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Frontiere aperte.<br />
Musulmani, ebrei e cristiani nella<br />
Repubblica di Venezia in età moderna<br />
Giuseppina Minchella<br />
La coesistenza delle diversità in ambito mediterraneo nell’età<br />
moderna è un tema ormai studiato dalla recente storiografia, che ha<br />
messo in luce processi di scambio e d’influenza reciproca fra le popolazioni<br />
appartenenti a fedi diverse, sconfessando lo stereotipo di un’inconciliabile<br />
ostilità tra comunità cristiane, musulmane ed ebraiche. In<br />
questo panorama, ricopre un posto particolare e importante Venezia,<br />
città che al suo stesso interno era una frontiera religiosa e culturale.<br />
Una città dove – ce lo dicono i processi inquisitoriali – per insegnare<br />
il turco ci si avvaleva anche del Corano: è solo un esempio dei<br />
molteplici, sommersi aspetti di contaminazione cuturale. Dalle carte<br />
dell’Inquisizione veneziana compare il quadro di una realtà fortemente<br />
contrassegnata dalla presenza di minoranze orientali: turchi, rinnegati,<br />
ebrei levantini, cristiani greci, armeni, che si muovono nelle pieghe<br />
del tessuto urbano in contatto quotidiano con i sudditi naturali della<br />
Signoria. Una convivenza che dà vita a processi di contaminazione,<br />
in cui si intrecciano abitudini, lingue, modi di vestire e immaginari<br />
culturali.<br />
«So bene che lui è stato doi volte christiano et doi volte turco, cioè<br />
quando si battezzò et dopo quando si fece turcho la prima volta, poi<br />
quando suo padre l’ha riscatato si fece christiano un’altra volta, et<br />
hora che è tornato turco».<br />
Quella di Giulio-Assan, due volte turco e due volte cristiano, è solo<br />
una delle numerose testimonianze dei ripetuti passaggi di fede presenti<br />
negli atti dell’Inquisizione veneziana, un’eco che rimanda alle scorre-<br />
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