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Austropotamobius pallipes fulcisianus - Regione Umbria ...

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CARATTERISTICHE, ESIGENZE ECOLOGICHE, STATO DI<br />

CONSERVAZIONE DELLE SPECIE A INVERTEBRATI DI INTERESSE<br />

COMUNITARIO E DI PARTICOLARI SPECIE DI INTERESSE<br />

NAZIONALE/REGIONALE<br />

<strong>Austropotamobius</strong> <strong>pallipes</strong> <strong>fulcisianus</strong> (Ninni, 1886)<br />

Crostaceo-Decapode-Astacide <strong>Austropotamobius</strong> <strong>pallipes</strong> <strong>fulcisianus</strong> (Ninni, 1886)<br />

(= <strong>Austropotamobius</strong> <strong>pallipes</strong> italicus, Faxon, 1914).<br />

Specie inserita nell’Allegato II e nell’Allegato V della Direttiva “Habitat”; protetta dalla<br />

convenzione di Berna (all.III) del 1979; è considerata globalmente minacciata<br />

dall’IUCN/WCMC (VU B2bce + 3bcd) e compresa nella lista delle specie a rischio nel<br />

“Libro rosso” della fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

Il gambero d’acqua dolce vive 11-13 anni e può raggiungere una lunghezza massima di<br />

circa 12 cm. La riproduzione si verifica in autunno. A. <strong>pallipes</strong> è una specie molto esigente<br />

che predilige acque ben ossigenate (tra 60 e il 130% di saturazione), fresche e limpide e<br />

fondali ciottolosi. La dimensione delle popolazioni è influenzata da: ripidezza degli argini;<br />

presenza di vegetazione ripariale e alberi; estensione delle radici nell’alveo fluviale,<br />

particolarmente Alnus glutinosa e Salix sp.<br />

1


Phylum: Artropoda<br />

Classe: Crustacea<br />

Ordine: Decapoda<br />

Famiglia: Astacidae<br />

Specie: <strong>Austropotamobius</strong> <strong>pallipes</strong> <strong>fulcisianus</strong> (Ninni, 1886)<br />

Nome italiano: Gambero di fiume<br />

MORFOLOGIA<br />

I gamberi presentano un esoscheletro chitinoso, irrobustito dalla deposizione di sali di<br />

calcio che concorrono alla formazione di una vera e propria corazza. Il corpo è suddiviso<br />

in tre regioni: testa, torace e addome; testa e torace sono fusi insieme in un’unica<br />

struttura, il cefalotorace, che nella parte anteriore si prolunga in un rostro acuminato.<br />

La porzione cefalica è formata dalle antenne, dalle antennule (funzione sensoriale), dalle<br />

mandibole e da due paia di mascelle. Nella porzione toracica si distinguono 3 paia di<br />

massillipedi (arti con funzione nutritiva) e 5 paia di arti ambulacrali o pereiopodi, il primo<br />

dei quali è provvisto di robuste chele: le due paia successive, i chelipedi, presentano<br />

piccole chele a funzione prensile, mentre le ultime due ne sono sprovviste.<br />

La regione addominale è suddivisa in sei segmenti che portano appendici natatorie dette<br />

pleopodi, diversi nel maschio e nella femmina:<br />

-femmina: il primo paio è rudimentale, gli altri, esili e poco sviluppati, servono per<br />

trattenere le uova dopo la fecondazione;<br />

-maschio: le prime due paia sono trasformate in robusti organi copulatori.<br />

L’ultimo segmento addominale è costituito dalla “coda” o telson, con le appendici<br />

trasformate in uropodi per aumentare la spinta propulsiva in caso di fuga. Le aperture<br />

genitali si aprono alla base del coxopodite a livello del terzo paio di arti toracici per le<br />

femmine e del quinto per i maschi.<br />

E' specie di medie dimensioni (taglia massima di 12 cm di lunghezza). La colorazione è<br />

bruno-verdastra, di intensità variabile in funzione del substrato (biancastro il lato ventrale<br />

degli arti).<br />

2


HABITAT<br />

L’<strong>Austropotamobius</strong> <strong>pallipes</strong> <strong>fulcisianus</strong> è una specie molto esigente; è molto sensibile alle<br />

variazioni di pH con un optimum tra 6.8 e 8, necessita di acqua fresca (15-18 °C e<br />

comunque non superiore a 25 °C) e con un elevato contenuto di calcio, importante per la<br />

formazione dell’esoscheletro. Altro elemento fondamentale è l’ossigeno disciolto, la cui<br />

concentrazione ottimale è tra il 60 e il 130% di saturazione. Per questo motivo il gambero<br />

è distribuito prevalentemente nel tratto montano e pedemontano dei corsi d’acqua, dove<br />

sono scarsi gli insediamenti urbani e industriali, che alterano le condizioni ottimali di cui ha<br />

bisogno.<br />

Il gambero predilige fondi ciottolosi e generalmente occupa nascondigli anche molto<br />

profondi situati sotto la vegetazione ripariale e sotto grossi massi; è attivo di notte e<br />

presenta una dieta onnivora anche se manifesta una netta zoofagia, specialmente negli<br />

stadi giovanili; le prede preferite sono larve di tricotteri, piccoli crostacei e pesci, molluschi,<br />

anellidi e piccoli gamberi; anche la dieta vegetale è ricca: radici, foglie, alghe, semi.<br />

Durante il periodo invernale i gamberi si nutrono poco o affatto.<br />

DISTRIBUZIONE<br />

Specie distribuita nell'Europa occidentale, ma in lenta e continua rarefazione in tutto il suo<br />

areale di distribuzione. In Italia è diffusa soprattutto nelle regioni centro settentrionali.<br />

3


BIOLOGIA E ECOLOGIA<br />

Il gambero d’acqua dolce vive 11-13 anni e può raggiungere una lunghezza massima di<br />

circa 12 cm. La riproduzione si verifica in autunno, da ottobre a novembre, periodo in cui i<br />

maschi ricercano attivamente le femmine che vengono rovesciate sul dorso con l’aiuto<br />

delle robuste chele; l’accoppiamento è spesso cruento. Il liquido seminale viene deposto<br />

all’altezza del terzo paio di arti toracici, cioè a livello dello sbocco degli ovidotti. Questo, a<br />

contatto con l’acqua, solidifica, formando una massa bianca lattiginosa (spermatofora) che<br />

si scioglie con l’emissione, insieme alle uova, di una sostanza particolare che consente la<br />

fecondazione. Dopo 2-4 settimane (in funzione della temperatura), le uova vengono<br />

emesse insieme ad una sostanza mucosa che, a contatto con l’ acqua, forma una pellicola<br />

elastica che consente l’ancoraggio delle uova alle appendici addominali della femmina che<br />

ripiegato l’addome, si nasconde in una tana scavata sotto i sassi dell’argine. L’incubazione<br />

dura tutto il periodo invernale (anche 5-7 mesi) e la schiusa è favorita dall’aumento di<br />

temperatura; alla schiusa le larve sono lunghe 8-9 mm, pesano circa 20 mg e sono diversi<br />

dall’adulto (larve 1° fase): presentano un cefalotorace sproporzionato e di colore rossoarancio<br />

per la presenza di tuorlo nel sacco vitellino, chele uncinate per l’ancoraggio ai<br />

pleopodi materni, telson non ancora completamente sviluppato e rostro ricurvo. La durata<br />

di questo stadio larvale è di circa 10 giorni dopo i quali si verifica la prima muta, in cui si<br />

verifica il riassorbimento del sacco vitellino; in questo stadio (larva 2° fase) il gambero<br />

misura 12 mm e pesa 35-40 mg. Dopo circa 2 settimane si verifica la seconda muta; in<br />

questo stadio (larva 3° fase) il gambero è praticamente identico all’adulto e misura circa<br />

12-13 mm, pesa 50 mg e si allontana da solo per cercare cibo. Il giovane gambero,<br />

durante la prima estate di vita, può sostenere fino a 5-6 mute fino a raggiungere, a<br />

settembre, il peso di 230 mg per 16-20 mm di lunghezza. L’età adulta e la maturità<br />

sessuale viene raggiunta verso i 3-4 anni di vita. Gli adulti subiscono una sola muta estiva.<br />

RUOLO ECOLOGICO: il gambero di fiume svolge un ruolo ecologico funzionale molto<br />

importante negli ecosistemi acquatici: è un generalista che converte detrito, periphyton e<br />

macrofite in biomassa utilizzabile dai predatori più grandi (prevalentemente Salmo trutta e<br />

Leucisus cephalus ma anche persico, anguilla, airone).<br />

In uno studio condotto in Inghilterra (su popolazioni della specie A. <strong>pallipes</strong>) si sono evoluti<br />

evidenziare i fattori che influenzano maggiormente la densità di popolazione dei gamberi. I<br />

risultati del monitoraggio hanno evidenziato che:<br />

1. il gambero si sviluppa solo dove non sono presenti suoi competitori alloctoni;<br />

2. la dimensione delle popolazioni è influenzata da: ripidezza degli argini; presenza di<br />

vegetazione ripariale e alberi; estensione delle radici nell’alveo fluviale,<br />

particolarmente di ontano, salice e nocciolo.<br />

STATUS DI CONSERVAZIONE<br />

La specie è considerata dall’ IUCN/WCMC globalmente minacciata; è inserita nell’allegato<br />

III della Convenzione di Berna e negli allegati II e IV della Direttiva “Habitat”.<br />

L’<strong>Austropotamobius</strong> <strong>pallipes</strong> <strong>fulcisianus</strong> era in passato fortemente diffuso nei tratti montani<br />

e pedemontani di tutti i corsi d’acqua ma è attualmente in grave declino a causa di diversi<br />

fattori come:<br />

-la modificazione dell’habitat dovuto a inquinamento dell’acqua, cui la specie è molto<br />

sensibile, sia di natura organica dovuti a scarichi fognari, che inorganica (scarichi<br />

industriali). A tali contribuisce anche l’uso di pesticidi e fertilizzanti. Inoltre, modifiche<br />

ambientali dovute a opere di sbarramento, quali dighe e briglie, cementificazioni degli<br />

argini, opere di drenaggio che sconvolgono la fisionomia naturale dei corsi d’acqua (e che<br />

non colpiscono solo il gambero);<br />

4


-la pesca indiscriminata cui la specie è stata soggetta negli anni passati;<br />

-la diffusione di agenti patogeni. Un forte declino si è verificato a causa della diffusione in<br />

Europa della “peste del gambero” causata dal micete (Aphanomicetes astaci) giunto<br />

dall’America Settentrionale con l’importazione del gambero americano Pacifastacus<br />

leniusculus;<br />

-tentativi di ripopolamento con specie alloctone competitrici del gambero e spesso veicolo<br />

di infezioni. In particolare il gambero turco Astacus leptodactylus è abbastanza simile<br />

morfologicamente al gambero autoctono ed occupa la stessa nicchia ecologica ma<br />

possiede una velocità di accrescimento e di riproduzione maggiore, che gli hanno<br />

permesso di occupare con successo l’areale dell’<strong>Austropotamobius</strong>.<br />

AZIONI<br />

1. RINATURAZIONE DELL’HABITAT: interventi volti a ricostituire ambienti<br />

precedentemente modificati da opere di vario genere. In tale contesto il gambero di<br />

fiume, essendo una specie molto esigente, è un buon indicatore da tenere in<br />

considerazione nella progettazione delle opere di rinaturalizzazione e valorizzazione<br />

dei corsi d’acqua. Dal punto di vista ecologico va tenuto conto dei deflussi minimi<br />

vitali necessari per il corretto funzionamento dell’ecosistema acquatico ma anche<br />

della presenza di una buona componente vegetazionale (vegetazione ripariale);<br />

questa non svolge solo una funzione ecologica ma anche di consolidamento delle<br />

sponde, versanti e scarpate (funzione idrogeologica).<br />

2. RIPOPOLAMENTO: perché questo intervento abbia successo è necessario evitare<br />

l’introduzione di specie alloctone o di specie autoctone ma con un genetipo diverso<br />

dalla popolazione presente nel sito. In secondo luogo è necessario ricreare le<br />

condizioni ottimali per la vita e la riproduzione della specie. Per il gambero di fiume è<br />

necessario che il letto e le rive del fiume abbiano una struttura diversificata, con<br />

massi, radici, tronchi d’albero, vegetazione e altri ripari; le rive dovrebbero essere<br />

costruite da materiale sabbioso-argilloso, in modo che i gamberi possano scavarvi dei<br />

rifugi. La sedimentazione di materiali sul fondo è auspicabile, in quanto è proprio sul<br />

substrato che i gamberi trovano il cibo. La qualità dell’acqua è un parametro<br />

fondamentale per definire l’idoneità di un sito ad accogliere una popolazione di<br />

gamberi. I possibili predatori (specialmente le anguille, voraci predatrici del gambero)<br />

non devono essere presenti in eccesso, altrimenti il ripopolamento sarà vanificato.<br />

3. CONTROLLO DELLE IMMISIONI: a tale proposito va creata una apposita base<br />

legislativa.<br />

4. PROPOSTE DI GESTIONE: La protezione delle specie indigene passa attraverso<br />

alcuni concetti di base:<br />

- proteggere tutte le popolazioni conosciute, anche quelle che sembrano più<br />

insignificanti;<br />

- tutelare gli habitat tramite una corretta informazione e programmi di controllo;<br />

- protezione massima per i siti in cui sono individuate popolazioni “serbatoio”;<br />

- creazione di reti ecologiche che permettano la ricolonizzazione di un sito;<br />

- reintrodurre i gamberi indigeni laddove questa specie è scomparsa.<br />

5


A livello pratico questi concetti si traducono in alcune importanti azioni:<br />

- la vegetazione ripariale deve essere mantenuta;<br />

- gli interventi di rettificazione e canalizzazione dei corsi d’acqua devono essere<br />

evitati, in quanto non permettono al fiume di utilizzare tutto lo spazio necessario e<br />

impediscono la ricarica delle falde sottostanti;<br />

- a causa della tossicità di certi prodotti fitosanitari, deve essere prevista una zona<br />

tampone in cui il loro utilizzo sia proibito;<br />

- l’immissione di pesci predatori che possano competere col gambero deve essere<br />

limitata o addirittura vietata;<br />

- in caso di minaccia incombente su una popolazione di gamberi, è importante agire<br />

con tempestività;<br />

- creare appositi programmi di monitoraggio che permetta di controllare l’espansione<br />

delle popolazioni di gamberi alloctoni (in particolare l’americano) che non devono in<br />

nessun modo essere introdotti per ripopolare zone prive di gamberi.<br />

6


Cerambyx cerdo (Linne’, 1758)<br />

Coleottero-Cerambicide Cerambyx cerdo Linné, 1758<br />

Specie inserita nell’Allegato II e nell’Allegato IV della Direttiva “Habitat”; inserita nelle liste<br />

IUCN (VU A1c + 2c); protetta dalla convenzione di Berna (all.II) del 1979; protetta dalla<br />

legge Regionale Toscana (All.A); compresa nella lista delle specie a rischio nel “Libro<br />

rosso” della fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

E’ uno dei più grandi cerambicidi europei. Il corpo, escluse le antenne, è lungo<br />

generalmente 25-30mm. Le larve sono xilofaghe e si sviluppano nell’arco di 3-4 anni nel<br />

legno delle querce sia in decomposizione che maturo, ma ancora in buono stato. Quando<br />

sono diventate più grosse e robuste, le larve si spingono internamente al tronco scavando<br />

gallerie nel duramen e nell’alburno. L’adulto si nutre della linfa che esce dalle gallerie e<br />

dalle ferite dalle piante ospiti.<br />

7


Phylum: Artropoda<br />

Classe: Esapoda<br />

Ordine: Coleoptera<br />

Famiglia: Cerambycidae<br />

Specie: Cerambyx cerdo (Linnaeus, 1758)<br />

Nome italiano: Cerambice delle querce, Capricorno maggiore<br />

DESCRIZIONE<br />

ADULTO: è uno dei più grossi cerambicidi europei (lungo circa 25-30 mm, ma può<br />

raggiungere i 50 mm). Colore bruno-nero lucido, con le elitre volgenti al rossiccio verso<br />

l’apice. Il corsaletto quasi quadrangolare, presenta su ciascun lato un processo spinoso ed<br />

è coperto da forti rughe trasversali.<br />

Elitre allungate, attenuatesi all’estremità, punteggiate e zigrinato rugose, con qualche<br />

venatura longitudinale appena accentuata, munite all’angolo apicale interno (suturale) di<br />

qualche piccola spina. Zampe lunghe e robuste.<br />

La specie presenta dimorfismo sessuale. Le antenne sono tipicamente molto lunghe e<br />

rivolte all’indietro: nel maschio sono più lunghe del corpo; nella femmina sono più corte del<br />

corpo o di uguale lunghezza. Generalmente, le antenne sono formate da 11 articoli di cui i<br />

primi 4 ingrossati all’apice.<br />

LARVA: forma cilindrica più o meno depressa; consistenza molle ad eccezione del cranio<br />

che è immerso nel protorace. Colore bianco sporco o gialliccio con il bordo anteriore del<br />

protorace di colore bruno. Placca chitinosa, granulosa e di forma rettangolare sul lato<br />

dorsale di ciascun urite. Zampe poco sviluppate, si riconosce dalle altre larve di<br />

cerambicidi per la mole (lunghezza: circa 80 mm; larghezza: circa 17 mm).<br />

NINFA: bianco-gialliccia, ha la forma dell’adulto.<br />

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DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA<br />

Specie a vasta diffusione, dall’Europa centrale e meridionale, all’Africa settentrionale,<br />

Caucaso, Asia minore, Iran. In declino o estinta in diversi paesi dell’Europa centrale, è<br />

presente in tutta Italia.<br />

HABITAT<br />

Habitat di riproduzione:<br />

periodo: da Giugno ad Agosto nelle serate calde.<br />

luogo: attorno agli alberi di quercia, boschi con associazione quercia-corniolo;<br />

occasionalmente olmo, frassino, noce, carrubo. L’accoppiamento avviene verso sera sul<br />

tronco dell’albero, dopo di che la femmina con il lungo ovopositore introduce isolatamente<br />

le uova allungate e di colore bianco perlaceo (diametro fino a 1.5 mm) tra le screpolature<br />

delle grosse querce.<br />

Habitat trofico:<br />

Larva: le larve sono xilofaghe, si nutrono del legno degli alberi ospiti (sia in<br />

decomposizione che maturi ma ancora in buono stato) ed utilizzano soprattutto<br />

emicellulosa, amido, saccarosio. Quando sono diventate più grosse e robuste, le larve si<br />

spingono internamente al tronco scavando gallerie nel duramen e nell’alburno. Lo sviluppo<br />

larvale dura 3-4 anni (trascorsi all’interno dei tronchi).<br />

Adulto: l’adulto si nutre della linfa che esce dalle gallerie e dalle ferite dalle piante ospiti,<br />

ma in alcuni casi sembra che non si nutra affatto e che sia semplicemente attratto da<br />

questi essudati.<br />

Habitat di svernamento:<br />

Giunte a maturazione nell’autunno del 3° o 4° anno, le larve si spostano dall’interno del<br />

tronco ospite verso gli strati corticali e preparano nella corteccia un foro ellittico che lascia<br />

spesso intatto lo strato corticale più esterno. Successivamente, la larva retrocedendo<br />

allarga la galleria a guisa di cella, si dispone in modo da avere la testa in direzione<br />

dell’uscita e chiude l’imboccatura della cella con un opercolo fatto da materia organica<br />

cementante e da carbonato di calcio secreti dal ventricolo chilifero.<br />

In genere, la larva si trasforma in ninfa già nell’autunno stesso, ma lo sfarfallamento<br />

dell’insetto, in genere, si verifica nella primavera successiva. L’insetto appena sfarfallato è<br />

bianco, molle, e deve attendere qualche settimana nella cella affinché i suoi tegumenti si<br />

induriscano in modo da poter rodere l’opercolo della cella con le mandibole.<br />

9


BIOLOGIA ED ECOLOGIA<br />

La specie è comune nei querceti, più rara su altre latifoglie; l'adulto si nutre di foglie, frutti e<br />

linfa. Vola attivamente nelle ore crepuscolari.<br />

Vola nelle sere calde (crepuscolare), attorno agli alberi di quercia con volo pesante e<br />

ronzio, attratto dagli essudati della pianta. Durante il giorno sta nascosto nei tronchi cavi o<br />

dentro le gallerie larvali; è evidenziabile la sua presenza perché lascia sporgere fuori le<br />

lunghissime antenne. Dopo l'accoppiamento, che avviene tra giugno e agosto, la femmina<br />

depone le uova fra le screpolature della corteccia delle grosse querce<br />

La larva, che si nutre di legno, ha forma leggermente conica, rigonfia nella parte anteriore,<br />

un po' appiattita, di colore bianco sporco o gialliccio e zampe piccole, poco evidenti. Essa,<br />

appena nata dall'uovo, incomincia a scavare negli strati corticali delle gallerie a sezione<br />

ellittica; diventata più grossa lascia la corteccia per penetrare dentro il legno. La larva,<br />

giunta a maturazione nell'autunno del 3° o 4° anno, si porta di nuovo verso gli strati<br />

corticali e prepara nella corteccia un foro ellittico che permetterà poi l'uscita dell'insetto<br />

perfetto. L'impupamento si verifica già nell'autunno, ma lo sfarfallamento dell'insetto<br />

generalmente si verifica nella primavera o nell'estate successive. In regioni a clima mite<br />

l'insetto sfarfalla già nell'autunno, ma sverna entro la cella.<br />

Specie termofila: sceglie il lato dell’albero esposto a sud, dove la temperatura è<br />

considerevolmente più alta che nel lato esposto a nord (almeno 10-20 °C di differenza)<br />

generalmente preferisce le parti basse del tronco (inferiori a 2 m), purché sufficientemente<br />

illuminate.<br />

Piante ospiti: quercia. Boschi con associazione quercia-corniolo; occasionalmente olmo,<br />

frassino, noce, carrubo.<br />

Non è chiaro se questa specie presenti simbiosi con funghi o lieviti per la degradazione del<br />

legno e per ottenere sostanze azotate. Le larve utilizzano soprattutto emicellulosa, amido,<br />

saccarosio.<br />

Danni: il cerambice attacca alberi maturi anche se ancora vegeti e robusti. In genere<br />

preferisce le piante isolate anche dei viali e dei parchi. Le gallerie sono sia longitudinali<br />

che trasversali e formano spesso una fitta rete. Questa attività finisce per minare in modo<br />

lento e progressivo la vitalità dell’albero, che, indebolito, finisce per rompersi sotto l’azione<br />

del vento e della neve. Tale attività è coadiuvata da funghi xilovori secondari (carie e<br />

cancri) e formiche che nidificano nelle gallerie del cerambice e demoliscono nuove parti di<br />

legno. Oltre che fisiologici, i danni sono anche tecnologici ed economici (legno di interesse<br />

commerciale).<br />

Negli ambienti forestali in condizioni ecologiche normali, i cerambicidi svolgono un’attività<br />

nel complesso utile perché contribuiscono ad accelerare la decomposizione di parti di<br />

piante, contribuendo al ritmo di rinnovamento della materia organica non più utilizzabile<br />

dai produttori primari (la fauna saproxilica svolge un importante ruolo ecologico). Tuttavia,<br />

se l’assetto funzionale della foresta viene alterato (fattori di alterazione: piante tagliate e<br />

non tempestivamente scortecciate o trattate, schianti eccessivi da sovraccarico di neve,<br />

deperimenti vari dovuti anche a piantagioni in biotopi inadatti o secondo criteri innaturali)<br />

l’equilibrio si sposta a favore degli xilofagi e la proliferazione della fauna saproxilica<br />

determina l’attacco anche di piante in buono stato di salute.<br />

10


Fattori di minaccia<br />

E’ specie minacciata dalla ceduazione dei querceti e dalla eliminazione delle vecchie<br />

piante in deperimento, nonché dalla diminuzione delle superfici coperte a querceto.<br />

E’ specie anche minacciata perché considerata potenzialmente dannosa ai querceti.<br />

Fattori avversi sono la mancanza di umidità nei primi stadi di questi insetti, infezioni<br />

fungine e batteriche, antagonismo con imenotteri icneumonoidei e predazione da parte di<br />

uccelli picidi.<br />

11


Rosalia alpina (Linné, 1758)<br />

Coleottero-Cerambicide Rosalia alpina (Linné, 1758) [habitat 9210]<br />

Specie inserita nell’Allegato II come specie “prioritaria” e nell’Allegato IV della Direttiva<br />

“Habitat”; inserita nelle liste IUCN (VU A1c); protetta dalla convenzione di Berna (all.II) del<br />

1979; protetta dalla legge Regionale Toscana (All.A); compresa nella lista delle specie a<br />

rischio nel “Libro rosso” della fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

Specie ben riconoscibile tra altri cerambicidi e per la caratteristica colorazione considerata<br />

tra i più bei coleotteri della fauna europea. Il corpo, escluse le antenne, è lungo da 1,5 a<br />

3,8 cm. Le larve sono saproxilofaghe e si sviluppano nell’arco di 2-3 anni nel legno morto<br />

di grossi faggi. Infatti vive nei boschi montani di latifoglie, in particolare nelle faggete con<br />

presenza di piante mature. Si ritrova ad altitudini comprese fra i 500 ed i 2000 m. R. alpina<br />

è una specie rara e vulnerabile per l’esiguità delle popolazioni, per lo più localizzate.<br />

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Phylum: Artropoda<br />

Classe: Esapoda<br />

Ordine: Coleoptera<br />

Famiglia: Cerambycidae<br />

Specie: Rosalia alpina (Linné, 1758)<br />

Nome italiano: Rosalia alpina<br />

DESCRIZIONE<br />

Per la particolare livrea, gli adulti del coleottero Rosalia alpina si differenziano nettamente<br />

dagli altri Cerambicidi presenti in Europa. Il corpo è lungo da 1,5 a 3,8 cm, escluse le<br />

antenne. Il colore di fondo va dal blu grigio al blu chiaro con macchie e fasce nere<br />

contornate da una sottile linea bianca. Le antenne, più lunghe del corpo, sono costituite<br />

per lo più da articoli con la parte prossimale blu e quella apicale scura per la presenza di<br />

evidenti setole nere. Ogni elitra presenta tre grandi macchie di un nero vellutato. La<br />

femmina ha antenne più corte del maschio. Questo coleottero viene considerato uno dei<br />

più belli della fauna europea.<br />

HABITAT<br />

Specie che abita le zone dove prevale il faggio e soprattutto le foreste mature,<br />

specialmente se in aree molto piovose o a clima oceanico, tipicamente dalle catene<br />

costiere del mediterraneo, o delle Alpi orientali ad altitudini comprese fra i 500 ed i 2000<br />

metri.<br />

Predilige boschi montani di latifoglie, in particolare nelle faggete con presenza di piante<br />

mature.<br />

BIOLOGIA E PIANTE OSPITI<br />

Le larve, xilofaghe, si sviluppano di norma nel legno morto di grossi faggi deperienti;<br />

eccezionalmente si ritrovano in altre latifoglie, quali ontano, frassino maggiore,<br />

biancospino, tiglio ed aceri o anche su conifere. Lo sviluppo larvale richiede 2-3 anni e<br />

durante questo periodo gli insetti scavano lunghe e tortuose gallerie che possono<br />

indebolire l’albero e faciltare l’infezione batterica o fungina. Gli adulti emergono in estate<br />

(soprattutto luglio-agosto) e sono attivi durante il giorno. Essi frequentano i tronchi di<br />

piante deperienti o stroncate e i tronchi di piante abbattute di recente. Dopo<br />

l'accoppiamento, le femmine con le loro mandibole intagliano la corteccia di faggio<br />

deperiente lungo il lato esposto al sole. Le uova vengono deposte nel legno, una per ogni<br />

incisione.<br />

13


DISTRIBUZIONE<br />

R. alpina presenta una distribuzione localizzata nelle aree montane dell’Europa centro<br />

meridionale, risalendo a nord fino alla Svezia meridionale; dai Balcani l’areale si estende a<br />

Turchia, Siria, Caucaso e Transcaucasia.<br />

In Italia è presente con popolazioni rade e localizzate lungo tutta la penisola e in Sicilia; i<br />

dati relativi ad alcune regioni si riferiscono, tuttavia, a reperti dell’Ottocento.<br />

In <strong>Umbria</strong>, per quanto è dato conoscere, la specie risulta rara e localizzata in poche<br />

stazioni Appenniniche.<br />

STATUS DI CONSERVAZIONE<br />

R. alpina è uno degli insetti più rari d’Europa; specie vulnerabile per la esiguità delle<br />

popolazioni, per lo più localizzate, e per la continua riduzione e distruzione dell’habitat<br />

habitat in cui vive.<br />

La Direttiva 92/43/CEE (Direttiva “Habitat”) la considera di “interesse comunitario”; in<br />

particolare, viene elencata come specie “prioritaria” nell’Allegato II (“specie la cui<br />

salvaguardia richiede la designazione di zone speciali di conservazione”) e nell’Allegato IV<br />

(“specie la cui salvaguardia richiede una protezione rigorosa”).<br />

È compresa anche nell’elenco delle specie a rischio nel “Libro rosso” della fauna e della<br />

flora minacciate in Italia (Pavan, 1992). Viene elencata, infine, fra le specie da proteggere<br />

nella “Lista rossa” dell’Alto Adige (AA.VV., 1994) e nel recente “Libro rosso” della Toscana<br />

(Sforzi e Bartolozzi, 2001).<br />

14


Fattori di minaccia<br />

E' specie minacciata dall'eccessiva pulizia del soprassuolo forestale, forse anche<br />

dall'inquinamento atmosferico, dalla generale contrazione delle faggete, in particolare<br />

quelle mature.<br />

Strategie di gestione del territorio e degli ambienti naturali<br />

Per la salvaguardia delle popolazioni di R. alpina i piani di gestione naturalistica del<br />

territorio devono prendere in considerazione, per lo meno relativamente alle aree di<br />

maggiore valenza naturalistica, diverse tipologie di interventi.<br />

In particolare, è opportuno:<br />

- preservare da interventi antropici pesanti i boschi naturali di faggio, soprattutto<br />

quelli ove sono presenti piante mature;<br />

- ridurre o evitare l’abbattimento di piante mature di faggio, in particolare quelle<br />

deperienti;<br />

- ridurre o evitare la rimozione dal bosco di piante adulte di faggio stroncate di<br />

recente (es. da slavine o da trombe d’aria), compatibilmente con le esigenze di<br />

ordine fitopatologico;<br />

- regolamentare il prelievo di individui adulti da parte dei collezionisti.<br />

15


Lucanus cervus (Linné, 1758)<br />

Coleottero-Lucanide Lucanus cervus (Linné, 1758)<br />

Specie inserita nell’Allegato II della Direttiva “Habitat”; protetta dalla convenzione di Berna<br />

(all.III) del 1979; protetta dalla legge Regionale Toscana (All.A,B).<br />

E’ il più grande coleottero d’Europa (fino a 9 cm) ed è detto cervo volante per le grandi<br />

mandibole sporgenti del maschio. Le larve sono saproxilofaghe, cioè si cibano di legno in<br />

decomposizione, vivono fino a 5-7 anni.<br />

Il ciclo biologico di questa specie ha luogo su diverse specie di querce. La femmina<br />

depone le uova (12-24) nel legno morente, tra le screpolature del tronco oppure nel<br />

terreno, molto vicino al legno, a 25 cm di profondità.<br />

Le larve più giovani di L. cervus sembrano preferire le radici centrali (principali) delle<br />

ceppaie marcescenti mentre quelle più mature si spostano verso la periferia (dell’apparato<br />

radicale), ma sono state trovate anche nel tronco in alberi abbattuti e nelle vicinanze del<br />

suolo. Si ritiene che i lucanidi appaiano nelle fasi intermedie-finali del processo di<br />

degradazione del legno, generalmente dopo circa 5 anni dalla morte dell’albero.<br />

16


Phylum: Artropoda<br />

Classe: Esapoda<br />

Ordine: Coleoptera<br />

Famiglia: Lucanidae<br />

Specie: Lucanus cervus (Linnaeus, 1758)<br />

Nome italiano: Cervo volante<br />

DESCRIZIONE<br />

ADULTO: la specie presenta un evidente dimorfismo sessuale.<br />

Maschio: colore nero lucente. Capo più largo della restante parte del corpo,<br />

subquadrangolare, armato di due forti mandibole falciformi lunghe quanto la somma della<br />

lunghezza del capo e del pronoto, con la punta biforcata e con un forte dente posto quasi<br />

a metà del margine interno. Pronoto di forma pressoché quadrangolare; elitre un poco più<br />

larghe del protorace, lisce e arrotondate posteriormente. Dimensioni comprese tra 30–90<br />

mm (mandibole incluse).<br />

Femmina: nera lucente con capo munito di mandibole di piccole dimensioni, protorace<br />

largo quanto le elitre, più ristretto anteriormente e con lati curvati. Elitre come quelle del<br />

maschio. Dimensioni: 28 – 54 mm.<br />

Il cervo volante è considerato il coleottero più grande d’Europa ma esiste una<br />

considerevole variazione di taglia dovuta anche al tipo di legno di cui si nutrono.<br />

La variazione morfologica non riguarda la sola lunghezza del corpo ma anche la forma<br />

delle mandibole e il numero di lamelle delle antenne. Questa variabilità influisce sul<br />

successo riproduttivo degli individui e sembra sia dovuta alla concomitanza di fattori<br />

genetici e ambientali (es. tipo di alimentazione).<br />

LARVA: melolontiforme, consistenza molle; il corpo è color crema-trasparente, ma le<br />

zampe e la testa chitinosa sono di colore arancione brillante. Dalla testa sono ben<br />

distinguibili le mandibole marrone scuro. Assumono una caratteristica forma a “C” e sono<br />

completamente cieche. Le larve sono gregarie; la comunicazione avviene attraverso una<br />

caratteristica stridulazione. L’apparato stridulatore di una larva di L. cervus consiste di:<br />

1) una pars stridens sulla coxa delle zampe intermedie: formata da una serie di denti<br />

oblunghi, distribuiti sull’anca (coxa), in modo da essere rivolti verso la zampa posteriore,<br />

portano parallelamente, da ciascun lato, una serie di piccoli bottoni;<br />

2) un plectrum sul trocantere delle zampe posteriori: formato da una serie di “coste”<br />

parallele.<br />

Il suono è un breve crepitio che a volte è ripetuto per due o tre volte; dura circa un<br />

secondo ed ha una frequenza di 11 kHz. La funzione della stridulazione non è chiara.<br />

Probabilmente è diretta a larve della stessa specie con lo scopo di mantenersi vicine o per<br />

lo scopo opposto, cioè la richiesta di spazio.<br />

17


HABITAT<br />

Abita i boschi di quercia e di castagno, talora sui tronchi e sui rami dei salici e dei gelsi.<br />

DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA<br />

Specie diffusa in Europa, Asia Minore, Siberia. Si trova in quasi tutta l'Europa; risulta<br />

estinta in Danimarca e probabilmente in Irlanda. In Italia è comune nelle regioni<br />

settentrionali e centrali. Lucanus cervus non è raro in Italia, ma questo coleottero è<br />

considerato specie a rischio ed è attualmente protetto.<br />

18


La specie è presente in tutta Europa ma la distribuzione non è omogenea; si distinguono<br />

infatti 3 regioni europee:<br />

- regione a Nord: sembra non essere favorevole, soprattutto per la bassa<br />

temperatura;<br />

- regione a Est: le popolazioni dell’Europa dell’est risultano essere grandi ma<br />

potenzialmente a rischio nell’immediato futuro per la deforestazione;<br />

- regione a Sud (Spagna e Italia): le popolazioni sono in buona salute e ciò comporta<br />

una enorme responsabilità nel preservare queste popolazioni. In particolare, le<br />

popolazioni residue della regione Sud Europea potrebbero costituire una fonte di<br />

ricolonizzazione dei territori perduti nell’area di distribuzione centrale.<br />

Di seguito viene riportata una breve nota sulla presenza della specie in alcuni paesi<br />

europei<br />

SPAGNA<br />

La specie è protetta come “specie di interesse”. Ciò comporta il dovere di predisporre un<br />

piano di conservazione e di azione (Action Plan) da parte delle autorità competenti, che<br />

non è ancora stato fatto (2003). In realtà, la maggiore sollecitazione nella conservazione di<br />

questa specie proviene dagli entomologi amatoriali che hanno fondato un gruppo di ricerca<br />

contribuendo alla stesura della mappa di distribuzione in cui la specie viene classificata a<br />

basso rischio per la Spagna.<br />

DANIMARCA<br />

Estinto<br />

REPUBBLICA CECA<br />

Restano popolazioni localizzate in Boemia ed è relativamente comune nella parte S-SE<br />

della Moravia. In declino a causa della scomparsa di habitat. La specie è considerata a<br />

rischio ed è protetta ma sarebbe necessaria una protezione degli habitat più che della<br />

specie in sé.<br />

UNGHERIA<br />

Nel paese L. cervus è una specie protetta e a rischio; negli ultimi 40-50 anni il numero<br />

degli individui è diminuito a causa dell’assenza di vecchie querce adatte allo sviluppo<br />

larvale. Tuttavia, in molte parti del paese, dove le querce abbattute vengono lasciate in<br />

situ, si rinviene questa specie facilmente.<br />

GERMANIA<br />

La specie è protetta dal 1934 nella ex Germania ovest e dal 1954 nella Germania dell’est.<br />

Le popolazioni sono notevolmente diminuite a causa della cattiva gestione delle foreste<br />

(rimozione del legno morto, utilizzo di erbicidi e pesticidi). Attualmente la specie presenta<br />

una distribuzione puntiforme, nelle maggior parte delle regioni è considerata a forte<br />

pericolo di estinzione.<br />

19


INGHILTERRA<br />

Specie ritenuta in declino. Un campionamento nazionale fatto nel 1998 ha confermato la<br />

presenza di 3 nuclei localizzati nella parte SE dell’Isola. Solo piccole colonie di pochi<br />

individui si trovano in altri luoghi nel S-SW dell’isola. L’attuale distribuzione conferma una<br />

affinità per le aree costiere e per i corridoi fluviali nelle regioni più calde e secche<br />

dell’Inghilterra, apparentemente lontana dalle aree con suoli argillosi e con calcare fine.<br />

Dal 1998, il “People Trust for Endangered Species” sta approntando un “action plan” per<br />

la salvaguardia e la protezione della specie. Le cause della scomparsa sono sempre le<br />

stesse.<br />

SVIZZERA<br />

Sono presenti piccole popolazioni isolate in diversi luoghi preferibilmente nelle regioni più<br />

calde fino a 1400 m. A Nord delle Alpi è stato rinvenuto nei dintorni di Basel (microclima<br />

mite) dove, da 10 anni, è in corso uno studio al riguardo e dove esistono piccole foreste di<br />

querce. Sono state effettuate delle indagini da cui è risultato che l’areale dei maschi è di<br />

1,06 ha, quello delle femmine di 0,17 ha.<br />

La specie è attualmente protetta in tutti i cantoni e le piccole e scarse popolazioni sono<br />

isolate tra di loro; sembra che il trend si stia invertendo, forse a causa della minore<br />

rimozione del legno morto dalle foreste.<br />

OLANDA<br />

La specie non sembra in declino negli ultimi 20 anni.<br />

PORTOGALLO<br />

La specie è presente a Nord e si estende a Sud attraverso la regione di Coimbra, ma<br />

mancano dati sulla parte NE. Non è certo se sia o meno in diminuzione.<br />

SVEZIA<br />

La specie è distribuita nel SW della Svezia, dove sono note almeno da 11 a 50 località di<br />

ritrovamento; in alcune di queste, la specie è abbondante. Comunque, la popolazione è in<br />

declino dal 1950. E’ considerata specie a rischio-vulnerabile. Il declino è dovuto alla<br />

perdita di habitat.<br />

BIOLOGIA ED ECOLOGIA<br />

L’adulto beve gli essudati zuccherini delle piante e i liquidi di frutti molto maturi anche se<br />

sembra che la nutrizione non abbia un ruolo di sopravvivenza (possono non nutrirsi<br />

affatto) ed è visibile da fine Maggio ad Agosto, principalmente di sera (crepuscolare)<br />

anche se sembra avere una certa attività anche nel periodo diurno. Il periodo di comparsa<br />

delle immagini è comunque variabile in relazione alla latitudine (specie termofila) e<br />

all’altitudine (il limite superiore sembra essere di circa 1400 m s.l.m. - Alpi). Sembra inoltre<br />

che preferiscano ambienti ben illuminati (sono stati ritrovati nei parchi cittadini, nei giardini<br />

privati…) con suolo ben drenato, composto di sabbia-ghiaia.<br />

Le grandi mandibole del maschio hanno una funzione unicamente sessuale: famosi, infatti,<br />

sono i combattimenti tra maschi per l’accoppiamento. E’ stato osservato che le dimensioni<br />

giocano un ruolo fondamentale per il successo riproduttivo. I maschi molto piccoli adottano<br />

una strategia diversa: mentre due maschi sono impegnati nel combattimento, quello più<br />

piccolo ne approfitta accoppiandosi con la femmina. Sia i maschi che le femmine si<br />

accoppiano più volte durante la breve vita immaginale. Il volo è stato osservato<br />

principalmente nei maschi, con lo scopo di difesa del territorio e di ricerca delle femmine.<br />

20


Dopo l’accoppiamento la femmina cerca un pezzo di legno morente e depone tutte<br />

insieme 12-24 uova (3 mm di diametro) tra le screpolature del tronco o nel terreno, molto<br />

vicino al legno, a 25 cm di profondità.<br />

Dopo circa 2-4 settimane, le larve escono dalle uova e cominciano a nutrirsi del legno.<br />

Le larve sono saproxilofaghe, si nutrono del legno di diverse specie di piante in<br />

decomposizione (principalmente diverse specie di quercie, faggio, castagno, gelso,<br />

pioppo, salice). Questa dieta è possibile grazie alla simbiosi con batteri decompositori di<br />

cellulosa, che si trovano in una camera nell’intestino. Le larve sono molto voraci. Le larve<br />

si sviluppano preferibilmente sulle ceppaie, per cui non arrecano danni.<br />

E’ noto che le diverse specie di Lucanidi ripartiscono le nicchie ecologiche disponibili nello<br />

stesso albero: le larve più giovani di L. cervus sembrano preferire le radici centrali<br />

(principali) delle ceppaie marcescenti, mentre quelle più mature si spostano verso la<br />

periferia (dell’apparato radicale) ma sono state trovate anche nel tronco di alberi abbattuti<br />

e in prossimità del suolo. Sembra che i lucanidi appaiano nelle fasi intermedie-finali del<br />

processo di degradazione del legno, generalmente dopo circa 5 anni dalla morte<br />

dell’albero (range 1-10 anni).<br />

La durata della vita larvale dura alcuni anni. Questo lungo periodo è dovuto da un lato al<br />

basso contenuto nutritivo (principalmente azoto) del legno marcescente, e dall’altro, alla<br />

taglia elevata che deve essere raggiunta a maturità. Larve di diverse età coesistono nella<br />

stessa ceppaia.<br />

Dopo circa 5-6 instars la larva raggiunge le giuste dimensioni, smette di nutrirsi e lascia il<br />

tronco, spostandosi in profondità nel terreno dove si costruisce un bozzolo delle<br />

dimensioni di un uovo di gallina. Tale bozzolo è fatto cementando detriti di legno ed<br />

escrementi propri. La metamorfosi si verifica in autunno e dura circa 3-6 settimane. Dopo<br />

la metamorfosi, l’immagine attende la primavera successiva per lasciare il bozzolo e<br />

sfarfallare, chiudendo il ciclo, che complessivamente dura 5 anni. Il maschio appare prima<br />

della femmina (proterandria).<br />

STATUS DI CONSERVAZIONE<br />

Le ragioni della regressione della specie nelle diverse regioni europee sono diverse:<br />

1. Il maggior candidato è senz’altro la scomparsa dell’habitat (il disboscamento, la<br />

ripulitura del sottobosco e del soprassuolo forestale, patologie legate alle piante<br />

ospiti...etc.), infatti la specie frequenta gli ambienti suburbani (es. parchi).<br />

2. Variazioni climatiche.<br />

3. Collezionismo: a causa della sua bellezza, la specie è molto apprezzata dai<br />

collezionisti di tutto il mondo<br />

4. Predazione ad opera di: gazze (maggior predatore), nottole ed altri uccelli notturni,<br />

gatti domestici, volpi, scoiattoli, etc.<br />

5. Pesticidi e impatto con autovetture, questi fattori sembrano concorrono alla<br />

scomparsa della specie ma non esistono studi al riguardo.<br />

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Euphydryas aurinia (Rottenburg 1775)<br />

Lepidottero-Ninfalide- Euphydryas aurinia (Rottemburg, 1775)<br />

Euphydryas aurinia provincialis (Boisduval, 1828)<br />

Euphydryas provincialis (Boisduval, 1828)<br />

Specie inserita nell’Allegato II della Direttiva Habitat; protetta dalla convenzione di Berna<br />

(All. II) del 1979; protetta dalla legge Regionale Toscana (All. A).<br />

La specie Euphydryas aurinia, segnalata in <strong>Umbria</strong>, Marche, Abruzzo come sottospecie<br />

Euphydryas aurinia provincialis, ha contribuito alla definizione di alcuni SIC nell’Appennino<br />

centrale. Sebbene una recente revisione sistematica abbia elevato tale sottospecie a<br />

specie (Euphydryas provincialis), ai fini protezionistici della Direttiva Habitat, ritenendo<br />

Euphydryas aurinia una sorta di "superspecie” (Balletto com. pers.), si manitiene valida la<br />

segnalazione del taxon nell’ambito della Direttiva Habitat.<br />

La specie è univoltina con sfarfallamento a maggio-giugno. Le antenne sono nettamente<br />

clavate e l’ala anteriore misura 17-23 mm. La femmina è simile al maschio ma di<br />

dimensioni più grandi. Le larve si nutrono soprattutto di Succisa pratensis. Il fattore<br />

avverso per uova e larve è rappresentato dal pascolo ad opera delle pecore (a differenza<br />

di altro bestiame) che si cibano selettivamente di Succisa pratensis. L’habitat è molto<br />

variabile (dalla pianura ai 1500 m): praterie umide, pascoli con fiori, argini erbosi, rive<br />

acquitrinose dei laghi, brughiere.<br />

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Phylum: Artropoda<br />

Ordine: Lepidoptera<br />

Famiglia: Nymphalidae<br />

Specie: Euphydryas aurinia (Rottenburg 1775).<br />

Considerata nell’Italia peninunsulare come sottospecie:<br />

Euphydryas aurinia provincialis (Boisduval, 1828).<br />

Successivamente elevata a specie: Euphydryas provincialis (Boisduval, 1828)<br />

DESCRIZIONE<br />

Tutte le specie di questa famiglia sono decorate in modo vistoso e molte presentano<br />

scaglie argentate sulla superficie inferiore delle ali.<br />

Le zampe anteriori sono ridotte, ma solo nei maschi sono simili a spazzole. In alcune<br />

specie la struttura delle zampe anteriori è quasi l’unico carattere che permette di<br />

distinguere i sessi. Le antenne sono nettamente clavate.<br />

Larve e pupe vivono sospese ed hanno una superficie spinosa. Presentano spesso<br />

macchioline dai riflessi metallici.<br />

MASCHIO: colore arancio alternato con aree più pallide e disegni nervulari e trasversali<br />

neri che formano un reticolo. Nelle ali posteriori è presente una ampia fascia submarginale<br />

arancio contenente una serie di punti neri. La velatura basale nera è più estesa nelle ali<br />

posteriori. Sulla faccia inferiore (rovescio), il colore è più pallido con disegni simili a quelli<br />

della superficie dorsale ma poco evidenti e di colore grigiastro chiaro.<br />

FEMMINA: simile al maschio ma di dimensioni più grandi<br />

PERIODO DI VOLO<br />

Maggio-Giugno. Ciclo biologico univoltino.<br />

HABITAT<br />

Molto variabile, praterie umide, pascoli con fiori, argini erbosi, rive acquitrinose dei laghi,<br />

brughiere, ecc. Dalla pianura ai 1500 m s.l.m. Le piante nutrici della larva sono: la<br />

piantaggine, la scabiosa e più raramente altre essenze erbacee. La pianta più utilizzata<br />

dal bruco è la Succisa pratensis, ma sono utilizzate anche: Knautia arvensis, Scabiosa<br />

columbaria. Piante nettarifere dell’adulto: Polygonum bistorta, Cirsium palustre,<br />

Ranunculus repens, Rubus fruticosa. E’ importante che la principale pianta nutrice sia<br />

presente in abbondanza. La Succisa pratensis è sensibile ai nitrati, ai fosfati e sparisce<br />

dalle praterie grasse.<br />

Specie legata alle zone aperte, colonizza vari ambienti: prati umidi su substrato acido o<br />

neutro, brughiere e praterie su calcare. Sia il pascolo, purché non eccessivo, che gli<br />

incendi appaiono fondamentali per la specie, perché impediscono la successione della<br />

vegetazione verso il bosco. Le uova vengono deposte a gruppi sulla pagina inferiore delle<br />

foglie, di solito nel mese di giugno.<br />

23


BIOLOGIA ED ECOLOGIA<br />

Il ciclo biologico è univoltino. Il primo gruppo di uova è grande (generalmente circa 300)<br />

mentre le successive deposizioni sono meno abbondanti. Le femmine depongono le uova<br />

nelle piante più grandi e dove il manto erboso è più alto (8-20 cm). Le giovani larve sono<br />

gregarie: tessono una rete comune nelle vicinanze della loro pianta nutrice, generalmente<br />

Succisa pratensis, secondariamente Knautia arvensis, Scabiosa columbaria, Plantago,<br />

Lonicera.<br />

Le uova vengono deposte direttamente sulla pianta nutrice. La schiusa avviene dopo circa<br />

3 settimane. Le giovani larve sono gregarie e tessono sulla pianta ospite una tela<br />

comunitaria. La loro colorazione scura e l’estrema vicinanza degli individui servono alle<br />

larve per minimizzare la perdita di calore per convezione e gli permette di raggiungere le<br />

elevate temperature necessarie per la digestione (circa 35 °C) anche se si trovano sul<br />

suolo umido e freddo delle marcite. Quando il processo di digestione è terminato, le larve<br />

si disperdono per mangiare e poi ritornano ad aggregarsi. Dopo la terza muta iniziano<br />

l'ibernazione. All'inizio della primavera emergono dal rifugio invernale e riprendono ad<br />

alimentarsi nella tela comunitaria, ma si disperdono dopo la quinta muta e alla sesta si<br />

sviluppa la crisalide in prossimità del suolo sotto foglie morte o su steli di piante. Le<br />

immagini compaiono dopo 15 giorni e si osservano dalla fine di aprile a tutto maggio.<br />

La specie è considerata largamente sedentaria e la maggior parte degli individui<br />

rimangono chiusi per tutta la loro vita nel sito natale ma non sono pochi comuni i lunghi<br />

spostamenti: è quindi necessario mantenere in buono stato anche gli areali di confine che<br />

la farfalla può ricolonizzare, così da compensare la scomparsa periodica in altre aree.<br />

Le larve sono parassitate da 2 specie di vespe che sono: Cotesia bignellii e C.<br />

melitaearum.<br />

I siti per la presenza si possono visitare o in maggio/giugno quando sfarfalla l’adulto,<br />

oppure in tardo agosto/settembre quando le prime larvette sono visibili; anche in tarda<br />

primavera, quando le larve riemergono dall’ibernazione. Non è così facile vedere gli adulti;<br />

le probabilità aumentano nelle giornate assolate. A primavera i maschi sono i primi a<br />

sfarfallare, seguiti dalle femmine.<br />

Spesso la Succisa si trova associata con piante dei genere Phragmites sp., Carex sp.,<br />

vari tipi di sfagni Sphagnum sp., ecc. La Succisa si può trovare anche nelle forre umide o<br />

nelle aree bruciate.<br />

Succisa pratensis (pianta nutrice della larva)<br />

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CONSERVAZIONE<br />

I fattori avversi per la specie sono:<br />

- la scomparsa dell’habitat, a causa delle eccessive pratiche agricole (agricoltura<br />

intensiva);<br />

- la frammentazione dell’habitat a causa della crescita delle attività antropiche (es.:<br />

costruzione di strade, case, etc.);<br />

- l’inappropriata gestione dei pascoli (eccessivo pascolo del bestiame che altera la<br />

struttura vegetativa dei siti e riduce la disponibilità della pianta nutrice);<br />

- l’inquinamento, compreso l’utilizzo di pesticidi ed erbicidi.<br />

Il suo declino è legato sia alla distruzione dei biotopi, che ai cambiamenti nelle pratiche<br />

agricole. L'intensificazione agricola, la forestazione e la ricolonizzazione arbustiva sono<br />

all’origine della regressione dei prati magri ricchi in Succisa. Se la perdita dell’habitat ha<br />

giocato un ruolo cruciale nel suo declino, la sua frammentazione, ha sicuramente<br />

accelerato il processo negli ultimi decenni. Infatti l’isolamento, sempre più marcato delle<br />

ultime popolazioni rende molto improbabile la ricolonizzazione dopo l’estinzione locale.<br />

Popolazioni stabili sono predominanti solo nella regione biogeografica dell’area<br />

mediterranea. Gli ovini sembra esercitino un'azione negativa, perché brucano<br />

eccessivamente la vegetazione, ed in particolare selettivamente il "Morso del diavolo"<br />

(Succisa pratensis), principale pianta nutrice delle larve.<br />

TIPOLOGIA DI PASCOLO E TAGLIO<br />

Le razze tradizionali di cavalli e bestiame sono preferibili per il pascolo sulla vegetazione<br />

per il fatto di essere meno selettivi. Le pecore sono generalmente da escludere perché<br />

pascolano selettivamente su Succisa pratensis. Il taglio non è assolutamente adatto,<br />

soprattutto il taglio regolare o la fienatura. Il taglio a rotazione potrebbe essere la soluzione<br />

ma sono necessari esperimenti sulla frequenza e i tempi del taglio.<br />

INCENDI<br />

Gli incendi periodici potrebbero essere utili nel mantenimento di habitat adatti in alcuni siti<br />

(anche se la maggior parte delle larve probabilmente morirà nell’incendio) e per il<br />

risanamento e la gestione dei siti. L’incendio dei siti dovrebbe essere compiuto solo dove<br />

questa operazione è tradizionale (l’incendio è dannoso per molti altri invertebrati) e in<br />

rotazione, così che solo una parte di ogni campo sia incendiata ogni anno. E’ necessario<br />

fare attenzione nei siti abbandonati (lussureggianti), ed evitare completamente le felcete.<br />

Le aree principali dove avviene l’accoppiamento devono essere identificate e rispettate.<br />

DISTRIBUZIONE<br />

La specie è in declino in tutta Europa, ma è ancora diffusa. La specie è presente in tutto<br />

l’Est Europa, Russia, Asia Minore fino alla Corea attraverso le zone temperate dell’Asia. In<br />

Europa, la specie è estinta in Belgio e Olanda (1982) e in declino in quasi tutti gli altri stati.<br />

In Italia è presente al Nord (regione biogeografica) ma in declino. Tutta l’Europa centroorientale<br />

compresi la Gran Bretagna, i Balcani. Manca nelle isole del Mediterraneo e in<br />

Grecia. Rara nell’Italia peninsulare.<br />

In Italia peninsulare è presente la sotto specie Euphydryas aurinia provincialis, anche se<br />

una recente revisione sistematica l’ha elevata a specie (Euphydryas provincialis).<br />

Nonostante ciò, ai fini protezionistici della "Direttiva Habitat", ritenendo Euphydryas aurinia<br />

una sorta di "superspecie”, si manitiene valida la segnalazione del taxon.<br />

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Maculinea arion (Linné, 1758)<br />

Lepidottero-Licenide Maculinea arion (Linné, 1758)<br />

Specie inserita nell’Allegato IV della Direttiva “Habitat”; inserita nelle liste IUCN (LR/nt);<br />

protetta dalla convenzione di Berna (all.II) del 1979; protetta dalla legge Regionale<br />

Toscana (All.A).<br />

Si rinviene nei prati e nelle radure dal piano basale a quello montano fino a circa 2000<br />

metri s.l.m. Generazioni univoltina, sfarfallamento in maggio-giugno. Colore blu più o<br />

meno scuro. Lunghezza ala anteriore 15-26 mm. IL ciclo vitale molto specializzato poiché<br />

le piante nutrici sono ridotte a pochissime specie (soprattutto Thymus serpyllum) e la<br />

spiccata mirmecofilia ne condiziona l’esistenza alla presenza di nidi di formiche del genere<br />

Myrmica.<br />

26


Phylum: Artropoda<br />

Ordine: Lepidoptera<br />

Famiglia: Lycaenidae<br />

Specie: Maculinea arion (Linné, 1758)<br />

DESCRIZIONE<br />

Ala anteriore 16-20 mm con apertura alare fino a 42 mm. Parti superiori delle ali di colore<br />

azzurro chiaro cangiante, frange bianche bordature marginali nere larghe. Le parti<br />

superiori dell’ala anteriore con serie post-discale di punti neri allungati, variabile ma<br />

raramente mancante. La parti superiori ala posteriore presentano piccoli punti neri,<br />

posdiscale incostanti. Colore di fondo delle parti inferiori dal grigio al grigio marrone con<br />

usuali disegni, frange striate. La parte inferiore dell’ala posteriore ha una spolveratura<br />

basale azzurro-verde generalmente estesa. La femmina è simile con parti superiori che<br />

presentano disegni neri discali spesso più estesi. Le popolazioni delle Alpi sono spesso di<br />

dimensioni maggiori ed hanno una colorazione più scura rispetto a quelle del resto<br />

dell'Italia.<br />

PERIODO DI VOLO<br />

Maggio-Giugno, con un’unica generazione.<br />

HABITAT<br />

Ambienti erbosi incolti con piante di timo dal livello del mare a1800-2000m. La pianta<br />

nutrice delle larva è il timo (Thymus serpyllum), successivamente vive nei formicai.<br />

La ragione principale del declino di questa specie è la perdita del suo habitat. Il ciclo di vita<br />

della farfalla è complesso e non fu capito pienamente fino a che non è stato appreso in<br />

Inghilterra. La formica rossa, che è parte integrante del ciclo biologico della farfalla,<br />

richiede un habitat con poche piante alte, ben pascolato e dove la temperatura di<br />

superficie della terra è calda. La perdita di questo habitat in molte aree produce una<br />

riduzione drastica delle popolazioni della formica. Questo fatto, accoppiato con una<br />

riduzione notevole nelle popolazioni di timo selvatico, può condurre all'estinzione della<br />

farfalla.<br />

27


DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA<br />

Largamente diffusa in Asia e nell’Europa centrale fino al 62° nord, compresi i Pirenei, i<br />

Balcani e la Grecia. Molto localizzata in Inghilterra meridionale; specie di montagna nella<br />

Spagna centrale. Manca in Norvegia, Spagna meridionale, Portogallo, le isole<br />

mediterranee eccettuata la Corsica. In Italia è diffusa sulle Alpi e lungo la penisola, in<br />

particolare nel centro nord, anche se la sua presenza è strettamente collegata a quella del<br />

suo ospite obbligatorio (Myrmica sabuleti).<br />

.<br />

BIOLOGIA ED ECOLOGIA<br />

E’ specie xerotermofila, presente quasi sempre con piccole popolazioni, vive in pendii<br />

erbosi aridi, in genere esposti a meridione, frequentando generalmente le formazioni dei<br />

festuceti aridi nelle Alpi e dei xerobrometi in Italia peninsulare tra i 600 e i 2000 m. La larva<br />

si ciba di timo selvatico ed è associata ad una specie di formica, la Myrmica sabuleti. La<br />

farfalla vola da tre a quattro settimane. Le femmine depongono le loro uova sul timo<br />

selvatico (Thymus serpyllum) ed i bruchi si alimentano del tessuto molle dei fiori. Dopo<br />

avere mutato, il bruco si lascia cadere a terra ed aspetta una specie di formica rossa per<br />

trovarlo. Questa formica (Myrmica sabuleti) è attirata dal bruco mediante una ghiandola<br />

che libera un liquido dolce. Dopo che la formica si alimenta di questo liquido per 4 ore il<br />

bruco gonfia la pelle dietro alla sua testa, imitando il dietro di una larva di insetto di<br />

formica. La formica, incoraggiata dalla mimica del bruco, lo porta sottosuolo nel suo nido,<br />

fra le uova della colonia di formica. Qui, il bruco mangia le larve di formica. Il bruco di<br />

farfalla blu iberna nel nido della formica. Esso poi si impupa sotto la superficie ed emerge<br />

come farfalla a giugno. Nel nido della formica il bruco può mangiare fino a 500 larve di<br />

formica.<br />

Fattori di minaccia<br />

Dato lo stretto rapporto di simbiosi che esiste tra questa farfalla e le formiche del genere<br />

Myrmica (in particolare M. sabuleti) la riduzione dell’altezza dello strato erboso, dovuto al<br />

pascolo intenso, minaccia l’habitat di questo imenottero e mette in pericolo anche le<br />

stesse popolazioni della farfalla.<br />

La specie Myrmica sabuleti è la più diffusa in Italia, dove<br />

è presente in tutta la penisola e in Sicilia. A differenza di<br />

altre Myrmica non ama le montagne, anche se scende<br />

lungo la penisola raggiungendo altitudini sempre<br />

maggiori, infatti raggiunge i 1400 m. in Aspromonte e la<br />

massima altezza con 1450 m. (oltre al limite meridionale<br />

della sua presenza) sull'Etna.<br />

28


STATUS CONSERVAZIONISTICO<br />

In Italia Maculinea arion non è mai molto frequente ed è spesso localizzata. Da circa un<br />

ventennio è in progressiva rarefazione in gran parte d'Europa per la messa a coltura dei<br />

terreni incolti, per l'eccessivo uso di erbicidi e di pesticidi e per la cessazione del pascolo<br />

del bestiame brado (Leraut, 1992). D’altra parte, dato lo stretto rapporto di simbiosi che<br />

esiste tra questa farfalla e le formiche del genere Myrmica, la riduzione dell'altezza dello<br />

strato erboso dovuto al pascolo intenso minaccia l'habitat di questo imenottero mettendo<br />

in pericolo anche le popolazioni della farfalla. Popola ambienti aperti incolti, anche di<br />

ridotta estensione, ricoperti da bassa e rada vegetazione xerofila.<br />

PIANTE NUTRICI<br />

Thymus serpyllum L.<br />

Nome comune: Serpillo, Timo serpillo, Timo selvatico. (Labiatae). Il Thymus serpillum<br />

cresce a macchie nei prati aridi, pietraie e rupi soleggiate.<br />

Descrizione: arbusto sempreverde con fusto prostrato e rametti che tendono ad ergersi<br />

nella parte finale. Le foglie sono piccole, oblunghe, con margine intero. I fiori, rosa lillà,<br />

profumati, stanno riuniti in dense spighe apicali. La fioritura avviene in estate. La pianta,<br />

nonostante il portamento prostrato, raggiunge i 40 centimetri d'altezza.<br />

Habitat: frequente nell'area mediterranea, in Italia predilige i terreni incolti e assolati, ma<br />

cresce anche al margine delle boscaglie, lungo i pendii, nei prati come tra le rocce ed i<br />

terreni poveri. Diffusa dalla pianura alla montagna.<br />

Caratteristiche: il timo serpillo assomiglia alquanto nell'aspetto e nelle proprietà al timo<br />

volgare. Da questo si differenzia per le foglie distese e per la mancanza, nella pagina<br />

inferiore delle stesse, di quell'aspetto cotonoso tipico del timo. Pianta aromatica, assai<br />

usata in cucina, è ricca di proprietà in particolare antisettiche ed antispasmodiche. E' utile<br />

nei casi di tosse, catarri bronchiali, asma. E' uno stimolate dell'apparato digestivo per cui è<br />

consigliato nei casi di astenia, stati di debolezza e affaticamento. È diffusissimo un po'<br />

dovunque: scarpate secche e assolate, luoghi pietrosi e aridi, pascoli magri e terreni di<br />

riporto.<br />

29


Zerynthia polyxena Denis & Schiffermüller, 1775<br />

Lepidottero-Papilionide Zerynthia polyxena (Denis & Schiffermüller, 1775)<br />

Specie inserita nell’Allegato IV della Direttiva “Habitat”; protetta dalla convenzione di<br />

Berna (all.II) del 1979; protetta dalla legge Regionale Toscana (All.A); compresa nella lista<br />

delle specie a rischio nel “Libro rosso” della fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan,<br />

1992).<br />

Tra le più belle farfalle diurne italiane. E' una specie a generazione univoltina con<br />

sfarfallamento in aprile-maggio; gli adulti volano lungo le rive dei torrenti e nei luoghi umidi.<br />

La larva si ciba di varie specie del genere Aristolochia. Lunghezza ala anteriore 23-31 mm.<br />

Si tratta di una specie diffusa, ma molto localizzata. Risulta più comune alle basse<br />

altitudini.<br />

La specie è assai rara, sia per la riduzione degli ambienti palustri, a causa di bonifiche, sia<br />

per la conseguente scomparsa delle piante nutrici della larva monofaga.<br />

30


Phylum: Artropoda<br />

Ordine: Lepidoptera<br />

Famiglia: Papilionidae<br />

Specie: Zerynthia polyxena (Denis e Schiffermüller, 1775)<br />

Nome comune: Polissena, Zerinzia<br />

DESCRIZIONE<br />

Gli adulti di questa specie, difficilmente confondibile con altri lepidotteri, sono di medie<br />

dimensioni (45-50 mm di apertura alare). Le ali anteriori, di tonalità giallastra, presentano<br />

estesi disegni neri trasversali, una macchia rossa ai bordi e un margine esterno bordato da<br />

lunule molto arcuate. Le ali posteriori portano una serie di macchie rosse e lunule<br />

marginali come le ali anteriori. Possono essere presenti anche vistose macchie rosse e<br />

talora azzurre. Le larve, che a maturità raggiungono circa 35 mm di lunghezza, sono<br />

brunastre o grigie con quattro file di tubercoli rossi muniti di una spina nera.<br />

PERIODO DI VOLO<br />

Aprile/maggio.<br />

Gli esemplari adulti si possono osservare in volo a inizio primavera, con il massimo degli<br />

sfarfallamenti alla fine di aprile. Un’unica generazione annuale, dalla metà di marzo alla<br />

metà di giugno, a seconda delle località.<br />

DISTRIBUZIONE<br />

Questa specie, della quale sono note alcune sottospecie, ha un’ampia diffusione<br />

nell’Europa meridionale e in Asia Minore occidentale; appare in declino in diversi Paesi<br />

europei Europa centrale, Italia, Repubbliche Jugoslave, Grecia, Turchia NW. Le<br />

popolazioni italiane vengono ascritte alla sottospecie Zerynthia polyxena cassandra<br />

Geyer. In Italia è presente, ma con popolazioni molto localizzate, in tutta la Penisola e in<br />

Sicilia. Assente in Sardegna.<br />

31


BIOLOGIA E PIANTE OSPITI<br />

Le larve di questa specie si sviluppano a carico di Aristolochiacee del genere Aristolochia,<br />

quali Aristolochia clematitis, Aristolochia rotunda e Aristolochia pallida. Gli adulti dell’unica<br />

generazione annuale sono attivi fra aprile e maggio. In Sicilia possono essere attivi già a<br />

fine febbraio. Le uova sono deposte isolate o in piccoli gruppi sulla pagina inferiore delle<br />

foglie delle piante ospiti. Le uova schiudono nel giro di una settimana. Lo sviluppo larvale<br />

dura 4-5 settimane e prevede 5 mute. Questa specie sverna allo stadio di pupa. I principi<br />

attivi tossici delle piante nutrici permangono nelle larve che, pertanto, risultano<br />

parzialmente protette dai loro predatori.<br />

Questo piccolo papilionide è strettamente legato alle aristolochie, piante di cui si nutre il<br />

bruco. E' una delle prime farfalle a comparire in primavera, infatti l'adulto che ha svernato<br />

sotto forma di crisalide schiude in marzo-aprile ed ha una sola generazione l'anno.<br />

L'adulto vola per un periodo di non più di 3 settimane. I maschi sono molto attivi, alternano<br />

periodi di sosta a voli di perlustrazione in cerca delle femmine, anche con temperature<br />

basse e stazionano di solito in luoghi riparati dal vento e ben esposti al sole.<br />

Un tempo specie comune nelle zone umide anche questa farfalla, come Lycaena dispar, è<br />

oggi assai rara, sia per la riduzione degli ambienti palustri, a causa di bonifiche, sia per la<br />

conseguente scomparsa delle piante del genere Aristolochia di cui si nutre la larva<br />

monofaga.<br />

HABITAT<br />

Questa specie è tipicamente collinare e di fondo valle; frequenta aree fresche e umide<br />

dove sono presenti le piante ospiti, quali argini di fossi e rii, zone paludose, radure di<br />

boschi; si può osservare dal livello del mare fino a circa 1000 m di altitudine, comunque<br />

sempre strettamente associate alle piante nutrici dei bruchi Aristolochia rotunda e, meno,<br />

A. clematitis.<br />

Si tratta di una specie diffusa, ma molto localizzata. Risulta più comune alle basse<br />

altitudini. Risulta abbastanza frequente soprattutto in prossimità delle rive dei corsi<br />

d’acqua e in terreni incolti accidentati.<br />

STATUS DI CONSERVAZIONE<br />

E' inserita nel libro rosso delle farfalle italiane. Il suo status è quello di specie localizzata,<br />

tendenzialmente in pericolo, soprattutto a causa delle forme di gestione di argini, incolti e<br />

siepi.<br />

Nonostante la specie possa talora presentarsi localmente comune, risulta in generale<br />

minacciata, soprattutto a causa della forte riduzione degli habitat in cui crescono le piante<br />

ospiti. Negli ultimi anni questa specie è scomparsa da molte delle località europee ed<br />

italiane popolate in passato; per questo motivo è stata inclusa tra le entità vulnerabili dal<br />

Consiglio d'Europa (Heat, 1981), è stata inserita nell'Allegato IV della Direttiva 92/43/CEE<br />

e nell’elenco delle specie protette in Toscana ai sensi della L. R. 56/2000.<br />

L'eccessiva antropizzazione, la messa a coltura dei terreni incolti, la modernizzazione<br />

delle tecniche agricole e l'uso massivo e indiscriminato di erbicidi e di antiparassitari, la<br />

riforestazione, anche naturale, sono i maggiori fattori di rischio per la sua sopravvivenza<br />

(Heat, 1981; Balletto & Kudrna, 1985; Prola & Prola, 1990). Secondo le categorie riportate<br />

dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura Zerynthia polyxena è specie<br />

minacciata (cioè in pericolo di estinzione).<br />

Localmente può essere minacciata dalla raccolta eccessiva per collezionismo. Alcune<br />

popolazioni possono essere scomparse proprio a cause di raccolte eccessive.<br />

32


PIANTE OSPITI<br />

Aristolochia clematitis L.<br />

Strallogi, aristolochia gialla, erba astrologa.<br />

Forma biologica: Geofita radicigemmata (Pianta con organi perennanti sotterranei che<br />

portano le gemme da cui, ogni anno, si riforma la parte aerea).<br />

Descrizione:<br />

Pianta erbacea perenne, dotata di rizoma strisciante al suolo, altezza 20 cm - 1 m, il fusto<br />

eretto mostra un andamento un po’ a zig-zag.<br />

Le foglie ovato cordate, cuoriformi, con lunghi piccioli mandano un odore sgradevole.<br />

Fiori gialli tubolari, peduncolati, a forma di pipa, ingrossati alla base, da 2 a 8 all’ascella<br />

delle foglie.<br />

Frutti, capsule ovoidali, penduli, molto grossi rispetto alla pianta, fino a 3 cm di diametro.<br />

Antesi: Aprile - Maggio<br />

Tipo corologico: Europa, zone mediterranee.<br />

Distribuzione in Italia:<br />

Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia,<br />

Liguria, Emilia Romagna, Toscana, <strong>Umbria</strong>, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia; assente<br />

nelle isole.<br />

Habitat: Margini dei fossi, argini dei canali, negli incolti, nei vigneti, predilige i terreni<br />

calcarei.<br />

____________________________________________________________________<br />

Etimologia:Il nome del genere deriva dal greco "áristos" = "ottimo", "lochèia" = "parto", si<br />

riteneva efficace per i travagli e le infezioni da parto; poichè la pianta spesso si sostiene<br />

ad altre piante, il nome specifico si collega alle clematidi.<br />

Curiosità: I fiori giallo oro e l’odore particolare della Aristolochia sono una trappola per gli<br />

insetti, i quali, entrati nelle corolla a forma di pipa, scivolano su di un rivestimento ceroso<br />

che si trova all’interno e una barriera di peli impedisce loro di risalire all’esterno. Quando<br />

poi, il fiore appassisce gli insetti prigionieri, ricoperti di polline, si liberano, assicurando così<br />

l’impollinazione.<br />

Aristolochia clematitis L.<br />

33


Aristolachia rotunda L.<br />

Strallogi, aristolochia rotonda, erba astragola<br />

Famiglia: Aristolachiaceae<br />

Morfologia:<br />

Pianta perenne con grossi tuberi sferici, rampicante con fusti eretti o espansi, pressoché<br />

glabri, semplici o ramificati, alti 15-60 cm.<br />

Foglie alterne, sessili e avvolgenti il fusto con lobi basali allargati e spesso sovrapposti,<br />

sono lunghe 20-90 mm, hanno lamina verde chiaro, ovato-cuoriforme, a margine intero<br />

con apice arrotondato e venature infossate sulla pagina superiore e rilevate su quella<br />

inferiore.<br />

I fiori lunghi 20-50 mm, sono eretti con il lembo linguiforme con punta smussata marrone<br />

scuro e il tubo giallo-verdastro, con breve peduncolo, sono portati all’ascella delle foglie.<br />

Il frutto sferico ha un diametro di 10-20 mm.<br />

Diffusione, habitat, fioritura:<br />

Originaria dell’Europa meridionale è distribuita e naturalizzata ovunque nella regione<br />

mediterranea e distribuita in modo ineguale in aree umide ed ombrose, siepi, fossati, bordi<br />

dei campi, vigneti, boschi, da 0 a 700 m di altezza, dove fiorisce da Aprile a Giugno.<br />

Proprietà ed usi:<br />

E’ una pianta tossica che se ingerita può provocare vomito, disturbi intestinali e del<br />

sistema cardio-vascolare. La morte può avvenire per convulsioni e paralisi dei centri<br />

respiratori.<br />

Per i suoi principi attivi quali acido di aristolochia, tannini, sostanze amare, amminoacidi<br />

liberi che gli conferiscono proprietà emmenagoga, antireumatica, antisterica, sedativa<br />

nell'isterismo, nelle convulsioni, nell'epilessia, regolatrice delle mestruazioni, è stata a<br />

lungo usata in passato fino al 1981, epoca in cui sono stati ritirati dal commercio tutti i<br />

preparati a base di questa pianta per sospetta cancerosità.<br />

Aristolachia rotunda L.<br />

34


Parnassius mnemosyne L.1758<br />

Lepidottero-papilionide Parnassius mnemosyne (Linné, 1758)<br />

Specie inserita nell’Allegato IV della Direttiva “Habitat”; protetta dalla convenzione di<br />

Berna (all.II) del 1979; protetta dalla legge Regionale Toscana (All.A); compresa nella lista<br />

delle specie a rischio nel “Libro rosso” della fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan,<br />

1992).<br />

Specie che frequenta i prati freschi e radure del piano montano e cacuminale, 600- 2200<br />

metri s.l.m. Generazione univoltina, sfarfallamenti da giugno a luglio. Colore bianco<br />

traslucido con macchie nere e aree grigie. Lunghezza ala anteriore 26-34 mm. Le larve si<br />

nutrono di piante del genere Corydalis. Gli adulti sono attratti da molte specie vegetali, con<br />

una preferenza per i fiori di colore rosso, viola e blu come centauree (Centaurea spp.),<br />

ambrette (Knauzia spp.), gerani (Geranium spp.) e crotonelle (Lychnis spp.).<br />

35


Phylum: Artropoda<br />

Ordine: Lepidoptera<br />

Famiglia: Papilionidae<br />

Specie: Parnassius mnemosyne L.1758<br />

Nome comune: Mnemosine<br />

DESCRIZIONE<br />

Il maschio presenta un’ala inferiore 26-31 mm. Parti superiori delle ali con colore di fondo<br />

bianco senza macchie rosse. Il maschio presenta ali di colore bianco traslucido; le parti<br />

superiori delle ali anteriori presentano disegni neri ridotti a due macchie, presentano una<br />

fascia marginale grigia larga; le parti superiori delle ali posteriori senza disegni marginali,<br />

eccettuato il bordo interno; parti inferiori glabre. La femmina è simile, spesso spolverata di<br />

grigio scuro con le parti superiori delle ali posteriori che presentano disegni più estesi.<br />

Dorso dell’addome nero e glabro<br />

PERIODO DI VOLO<br />

Da Maggio a Luglio con un’unica generazione.<br />

HABITAT<br />

Regioni collinose o montagnose fino ai 1500 m in Europa Centrale, mentre in Nord Europa<br />

frequenta le zone di pianura. In Italia frequenta le radure e i margini di boschi a latifoglie<br />

(faggete, cerrete) e misti. Questa farfalla di medie dimensioni frequenta le praterie umide e<br />

i boschi; pendii aperti, versanti freschi e ombreggiati, con faggete e prati umidi, tra 600 e<br />

2000 m s.l.m. Non è mai numerosa come il P. apollo; ha una sola generazione all'anno<br />

che a seconda della latitudine e delle condizioni ambientali schiude da maggio a luglio.<br />

L'insetto sverna allo stadio di uovo. Gli adulti sono attirati dai fiori di colore rosso, viola e<br />

blu come centauree (Centaurea spp.), ambrette (Knauzia spp.), gerani (Geranium spp.) e<br />

crotonelle (Lychnis spp.).<br />

Le uova sono deposte singolarmente in giugno, svernano e schiudono l'anno seguente in<br />

aprile. I bruchi si alimentano su diverse specie di colombine (Corydalis). A differenza di<br />

molte altre farfalle, la specie presenta solo 4 stadi larvali. La crisalide si sviluppa in una<br />

sorta di bozzolo lasso, tessuto tra le foglie morte. Gli adulti sfarfallano dopo 3 settimane, i<br />

maschi di solito prima delle femmine. Le immagini vivono 2 o 3 settimane.<br />

36


DISTRIBUZIONE<br />

Si trova su tutte le maggiori montagne dell'Europa (Nord Europa fino ai 64°N) e dell'Asia<br />

Centrale fino al Caucaso, all'Iran e all'Asia centrale. Presente in Italia nella catena alpina,<br />

in quella appenninica fino alla Maiella, su Pollino, Sila e Aspromonte e in Sicilia<br />

settentrionale (Madonie, Nebrodi), con popolazioni meno numerose della Parnassius<br />

apollo.<br />

STATUS DI CONSERVAZIONE<br />

Specie inserita nell’Allegato IV della Direttiva “Habitat”; protetta dalla convenzione di<br />

Berna (all.II) del 1979; protetta dalla legge Regionale Toscana (All.A); compresa nella lista<br />

delle specie a rischio nel “Libro rosso” della fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan,<br />

1992).<br />

Fattori di minaccia<br />

Le due principali cause del declino sono la riforestazione e i cambiamenti nelle pratiche<br />

agricole tradizionali. Questo ha causato la scomparsa di molte aree prative in prossimità di<br />

boschi.<br />

37


PIANTE NUTRICI<br />

Corydalis cava (L.) Schweigg & Korte<br />

Colombina cava<br />

Sinonimi: Corydalis bulbosa Pers., Corydalis tuberosa DC, Pistolochia bulbosa Soják<br />

Famiglia: Papaveraceae<br />

Morfologia:<br />

Pianta erbacea perenne, lattiginosa, di piccole dimensioni è alta 15-25 cm, con radice<br />

bulbosa, globosa e cava<br />

Fusto corto, non ramificato, lasso che porta foglie senza stipole, doppiamente tripartite,<br />

incise, di colore verde-bluastro, che ricordano quelle dell’Anemone nemorosa.<br />

Infiorescenza in grappoli terminali, composta da 6-20 fiori ermafroditi, zigomorfi, lunghi 10<br />

- 25 mm, brattee fiorali ovali e intere, calice con 2 sepali colorati e caduchi, corolla formata<br />

da 4 petali, con il superiore che si prolunga in uno sperone allungato dritto ma ricurvo<br />

all’estremità, orizzontale o verticale rispetto al terreno, di colore rosa-opaco, talvolta violetti<br />

o bianchi, stimmi sessili disposti a disco.<br />

Il frutto è una capsula allungata a forma di siliqua con numerosi semi.<br />

Distribuzione – Habitat – Fioritura:<br />

Originaria dell’Europa, Caucaso, in Italia è considerata comune, è assente soltanto sulle<br />

isole, vive al limite dei boschi, in boschi radi di latifoglie, in luoghi a mezz’ombra, siepi,<br />

frutteti, vigne fino a più di 1000 m di altitudine, dove fiorisce in primavera da Marzo a<br />

Maggio.<br />

Nota: La Corydalis cava si differenzia dalla Corydalis solida per il tubero cavo anziché<br />

pieno, le brattee intere anziché profondamente incise e digitate e lo sperone sensibilmente<br />

arcuato anziché poco arcuato o appuntito<br />

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Corydalis solida (L.) Schwartz<br />

Colombina solida<br />

Famiglia: Papaveraceae<br />

Sinonimi: Fumaria bulbosa L. var. solida (basionimo)<br />

Morfologia: Corydalis solida (L.) Schwartz è una geofita bulbosa con bulbo-tubero<br />

giallastro, ovoide, piccolo (10-13 mm) e pieno, il fusto di C. solida (L.) Schwartz è<br />

completamente erbaceo di colore biancastro (tendente al verde-bruno nella parte<br />

superiore), alto fino a 20 cm, solitamente eretto, zigzagante, e terminante in uno o (più<br />

raramente) in due racemi fiorali. La foglia caulina inferiore di C. solida (L.) Schwartz è<br />

ridotta ad una squama, mentre le due foglie cauline superiori sono picciuolate (picciolo di<br />

10-20 mm) ed hanno lamina di colore verde glaucescente e contorno triangolare (25-40<br />

mm), sono bipennatosette, con 3x3 segmenti di 2° ordine suddivisi in 3-5 lacinie a<br />

contorno lanceolato.<br />

I fiori di colore roseo (violetto alla fauce) o più raramente bianchi sono ciclici,<br />

eteroclamidati, zigomorfi e pentameri con petali conniventi lateralmente, il maggiore dei<br />

quali si prolunga formando uno sperone (9-12 mm di lunghezza) ripiegato verso il basso, i<br />

fiori sono portati (solitamente in numero variabile da 10 a 20) da un ricco racemo fiorale<br />

eretto, ogni fiore è posto all’ascella di una brattea fogliare, lunga circa 13 mm e larga circa<br />

10, suddivisa in 5 lacinie lanceolate.<br />

Il frutto è una capsula di 10-25 mm provvista di peduncolo fruttifero lungo 12-18 mm.<br />

Ecologia: specie tipica dei boschi freschi della fascia collinare e montana (soprattutto<br />

delle faggete), sporadicamente risale fino al limite inferiore del piano subalpino (limiti<br />

altitudinali consueti: 100-1800 m s.l.m.), mentre più frequentemente scende fino alla<br />

pianura, è segnalata in tutte le regioni italiane, ma al Sud è piuttosto rara, può formare<br />

colonie di molte migliaia di esemplari.<br />

Antesi: da fine Marzo a fine Maggio, a seconda dell’altitudine.<br />

39


Aporia crataegi L. 1758<br />

Lepidottero-Pieride Aporia crataegi (Linné, 1758)<br />

Specie in declino soprattutto in Nord Europa. Bioindicatrice di formazioni vegetali lineari<br />

come le siepi, basilari per la connessione ecologica. Queste formazioni rappresentano<br />

micro-habitat di primaria importanza nelle aree agricole dove l’avvento delle colture di tipo<br />

estensivo/intensivo rischia di eliminare ogni elemento di naturalità.<br />

Specie che si rinviene nei prati, nei cespuglieti e nelle radure dei boschi dal piano basale a<br />

quello montano. Univoltina con sfarfallamento da maggio a luglio. Lunghezza dell’ala<br />

anteriore 27-33 mm. Piante nutrici: Crataegus sp., Prunus sp.<br />

Phylum: Artropoda<br />

Ordine: Lepidoptera<br />

Famiglia: Pieridae<br />

Specie: Aporia crataegi L., 1758<br />

Nome comune: Pieride del biancospino<br />

DESCRIZIONE<br />

Ali anteriori 28-34 mm, apertura alare 60-80 mm, parti superiori colore di fondo bianco,<br />

nervature pigmentate di bruno scuro o nero, fascetta discoidale scura e stretta; parti<br />

inferiori simili, spesso con una leggera spolveratura di scaglie nere specialmente nelle<br />

parti inferiori delle ali posteriori. La femmina è più grande, le ali anteriori grandi con la<br />

membrana lucida e brunita, evidente nervatura marrone, fascetta discoidale scura<br />

assente. Ali posteriori finemente scagliose.<br />

PERIODO DI VOLO<br />

Da Maggio a Giugno/Luglio con un’unica generazione.<br />

HABITAT<br />

40


Ambienti aperti dal livello del mare fino ai 1800 m. Piante alimentari delle larve: Crataegus<br />

monogyna (biancospino), Spiraea, Prunus. Comune nei giardini e nei campi di erba<br />

medica. Frequenta i luoghi incolti a basse e medie altitudini; è abbastanza comune e nei<br />

luoghi che le si confanno diventa talora infestante. Il bruco si nutre delle foglie di<br />

biancospino e talvolta risulta dannosa agli alberi da frutta. Il bruco è nero con strisce<br />

arancioni. Durante il mese di giugno, nei giorni caldi si possono vedere le farfalle in copula<br />

ai limiti della macchia mediterranea. Volano da maggio fino alla fine dell’estate. I bruchi<br />

sono gragari e svernano in un nido comune.<br />

DISTRIBUZIONE<br />

Nord-Africa, Europa,Turchia, Iran, Medio-Oriente, Cina,<br />

Giappone. In Sicilia è abbastanza comune in località di<br />

media altitudine. Manca in Corsica, Sardegna ed isole<br />

atlantiche.<br />

FATTORI DI MINACCIA<br />

La scomparsa dell’habitat a causa dell’agricoltura intensiva che produce la scomparsa<br />

delle siepi.<br />

PIANTE NUTRICI<br />

Prunus spinosa L.<br />

E’ una specie rustica che<br />

si adatta a terreni poveri e<br />

sassosi; la si può trovare<br />

lungo le strade, negli<br />

incolti e al limitare dei<br />

boschi. Si insedia come<br />

specie pioniera nei terreni<br />

abbandonati. In Italia è<br />

pianta comune e vegeta<br />

fino a 1.500 m.<br />

Crataegus oxyacantha e C. monogyna<br />

Biancospino. Diffuso nella regione mediterranea; comune<br />

in Italia, dalla pianura alla montagna, nei boschi e nelle siepi.<br />

Charaxes jasius Linnè, 1766<br />

41


Lepidottero – Ninfalide Charaxes jasius (Linné, 1766)<br />

Specie protetta dalla legge Regionale Toscana (All.A,B); specie rara e vulnerabile<br />

compresa nella lista delle specie a rischio nel “Libro rosso” della fauna e della flora<br />

minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

Farfalla di grandi dimensioni, dal volo rapido e potente. La lunghezza dell’ala anteriore è di<br />

38-50 mm e la femmina è simile al maschio ma più grande. Specie xerotermofila delle<br />

radure della macchia mediterranea, dal livello del mare fino a circa 800 metri s.l.m.<br />

Generazione bivoltina con sfarfallamento in maggio-giugno e agosto-settembre. Per le<br />

larve la pianta nutrice è Arbutus unedo (corbezzolo) alla distribuzione della quale la<br />

Charaxes jasius è strettamente legata. La farfalla del corbezzolo è territoriale e<br />

combattiva: ciascun individuo difende un territorio vasto, ragione per cui queste farfalle<br />

non sono mai molto abbondanti.<br />

42


Phylum: Artropoda<br />

Ordine: Lepidoptera<br />

Famiglia: Nymphalidae<br />

Specie: Charaxes jasius Linnè, 1766<br />

Nome comune: Ninfa del corbezzolo<br />

DESCRIZIONE<br />

Farfalla di grandi dimensioni (lunghezza dell’ala anteriore: 38-50 mm), dal volo rapido e<br />

potente. Come tutti i membri del suo genere possiede un bellissimo disegno a colori sul<br />

lato inferiore delle ali, che viene messo in evidenza quando la farfalla si trova posata ad ali<br />

chiuse, ed è un segnale di riconoscimento specifico.<br />

MASCHIO: Colore bruno scuro. Ali anteriori con bordo concavo, una larga fascia<br />

marginale arancio attraversata dalle nervature nere e una serie di spazi premarginali<br />

sfumati dello stesso colore. Posteriori con bordo dentato nero, due code nere in<br />

corrispondenza della terza nervatura mediana e della seconda cubitale, una larga fascia<br />

marginale arancio sfumata di giallo, attraversata dalle nervature nere e preceduta da<br />

alcuni spazi azzurri.<br />

FEMMINA: Simile al maschio ma più grande.<br />

PERIODO DI VOLO<br />

Maggio-Giugno; Agosto-Settembre<br />

43


HABITAT<br />

Specie xerotermofila, frequenta le radure della macchia mediterranea, dal livello del mare<br />

fino a circa 800 metri s.l.m. E’ strettamente legata alla distribuzione del corbezzolo, questa<br />

specie si può spingere anche nell’entroterra dove sopravvive in isole di vegetazione<br />

sempreverde insieme al leccio, all’erica arborea.<br />

DISTRIBUZIONE<br />

Dalle coste europee del Mediterraneo fino all’Africa tropicale e meridionale. È una specie<br />

largamente diffusa nel continente africano e nel Mediterraneo. In Italia è presente nelle<br />

zone costiere della penisola e delle isole più frequente lungo la costa tirrenica, più rara in<br />

quella adriatica dove non supera Porto Civitanova Marche.<br />

L’interesse zoogeografico della farfalla del corbezzolo consiste nel fatto di appartenere ad<br />

un genere a prevalente diffusione afrotropicale che conta un centinaio di specie, quasi<br />

tutte diffuse a Sud del Sahara.<br />

Strettamente legata alla distribuzione del corbezzolo, questa specie si può spingere<br />

nell’entroterra formando piccole popolazioni in oasi xerotermiche, dove la pianta nutrice<br />

sopravvive in isole di vegetazione sempreverde insieme al leccio, all’erica arborea e ad<br />

altre essenze. L’Arbutus unedo è la pianta ospite del bruco.<br />

BIOLOGIA ED ECOLOGIA<br />

La specie è presente nelle radure della macchia mediterranea, dal piano basale fino a 800<br />

m s.l.m.<br />

Il ciclo biologico è bivoltino, con sfarfallamento a maggio-giugno e agosto-settembre. Le<br />

larve utilizzano come pianta nutrice il corbezzolo (Arbutus unedo) anche se Longo et al.<br />

(2000) in un recente studio hanno osservato che la specie si sviluppa anche nelle piante di<br />

arancio. Le larve compiono 5 mute prima di impuparsi (pupe sospese).<br />

Unica rappresentante del genere in Europa, C. jasius è una specie territoriale e<br />

combattiva: ciascun individuo difende un territorio vasto, ragione per cui queste farfalle<br />

non sono mai molto abbondanti. Il comportamento territoriale di questa specie è stato<br />

studiato nella macchia mediterranea del litorale toscano presso Capalbio, dove i maschi<br />

usano posarsi sui trespoli di legno, alti circa due metri, fabbricati dai cacciatori per la posta<br />

al cinghiale. Da questi posatoi artificiali i maschi sorvegliano il territorio e alternano periodi<br />

di sosta con voli di perlustrazione in cui inseguono gli eventuali intrusi con particolare<br />

accanimento. In molti casi tali trespoli hanno preso il posto degli originari tronchi morti,<br />

rimasti in piedi e bene in vista fra gli arbusti sempreverdi, tronchi che le farfalle continuano<br />

ovviamente ad utilizzare quando presenti. L’aggressività di C. jasius nel periodo<br />

riproduttivo è tale da rivolgersi anche nei confronti di farfalle appartenenti ad altre specie e<br />

perfino verso gli uccelli!<br />

Sono stati osservati anche casi di “aggressione” all’uomo: talvolta, infatti, i maschi<br />

dedicano pochi secondi della loro attività aggressiva a sorprendenti ed innocue cariche<br />

contro la testa dei passanti. La breve durata di queste aggressioni verso uccelli e persone,<br />

confrontata con i lunghi inseguimenti dietro ad altri maschi della stessa specie, dimostra<br />

che le farfalle si accorgono ben presto dell’errore e rientrano prontamente nei loro ranghi.<br />

44


STATUS DI CONSERVAZIONE<br />

Segnalata come specie rara e vulnerabile nel “Libro rosso” della fauna e flora minacciate<br />

in Italia (Pavan, 1992).<br />

I fattori avversi per la specie sono: scomparsa dell’habitat a causa delle eccessive pratiche<br />

agricole (agricoltura intensiva), frammentazione dell’habitat a causa della crescita delle<br />

attività antropiche (come costruzione di strade, case, etc.), inquinamento, compreso<br />

l’utilizzo di pesticidi ed erbicidi e incendi.<br />

PIANTA NUTRICE<br />

Arbutus unedo (corbezzolo) è la pianta alimentare del bruco.<br />

45


Unio elongatulus C. Pfeiffer, 1825 – Molluschi-Bivalvi-Unionidi<br />

Inserita nell’Allegato V della Direttiva Habitat; compresa nella lista delle specie a rischio<br />

nel “Libro rosso” della fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

Conchiglia (lunga fino circa 12 cm) di forma ovalare con cerniera munita di apofisi cardinali<br />

e lamelle laterali. E’ specie fluviale di acque debolmente correnti e di ambienti lentici. Vive<br />

infossata nei sedimenti. Dalle uova dopo 2-3 mesi si forma una larva (glochidium) che<br />

conduce vita parassitaria attaccandosi alle branchie o alle pinne di un pesce ospite. Dopo<br />

circa 3-6 settimane, le larve si trasformano in giovani che si liberano e si lasciano cadere<br />

sul fondo. La maturità sessuale è raggiunta non oltre il 3° anno di età. Il taxon è<br />

direttamente minacciato all’inquinamento chimico delle acque.<br />

Emmericia patula (Brumati, 1838) – Molluschi-Gasteropodi-Emmericiidi<br />

Specie rara<br />

Islamia pusilla (Piersanti, 1952) – Molluschi-Gasteropodi-Idrobiidi<br />

Specie endemica del centro sud Italia, rara<br />

Islamia sp. 2 – Molluschi-Gasteropodi-Idrobiidi<br />

Specie endemica centro Italia in corso di determinazione.<br />

Pauluccinella minima (Paulucci, 1881) – Molluschi-Gasteropodi-Idrobiidi<br />

Specie endemica del centro Italia<br />

Pisidium henslowanum (Sheppard, 1825) – Molluschi-Bivalvi-Sferiidi<br />

Specie poco comune<br />

Pisidium obtusale D. Pfeiffer, 1821– Molluschi-Bivalvi-Sferiidi<br />

Specie poco comune<br />

Pisidium pseudosphaerium Schlesch, 1947 – Molluschi-Bivalvi-Sferiidi<br />

Specie rara<br />

Pisidium tenuilineatum Stelfox, 1918 – Molluschi-Bivalvi-Sferiidi<br />

Specie poco comune<br />

Theodoxus fluviatilis (Linnaeus, 1758) – Molluschi-Bivalvi-Neritidi<br />

Specie rara, in progressivo calo<br />

Potamon fluviatile fluviatile (Herbst, 1785) – Crostacei-Malacostraci -Decapodi.<br />

Notevole riduzione delle popolazioni anche se la contrazione dell'areale è ancora limitata.<br />

Specie facilmente riconoscibile, di grandi dimensioni, unica specie di granchio che abita le<br />

acque dolci dell'Italia (acque correnti e stagnanti). Scava tane lungo le sponde e tollera<br />

bassi tassi di umidità. I maschi, più grandi delle femmina, a differenza di queste, non<br />

escono mai dal fiume. L’accoppiamento e la successiva ovodeposizione avvengono tra<br />

giugno e settembre. Le uova (ca. 200) si schiudono dopo circa 40 giorni. I piccoli vengono<br />

trasportati e accuditi dalla madre per i primi 10-15 giorni.<br />

Pseudochydorus globosus (Baird, 1843) – Crostacei-Branchiopodi-Cladoceri-Chidoridi<br />

Specie rarissima. E’ compresa nella lista delle specie a rischio nel “Libro rosso” della<br />

fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

46


Sida crystallina (O.F. Müller, 1776) - Crostacei-Branchiopodi-Cladoceri-Sididi<br />

Specie parzialmente minacciata. E’ compresa nella lista delle specie a rischio nel “Libro<br />

rosso” della fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

Allogamus ausoniae Moretti, 1991 - Insetti-Tricotteri-Limnefilidi.<br />

Specie endemica dell'Appennino centrale.<br />

Beraeodes minutus (Linnaeus, 1761) - Insetti-Tricotteri-Bereidi.<br />

Specie stenotopa: sorgenti reo-limnocreniche<br />

Ceraclea fulva (Rambur, 1842) - Insetti-Tricotteri-Leptoceridi.<br />

Specie rara, vincolata ai poriferi di acque dolci<br />

Erotesis baltica McLachlan, 1877 - Insetti-Tricotteri-Leptoceridi.<br />

Specie rara e stenotopa: sorgenti reo-limnocreniche<br />

Tinodes antonioi Botosaneanu & Viganò, 1974 - Insetti-Tricotteri- Psicomidi.<br />

Specie endemica alpina-appennica<br />

Egira conspicillaris (Linné, 1758) – Insetti-Lepidotteri-Noctuidi.<br />

Specie rara. E’ compresa nella lista delle specie a rischio nel “Libro rosso” della fauna e<br />

della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

Eriogaster lanestris (Linnaeus, 1758) – Insetti-Lepidotteri-Lasiocampidi.<br />

Specie vulnerabile. E’ compresa nella lista delle specie a rischio nel “Libro rosso” della<br />

fauna e della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

Jodia haematidea (Duponchel, 1827) = Agrochola haematidea (Duponchel, 1827) –<br />

Insetti-Lepidotteri-Noctuidi.<br />

Specie rara. E’ compresa nella lista delle specie a rischio nel “Libro rosso” della fauna e<br />

della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

Omphalophana antirrhinii (Hübner, 1803)– Insetti-Lepidotteri-Noctuidi.<br />

Specie rara. E’ compresa nella lista delle specie a rischio nel “Libro rosso” della fauna e<br />

della flora minacciate in Italia (Pavan, 1992).<br />

47


LEGENDA DELLE CATEGORIE IUCN<br />

VU B2bce + 3bcd<br />

VU = specie vulnerabile, ovvero a rischio di estinzione a medio termine in quanto:<br />

B = l’estensione delle segnalazioni è inferiore a 20.000 Kmq, o l’areale di occupazione<br />

è inferiore a 2000Kmq e le stime indicano:<br />

2 = un continuo declino, dedotto, osservato o previsto di: b= area di occupazione; c =<br />

area, estensione e qualità dell’habitat; e = numero degli individui maturi<br />

3 = Estreme fluttuazioni di: b = area di occupazione; c = numero di subpopolazioni; d =<br />

numero di individui maturi<br />

VU A1c + 2c<br />

VU = specie vulnerabile, ovvero a rischio di estinzione a medio termine in quanto:<br />

A = Si riscontra una riduzione delle popolazioni e le stime indicano:<br />

1 = una osservata, stimata, dedotta o sospettata riduzione del 20%, entro i prossimi 10<br />

anni o tre generazioni, basata su: c = un declino dell’area di occupazione, estensione<br />

delle segnalazioni e/o qualità dell’habitat<br />

2 = una riduzione del 20% prevista o sospettata entro i prossimi 10 anni o tre<br />

generazioni, basata su: c = un declino dell’area di occupazione, estensione delle<br />

segnalazioni e/o qualità dell’habitat<br />

VU A1c<br />

VU = specie vulnerabile, ovvero a rischio di estinzione a medio termine in quanto:<br />

A = Si riscontra una riduzione delle popolazioni e le stime indicano:<br />

1 = una osservata, stimata, dedotta o sospettata riduzione del 20%, entro i prossimi 10<br />

anni o tre generazioni, basata su: c = un declino dell’area di occupazione, estensione<br />

delle segnalazioni e/o qualità dell’habitat<br />

LR/nt<br />

LR = specie a basso rischio ma<br />

nt = vicina ad essere classificata come vulnerabile ovvero in pericolo di estinzione<br />

DD<br />

I dati raccolti non sono sufficienti a definire lo status della specie, quindi sono<br />

necessarie maggiori informazioni sulla sua abbondanza e distribuzione<br />

48


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