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LIVORNOnonstop è...<br />
4<br />
tempo di Natale<br />
da pag. 3<br />
assistere a quanto si legge nei<br />
racconti delle feste”.<br />
Si bello, bello quanto è l’albero<br />
di Natale ma il fascino che suscita<br />
il presepio è incomparabile<br />
perché riesce a dar gioia e serenità<br />
allo spirito per quel suo<br />
misticismo che avvolge il mistero<br />
della nascita del Salvatore. E<br />
quando il presepio si chiama<br />
“capannuccia” allora la mente<br />
va a spaziare in quell’infinità di<br />
ricordi che ormai soltanto i nonni<br />
di queste ultime generazioni<br />
possono raccontare.<br />
Una volta, già dopo il castagnaccio<br />
e le “mele di marzapane”<br />
di Santa Caterina, si sentiva<br />
qualcosa di gioioso, di festoso<br />
nell’aria: il Natale era veramente<br />
alle porte. Anzi, penso proprio<br />
che questi due dolci aprissero<br />
ufficialmente la stagione natalizia.<br />
Si iniziava a parlare di capannuccia,<br />
di borraccina, di pastori,<br />
di pecorelle, del bue e dell’asinello.<br />
La nonna, man mano che i giorni<br />
passavano, recitava ai nipotini<br />
incantanti la vecchia filastrocca:<br />
Il primo dicembre è Sant’Anzano,<br />
il quattro è Santa Barbara beata,<br />
il sei è San Nicolò che va per via<br />
Reg. Trib. Livorno n. 451 del 6/3/1987<br />
Direzione, Redazione,<br />
Amministrazione e Stampa:<br />
Editrice «Il Quadrifoglio» S.a.s.<br />
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Photo: Roberto Onorati.<br />
Gli articoli firmati o con pseudonimo riflettono<br />
unicamente le opinioni dell'autore.<br />
Numero chiuso il giorno 30/11/20<strong>17</strong><br />
e il sette è Sant’Ambrogio da Milano,<br />
l’otto Concezion Vergine Maria.<br />
Il nove mi cheto<br />
ché il dieci è la madonna di Loreto.<br />
Il dodici convien che digiuniamo<br />
Perché il tredici abbiamo Santa Lucia.<br />
Il ventuno, San Tummé, la chiesa canta<br />
e il venticinque abbiam la Pasqua Santa.<br />
Il ventotto sono l’Innocentini,<br />
finite le feste, finiti i quattrini!<br />
Un presepio con la borraccina<br />
Ma intanto faceva freddo, le giornate<br />
si scorciavano giorno per<br />
giorno e i ragazzi, obbligati a rimaner<br />
in casa, occupavano il<br />
tempo con il pensiero della letterina<br />
di Natale, giocando e cuocendo<br />
anellini di farina di castagne<br />
usando il ditale ed il caldano<br />
della nonna e fantasticando<br />
sui regali che avrebbero voluto<br />
riceve. Andavano presto a letto,<br />
più presto del solito, sognando<br />
nuove architetture e nuovi<br />
personaggi per la loro capannuccia.<br />
La piazza Cavallotti<br />
e altre<br />
piazze rionali<br />
erano la scena<br />
dei loro sogni.<br />
Di numerosi<br />
banchi, illuminati<br />
con l’acetilene,<br />
erano<br />
pieni, ricolmi di<br />
angeli, di stelle<br />
comete, Re<br />
Magi e pastori<br />
curvi sotto il<br />
peso dei doni<br />
che portavano<br />
al Bambin<br />
Gesù: alcuni<br />
portavano un<br />
agnellino, altri alcune focacce e<br />
altri ancora, deposto il carico<br />
schiacciante, erano in ginocchio<br />
con il cappello in mano in atteggiamento<br />
di rispetto e devozione.<br />
Tutto intorno si respirava un fresco<br />
profumo di bosco. Era la<br />
borraccina che sarebbe servita<br />
per costruire prati e strada su<br />
tutta la scena della capannuccia.<br />
Tutto il periodo natalizio era un<br />
fervore incessante di fantasticherie<br />
per progettare una capannuccia<br />
migliore di quella dell’anno<br />
precedente.<br />
Quel profumo di bosco che per<br />
giorni aveva invaso le piazze finalmente<br />
si faceva sentire anche<br />
nelle case e si mescolava a quello<br />
delle arance e dei mandarini,<br />
frutta ricercata e quasi emblematica<br />
del Natale; anche senza fichi<br />
secchi non era un vero Natale.<br />
Poi, il 24 dicembre, nel cuore della<br />
notte uno scampanio festeggiante<br />
ripeteva l’eterno invito<br />
di quell’antico osanna a Dio ed<br />
augurio di pace agli uomini di<br />
buona volontà.<br />
In cucina, il grande protagonista<br />
del pranzo di Natale era il<br />
cappone, anche se un colto cronista<br />
di oltre cento anni fa, parafrasando<br />
il “Natale”, l’inno sacro<br />
del grande Manzoni, scriveva:<br />
Dormi o Fanciul non piangere,<br />
dormi o Fanciul celeste:<br />
mandaci fiaschi e papere<br />
per queste sante feste!<br />
Ma invece delle papere giunsero<br />
i… capponi! Dai primi di dicembre<br />
fino a poche ore prima<br />
della vigilia il canto del gallo o<br />
lo schiamazzar delle galline si<br />
poteva udire anche nelle case<br />
di città. C’era, infatti, l’abitudine<br />
di ordinare il cappone in campagna,<br />
magari alla gabbrigiana<br />
e assicurarselo in tempo, bello<br />
e vivo.<br />
Oh, il Natale di una volta quando<br />
papà Natale non lo conosceva<br />
quasi nessuna e i doni li portava<br />
quasi in esclusiva la befana!<br />
I vecchi identificavano la<br />
loro età con il numero dei capponi<br />
mangiati, cioè dei ceppi<br />
vissuti.<br />
A proposito di cappone, un sonetto<br />
del Sor Cesare si conclude<br />
con questi versi:<br />
E poi… lassamo ‘andà, mondo birbone,<br />
vi riordate cor un po’ di sale<br />
com’era bono a ceppo quer cappone!<br />
Bambini ad un banco di Piazza Cavallotti a scegliere le statuine per iol presepio.