo, ovvero caratterizzate per lo più da “proposizioni variamente articolate e codificate cheprescrivono ad un individuo o ad una collettività la condotta o il comportamento più appropriati cuiattenersi in una determinata situazione” (Gallino, 1978) a strutture e regole di tipo partecipativo, doveindividui e gruppi sono stimolati ad intervenire nelle decisioni che riguardano il proprio lavoro (Negrelli,1991, p.15). In questi termini, l’attività negoziale diventa permanente e si incentra su contenuti(ristrutturazioni, produttività, incentivazioni, formazione, orari e qualità del lavoro) che richiedono non tantoo non solo la produzione di norme, ma soprattutto la soluzione dei problemi, quando non addirittura una lorore-impostazione congiuntamente concordata tra gli attori sociali (Negrelli, 1991, p.15). In base allaconosciuta elaborazione di Fox (1974) il problema dei sistemi di relazioni industriali odierni diventa semprepiù quello di trasformare l’elevato conflitto in entrata in forme di high-trust in uscita (Negrelli, 1991, p.16).L’autore con il termine “relazioni high-trust intende riferirsi a quelle contraddistinte dalla condivisione dialcuni obiettivi e valori, dall’esistenza di obblighi a lungo termine per entrambi gli attori, da un sistemalibero e trasparente delle informazioni, dalla rinuncia ad eventuali benefici a breve in vista di altri piùconsistenti nel lungo periodo (Negrelli, 1991, p.16).Il quadro finora descritto (la transizione da principi normativi a principi partecipativi), tuttavia,rappresenta soltanto l’evoluzione dei valori, degli orientamenti sindacali, degli stili manageriali in termini diprincipi generali di contrattazione, ossia di obiettivi di lungo periodo, solo parzialmente negoziabili, che leparti sociali condividono e perseguono (McCarthy, 1971, in Negrelli, 1991, p.18). Tuttavia, l’osservazione el’analisi di questa trasformazione delle relazioni industriali ad un livello soltanto ‘filosofico’ non può esseresufficiente; l’abbandono dell’ottica normativa della regolazione delle relazioni industriali dev’esserenecessariamente confermata da indicatori più concreti, oltre che da principi generali. Nello specifico si puòricorrere all’esame delle strutture e delle forme si cui si fonda effettivamente il funzionamento dei sistemiaziendali (Negrelli, 1991, p.18). In particolare, con riferimento al primo aspetto, si nota nel garantire una255


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeistruttura aziendale idonea ai nuovi principi sono senza dubbio avvantaggiati i paesi con lunghe tradizioni direlazioni industriali centralizzate a livello aziendale e con un sindacato unico fortemente rappresentativo (adesempio: Svezia, per l’Europa; Stati Uniti; Giappone; ecc.); al contrario, si dimostrano in difficoltà moltipaesi dell’Europa occidentale, tra cui Francia, Gran Bretagna ed Italia. Qui, infatti, le coalizioni aziendali tramanagement e sindacato sono ostacolate o dall’operare di forme di multi-unionism, siano esse di origineprofessionale che ideologica, oppure dall’assenza di specifiche tradizioni (Negrelli, 1991, p.19). In Italia, adesempio, la principale fonte di debolezza è la sfasatura tra il livello nazionale e il livello aziendale dellerelazioni industriali, dovuto alle tradizioni storiche centralistiche del sindacato (Negrelli, 1991, p.19). Questoprocesso di centralizzazione contrattuale nell’impresa ha favorito un più ordinato grado di autonomiadell’attività negoziale decentrata, almeno su alcuni temi di competenza. Il ritardo delle strutture del nostropaese nel seguire questa tendenza generale ha impedito finora di risolvere il problema di una eccessiva econfusa autonomia dall’esterno e all’interno (Cella e Treu, 1989). In ogni caso, nonostante le varie difficoltàe le molte mancanze, molte imprese anche italiane studiano, inventano e sperimentano nuove forme diregolazione delle relazioni industriali (Negrelli, 1991, p.21). In particolare, due indicatori sono piuttosto utiliin proposito: il maggior grado di coinvolgimento delle strutture sindacali nel processo contrattuale e lacrescente istituzionalizzazione di prassi e comitati bilaterali (Negrelli, 1991, p.21 - i comitati bilaterali hannola funzione di valutare ed esprimere un parere obbligatorio, anche se non vincolante, sulla politica industrialee del lavoro dell’imprenditore. Per essere distinti, ma non separati dal sindacato, tali strumenti dovrebberogarantire le sue finalità tecniche). Tutto questo si traduce in forme e procedure di negoziazione caratterizzateda atteggiamenti più collaborativi che si oppongono a quelli precedenti, tipicamente antagonistici: in questocontesto il comportamento dei protagonisti delle relazioni industriali cambia notevolmente, evidenziando unaminore rigidità ed una maggiore tolleranza sia da parte di sindacati e lavoratori che delle imprese. Inoltre,anche i tempi per la soluzione pacifica e consensuale delle vertenze sono rispettati, comportando riflessipositivi sugli indicatori degli scioperi, dei provvedimenti disciplinari, dell’assenteismo, dei tempi e delledurate delle sentenze, ecc. (Katz, Kochan e Gobeille, 1981).In ogni caso, “la tendenza verso una regolazione post-normativa delle relazioni industriali di impresa èvista ancora in modo sospetto da alcuni settori del management e del sindacato” (Negrelli, 1991, p.34).Infatti, mentre il primo teme l’eccessivo coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori, in quanto ritieneche proprio la notevole domanda di democrazia e l’eccessiva cessione di potere siano le cause precipue delledifficoltà economiche e di sviluppo industriale, il secondo si mostra restio ad sottoscrivere formulepartecipative sia per la paura di finire con l’aderire ad accordi strumentali a danno dei lavoratori, sia per“atteggiamenti pregiudiziali verso obiettivi non previsti dall’azione sindacale tradizionale” (Negrelli, 1991,p.34).256


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei2. Il contesto degli interessi socio-ambientaliIl contesto degli interessi socio-ambientali ricomprende tutte le teleologie espresse dai pubblici e nonstrettamente economico-finanziarie. I grandi temi inerenti sono almeno tre: la qualità della vita connessaall’impresa; la salubrità dei luoghi di lavoro; l’ecologia. L’attenzione è qui posta soprattutto all’ultimo temae pertanto l’ambiente a cui si fa riferimento è prevalentemente quello naturale e territoriale interessatodall’impresa.L’interazione tra impresa e territorio sottintende una reciprocità di possibili condizionamenti che, sottol’aspetto ecologico, conduce ad un ripensamento delle modalità gestionali, delle scelte strategiche e degliorientamenti culturali di un’impresa (Dioguardi G., in Sassoon E. e Rapisarda Sassoon C., 1993, p. IX-X<strong>II</strong>).L’opinione pubblica, nelle sue articolazioni politiche, sociali e tecnologiche, innanzitutto denuncia unprofondo degrado del nostro pianeta di cui, paradossalmente, la tecnologia è stata la causa e può essere lacura. Solo le innovazioni tecnologiche, infatti, saranno in grado di apportare ai processi produttivi icambiamenti necessari affinché il loro impatto sull’ambiente sia ridotto a livelli sostenibili.Inoltre, la rigidità della normativa ambientale, nazionale e comunitaria, ha innalzato il numero dellesostanze e dei processi ritenuti “inquinanti” e come tali oggetto di osservazione. Questo ha fatto si che, dauna parte le imprese modificassero a monte i propri processi produttivi, riducendo le sostanze inquinanti conun costo minore e dall’altra le ha inevitabilmente obbligate ad aumentare le spese in conversione, trattamentoe smaltimento dei rifiuti.Anche l’importanza che la componente ambientale assume a livello sociale e politico è ormai più cheevidente: il benessere sociale non è più esclusivamente associato alla crescita economica, ma anche allaqualità della vita, di cui l’ambiente naturale è ritenuto elemento fondamentale. La sua difesa assumendorilevanza politica, è diventata elemento cruciale delle campagne elettorali dei paesi più evoluti, nei quali imovimenti ecologisti si sono attivati a livelli sempre maggiori: dalla semplice azione di sensibilizzazione deisingoli, alle pressioni sul legislatore per ottenere norme più efficaci, fino ad arrivare ai condizionamenti sullepolitiche ambientali di respiro sia politico che produttivo.Pertanto dal momento in cui la sensibilità ecologica diventa un fenomeno generale (anche a causa deinumerosi incidenti ambientali occorsi nel tempo), diventa essenziale per l’impresa interpretare correttamentetale contesto gestendo il problema e le sue ricadute sull’opinione pubblica con una corretta impostazione diapposite strategie ambientali.2.1 Il quadro normativo in ItaliaSul piano normativo emergono due problemi fondamentali: in Italia, la mancanza di un sistemanormativo organico; nel mondo, la carenza di omogeneità internazionale con conseguente perdita dicompetitività delle imprese europee che sono chiamate a sostenere costi ben superiori per la questioneaziendale.L’evoluzione del contesto normativo ambientale può essere suddivisa in tre momenti: dal 1966 al 1975centrato legge antismog 615/66; dal 1976 al 1985 contraddistinto dalla legge Merli (L.319/76) edall’incidente di Seveso; dal 1986 ad oggi caratterizzato dal tentativo di maggiore organicità anche concostituzione del Ministero per l’Ambiente e dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente(ANPA) (Cerbioni, 1999, p. 29-35).Il sistema normativo in materia, tradizionalmente viene suddiviso secondo l’elemento da tutelare,quindi, aria, acqua e suolo.Relativamente alla tutela dell’aria la prima legge che troviamo è la 615 del 1966, secondo questanormativa il territorio nazionale era suddiviso in tre aree secondo il livello di inquinamento, lo scopo eraquello di porre in essere interventi diversi secondo la gravità del danno ambientale, questa suddivisione hainciso, ovviamente anche sulle scelte di localizzazione delle imprese. Gli impianti industriali erano soggetti acontrolli sulle emissioni, e scopo di questa legge era di reprimere il polluter dopo che il danno era stato fattoquindi senza nessuna logica preventiva. In seguito, in materia si sono succedute più norme cambiandol’impostazione data dalla legge citata e in proposito va ricordato il D.P.R. 203/88 che ha recepito una serie didirettive CEE, il fulcro di questo decreto è rappresentato dal concetto di impianto, distinguendo fra quelli giàesistenti e quelli di nuova installazione, prevedendo interventi sui primi e la necessità di autorizzazioni per i257


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeisecondi, in una logica quindi di prevenzione. Il D.P.R.203/88 in seguito è stato a sua volta integrato emodificato da altri decreti.Per quanto riguarda la tutela delle acque, la normativa di base è rappresentata dalla L.319/76 (leggeMerli), che tende a salvaguardare le acque tramite la regolamentazione degli scarichi, si vuole raggiungerequesto obiettivo tramite l’utilizzo di un sistema di autorizzazioni rilasciate sulla base delle caratteristichequalitative e quantitative degli scarichi stessi. Nel tempo, questa legge è stata modificata nella suaimpostazione di fondo da due decreti in recepimento di normative CEE il D.P.R.217/88 che recepisce ladirettiva CEE 86/280, riguardante i valori limite nelle acque di sostanze ritenute pericolose ed ilD.P.R.454/93, infatti, con questi due decreti si passa dalla considerazione di generiche sostanze inquinantialla fissazione di limiti precisi per ciascun tipo di processo produttivo a seconda della tecnologia disponibile.Infine, occorre ricordare la L.36/94, la cosiddetta legge Galli che stabilisce la “Nuova disciplina organicadelle risorse idriche”, e disciplina la tutela delle acque in modo organico.Per quanto riguarda la tutela del suolo, quindi le norme relative ai rifiuti, occorre ricordare in particolaretre disposizioni che ne rappresentano i cardini e precisamente: il D.P.R.915/82 che recepisce direttive CEErelative allo smaltimento di rifiuti tossici, la Legge 441/87 che riguarda provvedimenti urgenti in materia dismaltimento di rifiuti ed infine la Legge 475/88 che riguarda invece i rifiuti industriali. Queste disposizioni sicaratterizzano per il fatto che tendono a prevenire favorendo il riciclaggio (D.P.R.915/82), allestendo piani dismaltimento ecocompatibili, distinguendo i rifiuti a seconda della loro particolarità (urbani, speciali, tossici),prevedendo incentivi per l’aggiornamento degli impianti industriali che abbiano lo scopo di contenere laproduzione dei rifiuti, l’impiego di materie e il consumo di energia (Legge 441/87), istituendo un catasto deirifiuti e delle materie prime secondarie (Legge 475/88). Si deve però sottolineare, nonostante tali norme, lacarenza di strutture per lo smaltimento di rifiuti con cui le imprese italiane si trovano a fare i conti e che lepone in una posizione di svantaggio rispetto alle concorrenti europee.Infine particolarmente importante è la “Direttiva Seveso” 501/82 recepita nel nostro ordinamento con ilD.P.R.175/88, emanata in conseguenza dell’omonimo incidente e che rappresenta la prima disposizione inmateria, effettivamente organica e strutturata, tale direttiva indica gli impianti considerati a rischio, i criteriper individuare la tipologia di rischio, le norme per la prevenzione e la sicurezza ed anche le Autoritàcompetenti per il controllo.La legge 349/86 che ha istituito il Ministero dell’Ambiente ha introdotto Valutazione di ImpattoAmbientale (VIA).2.2 Gli approcci economici e aziendaliL’affermarsi dell’environmental management ha sviluppato diversi approcci tra cui quello tecnologicodi stampo ingegneristico, quello giuridico riduce la questione in norme, diritti e doveri, quello socio-politicoricomprende anche la considerazione di interessi e poteri, quello economico centrato sull’esternalizzazionedei costi di uso di risorse ambientali; quello aziendale che cerca di armonizzare la questione ecologica con lealtre scelte strategiche dell’impresa.Nell’approccio economico classico la variabile ambiente è stata sempre più presa in considerazione.Malthus pone in evidenza i limiti posti dalle risorse naturali all’umanità, Mill che analizza gli utilizzialternativi dell’ambiente, Pantaleoni inizia ad osservare le conseguenze dannose dell’attività economiche perla collettività e per l’ambiente anticipando il concetto di “diseconomia esterna”.Già nel 1920 Pigou affronta il tema dell’esternalità distinguendo fra: “prodotti netti sociali” e “prodottinetti privati”. In effetti si osserva che i danni causati da una impresa sull’ambiente sono costi del processoproduttivo esternalizzati e fatti gravare sulla comunità. L’ambiente viene già interpretato come un “benesociale”. Tale danno, tale esternalizzazione non ha compensazione e impedisce allora un’allocazioneottimale delle risorse.Dalle teorie di Pigou prende l’avvio un filone di studi che si occupa degli strumenti, dei metodi dautilizzare per far sì che questi costi che l’impresa esternalizza, facendoli gravare sulla società, venganoriassorbiti al suo interno tramite prelievi fiscali, sussidi e così via. Interessante in tal senso, è il contributo diCoase, che considera l’ambiente come una proprietà comune e il suo sfruttamento fa quindi nascere il dirittodella collettività ad un risarcimento per l’uso da parte dell’impresa di questo bene, risarcimento determinatoin base ad una contrattazione fra impresa e società.Risulta evidente la difficoltà di comprendere la tutela ambientale nell’impianto teorico degli studieconomici classici.258


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiDa qui la nascita, ancora in corso, di una economia dell’ecologica che sfrutti il contributo di più scienze.Una economia che sembra più fiorente nel campo aziendale e gestionale in quanto meno propenso allariduzione formalistica e più orientato a cogliere la complessità operativa. Infatti, pur partendo impostazionedi risk managemen, centrata sulla immunizzazione anche patrimoniale dal rischio ambientale, l’approccioaziendale approda ad un modello più integrato di governo della variabile ambientale e segnatamente ecolgicaorientato alla gestione multidisciplinare del rapporto. Passaggio dovuto anche alla maggiore sensibilitàsociale al problema ambientale, al maggior rigore legislativo in materia e, forse, ad <strong>nuovo</strong> atteggiamentodelle imprese nei confronti dell’ambiente ecologico.Infatti, il contributi economici aziendali seguono l’interpretazione imprenditoriale della questioneecologica che può essere stigmatizzata in cinque atteggiamenti: l’agnostico, il regolativo, il risanatore; ilprudente; il governatore.L’agnostico è indifferente verso il problema ambientale sostenuto da una scarsa sensibilità dellacollettività (Marangoni, 1994, p. 52). Il regolativo rileva una maggiore sensibilità ambientale, ma si esprimeattraverso norme sporadiche, frammentarie e spesso non rispettate, anche perché considerate spesso difacciata. Il risanatore si distingue per un senso di allarmismo, a volte controproducente, centratosull’inquinamento. Il prudente mostra accanto ad una cultura anti-inquinamento associa un interventoorganico, ossia, una sensibilità ambientale strutturata nei processi organizzativi. Il governatore prendecoscienza del problema ambientale dando all’aspetto ecologico la rilevanza strategica, e non soloorganizzativa, di uno sviluppo sostenibile: sviluppo in grado di soddisfare bisogni e interessi presenti senzacompromettere la possibilità di soddisfare generazioni future(Auster e Hunt, 1990). Solo in quest’ultimoatteggiamento, peraltro assai poco diffuso, la questione ecologica è percepita dall’impresa non solo comevincolo (dovendo l’impresa sottostare alle norme ed ai limiti posti a tutela dell’ambiente), ma anche comeopportunità (in quanto stimolo alla ricerca tecnologica, allo sviluppo di nuovi prodotti e processi e, quindi,fonte di vantaggio competitivo).La questione ecologica si è evoluta non solo negli atteggiamenti e nei modelli proposti in dottrina, maanche nei contenuti: dalle sole emissioni industriali dirette (aeree, solide e liquide) a impatti complessivilungo tuta la filiera ivi compresi gli smaltimenti finali.Comunque a cambiare, in parte, la condotta delle imprese non è stata tanto la nuova sensibilitàambientale quanto la maggior attenzione legislativa che integrano le tradizionali sanzioni (civili, penali eamministrative) con forme di incentivanzione/disincentivazione (tasse ambientali sulle emissioni inquinantio su determinati prodotti; incentivi finanziari e fiscali per investimenti in processi a minor impattoambientale; diritti di emissione che definiscono i livelli massimi di inquinamento ammissibili) e con formedi visibilità delle politiche adottate (Ecolabel o marchio di qualità ambientale e Ecoaudit, ossia sistemacomunitario di ecogestione e di audit ambientale) - (Sassoon E. e Rapisarda Sassoon C., 1993, p.131-148).2.3 I fattori di interpretazione del contesto socio-ambientaleIn ogni caso, l’attribuzione di una valenza strategica alla tematica ambientale che le relazioni fraimpresa ed ambiente siano viste in modo globale, utilizzando metodologie appositamente concepite per lagestione della variabile ecologica. L’environmental management, inoltre, non dev’essere più ispirato da unalogica di emergenza, ma da un approccio multidisciplinare. Un approccio che, superando l’attualeconcezione esclusivamente normativo-tecnologica, faccia della tutela ambientale parte dei valori e degliobiettivi di fondo dell’impresa.Tra i fattori che incidano più di altri nella interpretazione del contesto socio-ambientale si ricorda ilgrado di innovatività nella ricettività ecologica dell’impresa e il livello di intensità ecologica del suobusiness.Il grado di innovatività nella ricettività ecologica dell’impresa è capacità di modificarsi, non solo insenso tecnico/scientifico, di fronte a un problema ambientale. Il livello di intensità ambientale del business èl’impatto reale o potenziale che evidentemente è differenziato a seconda i tipi di prodotti e di processiproduttivi.L’interpretazione del contesto derivante dai suddetti caratteri risulta semplice. In presenza di bassasensibilità e innovatività dell’azienda e di bassa intensità ambientale del business l’impresa potrà risultareindifferente verso la tutela ambientale e sicuramente non impegnata nell’elaborazione di strategie ambientali.Al crescere della cricità di questi due fattori aumenta ricettività nei riguardi della variabile ambientale:l’impresa, infatti, in funzione del settore in cui opera deve gestire la variabile ecologica sia in senso difensivo259


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiche offensivo rispetto alla concorrenza. In tal senso il cosiddetto “circolo virtuoso della protezioneambientale” (Marangoni, 1994, p.95), con il quale esprime le conseguenze positive, in termini competitivi ereddituali, di adeguate strategie ambientali, come ad esempio: la riduzione dei costi conseguente all’uso ditecnologie capaci di garantire una maggiore efficienza delle risorse impiegate; il miglioramentodell’immagine aziendale nei confronti di stakeholders sempre più interessati ai “prodotti verdi”; la maggiorecompetitività nei confronti della concorrenza e, quindi, l’aumento delle quote di mercato.L’interpretazione del contesto socio-ambientale dipende anche dal concorso di un insieme di fattori chefacilitano od ostacolano l’acquisizione di una visione ecologica integrata (Marangoni, 1994, p.99). Tra ifattori favorevoli: il quadro normativo, nazionale e comunitario, relativo all’ambiente; il livello tecnologico edelle conoscenze scientifiche dell’impresa; il problema della gestione dei rifiuti, fonte inesauribile di costicrescenti; la definizione del business secondo le tradizionali variabili: prodotto, mercato, tecnologia; lapressione esercitata dall’ambiente esterno (opinione pubblica, concorrenza, mondo politico). Mentre tra ifattori che ostacolano, oltre a segni negativi nei predenti, si ricordano: l’inadeguata o mancata attuazionedelle politiche di tutela ambientale; l’inefficiente supporto all’implementazione dato dal management internoall’impresa; l’eventuale scarsità di risorse necessarie. Ai tali fattori condizionanti è necessario correlare irispettivi rischi ed opportunità.Altra distinzione tra i fattori determinati l’interpretazione del contesto in esame è la distinzione traesogeni ed endogeni: i primi, costituiti ad esempio dalle attese del contesto socio politico, da quelle delsistema economico, dal quadro normativo nazionale e comunitario, dai fattori economici, dai rapportidell’impresa con i soggetti istituzionali, dalle relazioni che l’impresa intrattiene con i vari stakeholders,definiscono gli “scenari” in cui l’impresa si inserisce. Mentre i fattori interni, quali i rapporti azionisti,dipendenti, management, finanziatori ecc., insieme alle strategie perseguite, ai sistemi gestionali, allestrutture presenti all’interno dell’impresa ed alle competenze aziendali determinano la “cultura” ed i “valoriaziendali”.Infatti, i fattori interni possono distinguersi in soft che attengono ai valori ed alla cultura aziendale, daicaratteri chiamati invece hard che riguardano, invece, strutture, tecnologie, impianti ecc. (Marangoni, 1994,p. 142)In particolare, i fattori che abbiamo chiamato soft incidono notevolmente sull’orientamento delmanagement; tra questi: l’orizzonte temporale dell’impresa assume particolare rilevanza visto che sel’impresa si pone in un approccio di lungo termine, più facilmente si orienterà a prospettive di tutelaambientale; inoltre, il numero di scopi, la propensione al rischio ed al cambiamento sono tutte peculiaritàdell’impresa che influiscono nella definizione della strategia ambientale.L’analisi dei fattori hard consente di verificare la vulnerabilità aziendale relativamente alle questioniecologiche. Sinteticamente gli elementi rilevanti in questo tipo di indagine sono: gli impianti dal punto divista della tipologia, età, condizioni di funzionamento, aggiornamento e stato; i sistemi di monitoraggio delleemissioni, loro presenza e stato di funzionamento; la localizzazione, il decentramento produttivo el’indipendenza dalle unità periferiche, i sistemi di sicurezza, loro presenza ed affidabilità, sistemi difiltraggio e di depurazione, sistemi di smaltimento e riciclo dei rifiuti, presenza ed affidabilità; le misure disicurezza e condizioni dei luoghi di lavoro; l’esperienza, la preparazione tecnica ed il know-how delpersonale in relazione ai problemi ecologici; la disponibilità di competenze tecniche, tecnologie e struttureorganizzative; l’esistenza autonomia e risorse dedicate ad una unità ambiente; eventuali precedenti incidentiambientali e provvedimenti adottati.L’impresa, infine, è caratterizzata da fattori che possono ostacolare sia la formulazione chel’implementazione di una strategia ambientale –fattori ostacolanti- . Fra questi, oltre a quelli già visti,occorre ricordare: i notevoli costi necessari per sostenere la gestione ambientale; la lentezza ol’inadeguatezza dell’organizzazione dell’impresa rispetto alla gestione della variabile ambientale; lamancanza di know-how gestionale o di tecnologie necessarie.2.4 Gli interlocutori del contesto socio-ambientaleGli stakeholders che interagiscono con l’impresa condizionandone anche le scelte ambientali.Clienti, utenti e consumatori sono sempre più ricettivi rispetto alla problematica ambientale, menoimpulsivi e più attenti al profilo “etico” del produttore e del prodotto. Pertanto inducono le imprese asviluppare una “green orientation” testimoniata dalla crescente diffusione di prodotti verdi, dalla preferenzaper packaging eco-compatibili, e così via.260


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiI movimenti ecologisti aggregano interessi diffusi in poteri collettivi di influenza diretta sulle imprese edi pressione politica e mediatica.Per i concorrenti attuali e potenziali la variabile ecologica può essere strumento competitivo siamostrandosi semplicemente come ulteriore carattere del prodotto e parte delle politiche di marketingdell’azienda, sia come elemento su cui operare una segmentazione del mercato per individuare il segmentotarget disponibile al pagamento di un plus per il prodotto ecologico.I fornitori ed i terzisti vengono coinvolti in una prospettiva di tutela ambientale dalla logicaconsiderazione che l’impresa non debba tenere conto esclusivamente dei processi produttivi avviati al suointerno ma debba considerare sia la parte di filiera a monte, sia i terzisti che collaborano alla realizzazionedel prodotto finito. In particolare, l’impresa dovrà verificare la compatibilità ambientale della fornitura e lacapacità di operare in maniera eco–compatibile dei terzisti.I lavoratori e i sindacati, con il diffondersi di una cultura ambientale, si sono impegnati nella direzionedi aumentare la sicurezza del luogo di lavoro, attraverso, ad esempio, la riduzione degli effetti nocivi deiprocessi produttivi.Gli azionisti ed i finanziatori hanno tradizionalmente minor sensibilità ambientale. Stante i loro obiettivitradizionalmente più orientati ad interessi economico-finanziari, la loro disponibilità verso investimenti il cuiritorno è lungo ed incerto è piuttosto bassa. In questo senso si vive la difficoltà di reperire capitali dadestinare alla tutela ambientale. Di qui l’importanza di specifici interventi normativi e agevolativi visto checosiddetti “green stockholders”, rappresentati verdi che detengono quote per esercitare pressioni dall’interno,sono al momento molto rari. In ogni caso sono assai sporadici gli interventi dei “Green Funds”, cheinvestono solo in società che si dimostrano eco–compatibili, mentre decisamente in crescita sembrano“Sector green funds”, che investono in società che si occupano del risanamento ambientale.In tal senso è cruciale l’intervento delle istituzioni ed i soggetti pubblici che rappresentano il soggettoforte e autoritativo depositario della tutela ambientale. Le imprese nello svolgere la propria attivitàinteragiscono con una serie di Istituzioni come gli Enti Locale, Le Aziende Sanitarie Locali (ASL),L’ispettorato per il Lavoro ed altre, che condizionano nella loro azione sanzionatoria, di controllo e diintervento la determinazione della strategia ambientale dell’impresa.2.5 I sistemi di gestione ambientaleNella formulazione della strategia ambientale deve essere considerata una serie di caratteri checontraddistinguono la variabile ambientale che le fanno assumere una configurazione complessa. Il primocarattere è la molteplicità dei soggetti coinvolti nella gestione delle problematiche ambientali a livello diimpresa (Triolo, 1996, p. 55). Un altro carattere riguarda la molteplicità delle variabili da prendere inconsiderazione nell’analisi delle problematiche ambientali che rendono difficoltoso l’individuazione dellerelazioni causa-effetto e di conseguenza delle soluzioni da adottare. Quindi è necessaria un’impostazionegestionale delle tematiche che permetta di valorizzare le azioni per il miglioramento delle prestazioniambientali all’interno di un quadro organizzativo-gestionale strutturato e coerente.Per questo deve essere sviluppato un sistema di gestione ambientale costituito dall’insieme deimeccanismi organizzativi, degli strumenti, delle risorse, delle procedure necessarie per la gestione dellevariabili ambientali per il raggiungimento dei fini e degli obiettivi stabiliti dall’impresa. Volendo darne unadefinizione, è necessario far riferimento a quella fornita dal Regolamento CE 761/2001 art. 2 lettera k chedisciplina il sistema Emas: “il sistema di gestione ambientale è quella parte del sistema complessivo digestione comprendente la struttura organizzativa, le attività di pianificazione, le responsabilità, le pratiche, leprocedure, i processi, e le risorse per sviluppare, mettere in atto, relazionale riesaminare e mantenere lapolitica ambientale”.La “struttura organizzativa” viene definita come l’inquadramento delle risorse umane destinatedall’azienda alla gestione ambientale e delle relazioni che si instaurano tra di essi; la “pianificazione” èl’insieme delle attività che definiscono gli obiettivi ambientali e le linee d’azione idonee a garantire ilraggiungimento; la “responsabilità” è la definizione e l’attribuzione di funzioni e poteri proporzionali aicompiti attribuiti ad unità organizzative e individui; le “politiche” sono modi di operare adottati dall’azienda;le “procedure” sono i metodi di esecuzione di un’attività e i “processi” sono le operazioni effettuateattraverso dispositivi tecnici. Infine, le “risorse umane, tecniche e finanziarie stanziate dall’azienda per larealizzazione del programma ambientale e il raggiungimento degli obiettivi in esso definiti.261


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiGli obiettivi a livello generale di un sistema di gestione ambientale sono: “1) la capacità dell’impresa disvolgere responsabilmente la propria attività secondo modalità che garantiscono il rispetto dell’ambiente; 2)la facoltà di identificare, analizzare, prevedere, prevenire e controllare gli effetti ambientali; 3) la possibilitàdi modificare e aggiornare continuamente l’organizzazione e migliorare le prestazioni ambientali in relazioneai cambiamenti dei fattori interni ed esterni; 4) la capacità di avviare, motivare e valorizzare l’iniziativa ditutti gli attori all’interno dell’organizzazione; 5) la facoltà di comunicare e integrare con i soggetti esterniinteressati o coinvolti nelle prestazioni ambientali dell’impresa” (Frey, 1995, p.116).Un’impresa, quindi, deve avere un sistema di gestione ambientale perché riduce i rischi ambientalidell’organizzazione controllando gli impatti in modo sistematico, e contribuisce a miglioramenti continui eriduzioni di costi (Sadgrove, 1997).Gli elementi essenziali su cui si basa il sistema di gestione ambientale sono attività: di analisi eprogrammazione, di strutturazione organizzativa e gestionale, di controllo e misurazioni delle prestazioni e dicomunicazione. Attività, queste, che possono essere a loro volta suddivise in attività che si ripetono ognivolta. Il sistema di gestione ambientale è in continua evoluzione in parallelo all’evoluzione dellalegislazione, del mercato e della tecnologia. Ma non solo, esso rappresenta il passaggio da un “approcciotattico ad un approccio strategico dei problemi connessi alla protezione dell’ambiente” (Trotta, 1995, p. 174).Tale cambiamento viene facilitato tramite un’integrazione del sistema di gestione ambientale nel sistema digestione aziendale già strutturato in modo da creare una sorta di sinergia culturale assieme alla cultura delmercato, alla cultura della qualità e quella dei costi, con la cultura della protezione ambientale, dellasicurezza e dell’igiene industriale.Le motivazioni che spingono l’impresa verso l’integrazione (Frey, 1995, pp. 145-157) hanno diversanatura sia interna che esterna, ma è spesso richiesta dalle stesse autorità e dai vari stakeholder aziendali. Inaltri casi la motivazione è legata all’integrazione con la qualità con notevoli vantaggi in termini gestionali.Tuttavia, tale integrazione deve essere attuata ponendo attenzione a evitare di ridurre il problema ambientalea una questione di procedure di natura interna.2.5.1 EMAS (EcoManagement and Audit Scheme)Il sistema di gestione ambientale a livello comunitario è rappresentato dal Regolamento dell’UnioneEuropea n° 761/2001, uno degli strumenti voluti dall’Unione Europea sull’adesione volontaria delle impresedel settore industriale a un sistema comunitario di ecogestione e audit. Questo rappresenta un tentativo diriorganizzazione e razionalizzazione della gestione ambientale dell’azienda nell’ambito di un rapporto <strong>nuovo</strong>tra imprese, istituzioni e pubblico, rapporto basato sulla cooperazione sul supporto in cui l’impresa siresponsabilizza.In quest’ottica il legislatore non pone vincoli operativi o limitativi quantitativi ma definisce lecaratteristiche del sistema di gestione ambientale che deve avere affinché all’impresa venga attribuito unpubblico riconoscimento della sua completezza e correttezza.L’obiettivo di Emas consiste nel promuovere miglioramenti continui delle prestazioni ambientali delleorganizzazioni di tutti i settori mediante: “- l’introduzione e l’attuazione da parte dell’organizzazione deisistemi di gestione ambientale, come indicato nel regolamento; - la valutazione obiettiva e periodica di talisistemi; - la formazione e la partecipazione attiva dei dipendenti delle organizzazioni; - l’informazione delpubblico e delle altre parti interessate” (Regolamento dell’U.E. n° 761/2001). Le imprese oltre ad ottenere laregistrazione all’Emas devono mantenerla tramite le verifiche sugli elementi richiesti per la registrazionestessa e sulle informazioni contenute nella dichiarazione.Le imprese che partecipano al sistema Emas sono registrate dagli organismi competenti a condizioneche abbiano presentato a questi una dichiarazione ambientale convalidata, ovvero abbiano versato una quotadi registrazione, e soddisfino tutte le condizioni imposte dal regolamento. Gli organismi competenti possonosospendere o cancellare la registrazione, se l’impresa non rispetta le disposizioni stabilite nel regolamento.Le attività necessarie per l’implementazione del sistema di gestione ambientale sono:a) L’analisi ambientale iniziale che rappresenta “un passaggio fondamentale di tutto il processo, taleattività è particolarmente onerosa per il management in quanto comporta l’identificazione di tutti ifattori di impatto ambientale conseguenti alle attività svolte e l’impostazione di un sistema diregistrazione degli effetti ambientali determinati da questi fattori” (Azzone, Bertelè, e Noci, 1997, p.141), successivamente dobbiamo individuare tra questi quelli più significativi su cui concentrarel’attenzione nella formulazione del programma e degli obiettivi di miglioramento.262


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeib) La politica ambientale, attraverso la quale, l’impresa dichiara il proprio impegno nei confronti dellatutela ecologica e definisce i principi generali su cui tale impegno si ispira. Tutto questo vieneesplicitato per iscritto in un linguaggio comprensibile.c) Il programma ambientale che contiene la descrizione dei piani di azione tramite i quali l’aziendatraduce i principi generali della politica ambientale in obiettivi specifici, predispone risorse estrumenti operativi adeguati e definisce poteri e responsabilità per il raggiungimento di tali obiettivi.L’introduzione del sistema di gestione ambientale conforme all’Emas comporta: lo sviluppo diprogrammi ambientali chiari, un preciso assetto organizzativo, un adeguato controllo operativo delleprestazioni ottenute ed infine la predisposizione della documentazione necessaria per l’analisi delleattività di gestione ambientale. A conclusione è opportuno ricordare che il suo funzionamentopresuppone lo svolgimento di molteplici attività tra le quali particolarmente significativa è quella diauditing ambientale.2.5.2 ISO 14000Nel 1996, l’apposito comitato internazionale dell’Organizzazione Internazionale per laStandardizzazione (ISO), ha messo a punto il sistema di norme Iso 14000 per i sistemi di gestione ambientale(Environmental Management System EMS) in armonia con gli standard riconosciuti a livello internazionale.Questo sistema è composto da una serie di standard volontari che devono essere applicati per consentire aduna organizzazione di raggiungere risultati ambientali ed economici positivi, attraverso l’applicazione di uneffettivo sistema di gestione ambientale.La normativa Iso 14000 non stabilisce dei livelli di inquinamento o specifici criteri di performanceambientale, quanto l’individuazione di procedure per il conseguimento degli obiettivi ambientali stabiliti daun’organizzazione (Cannarella, 2001, pp. 17-22). Tra le varie normative Iso 14000 quello che assume piùimportanza risulta essere Iso 14001 (Hillary, 2000). La sua implementazione prevede lo svolgimento di unaserie di attività di: a) pianificazione, volta ad individuare gli aspetti ambientali delle attività caratteristichedell’impresa che necessitano di un monitoraggio continuo e analisi della normativa vigente; b)regolamentazione, data dalla definizione della politica ambientale e sua diffusione al personale,dall’individuazione degli interventi correttivi, dall’attuazione del sistema di gestione ambientale attraversol’identificazione di ruoli, responsabilità e autorità; c) attuazione e controllo, realizzate attraversol’introduzione di procedure per il controllo delle principali caratteristiche delle attività e delle operazioni diimpresa che possono avere un impatto significativo sull’ambiente; d) riesame continuo, da parte delladirezione dell’efficacia del sistema di gestione ambientale implementato.La normativa Iso 14000 si pone come una sorta di continuazione e integrazione della normativa Iso9000, ad essa infatti, sono aggiunte due fasi principali: 1) il controllo e la verifica della documentazioneaziendale; 2) la visita ispettiva da parte di un ente di certificazione esterna. La struttura Iso 14000 mette adisposizione dell’organizzazione una serie di strumenti di valutazione sia dell’organizzazione, sia delprodotto e delle caratteristiche dei processi coinvolti. Per i quali vengono individuati il sistema di gestioneambientale, l’audit ambientale, la valutazione delle performance ambientali, per la prima; ed elementi come:il marchio ambientale, l’analisi del ciclo di vita, gli aspetti ambientali negli standard di prodotto, per laseconda.Il sistema Iso 14000, individuando i problemi nelle prime fasi del ciclo di vita del prodotto/servizio,contribuisce ad ottenere dei risultati lungo tutto il processo. Oltre a questo, il sistema coopera alladiminuzione del rischio di incorrere in sanzioni amministrative e penali; a migliorare l’utilizzazione deisemilavorati; alla conversione dei rifiuti in prodotti commercialmente valutabili; alla conversione dei rifiutiin prodotti commercialmente valutabili; alla riduzione di costi attraverso la realizzazione di ambenti dilavoro più sicuri; alle riduzioni di costi associati alle emissioni, scarico, trasporto e stoccaggio dei rifiuti,minori costi di produzione e imballaggio e costi assicurativi.Sia Emas che Iso sono strumenti volontari orientati al miglioramento continuo della performanceecologica dell’impresa, esistono, però, alcune differenze più o meno rilevanti. L’Emas è applicabile nelterritorio dell’unione europea, mentre Iso è uno standard internazionale. Un’altra differenza rilevante sta nelfatto che Emas prevede alla fine dell’iter la redazione della dichiarazione ambientale mentre in Iso non èprevista. Ne deriva che l’adesione Emas risulta più impegnativa e vincolante risultando all’inizio un frenoalla sua diffusione. Nel <strong>nuovo</strong> Regolamento Emas 761/2001 è sottolineata l’esigenza di promuovere laconvergenza dei due schemi, che non devono essere competitivi ma complementari.263


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei2.6 Gli strumenti di interpretazione del contesto ecologico delle impreseA fronte della nuova sensibilità ambientale sorge l’esigenza di disporre di strumenti che consentano nonsolo la gestione strategica ed operativa della variabile ambientale, ma anche di mezzi con cui misurare,valutare e controllare la propria efficienza ecologica. Nonostante l’innegabile difficoltà di quantificarepuntualmente la performance aziendale in campo ambientale, negli ultimi anni sono stati sviluppati sistemiidonei a fornire una rappresentazione del complessivo impatto dell’impresa sull’ambiente fisico-naturale edelle linee d’azione intraprese per ridurre gli effetti. Questi strumenti vengono distinti tra:a) strumenti di comunicazione ambientale esterna, redatti per: una sempre maggiore pressione deigoverni e dell’opinione pubblica sull’impresa per le problematiche aziendali; la complessità delleproblematiche ambientali; l’esigenza di coniugare l’obiettivo di sviluppo e tutela dell’ambiente; laconsapevolezza del management della necessità di sviluppare una politica proattiva.b) strumenti di informativa ambientale interna.I principali, esaminati di seguito, sono: l’ecolabelling, l’audit ambientale, la contabilità verde, l’ecobilancioed alcuni indicatori parziali di performance.2.6.1 L’ ecolabelingCon l’ecolabeling un organismo privato o pubblico procede ad assegnare, su base volontaria,un’etichetta con la finalità di informare i consumatori sul rispetto ambientale dei vari prodotti. Questostrumento di comunicazione esterna, permette di valutare l’eco-compatibilità dei prodotti in modo misurabileconsentendo, inoltre, al consumatore di individuare prontamente un prodotto a basso impatto ambientale,ovvero più rispettoso dell’ambiente.Con il Regolamento CEE n° 880/92 il consiglio delle comunità Europee ha istituito un sistema diassegnazione di un marchio di qualità ecologica dei prodotti tesa a : “promuovere la concezione, laproduzione la commercializzazione e l’uso di prodotti aventi un minor impatto ambientale durante l’interociclo di vita del prodotto”, fornendo ai consumatori una maggiore informazione sull’impatto ambientale deiprodotti senza “compromettere la sicurezza dei materiali stessi e dei lavoratori, ne incidere in modosignificativo sulle qualità che rendono il prodotto idonea all’uso”. L’istituzione di tale etichettatura dovrà inprospettiva costituire una guida per i consumatori, funzione che verrà assolta nel modo migliore stabilendodei criteri uniformi per l’assegnazione del marchio in tutta la Comunità Europea. Tuttavia, il marchio sullasostenibilità ambientale dei prodotti della comunità si affianca ed è complementare ad altri sistemi dietichettatura già presenti sul mercato europeo. La Germania ad esempio, è stata una delle prime nazioni adaver realizzato un Istituto di Certificazione della Qualità Ambientale di prodotti (Bevacqua, Cascinai, 1999,p.78). Il marchio Angelo Azzurro si basa sui criteri di confronto tra più prodotti destinati alla stessautilizzazione ed è teso alla identificazione di quelli maggiormente compatibili con l’ambiente tramitel’analisi dell’intero ciclo di vita, della loro sicurezza d’uso e la valutazione delle emissioni inquinantiassociate all’utilizzo, alla produzione e allo smaltimento. Anche in Francia, nei Paesi Bassi, e in Spagna sonostate istituite etichette ecologiche. Attualmente, secondo il Regolamento CEE n° 880/92, operativo anche inItalia, le condizioni di assegnazione dei marchi ecolabel sono definite per gruppi di prodotti, per ognuno deiquali sono stabiliti criteri ecologici specifici e la validità. L’apposizione di etichette ecologiche, quindi, è unprocedimento che inizia con l’analisi di un prodotto da parte di organismi tecnici appositi e termina con ilrilascio della certificazione, la quale attesta imparzialmente l’eco-compatibilità dei prodotti.Gli obiettivi dell’assegnazione di un’etichetta ecologica sono molteplici, tra questi: aumentarel’attenzione dei consumatori sulla tematica ecologica e stimolare l’acquisto di prodotti environmentallyfriendly; dare informazioni chiare e corrette relative all’eco-compatibilità dei prodotti; fare pressione suifabbricanti perché considerino l’effettivo impatto ambientale dei propri prodotti.L’iter da seguire per ottenere l’ecolabel è complesso, è la Commissione Europea ad avviare le procedureper l’assegnazione del marchio di qualità, su richiesta dell’Organismo nazionale competente o su propriainiziativa, previa consultazione di un Forum specificamente istituito (Bartolomeo, Malaman, Pavan,Sammarco, 1995, pp. 127). Il procedimento può essere suddiviso nelle seguenti fasi: 1) si scelgono letipologie di prodotto partendo dalla finalità di tutela ambientali; 2) viene valutato e analizzato l’impattoambientale del prodotto, con riferimento all’intero ciclo di vita (tale analisi è svolta dal comitato che cural’assegnazione dell’etichetta ecologica); 3) vengono definiti gli standard di riferimento, oggettivi everificabili sulla base dei quali è possibile la concessione dell’ecolabel (la rigidità di questi ultimiavvantaggia la salvaguardia ambientale, ma scoraggia le imprese a richiederlo); 4) infine, viene delimitata264


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeil’ampiezza della categoria di prodotto, ovvero vengono definiti i prodotti che possono ottenere l’etichetta(più ampia è la categoria e minore è la tutela ambientale).Ogni gruppo di prodotti contiene al suo interno prodotti in concorrenza tra loro destinati ad usi analoghi.I criteri ecologici vengono stabiliti secondo un metodo globale che tiene conto degli impatti ambientali delprodotto “dalla culla alla tomba” (LCA - Life Cycle Assessment). Tale metodo considera i parametri delloschema indicativo di valutazione del Regolamento CEE n° 880/92.I criteri individuati, per gruppi di prodotti, devono essere chiari affinché sia garantita l’uniformità diapplicazione da parte degli organismi competenti, inoltre, devono assicurare la protezione dell’ambiente ebasarsi sull’uso di tecnologie pulite. Ogni richiesta di assegnazione del marchio di qualità ecologica èsoggetta al pagamento delle spese necessarie per l’esame del fascicolo. Inoltre, le condizioni di uso delmarchio comprendono il pagamento di un diritto d’uso annuale pari allo 0,15% delle vendite prodotteall’interno della Comunità Europea.I vantaggi (Bevacqua, Cascinai, 1999, pp. 80-82) che derivano alle aziende, che decidono di aderire alprogramma di Ecolabel Comunitario sono di varia natura, ma tre sono quelli fondamentali:a) la riconoscibilità del prodotto, un prodotto certificato come ecocompatibile si differenzia rispetto aglialtri dello stesso gruppo presenti sul mercato, in quanto dichiara di non danneggiare l’ambiente,contribuendo al miglioramento della qualità della vita. L’appicazione del marchio ecologico e leinformazioni ad esso relative lo rendono riconoscibile in tal senso;b) il soddisfacimento del cliente, i consumatori stanno diventando molto attenti alle strategie diprotezione dell’ambiente, numerose ricerche hanno dimostrato che essi vogliono svolgere un ruoloattivo in questo senso, dando la preferenza ai prodotti che sono maggiormente compatibili conl’ambiente. Un prodotto certificato soddisfa i consumatori, che comperandolo si sentono consumatoriesperti ovvero in grado di scegliere prodotti oggettivamente migliori;c) il costo e la competitività del prodotto, la certificazione giustifica, un costo più elevato del prodottorispetto a prodotti analoghi, in quanto tale surplus copre le spese sostenute per l’adozione ditecnologie pulite e l’attuazione di controlli nelle fase di produzione a favore della salvaguardiadell’ambiente.Infine la certificazione comunitaria diminuisce la concorrenza di prodotti marchiati con etichetteecologiche libere, ovvero non certificate, rendendo più trasparente il mercato.Lo strumento di comunicazione ecolabel, è strumento fondamentale nella gestione degli aspetti dicomunicazione ambientale riferibili al prodotto, in particolar modo per le imprese con prodotti a largadiffusione.2.6.2 L’audit ambientaleL’audit ambientale, strumento gestionale che ha cominciato ad essere utilizzato all’inizio degli annisettanta (Biondi, 1995), consiste in una sistematica, documentata, periodica ed obiettiva valutazione deirisultati ecologico-ambientali dell’organizzazione, dei sistemi di gestione, degli impianti e delle attrezzature.L’auditing è infatti definito: “uno strumento di gestione comprendente una valutazione sistematica,documentata, periodica e obiettiva dell’efficienza dell’organizzazione, del sistema di gestione delle prassiche possono avere un impatto sull’ambiente e valutare la conformità alle politiche aziendali” (Regolamentodell’U.E. n° 761/2001, art.2 lettera f).Oggetto degli audits possono essere sia le singole unità produttive, sia l’azienda nel suo complesso,estendendosi anche ai fornitori.Questa molteplicità di riferimenti permette di distinguere vari tipi di audits: - audits delle unitàproduttive (più frequentemente attuata), - audits per la valutazione d’azienda, - audits effettuati su fornitori.Gli audit si classificano anche in base ai soggetti chiamati ad effettuarli: - audit “top down” effettuati daivertici aziendali; - “self assestment” svolti dalle stesse unità interessate; - “third party” realizzati daorganismi esterni all’impresa.L’utilità dell’audit risiede anche nella possibilità di utilizzare il risultato come veicolo comunicativo, inquanto certifica l’eco-compatibilità dell’unità produttiva nei confronti della collettività.L’auditing ambientale è opera di un gruppo di “auditors”, interni o esterni all’impresa, aventicompetenze tecniche, professionali e normative di provato valore, nonché una rilevante esperienza in campoambientale. L’impiego di consulenti esterni avvantaggia l’impresa perché, sono dotati di una maggioreprofessionalità e indipendenza di giudizio, m comportano un alto costo, l’impiego di personale interno265


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicomporta vantaggi in termini di maggiore conoscenza dei processi e una integrazione delle attività diauditing nel sistema aziendale complessivo, ma lo svantaggio di una scarsa indipendenza degli auditorsrispetto alla realtà che esaminano. Il team assolve precipuamente il compito di svolgere le analisi necessarie,le operazioni di raccolta e confronto dati, connesse all’obiettivo di arrivare determinare l’effettivo impattoambientale delle unità produttive. Tutto ciò viene svolto secondo quello che è denominato “protocollo diaudit”, cioè secondo procedure stabilite, queste vengono poi applicate, tout court, per l’esame di tutte le unitàproduttive da controllare, per garantire un’omogeneità di analisi.L’auditing all’interno dell’Emas (Gilioli, 1995, pp. 175-182) (Frey, 1995, pp. 163-165) deve essercondotto dall’azienda a partire dall’implementazione del sistema di gestione ambientale. L’elaborazionerichiede molto tempo ed per questo che il regolamento prevede per le imprese che hanno cominciato da pocoa implementare il sistema di gestione ambientale (e non sono in grado di presentare una documentazione diauditing passata) di presentare al verificatore solamente le risorse, la metodologia che usano nel condurrel’auditing, riservandosi successivamente di presentare i risultati dell’applicazione delle metodologie usate.Altro aspetto importante è la frequenza con cui l’attività di auditing viene condotta.Il procedimento di auditing può essere suddiviso in tre fasi fondamentali: 1) il pre-audit opianificazione, fase prettamente preparatoria durante la quale si scelgono le unità da sottoporre ad audit, siselezionano gli auditors e si raccolgono e si studiano preliminarmente informazioni riguardanti le attività e siprogramma o pianifica l’intera procedura; 2) l’attività on-site costituisce il fulcro di tutta l’operazione, è alsuo interno che si individuano tre fasi: a) l’identificazione e comprensione dei sistemi di controllo e gestionemanageriale esistenti nell’impresa, che prevede l’esame di sistemi di controllo interni al processo;l’organizzazione di stabilimento e le responsabilità specifiche; i parametri di conformità, gli indicatori e icriteri di accettazione in uso per ogni normativa a regolamento aziendale applicabile; il riesame dellemodalità di risoluzione adottate per ogni eventuale problema emerso nel passato. b) l’analisi dei sistemi dicontrollo interni, si sviluppa cioè l’analisi dei punti di forza e debolezza del sistema concentrandol’attenzione sul personale sui sistemi automatizzati e la documentazione di supporto e di programmazione. c)la raccolta e valutazione delle evidenze. Le evidenze di audit sono la base della documentazione tramite laquale gli autor stabiliscono se l’impresa rispetta i regolamenti, le leggi e le procedure aziendali, valutal’efficacia di raccogliere dati e informazioni, analizza gli scostamenti rispetto a precedenti valutazioni,iniziando una prima discussione sugli elementi raccolti; 3) l’ultima fase, il post-audit o preparazione delrapporto e follow up, consente di formalizzare i risultati raggiunti in un rapporto finale discusso con ilvertice aziendale e attraverso il quale si definiscono i piani di azione e adeguamento orientati allasoppressione delle problematiche ed al controllo futuro della gestione.L’Emas prevede infine la predisposizione di una dichiarazione ambientale, che contenga la descrizionedell’organizzazione, delle sue attività, prodotti e servizi, la politica ambientale e il sistema di ecogestionedell’organizzazione, la descrizione degli impatti ambientali, la descrizione degli obiettivi in relazione agliimpatti, le prestazioni ambientali dell’organizzazione e la data della dichiarazione. Dichiarazione che deveessere convalidata da un verificatore il cui nome e numero di accreditamento devono essere indicati nelladichiarazione. La dichiarazione e la sua pubblicazione consentono l’esplicitazione all’esterno degli obiettiviche in campo ambientale il manager intende realizzare (Azzone, Bertelè, e Noci, 1997, p. 142).L’auditing è uno strumento di complessa utilizzazione, ma di evidente utilità per l’impresa: consente diridurre l’impatto ambientale della produzione grazie alla prevenzione; permette di controllare il rispetto dellenorme ed introdurre standard aziendali ancora più rigidi; evidenzia eventuali rischi ambientali non previstidalla normativa con vantaggi in termini di immagine; sensibilizza e responsabilizza il personale riguardo latutela ambientale; valuta le performance ambientale e farle rientrare nei percorso di carriera; assicurainformazioni ai vertici; garantisce confronti dal punto di vista ambientale fra i diversi impianti di uno stessogruppo; rende noto l’impegno ambientale dell’impresa; individua le aree in cui sia possibile ottenere deirisparmi in termini di costo. Tra i limiti più evidenti dell’auditing, il quale più che semplice meccanismo dicontrollo si configura come strumento di gestione, si evidenziano, soprattutto, difficoltà nella suaapplicazione pratica dovute alle persistenti incertezze a livello normativo, alla diffidenza del personale edinfine, alle esigenze di minimi dimensionali per una sua proficua applicazione.2.6.3 La contabilità verde o contabilità ambientale d’impresaLa contabilità verde misura in termini di costi e ricavi, l’incidenza della tutela ambientale sull’impresa.Essa però non è “identificabile con un unico strumento o metodologia, ma rappresenta il tentativo di fornirerisposte alla richiesta di nuove informazioni strettamente collegate alla variabile strategica ambientale, o266


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiriorganizzando informazioni già contenute nella contabilità aziendale tradizionale, o integrandola con lenuove metodologie e strumenti, o, all’esterno, rifondandone finalità e metodologie al fine di trasformarecriteri di contabilizzazione prettamente economici in complessi quadri contabili fisici e monetari in cui ladimensione ambientale risulta nettamente evidenziata” (Bartolomeo, Malaman, Pavan, Sammarco, 1995, p.44).La contabilità ecologica si affianca, quindi, a quella amministrativa ufficiale, e può essere distinta fra“semplice contabilizzazione dei costi sostenuti dall’impresa in un’ottica di protezione ambientale” e“sistema articolato di registrazione di tutte le quantità, anche non monetarie, che riguardano gli aspettiambientali” (Marangoni, 1994, p.223). L’impresa indi deve disporre, per ottenere risultati concreti, di unsistema informativo in grado di fornire indicazioni sullo stato del patrimonio naturale e sulle modificazioniindotte delle politiche di sviluppo (Giovannelli, 2000, p.211). Le informazioni fornite dal sistemainformativo costituiscono una conoscenza fondamentale per la corretta gestione ambientale e sono basilariper lo svolgimento di alcune attività specifiche. Il monitoraggio periodico del proprio impatto, l’analisi dellearee critiche, sono importanti per fondere le decisioni d’investimento non solo sui costi e ricavi diproduzione ma anche sui costi ambientali attuali e futuri sia interni che sociali. Inoltre le informazioniambientali sono indispensabili all’impresa nella realizzazione di attività di comunicazione all’esterno, chegarantisca un ritorno in termini di immagine e profitto.Le imprese, comunque, difficilmente dispongono di procedure ad hoc per la rilevazione di costi e ricaviambientali. Spesso, esse, contabilizzano separatamente, in una apposita contabilità analitica, i costi ed i ricavirelativi alla tutela ambientale.Il costo ambientale, nella gestione d’impresa, è “il valore delle risorse e attività dedicate a migliorarel’impatto ambientale dei processi aziendali, ovvero tese a prevenire, abbattere o eliminare l’inquinamento,nonché a controllare l’impatto ambientale dei processi aziendali” (Mio, 2001, p.40). Vi rientrano quindi icosti delle misure intraprese da un’azienda per prevenire, ridurre o riparare ai danni causati all’ambientedalle sue attività, o per la conservazione delle risorse rinnovabili e non rinnovabili. I costi ambientali, inoltre,si distinguono in costi interni e costi esterni (Bartolomeo, 1997, p.42-48). I primi sono i costi sopportati daun’impresa per prevenire gli effetti ambientali connessi alla propria attività di produzione di beni e servizi. Isecondi sono quei costi generati dall’attività di un soggetto e sopportati da altri soggetti.La dottrina ha elaborato e messo a punto alcuni approcci alla contabilità ambientale, che si differenzianoper grado di profondità e per impatto sul sistema informativo contabile. Tali approcci vanno da quello “mildgreen”, che prevede la semplice rilevazione dei costi ambientali, a quello “dark green”, che prospettal’integrazione nelle metodologie contabili del concetto di sostenibilità e costo pieno (ossia la rilevazione deicosti ambientali interni ed esterni) con lo scopo di misurare l’impatto ambientale dell’attività di un’impresa.Nel percorso che porta da un approccio (Sammarco, 1994) di tipo “mild green” ad uno “dark green” visono diverse tappe, e per ognuna vi sono diverse proposte di modifica o integrazione della contabilità.La prima tappa, propone di evidenziare costi ambientali sostenuti dall’impresa già registrati nelle postedi bilancio e che necessitano unicamente di una loro riclassificazione. L’intervento è quindi di registrazioneseparata delle spese effettivamente sostenute per migliorare le prestazioni ambientali dell’impresa o quellerelative al pagamento di tasse di carattere ambientale. Una seconda tappa è costituita dalla rilevazione delle“passività ambientali nascoste”, ossia i potenziali esborsi causati da necessità future di ripristino dei siti, diadeguamento a normative più severe e dalla responsabilità dei danni causati da potenziali incidentiambientali.La fase successiva consiste nell’affiancare ai dati contabili finanziari sistemi di informazione ditipo fisico. Questa categoria di strumenti comprende i bilanci materiali di processo sotto forma di matriciinput-output che registrano i consumi di risorse in entrata e i prodotti vendibili e le emissioni di inquinanti inuscita. Infine, l’ultimo passaggio comprende la completa rifondazione dei principi contabili e l’utilizzo deidati fisici assieme a quelli monetari, finalizzato alla realizzazione di un sistema informativo integrato, checonsente una valutazione di tipo “ecologico” dell’impresa.L’attuazione delle modifiche da apportare al sistema informatico-contabile aziendale richiede lapresenza in impresa di un sistema informativo sufficientemente affidabile e flessibile e allo stesso tempo, lapresenza di una solida cultura ambientale. Infatti, la partecipazione attiva dei soggetti interessati nel processodi rilevazione dei dati ambientali è strettamente legata all’esistenza di una diffusa sensibilità verso laproblematica ambientale all’interno dell’impresa.2.6.4 Il bilancio ambientale267


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiPer bilancio ambientale si intende la misurazione, qualitativa e quantitativa, dell’impatto ambientaledell’attività d’impresa, espressa sia dal consumo di risorse naturali necessarie al suo funzionamento, chedalla sua emissione di sostanze inquinanti nell’ecosistema. Il bilancio ambientale, elemento più significativoper la raccolta e le elaborazioni delle informazioni in campo ambientale che può essere parte del più ampiobilancio sociale, riguarda un singolo impianto, prodotto o la totalità dell’impresa. Tale bilancio mira a fornireuna visione completa e approfondita delle interrelazioni tra la singola organizzazione e l’ambiente attraversodei quadri contabili contenenti conti quantitativo-fisici ed economici, che permettono di evidenziare lerelazioni esistenti tra le spese sostenute per la protezione ambientale e i risultati in termini di riduzione o diprevenzione dell’inquinamento.Per redigere il bilancio ambientale, occorre progettarne la struttura, compiere scelte precise riguardantidati e indicatori, con l’obiettivo di consentire valutazioni sintetiche e analitiche da cui derivi un quadrocomplessivo dell’impegno ambientale dell’azienda ed una misura globale attendibile del progresso chel’azienda ha compiuto nella gestione delle proprie operazioni, in termini di efficienza ambientale. Il bilancioambientale, analogamente al bilancio economico-finanziario, deve essere lo strumento principale,istituzionale per riferire sui rapporti fra azienda e ambiente a tutte le controparti dell’azienda: azionisti,clienti, personale, comunità sociali e politiche.La redazione di un bilancio ambientale non è una semplice opera di comunicazione e di immagine,poiché implica il riconoscimento di una responsabilità specifica nei confronti dell’ambiente come bene evalore da tutelare (Longo, 1993, 256-258).Gli obiettivi, del bilancio ambientale sono quelli di verificare e misurare il progresso ambientale inmodo da rendere nota la trasparenza ambientale dell’impresa, sia nella comunicazione esterna (stakeholders),sia in quella interna (personale). Per raggiungere tali obiettivi, il bilancio ambientale deve consolidare in uninsieme coerente le informazioni riguardanti gli effetti ambientali delle operazioni dell’azienda verificandonela congruenza e correlando i dati alle scelte e azioni del management.Un’interpretazione diffusa del concetto di bilancio ambientale è di confronto fra ciò che l’impresaprende dall’ambiente e ciò che gli restituisce. In effetti la definizione più diffusa è proprio quella di unipotetico confronto fra input-output (Longo, 1993, 258-260). Ai fini di un confronto tra input-output, deveesserci la possibilità di creare un sistema di contabilizzazione di tutti i flussi in entrata e in uscita di materieprime, aria, acqua, energia, beni intermedi prodotti finali e rifiuti, da ciò deriva uno schema di bilancioambientale dove l’azienda, è una scatola nera nella quale entrano risorse naturali, materie prime ed energia,e dalla quale escono prodotti, rifiuti, emissioni e prodotti intangibili (informazione sensibilizzazione eeducazione ambientale).Il bilancio ambientale viene definito “bilancio incrementale” nel senso che riporta un risultato sinteticopositivo solo se a parità di output (prodotti finiti, ma anche scarti, rifiuti ed inquinamento) si riesce adiminuire l’utilizzo degli input (costituiti da risorse naturali). Il problema principale, nel riconoscimento diun bilancio positivo è la mancanza di omogeneità nell’unità di misurazione degli input e degli output,questione che può essere superata, secondo Muller Wenk, considerando non tanto le singole grandezze(Muller Wenk R.,1990) ma il “loro effetto” espresso in termini del seguente “fattore di omogeneità”:Ecofattore=1/CMa*C/ CMa.dove, “C” rappresenta il carico ambientale effettivo, mentre “CMa” è il carico ambientale massimoammissibile. Il rapporto “C/ CMa” indica la scarsità ecologica, che è il presupposto su cui si basa l’assunto e“1/CMa” permette di equilibrare l’emissioni del processo rispetto al carico massimo sopportabile (Cerbioni,1999, p. 119). Il prodotto di questo eco-fattore per le grandezze fisiche fornisce un valore assoluto espressivodell’impatto ambientale. Stante la correttezza formale della teoria, questa è di difficile applicazione, inquanto l’individuazione del massimo carico ambientale ammissibile è spesso impossibile per mancanza didati.Di fronte alla necessità di un costante controllo delle performance ambientali il bilancio ambientalemostra però i suoi limiti, poiché tale strumento permette di apprezzare solo le variazioni intervenute fraperiodi diversi, ma non in termini di valore assoluto. Potrebbe essere utile, secondo altri, introdurre deiparametri che consentano una confrontabilità tra i dati, depurandoli da variazioni dovute a cause nondirettamente collegabili alla politica e ai programmi ambientali dell’azienda. Tra i molteplici parametri èstato individuato primo tra tutti il “valore aggiunto”, misura economica che ha allo stesso tempo valenzasociale, al quale si aggiungono: fatturato, profitto, costo del lavoro; ognuno dei quali rappresenta unamisura della produzione di valore dell’impresa (Papucci, 2001/2002 p.122 e ss.).268


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiLe pressioni legislative, le dinamiche competitive internazionali hanno spinto e spingono le imprese asviluppare una responsabilità ambientale, che porta le aziende a internalizzare nella propria gestione lavariabile ecologica e a sviluppare e adottare adeguati strumenti manageriali. Nella fase in cui le imprese sitrovano attualmente, “organizzativo-gestionale”, l’ecologia è divenuta parte delle logiche aziendali ecominciano a diffondersi metodologie dirette a ottimizzare il management (Papucci, 2001/2002 p.125).Tra queste il bilancio ambientale d’impresa (Università degli studi di Bari, 1999), o bilancioecologico,è fondamentale per l’implementazione dell’attività di environmental management, in quantocostituisce l’elemento centrale del sistema informativo ambientale, che supporta il complessivo ciclo di ecogestione.Ciclo, che secondo un’impostazione tradizionale riscontrabile nella logica dei sistemi di gestione,accomuna le norme ISO e il Regolamento Emas, si compone di quattro fasi: 1) la definizione della politicaambientale e degli obiettivi; 2) l’elaborazione dei programmi e degli obiettivi specifici; 3) l’attuazione dellapolitica e dei programmi; 4) il controllo e la valutazione dei risultati raggiunti.Il bilancio ambientale si inserisce nell’ultima fase, come momento di verifica delle azioni condotte, leinformazioni raccolte servono, quindi, per giudicare il processo decisionale e attuativo a livello sia strategicoche operativo. Il bilancio ambientale d’impresa, inoltre, svolge un ruolo essenziale nell’attivitàd’informazione dei molteplici portatori di interesse. L’impresa, infatti, deve provvedere oltre alla tradizionalecomunicazione di tipo istituzionale, economico-finanziaria e commerciale, a forme di interazione capaci dirispondere alle esigenze informative degli stakeholder interessati alla questione ambientale, i quali, di fatto,in funzione del livello di rischio ambientale associato all’attività svolta dall’impresa, orientano il proprioatteggiamento, condizionando il successo aziendale. Un’articolata strategia di comunicazione deve, quindi,informare gli interessati, sulle performance ambientali di processi e di prodotti e documentare gli sforzieffettuati nel campo della protezione delle risorse naturali.Il bilancio ambientale assume perciò una duplice natura, rappresenta per l’impresa, sia uno strumento dicontrollo e valutazione, sia uno strumento di comunicazione verso i pubblici interni ed esterni. L’impiego ditale strumento, permette di conseguire alcuni vantaggi specifici in termini di: a) miglioramento delleprestazioni ambientali; b) monitoraggio della conformità legislativa degli impianti; c) rafforzamentodell’immagine aziendale presso la collettività; d) relazioni più trasparenti e favorevoli con le autorità dicontrollo; e) miglioramento dei rapporti con le singole comunità locali; f) motivazione e partecipazione deidipendenti agli obiettivi d’impresa; g) maggiore fiducia da parte di finanziatori e investitori.Redatto dalle imprese su base volontaria, il bilancio ambientale segue impostazioni differenti inrelazione ai contesti aziendali, economici, normativi e sociali in cui si è sviluppato. I primi ecobilanci sonostati messi a punto da centri di ricerca e imprese tedesche, scandinave e anglosassoni a partire dalla secondametà degli anni ’80, in coincidenza con l’emergere di un’ampia sensibilità sociale sui temi ambientali. Inseguito lo strumento si è diffuso anche in altri paesi, come in Italia dove la prima pubblicazione del bilancioambientale realizzata dalla IBM Semea è del 1992 e il primo rendiconto ambientale ufficiale Fiat è del 1993.I termini di bilancio e rendiconto ambientale oggi utilizzati indistintamente, inizialmente provocarono delledivergenze di definizione sia a livello teorico che pratico (Papucci, 2001/2002, pp.126-127).La redazione di tali documenti è caratterizzata ancora oggi da una certa eterogeneità di scelte dal puntodi vista metodologico e dei contenuti, inoltre la complessità dell’argomento non ha consentito di formulareun modello definitivo e generalmente accettato di bilancio ambientale d’impresa, e questo a scapitodell’omogeneità e confrontabilità delle informazioni fornite.A rimedio di tale carenza, sono stati realizzati schemi di bilancio ambientale d’impresa. Agli inizi deglianni ’70, l’American Accounting Association pubblicò uno studio che valutava la possibilità di introdurrevalutazioni ambientali nei bilanci ordinari. Il problema principale fu quello di non sovrapporre informazionie costi che riguardavano l’andamento aziendale rispetto al mercato, con informazioni e costi relativi adiseconomie ambientali solo potenziali. L’ipotesi adottata, quindi prevedeva l’introduzione di bilanciambientali come “integrazione autonoma” del bilancio d’esercizio (Frey, 1997, pp. 35-36).Successivamente si sono sviluppate alcune metodologie per la realizzazione di bilanci ambientalid’impresa, come quella realizzata dall’Institut fur Okologishe Wirthaftsforschung (1990), quella dellaFondazione Eni Enrico Mattei (1995), quella dell’approccio SPACE (1998) e quella di Ruedi Muller-Wenk.2.6.4.1. Il modello dell’Institut fur Okologishe Wirthaftsforschung (IOW)L’Institut fur Okologishe Wirthaftsforschung (IOW) in collaborazione con l’associazioneimprenditoriale Umwelt-future, svolse un progetto volto all’applicazione in impresa di un <strong>nuovo</strong> modello di“bilancio ambientale d’impresa” realizzato dallo stesso IOW (Tecanti, 1996, pp. 309-312). A questo scopo269


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiscelsero lo stabilimento di una società che fabbricava imballaggi flessibili in particolare sacchi e container(quello di Tecklenburg, della Bischof e Klein).Il complesso sistema di bilancio ambientale d’impresa che venne messo appunto e testato era formatoda quattro elementi: 1) il bilancio d’impresa o bilancio input-output, nel quale l’impresa o lo stabilimentooggetto di analisi vengono visti come una sorta di “scatola nera”; 2) i bilanci di processo, con i quali sipunta a verificare l’impatto ambientale legato al funzionamento interno della scatola nera. Viene realizzatapertanto una suddivisione dei processi produttivi in base ai criteri spaziali, temporali inerenti al prodotto eogni singolo processo viene analizzato tramite una specifica matrice input-output dei flussi materiali edenergetici; 3) i bilanci di prodotto coincidono con la LCA (Life-Cycle-Assessment) dei prodotti principalid’azienda; 4) l’analisi di sostanza, costituisce un registro di tutti gli aspetti ecologicamente rilevanti.Il modello IOW è considerato, nella realtà tedesca, uno schema di riferimento per la redazione delbilancio ambientale d’impresa ed è applicato in molte imprese. La complessità di tale modello, trovaspiegazione nel tentativo di fornire un quadro articolato e completo delle responsabilità ambientali chepossono far capo ad un’impresa. Lo schema del modello IOW, in linea con la tendenza della legislazione deipaesi avanzati che cerca di creare un concetto di responsabilità estesa del produttore (imponendo alle impresedi considerare nella propria attività di gestione ambientale sia gli effetti connessi di trasformazione, sia glieffetti legati al ciclo di vita dei prodotti), include anche una valutazione dell’impatto ambientale generato daibeni offerti dall’impresa, rilevato in appositi quadri contabili, inclusi nel documento di sintesi.2.6.4.2.Il bilancio ecologico di Ruedi Muller-WenkIl bilancio ecologico di Ruedi Muller-Wenk è un sistema di misurazione che valuta gli effettisull’ambiente naturale provocati dall’impresa. Tale valutazione avviene in modo “complessivo, continuato eunitario”, seguendo un sistema prestabilito (Venturelli, 1989, pp.180-200). Il sistema è complessivo, inquanto in esso vengono inclusi e resi comparabili tutti i più importanti effetti sull’ambiente, e procede inmodo continuato, registrando correttamente tali effetti e calcolandoli in determinati periodi fissati per ilbilancio. Il bilancio ecologico classifica, quindi, le conseguenze secondo una serie di categorie (come:consumo di materie; consumo di energia; residui solidi; residui in forma di polvere o gas; acque di scarico;calore di scarico; denaturalizzazione del suolo; in esso però non vengono prese in considerazione ne ilrumore ne le conseguenze sulla flora e sulla fauna), nel cui interno include le conclusioni nei singoli conteggiper tipo di conseguenza.Questo modello di bilancio ambientale, misura le singole categorie delle conseguenze originatedall’impresa ogni volta separatamente, in base alle corrispondenti unità di misura fisiche (come peso,volume, quantità di energia), quantità misurate, che vengono successivamente rese confrontabili eaddizionabili attraverso la commisurazione della quantità presa in considerazione, con un misuratore,chiamato coefficiente di equivalenza, del grado di scarsezza ecologica del tipo di conseguenza in oggetto.Ciò che si ottiene è una misura generale di conseguenza sull’ambiente, espressa in unità di conto. Dallasomma di queste unità su tutti i tipi di conseguenze o conti di bilancio ecologico, ne risulta una misuradell’impatto complessivo sull’ambiente causata dall’impresa durante il periodo corrispondente. Divienequindi possibile, sulla base di tale impatto complessivo per il periodo calcolato, espresso in unità di conto,confrontare tra loro l’insieme delle diverse conseguenze sull’ambiente di imprese diverse, o seguire losviluppo di una stessa impresa.Il bilancio ecologico, inoltre, è soltanto un sistema di misurazione delle conseguenze sull’ambiente, enon influisce direttamente sulla dimensione degli effetti ambientali provocati da un’impresa. Questo peròpuò contribuire a trasformare il comportamento ambientale di un’impresa, a seconda del modo in cui sonoimpiegati i dati rilevati.Il bilancio ecologico è, quindi, un prezioso strumento decisionale, poiché fornisce le informazioninecessarie per un impiego ottimale delle risorse economiche nell’interesse ecologico. Inoltre possono esserededotti i settori nei quali si verificano le conseguenze sull’ambiente causate dall’impresa, ed elaborareprogetti che portino alla diminuzione della conseguenza sull’ambiente, diminuzione che viene calcolata inanticipo.2.6.4.3. La metodologia ENI, Enrico MatteiNel 1991 l’ISTAT e la Fondazione ENI Enrico Mattei predisponevano, costituendo una commissione diesperti designati da vari organismi, un programma operativo congiunto per la realizzazione di un sistema dicontabilità ambientale. Parallelamente a questa ricerca, la fondazione ENI, ha altresì creato un gruppo di270


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeistudio, con l’obiettivo di arrivare a una proposta metodologica per la realizzazione dei bilanci ambientalid’impresa congruenti con l’impostazione teorica data ai conti ambientali nazionali.Le considerazioni che hanno spinto la fondazione Mattei verso una tale ricerca sono: da un lato, chebuone statistiche nazionali nascono dalla rilevazione di dati uniformi ed affidabili presso i singoli settoriistituzionali; dall’altro che l’ambiente è divenuto ormai una variabile strategica fondamentale per l’impresa,la cui gestione richiede strumenti contabili utilizzabili sia come mezzo di comunicazione con l’esterno, siaper il controllo dei costi e la razionalizzazione degli investimenti in un’area di crescente importanza.Il bilancio ambientale diventa quindi uno strumento principe per la raccolta, l’organizzazione ed unaprima valutazione dei dati ambientali di base, e punto di partenza fondamentale per le successive e piùsofisticate valutazioni sulla “compatibilità ambientale” e sulla “sostenibilità” dell’attività d’impresa.L’idea di bilancio ambientale accolta dalla Fondazione Eni, lo vede come strumento contabile in gradodi fornire un quadro organico sia delle interrelazioni tra impresa e ambiente naturale, attraversol’opportuna rappresentazione dei dati quantitativi e qualitativi relativi all’impatto ambientale delle attivitàproduttive, e dello sforzo economico e finanziario sostenuto dall’impresa per la protezione dell’ambiente(Sammarco, 1994).L’obiettivo, quindi, è la costruzione di un quadro contabile completo, comprendente sia indicatori fisici,sia misure monetarie della spesa sostenuta al fine di ridurre o prevenire l’inquinamento. Un tale operare,consente la valutazione dell’efficacia della politica ambientale dell’impresa in un determinato arcotemporale, e il bilancio ambientale diventa uno strumento effettivo di gestione e controllo, oltre che unelemento di comunicazione con le parti sociali interessate (Sammarco, 1994).Le caratteristiche fondamentali di tale metodologia sono:a. rileva in modo esaustivo dati di tipo fisico relativi sia alle risorse naturali utilizzate come input neiprocessi produttivi, sia alle emissioni nell’atmosfera, agli scarichi idrici, ai rifiuti e al rumoreprodotto dall’attività d’impresa;b. rileva in modo completo i dati di tipo monetario relativi alla spesa sostenuta dall’impresa per laprotezione dell’ambiente;c. consente, per quanto possibile, collegamenti organizati tra la contabilità fisica (punto a) e lacontabilità monetaria (punto b);d. è basata su una metodologia che sia applicabile alle differenti realtà d’impresa e che pertanto siadotata di un elevato grado di flessibilità;e. è sottoponibile a verifica sia da parte dei responsabili delle strategie ambientali d’impresa, sia daparte di esperti esterni e di società di auditing ambientale;f. è conforme alle esigenze di rilevazione dell’Istituto Statistico Nazionale (ISTAT), in modo dacostruire la base, per quanto riguarda le imprese, per la redazione dei conti ambientali nazionali(Bartolomeo, Malaman, Pavan, Sammarco, 1995, pp. 53-54).La struttura del bilancio ambientale d’impresa è composta da quadri contabili distinti:a) il quadro contabile delle risorse (conti fisici), raccoglie informazioni relative ai flussi fisici di beniutilizzati dall’impresa nel processo produttivo in qualità di consumi intermedi, composti da beniprodotti dal sistema industriale, da un lato e materie prime non prodotte dal sistema industriale, madirettamente attinte dal patrimonio naturale, dall’altro. Questa tavola è importante perché dà unavisione completa dell’impatto delle risorse impiegate nel processo produttivo, e permette di valutarela dinamica del livello di inquinamento prodotto. Inoltre, tale quadro contabile aiuta a capire evalutare la composizione fisica del prodotto finito e il suo contenuto inquinante, divenendoinformazione base per la costruzione del bilancio ambientale di prodotto. Infine, partendo da questidati è possibile effettuare una valutazione immediata della rilevanza ambientale del mix di consumiintermedi sia in termini di impoverimento delle risorse naturali, che della intrinseca pericolosità perl’ambiente connessa al loro utilizzo. Le informazioni da rilevare sono quantità fisiche e monetarie dirisorse misurate al momento dell’acquisto, mentre quelle relative alle risorse prodotte esistono giaall’interno dell’impresa, per i consumi intermedi non prodotti si deve rilevare le sole quantità fisichein quanto a “costo zero”. Nel quadro contabile le quantità sono suddivise per società appartenenti algruppo o esterne, evidenziando così la massa totale di risorse movimentate, ma tenendole distinteallo stesso tempo. Le informazioni che possono essere ottenute dall’osservazione finale e da unaclassificazione degli input, sono molteplici, ad esempio l’esistenza o meno di sostanze pericolose chenecessitano di un monitoraggio dettagliato, oppure l’ottenimento di un bilancio materiale di singolesostanze inquinanti, registrando quantità in entrata e in uscita.271


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeib) il quadro contabile emissioni (conti fisici), si articola a sua volta in ulteriori quadri contabili, neiquali sono rilevate le emissioni inquinanti (siano esse produzione di rifiuti, emissioni atmosferiche,scarichi idrici o produzione di rumore) in termini qualitativi e quantitativi (Bartolomeo, Malaman,Pavan, Sammarco, 1995, p. 65). Il quadro contabile relativo alla produzione di rifiuti (distinti in:assimilabili ai rifiuti solidi urbani, speciali, e tossico- nocivi), è una visione completa dei tipi equantità di rifiuti prodotti, e viene utilizzato per evidenziare l’esistenza di rifiuti ad elevato rischioambientale che richiedono monitoraggio più attento Lo scopo è ottenere un quadro completo delciclo dei rifiuti, su cui creare le strategie aziendali per ridurre la produzione di rifiuti e ilcontenimento dei costi di smaltimento. Per la costruzione di tale quadro contabile è necessarioconoscere: denominazione del rifiuto; caratteristiche (composizione e concentrazione); quantitàprodotte nel periodo di riferimento; tipo di smaltimento utilizzato (discarica, stoccaggio provvisorio,rigenerazione, riciclaggio, incenerimento, compostaggio ecc.); destinazione del rifiuto (nome dellasocietà esterna o paese a cui è affidato lo smaltimento) (Bartolomeo, Malaman, Pavan, Sammarco,1995, pp. 69-70). Nel quadro contabile delle emissioni in atmosfera vengono collocate leinformazioni relative alle fonti, alla quantità e qualità di inquinanti dell’aria emessi nellosvolgimento dei processi produttivi dell’impresa. Possono essere distinte in: sostanze responsabili dirilevanti fenomeni ambientali (effetto serra o riduzione dell’ozono), oppure a carattere residuale.Inoltre possono essere distinte in base alla fonte degli inquinanti, e si hanno emissioni di tipoconvogliato (dove la fonte è localizzata) e di tipo diffuso, dove le prime, al contrario delle seconde,sono facilmente controllabili e misurabile. Il quadro finale fornisce informazioni utili alla gestioneinterna, individuando l’impatto globale dell’impresa in termini di inquinamento e delle areemaggiormente in crisi (Bartolomeo, Malaman, Pavan, Sammarco, 1995, p. 77). Il quadro contabiledegli scarichi idrici raccoglie le informazioni relative agli impatti generati dall’attività produttivadell’impresa sia in termini di consumi idrici che di inquinamento delle acque, distinguendole traacque superficiali e del suolo sottosuolo o acque profonde. Anche in questo caso il quadro evidenzial’impatto dell’impresa e le zone di crisi e fornisce le basi necessarie alla progettazione di opportuniinterventi. Il quadro contabile dei rumori deve rilevare: la tipologia delle zone in cui è inseritol’insediamento produttivo; i periodi del giorno in cui si verificano le emissioni sonore; il livello diemissioni. Dal quadro è possibile ottenere le aree di crisi e le opportune strategie di riduzionedell’inquinamento acustico.c) il quadro contabile delle spese ambientali (conti monetari), ossia le spese che l’impresa ha sostenutoper la protezione ambientale, consente di collegare dati monetari relativi a spese in conto capitale ocorrenti con dati fisici relativi all’emissione di inquinanti. Le attività di protezione ambientale sonoindividuabili in spese relative a: attività di protezione dell’aria e del clima; l’attività di protezionedelle acque; l’attività di gestione dei rifiuti; l’attività di protezione del suolo e delle acquesotterranee; l’attività di abbattimento del rumore e riduzione delle vibrazioni; e ancora spese relativea: attività di protezione del patrimonio naturale dal degrado ambientale; altre attività di protezioneambientale (di formazione e informazione); attività di ricerca e sviluppo in campo ambientale.Identificate le attività caratteristiche l’impresa dovrà distinguere quelle prodotte in proprio da quelleacquistate dall’esterno e contabilizzare tutti i costi sostenuti. In genere i dati relativi alle speseambientali sostenute dall’impresa sono già rilevati in contabilità (analitica o generale), occorre peròindividuarli e ricercarli, e qui sorgono le vere difficoltà, all’interno di voci di costo più ampie inseritein centri “non ambientali”. Questo quadro contabile fornisce indicazioni sul costo delle attivitàambientali e sugli sforzi finanziari sostenuti dall’impresa per realizzarle.Una volta costruiti i singoli quadri contabili, il problema successivo consiste nella loro aggregazione alfine di produrre il bilancio ambientale d’impresa nella sua forma finale e completa. La rappresentazioneintegrata dei dati consente, infatti, una prima valutazione delle prestazioni ambientali d’impresa, e aiuta acomprendere la complessa dinamica delle relazioni tra input, spese ambientali ed emissioni di inquinanti checaratterizza l’attività di produzione. Inoltre la rappresentazione integrata del bilancio ambientale e d’impresacostituisce un patrimonio informativo essenziale per il monitoraggio e la definizione delle strategie in campoambientale, e consente di visualizzare in un unico quadro le relazioni di tipo finanziario e fisico occorrentitra impresa e ambiente, evidenziando i punti di forza e di crisi.La metodologia elaborata si propone di stabilire le opportune relazioni tra i tre conti, non tralasciando ledifficoltà connesse a tali collegamenti, costituite sia dal lungo periodo temporale entro cui le spese diinvestimento esplicano il loro effetto in termini di riduzione e di emissioni, sia dalle difficoltà tecniche diassociare ad una spesa ambientale un effetto positivo unico e determinato, in quanto i benefici possono272


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiessere molteplici e riguardare i diversi tipi di inquinanti e rifiuti. Il bilancio ambientale strutturato dallaFondazione Eni ha il vantaggio di consentire un controllo del Budget ambientale, può quindi verificare irisultati ottenuti dall’analisi dei dati disaggregati contenuti nei singoli quadri. Inoltre, altro vantaggio,l’attività di auditing ambientale, interna e esterna, è facilitata se ai dati quantitativi sui risultati ottenuti siassociano le spese sostenute, che aggiungono elemento di veridicità degli sforzi compiuti dall’impresa incampo ambientale. Un altro vantaggio sta nel fatto che la Fondazione Eni ha permesso di legarel’elaborazione dei suoi schemi teorici ai risultati presentati nei manuali di contabilità manageriale deiprincipali uffici internazionali di statistica, permettendo così di elaborare classificazioni e definizioniuniformi a quelle utilizzate dagli Istituti Centrali di Statistica e quindi comparabili con statistiche a livellonazionale e internazionale. Il problema di questa metodologia è il consolidamento dei bilanci ambientali dipiù unità produttive o società appartenenti alla stessa impresa o gruppo, infatti, nel consolidare i bilanci siverifica il problema di rilevare ed evidenziare correttamente i flussi di risorse ed inquinanti scambiati tra sitie imprese appartenenti allo stesso gruppo, onde evitale duplicazioni negli aggregati che fornirebberoindicazioni errate sull’impatto ambientale (Papucci, 2001/2002, p. 134 e ss.).2.6.4.4. L’approccio SPACELa nozione di bilancio ambientale, proposta da SPACE (Pogutz e Tecanti, 1998), comprende due dellemetodologie sopra analizzate, quella della fondazione ENI e il modello IOW, e affianca ad una contabilità ditipo fisico la rilevazione dei costi e dei benefici legati alle scelte di gestione ambientale inerenti ai processi eai prodotti. Il modello SPACE si compone, quindi: a) bilancio input-output; b) bilancio di prodotto; c) contodei costi/benefici legati alla gestione ambientale di processi/prodotti. Tale impostazione punta a definire iconfini che dovrebbero caratterizzare un sistema informativo ambientale, individuando uno schema dibilancio ambientale generale e completo, applicabile in contesti differenti ed a realtà aziendali tra lorodiverse. Rilevanti per la definizione di tale bilancio ambientale, sono due tipologie di flussi informativi: iflussi che hanno per oggetto grandezze fisiche (contabilità fisica); ed i flussi che fanno riferimento a vocieconomico-contabili (contabilità ambientale).La contabilità fisica rileva le informazioni concernenti l’impatto sull’ambiente naturale generatodall’attività aziendale. A tale scopo possono essere individuate e utilizzate due metodologie:a. i bilanci input-output, il cui obiettivo è contabilizzare i flussi di risorse impiegate nei processiaziendali e le diverse forme di inquinamento da essi derivanti. Questi sono schemi flessibili, checonsentono diversi gradi di aggregazione delle informazioni in funzione delle specificità aziendali, epossono essere utilizzati per contabilizzare gli effetti ambientali delle attività primarie (acquisto,trasformazione o vendita), e delle attività di supporto nel caso in cui generano impatti rilevanti.L’oggetto di analisi, può essere il singolo impianto, il sito produttivo, l’impresa o il gruppo, e illivello di dettaglio ricercato può variare in funzione degli obiettivi aziendali di misurazione, certo èche in conseguenza della rapida affermazione del concetto di “responsabilità estesa del produttore”,tale analisi non può limitarsi all’impatto generato dai soli processi aziendali, ma deve estendersi aglieffetti ambientali provocati dai prodotti realizzati e commercializzati;b. i bilanci ambientali di prodotto (Life-Cycle-Assessment), che costituiscono strumento di rilevazioneadeguato e la cui realizzazione prevede l’esame dell’impatto ecologico lungo tutte le fasi di vita delprodotto: dagli approvvigionamenti allo smaltimento finale. Metodologia questa estremamentecomplessa che genera notevoli difficoltà applicative, che possono essere affrontate definendo precisilimiti all’analisi, basati sulle effettive esigenze e richieste degli stakeholders, e limitando lavalutazione alle principali linee di prodotto.La contabilità ambientale, rivolta alla determinazione dei costi e dei bilanci economici per la tutela delpatrimonio naturale, è la seconda dimensione rilevante per la redazione del bilancio ambientale d’impresa. Ècomposta, ad un livello evoluto di implementazione del bilancio ambientale, da due fasi (Pogutz e Tecanti,1998):a. l’individuazione e l’aggregazione dei costi/benefici ambientali, sulla base di una metodologia dianalisi ampia e coerente rispetto alle caratteristiche aziendali;b. l’attribuzione delle diverse voci a specifici centri di costo, o di prodotto per l’implementazione aiprocessi/prodotti.Lo scopo è quindi quello di sviluppare una metodologia di rilevazione dei flussi economico-contabiliambientali, coerente ed integrata rispetto ai sistemi di contabilità generale e direzionale.273


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiLa rilevazione contabile dei dati che riguardano l’ambiente è comunque elemento essenziale per ladeterminazione degli effetti ambientali (Trojan e Orazi, 1997, p. 43). Il sistema di rilevazione deve esserebasato su un piano dei conti, nel caso di strutture che operano su diversi stabilimenti produttivi, possonoessere adottati piani di conti omogenei, con l’utilizzo di specifici sottoconti per ogni stabilimento. Questoconsente di rendere più agevole il processo di consolidamento dei dati, necessario per la predisposizione deibilanci ambientali. L’esistenza di un quadro generale ove vengono evidenziati i principi contabili di unrapporto ambientale, è essenziale per individuare un’analogia tra l’informazione di tipo economicofinanziarioe quella di tipo ambientale (Atti processuali, 1997, p. 22) I principi non si discostano da quelliutilizzati nell’ambito del bilancio tradizionale, in particolare i dati in bilancio, secondo i principi contabiliinternazionali, devono essere forniti nel rispetto dei criteri di: - comprensibilità, essendo destinati alladivulgazione, devono essere di facile comprensibilità, cioè espressi in maniera chiara e comprensibile; -utilità, le informazioni devono essere utili per il lettore e consentire la conoscenza della situazioneambientale; - significatività, delle informazioni influenzata dalla natura e rilevanza delle stesse; - affidabilità,le informazioni e i dati devono essere affidabili, nel senso che non devono contenere errori che traggano ininganno; - attendibilità, la rappresentazione delle informazioni deve essere veritiera e corrispondere adaccadimenti reali; - neutralità, le informazioni devono essere rappresentate in maniera neutrale; - prudenza,eventi di difficile quantificazione e incertezze devono essere determinati secondo prudenza; - completezza, idati devono essere completi per evitare il rischio di omissioni che forniscono rappresentazione inattendibile;- comparabilità, dei dati e informazioni del periodo con i dati di altre imprese; - rappresentazione veritiera, ecorretta della situazione ambientale (Papucci, 2001/2002, p.135 e ss.).A conclusione è opportuno ricordare che il bilancio ambientale di impresa è il fulcro di tutto il sistemainformativo ambientale dell’azienda, in quanto raccoglie e organizza sulla base di precise assunzionimetodologiche i dati di base fondamentali per ogni elaborazione. Il bilancio infatti, quantifica i consumi dellematerie prime e delle energie impiegate, le emissioni verso aria, acqua, suolo dell’unità produttivaevidenziando le relazioni esistenti con l’aspetto economico- finanziario dell’azienda.Il valore del bilancio ambientale di impresa è estremamente rilevante per soddisfare la richiesta diinformazioni provenienti dall’interno dell’impresa dalle diverse aree funzionali coinvolte nella gestioneambientale. A tale fine, il bilancio dovrebbe consentire di: - verificare periodicamente l’impatto ambientaledell’azienda; - rilevare la presenza di aree critiche; - pianificare e programmare azioni di mitigazione dellecriticità riscontrate; - evidenziare più chiaramente i costi ambientali aziendali, rendendoli più fruibili neiprocessi decisionali interni; - fornire a fine esercizio un quadro sintetico del consuntivo e del programmatorispetto alla variabile ambiente.I dati forniti dai quadri contabili del bilancio ambientale permettono, oltre al funzionamento del sistemadi gestione ambientale, la costruzione di documenti di comunicazione esterna, come il rapporto ambientaled’impresa.L’impresa inoltre, affinché il bilancio ambientale sia efficace, deve agevolare l’inserimento dellavariabile ambientale nella cultura d’impresa attraverso il management e il vertice aziendale, dal quale sidiffonderà attraverso un processo di interazione con il personale ai vari livelli.2.6.5 Gli indicatori parziali di performance ambientaleGli indicatori di performance ambientale sono dati numerici che consentono di valutare il rendimento el’efficacia dell’attività di un’impresa volta alla salvaguardia dell’ambiente (Azzone e Dubini, 1993). Per loronatura hanno portata più limitata e specifica e sono utilizzati per approfondire alcuni elementi del bilancioambientale, oppure per esaminare aspetti particolari senza dover redigere un documento più ampio. Taliindicatori sono l’espressione di un insieme di dati riferiti a momenti diversi e devono possedere determinatirequisiti: coerenza con gli obiettivi posti dalle strategie ambientali, obiettività e dimostrabilità, semplicità dilettura, comparabilità ed omogeneità.In analogia con il sistema di contabilità economico-finanziaria, gli indicatori ambientali riclassificano esintetizzano i dati sugli aspetti ambientali raccolti dal sistema informativo, per fornire un quadro organicoimmediato e rappresentativo della situazione aziendale in ambito ambientale, confrontabile con il contestotemporale e territoriale in cui l’impresa è inserita e con gli obiettivi che si è prefissata. In un’impresal’esigenza di poter usufruire di questo tipo di informazioni sintetiche e rappresentative nasce essenzialmenteda due ordini di motivazioni (Donato, 2000, p.210): motivazione interna, per facilitare l’attività di controllo evalutazione dei risultati ambientali conseguiti da parte del management aziendale e programmare gli obiettivi274


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidi breve e medio periodo. Motivazione legata all’attività di gestione e controllo; motivazione esterna, percomunicare ai propri interlocutori i termini del proprio impegno in campo ambientale e valorizzare i risultaticonseguiti nella gestione nella riduzione degli effetti negativi che la propria attività produce sull’ambiente.Motivazione legata ad aspetti di comunicazione e di relazione con l’esterno.Negli ultimi anni il ricorso a indicatori ambientali si è legato maggiormente alla diffusione dei sistemi digestione ambientale nel settore produttivo, negli anni precedenti invece, ha ricevuto un maggiore impulsodalla leva della comunicazione. La diffusione di questa tipologia di strumento aziendale risulta però ancoralimitata a causa del basso grado di consapevolezza che il management di molte imprese dimostra, rispetto alfattore ambientale e alla sua valenza strategica. La sottovalutazione dell’importanza degli aspetti ambientalida parte della direzione aziendale è in parte dovuta alla difficoltà di tradurre gli impatti ambientali ingrandezze economico finanziarie, confrontabili con quelle che normalmente qualificano il quadroeconomico-finanziario dell’azienda.Le caratteristiche generali che gli indicatori ambientali dovrebbero possedere per essere consideratisufficientemente affidabili e rappresentativi della situazione cui si riferiscono sono: obiettività, nel confrontotra due unità produttive, la mancanza di obiettività nelle misure pregiudica l’efficacia delle valutazionistesse; dimostrabilità, necessaria per identificare l’origine dei fenomeni che si vogliono analizzare, in mododa determinarne la causa, quando gli indicatori sono frutto di numerose aggregazioni, la costruzione a ritrosodel processo che li ha generati, diviene un problema di difficile soluzione; significatività, caratteristicanecessaria affinché l’indice renda l’informazione ambientale più leggibile e sintetica; confrontabilità,importante per usi interni (le performance di un impianto devono essere paragonabili a quelle di impiantisimili) ed esterni (le misure devono essere espresse in unità di misura largamente accettate).Esistono degli indicatori ambientali (sia assoluti che relativi) varie tipologie e varie classificazioni,dovute ai molti organismi che nella loro attività di ricerca si occupano di individuare e sviluppare indicatoriadatti a esprimere in forma sintetica le prestazioni ambientali delle imprese.Una prima classificazione sintetizza le varie tipologie di indicatori in quattro precipue categorie: a)“indicatori di sforzo”, rappresentanti lo sforzo compiuto dall’impresa in campo ambientale; b) “indicatorifisici”, evidenzianti, attraverso misure di grandezze fisiche, l’impatto ambientale di determinate attività; c)“indicatori di relazione” mostrano indirettamente le performance ambientali dell’impresa e la cui utilità si hanella verifica delle indicazioni ricevute dagli indicatori fisici; d) “indicatori economici”, simili agli indicatoridi sforzo, rilevano i costi di attivazione e funzionamento dei sistemi di tutela ambientale.L’Agenzia Ambientale Europea ha sviluppato un set di indicatori quantitativi di performanceambientale, nel tentativo di definire, un comune schema concettuale all’interno del quale ricondurre lavalutazione degli effetti sull’ambiente delle diverse attività produttive. Le tipologie di indicatori per lavalutazione delle prestazioni del sistema di gestione ambientale, individuate dall’AAE sono tre: a)“indicatori dell’impegno d’impresa”, sia qualitativi (che caratterizzano il livello di impegno del vertice, ilgrado di definizione dei ruoli e delle responsabilità, il livello tecnologico degli impianti di protezioneambientale) sia quantitativi (che sintetizzano tipo e quantità di risorse, numero di persone e numero di audit,dedicati alla gestione ambientale); b) “indicatori di conformità”, sia economici (esborsi relativi a multe,risarcimenti per incidenti, passività accertate) sia non economici (numero di incidenti, numero di giorni dilavoro persi a causa di incidenti); c) “indicatori riguardanti interlocutori esterni”, sia qualitativi (tipo dicollaborazione istaurato con i fornitori o i clienti a sfondo ambientale, tipo di strumenti di comunicazioneattivati dalle tematiche ambientali) sia quantitativi (numero di denunce o lamentele pervenute in azienda,numero di fornitori o clienti la cui gestione ambientale viene controllata o certificata).L’Agenzia Europea per l’Ambiente individua una serie di indicatori riguardanti in modo più specificogli aspetti e gli impatti ambientali: a) “indicatori di processo”, che individuano le quantità di risorse edenergia utilizzate, la quantità di rifiuti prodotti, il volume di emissioni in termini di anidride carbonica; b)“indicatori di prodotto” che riportano i valori assoluti e per unità di prodotto, delle quantità di materie prime,semilavorati, imballaggi complessivamente usati; c) “indicatori di gestione” relativi al numero ditrasgressioni alla normativa nel periodo di riferimento, numero di lamentele da parte di soggetti esterni,numero di obiettivi ambientali raggiunti rispetto a quelli prefissati; d) “indicatori finanziari” relativi ai costidi gestione dei rifiuti, agli investimenti in impianti di contenimento a valle, a tasse per tributi ambientali, apassività ambientali accertate, ai costi di formazione del personale ecc.Gli indicatori ambientali usati dalle imprese sia per la gestione interna ma soprattutto per lacomunicazione esterna, sono molto eterogenei, gli organi internazionali hanno per questo ritenuto opportunorealizzare un processo di standardizzazione di questi strumenti, per rendere più omogenea la loro275


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiapplicazione e aumentare la possibilità di utilizzo. La norma tecnica attualmente presente in Italia, recepitanel 2000, è la UNI EN ISO 14031 (Biondi, 1999, pp. 112-115). In essa le prestazioni ambientali sonodefinite come “i risultati della gestione dei propri aspetti ambientali da parte di un’organizzazione”, mentregli indicatori sono considerati come “le espressioni specifiche che forniscono informazioni sulle prestazioniambientali di un’organizzazione”. I criteri a cui la norma consiglia di fare riferimento per la predisposizionedi indicatori sono: le prestazioni passate, i requisiti di legge, le regole di buona pratica, i dati sulle prestazionidi settore, le revisioni e gli audit di gestione.Gli indicatori sono distinti in:a) indicatori di prestazione ambientale (EPI, Environmental Performance Indicators), checomprendono:a1) indicatori di prestazione operativi (OPI Operatinal Performance Indicators) che fornisconoinformazioni sulle prestazioni ambientali delle attività aziendali. Questi indicatori si riferisconoalle attività di programmazione, gestione e manutenzione, ai fattori produttivi in entrata e uscita,alla fornitura di materiali, energia e servizi alla produzione di prodotti servizi e rifiuti (divisi inotto categorie: materiali, energia, servizi di supporto, logistica, prodotti e servizi forniti, rifiuti,emissioni);a2) indicatori di prestazione gestionali (MPI Management Performance Indicators) che fornisconoinformazioni sugli sforzi gestionali per tenere sotto controllo e minimizzare le prestazioniambientali aziendali (sono ripartiti in quattro categorie: implementazione di politiche eprogrammi, conformità, performance finanziaria, relazioni con la comunità).b) indicatori di condizione ambientale (ECI, Environmental Condition Indicators) fornisconoinformazioni sulle condizioni naturalistiche e ambientali del territorio, e possono riguardare variaspetti, come:b1) fenomeni di inquinamento o cambiamento ambientale su scala globale, regionale, locale;b2) qualità delle varie componenti ambientali (aria, acqua, suolo, flora, fauna);b3) aspetti legati all’uomo, di tipo paesaggistico, artistico o storico-culturale.La norma inoltre presta particolare attenzione al processo di valutazione delle prestazioni, definito comeprocesso e strumento gestionale interno e dinamico, che utilizza gli indicatori per raccogliere informazioni econfrontare le prestazioni ambientali passate e presenti con i propri criteri di valutazione (Papucci,2001/2002, pp. 162-163)Un altro approfondimento sul tema degli indicatori ambientali è stato condotto dalla Fondazione Eni(Bartolomeo, Malaman, Pavan, Sammarco, 1995, pp. 163-185) in relazione all’utilizzo del bilancioambientale d’impresa, sistema contabile che deve assolvere alla duplice funzione di descrivere in mododettagliato il rapporto tra impresa e ambiente e fornire indici sintetici sullo stato del fenomeno osservato. Gliindicatori ambientali sono, infatti, un mezzo per trasformare i dati rilevati dal bilancio ambientale, ininformazioni, e vengono suddivisi in:a) indicatori di impatto ambientale, che valutano l’impatto dell’impresa sull’ambiente naturale e sidividono in:a1) indicatori fisici, che misurano il contributo delle attività dell’impresa al mutamento dellecondizioni ambientali;a2) indicatori economici, che consentono all’impresa di tradurre in termini economici i cambiamentiprovocati nell’ambiente naturale e integrare la variabile ambientale nei processi decisionalitradizionali, basati su considerazioni di tipo economico.b) indicatori di performance ambientale, che favoriscono direttamente il rafforzamento della politicaambientale perché la formulazione degli obiettivi è più chiara specifica e settoriale, lo sviluppo delsistema di gestione ambientale, il miglioramento della comunicazione esterna (Bartolomeo,Malaman, Pavan, Sammarco, 1995, pp. 166-167). Questi indicatori sono valori quantitativi equalitativi che permettono di valutare l’efficacia e l’efficienza nell’uso della risorsa ambiente, daparte di un’impresa o di un settore produttivo. Si dividono in:b1) indicatori di processo (o di efficienza ambientale), valutano l’efficienza ambientale dell’impresanell’uso di risorse; la base fondamentale è il bilancio ambientale che integrato con gli strumentidi gestione ambientale crea un sistema che permette la programmazione e il controllo degliinterventi rilevanti da un punto di vista ambientale.b2) indicatori di gestione, valutano la capacità dell’impresa di riuscire a raggiungere obiettivi diperformance ambientale, e sono suddivisi in: 1) indicatori di conformità, che hanno lo scopo divalutare il grado di conformità alla leggi e la capacità di far fronte alle situazioni di emergenza;276


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappei2) indicatori di applicazione che dovrebbero costantemente sorvegliare e quantificare il grado diapplicazione del regolamento; 3) indicatori di integrazione che valutano l’integrazione dellavariabile ambientale con le altre variabili.b3) indicatori ecofinanziari (o di efficienza economica), permettono di correlare gli interventi afavore della protezione ambientale con i costi di gestione e di investimento necessari, e valutarequindi l’efficienza economica dell’impresa nella gestione delle variabili ambientali. L’impresache spende relativamente molto per la protezione ambientale potrebbe essere considerataproattiva o difensiva a seconda del tipo di spesa della situazione prima della spesa e di quellasuccessiva (Bartolomeo, Malaman, Pavan, Sammarco, 1995, p. 180).2.7 Gli impatti delle strategie d’impresa nell’ambienteLe politiche di sviluppo delle imprese, pur potendo condurre ad un miglioramento della qualità dellavita dell’uomo, comportano quasi sempre anche una serie di rischi per la “salute” umana ed ambientale.L’ambiente di riferimento per l’impresa, concepito nel senso ampio del termine, è rappresentato dalcomplesso di fattori naturali, umani, sociali, culturali ed economici che caratterizzano le aree circostanti iluoghi coinvolti in una certa iniziativa. La considerazione degli impatti che le iniziative economicheaziendali producono e la socializzazione delle relative scelte permettono di aumentare il consenso, o diminimizzare il dissenso intorno alle iniziative dell’impresa.In effetti l’iniziativa dell’impresa può avere una forte incidenza sull’ambiente tale da creare benefici odanni non strettamente economico/finanziari, ovvero costi/benefici cosiddetti “fuori mercato”. Un impatto diimportanza comunque tale da modificare il giudizio sull’opportunità o meno di effettuare l’investimento.L’eventualità che un progetto aziendale possa avere impatti così rilevanti sull’ambiente allarga il concetto distakeholders ed aumenta la rete di interrelazioni che legano l’impresa ai soggetti che le ruotano intorno.Al fine di tenere conto di quel complesso di effetti positivi e negativi che, prodotti da un progetto, siriversano sull’ambiente in senso ampio, sono stati messi a punto diversi metodi, sintetizzabili in due tipi ditecniche di analisi monetaria e di analisi non monetaria.Le tecniche di analisi monetaria che traducono tutti i vantaggi e gli svantaggi di un progetto in moneta,utilizzando per gli effetti tipicamente non monetari opportune tecniche di valutazione. Costituiscono unesempio le seguenti metodologie: l’analisi costi/benefici (ACB); l’analisi costi/efficacia; l'analisicosti/risultati.Le tecniche di analisi non monetaria, di matrice più ingegneristica, sono sorte per rispondere allecritiche circa gli utilizzi spesso impropri e forzati delle metodologie monetarie. Appartengono a questofilone: l’analisi multicriteri, la valutazione di impatto ambientale (VIA) e l’analisi del rischio.2.7.1 L’analisi costi beneficiTradizionalmente il metodo più importante tra quelli appartenenti al primo filone è l’analisicosti/benefici. Il principio generale della ACB consiste nell’individuare la migliore fra le varie alternativeprogettuali o di verificare, in caso di alternativa solitaria, che almeno i costi prevedibili del progetto sianoinferiori ai benefici, in modo che la condizione finale, ovvero dopo la realizzazione del progetto, sia miglioredi quella iniziale (Bresso M. e Russo R., 1989; Rapisarda Sasson C., 1994).L’articolazione dell’ACB si può così sintetizzare: identificazione degli effetti positivi e negativi prodottidal progetto; stima degli effetti individuati; valutazione monetaria dei vantaggi e degli svantaggi stimati.Ovviamente, nel caso di costi e benefici già espressi in moneta la seconda e la terza fase coincidono. Imaggiori limiti della tecnica in questione riguardano proprio la fase di quantificazione monetaria delleconseguenze ambientali del progetto. Infatti esistono difficoltà sia nella fase di concreta attribuzione divalore economico/monetario a beni ambientali tipicamente non monetari, sia nel riportare al momento attualeeffetti che si verificano scaglionati nel tempo.Relativamente alla prima problematica (attribuzione di modulo monetario) si osserva che la letteraturapropone due tipi di tecniche di valutazione: quelle “dirette” e quelle “indirette”.Le tecniche di valutazione dirette cercano di determinare il valore che gli individui attribuiscono ai beniambientali o collegandoli ad altri beni che hanno un prezzo di mercato oppure attraverso indagini con cui sichiede direttamente agli interessati di valorizzare i beni ambientali. Esempi di queste tecniche sono: l’analisi277


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeidel comportamento, il metodo dei prezzi edonisti, il metodo dei prezzi di trasporto, il metodo dellavalutazione contingente.Le tecniche di valutazione indiretta, invece, piuttosto che cercare il modo per simulare un prezzo dimercato rappresentativo del valore attribuito dagli individui al bene ambientale, consistono nell’utilizzarestrumenti più oggettivi, quali la stima dei danni che subirebbe l’ambiente a seguito della realizzazione delprogetto. In questo caso, il valore del “danno evitato” fornisce la misura del beneficio ambientale che siotterrebbe non realizzando l’intervento. Qualunque sia il metodo utilizzato, comunque, nella maggior partedei casi i valori ottenuti sono approssimativi e tanto più inaffidabili quanto più il mercato di riferimento nonesiste o è lontano dal bene oggetto di valutazione. Inoltre, tali tecniche sono applicabili solo ad un ristrettonumero di beni ambientali.Con riferimento alla seconda problematica, quella del raffronto temporale, è rilevabile che l’uso deinormali mezzi di attualizzazione degli effetti legata a tassi di sconto rappresenta una marcata forzatura.Prima di tutto i tempi di manifestazione dei danni ambientali sono solitamente molto lunghi, cosicché la loroattualizzazione finirà con l’avere un peso limitato nel risultato globale dell’analisi. Secondariamentel’individuazione di un corretto tasso di sconto appare ancor più difficile del normale, data la natura dei benivalutati.I limiti evidenzianti pongono in luce l’estrema debolezza sia pratica che teorica delle tecnichemonetarie, per cui si sono progressivamente fatte strada tecniche di valutazione di tipo non monetario tra cuiemerge la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA).2.7.2 La valutazione di impatto ambientale (VIA).La VIA è in uno studio interdisciplinare che verifica la compatibilità ambientale di grandi opere e diimpianti, facendo inoltre menzione delle modifiche necessarie ad un progetto prima della sua messa in opera.La VIA permette un’analisi preventiva interdisciplinare ed unitaria che al contempo può tener compresentipiù punti di vista e interessi tutelati. Inoltre tale tecnica prevede il coinvolgimento degli interlocutoriinteressati dando loro la possibilità di partecipare all’analisi e aumentando il grado di accettazione socialedell’impatto.Per contro occorre però sottolineare che questo strumento, data la sua complessità, fa sia lievitare i costiche i tempi decisionali. Inoltre sembra empiricamente dimostrato che il miglior impiego della VIA è quellodi selezionare opzioni di minor impatto per opere che si è deciso comunque di realizzare. Non sarebbepertanto uno strumento di valutazione dell’an di un progetto, ma del suo quomodo.Il metodo VIA è una tecnica di analisi multicriterio che valuta, preventivamente, gli effetti indotti da undeterminato progetto sull’ambiente attraverso un sistema interdisciplinare e complesso. La caratteristicadistintiva della VIA è quella di evitare il ricorso allo strumento monetario di valutazione senza per questorinunciare alle caratteristiche del processo valutativo: utilizzando punteggi o simboli di significativitàdell’impatto sull’ambiente si effettua sempre una valutazione e si prendono decisioni sull’utilizzo dellerisorse scarse.Uno degli aspetti più innovativi della VIA è la diretta partecipazione dei pubblici al processo divalutazione, prevenzione e riduzione degli impatti ambientali. Questa continua interazione delle varie partisociali rende più trasparente il processo decisionale ed aumenta il consenso sociale delle scelteimprenditoriali. Nella procedura VIA infatti, particolare importanza è riservata alla “concertazione” tra leparti: il processo di valutazione di impatto ambientale si basa sul confronto tra giudizi soggettivi deipartecipanti al processo per arrivare ad una soluzione soddisfacente per molti. In tal senso la VIA rappresentauna trasposizione in ambito ambientale delle tecniche di negoziaziazione sindacale già ampiamente notenelle relazioni industriali.La concertazione tra le parti evidenzia gli interessi di ognuno in modo da realizzare attraverso lanegoziazione e non il compromesso il massimo valore per tutti (Rapisarda Sassoon C., 1993). Il campo diapplicazione della procedura VIA è distinto dalla Direttiva 85/337/CEE in due categorie: una in cui sonoelencati gli impianti industriali e le infrastrutture per cui la procedura è obbligatoria ed una in cui sonoinserite le opere per le quali la procedura può essere disciplinata dagli stati membri.Gli attori coinvolti nel processo VIA sono diversi e variano in funzione del tipo di progetto,dell’ambiente interessato e delle funzioni socio/economiche dell’attività proposta; in generale si individuanole seguenti figure: il propronente –pubblico o privato- ovvero colui che propone il progetto; il valutatore cheè responsabile dell’analisi e può essere un Ente, un’Agenzia od una società specializzata; il revisore che278


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeicontrolla e valuta lo studio; gli esperti con compiti di consulenza; il pubblico; gli strumenti di informazione;il decisore ossia una pubblica autorità (Bettini V., 1994).La procedura di svolgimento della VIA si articola in due momenti fondamentali: la valutazione e ladichiarazione.Nella valutazione, detta fase di assestment, in cui gli impatti ambientali sono individuati, misurati,gerarchizzati, ponderati, aggregati e confrontati attraverso un’analisi che comprende aspetti tecnici,economici, programmatici ed ambientali. A sua volta l’assestment si componedi due fasi: una preliminare divalutazione degli scopi, della natura, delle tecnologie e risorse utilizzate ed una successiva di analisidell’impatto. Un’analisi altrettanto importante è quella delle alternative, consistente nel valutare le soluzionidiverse (varianti) rispetto al progetto originario.Nella fase di dichiarazione, detta fase di statement, i documenti ed i risultati della fase precedente sonoorganizzati sotto forma di un unico documento riassuntivo detto dichiarazione di impatto ambientale cheevidenzia le conseguenze ambientali del progetto.2.7.3 La normativa italiana relativa alla procedura VIALa normativa italiana sulla VIA si basa essenzialmente sulla Direttiva CEE 85/377, essa definisce iprincipi e le linee generali che gli Stati membri avrebbero dovuto recepire entro il 1988.In Italia, già la legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente ( L.349/1986), prevedeva l’introduzionedella VIA nel nostro ordinamento e ne affidava la responsabilità al Ministero stesso. In seguito con il DPCMn.337/1988, vengono definite le categorie di progetti ed opere che obbligatoriamente dovevano esseresottoposte alla procedura, con il DPCM del 27/12/1988 vengono stabilite le norme tecniche per la redazionedegli studi di impatto ambientale.La procedura di VIA così come è presente nel nostro ordinamento ricalca in linea generale quelleseguite negli USA e stabilite dalla normativa CEE, essa è controllata in modo centralizzato dal Ministerodell’Ambiente e da altra autorità pubblica. Sono previste numerose azioni che coinvolgono le partiinteressate, di particolare importanza è lo Studio di Impatto Ambientale che, presentato dal preponente,contiene, sia una dettagliata descrizione del progetto che i possibili impatti ambientali e l’analisi delleeventuali alternative.L’autorità competente svolge un’istruttoria per verificare l’attendibilità dei dati riportati nello studi diimpatto ambientale, dopodiché essa formula un giudizio di compatibilità ambientale.Il Ministero dell’Ambiente, sentito il Ministero dei beni culturali e le Regioni, decide l’ammissibilità delprogetto sulla base degli studi e delle consultazioni effettuate.Riguardo il campo di applicazione della VIA, la procedura è obbligatoria per le seguenti categorie:• Impianti industriali: raffinerie di petrolio, impianti di gassificazione e di liquefazione di carbone,acciaierie, impianti chimici, impianti per l’estrazione, trattamento e la trasformazione dell’amianto.• Impianti per la produzione di energia elettrica.• Infrastrutture di trasporti: autostrade, ferrovie per traffico a grande distanza etc.• Aeroporti.• Porti e vie navigabili.• Impianti tecnologici; impianti per l’eliminazione dei rifiuti radioattivi, impianti per lo smaltimentodei rifiuti tossici e nocivi tramite incenerimento, trattamento chimico e stoccaggio.• Impianti di regolazione delle acque: dighe ed altri impianti destinati a trattenere, regolare acqua inmodo durevole.Tutte queste opere integrate poi con altre fanno parte dell’allegato 1 della Direttiva CEE, nell’allegato 2sono invece contenute opere la cui disciplina è delegata alle leggi regionali. Per esse è prevista una procedurasemplificata rispetto a quella prevista per le opere contenute nell’allegato 1, la decisione è assunta dallaGiunta Regionale sulla base degli studi svolti dal Comitato tecnico regionale per la VIA appositamentecostituito.Tornando allo Studio di Impatto Ambientale, esso si articola sulla base di tre quadri di riferimento:programmatico; progettuale; di riferimento ambientale.Il quadro di riferimento programmatico, che ha il fine di verificare la coerenza del progetto con i pianiterritoriali e di settore.Il quadro di riferimento progettuale, che, invece, descrive gli scopi dell’intervento e giustifica le scelteprogettuali, le misure ed i provvedimenti adottati per il migliore inserimento del progetto nell’ambiente.279


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIl quadro di riferimento ambientale, che analizza le caratteristiche del territorio, i suoi elementi dicriticità e di suscettività ambientale, valuta gli impatti di breve e lunga durata, definisce i sistemi dimonitoraggio per il controllo dello stato dell’ambiente ed individua gli interventi necessari in caso diincidenti.2.7.4 Le fasi della procedura VIAAnche se non è possibile definire una procedura universalmente idonea, in genere le fasi tipiche checaratterizzano una procedura VIA il più possibile completa sono:1) le operazioni e valutazioni preliminari;2) le analisi del progetto e le individuazioni delle azioni causali;3) le analisi dell’ambiente e l’individuazione delle componenti ambientali;4) l’individuazione degli impatti potenziali;5) la valutazione degli impatti;6) la sintesi valutativa ed il confronto delle alternative.1) Le operazioni e valutazioni preliminariIl primo step si riassume in una serie di passaggi tecnici/amministrativi con cui definiscono i criteri diredazione dello studio di impatto e le informazione di base relative alla natura ed agli obiettivi del progetto;la condizione per un corretto ed efficace sviluppo di questa prima fase è l’interazione fra i soggetti coinvoltinel processo: solo così si ottiene una reale verifica tra obiettivi e caratteristiche del progetto e potenzialiimpatti da questo generati. In questo momento iniziale si producono anche le alternative progettuali la cuivalutazione comparativa consente di dare un reale significato alla procedura di VIA e pone i decisori nellacondizione di poter scegliere avendo ben presente un quadro razionale e strutturato delle conseguenze di uncerto intervento. Tali alternative si distinguono in: “al progetto”, inerenti il livello di progettazione e “diprogetto” costituite da una diversa combinazione di elementi tecnici (data la numerosità di queste ultime sirende necessaria una loro selezione per individuare quelle meritevoli di analisi più specifica). Un ulterioretipo di alternativa è la cosiddetta “alternativa zero”, ovvero quella che rappresenta lo scenario in cui non sirealizza il progetto ed in cui, quindi non si hanno azioni impattanti.2) Le analisi del progetto e le individuazioni delle azioni causaliIl secondo step si propone di fornire in modo disaggregato l’elencazione e l’illustrazione di tutte leattività di cui si compone il progetto, nonché delle azioni causali o generatrici delle interferenze che possonoprodurre modificazioni in un ambito definito (Ciaramelli, 1996/97, p. 125). L’analisi delle attività sidistingue a seconda che riguardi le fasi di costruzione o di esercizio del progetto.3) Le analisi dell’ambiente e l’individuazione delle componenti ambientaliIl terzo step si propone di individuare ed illustrare accuratamente tutte le componenti ambientali (fattorie risorse) che potranno subire impatti più o meno rilevanti a seguito della realizzazione del progetto. Ladescrizione dell’ambiente, che termina con la definizione di uno specifico ambito territoriale di riferimento,ossia una porzione di territorio su cui si manifesteranno gli impatti legati alla realizzazione del progettooggetto di studio, implica anche un’operazione di selezione degli elementi rilevanti ai fini della suaqualificazione e un’operazione di valutazione dello stato originario delle risorse. Con riferimento a questafase si rilevano almeno due problemi: uno riguardo alla definizione adeguata di “ambiente” e l’altro attinentealla contrapposta esigenza di realizzare uno studio degli impatti completo ed al tempo stesso sintetico.4) L’individuazione degli impatti potenzialiIl quarto step è una fase tipicamente “interattiva”: infatti, l’identificazione degli impatti (perturbazionisubite da una variabile ambientale in un certo periodo di tempo e in una particolare area geografica a causa diun intervento antropico localizzato nell’area stessa) consiste in una serie di operazioni di prospezione con loscopo di individuare gli effetti certi o probabili delle azioni causali di progetto sulle componenti ambientali(Ciaramelli, 1997, p. 130). L’operazione viene ripetuta per tutte le azioni elementari individuate in relazione280


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeia tutte le componenti ambientali che si è deciso di prendere in considerazione e per ognuna delle alternativeprogettuali valutate.Le più note metodologie di supporto sia alla individuazione delle componenti ambientali che allaprevisione degli impatti potenziali sono: le check list, le matrici azioni-componenti; le matrici coassiali; inetworks; le carte tematiche.Le check list di tipo semplice o descrittivo, sono comunque costituite da elenchi dettagliati dicomponenti dell’ambiente sia biofisico che socio-economico, interessate dagli effetti potenziali del progetto;Le matrici azioni-componenti costituite da tabelle a doppia entrata in cui: sulle righe sono riportate lecomponenti ambientali prese in considerazione, suddivise e raggruppate in categorie, e nelle colonne sonoindicate le varie azioni causali in cui può essere scomposto il progetto. L’esempio più tipico è la matriceLeopold che incrocia 88 componenti ambientali con 100 azioni elementari (Leopold L.B., 1978);Le matrici coassiali che essendo costituite da diverse matrici permettono diversi livelli di analisisuperando così il limite delle precedenti matrici, ovvero quello di limitare la valutazione alle interrelazionifra azioni ed effetti finali diretti. Le matrici coassiali, infatti, mediante un uso più complesso degli strumentimatriciali consentono di mettere in relazione più livelli logici di scomposizione delle attività di progetto e direlazione causa/effetti. In genere l’analisi si sviluppa mediante tre matrici: nella prima si identificano conprecisione i fattori causali generati dalle attività di progetto; nella seconda si pongono in relazione i fattoricausali della matrice precedente con le componenti aziendali influenzate da queste azioni ed infine, siesplicitano le modificazioni dello stato delle risorse –impatti probabili-I networks (detti anche “grafi”) definiti come particolari diagrammi di flusso o catene di relazioneconsentono di individuare, interrelando le azioni causali con le componenti potenzialmente suscettibili disubire modificazioni, gli impatti derivanti dalla realizzazione del progetto.Le carte tematiche costituiscono un metodo essenzialmente basato sulle caratteristiche fisiche delterritorio. Per questo, il processo di valutazione conduce ad individuare delle potenzialità di uso residualidelle singole aree in un determinato momento e rispetto all’uso prospettato con la realizzazione del progetto.I limiti principali del metodo sono i forti elementi di soggettività insiti nelle sue valutazioni.5) La valutazione degli impattiIl quinto step costituisce una delle tappe più importanti di tutta la procedura in quanto è qui che siprocede a trasformare gli impatti in valori quantitativi ed aggregarli per consentire, alla fine, la comparazionedelle alternative. Metodologicamente questa fase si distingue in due momenti fondamentali: la misurazionequantitativa dei fattori ambientali e degli impatti e la stima della rilevanza e significatività dei cambiamentievidenziati.La misurazione quantitativa degli impatti, consistente in una previsione quantitativa dei cambiamenti(impatti) che si verificheranno nell’ambiente in seguito all’esecuzione del progetto, si distingue a sua volta indue fasi: la misura dello stato attuale delle componenti ambientali; la misurazione degli impatti veri e propri.La misura dello stato attuale delle diverse componenti ambientali è detta anche “valutazione del puntozero”. Questo primo passaggio presenta problemi relativi sia alla scelta degli indicatori più appropriati allamisurazione delle condizioni attuali dei fattori ambientali, sia per l’individuazione di punti di riferimentoidonei per comparare le condizioni attuali dei fattori ambientali dell’area interessata. Con riferimento alprimo ordine di problemi si possono suggerire indicatori quali: scelta di un elemento ritenuto abbastanzasignificativo della situazione complessiva della risorsa ambientale oggetto di valutazione; raggruppamento divalutazioni per esprimere un dato sintetico; modellizzazione delle caratteristiche e del comportamento delfattore ambientale prima e dopo il progetto. In caso di scarsità di informazioni si può ricorrere ad unindicatore indiretto. In molti studi di impatto si preferisce utilizzare nello stesso tempo più metodiinformativi, al fine di ottimizzare la conoscenza.La misurazione dello stato attuale richiede una sorta di omogenizzazione dei valori: un passaggiofondamentale affinché misurazioni espresse in valore assoluto siano rese comparabili. Esistono diversiparametri di riferimento per relativizzare i dati e rendere possibile una comparazione, ad esempio: i valorimedi degli indicatori scelti, a livello provinciale, regionale e nazionale; oppure una scala di gradazione dellaqualità che va da un minimo (scomparsa della risorsa) ad un massimo (condizione naturale); i valori modalidegli indicatori prescelti; un semplice confronto con i casi “peggiore” e “migliore” riscontrabili nell’areaconsiderata; ecc. Qualunque sia il metodo scelto, sia fra quelli individuanti l’indicatore sia fra quellideterminanti il parametro di riferimento, la relazione fra i valori assunti dagli indicatori scelti per valutare la281


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeisituazione attuale delle risorse ambientali e i punti di riferimento identificati, consentirà di definire “unamappa di punti zero” necessaria base di partenza per le valutazioni successive (Lanzavecchia S., 1986).La misurazione degli impatti veri e propri determina le variazioni subite dai componenti e fattoriambientali. L’ambiente naturale infatti, è un ecosistema articolato in una somma di fattori tra loroprofondamente interrelati: per questo, qualsiasi azione perturbativa dello stato ambientale produce non soloeffetti diretti sulle sue componenti, ma anche conseguenze indotte ed indirette (Gerelli E., Laniado E..,1989,). Di conseguenza, la previsione dei cambiamenti indotti dalle iniziative imprenditoriali non può esserevalutata a “comparti stagni”, ma al contrario implica un’analisi congiunta e multidisciplinare. Di qui, lanecessità di un’accurata considerazione delle diverse tipologie di impatto con metodi specifici di variediscipline. Ad esempio, le previsioni degli impatti di natura socio-economica si usa spesso la metodologiadegli “scenari” basata sulla descrizione coerente di tipo quali-quantitativo delle evoluzioni indotte dallarealizzazione del progetto in una certa area. In particolare saranno costruiti più scenari di riferimento, unoper ciascuna alternativa considerata, al fine di disporre di un quadro completo delle possibili modificazioni.La letteratura ha prodotto un’ampia gamma di modelli per la costruzione degli scenari (Polelli M., 1992;Pavoni G. e Bianchi F., 1990), anche se nessuno di questi risulta di facile applicazione e di elevatasignificatività. Allorquando poi, certi fattori sia ambientali che socio-economici siano scarsi, può essere utileaffidarsi, per realizzare previsioni attendibili, a stime di esperti delle varie discipline (ad esempio, si puòricorrere al cosiddetto metodo Delphi). Alla fine si potrà costruire una tabella in cui potranno essereconvenientemente riassunte le stime effettuate, in modo che esse siano facilmente interpretabili eproficuamente utilizzabili nelle fasi successive.La stima della rilevanza degli impatti è una fase tipicamente soggettiva, poiché mira a stabilire se unimpatto ha una maggiore o minore importanza, ossia se la variazione prevista per i diversi indicatori e per levarie alternative produrrà una significativa variazione della qualità dell’ambiente. Quando sia possibile,inoltre, è importante misurare l’entità di tale variazione rispetto ad una scala convenzionale al fine di renderepossibili comparazioni e valutazioni complessive. In particolare, sono disponibili varie tipologie di scale disignificatività, scelte in base alle caratteristiche del progetto ed al grado di formalizzazione analitica degliimpatti precedentemente stimati. Alcuni esempi sono: le “scale qualitative”; le “scale quali-quantitative”; le“scale quantitative cardinali”; le “scale ordinali”.Nelle “scale qualitative” gli impatti sono classificati in base a parametri qualitativi e che causano unaperdita di analiticità e di significatività del giudizio nel momento in cui le classificazioni sono trasformate inindicatori quantitativi. Nelle “scale quali-quantitative” sono costruite attribuendo un punteggio numerico aisingoli impatti a partire da una base informativa che resta di natura qualitativa.Nelle “scale quantitative cardinali”, ossia scale quantitative pure in cui si cerca di trasformare le stimefisiche degli impatti in valori convenzionali e graduati secondo una scala di valori limite predefinita (adesempio da 0 a 1, dove 0 indica la qualità peggiore del fattore e 1 quella migliore). Il problema principale, inquesto tipo di scale, è rappresentato dalla difficoltà oggettiva di trasformare gli indicatori fisici espressi invarie unità di misura in valori numerici convenzionali. Tale problema è aggravato dalla non linearità dellarelazioni effetto/impatto sull’ambiente naturale. Per semplificare questo problema può essere utile ricorrere aspecifiche scale di trasformazione, ossia le cosiddette “curve di trasformazione”, in cui in ordinata è riportatala scala convenzionale scelta ed in ascissa la scala in base a cui è effettuata la stima, migliorando così ilgrado di oggettività del processo di definizione della significatività degli impatti.Infine, le “scale ordinali” sono indicate allorquando le caratteristiche del progetto non consentono diutilizzare dati sufficientemente attendibili per effettuare stime di significatività di tipo quantitativo; puòessere allora più conveniente collocare le alternative in ordine di importanza degli impatti senza cercare distabilire la misura quantitativa degli stessi.Nelle procedure di VIA, come in tutte le metodologie di analisi multicriteri (ossia in cui le valutazioni sibasano sull’assunzione di una pluralità di dimensioni), è importante disporre di un sistema di pesi peresplicitare l’importanza relativa dei criteri di scelta utilizzati. Stante questa certezza è comunementericonosciuta la difficoltà di utilizzare il prezzo come misura del peso relativo dei vari criteri, soprattutto nelcaso in esame dei beni ambientali tipicamente extra-mercato; la definizione di un buon sistema diponderazione, in questo caso, presuppone la conoscenza dei sistemi di preferenze dei soggetti coinvolti nelprocesso di valutazione e la disponibilità di una procedura che permetta di aggregare le preferenze dei singoliin una funzione di utilità collettiva (Bresso M., 1994). La ponderazione dell’importanza delle varie risorse sibasa sull’utilizzo di diversi metodi: ad esempio, si può assegnare ad ogni fattore ambientale e socioeconomicoun numero fisso di pesi. Il prodotto dei punteggi di impatto per i pesi consente di ottenere un282


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeiordinamento ponderato delle alternative. Oppure: si possono usare criteri di ponderazione qualitativi,classificando le risorse secondo schemi di giudizio predefiniti.6) La sintesi valutativa ed il confronto delle alternativeL’ultimo step, ovvero la comparazione di sintesi tra le alternative, rende possibile la funzione disupporto al processo decisionale della metodologia di VIA. infatti, l’individuazione e la valutazionedisaggregata degli impatti, realizzata nelle fasi precedenti, produce un coacervo di informazioni malorganizzate e difficili da interpretare. L’ultima tappa della procedura di VIA consente quindi di selezionare,sintetizzare ed aggregare un numero di fattori critici effettivamente necessari ad orientare proficuamente ladecisione finale. L’importanza di un momento finale per concentrare l’attenzione sulle variabili più rilevantiè giustificata almeno da tre considerazioni: la ragione umana, per sua natura, è in grado di manipolarecontemporaneamente solo un numero limitato di variabili (Simon H., 1984); nella maggior parte dei casi ilnumero di elementi critici per il processo decisionale è di fatto contenuto; infine, la realizzazione di progetticon potenziali impatti ambientali rilevanti richiede un consenso sociale particolarmente ampio, per cuidiventa necessario tradurre la grande quantità di dati tecnico-scientifici in un linguaggio facilmentecomprensibili da tutte le parti sociali interessate (proprio la mancanza di quest’ultima capacità ha provocatoin Italia l’assunzione di decisioni a forte impatto ambientale in condizioni di scarsa informazione pubblica –ad esempio, in merito alla costruzione di impianti nucleari- Manfredi G., 1987).Classificare gli impatti possibili in base alla loro importanza, definire il valore relativo delle risorse, intermini qualitativi o quantitativi e aggregare gli impatti in base alla diversa importanza delle varie risorseambientali rappresentano le condizioni per realizzare la comparazione di sintesi.Concretamente la rappresentazione sintetica, ma rigorosa delle alternative progettuali si realizzaattraverso molteplici strumenti, quali le misure e gli indicatori di tipo cardinale; le misure di tipo ordinale; lemisure attraverso i red flags;Le misure e gli indicatori di tipo cardinale che, per i risultati precisi ed affidabili che producono,tendono ad essere i mezzi di stima più utilizzati. Tuttavia, in certi casi, un eccesso di modellizzazione, tipicodegli strumenti di tipo cardinale, può comportare una semplificazione eccessiva della realtà e talvolta persinoad una rappresentazione fuorviante dal punto di vista conoscitivo dei fenomeni oggetto di studio.Le misure di tipo ordinale, meno univoche e tassative, consentono un’informazione più attendibileladdove l’ambiguità delle variabili oggetto di studio sia parte ineliminabile delle variabili ambientalianalizzate.Le misure attraverso i “red flags”, ossia i punti critici dell’analisi (Lanzavecchia S., 1986) capaci disegnalare le situazioni ad alto rischio, non solo dal punto di vista dell’impatto netto, cioè la sola variazionepositiva o negativa causata dal progetto, ma anche delle singole modificazioni marginali, favorevoli odostacolanti, dovute al progetto. Il loro uso non è comunque agevole, infatti sarebbe necessario avereparametri di riferimento che evidenziassero le soglie oltre le quali il fattore ambientale diventa ad altorischio. In ogni caso tali strumenti garantiscono maggiore chiarezza e trasparenza alle decisioni finali inquanto controbilanciano la naturale tendenza a non prendere in considerazione l’impatto lordo del progetto.Esistono vari metodi da utilizzare per realizzare la comparazione di sintesi tra le alternative progettualinella procedura di VIA; in particolare se ne ricordano due: il metodo delle distanze tra ranghi; il metodo diconcordanza e discordnza.La formulazione originaria del metodo delle distanze dai ranghi (Cook e Seiford, 1978) è stata pensatacome strumento per confrontare le politiche di piano alternative, ma può ben essere adattato anche al caso diuna VIA. Si propone l’obiettivo di ottenere una graduatoria delle preferenze tra le varie alternativeconcorrenti ed a tale scopo si articola in fasi successive. Nella prima si procede a definire in modoabbastanza preciso i criteri di scelta rilevanti per la decisione, i quali non sono altro che una trasformazionedelle categorizzazioni degli impatti fatte in precedenza. Addirittura, se la disaggregazione delle componentiambientali non è stata eccessiva tutti i fattori individuati possono essere considerati come criteri di scelta. Icriteri così identificati serviranno ad ordinare le prestazioni delle varie alternative progettuali in unagraduatoria basata sulle stime previsionali quali-quantitative. I risultati di questa prima operazione vengonoriassunti in un’apposita tabella.POSIZIONI <strong>DELLE</strong> ALTERNATIVECRITERIA a b c d283


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiB 1 2 3 2C 2 1 2 1… 3 3 1 3… … … …Il passaggio successivo consiste nel calcolare la distanza delle alternative dai ranghi, ossia dallaposizione che ogni dato occupa nella serie ordinata quantitativamente; in pratica si tratta di sommare gliscostamenti in valore assoluto delle prestazioni delle n alternative dai ranghi rispetto a ciascun criterioselezionato.DA,1 = ⏐1 − Aa⏐+ ⏐1 − Ab⏐+ ⏐1 − Ac⏐+ ⏐1 − Ad⏐dove: DA,1 significa “distanza dall’alternativa A dal primo rango” e Aa significa “rangodell’alternativa A rispetto al criterio di scelta a”.Questa procedura è sufficiente qualora tutti i criteri presi in considerazione abbiano la stessaimportanza; nel caso contrario, peraltro molto frequente nelle procedure VIA, dove le risorse considerateassumono valenza diversa a seconda dei contesti di riferimento del progetto, è opportuno introdurre unsistema di ponderazione differenziata per esplicitare le differenze tra i criteri di scelta considerati. Se siassume che Wa Wb Wc Wd siano i pesi di quattro ipotetici criteri di scelta (a, b, c, d), allora le distanzeponderate si calcoleranno nel modo seguente:WDA,1 = Wna x ⏐1 − Aa⏐+ Wnb x ⏐1 − Ab⏐+ Wnc x ⏐1 − Ac⏐+ Wnd x ⏐1 − Ad⏐Una tale procedura di ponderazione può essere di due tipi: una semplice assegnazione di criteri a classid’importanza, in questo caso i pesi assegnati alle classi saranno puramente convenzionali; l’attribuzione dipesi differenziati rispetto ai singoli criteri.L’ordinamento delle alternative ottenuto con il metodo appena descritto può essere consideratoaffidabile solo se un’alternativa è migliore di tutte le altre in relazione a tutti i criteri di scelta. Poiché questasituazione è particolarmente difficile da verificare nella realtà, può essere consigliabile sottoporre i risultatiottenuti ai cosiddetti “test di sensibilità” al fine di accertarsi che la graduatoria ottenuta sia sufficientementestabile. In concreto ciò implica adottare punti di vista anche molto diversi nella distribuzione dei pesi eponderare le eventuali conseguenze di questo cambiamento: in pratica effettuare test di significatività vuoldire scegliere alcuni gruppi di criteri che abbiano un significato omogeneo e far variare verso l’alto e verso ilbasso i pesi di questi criteri.La comparazione delle alternative realizzata mediante la metodologia della distanza dai ranghi fornisceinnanzitutto elementi di giudizio ben strutturati che, soprattutto nel caso di analisi previsionalisufficientemente analitiche, consentono elaborazioni e ragionamenti piuttosto articolati, rappresentando unbuon supporto per il processo decisionale. In secondo luogo, il metodo in questione permette di confrontarevalori, interessi, punti di vista anche molto diversi tra loro con una relativa semplicità: tale pregio incontraprecipuamente le esigenze di iter decisionali molto complessi. Infine, l’affidabilità dei risultati ottenuti ègarantita a condizione che la graduatoria ottenuta mantenga una sostanziale stabilità e le distanze dellealternative dal rango a cui ciascuna è assegnata siano piuttosto basse. Nonostante i molti pregi il modellodelle distanze dai ranghi pecca di eccessiva genericità di analisi nel senso che le differenti alternativeprogettuali sono analizzate da un punto di vista globale e complessivo, permettendo quindi un’analisi dellepreferenze solamente a livello aggregato.Il metodo dell’analisi di concordanza e di discordanza risulta particolarmente appropriato in contestidecisionali complessi, ossia nei quali la scelta è influenzata e condizionata da una pluralità di fattorieterogenei e talvolta contrastanti. In particolare, tale metodo consente, integrando al proprio interno contestidecisionali conflittuali, di chiarire punti di vista divergenti anche qualora il loro numero sia particolarmenteelevato. Il punto di forza del modello risiede nella sua capacità di evidenziare assieme alla superioritàcomplessiva di un’alternativa rispetto ad un’altra, l’eventuale coesistenza di aspetti di inferiorità dellamedesima relativamente ad uno o più criteri. L’articolazione del metodo presenta fasi iniziali identiche allametodologia precedente: innanzitutto si procede a definire i criteri di scelta ed il conseguente ordinamentodelle prestazioni delle alternative rispetto a ciascun criterio. Alle prestazioni individuate, con riferimento adogni criterio di scelta, si assegna un punteggio che sia in grado di giustificare la distanza tra le posizioni dellagraduatoria. Così, ad esempio, in una scala che varia da 1 a 10, i indica la prestazione peggiore e 10 quella284


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeimigliore rispetto ad un determinato criterio. L’assegnazione dei punteggi, che è più o meno facile a secondache la rilevanza degli impatti sia misurata con valutazioni quantitative, scale ordinali o indicatori sintetici edindiretti, ha lo scopo quindi di rimarcare la differenza tra le varie prestazioni. Il passo successivo consistenell’esplicitare l’importanza relativa dei vari criteri di scelta rispetto alla decisione finale; assieme alladefinizione di questo schema di ponderazione, come nella metodologia precedente si procede ad integrarel’analisi con test di sensibilità al fine di verificare la solidità delle graduatorie di preferibilità ottenute.L’analisi di concordanza e di discordanza, mediante il calcolo di appositi indici, consente non tanto dirisolvere il problema decisionale, quanto di definirne meglio i termini e la struttura.In particolare, gli indici di concordanza evidenziano la superiorità di un’alternativa rispetto a ciascunadelle altre basandosi sull’ordinamento da queste acquisito rispetto ai diversi criteri ed ai pesi loro attribuiti.In formula l’indice di concordanza –c- è dato, per ogni coppia di alternative, dalla somma dei pesi di queicriteri che rendono la prima alternativa preferita alla seconda:c ii’ = ∑j ∈C(ii’) Wnj + ∑ j ∈T(ii’) Wnjj ∈ C(ii’) = insieme dei casi in cui, in relazione al criterio J, l’alternativa i è superiore all’alternativa i’;j ∈ T(ii’) = insieme dei casi in cui, in relazione al criterio j, l’alternativa i è equivalente all’alternativa i’.Il valore dell’indice di concordanza può variare da 1 –caso di superiorità secondo tutti i criteri- a 0 –casodi inferiorità secondo tutti i criteri- .Gli indici di discordanza sono strumenti particolarmente utili per identificare eventuali aspetti diinferiorità in un’alternativa che, sulla base degli indici di concordanza, è superiore ad un’altra. In termininumerici l’indice di discordanza –d- è dato dalla differenza negativa massima che si verifica, rispetto ad unospecifico criterio di scelta, tra i punteggi di due alternative a confronto:dii’ = max ( p i’j − p ij )in cui: Pij è il punteggio dell’alternativa i rispetto al criterio j e Pi’j è il punteggio dell’alternativa i’rispetto allo stesso criterio.I valori dell’indice di discordanza variano da 0, caso in cui nessuna prestazione è inferiore secondonessun criterio e 10, caso opposto.Gli indici di concordanza e di discordanza costituiscono la base per costruire le graduatorie tra lealternative e per analizzarne i rapporti di preferibilità. La valutazione finale dei risultati ottenuti dagli indicipuò adottare due differenti approcci: l’analisi degli indici aggregati oppure il confronto effettuato a coppiealternative.Nel primo caso la comparazione fra le alternative è giudicata attraverso le informazioni ottenute siadagli indici di concordanza (che similmente al metodo della distanza dai ranghi forniscono una graduatoria dipreferibilità) sia dagli indici di discordanza dai quali proviene la vera informativa aggiuntiva; l’utilizzo degliindici di discordanza consente, infatti, di evidenziare le parti “deboli” di ogni alternativa. Indici di tipoaggregato sono anche quelli che misurano il grado di similarità tra gli indici aggregati di concordanza e didiscordanza di ogni alternativa e quelli di una coppia di alternative fittizie: queste ultime, costruite in mododa rappresentare l’estremo migliore e quello peggiore della graduatoria, consentono delle valutazioni perconfronto. Sempre sul confronto si basa l’altro approccio di valutazione dei risultati degli indici diconcordanza e di discordanza: il confronto a coppie consiste appunto in un’analisi dei rapporti di preferibilitàoperata su coppie di alternative. Ne deriva sicuramente una valutazione più accurata ed affidabile, in quantoesente da rischi propri delle aggregazioni parziali dei risultati.Il pregio fondamentale della metodologia in questione è quello essere consapevole di non poter fornirerisposte univoche al problema decisionale, limitandosi quindi a fornire una serie di valutazioni comparativetipo “se si intende dare una particolare importanza a determinati interessi allora l’alternativa preferibile èquesta, pur presentando limiti e problemi". Un altro vantaggio non secondario del metodo è quello di esserefacilmente traducibile in linguaggio comprensibile a tutti: ciò è fondamentale in processi valutativi interessatial più ampio consenso sociale; inoltre, il modello si distingue per la sua onestà, nel senso che non tende adoccultare gli aspetti negativi delle varie alternative.I metodi utilizzabili per la comparazione sintetica delle alternative presentano ognuno opportunità elimiti; in questa riflessione risiede la risposta alla domanda circa l’esistenza di una tecnica che consenta dirisolvere in modo univoco ed universale il problema di scelta delle alternative progettuali. D’altra parte una285


Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano Ciappeitale presunzione risponde ad un tipico atteggiamento tradizionale secondo cui le metodologie di valutazionedegli interventi sono orientate alla soluzione del problema decisionale, ponendosi l’obiettivo di fornire comeoutput del processo “la decisione”, desunta univocamente applicando ai dati disponibili una regola tecnica.Nella teoria della decisione e nella pratica si sta affermando, tuttavia, un approccio diverso allavalutazione, orientato alla strutturazione del problema piuttosto che alla sua soluzione. In questo caso diventaprecipuo contribuire alla costruzione del problema e ad individuarne la forma (Forester J.1989).286


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Dispense di Strategie d’impresa 2003Professor Cristiano CiappeiIN<strong>DI</strong>CECapitolo 1…………………………………………………………………………………..p. 1Capitolo 2…………………………………………………………………………………..p. 39Capitolo 3…………………………………………………………………………………..p. 67Capitolo 4…………………………………………………………………………………..p. 104Capitolo 5…………………………………………………………………………………..p. 147Capitolo 6…………………………………………………………………………………..p. 157Capitolo 7…………………………………………………………………………………..p. 173Capitolo 8…………………………………………………………………………………..p. 241Bibliografia…………………………………………………………………………………p. 286299

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