Diamo una mano ai nostri ragazzi - La Rocca - il giornale di Sant ...
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<strong>La</strong> <strong>Rocca</strong>Personaggi LETTERE <strong>di</strong> oggiL’angelo dei Rumeni è <strong>di</strong> Pereto“I poveri che premono alla portadella parrocchia, anziani che nonarrivano alla metà del mese conla pensione minima, sono <strong>una</strong> ventina,questo pomeriggio. Aspettano la consueta<strong>di</strong>stribuzione delle borsine conpasta e altro. Li osserva frate Giancarlo,che calcola: «Sabato mattina invecearrivano gli stranieri. Sono tra i quattrocentoe i seicento. Rumeni, ucr<strong>ai</strong>ni,moldavi. Anche a loro la parrocchia dà<strong>una</strong> borsina con generi <strong>di</strong> prima necessità».Fra’ Giancarlo Ciccioni è <strong>il</strong> frateportin<strong>ai</strong>o del convento dei Cappuccini<strong>di</strong> San Giuseppe, fuori porta Saragozza.Il frate dei rumeni che vivono neiboschi sul colle <strong>di</strong> San Luca, che quasiogni mattina scendono a valle e prima<strong>di</strong> andare a lavorare (o a cercare <strong>di</strong> farlo)prendono dalle sue mani, allungatodallo spioncino del gabbiotto, un sacchettinobianco contenente due paninie <strong>una</strong> scatoletta <strong>di</strong> tonno. Nativo <strong>di</strong>Pereto <strong>di</strong> <strong>Sant</strong>’ Agata Feltria (<strong>il</strong> paeseche <strong>di</strong>sta tre ch<strong>il</strong>ometri dalla casa dovenacque Matteo Da Bascio, <strong>il</strong> fondatoredei Cappuccini), frà Giancarlo cominciòa <strong>ai</strong>utare i poveri nel ‘62, quandofaceva <strong>il</strong> cuciniere. «Mi ricordo certipentoloni <strong>di</strong> alluminio dove si cuocevala pasta per almeno cinquanta persone,<strong>di</strong>cevano che <strong>il</strong> nostro ragù era <strong>il</strong>migliore, nelle altre parrocchie non simangiava così bene. Si facevano riempirecerte tazzone <strong>di</strong> coccio anche dueo tre volte». Poi i poveri italiani sono<strong>di</strong>minuiti e oggi <strong>il</strong> problema più grossosono gli immigrati dell’ Est europeo.«Tra <strong>di</strong> loro ci sono tantissime personebuone, non solo furbi e delinquenti. Mihanno invitato nei boschi qui sopra avedere le tende dove dormono, ma nonci sono m<strong>ai</strong> andato. Dovrebbe essere loStato a <strong>ai</strong>utarli, a dargli <strong>una</strong> tetto, documentiin regola, se sono qui per lavorare.Siamo molto in<strong>di</strong>etro. Noi, comeconvento, cosa possiamo fare? A partepane e scatolame, non c’ è tanta genteche ci lascia delle offerte. Un giu<strong>di</strong>ce cidà 100 euro al mese, non si va oltre i 3o 400 euro al mese. Pochi giorni fa, hoconvinto due rumeni appena arrivati atornare a casa. Gli ho spiegatoche è meglio vivere con poco inRomania che allo sbando nei boschia Bologna. Avevano la macchina,gli ho pagato la benzinaper <strong>il</strong> ritorno. Il fatto è che inRomania vedono o sentono chequalcuno si arricchisce, cominciaa risparmiare e a pensare <strong>di</strong> comprarsi<strong>una</strong> casa e così continuanoa venire giù in continuazione, arincorrere un miraggio». FrateGiancarlo cerca anche <strong>di</strong> collocarequalcuno nelle famiglie. «Lebadanti sono molto richieste, mitelefonano persino da Imola perfarle lavorare. Prendono d<strong>ai</strong> 900<strong>ai</strong> 1000 euro, sol<strong>di</strong> che finisconoquasi tutti all’ estero. Quandonevica, qualcuno va a spalare laneve nelle case qui vicino, oppurea qualcun altro do <strong>di</strong>eci europer pulire <strong>il</strong> giar<strong>di</strong>no». Giancarloè anche <strong>il</strong> frate giar<strong>di</strong>niere che1966: Guar<strong>di</strong>e svizzereMaurizio Giuliani e Gabriele CinarelliGenn<strong>ai</strong>o / Febbr<strong>ai</strong>o 2009 Genn<strong>ai</strong>o / Febbr<strong>ai</strong>o 2009cura questo bellissimo spazio verde chedal convento scende in via Saragozza,un microcosmo da stu<strong>di</strong>o sociologicodove si incontrano (e qualche volta siscontrano) barboni italiani, gruppi <strong>di</strong><strong>di</strong>soccupati dell’ est, badanti ucr<strong>ai</strong>ne erusse, abitanti <strong>di</strong> un quartiere esclusivonon sempre ben <strong>di</strong>sposti. Sono invecescomparse le torme <strong>di</strong> spacciatori magrebini,che per un certo periodo avevanotrasformato <strong>il</strong> giar<strong>di</strong>no nelle retrovie<strong>di</strong> piazza XX Settembre. Un intreccio<strong>di</strong> microstorie <strong>di</strong> speranza sciupatache si legge nelle rughe dei barboni e<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e speranza nel futuro nei voltichiari dei giovani e nelle giovani rumenee slave. «Qui ne succedono <strong>di</strong> tuttii colori, a cominciare dalle volpi - raccontafrate Giancarlo - . Hanno fatto<strong>una</strong> covata nel giar<strong>di</strong>no interno delchiostro. A Giuseppe, un barbone chequalche volta dorme sulle panchine, glihanno portato via <strong>il</strong> cappello. E gli hannosmangiucchiato lo z<strong>ai</strong>no. Giuseppe èlo stesso che pochi giorni fa l’ abbiamotrovato con le gambe rovinate, perchéun gruppo <strong>di</strong> rumeni con <strong>il</strong> quale halitigato gliel’ ha fatta pagare». Un altrobarbone, un certo Antoine, l’ ha convintoa costituirsi. «è stato lo scorso inverno- ricorda <strong>il</strong> frate - quando gli hodetto che sarebbe stato meglio al caldo.“Buona idea”, mi ha risposto “ho giustoun annetto ancora da scontare”. “Allorav<strong>ai</strong> subito in Questura”, gli ho suggeritoio». Ogni tanto qualcuno arriva con<strong>il</strong> naso rotto, oppure <strong>una</strong> volta <strong>il</strong> frateportin<strong>ai</strong>o si è visto passare nell’ androneun rumeno che f<strong>il</strong>ava come un razzo.L’ ha capito subito dopo, <strong>il</strong> perché,quando sono sfrecciati tre poliziotti:«Aveva rubato al supermercato, ma nonl’ hanno arrestato perché era riuscito a<strong>di</strong>sfarsi dei pezzi <strong>di</strong> prosciutto. Ma, aparte questi inconvenienti, fare <strong>il</strong> frate èla vita più bella del mondo. Vivi per glialtri». E per questo serve anche piantarecentin<strong>ai</strong>a <strong>di</strong> rose nel giar<strong>di</strong>no, «perché ifiori fanno bene a tutti».Tratto da un articolo<strong>di</strong> Luigi Speziapubblicato da Repubblica4 giugno 2005 cronaca BOLOGNAIl giorno 4 genn<strong>ai</strong>o 2009 è venuto a mancare alla suafamiglia e a tanti suoi amici, Peppino Urbini, notoristoratore <strong>di</strong> <strong>Sant</strong>’Agata Feltria, da tutti apprezzato estimato operatore economico della nostra zona. Peppino,per noi amici, “Bal<strong>di</strong>ni”, per più <strong>di</strong> trent’anni ha gestitoe <strong>di</strong>retto, dapprima con la moglie Elena, poi con le figlieFrancesca e Cinzia, <strong>il</strong> Ristorante «Tre Castagni» rendendolo,nel tempo, uno dei locali più conosciuti ed apprezzatidella vallata. Impren<strong>di</strong>tore attivo e soprattutto amante delsuo lavoro, attento ricercatore delle tra<strong>di</strong>zioni gastronomichedel nostro territorio, Peppino ha sempre creduto nellapossib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> creare in <strong>Sant</strong>’Agata, iniziative volte al r<strong>il</strong>ancioturistico ed economico del nostro paese, ed ha appoggiatocon grande slancio, entusiasmo ed effettiva collaborazione,la nascita della “Fiera Nazionale del Tartufo” e del “Paesedel Natale” ed altre attività che favorissero lo sv<strong>il</strong>uppo turistico<strong>di</strong> <strong>Sant</strong>’Agata Feltria.Ciao, caro Peppino, ci mancheranno la tua generosità, latua arguzia ed anche la tua immensa passione calcistica, <strong>di</strong>tenace, irriducib<strong>il</strong>e tifoso dell’Inter, che per tanti anni ci havisto su opposti fronti, ad accalorarci, a ‘sfotterci’ e patire egioire per le nostre squadre del cuore.Ora, senza <strong>di</strong> te, siamo ancora più soli!Arrigo BonciAnche la Redazione della <strong>Rocca</strong> vuole ricordare l’amico Peppino,persona squisita, sostenitore da sempre del nostro perio<strong>di</strong>coal quale era molto affezionato, e porge alla famiglia le piùsentite condoglianze.Ricordo LETTEREUn altro amico ci ha lasciatoin ricordo <strong>di</strong> Peppino UrbiniPresto si andràa lezione <strong>di</strong> tartufo<strong>La</strong> <strong>Rocca</strong>Se <strong>il</strong> tartufo è <strong>il</strong> re della tavola, sono le Marche a proporsi sempre più seriamentecome <strong>il</strong> suo regno. Vale, in particolare per le zone del Piceno e delMontefeltro, uniche al mondo a vantare la produzione <strong>di</strong> ben quattro qualitàdel pregiato tubero, e al centro orm<strong>ai</strong> <strong>di</strong> attività <strong>di</strong> grande r<strong>il</strong>evanza non solo gastronomica.Si parla, per <strong>il</strong> solo triangolo compreso fra Acqualagna, <strong>Sant</strong>’Angelo inVado e <strong>Sant</strong>’Agata Feltria, <strong>di</strong> un giro d’affari <strong>di</strong> circa 168 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> euro annui, con<strong>una</strong> produzione <strong>di</strong> 1200 quintali l’anno. Si moltiplicano, dunque, le iniziative legatealla promozione del particolare alimento. Proprio in questi giorni <strong>una</strong> delegazione<strong>di</strong> produttori marchigiani è in Aquitania per <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> incontri con esperti locali.Già in programma, inoltre, la pubblicazione <strong>di</strong> un libro che raccoglie miti e leggendesul tartufo, <strong>il</strong> quale, nel 2009, arriverà anche sui banchi <strong>di</strong> scuola, grazie a lezioniorganizzate presso alcuni istituti alberghieri romani. Così che i futuri chef sappianoessere anche buoni ambasciatori del made in Italy. Riccardo SpagnoloTratto da “Avvenire” del 23 novembre 20081011