<strong>IL</strong> <strong>CALITRANO</strong> N. 40 n.s. – Gennaio-Aprile 2009Un cal<strong>it</strong>rano alla “Campagna di Russia”a cura di Gerardo Melaccio«Ciò che non si ripete a se stessi,lo si dimentica».«Vivere ancora»KLUGERCal<strong>it</strong>ri, paese dell’estrema propaggi-dell’Alta Irpinia, vive FrancescoAneCialeo, reduce della “Campagna di Russia”.All’età di 87 anni suonati è ancoraenergico e lucido di mente. A parte idanni fisici e morali sub<strong>it</strong>i, fu di quelliche alla fine della guerra ebbero la fortunadi essere rimpatriati e di tornare acasa. Al “Fronte”, subì l’amputazionedelle d<strong>it</strong>a del piede destro per congelamento.Sub<strong>it</strong>o dopo fece l’amara esperienza dellaprigionia.Sono trascorsi più di sessant’anni daltempo delle viciss<strong>it</strong>udini personali cheracconta, ma i ricordi del suo lontano edrammatico vissuto rivivono nella suamemoria come se si riferissero all’altriieri.Nell’ascoltarlo quando li rievoca, dàl’impressione che per lui 11 tempo si siafermato al 1942. Mentre parla, si accalora,quasi che i fatti che rpercorre, li stessevivendo al momento. Luoghi, s<strong>it</strong>uazioni,persone e scenari dell’epoca in discussionesono tuttora nella sua testa.C<strong>it</strong>a dove è stato, col loro nome geografico;rivive e descrive avvenimenti; parladi “camerati” coi rispettivi nomi e cognomi.Se è in vena di narrare, Francesco Cialeo,“Ciccillo l’elettricista” per chi lo conosce,dà l’impressione che gli ardori,le emozioni e le paure provati in guerragli siano rimasti dentro. Se gli chiedo didescrivermi le vicende che visse in Russiaal tempo della seconda guerra mondiale,non se lo fa ripetere.- Avevo compiuto vent’anni da pochigiorni - comincia – quando dal DistrettoMil<strong>it</strong>are di Avellino mi giunse la cartolinadi precetto per l’assolvimento dell’obbligodi leva. Era l’inizio del mese difebbraio, e l’Italia di Mussolini, al fiancodella Germania di H<strong>it</strong>ler, era entrata inguerra contro le “Forze Alleate”. Ricordoche la partenza da Cal<strong>it</strong>ri fu dolorosa.I tempi erano quelli che erano, e il distaccodai familiari, dagli amici, dallecose più care e dall’ambiente dove erovissuto dalla nasc<strong>it</strong>a, mi pesava molto.La sosta presso il Distretto Mil<strong>it</strong>are fubreve. Appena fui informato che ero statoassegnato al 111° Reggimento di Fanteriadi stanza a Trento, affidato alla responsabil<strong>it</strong>àdi un capo-drappello insiemead altre reclute, mi fu impart<strong>it</strong>o l’ordinedi raggiungere immediatamente illuogo di destinazione. Con me partironosette ragazzi del mio paese, ai quali eratoccata un’altra destinazione.Il viaggio mi sembrò interminabile acausa della lentezza del treno che si fermavain continuazione.Arrivato a Trento, proseguii per Pergine,sede di distaccamento del 111° Reggimento.Io e gli altri come me fummosottoposti aun corso di aggiornamentoprima di raggiungere il “Campo mobile”di Cuneo, dove era previsto il ricongiungimentodei vari reparti in attesa dellapartenza per il “Fronte Russo”. Nella circostanza,in applicazione al cosiddetto“cr<strong>it</strong>erio di rotazione”, il Comando procedettealla selezione dei soldati in mobil<strong>it</strong>azione.Da parte mia, mi attenevo alle disposizionidei superiori senza rendermi contodi quello che facevo. Ero giovane, vest<strong>it</strong>oda soldato, nuovo a quel tipo di esperienze,e cercavo di fare quello che miveniva imposto.Nel giro di poche settimane ero stato prelevatodal mio paese e sbattuto in unapiccola local<strong>it</strong>à dell’Italia settentrionale,di cui non conoscevo nemmeno il nome.Della guerra, poi, avevo un concettopmolto approssimativo. Ne avevo sent<strong>it</strong>oparlare da ragazzino alla scuola elementare,quando non potevo immaginare cosafosse veramente, né che da grande avreidovuto farne esperienza diretta. Al momentoavevo la mente confusa e capivopoco. Il susseguirse degli eventi, il marasmadella mobil<strong>it</strong>azione mil<strong>it</strong>are, ordini econtrordini che mi rintronavano nellaorecchie, non mi consentivano di mantenerela mente e il cuore al loro posto. Facevofatica ad afferrare il significato verodel momento che stavo vivendo.La partenza per il “Fronte” fu fissata peril 7 ottobre del 1942. Erano trascorsi ottomesi dal giorno della chiamata allearmi, e mi sentivo lontano ed astraniatodalla realtà del mio ambiente e delle personeche facevano parte della mia v<strong>it</strong>a.Nel momento in cui la tradotta miliaresulla quale ci avevano fatto salire cominciòa muoversi, avvertivo una grandeag<strong>it</strong>azione; il cuore mi batteva forte. Conme c’erano altri diciassette soldati. Mentreprovavo a scambiare con essi due parole,a guardarli, mi davano l’impressioneche il loro umore non era differentedal mio. Provenienti da più parti d’Italia,con alcuni ci eravamo conosciuti giàqualche giorno prima. Con altri al momentodella partenza. Dai loro volti emaciatie scur<strong>it</strong>i dalla preoccupazione trasparivaun’enorm<strong>it</strong>à di tensione.Mezzo intond<strong>it</strong>i, ci guardavamo in faccia.Avremmo voluto sapere qualcosa dipiù sul momento che stavamo vivendo;magari le ragioni nascoste di quei nostriatteggiamenti. Qualcunoi sembrava addir<strong>it</strong>turaallegro. E non capivo se per incoscienzao se per finta, onde nasconderemeglio la paura di dentro;o, piuttosto,per la contentezza di andare a combattereper dimostrare coraggio e amor di patria.Un’infin<strong>it</strong>à di interrogativi mi attraversavala mente, cercando altrettante risposteper scacciare l’inquietudine chemi tormentava.Tra le tante che si accavallavano,una sola mi sembrava la piùattendibile: vest<strong>it</strong>o da soldato, mun<strong>it</strong>o dizaino e moschetto, insieme ad altri diciassettecompagni d’arme della mia età,trasportato da una tradotta delle “ForzeArmate”, stavo andando a combattere inun paese straniero, contro un nemico chenon conoscevo e che non aveva fattoniente di male all’Italia.Per distogliermi dai pensieri neri che mipassavano per la testa, affacciato al finestrino,osservavo in lontananza le immensedistese di boschi. Fissavo l’orizzontenell’illusoria speranza di scorgereuna collina con case arroccate, lamb<strong>it</strong>a aisuoi piedi dall’Ofanto o da Cortino. Ma,a sentire parlare quelli che stavno conme, mi rendevo conto della realtà vera incui mi trovavo. Ricadevo nel presente ecapivo che Cal<strong>it</strong>ri, il mio paese natìo,non poteva trovarsi su una collina tantolontana dall’Irpinia. E, in più, pensavopure che mi stavano portando altrove eche, se mi fosse andata male, non l’avreipiù rivista.Meno male che il tempo per pensare alungo non ce n’era. Sia alle fermate, siacol treno in movimento, di giorno e dinotte, i rumori, il trambusto, le voci che siaccavallavano, gli imprevisti riempivanol’atmosfera. A tratti la nebbia ci impedivadi distinguere gli spazi che stavamo at-18
N. 40 n.s. – Gennaio-Aprile 2009 <strong>IL</strong> <strong>CALITRANO</strong>traversando. E per me erano i momenti dimaggiore sofferenza. La f<strong>it</strong>ta fumos<strong>it</strong>à miimpediva ogni distrazione, mi ricacciavanei pensieri più cupi. In più, acuiva i morsidella fame e della sette. L’acqua e il cibonon ci venivano negati, però la qual<strong>it</strong>àe la varietà erano uno strazio. Secca epreconfezionata, mi sforzavo di mandaregiù la mia razione giusto per riempire ivuoti dello stomaco.Dopo due giorni di percorrenza in direzioneBielorussia, giungemmo sulla rivadestra del Dnjepr, grande fiume della Polonia.Per attraversarlo non fu facile acausa della mancanza di un ponte levatoio.Caricati a bordo di zatteroni galleggianti,i vagoni della tradotta con illoro carico umano, furono traghettati sullasponda opposta. Poi raggiungemmola zona mil<strong>it</strong>are occupata dai tedeschi.Lo stato di cose che si parò davanti ainostri occhi lungo il tratto che percorremmoper raggiungere l’accampamentoci lasciò sconcertati. Lo rivedo oggi esattamentecome mi apparve nel lontanissimonovembre del ’42. Vedevo maceriedappertutto; fossati larghi e profondi scavatidalle esplosioni delle bombe; profughiin fuga in cerca di ripari di emergenza;donne con bambini in braccia emamme con figlioletti per mano; personeattempate che imprecavano verso iltreno col gesto delle mani e con paroleche non capivo; fuggiaschi con fagottisulle spalle; contadini in lacrime vicinoalle loro casupole distrutte.Io li osservavo in silenzio con una pietàed un atto di ribellione mai provati. Pensavo,immaginavo e cercavo di dare unsenso a quelle scene. Non sapevo secommiserare quelle v<strong>it</strong>time della guerrapiene di disperazione e di rabbia, o seprovare compiacimento di fronte alleprove di successo dell’avanzata delletruppe dell’“Asse” in terr<strong>it</strong>orio nemico.DIALETTO E CULTURA POPOLAREPARTICOLARI MODI DI DIRE CALITRANIMena lu viend’ scir’l’soffia il vento come un vorticeHav’ avut’ lu r’bbutt’quando una persona ha il rigetto. Che ha sempre da direLa malannata eia r’ tutt’ quanda, lu uay eia r’ chi lu ten’la mala annata è di tutti, il guaio è di chi cel’haQuegghia fac’ l’uov’ spatriat’! (oppure quessa n’ fac’l’uov’ ndo lu nir)quella signora fa l’uovo qua e là (oppure non fa l’uovo nelsetaccio)Hann’ fatt’ la cu<strong>it</strong>anzasi sono messi d’accordo(sulla spartizione dei beni)Lu tiemb’ s’eia puost’ a la v’rnil’ (si diceva d’estate)il tempo si è messo come d’invernoSc’rnata pagliaresca (d’inverno)Giornata da stare nel pagliaio (per il cattivo tempo)A la scurdataquando meno te l’aspettiPuzza r’ s’c’ror’puzza di sudoreChe so’ ssi nguacchj?cosa sono questiscarabocchiS’ la voz’ piglià f’rzosase la prese per forzaA ponda r’ iurn’ (più frequente)all’inizio del giorno; oppure“Quann’ la scura mor’ e ven’ chiar’ iuorn’”N’hav’ p’gliat’ acqua v’ndata! …ne ha preso acqua e vento!Eia fat’hà cum’ n’ n’avissa m’rì mai, e eia p’nzà cum’avissa m’rì crajdevi lavorare come non dovessi morire mai, e devi pensarecome dovessi morire domaniA l’assuta r’ viern’al termine dell’invernoA calata r’ sol’al tramonto del soleStat’ c<strong>it</strong>t’ ca ngì’ sò r’aurecchj sord’!stai z<strong>it</strong>to che ci sono le orecchie sorde!(generalmente rifer<strong>it</strong>o ai bambini)Eia morta a la f’gliannaè morta di partoLa cendra hav’ p’gliat’ culor’ha preso un colore poco buono o salutareAggirala (votala) ca s’ ard’voltala che si bruciaN’ng’eia nu parm’ r’ terra nettanon c’è un palmo di terra pul<strong>it</strong>a19