4/11 gagar<strong>in</strong> n. 4 musica arte gusto teatro libri shopp<strong>in</strong>g bimbi c<strong>in</strong>ema 20 TEsTaTO a SUd deL SUdoVeSt Appunti a lato del Festival di Musica Indipendente più famoso del mondo. Al centro del Texas, alla periferia di ogni sogno di Antonio Gramentieri da NOI
Avevi detto che non saresti mai sceso a patti con il vagabondo misterioso, ma ora ti rendi conto che non vende alibi, mentre guardi nel vuoto dei suoi occhi e ti chiede «vuoi fare un patto?». Insomma, non abbiamo dato retta agli ammonimenti del vecchio zio Bob e ora siamo <strong>in</strong> un hotel per anziani e famiglie di passaggio, poco fuori l’aeroporto di Atlanta. Ancora squassati dal jet lag, <strong>in</strong> un ristorante dove siamo gli unici bianchi, a mangiare alette di pollo <strong>in</strong> salsa barbecue, guardando football-baseball-news giapponesi su venti schermi accesi <strong>in</strong> contemporanea. Ce ne siamo <strong>in</strong>fischiati degli ammonimenti di Zio Bob e siamo ancora una volta <strong>in</strong> proc<strong>in</strong>to di rotolare come sassi nel ventre molle dell’Occidente, nutrirci di cibo scadente, dormire <strong>in</strong> motel superotto con camere tutte uguali, guidare a 70 miglia all’ora su auto a nolo, pisciare a turno <strong>in</strong> bottiglie di plastica per non perdere il ritmo della strada. Ché l’America è tutta lì e il resto sono solo qu<strong>in</strong>te di cartapesta. How does it feel? Non lo so, Bob. Ne riparliamo. Nella prima settimana ci sono alcune formalità da sbrigare a Knoxville, Tennessee e ad Atlanta, Georgia. Poi si va <strong>in</strong> Texas. Dobbiamo suonare mezz’ora al SXSW, un festival piuttosto importante. Tutto qua. Mezz’ora. Sarebbe anche una buona notizia, se non fosse che Aust<strong>in</strong> dista circa sedici ore di auto dalle altre due città e che nessuno - almeno qui dentro la Chevrolet - ha più vent’anni, il giusto fisico e la giusta ambizione per pensare di diventare una rockstar. Ma il patto è stato fatto, e tocca partire. Il pensiero di vagare senza meta per le strade della Capitale <strong>in</strong> una giostra di coolness studiata allo specchio, sogni di gloria, giornalisti- A&R-discografici-manager f<strong>in</strong>to annoiati con il pass bene <strong>in</strong> vista, code alle toilette e ai chioschi, puzza di piscio che si mischia con l’odore dei fagioli al ristorante messicano, giovanotti con berretto e spalle larghe, studentesse <strong>in</strong> magliette aderenti reduci dallo spr<strong>in</strong>g break, è un pensiero non privo di qualche elemento apocalittico. Comunque non si poteva rifiutare. Lo dobbiamo al vecchio Stuart. Che, pure con i suoi 50 portati male, l’anca da rifare, la paranoia sempre sul punto di prendere il controllo delle operazioni, rimane uno dei motivi per cui la canzone americana si è mantenuta <strong>in</strong> salute negli ultimi ventic<strong>in</strong>que anni. Poi siamo qui anche per un altro motivo, più astratto, che riguarda pr<strong>in</strong>cipalmente me e Lo Squalo. Lo Squalo ha 40 anni, io quasi 39. Non ce lo siamo detti esplicitamente, ma <strong>in</strong> fondo è ora di capire, sul campo, se la nostra stagione «L’America vera è fatta per gente di un’altra pasta. Per chi coglie la differenza tra dormire allo Sleep Inn o <strong>in</strong> un Motel 6» americana post-adolescenziale sia f<strong>in</strong>ita o abbia ancora qualche frutto da donarci. L’abbiamo molto amata, questa America. Ma quante volte puoi sognare lo stesso sogno? In fondo l’America vera, adulta, è fatta per gente di un’altra pasta. Gente che sa scendere a patti con il vagabondo misterioso, gente che capisce bene la differenza fra pranzare da Denny’s o da Arby’s, da Waffle House o altrove. Gente che coglie la differenza sostanziale fra dormire <strong>in</strong> uno Sleep Inn, <strong>in</strong> un Motel 6, <strong>in</strong> un Budget Inn, <strong>in</strong> un Red Roof. Gente per cui al matt<strong>in</strong>o è importante confrontarsi con cameriere allegre d’un allegria posticcia sul come le proprie uova debbano essere cotte e disposte sul piatto, sapendo - a presc<strong>in</strong>dere - che saranno comunque <strong>in</strong>sapori. Il nostro Sogno Americano è stato un sogno romantico, da stranieri, meno pragmatico di quello, ad esempio, del pakistano di buona volontà a cui consegno il passaporto per prenotare la stanza. Lui è già americano, io non lo sarò mai. Noi qui siamo sempre solo ospiti. Ma come tali possiamo concederci dei lussi. Ad esempio giocare ancora alla conquista dell’Ovest, dritto per dritto sulla I-10, fare a gara con il sole diretto al Pacifico cercando di farci superare il più tardi possibile, poi svoltare repent<strong>in</strong>amente a destra, tagliare il Texas <strong>in</strong> diagonale, sbucare ad Aust<strong>in</strong> appena qualche miglio a nord di downtown, gustarsi il tramonto. Cose così, <strong>in</strong>somma. In mezzo a tutti i teoremi, io e Diego suoniamo anche. Lo Squalo e il Bomber - <strong>in</strong>tanto - forniscono supporti tecnici e psicologici. Dan, JD e Adrian viaggiano su un altro mezzo. Le serate di Knoxville e Atlanta passano senza sussulti. Questa band è an- cora <strong>in</strong> divenire. Sta cercando sé stessa, con s<strong>in</strong>cerità. Quando si trova, sa come mediare la rug- g<strong>in</strong>e e la poesia. Quando non si trova, barcolla <strong>in</strong> alto sul filo e offre al pubblico il brivido del funambolo sul punto di schiantarsi. Anche le d<strong>in</strong>amiche <strong>in</strong>terne seguono questa logica. Dopo la data di Atlanta si guida f<strong>in</strong>o ad Aust<strong>in</strong>, mille miglia a Ovest. Gli americani non vanno neppure a letto e la fanno tutta d’un fiato, noi ci prendiamo un giorno a New Orleans. Quando ci si ritrova al sole texano, la città è già <strong>in</strong>vasa dalle truppe para-musicali di tutt’America. E non solo d’America, visto che sullo stesso palco dello Yard Dog suonano anche i Cali- Il me-stesso di 15 anni fa avrebbe fatto carte false per trovarsi <strong>in</strong> una situazione così. Qu<strong>in</strong>di, mi dico, cerchiamo di onorare il corso degli eventi bro 35. Poi tocca a noi. A vedere il ritorno <strong>in</strong> scena del vecchio Stuart, del quasi-leggendario produttore JD Foster e dei due italians ci sono anche un po’ di facce note. Qualcuno degli Yo La Tengo, Peter Buck e Mike Mills dei Rem, John Stirratt e Pat Sansone dei Wilco. C’è John Dee Graham, c’è James Mc Murtry, c’è Jon Langford, c’è Steve Wynn, qualcuno dei Silos e altra gente con i capelli t<strong>in</strong>ti. Proprio John Dee il giorno prima, dal palco, ha detto che se avesse dovuto scegliere di vedere un concerto solo, <strong>in</strong> tutto il festival, avrebbe scelto il nostro. Il me-stesso di 15 anni fa avrebbe fatto carte false per trovarsi <strong>in</strong> una situazione così. Qu<strong>in</strong>di, mi dico, cerchiamo di onorare il corso degli eventi che ci hanno portati f<strong>in</strong> qua, di non fare troppo i filosofi e di suonare qualcosa che somigli a della musica. Il concerto funziona bene. Stuart si commuove <strong>in</strong> mezzo a un pezzo, e buona parte del pubblico con lui. Raccogliamo complimenti e pacche vip sulle spalle, vendiamo dischi e magliette, beviamo Sh<strong>in</strong>er Bock, facciamo quel che va fatto <strong>in</strong> queste occasioni, ce ne andiamo a dormire a Dripp<strong>in</strong>’ Spr<strong>in</strong>gs, 30 miglia fuori, nel ranch di Daren, seguendo il profilo dei cavalli davanti alla luna più grande degli ultimi 18 anni. Se il senso più <strong>in</strong>timo dell’esperienza americana è fare la cosa giusta, forse stavolta l’abbiamo fatta. La sera dopo, un set fra amici sopra il Cont<strong>in</strong>ental Club. Sotto suona Alejandro Escovedo. La serata culm<strong>in</strong>a con JD Foster, Charlie Sexton e Luc<strong>in</strong>da Williams a f<strong>in</strong>ire tutti i dr<strong>in</strong>k del bar. Noi a quel punto siamo già a Tuscaloosa, Alabama, nel solito motel superotto. Il cartello sulla Interstate dice East. Che, <strong>in</strong> un modo o nell’altro, significa già tornare a casa. ecologismo estremo TENDAGGIO IN BOTTIGLIA L’<strong>in</strong>nalzamento delle temperature vi fa bere più acqua con il conseguente aumento di antiecologiche bottiglie di plastica da smaltire? Al di là della raccolta differenziata, si può dare nuova vita alle bottiglie facendone delle tende da appartamento, seguendo l’esempio dell’artista Michelle Brand. Non ci credete? Sul sito apartmenttherapy.com trovate anche le istruzioni per un vostro eventuale art attack. (al.lo.) 4/11 gagar<strong>in</strong> n. 4 musica arte gusto teatro libri shopp<strong>in</strong>g bimbi c<strong>in</strong>ema 21