15.07.2020 Views

la-mano-scarlatta

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.


Il libro

“UAlec ha perduto suo fratello e io il mio amico, e tutti

ltimamente abbiamo combauto una grande guerra

che ha evitato la catastrofe a tutto il genere umano.

e due abbiamo veramente bisogno di staccare. Voglio fare

qualcosa di carino per lui, e insieme a lui. Voglio prendere le

distanze dal casino che sono le nostre esistenze e capire se

riusciamo a trovare un modo per stare davvero insieme.”

Tutto ciò che desiderava Magnus Bane era una vacanza. Un

sontuoso e romantico viaggio per tutta Europa insieme ad Alec

Lightwood, lo Shadowhunter che, contro ogni previsione, è

diventato finalmente il suo compagno. All’affascinante ed

enigmatico stregone non sembra di chiedere poi molto. Ma a

pochi giorni dal loro arrivo a Parigi, la coppia viene raggiunta da

una vecchia amica che porta loro notizie inquietanti. A quanto

pare un culto demoniaco chiamato La Mano Scarlatta sta

seminando il caos in tutto il mondo. Un culto che, da quel che si

dice in giro, è stato Magnus stesso a fondare, tantissimi anni

prima, per scherzo. Ora però ha un nuovo leader, che l’ha

trasformato completamente e che sta compiendo una massiccia

opera di reclutamento.

A questo punto, Magnus e Alec sono costretti a scapicollarsi da

una parte all’altra dell’Europa per scovare La Mano Scarlatta e il

suo capo, sfuggente a dir poco, prima che possano causare

ulteriori, e irreparabili, danni.

Via via che la loro ricerca di risposte diventerà sempre più

pressante, saranno costretti a fidarsi l’uno dell’altro più di quanto

non abbiano mai fatto prima, anche se ciò significherà rivelare i

loro segreti più nascosti.

Un nuovo sguardo sul multiforme e straordinario mondo

Shadowhunters con protagonista uno dei personaggi più amati.


Gli autori

Cassandra Clare è nata a Teheran e ha vissuto i primi anni della

sua vita in giro per il mondo con la famiglia, trascinandosi

sempre dietro bauli di libri. Dopo aver lavorato come giornalista

tra Los Angeles e New York, ora si è fermata a Brooklyn dove,

per non farsi distrarre dai gatti e dalla TV, scrive i suoi libri nei

bar e nei ristoranti.

La saga ha ispirato un film per il cinema e una serie TV. Tutti i

suoi libri sono pubblicati da Mondadori. Questo è il primo

romanzo della nuova serie dedicata a Magnus Bane.

Wesley Chu è uno scrittore americano vincitore di premi letterari

per i suoi romanzi young adult e di science fiction.


Cassandra Clare

Wesley Chu

The Eldest Curses

SHADOWHUNTERS

La mano scarlatta

Traduzione di Sara Puggioni


LA MANO SCARLATTA

Perché tutti meritano una grande storia d’amore

C.C.

L’amore, la più grandiosa delle avventure

W.C.


Desiderare l’immortalità è desiderare la perpetuazione in eterno di

un grande errore.

ARTHUR SCHOPENHAUER

Ora m’è chiaro il mistero della tua solitudine.

WILLIAM SHAKESPEARE


Parte prima

CITTÀ DELL’AMORE

A Parigi, non puoi sfuggire al passato.

ALLEN GINSBERG


1

Collisione a Parigi

Dall’alto della Tour Eiffel la città si stendeva ai piedi di Magnus Bane

e Alec Lightwood come un dono. Le stelle ammiccavano, quasi

sapessero di avere dei rivali, le strade pavimentate erano rivoli d’oro e

la Senna un nastro argenteo avvolto attorno a una scatola in filigrana

di cioccolatini. Parigi, città dei boulevard e dei bohémien, degli amanti

e del Louvre.

Parigi era anche stata teatro di molte delle disavventure più

imbarazzanti e dei complotti più improbabili di Magnus, nonché di

parecchi disastri amorosi, ma in quel momento il passato non aveva

importanza.

Questa volta Magnus era deciso a prendere Parigi dal verso giusto.

Nei quattrocento anni che aveva passato a girare il mondo aveva

imparato che ovunque si andasse quel che contava era la compagnia.

Guardò Alec Lightwood seduto al tavolino di fronte a lui, intento a

scrivere cartoline alla famiglia dimentico dello splendore e del fascino

di Parigi, e sorrise.

Alec concludeva ogni cartolina scrivendo Vorrei che foste qui. E tutte

le volte Magnus gliela prendeva di mano e aggiungeva Ma non sul

serio con uno svolazzo.

Alec scriveva ingobbito sul tavolino, con le ampie spalle incurvate.

Le braccia muscolose erano ricoperte di rune e sulla gola, appena sotto

la linea della mascella, ce n’era una che stava già sbiadendo. Una

ciocca dei capelli neri perennemente in disordine gli ricadeva sugli

occhi. Magnus provò l’impulso fugace di allungare una mano per

sistemargliela, ma si trattenne. Certe volte Alec era a disagio con le

manifestazioni d’affetto in pubblico. Non c’erano Shadowhunters nei

paraggi, ma non era affatto scontato che gli umani normali


accettassero senza problemi comportamenti del genere. Anche se

Magnus avrebbe voluto che fosse così.

«Pensieri profondi?» gli chiese Alec.

Magnus sbuffò ironico. «Cerco di non averne.»

Godersi la vita era fondamentale, ma certe volte era una faticaccia.

Programmare il viaggio perfetto in Europa non era stata una

passeggiata. Magnus era stato costretto a tirar fuori una serie di idee

brillanti da solo. Poteva soltanto immaginare cosa sarebbe stato

descrivere le sue richieste un po’ particolari a un’agente di viaggio.

“Ha in mente qualcosa?” gli avrebbe chiesto la donna, rispondendo

al telefono.

“La prima vacanza con il mio nuovo ragazzo” avrebbe potuto

spiegare Magnus, visto che era una conquista recente poter dire ai

quattro venti che usciva con Alec, e a lui piaceva vantarsi.

“Nuovissimo. Così nuovo che abbiamo ancora quella puzza di

automobile appena uscita dal concessionario.”

Così nuovo che stavano ancora imparando a conoscersi, ogni

sguardo e ogni tocco un passo in un territorio meraviglioso e strano al

tempo stesso. Delle volte si sorprendeva a guardare Alec, o coglieva

Alec che lo osservava, ed era come essere abbagliati da un lampo.

Quasi che ciascuno di loro avesse scoperto qualcosa di inaspettato

eppure infinitamente desiderabile. Non erano ancora sicuri uno

dell’altro, ma volevano esserlo.

O almeno, era quello che Magnus voleva.

“È una classica storia d’amore. L’ho conosciuto a una festa, lui mi

ha chiesto di uscire, poi abbiamo combattuto fianco a fianco un’epica

battaglia magica tra il bene e il male e adesso abbiamo bisogno di una

vacanza. Sa, il fatto è che lui è uno Shadowhunter” avrebbe detto.

“Come, scusi?” avrebbe chiesto l’immaginaria agente di viaggio.

“Oh, sa com’è. All’epoca il mondo stava per cadere nelle mani dei

demoni. Pensi al Black Friday, solo con più fiumi di sangue e qualche

ululato di disperazione in meno. Come accade in tempi bui ai nobili e

giusti – cioè, non a me – arrivò un Angelo. L’Angelo diede ai suoi

guerrieri eletti e a tutti i loro discendenti il potere angelico di

difendere il genere umano. Diede loro anche un paese segreto.


L’Angelo Raziel era generoso. Gli Shadowhunters continuano la loro

battaglia ancora oggi, protettori invisibili, splendenti e virtuosi, la

definizione non ironica di ‘santarelli’. È estremamente seccante. Sono

davvero santi! Di sicuro più di me, visto che sono di stirpe

demoniaca.”

Neanche Magnus riusciva a immaginare cos’avrebbe replicato a

questo l’agente di viaggio. Probabilmente si sarebbe limitata a gemere

in preda allo sconcerto.

“Non l’avevo detto?” avrebbe proseguito Magnus. “Esistono esseri

molto diversi dagli Shadowhunters: ci sono anche i Nascosti. Alec è

un figlio dell’Angelo e appartiene a una delle famiglie più antiche di

Idris, la patria dei Nephilim. Sono sicuro che i suoi genitori non

avrebbero fatto i salti di gioia al vederlo andarsene in giro per New

York al seguito di una fata, un vampiro o un lupo mannaro. Sono

anche certo che avrebbero preferito una di quelle creature a uno

stregone. I miei pari sono considerati gli esseri più pericolosi e sospetti

nel Mondo Invisibile. Siamo i figli dei demoni e io sono la progenie

immortale di un famigerato Demone Superiore, anche se potrei

essermi scordato di dirlo al mio ragazzo. Gli Shadowhunters

rispettabili non portano a casa gente della mia risma per presentarli a

mamma e papà. Ho un passato. Ho parecchi passati. E poi, i bravi

ragazzi Shadowhunters non portano a casa fidanzati, punto e basta.”

E invece Alec lo aveva fatto. Aveva baciato Magnus sulla bocca nel

bel mezzo della sala dei suoi antenati sotto gli occhi di tutti i Nephilim

presenti. Era stata la sorpresa più bella e toccante di tutta la lunga vita

di Magnus.

“Ultimamente abbiamo combattuto una grande guerra che ha

evitato la catastrofe a tutto il genere umano. Non che ce ne siano grati,

dato che non ne hanno idea. Non abbiamo ricevuto in cambio gloria

né un adeguato compenso economico, e abbiamo subìto perdite

indescrivibili. Alec ha perduto suo fratello e io il mio amico, e tutti e

due abbiamo veramente bisogno di staccare. Temo che la cosa più

simile a un regalo che Alec si sia mai concesso è l’acquisto di una

nuova spada scintillante. Voglio fare qualcosa di carino per lui, e

insieme a lui. Voglio prendere le distanze dal casino che sono le nostre


esistenze e capire se riusciamo a trovare un modo per stare davvero

insieme. Ha un itinerario da suggerirmi?”

L’agente di viaggio gli metteva giù il telefono persino nella sua

immaginazione.

No, Magnus si era visto costretto a pianificare una fuga europea

romantica tutto da solo. Ma lui era Magnus Bane, affascinante ed

enigmatico. Poteva farcela con stile. Un guerriero scelto dagli angeli e

il figlio ben vestito di un demone, innamorati e lanciati in

un’avventura per l’Europa. Cosa poteva andare storto?

Pensando alla questione dello stile, Magnus inclinò sulle ventitré il

suo basco rosso. Alec notò il movimento, alzò la testa e rimase a

fissarlo.

«Allora, dopo tutto lo vuoi un basco?» chiese Magnus. «Basta dirlo.

Guarda caso, ne ho diversi qui con me. Di tutti i colori. Sono una

cornucopia di baschi.»

«Mi sa che farò ancora a meno del basco» disse Alec. «Ma grazie lo

stesso.» Gli angoli della bocca si curvarono all’insù in un sorriso

esitante ma reale.

Magnus appoggiò il mento sulla mano. Voleva assaporare quel

momento con Alec, la luce delle stelle e le promesse di Parigi, e

conservarlo dentro di sé per ripensarci in futuro. Sperava che in

seguito il ricordo non sarebbe stato doloroso.

«A cosa pensi?» gli chiese Alec. «Sul serio.»

«Sul serio» rispose Magnus. «A te.»

Alec parve stupito all’idea che Magnus stesse pensando a lui.

Sorprenderlo era facile e al tempo stesso difficile: la vista e i riflessi

degli Shadowhunters non erano uno scherzo. Che spuntasse da dietro

un angolo o nel letto che dividevano – solo per dormire, per ora,

finché o se Alec avesse voluto qualcos’altro – Alec lo anticipava

sempre. Eppure poteva essere colto alla sprovvista da una cosa

insignificante come sapere di essere nei pensieri di Magnus.

In quel momento Magnus rifletté che era davvero ora che Alec

avesse una bella sorpresa. E guarda caso lui ne aveva giusto pronta

una.

Parigi era la prima tappa del loro viaggio. Forse era un cliché


cominciare una vacanza romantica in Europa nella città dell’amore,

ma Magnus era convinto che i classici fossero tali per un motivo.

Erano lì da quasi una settimana e Magnus sentì che era giunto il

momento di imprimere alle cose il proprio tocco personale.

Alec terminò l’ultima cartolina e Magnus allungò la mano per

prenderla, poi la lasciò ricadere. Lesse quello che aveva scritto Alec e

sorrise, affascinato e stupito.

Nella cartolina per la sorella, Alec aveva aggiunto: Ma non sul serio

di suo pugno. Scoccò a Magnus un sorrisetto.

«Pronto per la prossima avventura?» chiese Magnus.

Alec parve incuriosito, ma ribatté: «Intendi il cabaret? I biglietti

sono per le nove. Dovremmo controllare quanto ci vuole ad arrivarci

da qui».

Era chiaro che Alec non aveva mai fatto una vacanza come si deve.

Continuava a cercare di programmare le giornate come se stessero per

andare in battaglia.

Magnus agitò pigramente una mano, come per scacciare una

mosca. «C’è sempre tempo per l’ultimo spettacolo al Moulin Rouge.

Girati.»

Indicò alle spalle dello Shadowhunter. Alec si voltò.

Una mongolfiera dipinta a brillanti strisce viola e blu veleggiava

verso la Tour Eiffel, ballonzolando instabile al vento di traverso. Al

posto della cesta, c’era una piattaforma di legno sospesa a quattro

corde, con sopra un tavolo e due sedie. Il tavolo era apparecchiato per

due e al centro c’era un vaso sottile con dentro una rosa. Il tutto era

completato da un candelabro a tre bracci, anche se il vento che

soffiava intorno alla Tour Eiffel continuava a spegnere le candele.

Irritato, Magnus fece schioccare le dita e le tre candele si riaccesero.

«Uh» fece Alec. «Sei capace di far volare una mongolfiera?»

«Certo!» dichiarò Magnus. «Ti ho mai raccontato della volta che ho

rubato un pallone aerostatico per salvare la regina di Francia?»

Alec sogghignò come se Magnus stesse scherzando. Magnus

ricambiò il sorriso. Maria Antonietta era stata davvero una bella gatta

da pelare.

«È solo» disse Alec, meditabondo «che non ti ho mai visto guidare


neanche un’auto.»

Si alzò in piedi per ammirare la mongolfiera, che un sortilegio

rendeva invisibile. Per quanto riguardava i mondani che li

circondavano, Alec stava fissando solennemente il vuoto.

«So guidare. So anche volare, pilotare e manovrare qualunque

veicolo tu voglia. Non credo proprio che farò schiantare il pallone

contro un comignolo» protestò Magnus.

«Uh uh» fece Alec, aggrottando la fronte.

«Sembri perso nei tuoi pensieri» gli fece notare Magnus. «Stai

pensando a quanto sia affascinante e romantico il tuo ragazzo?»

«Sto pensando» disse Alec «a come proteggerti se ci schiantiamo

contro un comignolo.»

Passandogli accanto, Alec si fermò e scostò una ciocca di capelli

dalla fronte di Magnus. Il tocco fu lieve, tenero ma casuale, come se

non fosse veramente consapevole di quel gesto. Magnus non si era

neanche accorto di avere una ciocca di capelli sugli occhi.

Abbassò la testa e sorrise. Era strano che qualcuno si occupasse di

lui, ma pensò che forse ci si sarebbe potuto abituare.

Magnus usò un incantesimo per distogliere da loro gli sguardi dei

mondani, poi montò sulla sedia per salire sulla piattaforma

ondeggiante. Non appena mise i piedi sul legno, ebbe la sensazione di

stare su un terreno solido. Allungò la mano. «Fidati di me.»

Alec esitò, poi prese la mano che Magnus gli tendeva. La stretta era

salda e il sorriso dolce. «Mi fido.»

Seguì Magnus, volteggiando senza sforzo sopra la ringhiera e

atterrando sulla piattaforma. Sedettero al tavolo e il pallone si sollevò

beccheggiando come una barchetta nell’oceano agitato, allontanandosi

inosservato dalla Tour Eiffel. Qualche momento dopo fluttuavano

altissimi sopra gli edifici mentre Parigi si stendeva sotto di loro in

tutte le direzioni.

Magnus osservò Alec ammirare la città da trecento metri d’altezza.

Era già stato innamorato, ed era già finita male. Aveva sofferto e

imparato a superare il dolore. Tante volte.

Altri amanti gli avevano detto che era impossibile prenderlo sul

serio, che era terrificante, che era troppo, che non era abbastanza.


Magnus avrebbe potuto deludere Alec. Probabilmente lo avrebbe

fatto.

Se i sentimenti di Alec non fossero durati, voleva che almeno quel

viaggio fosse un bel ricordo. Sperava che fosse la base per qualcosa di

più, ma se si fosse rivelato solo un’avventura fugace, Magnus avrebbe

fatto in modo che lasciasse il segno.

Il bagliore cristallino della Tour Eiffel si allontanò. Non ci si

aspettava che durasse neanche lei. Eppure eccola lì, il simbolo della

città.

Arrivò un’improvvisa raffica di vento; la piattaforma si inclinò e la

mongolfiera precipitò di una quindicina di metri, roteando su se

stessa diverse volte prima che Magnus facesse un gesto enfatico per

raddrizzarla.

Alec gli lanciò un’occhiata perplessa, aggrappandosi ai braccioli

della sedia. «Com’è che controlli quest’affare?»

«E chi lo sa!» rispose Magnus allegramente. «Uso la magia e basta!»

Il pallone aerostatico sorvolò l’Arc de Triomphe sfiorandolo di

pochi centimetri e virò bruscamente in direzione del Louvre,

abbassandosi sui tetti degli edifici.

Magnus non era tranquillo come voleva sembrare. C’era un

ventaccio della malora. Tenere il pallone dritto e stabile, farlo muovere

nella direzione giusta e mantenerlo invisibile gli costava più fatica di

quanto non fosse disposto ad ammettere. E doveva ancora servire la

cena. E gli toccava continuare a riaccendere le candele.

Le storie d’amore richiedevano un mucchio di lavoro.

Sotto di loro foglie scure ricoprivano i muri di mattoni lungo la

sponda del fiume e i lampioni mandavano bagliori rosa, arancio e blu

in mezzo agli edifici intonacati di bianco e alle stradine acciottolate.

Dall’altro lato della mongolfiera c’era il Giardino delle Tuileries, con il

laghetto di forma circolare che li fissava come un occhio, e la piramide

di vetro del Louvre, attraversata da un fascio di luce rossa. A Magnus

venne in mente d’un tratto quando la Comune di Parigi aveva

incendiato le Tuileries, la cenere che si innalzava nell’aria e il sangue

sulla ghigliottina. Quella città portava i segni di una lunga storia e di

antiche sofferenze; Magnus sperava che lo sguardo innocente di Alec


avrebbe cancellato tutto.

Schioccò le dita e sul tavolo si materializzò un secchiello del

ghiaccio con una bottiglia in fresco. «Champagne?»

Alec si alzò di scatto. «Magnus, lo vedi quel pennacchio di fumo

laggiù? È un incendio?»

«È un no allo champagne?»

Lo Shadowhunter indicò un viale che correva parallelo alla Senna.

«C’è qualcosa di strano in quel fumo. Si muove controvento.»

Magnus agitò la sua flûte di champagne. «Niente che i pompiers non

possano gestire.»

«Adesso il fumo sta saltando da un tetto all’altro. Ha appena

svoltato a destra. Ora si è nascosto dietro un camino.»

Magnus fece una pausa. «Scusa?»

«Okay, il fumo ha appena saltato da rue des Pyramides.» Alec

strizzò gli occhi.

«Riconosci rue des Pyramides da quassù?»

Alec guardò Magnus, stupito. «Ho studiato le mappe della città con

molta attenzione prima di partire» disse. «Per prepararmi.»

A Magnus venne ricordato di nuovo che Alec si era preparato per

una vacanza come se si accingesse a partire per una missione da

Shadowhunter, perché era la sua prima vacanza in assoluto. Lanciò

un’occhiata allo spesso pennacchio di fumo nero che si innalzava nel

cielo notturno, sperando che Alec si sbagliasse e che potessero tornare

alla loro seratina romantica. Ma purtroppo Alec non si sbagliava: la

nuvola era troppo nera e troppo compatta; i pennacchi si estendevano

nell’aria come tentacoli, ignorando bellamente il vento che avrebbe

dovuto disperderli. Sotto i vortici di fumo intravide un bagliore

improvviso.

Alec era sul bordo della piattaforma e si sporgeva pericolosamente.

«Ci sono due persone che inseguono il… quella cosa di fumo. Mi pare

che quelle siano spade angeliche. Sono Shadowhunters.»

«Evviva, Shadowhunters» commentò Magnus. «I presenti sono

esclusi dal mio sarcastico “evviva”, ovviamente.»

Si alzò in piedi e con un gesto deciso fece scendere rapidamente il

pallone, ammettendo un po’ a malincuore la necessità di dare


un’occhiata più da vicino. Non aveva la vista acuta come quella di

Alec, potenziata dalle rune, ma sotto il fumo distinse quasi subito due

sagome scure che correvano a perdifiato sui tetti di Parigi.

Magnus vide il volto di una donna rivolto verso il cielo, di un

luminoso pallore perlaceo. La lunga treccia frustava l’aria dietro di lei,

ondeggiando come un serpente argento e oro, mentre i due

Shadowhunters erano slanciati all’inseguimento.

Il fumo si abbassò mulinando sopra un isolato di edifici

commerciali e aleggiò su una stradina, poi si riversò in un

condominio, zigzagando tra lucernari, tubature e condotti di

ventilazione, sempre con gli Shadowhunters alle calcagna che

menavano fendenti ai neri tentacoli troppo vicini a loro. All’interno

dell’oscuro vortice di fumo brulicavano coppie di luci gialle come

quelle delle lucciole.

«Demoni Iblis» borbottò Alec, prendendo l’arco e incoccando una

freccia. Magnus si era lasciato sfuggire un gemito quando si era

accorto che Alec aveva intenzione di portare con sé l’arco a cena.

«Quando mai dovrai usare arco e frecce alla Tour Eiffel?» aveva

commentato, ma Alec aveva sorriso con gentilezza, si era stretto nelle

spalle, e si era assicurato l’arma sulla schiena.

Magnus sapeva che era inutile suggerire di lasciare che fossero gli

Shadowhunters parigini a occuparsi della seccante faccenda dei

demoni, qualunque essa fosse. Alec era incapace di lasciar perdere

una buona causa. Era una delle sue qualità più affascinanti.

Adesso stavano sfiorando i tetti. La piattaforma oscillava

pericolosamente mentre Magnus schivava camini, cavi elettrici e

lucernari.

Il vento era molto forte. Magnus aveva la sensazione di lottare

contro il cielo intero. Il pallone ondeggiò da una parte all’altra e il

secchiello dello champagne si rovesciò. Evitò per un pelo di

schiantarsi contro un alto comignolo, mentre guardava la bottiglia

rotolare oltre il bordo della piattaforma e si fracassava sul tetto

sottostante in un’esplosione di schegge di vetro e schiuma.

Stava per fare un commento su quel triste spreco di champagne.

«Mi spiace per lo champagne» lo prevenne Alec. «Spero non fosse


una delle tue bottiglie più costose.»

Magnus si mise a ridere. Alec lo aveva anticipato, un’altra volta.

«Solo bottiglie di prezzo medio per brindare su una piattaforma

sospesa a trecento metri d’altezza.»

Sovracompensò per il vento un filo di troppo e la piattaforma

oscillò pericolosamente nell’altra direzione come un pendolo,

mancando per un pelo di fare un buco in un gigantesco cartellone

pubblicitario. Si affrettò a raddrizzare il pallone e controllò la

situazione in basso.

Lo sciame di demoni Iblis si era diviso in due e aveva accerchiato

gli Shadowhunters sul tetto sottostante. La sfortunata coppia era in

trappola, anche se entrambi continuavano a combattere

valorosamente. La donna con i capelli chiari si muoveva come un

fulmine messo all’angolo. Il primo Iblis che le si scagliò contro fu

abbattuto da un fendente della spada angelica, come pure il secondo e

il terzo. Ma erano troppi. Mentre Magnus osservava la scena un

quarto demone si lanciò contro la donna, gli occhi brillanti che

sfolgoravano nell’oscurità.

Magnus diede un’occhiata ad Alec, che gli fece un cenno con la

testa. Usò una grande quantità di magia per tenere il pallone

perfettamente immobile, giusto un attimo. Alec scoccò la prima

freccia.

Il demone non arrivò mai alla Shadowhunter. Il luccichio degli

occhi si spense mentre il suo corpo di fumo si dissolveva, lasciando

nient’altro che un dardo conficcato nel tetto. La stessa sorte toccò ad

altri tre demoni.

Le mani di Alec si muovevano così in fretta che era impossibile

seguirne il ritmo, mentre incoccava una freccia dopo l’altra. Tutte le

volte che un paio d’occhi demoniaci si posavano sugli

Shadowhunters, un dardo li raggiungeva prima che potessero arrivare

a loro.

Era un vero peccato che Magnus dovesse dedicare la propria

attenzione a controllare gli elementi, anziché ammirare il suo ragazzo.

La retroguardia dei demoni si girò verso la nuova minaccia

proveniente dal cielo. Tre di loro smisero di attaccare gli


Shadowhunters e si slanciarono verso il pallone. Due furono abbattuti

dalle frecce prima di poter arrivare alla piattaforma, ma Alec era in

ritardo sul terzo. Il demone, con le fauci spalancate a rivelare una fila

di affilati denti neri, lo attaccò.

Ma Alec aveva già lasciato cadere l’arco e impugnava una spada

angelica. «Puriel» disse e l’arma si illuminò del potere angelico. Le

rune tracciate sul corpo scintillarono mentre lui affondava la lama nel

demone, staccandogli la testa dal corpo. La creatura si disintegrò in

cenere nera.

Un altro gruppo di demoni raggiunsero la piattaforma e andarono

incontro alla stessa sorte. Era questo che facevano gli Shadowhunters,

ciò per cui Alec era nato. Il suo corpo aggraziato e veloce era un’arma,

uno strumento perfezionato per uccidere i demoni e proteggere coloro

che amava. Alec era bravissimo in entrambe le cose.

Le abilità di Magnus riguardavano più la magia e il gusto per

l’eleganza. Intrappolò un demone in una rete di elettricità e ne tenne

un altro a distanza con una barriera invisibile fatta di vento. Alec

uccise il demone che Magnus teneva a bada, poi colpì quello bloccato

più in basso. A quel punto la donna con i capelli chiari e il suo

compagno non avevano più niente da fare. Erano in piedi in mezzo a

un vortice di cenere fumante e distruzione, e sembravano un po’

spersi.

«Prego!» disse Magnus rivolgendo loro un cenno. «È gratis!»

«Magnus» disse Alec. «Magnus!»

Prima ancora dello scossone della piattaforma sotto i piedi, fu il

tono allarmato della voce di Alec a far sì che Magnus si accorgesse che

il vento gli era sfuggito di mano. Fece un ultimo e inutile gesto

frenetico mentre Alec si precipitava verso di lui, proteggendolo con il

proprio corpo.

«Preparati a…» gli urlò nell’orecchio, mentre il pallone scendeva

sbandando verso il suolo, più precisamente verso il tendone

all’ingresso di un teatro con la parola CARMEN scritta in brillanti

lampadine gialle.

Magnus faceva sempre del suo meglio per essere spettacolare.

E quello schianto lo fu.


2

Le stelle dicono il tuo nome

Proprio mentre la piattaforma stava per schiantarsi contro la lettera R,

Alec afferrò Magnus per la manica, se lo tirò addosso in un abbraccio

rude e saltò giù dalla piattaforma. Il cielo e la città si scambiarono di

posto mentre il mondo si metteva a vorticare. Magnus non capiva

dove stesse l’alto e dove il basso, finché la dura realtà del basso si fece

sentire sotto forma di una gran botta. Per un attimo vide nero, poi si

ritrovò sdraiato sull’erba tra le braccia di Alec.

Magnus batté le palpebre per rimettere a fuoco la vista, giusto in

tempo per vedere il pallone schiantarsi contro il tendone, provocando

un’impressionante esplosione di scintille e schegge. La fiamma che

l’aveva tenuto in aria ondeggiò e il pallone si sgonfiò velocemente,

prendendo fuoco insieme al tendone.

La folla si stava già assiepando dall’altra parte della strada per

fissare a bocca aperta la scena. Iniziò a sentirsi l’ululato inconfondibile

delle sirene della polizia di Parigi, che crebbe rapidamente d’intensità.

Certe cose non si potevano far svanire con un incantesimo.

Due mani forti lo rimisero in piedi. «Tutto a posto?»

Strano a dirsi, non si era fatto niente. A quanto pareva, cadere

senza danni da altezze assurde era una delle molte abilità degli

Shadowhunters. Magnus rimase più scosso dall’espressione

preoccupata di Alec che dallo schianto. Si ritrovò a lanciarsi

un’occhiata alle spalle per vedere a chi era veramente rivolto quello

sguardo, incapace di credere che fosse indirizzato a lui.

Magnus schivava la morte da secoli. Non era abituato al fatto che

qualcuno si preoccupasse granché del fatto che l’aveva scampata per

un pelo.

«Non posso lamentarmi» rispose, sistemandosi i polsini. «Se lo


facessi, sarebbe solo per attirare l’attenzione di un gentiluomo

affascinante.»

Per fortuna la Carmen non andava in scena quella sera, per cui

sembrava non ci fossero feriti. Si rimisero in piedi e guardarono il

disastro. Grazie al cielo erano invisibili alla folla sempre più

numerosa, che non ci avrebbe messo molto a chiedersi perplessa per

quale motivo a bordo della mongolfiera non c’era nessuno.

D’improvviso l’aria divenne come immobile, poi il tendone si afflosciò

scricchiolando, mentre il fuoco finiva di divorare i sostegni e la

struttura cedeva, sollevando un nuovo pennacchio di fumo misto a

scintille. Parecchi degli astanti arretrarono prudenti, senza però

smettere di scattare foto.

«Devo ammettere» disse Magnus, tormentando un lembo strappato

della camicia che svolazzava al vento, «che la serata non sta andando

esattamente come previsto.»

Alec aveva un’espressione avvilita. «Mi spiace di aver rovinato la

nostra serata.»

«Non è rovinata. La notte è giovane e le prenotazioni valgono

ancora» disse Magnus. «Il teatro riceverà una generosa donazione da

un anonimo benefattore per effettuare le riparazioni necessarie dopo

questo strano incidente. Quanto a noi, stiamo per goderci una

passeggiata notturna nella città più romantica del mondo. A me

sembra una serata perfetta. Il male è stato sconfitto, il che non guasta.»

Alec aggrottò la fronte. «Vedere così tanti demoni Iblis tutti insieme

è insolito.»

«Dobbiamo lasciare all’Istituto di Parigi qualcosa con cui divertirsi.

Sarebbe inopportuno da parte nostra monopolizzare tutto il male da

combattere. E poi, siamo in vacanza. Carpe diem. Cogli l’attimo, non i

demoni.»

Alec abbozzò, con un’alzata di spalle e un sorrisino.

«E poi, sei magnifico con quell’arco, ed è una cosa molto, molto

affascinante» aggiunse Magnus. Dal suo punto di vista, Alec aveva

bisogno di più complimenti, e parve colto alla sprovvista, ma non

contrariato. «Benissimo. Ora. Vestiti nuovi. Se una delle fate di Parigi

mi vede conciato in questo modo, la mia reputazione sarà rovinata per


un secolo.»

«Non so» commentò Alec timidamente. «A me così piaci.»

Magnus si illuminò, ma non cambiò idea. Non aveva certo

fantasticato che a strappargli i vestiti di dosso in quel viaggio sarebbe

stato lo schianto di un pallone aerostatico. Una puntata in rue Saint-

Honoré, dunque, per rinnovare il guardaroba.

Entrarono in diversi negozi aperti fino a tardi o che si fecero

convincere ad aprire per uno stimato cliente di lunga data. Magnus

scelse una giacca rossa di velluto a motivo cachemire da indossare

sopra una camicia pieghettata rosso ruggine, mentre Alec non fu

persuaso ad acquistare niente di più elaborato che una felpa a righe

scure con il cappuccio e un giubbotto di pelle di taglia abbondante e

con un po’ troppe cerniere.

Sbrigata la faccenda, Magnus fece qualche telefonata e comunicò

compiaciuto ad Alec che avrebbero cenato al tavolo dello chef in A

Midsummer Night’s Dining, il ristorante delle fate più in voga della

città.

Da fuori non era niente di che, con una facciata antiquata di

mattoni e intonaco. All’interno ricordava una caverna del Regno delle

Fate. Il pavimento era coperto da lussureggiante muschio verde

smeraldo, e le pareti e il soffitto erano fatti di pietre irregolari come

quelle di una grotta. I rampicanti spuntavano dagli alberi come

serpenti, insinuandosi tra i tavoli, e parecchi clienti stavano dando la

caccia alla cena, dato che il cibo era levitato dai piatti e si dava alla

fuga.

«Mi dà sempre una strana sensazione ordinare piatti delle fate al

ristorante» disse Alec meditabondo, dopo che ebbero chiesto

l’insalata. «Voglio dire, a New York lo faccio di continuo, ma quei

posti li conosco. Il Codice degli Shadowhunters dice di non mangiare mai

cibo delle fate, per nessuna ragione.»

«Questo posto è sicurissimo» replicò Magnus, addentando una

delle foglie che cercava di strisciargli fuori dalla bocca. «Più o meno. A

patto che paghiamo, non è considerata un’offerta, ma un acquisto. È la

transazione economica a fare la differenza. È una linea sottile, ma

d’altra parte non è sempre così con il Popolo Fatato? Non lasciar


scappare l’insalata!»

Alec si mise a ridere e piantò la forchetta nella sua caprese. Di

nuovo quei riflessi fulminei da Shadowhunter, notò Magnus.

Era sempre stato attento a ridurre al minimo le interazioni dei suoi

amanti mondani con il Mondo Invisibile. Per la loro sicurezza e per la

loro tranquillità mentale. E pensava che anche gli Shadowhunters

volessero avere meno contatti possibile con quel mondo. Stavano in

disparte, dichiarando di non essere mondani ma neanche Nascosti…

una terza categoria, piuttosto, distinta e forse anche un pelo migliore.

Ma Alec sembrava contento di essere lì, e non sembrava sconcertato

né da Parigi né dal mondo di Magnus. Magari era felice, come lo era

lui, del semplice fatto di stare insieme.

Mentre uscivano dal ristorante prese Alec sottobraccio, percependo

i muscoli solidi dello Shadowhunter. Alec sarebbe stato pronto a

combattere di nuovo in una frazione di secondo, ma in quel momento

era semplicemente rilassato. Magnus gli si strinse contro.

Svoltarono in quai de Valmy e furono investiti dal vento. Alec

sollevò il cappuccio della felpa, chiuse la cerniera del giubbotto e si

tirò Magnus più vicino. Lui lo guidò mentre camminavano nei

dintorni del Canale Saint-Martin, seguendo il corso d’acqua che faceva

un’ansa. Lungo le sponde passeggiavano delle coppiette e sulla riva

crocchi di persone erano riunite a chiacchierare, sedute su coperte da

picnic. Un tritone con un fedora si era unito a uno dei gruppetti.

Magnus e Alec passarono sotto un ponte pedonale di ferro blu.

Sull’altra sponda del canale l’aria era piena del suono di un violino

accompagnato da percussioni. I mondani di Parigi sentivano il

batterista mortale, ma solo gente come Magnus e Alec riusciva a

vedere e a sentire la fata violinista che gli volteggiava intorno, con

fiori nei capelli che rilucevano come pietre preziose.

Magnus fece allontanare Alec dal canale affollato e imboccò una via

più tranquilla. Una fila di basse case grigie addossate l’una all’altra

era rischiarata dal pallido chiarore lunare che si trasformava in un

caleidoscopio argenteo tra gli alberi scossi dal vento. Svoltavano a

caso, facendosi guidare dall’ispirazione del momento. Magnus

percepiva il sangue scorrergli nelle vene. Si sentiva vivo, vigile.


Sperava che Alec fosse elettrizzato quanto lui.

Il vento freddo gli solleticò la nuca, facendogli formicolare la pelle.

Per un attimo avvertì qualcosa di strano. Una sensazione fastidiosa,

come una presenza. Si fermò di botto e si girò nella direzione da cui

erano venuti.

Osservò le persone passare accanto a loro. La sentiva ancora: occhi

che guardavano, orecchie in ascolto o forse pensieri concentrati su di

lui che aleggiavano nell’aria.

«Qualcosa non va?» gli chiese Alec.

Magnus si accorse di essersi allontanato da Alec, pronto a

fronteggiare la minaccia da solo. Si scrollò di dosso la sensazione di

disagio.

«Cosa potrebbe esserci che non va?» disse. «Sono insieme a te.»

Allungò una mano e intrecciò le dita a quelle di Alec, con il palmo

calloso del compagno premuto contro il suo. Alec era più a suo agio di

notte che durante il giorno. Forse si sentiva meglio quando era

nascosto alla vista anche di coloro che avevano la Vista. Forse tutti gli

Shadowhunters si sentivano più a casa tra le ombre.

Si fermarono appena oltrepassato l’ingresso del Parc des Buttes-

Chaumont. Il bagliore delle luci cittadine conferiva una morbida

tonalità marrone al punto in cui l’orizzonte si fondeva con il nero del

cielo notturno, rischiarato solo dalla luna. Magnus indicò un grappolo

di stelle debolmente luminose alla sua destra. «Quella è Bootes, il

guardiano dell’Orsa, e vicino a lei Corona Boreale ed Ercole.»

«Perché nominare le stelle dovrebbe essere una cosa romantica?»

disse Alec, ma sorrideva. «Guarda, quella è… Dave… il Cacciatore… e

quell’altra… la Rana e… l’Elicottero. Non conosco le costellazioni,

scusa.»

«È romantico perché vuol dire condividere le conoscenze» spiegò

Magnus. «Quello che conosce le stelle insegna a quello che non le

conosce. Questo è romantico.»

Alec disse: «Non credo di avere nulla da insegnarti». Sorrideva

ancora, ma Magnus avvertì una fitta.

«E invece sì» disse. «Cos’hai sul dorso della mano?»

Alec sollevò la mano e la esaminò come se la vedesse per la prima


volta. «È una runa. Le hai già viste.»

«So grossomodo come funziona. Ti disegni le rune sulla pelle e

ottieni dei poteri» disse Magnus. «Ma i dettagli non mi sono chiari.

Illuminami. Il Marchio sulla mano è il primo che hai ricevuto, giusto?»

«Sì» rispose Alec lentamente. «Chiaroveggenza. È la runa che di

solito si mette per prima sugli Shadowhunters bambini, quella che

serve a verificare che siano in grado di portare le rune. E permette di

guardare attraverso gli incantesimi. Cosa che è sempre utile.»

Magnus esaminò la curva ombreggiata di un occhio sulla pelle

chiara di Alec. Gli incantesimi proteggevano i Nascosti. Gli

Shadowhunters avevano bisogno di vedere attraverso gli incantesimi

perché i Nascosti erano potenziali minacce.

Alec non pensava la stessa cosa quando guardava il Marchio sulla

propria mano? O aveva solo abbastanza tatto da non parlarne? Per

proteggere Magnus, come lo aveva protetto nella caduta dal pallone.

Strano, pensò Magnus. Ma tenero.

«E questa?» chiese, ritrovandosi a sfiorare con l’indice la curva del

bicipite di Alec e notando che lui rabbrividiva per l’intimità

inaspettata di quel contatto.

Alec lo guardò negli occhi. «Precisione» disse.

«Allora devo ringraziare lei per la tua abilità con l’arco?» Lo tirò

per la mano e si incontrarono in mezzo al vialetto, sotto la luce

morbida della luna. Magnus si chinò per dargli un bacio sul braccio.

«Grazie» mormorò. «E questa?»

Gli passò la punta delle dita sulla gola. Il respiro tremante di Alec

ruppe l’immobilità della notte. Mise un braccio attorno alla vita di

Magnus e premette il corpo contro il suo, e Magnus gli sentì battere il

cuore attraverso la camicia.

«Equilibrio» disse Alec senza fiato. «Mi mantiene saldo.»

Magnus chinò la testa e posò delicatamente le labbra sulla runa,

un’impronta argentea ormai quasi invisibile sulla pelle liscia del collo

di Alec. Lui inspirò bruscamente.

Magnus fece scivolare la bocca sulla pelle calda di Alec e gli

sussurrò all’orecchio: «Non mi pare che stia funzionando».

«Non voglio che funzioni» mormorò Alec in risposta.


Si girò e baciò Magnus sulla bocca. Alec baciava come faceva tutto

il resto, così dimentico e appassionato da far girare la testa a Magnus.

Gli afferrò il giubbotto e attraverso le ciglia socchiuse scorse nuova

pelle scoperta, esposta alla luce lunare. Sotto l’incavo della clavicola

era tracciata un’altra runa, filigranata come una nota musicale.

Magnus chiese a bassa voce: «E questa cos’è?».

Alec rispose: «Resistenza».

Magnus lo fissò. «Parli sul serio?»

Alec iniziò a sorridere. «Sì.»

«Davvero, però» disse Magnus. «Voglio essere chiaro su questa

cosa. Non lo stai dicendo per essere sexy?»

«No» rispose Alec, roco, e deglutì. «Ma sono felice se è così.»

Magnus appoggiò gli anelli sulla clavicola di Alec e lo vide

rabbrividire al freddo contatto del metallo. Gli passò le dita sul collo e

gli mise una mano sulla nuca per attirarlo di nuovo a sé.

E sussurrò: «Dio, adoro gli Shadowhunters».

Alec ripeté: «Ne sono felice».

Aveva la bocca calda e morbida, un contrasto con le mani forti, e

poi non lo fu più quando il bacio si fece avvolgente e al tempo stesso

appassionato. Alla fine Magnus si scostò, boccheggiando in cerca

d’aria, perché l’alternativa era tirarsi dietro Alec in mezzo ai cespugli.

E quello non poteva farlo. Per Alec era la prima volta. La notte che

erano arrivati a Parigi, Magnus si era svegliato alle prime ore del

mattino e lo aveva trovato già in piedi, che camminava su e giù.

Sapeva che certe volte doveva essere preoccupato per quello in cui era

andato a cacciarsi. La decisione di spingersi oltre spettava solo a lui.

Alec gli chiese in tono turbato: «Pensi che potremmo saltare il

cabaret?».

«Quale cabaret?» rispose Magnus.

Si avviarono uscendo dal parco e dirigendosi più o meno in

direzione dell’appartamento di Magnus; dovettero fermarsi due volte

perché non capivano in quale delle infinite stradine strette della città

si trovassero, e altre due per baciarsi nei vicoli scarsamente illuminati.

Si sarebbero sicuramente persi, non fosse stato per l’acuto senso

dell’orientamento di Alec. Gli Shadowhunters erano utilissimi in


viaggio. Magnus si fece un appunto di non partire mai più senza

portarsene dietro uno.

In quell’appartamento era stato un rivoluzionario e un pessimo

pittore, nel Settecento era stato derubato di tutti i suoi risparmi. Era la

prima volta che si arricchiva e aveva perso tutto. Da allora aveva

perso tutto altre volte.

Attualmente stava a Brooklyn e l’appartamento di Parigi era vuoto

tranne che per i ricordi. Lo teneva per ragioni sentimentali e anche

perché cercare di trovare posto in albergo durante la settimana della

moda era il suo personale livello bonus dell’inferno.

Senza curarsi di cercare le chiavi, Magnus stese un dito verso la

porta e utilizzò quel poco di riserve di magia che gli erano rimaste per

aprirla. Entrarono nel palazzo continuando a baciarsi contro i muri e

salirono incespicando quattro rampe di scale. La porta

dell’appartamento si spalancò con fracasso e loro la superarono.

La giacca di velluto non entrò neanche in casa, visto che Alec

gliel’aveva strappata di dosso e l’aveva lasciata cadere nel corridoio a

poca distanza dall’ingresso. Mentre oltrepassavano la soglia stava

strappandogli di dosso la camicia; gemelli e bottoni si sparpagliarono

sul parquet con un tintinnio sommesso. Magnus tirò giù la cerniera

del giubbotto di Alec con furia selvaggia, premendolo contro il

bracciolo del divano e spingendolo sui cuscini. Alec cadde con grazia

sulla schiena, tirandosi addosso Magnus.

Magnus baciò la runa dell’Equilibrio, poi quella della Resistenza.

Alec si inarcò sotto di lui e gli mise le mani sulle spalle.

La sua voce suonava insistente mentre diceva qualcosa qualcosa

«Magnus» qualcosa qualcosa.

«Alexander» mormorò Magnus e sentì il corpo di Alec reagire, la

stretta sulle spalle farsi più decisa. Magnus lo studiò, di colpo

preoccupato.

Alec fissava qualcosa con gli occhi sgranati. «Magnus. Laggiù.»

Seguì lo sguardo di Alec e si rese conto che avevano compagnia.

C’era qualcuno seduto sul divanetto viola di fronte a loro. Al bagliore

delle luci della città che filtrava dalla finestra, Magnus vide una donna

con una nuvola di capelli castani, occhi grigi stupefatti e l’accenno di


un familiare sorriso sardonico.

Magnus disse: «Tessa?».


3

La Mano Scarlatta

Sedevano tutti e tre nel salotto in un silenzio carico di imbarazzo. Alec

era sul lato opposto del divano, lontano da Magnus. Quella sera

niente andava secondo i piani.

«Tessa!» ripeté Magnus, meravigliato. «Arrivi inaspettata. E non

invitata.»

Tessa era seduta e sorseggiava il suo tè, il ritratto della

compostezza. Visto che era una delle sue amiche più care e di più

antica data, Magnus aveva la sensazione che sarebbe stato carino che

si mostrasse almeno lievemente dispiaciuta. E invece no.

«Una volta mi hai detto che non mi avresti perdonata, se non fossi

passata a trovarti tutte le volte che fossimo capitati nella stessa città.»

«Ti avrei perdonata» disse Magnus con convinzione. «Ti avrei

ringraziata.»

Tessa lanciò un’occhiata verso Alec, che era arrossito. Gli angoli

delle labbra le si incurvarono all’insù, ma era gentile e nascose il

sorriso dietro la tazza di tè.

«Siamo pari» disse Tessa. «Dopo tutto, una volta tu mi hai beccata

in una situazione imbarazzante con un gentiluomo in una fortezza

sulla montagna.»

Il sorriso mezzo nascosto scomparve. Guardò di nuovo Alec, che

aveva ereditato i colori di Shadowhunters scomparsi da tempo,

Shadowhunters che Tessa aveva amato.

«Dovresti lasciar perdere» la avvertì Magnus.

Tessa era uno stregone come Magnus, e come Magnus era abituata

a superare il ricordo di ciò che aveva amato e perduto. Da tempo si

consolavano a vicenda. Bevve un altro sorso di tè, il sorriso di nuovo

sulle labbra come se non se ne fosse mai andato.


«Di sicuro devo lasciar perdere» ribatté. «Adesso.»

Alec, che osservava lo scambio di battute come se assistesse a una

partita di tennis, alzò una mano. «Scusate, ma voi due stavate

insieme?»

La domanda interruppe di colpo la conversazione. Tessa e Magnus

si girarono all’unisono verso di lui con la stessa espressione scioccata.

«Sembri più sconvolta di me» disse Magnus a Tessa «e la cosa mi

ferisce profondamente.»

Tessa gli elargì un sorrisino, poi si rivolse ad Alec. «Magnus e io

siamo amici da più di un secolo.»

«Okay» disse Alec. «Dunque questa è una visita amichevole?»

Nella voce di Alec c’era una nota dura e Magnus inarcò un

sopracciglio. Certe volte non era a suo agio con la gente che non

conosceva. Magnus immaginò che fosse quello a spiegare il tono che

aveva usato. Magnus era infatuato in modo così evidente e

imbarazzante che era impossibile che Alec fosse geloso.

Tessa sospirò. La luce divertita negli occhi grigi scomparve. «Vorrei

che fosse così» disse piano. «Ma non lo è.»

Cambiò posizione, un po’ rigidamente. Magnus socchiuse gli occhi.

«Tessa» indagò. «Sei ferita?»

«Niente di grave» rispose lei.

«Sei nei guai?»

Gli lanciò un’occhiata indecifrabile.

«No» rispose. «Lo sei tu.»

«Che cosa intendi?» chiese Alec, il tono d’un tratto allarmato.

Tessa si morsicò il labbro. «Magnus,» disse «posso parlarti da

solo?»

«Puoi parlare a tutti e due» rispose Magnus. «Mi fido di Alec.»

A voce bassissima, Tessa chiese: «Gli affideresti la tua vita?».

Se si fosse trattato di un’altra persona, Magnus avrebbe pensato che

stessero calcando un po’ i toni. Ma Tessa non era quel genere di

persona. Di solito parlava sul serio.

«Sì» rispose Magnus. «Gli affiderei la mia vita.»

Molti Nascosti non avrebbero mai raccontato segreti a uno

Shadowhunter, indipendentemente dalla risposta di Magnus, ma


Tessa era diversa. Prese una logora borsa a tracolla di cuoio che stava

ai suoi piedi, ne tirò fuori una pergamena chiusa con la ceralacca e la

srotolò. «Il Consiglio a Spirale ha emanato richiesta formale che tu,

Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, neutralizzi il culto

umano degli adoratori di demoni noto come Mano Scarlatta.

Immediatamente.»

«Capisco che il Consiglio a Spirale voglia il meglio» disse Magnus

con fare modesto. «Non posso tuttavia dire di gradire il tono che

hanno usato. Ho sentito parlare della Mano Scarlatta. Sono una farsa.

Una manciata di umani a cui piace dare feste indossando maschere da

demoni. Sono più interessati ai body shot che all’adorazione dei

demoni. Io sono in vacanza e non voglio essere seccato con queste

sciocchezze. Di’ al Consiglio a Spirale che farò un bagno al mio gatto,

Chairman Meow.»

Il Consiglio a Spirale era la cosa più vicina a un organismo di

governo che gli stregoni avessero, ma era segreto e non del tutto

ufficiale. In generale, gli stregoni avevano dei problemi con l’autorità,

e Magnus ne aveva più degli altri.

Sul viso di Tessa passò un’ombra. «Magnus, ho dovuto implorare il

Consiglio di lasciarmi parlare con te. Sì, la Mano Scarlatta è sempre

stata una farsa. Ma sembra che abbia un nuovo leader, che l’ha

trasformata radicalmente. Sono diventati potenti, hanno molto denaro

e stanno facendo una massiccia opera di reclutamento. Ci sono stati

parecchi morti e un numero ancora maggiore di sparizioni. A Venezia

è stata trovata una fata morta, con accanto un pentacolo tracciato con

il suo stesso sangue.»

Magnus sobbalzò e si costrinse a rimanere calmo. Tessa non aveva

bisogno di spiegarglielo: sapevano tutti e due che il sangue di fata

poteva essere usato per evocare i Demoni Superiori, un tempo

annoverati tra gli angeli sommi e in seguito caduti.

Non avevano mai parlato del fatto che entrambi sapevano di essere

figli di un Demone Superiore, motivo per cui Magnus sentiva una

sorta di affinità con Tessa. Non ce n’erano molti in circolazione, di figli

di Demoni Superiori.

Magnus non aveva detto ad Alec che suo padre era un Principe


dell’Inferno. Quel particolare sembrava destinato a costituire un

ostacolo in ogni nuova relazione.

«È così?» chiese Magnus, cercando di assumere un tono neutro. «Se

questo culto è coinvolto nel tentativo di evocare un Demone

Superiore, sono pessime notizie. Per il culto e potenzialmente per

molti altri innocenti.»

Tessa annuì e si sporse in avanti. «La Mano Scarlatta è chiaramente

intenzionata a suscitare il caos nel Mondo Invisibile, perciò il

Consiglio ha mandato me per occuparmene. Ho finto di essere una dei

loro accoliti alla sede di Venezia, per cercare di scoprire cosa stessero

facendo e chi poteva essere il loro leader. Ma durante uno dei rituali

sono stata esposta a una pozione che mi ha fatto perdere il controllo

delle mie capacità metamorfiche. Me la sono cavata per un pelo.

Quando sono tornata qualche giorno dopo, il culto aveva

abbandonato il posto. Devi trovarli.»

«Come dico spesso,» osservò Magnus «perché io?»

Tessa non sorrideva più. «Non le do molto credito, ma nel Mondo

Invisibile gira voce che il nuovo leader della Mano Scarlatta non sia

davvero nuovo. La gente dice che è tornato il fondatore originale.»

«E chi sarebbe il fondatore originale, se posso chiederlo?»

Tessa tirò fuori una foto e la sbatté sul tavolo. Ritraeva un dipinto

tracciato su una parete. Il disegno era rozzo, opera di un dilettante,

sembrava quasi fatto da un bambino. Si vedevano diverse immagini

di un uomo con i capelli scuri stravaccato su un trono. Accanto a lui

c’erano due persone che gli facevano aria con foglie di palma, mentre

una terza era inginocchiata davanti a lui. Non era un inchino, no,

sembrava gli stesse massaggiando i piedi.

Benché ritratto in modo approssimativo, tutti loro riconobbero i

capelli nero corvino, gli zigomi prominenti e gli occhi gialli da gatto

del fondatore del culto.

«Chiamano il loro fondatore “il Grande Veleno”» disse Tessa. «Ha

l’aria familiare? Magnus, la gente dice che sei tu il fondatore e il nuovo

leader della Mano Scarlatta.»

Magnus fu percorso da un brivido. Poi fu sopraffatto

dall’indignazione.


«Tessa, ti assicuro che non ho fondato nessun culto!» protestò.

«Non mi piacciono neanche, gli adoratori di demoni. Sono idioti

noiosi che adorano demoni noiosi.» Fece una pausa. «È il genere di

cosa di cui mi prenderei gioco, a dire la verità.» Un’altra pausa. «Non

che lo farei davvero. Neppure per burla. Non farei mai…» Si

interruppe.

«Scherzeresti sul fatto di fondare un culto che adora i demoni?»

chiese Alec.

Magnus fece un gesto impotente. «Scherzerei su qualunque cosa.»

I mondani avevano un detto per quando non ricordavano qualcosa:

“Non mi fa suonare nessun campanello”. Qui era il contrario. Un culto

chiamato Mano Scarlatta… uno scherzo di tanto tempo prima. Gli

risuonò in testa proprio come un campanello.

Gli venne in mente che secoli prima aveva fatto una battuta. C’era

Ragnor Fell, ne era quasi sicuro. Ricordava una giornata calda e una

lunghissima notte. Nient’altro.

Fece un respiro profondo e si costrinse a rimanere calmo. Il suo

vecchio amico Ragnor era morto, una vittima della recente guerra.

Magnus aveva cercato di non pensarci troppo. Adesso aveva un vuoto

di memoria. Ricordare con chiarezza secoli di vita non era impresa

facile, ma Magnus era in grado di distinguere tra ricordi nebulosi e

ricordi amputati. Aveva gettato incantesimi per confondere e

rimuovere i ricordi altre volte. Talvolta gli stregoni se lo facevano a

vicenda, per aiutare gli amici a superare le difficoltà create dall’essere

immortali.

Perché avrebbe fatto rimuovere ricordi di un culto di adoratori di

demoni? Chi glieli aveva rimossi? Non osava guardare in direzione di

Alec.

«Tessa,» disse con cautela «sei sicura di non esserti lasciata

confondere dal viso affascinante e dal portamento raffinato del

Grande Veleno?»

«C’è un dipinto sulla parete» intervenne Alec, il tono calmo e

pratico. «Indossi la stessa giacca in entrambi i ritratti.»

Anziché guardare Alec, Magnus guardò il quadro, che ritraeva lui e

i suoi colleghi stregoni Ragnor Fell e Catarina Loss. A eseguirlo era


stato un loro conoscente, un lupo mannaro con un temperamento

artistico, per cui i marchi degli stregoni non erano stati resi invisibili.

Catarina indossava un abito con la scollatura profonda, che metteva in

mostra un bel po’ di meravigliosa pelle azzurra, e le corna di Ragnor

spuntavano da una foresta di riccioli impomatati, il viso verde a

formare un contrasto con il foulard bianco, come foglie primaverili

sulla neve. Gli angoli dei luminosi occhi gialli di Magnus erano piegati

all’insù da un sorriso. Aveva sempre adorato quel dipinto.

E indossava davvero la stessa giacca in entrambi i ritratti.

Prese in considerazione la possibilità che il Grande Veleno

possedesse per caso una giacca identica, ma la respinse. Era stata fatta

su misura per lui, in segno di ringraziamento, dal sarto personale

dello zar. Pareva improbabile che Dmitri ne avesse cucita una seconda

per un leader vattelapesca di qualche culto.

«Non riesco a ricordarmi niente della Mano Scarlatta» disse

Magnus. «Ma i ricordi possono essere alterati. Credo che sia quello

che è successo ai miei.»

«Magnus» disse Tessa. «Io lo so che non sei il leader di un culto di

adoratori di demoni, ma non tutti quelli del Labirinto a Spirale ti

conoscono bene come me. Pensano che potresti essere tu. Volevano

rivolgersi agli Shadowhunters. Ho convinto il Labirinto a Spirale a

darti la possibilità di fermare il culto e dimostrare la tua innocenza,

prima che coinvolgano uno qualunque degli Istituti. Vorrei poter fare

di più, ma non posso.»

«Va tutto bene» disse Magnus. Non voleva far preoccupare Tessa,

perciò si costrinse a parlare in tono leggero, anche se si sentiva

travolto da un uragano. «Posso affrontare questa cosa per conto mio.»

Non aveva ancora guardato Alec. Si chiese se avrebbe mai avuto il

coraggio di guardarlo di nuovo. Secondo tutte le leggi degli Accordi,

gli Shadowhunters avrebbero dovuto essere informati

immediatamente del culto demoniaco, degli omicidi e dello stregone

sospetto.

Fu Tessa a rivolgersi ad Alec.

«Non è stato Magnus» gli assicurò.

Alec ribatté: «Non ho bisogno che tu me lo dica».


Tessa rilassò le spalle. Appoggiò la tazza sul tavolino e si alzò.

Indugiò con lo sguardo su Alec e sul viso le si dipinse un sorriso

dolce; Magnus capì che in lui vedeva non solo Will, ma anche Cecily,

Anna e Christopher, generazioni di visi amatissimi, ora scomparsi. «È

stato un piacere conoscerti, Alexander.»

«Alec» replicò lui, studiando Tessa a sua volta.

«Alec» disse Tessa. «Vorrei poter rimanere per dare una mano, ma

devo tornare al Labirinto il prima possibile. Stanno aprendo un

Portale per me. Ti prego, prenditi cura di Magnus.»

«Scusa?» intervenne Magnus, sbalordito.

«Certo che lo farò» disse Alec. «Tessa, prima che tu vada. Hai

un’aria… familiare. Ci siamo già visti?»

Tessa abbassò lo sguardo su di lui, l’espressione seria e gentile.

«No» disse. «Ma spero che ci rivedremo.»

Si girò verso la parete di fondo, sulla quale si stava aprendo un

Portale che gettò una luce spettrale sui mobili, sulle lampade e sulle

finestre. Attraverso il luminoso ingresso ricurvo ritagliato nell’aria,

Magnus intravide le sedie notoriamente scomode del salone del

Labirinto a Spirale.

«Chiunque sia il nuovo leader del culto» aggiunse Tessa

fermandosi davanti al Portale «stai attento. Penso che sia uno

stregone. Non ho saputo granché, ma anche come accolita ho

incontrato difese potenti e ho visto incantesimi neutralizzati come se

nulla fosse. Parlano di un libro sacro, chiamato Le Pergamene Rosse

della Magia. Non sono riuscita a procurarmene una copia.»

«Chiederò in giro al Mercato delle Ombre di Parigi» disse Magnus.

«Tengono le antenne drizzate riguardo alla magia, perciò evita il

più possibile di usare i Portali» si raccomandò Tessa.

«Tu ne stai usando uno proprio adesso» le fece notare Magnus

divertito. «Sempre “fa’ come dico e non come faccio”, a quanto vedo.

Tu starai attenta?»

Tessa aveva più di cento anni, ma era tanto più giovane di Magnus

e lui la conosceva praticamente da sempre. Non aveva mai smesso di

sentirsi protettivo verso di lei.

«Vado al Labirinto a Spirale e ci resto. È sempre sicuro lì. Tu,


invece, sei probabilmente diretto in posti più pericolosi. Buona

fortuna. Ah… mi spiace per la tua vacanza.»

«Non dovresti scusarti» disse Magnus. Tessa gli soffiò un bacio

mentre entrava nel Portale, poi lei e il varco luminoso scomparvero

dal salotto.

Magnus e Alec rimasero immobili per parecchi secondi. Magnus

non riusciva ancora a guardare Alec negli occhi. Aveva troppa paura

di quello che avrebbe visto sulla sua faccia. Era nel suo appartamento

di Parigi con l’uomo che amava e si sentiva molto solo.

Aveva riposto così tante speranze in quel viaggio. Erano solo

all’inizio della vacanza, eppure adesso Magnus aveva un segreto

terribile e cospirava con un’amica Nascosta per non farlo sapere agli

Shadowhunters. Peggio ancora, non poteva giurare ad Alec di essere

del tutto innocente. Non riusciva a ricordare.

Non poteva biasimare Alec se stava ricredendosi su loro due.

Mettiti con me, Alec Lightwood. I tuoi genitori mi odiano, io non ci azzecco

con il tuo mondo e a te il mio non piacerà, e non potremo fare una vacanza

romantica senza che il mio oscuro passato getti un’ombra sul nostro futuro.

Magnus voleva che si conoscessero meglio. Aveva un’alta opinione

di se stesso, conquistata a fatica, e aveva un’opinione persino più alta

di Alec. Aveva pensato di aver disseppellito ogni segreto tenebroso,

lottato contro ogni demone, accettato tutti i propri difetti.

L’eventualità che potessero esserci dei segreti oscuri che lo

riguardavano e di cui non sapeva niente lo turbava.

«Tessa non avrebbe dovuto scusarsi» disse alla fine. «Sono io quello

che deve scusarsi. Mi spiace di aver rovinato la nostra vacanza.»

«Non è rovinata» disse Alec.

Sentirlo ripetere le stesse parole che lui aveva detto poco prima

diede finalmente a Magnus la forza di guardarlo. Quando lo fece, vide

che gli sorrideva impercettibilmente.

Senza che lo volesse gli sfuggì detta la verità, come talvolta gli

succedeva con Alec. «Non capisco cosa stia succedendo.»

«Lo scopriremo» disse Alec.

Magnus era consapevole che nella sua lunga vita c’erano state volte

in cui si era sentito furioso e smarrito. Poteva anche non ricordarsi


della Mano Scarlatta, però ricordava il primo uomo che aveva ucciso,

quando era un bambino con un altro nome in una terra che sarebbe

diventata l’Indonesia. Era stato una persona di cui ora si pentiva, ma

non poteva cancellare le macchie sanguinose del suo passato.

Non voleva che Alec le vedesse, o che ne fosse toccato. Non voleva

che pensasse di lui le stesse cose che pensavano altri Shadowhunters.

C’erano stati altri amori nella vita di Magnus che sarebbero

scappati urlando molto prima, e Alec era uno Shadowhunter. Lui

aveva il suo nobile dovere, che per i Nephilim era più sacro

dell’amore.

«Se senti di doverlo riferire al Conclave» disse lentamente

«capirei.»

«Stai scherzando?» ribatté Alec. «Non ho intenzione di ripetere

nessuna di quelle stupide bugie al Conclave. Non lo dirò a nessuno.

Prometto che non lo farò, Magnus.»

Alec aveva un’espressione inorridita. Magnus rimase turbato

dall’intensità del sollievo che provava, da quanto contasse per lui che

Alec non avesse creduto il peggio.

«Giuro, non ricordo davvero niente.»

«Ti credo. Possiamo gestire la cosa. Dobbiamo solo trovare e

fermare il vero capo della Mano Scarlatta, chiunque esso sia.» Alec

scrollò le spalle. «Okay. Perciò facciamolo.»

Magnus si chiese se si sarebbe mai abituato a farsi sorprendere da

Alec Lightwood. Sperava di no.

«Scopriremo anche perché non te lo ricordi. Scopriremo chi lo ha

fatto e perché. Non sono preoccupato.»

Magnus invece sì. Tessa gli credeva, perché era un animo gentile.

Incredibilmente, Alec gli credeva. Benché in preda allo stordimento

per il sollievo, Magnus non riusciva a scacciare il disagio crescente.

Non era in grado di ricordare, perciò era possibile – non probabile ma

possibile – che avesse fatto qualcosa di cui ora si sarebbe vergognato.

Avrebbe voluto essere sicuro di meritarsi la fiducia di Alec. Avrebbe

voluto potergli giurare che non aveva mai commesso alcun peccato

imperdonabile.

Ma non poteva.


4

Molto ci resta

La loro prima notte a Parigi, Alec non era riuscito a dormire. Si era

alzato e si era messo a camminare su e giù per la stanza. Continuava a

guardare Magnus addormentato nel loro letto, il letto in cui

dormivano insieme. Non era ancora successo nient’altro, in quel letto,

e quando pensava a ciò che sarebbe potuto accadere di lì a poco, Alec

era in bilico tra la speranza e la paura. I serici capelli neri di Magnus

erano sparsi sul cuscino bianco, la pelle marrone scuro risaltava sulle

lenzuola. Una delle braccia snelle e forti era allungata nello spazio

dove prima dormiva Alec e al polso gli scintillava un sottile

braccialetto d’oro. Alec non riusciva a credere del tutto che stesse

succedendo a lui. Non voleva fare casino.

Una settimana dopo, si sentiva esattamente nello stesso modo. Non

gli importava se combattevano un culto o si trovavano su una

mongolfiera o, se per quello, combattevano un culto dalla piattaforma

di un pallone aerostatico, cosa che stava cominciando a sembrare un

possibile scenario futuro. Era felice di stare con Magnus e basta. Non

avrebbe mai pensato che una vacanza romantica con qualcuno con cui

voleva davvero stare fosse qualcosa che poteva avere, o che era giusto

desiderare.

Detto questo, non aveva particolarmente voglia che suo padre

venisse a sapere del possibile coinvolgimento del suo nuovo fidanzato

nella fondazione di un culto di adorazione dei demoni e si sentiva

gelare al pensiero che al Conclave arrivassero voci di quel genere su

Magnus. Alla fine era probabile che l’avrebbero saputo per altri canali,

indipendentemente da quanto lui e Magnus fossero prudenti.

La Legge è dura, ma è la Legge, diceva la sua gente, e Alec sapeva

quanto potesse essere dura. Aveva visto il modo in cui il Conclave


aveva trattato gli Shadowhunters sospettati di reati. Per un Nascosto

sarebbe stato molto peggio. Aveva visto gettare in prigione l’amico

Nascosto di Clary, Simon, anche se non aveva fatto niente. L’idea che

Magnus, quella presenza luminosa, venisse rinchiuso al buio lo faceva

stare male fisicamente.

La sera prima erano andati a letto subito dopo la partenza di Tessa,

ma Magnus si era girato e rigirato senza requie. A un certo punto Alec

si era svegliato e aveva scoperto Magnus seduto rigido sul letto a

fissare il buio. Quando era uscito quella mattina, Magnus dormiva,

ma giaceva scomposto, con la bocca aperta, come se il suo corpo fosse

crollato per puro e semplice sfinimento. Non la solita immagine

aggraziata che di norma era la sua caratteristica.

In genere Alec provava un misto di affetto e irritazione verso le

persone che amava. I suoi rapporti iniziavano tipicamente con un

sentimento di assoluto fastidio e coinvolgimento emotivo minimo, e

poi con il passare del tempo l’irritazione diminuiva e l’affetto

cresceva. Era andata così con Jace, il suo parabatai nonché amico più

stretto, e di recente con Clary Fairchild quando era entrata nelle loro

vite. Anche Clary aveva smarrito dei ricordi e quando li aveva

recuperati avevano contribuito a vincere una guerra. In quel caso, era

stato Magnus a fare gli incantesimi. E adesso pareva che qualcuno

avesse pasticciato con i ricordi di Magnus, tanti anni prima.

Alec non aveva mai provato irritazione nei confronti di Magnus.

Non sapeva bene cosa pensare di questa novità. Il caos mulinava e

orbitava attorno a Magnus come una nuvola di glitter e la tolleranza

che Alec mostrava verso quel caos non smetteva di sbalordirlo.

Tornò in direzione dell’appartamento dopo aver fatto il suo

allenamento mattutino. Era una giornata fresca e Parigi era ricoperta

da un velo di rugiada. Il sole iniziava a fare capolino dietro le cime

degli edifici.

La casa di Magnus era così bella che lo metteva in soggezione, ma

non c’erano stanze per allenarsi né qualcuno con cui farlo, perciò Alec

era stato costretto a improvvisare. Aveva scoperto una piscina vicino

al fiume. Per qualche ragione i parigini avevano costruito un posto per

nuotare vicino a un posto dove potevano nuotare. I mondani erano


ben strani.

Alec aveva finito per fare vasche in piscina. Aveva i capelli e i

vestiti ancora umidi. Una donna con enormi occhiali da sole di cui

verosimilmente non aveva bisogno gli fischiò urlandogli dietro: «Beau

gosse!» mentre passava.

Salì con decisione i gradini dell’ingresso del palazzo e fece le

quattro rampe di scale fino all’appartamento di Magnus tre scalini alla

volta. Aprì la porta e chiamò: «Magnus?». Fece una pausa. «Ma che

cavolo…»

Magnus era in mezzo al salotto e fluttuava sospeso sopra il

pavimento, circondato da decine di libri e fotografie che gli orbitavano

intorno. Tre grosse librerie in castagno evocate dal loft di Brooklyn,

con la maggior parte del contenuto sparpagliato per terra, occupavano

la metà destra della stanza. Uno degli scaffali era inclinato di lato e

dava l’impressione di essere sul punto di ribaltarsi schiantandosi

contro la finestra. Sul tavolo e sulle sedie c’erano vassoi di paste

mezzo mangiucchiate.

La stanza sembrava avvolta da un campo di elettricità statica

bianca e nera che ricopriva tutto di un’inquietante patina spettrale. Di

tanto in tanto balenava un lampo bianco. Alec pensò che c’era

un’atmosfera di natura chiaramente demoniaca.

«Magnus, che succede?»

Lo stregone girò la testa di scatto e posò gli occhi su Alec. Erano

vitrei. Batté le palpebre e poi si illuminò. «Alexander, sei tornato.

Com’è andato l’allenamento?»

«Bene» rispose Alec lentamente. «È tutto a posto?»

«Stavo solo facendo qualche ricerca. Voglio cercare di capire in che

modo, dove e quando potrei avere un buco di memoria, soprattutto

che copra la quantità di tempo necessaria a fondare un culto di

adorazione dei demoni, così ho deciso di passare in rassegna tutti gli

avvenimenti della mia vita in ordine cronologico.»

«Sembra che ci vorrà un pezzo» osservò Alec.

Magnus parlava in fretta, tutto preso dalla sua indagine. O forse

aveva bevuto troppo caffè. Alec notò tre caffettiere francesi e mezza

dozzina di tazze di caffè che fluttuavano in mezzo al resto.


Magnus gli aveva detto di non preoccuparsi, però a quanto pareva

lui era parecchio preoccupato.

«Vedi,» continuò Magnus «i ricordi raramente sono isolati. Sono

interconnessi, creati da altri ricordi che conferiscono loro significato.

Ogni ricordo specifico contribuirà a produrne di nuovi, ai quali darà

significato. È come una gigantesca ragnatela. Se fai sparire un ricordo

particolare, lasci penzolare gli altri fili.»

Alec ci pensò su. «Quindi tutto quello che devi fare è trovare un

ricordo che non porta a nulla.»

«Esatto.»

«E se invece avessi solo scordato qualcosa? Non puoi ricordarti

ogni singolo momento della tua vita.»

«Ecco perché mi sono procurato degli aiuti.» Indicò gli oggetti

sospesi in aria attorno a lui. «Ho evocato i miei album di fotografie da

Brooklyn. Esamino tutti i momenti che potrebbero condurre alla

creazione della Mano Scarlatta, poi stampo magicamente i ricordi su

carta per poterli catalogare nel modo appropriato.»

Alec aggrottò la fronte. «Quindi stai creando un album dei

ricordi?»

Magnus fece una smorfia. «Al profano quello che sto facendo

potrebbe sembrare qualcosa del genere, sì.»

Alec osservò le foto che svolazzavano in giro. Una sembrava

ritrarre Magnus su un tappeto volante sopra un deserto. In quella

dopo c’era Magnus in abiti vittoriani a un ballo, che danzava il valzer

con una bionda dalla bellezza algida. In un’altra Magnus teneva le

braccia sulle spalle di un uomo più anziano. Alec si chinò in avanti,

strizzando gli occhi. Pensò di aver visto delle lacrime sulla faccia di

Magnus.

Allungò una mano, ma la foto si allontanò come una foglia sospinta

dal vento, capriolando nell’aria.

«Quella lì è un ricordo privato» disse Magnus in fretta.

Alec non insistette. Non era la prima volta nella loro relazione

appena nata che si scontrava con il passato di Magnus e il suo ragazzo

si chiudeva a riccio. Alec detestava quell’atteggiamento, ma stava

sforzandosi di essere comprensivo. Non si conoscevano ancora così


bene, ma ci sarebbero arrivati. Tutti avevano dei segreti. Ad Alec era

già capitato di tenere nascoste delle cose alle persone care. C’erano

mille ragioni per la ritrosia di Magnus.

Alec avrebbe voluto che Magnus potesse dirgli tutto. Al tempo

stesso, non sapeva se sarebbe stato in grado di affrontare le

implicazioni di quel “tutto”. Gli tornò in mente la nauseante

sensazione di terrore che gli aveva stretto lo stomaco quando aveva

chiesto se Magnus e la bella donna dai capelli castani che lui guardava

con tanto affetto fossero stati amanti. Che sollievo quando Magnus e

Tessa gli avevano detto di essere soltanto amici.

Magari Alec non sarebbe mai stato costretto a incontrare gli ex di

Magnus. Magari non avrebbe mai dovuto pensarci. Mai. Forse non

stavano a New York. Oppure erano tutti morti, si disse Alec per farsi

coraggio, e poi si sentì un verme.

«Hai trovato quello che stavi cercando?» chiese, facendo del suo

meglio per superare il momento di imbarazzo.

«Non ancora» rispose Magnus. «Ho appena cominciato.»

Alec aprì la bocca per offrire il suo aiuto, ma la richiuse senza

parlare. Una cosa era desiderare che Magnus si aprisse con lui,

un’altra finire nel vortice di secoli di ricordi, che riguardavano

centinaia di persone, decine di posti, migliaia di eventi.

«Sarà un processo lungo e complicato» disse Magnus con

gentilezza. «Cogli l’opportunità per visitare Parigi, Alexander.

Qualcuna delle chiese minori. O uno dei musei d’arte più piccoli.»

«Okay» disse Alec. «Torno tra non molto per vedere come va.»

«Magnifico!» disse Magnus e rivolse ad Alec un sorrisino obliquo,

come se volesse ringraziarlo per la comprensione.

Così Alec trascorse la maggior parte della giornata a visitare alcuni

dei luoghi più celebri della città. Sapeva che Parigi era rinomata per le

chiese, perciò decise di dare un’occhiata alle più famose. Cominciò in

mezzo alla calca che affollava Notre-Dame e proseguì con le

impressionanti vetrate colorate di Sainte-Chapelle, il gigantesco

organo a canne di Saint-Eustache, l’atmosfera quieta e ombrosa di

Saint-Sulpice. Nell’Église de la Madeleine ammirò la statua di

Giovanna d’Arco molto più a lungo di quanto si sarebbe aspettato.


Giovanna si preparava ad affrontare la battaglia, brandendo la spada

sollevata in verticale con entrambe le mani, pronta a colpire. Il viso era

rivolto verso l’alto, come se quello che le stava di fronte fosse molto

più grande di lei. Una posa tipica da Shadowhunter, anche se per quel

che ne sapeva non lo era stata. La determinazione e il coraggio che si

leggevano nella sua espressione mentre affrontava un mostro

invisibile che torreggiava sopra di lei erano nondimeno stimolanti. Per

quanto belli fossero i rosoni e le colonne in stile corinzio che aveva

visto quel giorno, fu l’espressione sul viso di Giovanna a rimanergli

impressa più a lungo.

In ogni chiesa non poteva fare a meno di chiedersi dove fosse

nascosta la riserva segreta di armi dei Nephilim. In quasi tutte le

chiese del mondo una runa Shadowhunter indicava l’ubicazione di un

nascondiglio di armi, disponibili in caso di emergenza. Avrebbe

potuto chiedere a qualunque Shadowhunter dell’Enclave di Parigi,

ovviamente, ma aveva preferito non fare parola del fatto che lui e

Magnus erano in città. A Notre-Dame passò alcuni minuti a esaminare

le pietre del pavimento, in cerca di qualche runa che riconosceva, ma

stava iniziando ad attirare l’attenzione: la gran parte dei visitatori di

Notre-Dame guardava in alto, non per terra. Rinunciò; la chiesa era

enorme e la scorta di armi poteva essere ovunque.

Perlopiù non si fece notare, ma ebbe un momento di panico quando

tra la folla su Pont des Arts scorse due figure con marchi familiari

sulle braccia nude. Fece un brusco dietrofront e si incamminò nella

direzione opposta, svoltando nel primo vicolo che gli capitò a tiro.

Quando ne uscì qualche minuto più tardi, gli Shadowhunters erano

scomparsi.

Per un attimo rimase fermo sul marciapiede affollato, sentendosi

molto solo. Non aveva l’abitudine di evitare gli altri Shadowhunters;

in fin dei conti erano suoi colleghi e alleati. Era una sensazione insolita

e sgradevole. Ma con quella faccenda del culto da risolvere, non

voleva incrociare la loro strada. Non è che non si fidasse di Magnus:

non aveva creduto neanche per un attimo che avesse qualcosa a che

fare con la Mano Scarlatta del presente. Però poteva essersi lasciato

coinvolgere per scherzo un paio di secoli prima, nel corso di una notte


di bevute. Quello era più probabile. Avrebbe voluto telefonargli, ma

non voleva disturbarlo nel bel mezzo delle sue ricerche.

Riprese a camminare, tirò fuori il cellulare e chiamò a casa. Qualche

secondo più tardi sentì la voce familiare di sua sorella. «Ehi! Com’è

Parigi?»

Un sorriso gli incurvò le labbra. «Ciao, Isabelle.»

In sottofondo udì uno schianto tremendo e un’altra voce.

«È Alec? Dammi il telefono!»

«Cos’è stato quel rumore?» chiese Alec, vagamente allarmato.

«Oh, è solo Jace» disse Isabelle liquidando la domanda. «Giù le

mani, Jace! Ha chiamato me.»

«No, il rumore come quello di mille coperchi dei bidoni della

spazzatura caduti dal cielo.»

«Oh, Jace stava usando una grossa ascia per rompere una catena

quando hai chiamato» disse Isabelle. «Jace! La tua ascia è conficcata

nel muro. Non è importante, Alec. Dimmi del tuo viaggio! Com’è

Magnus? E non intendo come si veste.»

Alec tossì.

«Intendo che qualità ha, e non parlo di quelle magiche» chiarì

Isabelle.

«Sì, ho capito cosa intendi» ribatté Alec asciutto.

Non aveva una vera risposta su quell’argomento. Quando lui e

Magnus stavano insieme a New York c’erano state parecchie occasioni

in cui Alec avrebbe davvero voluto spingersi oltre, ma si era

spaventato dell’intensità dei propri sentimenti. Si erano baciati,

lasciandosi un po’ andare. Ma si erano fermati lì, e Magnus non gli

aveva mai forzato la mano. Poi era arrivata la guerra e dopo Magnus

gli aveva chiesto di fare una vacanza in Europa, e lui aveva detto di sì.

Alec aveva creduto che entrambi avessero capito che significava che

era disposto ad andare ovunque e a fare qualunque cosa con Magnus.

Aveva più di diciotto anni; era adulto. Poteva prendere le sue

decisioni.

Solo che Magnus non aveva fatto niente. Era sempre così attento

con Alec. E lui desiderava che lo fosse un po’ meno, perché non era

bravo a parlare, soprattutto a parlare di sentimenti – tutti i sentimenti


– e non riusciva a farsi venire in mente come affrontare l’argomento.

Non aveva mai baciato nessuno prima di Magnus. Sapeva che lui,

invece, doveva avere un sacco di esperienza e la cosa lo innervosiva

ancora di più, anche se baciare Magnus era stata la sensazione più

fantastica che avesse mai provato. Quando si baciavano, il suo corpo

era attratto naturalmente verso quello di Magnus in quella maniera

istintiva che altrimenti gli veniva spontanea solo quando combatteva.

Non sapeva che qualcosa potesse sembrare tanto giusto o significare

così tanto e adesso erano a Parigi insieme, da soli, e poteva succedere

tutto. Era esaltante e terrificante al tempo stesso.

Di sicuro anche Magnus voleva spingersi oltre. O no?

Alec aveva pensato che sarebbe potuto succedere qualcosa la notte

del pallone aerostatico, ma Magnus era stato comprensibilmente

distratto dalla faccenda del culto demoniaco.

«Alec!» urlò Isabelle nel telefono. «Sei ancora lì?»

«Oh… giusto, scusa. Sì.»

La voce della sorella si addolcì. «È imbarazzante? So che la prima

vacanza è una prova del fuoco per le coppie.»

«Cosa vuoi dire con “prova del fuoco”? Non sei mai andata in

vacanza con nessuno!»

«Lo so, ma Clary mi ha prestato delle riviste mondane» disse

Isabelle in tono vivace. L’amicizia tra Clary e Isabelle era stata una

conquista faticosa, ma Isabelle sembrava tenerla in gran conto proprio

per quello. «Le riviste dicono che il primo viaggio è un test cruciale

per la compatibilità di coppia. È in quell’occasione che si impara a

conoscersi davvero, si vede come funziona il rapporto e si capisce se

durerà.»

Alec sentì un vuoto allo stomaco e si affrettò a cambiare argomento.

«Come sta Simon?»

Il fatto che menzionasse Simon la diceva lunga su quanto fosse

disperato, dato che non era entusiasta all’idea che la sorella uscisse

con un vampiro. Anche se sembrava un bravo ragazzo, per essere un

vampiro. Alec non lo conosceva molto bene. Simon era un gran

chiacchierone e parlava soprattutto di cose mondane di cui Alec non

sapeva nulla.


Isabelle si mise a ridere, un po’ troppo forte. «Bene. Cioè, non lo so.

Lo vedo di tanto in tanto e sembra che stia bene, ma a me non

importa. Lo sai come sono con i ragazzi; è un giocattolo. Un

giocattolino con le zanne.»

Isabelle era uscita con un mucchio di gente, ma non si era mai

messa sulla difensiva in quel modo. Forse era per quello che Alec si

sentiva a disagio nei confronti di Simon.

«Basta che non sia tu a diventare il suo giochino da mordere»

commentò Alec. «Senti, mi serve un favore.»

Il tono di Isabelle si fece tagliente. «Perché usi la voce?»

«Quale voce?»

«La voce “Sono uno Shadowhunter in missione ufficiale”. Sei in

vacanza, Alec. Dovresti divertirti.»

«Mi sto divertendo.»

«Non ti credo.»

«Hai intenzione di aiutarmi sì o no?»

Isabelle scoppiò a ridere. «Ma certo. In cosa vi state cacciando tu e

Magnus?»

Alec aveva promesso a Magnus che non l’avrebbe detto a nessuno,

ma sicuramente Isabelle non contava.

Si allontanò dalla gente e coprì il telefono con la mano libera. «Devi

tenertelo per te. Mamma e papà non devono saperlo. E neanche Jace.»

Si udì un fruscio provenire dal telefono. «Sei nei guai, Alec? Posso

essere ad Alicante in mezz’ora e a Parigi in tre ore.»

«No, no, niente del genere.»

Alec si rese conto d’un tratto di essersi dimenticato di rendersi

invisibile, in modo che i mondani non potessero origliare la

conversazione ma, proprio come i newyorchesi, i parigini gli

passavano accanto senza prestargli la minima attenzione. Le

conversazioni al cellulare, anche se fatte in piazza, andavano ignorate;

evidentemente era una legge universale. «Puoi fare una ricerca negli

archivi dell’Istituto su un culto chiamato la Mano Scarlatta?»

«Certo. Puoi dirmi perché?»

«No.»

«Vedo cosa posso fare.»


Non fece altre domande. Isabelle non insisteva mai, non quando si

trattava dei segreti di Alec. Era una delle numerose ragioni per cui si

fidava della sorella.

Udì il rumore di una colluttazione all’altro capo della linea. «Levati

dai piedi, Jace!» sibilò Isabelle.

«A dire la verità» si intromise Alec «potrei parlare un attimo con

Jace?»

C’era una cosa che voleva chiedere e non si sentiva a suo agio a

parlarne con la sorella.

«Oh, e va bene» disse Isabelle. «Eccoti accontentato.»

Si udì un altro fruscio, poi Jace si schiarì la gola e disse in tono

indifferente, come se non avesse appena cercato di strappare il

telefono di mano a Isabelle: «Ehi».

Alec sorrise. «Ehi.»

Si vedeva davanti Jace, che aveva chiesto ad Alec di diventare il suo

parabatai e poi aveva sempre fatto finta di non averne bisogno. Alec

non se l’era bevuta.

Jace abitava con loro all’Istituto di New York da quando Alec aveva

undici anni. Aveva sempre adorato Jace, trovandolo così familiare e

vicino che per un po’ aveva confuso l’affetto con l’amore romantico.

Ripensando adesso a Jace, si rese conto chi gli aveva ricordato Tessa,

lo stregone.

La sua espressione, seria ma illuminata da una pacata luce

interiore, era esattamente la stessa che aveva Jace quando suonava il

pianoforte.

Alec scacciò quella strana idea.

«Com’è Parigi?» gli chiese Jace con tono indolente. «Se non ti

diverti, puoi sempre tornare prima.»

«Parigi è bella» disse Alec. «Come va?»

«Bene, il mio lavoro è avere un aspetto magnifico e combattere i

demoni, e va alla grande» rispose Jace.

«Fantastico. Ehm, Jace, posso farti una domanda? Se tu volessi far

succedere qualcosa e avessi la sensazione che potrebbe succedere, ma

forse l’altra persona aspetta che tu le mandi un segnale per dire che sei

pronto… che magari sei pronto… no, che sei assolutamente pronto,


più o meno, cosa faresti? In questo scenario ipotetico.»

Ci fu una pausa.

«Mmh» disse Jace. «Buona domanda. Sono felice che ti sia rivolto a

me. Penso che dovresti buttarti e dare un segnale.»

«Splendido» disse Alec. «Sì, è quello che pensavo anch’io. Grazie,

Jace.»

«È difficile spiegare i segnali al telefono» aggiunse Jace

meditabondo. «Penserò a vari segnali e te li farò vedere quando torni.

Tipo, un segnale indica “c’è un demone che striscia alle tue spalle e

dovresti colpirlo”, giusto? Ma dovrebbe essercene uno diverso se un

demone ti sta arrivando alle spalle, ma io ce l’ho sotto tiro. È sensato.»

Scese un altro silenzio.

«Ripassami Isabelle» disse Alec.

«Aspetta, aspetta» obiettò Jace. «Quando torni a casa?»

«Isabelle!» lo incalzò Alec.

Altri fruscii mentre Isabelle si reimpossessava del telefono.

«Sicuro che non vuoi che venga a dare una mano? O tu e Magnus

preferite stare da soli?»

«Preferiamo stare da soli» disse con fermezza. «E adesso dovrei

andare. Ti voglio bene, Isabelle.»

«Ti voglio bene» disse Isabelle. «Aspetta! Jace dice che ha bisogno

di parlarti. Dice che pensa di aver frainteso la tua domanda.»

Magnus era nella stessa posizione di quando Alec era uscito.

Sembrava non essersi mosso, ma il ciclone di carte, foto e libri che lo

circondava era raddoppiato sia in quantità che in caos. «Alec!» disse

allegro, a quanto pare di umore molto migliorato. «Com’è Parigi?»

«Se fossi uno Shadowhunter con base a Parigi» rispose Alec

«dovrei allenarmi il doppio per smaltire tutte le volte che mi sono

fermato a bere un caffè e a mangiare qualcosina.»

«Parigi» dichiarò Magnus «è la città migliore al mondo in cui

fermarsi per bere un caffè e mangiare qualcosina.»

«Ti ho portato del pain au chocolat» disse Alec, mostrandogli un

sacchetto bianco di carta un po’ sgualcito.

Magnus scostò il muro di libri e carte come se fosse una tenda e


fece segno ad Alec di avvicinarsi. «Ho trovato qualcosa» disse.

«Vieni.» Alec fece per posare il sacchetto ma Magnus scosse la testa.

«Porta anche il pain au chocolat.»

Alec si avvicinò esitante e si mise accanto a Magnus. Lo stregone

pescò un dolce dal sacchetto e con l’altra mano attirò a sé una delle

immagini congelate, portandola davanti a loro. Si vedeva uno

stregone tetro, con la pelle verde e i capelli bianchi che indossava un

sacco di iuta e stava seduto a un tavolo di legno ingombro di tazze di

latta.

Era Ragnor Fell, pensò Alec. Magnus aveva il suo ritratto appeso

alla parete. Parecchi giorni dopo la morte di Ragnor Fell Magnus

aveva accennato en passant che lui e lo stregone erano stati amici.

Stava diventando chiaro che erano stati molto vicini. Alec si chiese

perché Magnus non lo avesse detto quando Ragnor era morto, ma

erano nel bel mezzo di una guerra. Alec e Magnus stavano ancora

cercando di capire cosa provavano l’uno per l’altro.

Magnus non glielo aveva tenuto nascosto, non proprio.

Seduto davanti a Ragnor Fell dall’altra parte del tavolo c’era

Magnus, a torso nudo, con i palmi delle mani rivolti all’infuori.

Sembrava stesse cercando di fare un incantesimo a una bottiglia.

Magnus agitò le dita e la foto tremolò per poi ingrandirsi. Deglutì.

«Ricordo quella notte nei particolari. Stavamo facendo un gioco

alcolico. Prima avevamo letteralmente perso la camicia con dei

mercanti di formaggio, che si erano rivelati bari dilettanti piuttosto in

gamba. In un momento imprecisato tra la quarta e la nona caraffa di

glögg ci eravamo ritrovati impegnati in una discussione profonda sul

significato della vita, o meglio su come la vita sarebbe stata molto più

facile se ci fosse stato un modo per poter usare apertamente i nostri

poteri senza che i mondani se la facessero addosso e cercassero di

bruciarci sul rogo tutte le volte che vedevano uno sprazzo di magia.»

«Tu e Ragnor avete pensato che creare un culto di adoratori di

demoni vi avrebbe reso la vita più facile?» chiese Alec incredulo.

«Certe volte il mondo non è gentile con gli stregoni. Qualche volta

ci viene la tentazione di restituire pan per focaccia.»

Scese il silenzio. Alla fine Magnus fece un sospiro.


«Non stavamo parlando di evocare demoni» disse. «Stavamo

parlando di quanto sarebbe stato spassoso impersonare un demone e

indurre i mondani creduloni a fare delle cose.»

«Che genere di cose?»

«Qualunque cosa ci saltasse in testa. Massaggiarci i piedi, correre

nudi sulla piazza del villaggio, tirare uova marce agli esponenti del

clero. Hai presente, le cose normali che fanno i culti da burletta.»

«Come no» ribatté Alec. «Cose normali.»

«Non mi ricordo di essere andato avanti, davvero. Uno penserebbe

che fondare un culto debba essere una cosa memorabile. In realtà non

ricordo molto altro dopo quella notte. Il ricordo successivo è

posteriore di quasi tre anni, quando stavo andando in vacanza in

Sudamerica. Quel glögg era una bomba, ma tre anni di amnesia

sembrano comunque eccessivi.»

Magnus aveva l’espressione cupa.

«Quella conversazione più tre anni di perdita di memoria non mi

dicono niente di buono. La conversazione è molto sospetta e la perdita

di memoria molto conveniente. Devo trovare la Mano Scarlatta

immediatamente.»

Alec annuì risoluto. «Da dove iniziamo?»

Ci fu un lungo silenzio, come se Magnus stesse soppesando con

cura le parole. Lanciò un’occhiata ad Alec, quasi diffidente nei suoi

confronti. Pensava forse che Alec non fosse in grado di aiutarlo?

«Ho intenzione di cominciare contattando alcune fonti del Mondo

Invisibile per avere informazioni sul culto.»

«Cosa posso fare? Posso aiutarti» insistette Alec.

«Lo fai sempre» rispose Magnus. Si schiarì la voce e aggiunse:

«Stavo pensando, è un peccato interrompere la tua prima permanenza

a Parigi con stupidi problemi del mio passato e un manipolo di

mondani illusi. Ti sei divertito oggi, vero? Dovresti godertela. Non

dovrei metterci molto. Sarò di ritorno prima che tu possa sentire la

mia mancanza».

«E come faccio a divertirmi» ribatté Alec «se finisci nei guai senza

di me?»

Magnus lo stava ancora guardando con quella strana espressione


circospetta. Alec non ci capiva un accidenti.

«C’è sempre il cabaret» mormorò Magnus.

Sorrise, ma Alec non ricambiò. Quello non era uno scherzo. Pensò a

tutte le immagini che sfarfallavano nell’aria e incrociò le braccia.

Alec aveva tre amici cari: Isabelle, Jace e la loro amica d’infanzia

Aline, che in realtà era più amica di Isabelle che sua. Li conosceva tutti

da anni e da anni combatteva al loro fianco. Era abituato a far parte di

una squadra.

Non era abituato a voler bene a qualcuno senza conoscerlo a fondo.

Magnus aveva combattuto al suo fianco, e questo lo aveva indotto a

pensare che adesso fossero una squadra. Non sapeva cosa fare se

Magnus invece non lo voleva, però una cosa gli era chiara.

«Magnus, io sono uno Shadowhunter. Eliminare i demoni e i loro

adoratori fa parte del mio lavoro. È la parte più consistente del mio

lavoro. Ma soprattutto, qualcuno deve guardarti le spalle. Non mi

lasci da parte.»

D’un tratto Alec si sentì molto solo. Era partito per quel viaggio con

lo scopo di conoscere meglio Magnus. Forse Magnus non voleva

essere conosciuto. Forse per lui Alec era destinato a diventare una di

quelle immagini fluttuanti, momenti fugaci che adesso doveva

sforzarsi di ricordare.

Perché Magnus voleva mantenere privata tutta questa faccenda del

culto dei demoni e nessuno di loro due era sicuro, si rese conto Alec

all’improvviso, che il suo privato includesse Alec. E se Magnus avesse

fatto davvero qualcosa di terribile, centinaia di anni fa? E se nei ricordi

perduti Alec avesse scoperto che Magnus era superficiale, spietato o

crudele?

Magnus si sporse in avanti, serio una volta tanto. «Se vieni con me,

quello che scopriamo potrebbe non piacerti. Quello che scopriamo

potrebbe non piacere a me.»

Alec si rilassò un pelo. Non riusciva a immaginare che Magnus

potesse essere crudele. «Sono disposto a correre il rischio. Allora, qual

è la prossima mossa?»

«Voglio dei nomi, un luogo d’incontro e/o una copia delle

Pergamene Rosse della Magia» disse Magnus. «Quindi so esattamente


dove andare. È quasi il tramonto: arriveremo al Mercato delle Ombre

di Parigi proprio all’orario di apertura.»

«Non sono mai stato in un Mercato delle Ombre» gli fece notare

Alec. «Quello di Parigi è particolarmente bello ed elegante?»

Magnus rise. «Oh, no! È una vera e propria discarica.»


5

Il Mercato delle Ombre

«Benvenuto» disse Magnus «all’Arènes de Lutèce. Ai tempi di Roma

era un’arena per i combattimenti di gladiatori. È stata un cimitero. È la

sessantottesima attrazione turistica più popolare di Parigi. E stasera è

il posto dove la tua zia fata Martha viene ad acquistare la sua fornitura

mensile di occhi di tritone illegali.»

Erano all’ingresso del Mercato, uno stretto vicolo che passava tra

antiche gradinate. Per quelli senza la Vista, il vicolo sfociava in una

grande depressione circolare di sabbia che ricordava ancora

chiaramente la fossa dei gladiatori, deserta a parte qualche

ritardatario. Ma per i frequentatori del Mercato era un labirinto di

bancarelle affollato di Nascosti, un caos di grida e di odori.

Prima ancora di entrare furono oggetto di sguardi indagatori. Alec

lo sapeva, ed era irrequieto e allerta. Un selkie gli lanciò un’occhiata

ansiosa di sottecchi mentre passava, dopodiché cambiò strada senza

curarsi di nasconderlo.

Alec indossava il giubbotto di pelle sopra la felpa, con il cappuccio

tirato su in modo da nascondere il viso. Morbidi guanti di pelle

nascondevano le rune sulle mani. Non la dava a bere a nessuno. Alec

non sarebbe mai sembrato altri che un figlio dell’Angelo. Traspariva

dal portamento, dalla grazia, dallo sguardo.

Ai Nephilim non era proibito frequentare il Mercato, ma nemmeno

erano i benvenuti. Magnus era contento di avere Alec con sé, ma la

sua presenza complicava le cose.

Nella calca che affollava il vicolo per arrivare al Mercato ebbero un

momento, breve ma intenso, di claustrofobia. C’era odore di pelo

bagnato e di acqua stagnante, e la prossimità dei corpi era sgradevole.

Poi un lampo accecante di luce verde salutò il loro ingresso in quella


che i frequentatori del Mercato chiamavano place des Ombres. Si

sentiva odore di fumo di legna e spezie, di incenso e di erbe essiccate

al sole. Per Magnus era piacevolmente familiare, un punto fermo in

decenni, secoli di cambiamenti.

«Il Mercato delle Ombre di Parigi non è come la maggior parte

degli altri. È il più antico del mondo e la sua storia è politica e

sanguinosa. Quasi ogni conflitto grave che i Nascosti hanno avuto con

i mondani, i Nephilim o tra di loro prima del diciannovesimo secolo

ha avuto inizio qui.» Magnus soppesò le parole che stava per

pronunciare. «Quel che voglio dire è: stai all’occhio.»

Mentre percorrevano la prima fila di bancarelle, Magnus notò che

intorno a loro si creava una bolla di tensione. I Nascosti si

raggruppavano bisbigliando. Qualcuno lanciò loro sguardi accusatori

e mentre si avvicinavano qualche venditore tirò giù le tende o chiuse

le imposte.

Alec aveva la fronte aggrottata e la postura rigida. Magnus si

fermò, gli prese la mano con un gesto ostentato e gliela strinse forte.

Al loro passaggio, un lupo mannaro ringhiò e chiuse con un colpo

secco l’imposta della bancarella.

«Tanto non volevamo comprare niente» disse Alec.

«Certo che no» rincarò la dose Magnus. «Nessuno vuole mangiare

in un posto che si chiama Wolfsburger. Ci fai la figura del cannibale,

amico.»

Alec sorrise, ma Magnus sospettava che lo facesse a suo esclusivo

beneficio. Continuava a scrutarsi intorno vigile, un riflesso che

allenava da tutta la vita. Magnus gli lasciò andare la mano e Alec gli si

mise alle spalle; sapeva che si stava mettendo nel punto da dove

sfruttare al meglio la propria consapevolezza situazionale.

La prima sosta Magnus la fece presso un grande tendone rosso che

spiccava in una delle strade principali. Il tendone era lungo, alto e

stretto, suddiviso in una zona d’ingresso sul davanti e un grande

spazio sul retro. A sinistra dell’entrata c’era un’insegna con una

bottiglia di vino piena di un liquido rosso e la dicitura IL SANGUE È

VITA. VIVI BENE.

Scostò le cortine rosse e infilò la testa nel locale sul retro, dove vide


il primo (e probabilmente unico) sommelier di sangue del mondo

seduto dietro una scrivania curva di mogano. Peng Fang, Zanna per

gli amici, aveva l’aspetto di un giovane sui venticinque anni, il viso

largo e piacevole, con un’aria volubile e lo sguardo ammiccante. Una

ciocca dei capelli neri era tinta di un giallo carico, cosa che lo faceva

assomigliare a un’ape amichevole. Aveva i piedi sulla scrivania e

stava canticchiando un motivetto allegro.

Magnus conosceva Peng Fang dall’inizio del Settecento, quando le

trasfusioni di sangue avevano iniziato a essere di gran moda.

Ammirava gli imprenditori e Peng Fang era prima di tutto quello.

Aveva intuito una nicchia di mercato – nel Mercato – e l’aveva

occupata.

«Guarda guarda, il Sommo Stregone di Brooklyn» disse Peng Fang,

mentre un sorriso deliziato gli si apriva lentamente sul volto. «Sei

passato a fare due chiacchiere? In genere sono preso dagli affari, ma

con te gli affari sono un piacere.»

Peng Fang sfoggiava quell’atteggiamento seducente con chiunque.

Al punto che Magnus di tanto in tanto si era chiesto se il suo interesse

fosse sincero. In quel momento, ovviamente, non aveva importanza.

«Affari, temo» disse Magnus, stringendosi nelle spalle con un

sorriso.

Peng Fang fece spallucce a sua volta. Stava già sorridendo e

continuò a farlo. «Non rifiuto mai un’occasione di profitto. Cerchi

ingredienti per una pozione? Ho una fiala di sangue di demoni Drago.

Cento per cento ignifugo.»

«Ma certo, non faccio che preoccuparmi che il mio sangue possa

prendere fuoco» ribatté Magnus. «Niente sangue, oggi. Ho bisogno di

qualche informazione sulla Mano Scarlatta.»

«Di recente ne ho sentito parlare parecchio» rispose Peng Fang, poi

guardò alle spalle di Magnus e ammutolì. Magnus si girò e vide Alec

emergere dalla tenda con fare esitante. Peng Fang si alzò dalla

scrivania e lo guardò freddamente. «Le mie scuse, Shadowhunter.

Come puoi vedere, sono con un cliente. Forse se torni più tardi, potrò

esserti d’aiuto.»

«È con me» disse Magnus. «Alexander Lightwood, lui è Peng


Fang.»

Peng Fang ridusse gli occhi a fessure. «Non fare commenti sul mio

nome. Ovviamente i miei genitori non si aspettavano che il loro

figlioletto sarebbe diventato un vampiro una volta cresciuto. Non

trovo divertenti le battute sul mio nome.»

Magnus decise che non era il caso di menzionare che tra i suoi

amici Peng Fang era conosciuto come Peng Zanna. Chiaramente il

vampiro non era interessato a diventare amico di Alec. Lo guardava

fisso come se lo Shadowhunter potesse saltargli addosso da un

momento all’altro. Per correttezza nei confronti di Peng Fang, c’è da

dire che Alec teneva la mano appoggiata all’elsa della spada angelica

che portava al fianco.

«Ciao» disse Alec. «Sono qui con Magnus. Sono qui per Magnus.

Nessun altro Shadowhunter sa che sono qui. Vogliamo solo avere

informazioni sulla Mano Scarlatta.» Dopo un attimo di silenzio

aggiunse: «È importante».

«E cosa potrei mai sapere?» disse Peng Fang. «Lascia che ti dica una

cosa, Shadowhunter, io non faccio affari con i culti. Lavoro alla luce

del sole. Un semplice mercante di sangue, che vende il sangue più

raffinato e autorizzato a Nascosti rispettosi della legge. Se sei

interessato ad acquistare del sangue, Sommo Stregone, sarò felice di

consigliarti nella scelta. Altrimenti, temo di non poterti aiutare.»

«Abbiamo sentito dire che hanno un nuovo leader» disse Alec.

«Non so niente di lui» rispose Peng Fang con decisione.

«Lui?» intervenne Magnus. «Be’, è già qualcosa.» Peng Fang gli

diede un’occhiataccia. «Prima sembravi disposto a collaborare.»

L’impasse durò parecchi istanti, poi Peng Fang si sedette alla

scrivania e si mise a sfogliare delle carte.

«Sì, be’, non posso rischiare che giri voce che ho passato delle

informazioni agli Shadowhunters.»

«Ci conosciamo da tanto tempo» disse Magnus. «Se ti fidi di me,

puoi fidarti di lui.»

Peng Fang alzò lo sguardo dai fogli.

«Mi fido di te. Ma questo non significa che abbia intenzione di

fidarmi degli Shadowhunters. Nessuno si fida di loro.»


Dopo un attimo Alec disse con voce tesa: «Vieni, Magnus.

Andiamo».

Mentre uscivano, Magnus tentò di cogliere lo sguardo di Peng

Fang, il quale però studiava ostentatamente le sue carte e li ignorò. Si

trovarono all’esterno. Alec aveva le braccia incrociate sul petto e

scrutava ansiosamente la folla. Sembrava il buttafuori di Peng Fang.

«Mi dispiace» disse Magnus.

Magnus non poteva biasimare i Nascosti se diffidavano degli

Shadowhunters. Né poteva fare una colpa ad Alec se si sentiva

insultato.

«Senti» disse Alec. «Così non andiamo da nessuna parte. Perché

non mi precedi? Io mi tengo fuori vista e poi ci incontriamo quando

hai ottenuto qualche informazione.»

Magnus assentì. «Se vuoi tornare all’appartamento…»

«Non intendevo questo. Volevo dire, tu mi precedi e io sto

nell’ombra mentre tu giri per il Mercato. Non interverrò a meno che tu

non sia in pericolo.» Esitò. «Ma se vuoi che me ne vada…»

«No» rispose Magnus. «Ti voglio nei paraggi.»

Alec si guardò intorno un po’ imbarazzato, poi attirò Magnus a sé.

Il trambusto del Mercato si ridusse a un borbottio di sottofondo.

Magnus sentì alleviarsi il nodo di frustrazione che gli serrava il petto.

Chiuse gli occhi. Tutto era silenzio, immobilità e dolcezza.

«Andate via dalla mia bancarella!» sbraitò Peng Fang

all’improvviso, facendo sobbalzare Alec e Magnus che si affrettarono

a separarsi. Magnus si girò e vide Peng Fang che li guardava

furibondo dal lembo della tenda. «Smettila di abbracciare

Shadowhunters davanti al posto dove faccio i miei affari! Nessuno

comprerà sangue da qualcuno che ha uno stand degli abbracci

Shadowhunter davanti alla sua bancarella! Fuori dai piedi!»

Alec iniziò a mescolarsi tra la folla. Allungò la mano e sfiorò il

braccio di Magnus mentre si allontanava. «Sarò vicino» disse a voce

appena sufficiente a farsi sentire da Magnus. «Ti copro le spalle.»

Lo lasciò andare e il mondo esterno investì Magnus come

un’ondata. Alec era scomparso, mimetizzato sullo sfondo.

Magnus si arrotolò le maniche della camicia di seta verde bottiglia.


Tentò di scrollarsi di dosso la sensazione di disagio che lo aveva

assalito quando Alec aveva detto: Così non andiamo da nessuna parte.

Nella mezz’ora successiva fece il giro degli stregoni e delle fate del

Mercato delle Ombre, cercando di ottenere informazioni. Senza Alec si

confondeva facilmente tra la folla. Cercò di apparire normale e

spensierato, e non oppresso da una cappa di sospetto e con i minuti

contati. Si fermò da Les Changelings en Cage (una bancarella con

incantesimi anti-fata, gestita da uno stregone scontroso) e da Le

Tombeau des Loups (la Tomba dei Lupi, una bancarella che vendeva

magia anti-lupo mannaro, gestita ovviamente da vampiri). Fece le

coccole a varie creature illegali dall’aspetto bizzarro che sospettava

sarebbero ben presto diventate ingredienti di qualche pozione.

Si fermò diverse volte ad assistere a dimostrazioni di magia tenute

da stregoni di luoghi lontani per pura curiosità professionale.

Acquistò rari ingredienti per gli incantesimi disponibili solo nei

Mercati delle Ombre europei. Sarebbe stato in grado di rendere molto

felice un branco di lupi mannari messicani, fornendo loro una pozione

che avrebbe restituito il senso dell’olfatto al loro capobranco.

Si procurò persino nuovi incarichi, ovviamente per quando avesse

sistemato questa scocciatura del culto. Una flotta di pescherecci di

Amsterdam aveva dei problemi con un banco di sirene che attiravano

fuoribordo i marinai. Sarebbe rimasto in contatto.

Ma non riuscì a sapere niente della Mano Scarlatta.

Di tanto in tanto si lanciava un’occhiata alle spalle, cercando Alec.

Non lo vide mai.

Fu durante uno di quegli occasionali controlli che avvertì la

sensazione strisciante di essere osservato da occhi ostili, com’era

successo durante la camminata dopo lo schianto del pallone. Percepì

una vibrazione minacciosa, come quando è in arrivo un temporale.

Mormorò un incantesimo perché lo avvertisse di attenzioni

indesiderate rivolte verso di lui e si sfregò le orecchie con le mani.

Sentì immediatamente un formicolio al lobo sinistro, lieve come la

carezza di una piuma. Sguardi fugaci, niente che non fosse normale.

Forse era solo Alec che lo teneva d’occhio.

Magnus stava passando davanti a una bancarella piena di mantelli


quando avvertì un tocco più deciso sull’orecchio, due colpetti distinti

che per poco non lo fecero sobbalzare.

«Vera pelliccia di selkie» disse speranzoso il proprietario della

bancarella. «Di provenienza etica. Oppure che ne dice di questo?

Pelliccia di lupi mannari che volevano essere tosati per provare quella

raffinata sensazione aerodinamica.»

«Molto belli» disse Magnus passando oltre.

Imboccò una stradina laterale che si allontanava dal centro del

mercato e poi svoltò di nuovo in un vicolo cieco. La sensazione

all’orecchio c’era ancora, questa volta accompagnata da una tiratina.

Le mani gli si accesero di magia e lui parlò al vuoto. «Sono

lusingato, ma forse è meglio se la smettiamo di fare i timidi e ci

parliamo faccia a faccia.»

Nessuna risposta.

Magnus aspettò ancora qualche istante prima di lasciare che le

fiamme delle mani si spegnessero. Tornò all’imbocco del vicolo. Non

appena rimise piede nella civiltà sentì uno strattone all’orecchio.

Qualcuno lo stava guardando fisso.

«Magnus Bane! Mi sembrava che fossi tu!»

Magnus si girò verso la voce. «Johnny Rook! Che ci fai a Parigi?»

Johnny Rook era uno dei rari mondani che avevano la capacità di

vedere il Mercato delle Ombre. In genere stava al Mercato di Los

Angeles.

Magnus lo osservò senza entusiasmo. Indossava un trench nero e

occhiali da sole (anche se era notte), aveva i capelli biondo scuro

tagliati alla cesare e la barba di un giorno. La sua faccia aveva

qualcosa di leggermente sbagliato: Magnus aveva sentito dire che

Johnny pagava delle fate per migliorare di continuo i lineamenti con

la magia, ma se era vero stava sprecando i suoi soldi. Era noto anche

come Rook l’Imbroglione, e non rinunciava allo stile a cui doveva il

suo soprannome.

«Stavo per farti la stessa domanda» disse Johnny, curiosissimo.

«Vacanza» disse Magnus evasivo. «Come sta tuo figlio? Cat,

giusto?»

«Kit. È un bravo ragazzo. Sta crescendo in fretta. Mani leste, molto


utili nel mio ramo.»

«Lo mandi a borseggiare?»

«Un po’. Gli insegno qualche trucchetto con le chiavi. Qualche

gioco di mano. Di tutto un po’. È versatile.»

«Ma non ha dieci anni o giù di lì?» chiese Magnus.

Johnny si strinse nelle spalle. «È molto precoce.»

«Ovviamente.»

«Cerchi qualcosa di speciale al Mercato? Forse posso esserti utile.»

Magnus chiuse gli occhi e contò lentamente fino a cinque. Contro

ogni buonsenso, disse con aria indifferente: «Cosa sai della Mano

Scarlatta?».

Johnny alzò gli occhi al cielo. «Fanatici. Adorano Asmodeo.»

Il cuore di Magnus mancò un battito. «Asmodeo?»

Johnny gli rivolse un’occhiata penetrante.

«Non è un nome che si sente tutti i giorni» aggiunse Magnus,

sperando che come spiegazione bastasse.

Era un nome che Magnus aveva udito più spesso di quanto gli

piacesse. In quella che sperava fosse solo una mera coincidenza,

Asmodeo era il Principe dell’Inferno che gli aveva dato i natali.

Aveva davvero fondato un culto nel nome di suo padre? Non erano

esattamente pappa e ciccia. Non riusciva a immaginare di averlo fatto,

nemmeno per scherzo.

Doveva dire ad Alec che Asmodeo era suo padre? Alec non gli

aveva mai chiesto chi fosse il suo genitore demone e lui non aveva

alcun desiderio di rivelarglielo. Era solo sfortuna che suo padre fosse

uno dei Nove Principi dell’Inferno.

«Asmodeo?» ripeté. «Sei sicuro?»

Johnny si strinse nelle spalle. «Non pensavo che fosse poi questo

gran segreto. È solo una cosa che ho sentito dire da qualche parte.»

Quindi poteva non essere vero. Non aveva senso dirlo ad Alec,

pensò Magnus, se poteva non essere vero. Tessa non ne aveva parlato

e l’avrebbe fatto di sicuro, se avesse pensato che il culto adorasse il

padre di Magnus.

Adesso respirava un po’ meglio. Ma Johnny aveva in faccia

un’espressione astuta che Magnus conosceva fin troppo bene.


«Potrei saperne di più» disse in tono noncurante.

Magnus schioccò le dita e sulla punta comparve una bolla gialla che

si dilatò fino a inglobarli. Il rumore di sottofondo del Mercato

scomparve, lasciando i due uomini in una sfera di completo silenzio.

Magnus fece un sospiro. Ci era già passato. «Qual è il tuo prezzo?»

«L’informazione è tua al prezzo esiguo di un piccolo favore che mi

devi, da stabilire in futuro.»

Johnny gli rivolse un gran sorriso di incoraggiamento. Magnus lo

guardò con quella che sperava fosse un’aria nobile.

«Sappiamo tutti e due come va a finire con i favori non specificati»

disse. «Una volta ho fatto a uno una vaga promessa di aiutarlo e mi

sono ritrovato per sette mesi sotto un incantesimo, in un acquario di

driadi. Non voglio parlarne» aggiunse in fretta, mentre Johnny stava

per aprire bocca. «Niente favori non specifici!»

«Okay,» disse Johnny «che ne dici di un favore specifico, che mi fai

adesso? Conosci un modo per, diciamo, distogliere l’attenzione dei

Nephilim da qualcosa? O da qualcuno?»

«Stai facendo qualcosa che i Nephilim non approverebbero?»

«Ovviamente sì,» rispose Johnny «ma adesso forse più di prima.»

«Posso procurarti un unguento» disse Magnus. «Distoglie

l’attenzione dalla persona che se lo spalma addosso.»

«Unguento?» gli fece eco Johnny.

«È un unguento, sì» disse Magnus, che iniziava a spazientirsi.

«Non hai magari qualcosa che si può bere, o mangiare?»

«No» disse Magnus. «È un unguento. È fatto così.»

«È solo che detesto essere tutto unto.»

«Be’, è il prezzo da pagare, suppongo,» disse Magnus «per le tue

inveterate attività criminali.»

Johnny si strinse nelle spalle. «Quanto posso averne?»

«Immagino dipenda da quanto sai» rispose Magnus.

Lo stupiva che Johnny non avesse fatto una richiesta specifica; in

genere cercava di avere il controllo delle contrattazioni. Per chissà

quale motivo, aveva un disperato bisogno di mettere le mani su quella

roba. Il perché non era affar suo. Evitare gli Shadowhunters non era

un crimine. Magnus aveva conosciuto un mucchio di Shadowhunters


che avrebbe preferito evitare. Non erano tutti affascinanti come Alec.

«Le mie informazioni dicono che la Mano Scarlatta di recente ha

abbandonato la sede di Venezia» disse Magnus. «Hai qualche idea di

dove siano andati?»

«No» disse Johnny. «So che la Mano Scarlatta aveva un sancta

sanctorum nella sede di Venezia dove custodiva il suo libro sacro. Si

chiamava la Camera.» Il sorriso di Johnny si allargò, mettendo in

mostra i denti. «Per accedervi c’è una parola d’ordine segreta. Te la

darò per dieci bottiglie di pozione.»

«È un unguento.»

«Dieci bottiglie di unguento.»

«Una.»

«Tre.»

«Andata.» Si strinsero la mano. Era così che si facevano gli affari.

«Okay. Trovi la testa in pietra della capra e pronunci la parola

“Asmodeo”.»

Magnus inarcò un sopracciglio. «La parola d’ordine per accedere al

nascondiglio segreto del culto degli adoratori di Asmodeo è

“Asmodeo”?»

«Non so se l’hai notato» disse Johnny meditabondo «ma i seguaci

delle sette in genere non sono le persone più sveglie che il mondo dei

mondani abbia da offrire.»

«L’ho notato» disse Magnus. «Ho anche bisogno di sapere qual è la

tua fonte.»

«Non ho mai detto che te l’avrei rivelato!» protestò Johnny.

«Però lo farai,» disse Magnus «perché vuoi tre vasetti di unguento e

perché sei patologicamente sleale.»

Johnny esitò, ma solo per un attimo. «Uno stregone chiamato Mori

Shu. È un ex membro della Mano Scarlatta.»

«Che ci sta a fare uno stregone in un culto mondano? Dovrebbe

essere più intelligente.»

«E chi lo sa? Si dice che abbia offeso il nuovo leader ed è in fuga, in

cerca di protezione. Saprebbe più cose della Mano Scarlatta di

chiunque altro ne sia uscito. Era a Parigi non molto tempo fa, ma ho

sentito che adesso è diretto a Venezia. Se lo aiuti a venirne fuori, ti


dirà tutto.»

Proprio quando la Mano Scarlatta aveva lasciato Venezia, Mori Shu

stava andando là.

«Grazie, Johnny. Ti farò spedire l’unguento a Los Angeles non

appena torno dalla vacanza.»

La bolla gialla iniziò a dissolversi in fiocchi dorati che si dispersero

scintillando nell’aria. In quel mentre, Johnny prese Magnus per la

manica e sibilò con inattesa intensità: «Di recente sono sparite un

sacco di fate nei Mercati delle Ombre. Sono tutti sul chi va là. La gente

dice che è opera della Mano Scarlatta. Detesto l’idea che diano la

caccia alle fate. Fermali». Sul viso di Johnny c’era un’espressione che

Magnus non ricordava di avergli mai visto, una miscela di rabbia e

paura.

Poi furono investiti dalla cacofonia del Mercato delle Ombre di

Parigi.

«Adesso» mormorò Magnus. «Dov’è Alec?»

«Il tuo Shadowhunter?» chiese Johnny con un ghigno malizioso,

senza più traccia dell’espressione di poco prima. «Tu sì che sai come

creare scompiglio in un luogo pubblico, amico mio.»

«Non siamo amici, Johnny» disse Magnus con aria assente,

scrutando la folla. Johnny latrò una risata.

Alec comparve come un coniglio da un cappello, da dietro una

bancarella vicina. Sembrava che si fosse rotolato nel fango.

«Il tuo Shadowhunter è lercio» osservò Johnny.

«Be’, vedrai quando si sarà dato una bella ripulita» disse Magnus.

«Sono sicuro che è davvero speciale, un rubacuori, ma per pura

coincidenza ho un appuntamento urgente altrove. Alla prossima,

Sommo Stregone.»

Johnny gli lanciò un saluto noncurante e scomparve tra la folla.

Magnus lo lasciò andare. Era più preoccupato delle condizioni del suo

ragazzo. Squadrò Alec da capo a piedi, osservando il fango che gli

incrostava i vestiti e i capelli neri. Alec teneva l’arco stretto al corpo e

il petto si alzava e si abbassava affannosamente.

«Ehi, tesoro» disse Magnus. «Che novità ci sono?»


6

Scontro nella notte

Cinque minuti dopo essersi separato da Magnus, Alec lo vide infilare

la mano in una gabbia di scimmie demoniache velenose e dagli artigli

affilati. Strinse leggermente la spada angelica ma si trattenne.

Era al Mercato delle Ombre. Lì le regole erano diverse. Lo sapeva.

Per fortuna, Magnus si era limitato a fare una carezza a una delle

creature ringhianti, poi si era allontanato dalla bancarella e si era

diretto verso un’altra, presidiata da lupi mannari inferociti.

«Fermate l’oppressione dei lupi mannari da parte dei non morti!»

disse un lupo mannaro donna, agitando un cartello con la scritta

UNITÀ DEL MONDO INVISIBILE. Magnus prese un volantino e sorrise al

lupo mannaro, abbagliandola. Magnus faceva questo effetto alla

gente. Ad Alec venne in mente come lo aveva guardato il mercante di

sangue. Prima di conoscere Magnus, talvolta Alec aveva lanciato

occhiate nervose ai ragazzi: a Jace, agli Shadowhunters in visita

all’Istituto, ai mondani nelle strade affollate di New York. Adesso,

quando in una stanza c’era Magnus, gli era difficile notare qualcun

altro oltre a lui. E Magnus? Vedeva ancora che gli uomini erano

affascinanti e le donne belle? Alec avvertì una fitta di inquietudine al

pensiero di quante persone avrebbero gioito se non avesse superato

questo test della sua relazione amorosa.

Si tirò sugli occhi il cappuccio della felpa e continuò a seguirlo a

distanza.

A quel punto Magnus entrò in una farmacia e si mise ad acquistare

erbe. Dopodiché si fermò a parlare con una fata dai capelli viola,

chiedendole dell’oro per nutrire il suo basilisco domestico. La tappa

successiva fu la bancarella di fronte, dove trascorse quella che parve

un’ora a mercanteggiare per una cosa che somigliava in modo


sospetto a capelli umani.

Alec confidava nel fatto che Magnus sapesse quello che faceva.

Emanava sicurezza senza alcuno sforzo. Sembrava avere sempre il

controllo di ogni situazione, anche quando non era così. Era una delle

cose che Alec più ammirava di lui.

Si infilò furtivo nella strada parallela quando Magnus riprese a

muoversi. Era abbastanza lontano da non destare sospetti, ma in

cinque falcate l’avrebbe raggiunto. Teneva d’occhio non solo il suo

ragazzo, ma tutti quelli che gli stavano intorno, dal gruppo di driadi

che cercavano di attirarlo nella loro tenda alla giovane ladruncola

pelle e ossa con una corona di spine sulla testa, che seguiva Magnus

con intenzioni non del tutto innocenti.

Quando la ragazza fece la sua mossa, Alec intervenne afferrandole

la mano appiccicosa appena prima che la infilasse nella tasca di

Magnus. Balzò in avanti e la agguantò tra due bancarelle, così

fulmineo che nessuno si accorse di niente.

La fata si divincolò con tale energia da sfilargli uno dei guanti, e

vide le rune. Il colorito verde della pelle lasciò il posto a una

sfumatura grigiastra.

«Je suis désolée» mormorò e davanti all’espressione vacua di Alec

disse: «Mi dispiace. Ti prego, non farmi del male. Prometto che non lo

farò più».

Era così magra che Alec riusciva a tenerle il polso tra pollice e

indice. Di rado le fate avevano l’età che dimostravano, ma lei

sembrava giovane come suo fratello Max, che era rimasto ucciso in

guerra. Gli Shadowhunters sono guerrieri, diceva suo padre. Perdiamo e

continuiamo a combattere.

Max era troppo giovane per combattere. Adesso non avrebbe mai

imparato. Alec si preoccupava di continuo per sua sorella e il suo

parabatai, che erano spericolati e impavidi, e aveva sempre cercato

strenuamente di proteggerli. Non gli era mai venuto in mente che

avrebbe dovuto stare in guardia e fare da scudo a Max. Non ci era

riuscito, con il suo fratellino.

Max era quasi altrettanto gracile. Aveva l’abitudine di guardarlo da

sotto in su, proprio come stava facendo quella ragazzina, gli occhi


grandi dietro le lenti degli occhiali.

Per un momento ad Alec mancò il respiro e distolse lo sguardo. La

ragazza non approfittò della sua distrazione per sfuggirgli. Quando

riportò gli occhi su di lei, lo stava ancora fissando.

«Ehm, Shadowhunter?» disse. «Tutto a posto?»

Alec si riscosse. Gli Shadowhunters continuano a combattere, sentì la

voce del padre riecheggiargli nella testa.

«Sto bene» disse alla ragazza, la voce un po’ rauca. «Come ti

chiami?»

«Rose» rispose.

«Hai fame, Rose?»

Le tremò il labbro. Cercò di scappare via, ma lui la prese per la

maglietta. Lei lo colpì su un braccio e sembrava sul punto di

morderlo, quando vide la manciata di euro che stringeva in mano.

Alec glieli allungò. «Vai a comprarti qualcosa da mangiare.» Non

fece in tempo ad aprire la mano che le banconote erano sparite. Non lo

ringraziò, limitandosi ad annuire e a correre via. «E smettila di

rubare» le urlò dietro.

Aveva finito i soldi che si era portato. Uscendo dall’Istituto di New

York con il borsone in spalla per iniziare il suo viaggio, sua madre gli

era corsa dietro e gli aveva messo in mano del denaro, anche se lui

aveva cercato di rifiutare.

«Vai e divertiti» gli aveva detto.

Alec si chiese se la fata lo avesse truffato. Avrebbe potuto avere

centinaia di anni e le fate erano rinomate per la tendenza a raggirare i

mortali. Ma decise di credere che era ciò che sembrava – una

ragazzina spaventata e affamata – e fu contento di averla aiutata. E

così, aveva finito i soldi.

Quando aveva annunciato che sarebbe partito per fare un viaggio

con Magnus, suo padre non era stato contento.

«Che cosa ti ha detto di noi?» gli aveva chiesto Robert Lightwood,

camminando su e giù nella camera di Alec come un gatto infuriato.

Un tempo i suoi genitori erano stati seguaci di Valentine, lo

Shadowhunter malvagio che aveva fatto scoppiare l’ultima guerra.

Alec immaginava che Magnus avrebbe potuto raccontargli alcune


storie su di loro, se avesse voluto.

«Niente» aveva risposto con rabbia. «Non è il tipo.»

«E cosa ti ha detto di sé?» aveva insistito Robert. Davanti al silenzio

del figlio, aveva aggiunto: «Niente neanche in questo caso,

immagino».

Alec non sapeva che faccia avesse in quel momento, quanto fosse

parso spaventato, ma l’espressione di suo padre si era addolcita.

«Senti, figliolo, non puoi pensare che questa storia abbia un futuro»

aveva detto. «Né con un Nascosto né con un mortale. Io… io capisco

che tu senta di dover essere fedele a te stesso, ma certe volte è meglio

essere saggi e imboccare una strada diversa anche se si è… tentati.

Non voglio che la tua vita sia più difficile del dovuto. Sei così giovane,

e non sai com’è fatto davvero il mondo. Non voglio che tu sia

infelice.»

Alec lo aveva fissato.

«E in che modo mentire potrebbe rendermi felice? Prima non ero

felice. Adesso lo sono.»

«E come puoi esserlo?»

«Dire la verità mi rende felice» aveva detto Alec. «Magnus mi

rende felice. Non mi importa se è difficile.»

Aveva letto così tanta sofferenza e preoccupazione sul viso del

padre. Per tutta la vita aveva temuto di provocargli così tanto dolore.

Aveva cercato di evitarlo in ogni modo.

«Alec,» aveva sussurrato il padre «non voglio che tu vada.»

«Papà,» aveva risposto lui «io vado.»

Una reazione istintiva lo riscosse da quei ricordi quando colse con

la coda dell’occhio la giacca di velluto rosso di Magnus in lontananza.

Tornò in sé e si affrettò a seguirlo.

Quando lo raggiunse, lo vide imboccare un vicolo buio dietro una

fila di bancarelle. Poi una figura avvolta in un mantello emerse da un

angolo nascosto e si mise a seguirlo con circospezione.

Non c’era tempo per un pedinamento discreto; aveva già perso di

vista Magnus e ben presto non avrebbe più scorto nemmeno la figura

con il mantello. Si mise a correre, passando in mezzo a un vampiro e a

una peri stretti in un abbraccio e spingendo via un gruppo di lupi


mannari intenti a giocare a dadi. Arrivò all’imbocco del vicolo e si

appiattì contro il muro. Sbirciò oltre l’angolo e vide la figura a metà

del vicolo, che seguiva l’indifeso Magnus.

Incoccò una freccia e si fiondò nel vicolo.

Parlò con voce appena sufficiente a farsi sentire.

«Non muoverti. Girati lentamente.»

La figura con il mantello si immobilizzò allargando piano le braccia

come se volesse obbedire. Alec si avvicinò un po’, spostandosi a

sinistra per avere una visuale migliore del volto della persona.

Intravide un mento appuntito – umano, una donna a giudicare

dall’aspetto, con la carnagione chiara – e poi la figura gli si slanciò

addosso con le dita protese in avanti. Alec barcollò all’indietro mentre

un lampo di elettricità statica bianca lo investiva, permettendogli di

intuire solo l’ombra della donna, una silhouette scura contro la luce

accecante. Scoccò la freccia alla cieca, affidandosi all’esperienza per

colpire il bersaglio. Il dardo partì e stava per raggiungere l’obiettivo

quando i contorni della figura si fecero indistinti e la donna si portò

fuori tiro. Era come se si fosse “sfocata”, non c’era altro modo di

descriverlo. Un momento la freccia volava verso di lei e quello dopo la

sua sagoma si era distorta e allungata, e la donna si trovava dall’altra

parte del vicolo.

Un altro tremolio indistinto e la donna gli comparve accanto. Lui

balzò via, evitando per un pelo il fendente di una spada. Parò un altro

attacco usando l’arco. Il legno rivestito di adamas cozzò contro il

metallo e Alec, ancora mezzo accecato, menò un fendente rasoterra

con l’arco colpendo l’assalitrice alle caviglie e facendola cadere.

Sollevò l’arma e stava per colpirla sulla testa quando lei si sfocò di

nuovo, ricomparendo all’imbocco del vicolo.

Una raffica di vento le fece ondeggiare il mantello. Il cappuccio

scivolò indietro rivelando la metà sinistra del volto illuminata dalla

luce di un lampione. Una donna con profondi occhi castani e labbra

sottili. Una cortina di lisci capelli neri tagliati all’altezza delle spalle le

incorniciava il viso e seguiva la curva del mento. La spada che portava

era una samgakdo coreana, con la lama triangolare, pensata per

infliggere danni irreparabili al corpo umano.


Alec strizzò gli occhi. Il viso pareva del tutto umano, ma aveva

qualcosa di peculiare. Si trattava dell’espressione; era assente, come se

stesse sempre guardando un punto lontanissimo.

Alle sue spalle si udì il rumore stridente del metallo che sfregava

sui mattoni. Alec si distrasse una frazione di secondo.

La donna misteriosa ne approfittò, roteando la spada sopra la testa

mentre pronunciava a voce alta parole in una lingua che Alec non

capiva, puntandola poi verso di lui. Dalla punta della lama scoccò una

luce arancione spiraleggiante e il terreno sotto i suoi piedi sussultò;

per poco non fu sbattuto a terra. Si tuffò di lato, tirò fuori un’altra

freccia dalla faretra e la incoccò. Mirò dove l’aveva vista l’ultima volta,

ma era sparita.

Alec si girò con l’arma puntata spazzando l’ingresso del vicolo e

poi scorse il suo obiettivo accucciato sul davanzale di un edificio.

Scoccò la freccia e scattò in avanti, emergendo dal vicolo veloce quasi

quanto il dardo. La donna si sfocò e ricomparve su un davanzale più

alto dello stesso edificio. La freccia finì contro la pietra. La donna con

il mantello si lasciò cadere, atterrando con grazia sul tetto di una

bancarella e si mise a correre, saltando da una bancarella all’altra.

Alec le si slanciò alle calcagna, percorrendo le stradine dietro le

bancarelle, saltando via sacchi della spazzatura, cesti di merci, corde,

pali e cassette. La donna era veloce, ma le doti fisiche di Alec

attingevano al potere degli angeli. Stava guadagnando terreno.

La donna finì in un vicolo cieco al limitare del Mercato e tremolò,

ricomparendo a terra. Pronunciò altre parole in una lingua demoniaca

e l’aria davanti a lei prese a scintillare e a lacerarsi, lasciando emergere

i contorni di un rozzo Portale.

Alec prese una freccia e la tenne tra le dita. Le si slanciò addosso e

lei si voltò, aspettandosi un attacco. La punta della freccia trapassò il

mantello, inchiodandola alla parete laterale di una bancarella.

«Presa.» Alec puntò l’arco con un movimento fulmineo mirando al

centro del corpo.

La donna scosse la testa. «Non credo.»

Lui teneva gli occhi puntati sull’arma dell’avversaria. Un errore.

Dall’altra mano della donna esplose un lampo di luce e Alec fu


scagliato in aria, con braccia e gambe che si agitavano

scompostamente, poi iniziò a cadere. Vide il muro andargli incontro e

con un colpo di reni si raddrizzò per atterrare in piedi. Fece un salto

mortale e finì accovacciato nel fango.

Si rialzò di scatto, con l’arco miracolosamente intatto, e si mosse

d’istinto per imbracciare l’arma. La donna – lo stregone – era

scomparsa. Tutto quel che restava era il Portale che stava

richiudendosi per poi svanire. Girò su se stesso con l’arco puntato,

abbassando la guardia solo quando fu sicuro che se ne fosse andata.

Quella donna era uno stregone, ma anche una combattente esperta.

Una minaccia da non prendere sottogamba.

«Magnus» mormorò. D’un tratto gli venne in mente che non poteva

essere certo che lo stregone donna fosse solo. E se stava cercando di

attirarlo lontano da Magnus? Tornò al vicolo, correndo a perdifiato

lungo la stradina angusta senza curarsi di evitare gli ostacoli,

sradicando paletti e facendo crollare tende, seguito da un coro di

proteste rabbiose urlate dai frequentatori del Mercato delle Ombre.

Grazie all’Angelo, Magnus era incolume: era riemerso dal vicolo

senza accorgersi di niente e si era appartato in un angolo per

chiacchierare con un mondano dall’aria losca che portava un trench e

occhiali da sole. Non appena l’uomo scorse Alec, sobbalzò e si

allontanò in tutta fretta. Alec capiva che Nascosti e Shadowhunters

non sempre andavano d’accordo, ma stava iniziando a prendere sul

personale l’atteggiamento del Mercato delle Ombre.

Magnus gli rivolse un sorriso radioso e lo chiamò con un cenno

della mano. Alec sentì che la sua espressione dura si addolciva. Si

preoccupava troppo. Del resto sembravano sempre esserci un sacco di

cose di cui preoccuparsi. Attacchi di demoni. Cercare di proteggere le

persone che amava dagli attacchi dei demoni. Estranei che cercavano

di fare conversazione con lui. Certe volte tutti quei pensieri parevano

pesargli sulle spalle, un fardello invisibile che Alec quasi non riusciva

a portare e che non poteva deporre.

Magnus era in piedi con la mano allungata verso Alec. Gli anelli

scintillavano e per un attimo sembrò pazzo e strano, ma poi si aprì in

un sorriso tenero. Alec fu sopraffatto dall’amore e dalla sensazione di


essere l’uomo più fortunato del mondo per essersi guadagnato

l’affetto di Magnus.

«Ehi, tesoro» disse Magnus ed era meraviglioso che intendesse

Alec. «Che novità ci sono?»

«Be’,» rispose Alec «qualcuno ti seguiva. L’ho messa in fuga. Era

uno stregone. Uno stregone piuttosto bravo a combattere, tra l’altro.»

«Qualcuno della Mano Scarlatta?» indagò Magnus.

«Non ne sono sicuro» disse Alec. «Non manderebbero più di una

persona, avendo a disposizione un intero culto?»

Magnus fece una pausa. «In genere, sì.»

«Hai trovato quello che cercavi?»

«Più o meno.» Magnus prese Alec sottobraccio, incurante dei vestiti

infangati, e si avviò. «Ti racconterò tutti i dettagli quando arriviamo a

casa, ma la cosa più importante è che stiamo partendo per Venezia.»

«A dire la verità speravo» disse Alec «che avremmo potuto riposare

un po’. E andare a Venezia domani.»

«Sì, sì» rispose Magnus. «Dormiamo fino a tardi, poi mi ci vorranno

secoli per fare i bagagli, perciò partiremo domani sera e arriveremo la

mattina dopo.»

«Magnus.» Alec rise. «È una missione pericolosa o siamo ancora in

vacanza?»

«Be’, un po’ tutte e due le cose, spero» disse Magnus. «Venezia è

particolarmente bella in questo periodo dell’anno. Cosa dico? Venezia

è particolarmente bella in qualunque periodo dell’anno.»

«Magnus» ripeté Alec. «Partiamo di sera e arriviamo la mattina

dopo? Non usiamo un Portale?»

«No» rispose Magnus. «Stando a Tessa, la Mano Scarlatta tiene

d’occhio l’uso dei Portali. Dovremo arrangiarci come fanno i mondani

e prendere il treno più favoloso e lussuoso disponibile per una

traversata romantica delle Alpi in notturna. Vedi che sacrifici mi tocca

fare in nome della prudenza.»

«Gli Shadowhunters si limiterebbero a usare i Portali permanenti di

Idris per trasferirsi» gli fece notare Alec.

«Gli Shadowhunters devono giustificare le proprie spese al

Conclave. Io no. Preparati. Nessuna missione è così pericolosa che non


valga la pena di essere fatta con stile.»


7

L’Orient Express

Dormirono fino a tardi e poi Magnus ci mise tutto il giorno a

preparare i bagagli.

Fece arrivare dei capi in più per Alec da una delle sue boutique

preferite “per emergenze impreviste”. Alec protestò dicendo che non

voleva niente di troppo lussuoso, ma non poté impedirgli di comprare

diversi splendidi maglioni senza buchi come pure uno smoking che –

come gli assicurò Magnus – era assolutamente imprescindibile. La

colazione fu fatta arrivare dalla pasticceria più giù lungo la via, il

pranzo dal traiteur poco lontano sulla stessa strada.

Finalmente presero un taxi per niente romantico, ma pratico, per la

Gare de l’Est, dove Magnus ebbe la soddisfazione di vedere Alec

sgranare gli occhi davanti alle lussuose carrozze bianche e blu

dell’Orient Express che arrivavano in stazione e si fermavano con un

lungo sibilo acuto. Ne scesero una serie di uomini e donne in livrea,

che si misero ad aiutare i passeggeri in attesa con i bagagli.

Alec giocherellò con il manico retrattile del trolley in cui Magnus

l’aveva costretto a mettere in ordine le sue cose. Magnus aveva

osservato Alec riempire un borsone informe con biancheria arrotolata,

finché non era stato preso da una rabbia incontenibile, aveva radunato

diversi componenti eleganti del suo set coordinato di valigie viola e

aveva sorvegliato con occhio di falco mentre Alec sistemava con cura i

suoi indumenti più belli e appropriati.

Adesso Alec mise giù il bagaglio e si avvicinò a Magnus. Raddrizzò

le spalle e si accinse a sollevare la valigia più grossa di Magnus sui

gradini del treno.

«No, no» disse Magnus. Tenne la mano posata garbatamente sulla

borsa in cima alla pila di bagagli e si guardò attorno con


un’espressione di educata perplessità. Di lì a poco comparve uno dei

facchini vestiti elegantemente, stese la mano verso Magnus per avere i

loro biglietti e prese il controllo della situazione bagagli. Magnus

avvertì una punta di senso di colpa quando il giovane grugnì per la

sorpresa, sforzandosi di trascinare il bagaglio sui gradini del treno, ma

una mancia generosa sistemava parecchie cose.

Furono scortati lungo un vagone letto arredato con sfarzo. La

moquette folta, le pareti rivestite di mogano, i corrimano e gli

accessori in ottone lavorato ricordarono a Magnus gli anni che aveva

trascorso con Camille Belcourt, la sua amante vampiro.

Camille. Quando la loro relazione era finita, l’Orient Express non

aveva ancora iniziato la sua storia avventurosa. Adesso era un tuffo

nel passato per turisti: sempre lussuoso e comodo, anche se era la

rievocazione impacciata di un’epoca che per quasi chiunque fosse

vivo oggi erano “i bei vecchi tempi andati”, pressoché impossibili da

immaginare.

Magnus si costrinse a tornare al presente. Per Alec, l’Orient Express

non era un nostalgico tuffo nel passato né un lontano ricordo

custodito con affetto, ma un’avventura nel presente, fatta di pasti

grandiosi consumati in mezzo a montagne innevate, di letti comodi in

cui si dormiva cullati dai tonfi ritmici del treno che correva sui binari.

Raggiunsero la cabina loro assegnata nell’angolo quasi alla fine del

vagone letto. Fedele alla sua promessa, Magnus si era assicurato

l’opzione più chic disponibile, un’ampia suite con un salotto sul

davanti e una camera da letto dietro. Tra i due locali c’era un piccolo

bagno con una doccia racchiusa da pareti di vetro. Pareti in legno di

rosa laccato e decorazioni turche conferivano alla suite un’atmosfera

decadente. Magnus approvava sentitamente.

«Le nostre suite di lusso sono tutte arredate nello stile delle città

che attraversiamo» disse il facchino, lottando per portare dentro il

bagaglio di Magnus. «Questa è Istanbul.»

Magnus gli diede la mancia generosa che meritava per le sue

fatiche, poi chiuse la porta e si voltò verso Alec proprio nel momento

in cui il treno sussultava, mettendosi in movimento. «Cosa ne pensi?»

Alec sorrise. «Perché Istanbul?»


«La suite Parigi e la Venezia parevano una cosa sciocca. Parigi

l’abbiamo appena vista e tra poco saremo a Venezia. Perciò, Istanbul.»

Sedettero sul divano del salotto e osservarono il paesaggio che

scorreva dal finestrino. Il treno stava prendendo velocità. Nel giro di

qualche minuto era uscito dalla stazione e si stava lasciando Parigi alle

spalle. Il paesaggio urbano lasciò il posto ai sobborghi residenziali e

poi il treno correva tra le ondulate colline verdi e i morbidi campi di

lavanda morente della campagna francese.

«È…» Alec indicò il panorama con un gesto. «È…» Batté le

palpebre, incapace di trovare le parole.

«Non è magnifico? Vestiamoci e andiamo a cena. Possiamo anche

esplorare il resto del treno.»

«Sì» disse Alec, ancora senza parole. «Cena. Sì. Bene. Cosa si

indossa a cena su un treno del genere?» Si sporse verso la valigia porta

abiti, mentre Magnus cominciava a disfarla. «Posso cavarmela con una

giacca elegante e un paio di jeans?»

«Alec» lo ammonì Magnus. «Questo è l’Orient Express. Ti metti lo

smoking.»

Parlando di smoking, nel corso dei decenni Magnus aveva

imparato a essere un purista. Le mode andavano e venivano. Ed è

vero che lui adorava i colori brillanti e l’ostentazione. Ma le giacche da

sera che aveva portato per sé e Alec erano nere, con il bavero in gros

grain e due bottoni.

I papillon erano neri. Alec non aveva idea di come si facesse il

nodo. «Quando mai avrei avuto bisogno di indossare un farfallino in

vita mia?» disse Alec. Magnus ammise che aveva ragione e gli fece il

nodo alla cravatta, senza lo sfottò che entrambi sapevano Alec si

sarebbe meritato.

Il segreto dello smoking, aveva imparato Magnus in decenni di

esperienza, era che qualunque uomo stava bene con indosso uno

smoking. Se si era già molto attraenti, come nel caso di Alec, lo

smoking ti stava da dio. Magnus si concesse un breve attimo sognante

ammirando Alec con il papillon nero che armeggiava con i bottoni

della camicia. Lui colse lo sguardo di Magnus e sul viso gli sbocciò

lentamente un sorriso timido.


Manco a dirlo, Alec non possedeva gemelli. Magnus aveva un sacco

di idee per i gemelli che avrebbe comprato ad Alec in futuro, ma con

così poco preavviso aveva scovato un paio dei suoi con un motivo ad

arco e freccia, e adesso glieli porse con un gesto plateale.

«E tu?» chiese Alec, mettendosi i gemelli.

Magnus si avvicinò alla valigia e tirò fuori due enormi ametiste dal

taglio squadrato, montate in oro. Alec si mise a ridere.

Uscirono dalla cabina e stavano per unirsi alla calca di mondani

diretti alla carrozza ristorante quando una ninfa alticcia li superò di

gran fretta, diretta verso la coda del treno. Un attimo dopo, un

gruppetto di elfi visibilmente ubriachi spintonò Alec, andando nella

stessa direzione.

Alec diede un colpetto sulla spalla a Magnus. «Dove pensi che

stiano andando tutti quei Nascosti?»

Magnus si girò a guardare giusto in tempo per vedere due lupi

mannari entrare nel vagone successivo. Quando aprirono la porta, ne

uscirono canti sguaiati. Magnus aveva fame, ma si distraeva

facilmente. «Ha tutta l’aria di una festa. Seguiamo il canto delle

sirene.»

Andarono dietro ai Nascosti e infilarono la testa nel bar ubicato in

coda al treno, dove sembrava proprio esserci una festa in pieno

svolgimento. L’arredamento fece venire in mente a Magnus la

rivendita clandestina di alcolici che aveva posseduto durante il

proibizionismo. Un bancone a tutta parete occupava il lato destro del

vagone e sul sinistro c’erano lussuosi divani componibili color

porpora. Al centro era sistemato un pianoforte suonato da un uomo

azzimato con la barba e zampe di capra. Sul coperchio del piano era

seduta una sirena con un abito fatto di acqua vorticante, che

intratteneva il pubblico.

Un gruppo di brownie faceva comunella in un angolo; uno di loro

suonava uno strumento ricurvo che assomigliava a un liuto ricavato

da un ramo. Vicino al finestrino due phouka fumavano la pipa

ammirando il paesaggio. Uno stregone dalla pelle viola giocava a dadi

con alcuni goblin. Sopra il bancone c’era un cartello che diceva:

VIETATO MORDERE. VIETATO PICCHIARSI. VIETATA LA MAGIA.


L’atmosfera nel vagone era festaiola, rilassata. Nonostante l’elevato

numero di Nascosti, sembravano conoscersi tutti tra loro.

«Dove siete diretti?» chiese Magnus a un goblin.

«A Venezia!» rispose il goblin. Altri goblin sparsi per il vagone gli

fecero eco: «A Venezia!». Lui sollevò la tazza, che sibilava e schiumava

in maniera allarmante. «Alla festa!»

«Quale festa?» chiese Magnus, mentre il goblin si accorgeva di Alec

alle sue spalle.

«No, no» disse il goblin. «Nessuna festa. Ho settecento anni. Mi

sono confuso.»

Alec aveva ricambiato lo sguardo del goblin. «Forse» disse piano

nell’orecchio a Magnus «dovremmo andare al ristorante.»

Magnus si sentì al tempo stesso sollevato, imbarazzato, scocciato e

grato. «Penso sia un’idea eccellente.»

Quando la porta della carrozza bar si richiuse ermeticamente alle

loro spalle, Alec chiese: «Ci sono sempre tutti questi Nascosti sui

treni?».

«Di solito no» rispose Magnus. «A meno che non stiano andando a

una grande festa di Nascosti a Venezia di cui nessuno ha pensato di

informarmi. Che è esattamente quello che stanno facendo.»

Alec non replicò. Nessuno dei due accennò al fatto che, senza Alec,

in quel momento Magnus sarebbe stato diretto a quella festa. Magnus

avrebbe voluto dirgli che la festa non gli interessava, che era più felice

di cenare con lui, perché Alec era importante e la festa no, sul serio.

Oltrepassarono altri due vagoni bar – uno dove si serviva

champagne e una carrozza panoramica – prima di arrivare al

ristorante. Un cameriere andò loro incontro all’ingresso e li scortò a un

séparé d’angolo, schermato da un elegante tendaggio. Un piccolo

lampadario d’ottone sul soffitto faceva piovere sul tavolo una calda

luce gialla e la tavola era apparecchiata con una quantità minacciosa

di forchette, cucchiai e coltelli diversi, disposti ad angolazioni

differenti intorno ai piatti.

Magnus ordinò una bottiglia di barolo e fece roteare il vino nel

bicchiere, mentre ammiravano il panorama che scorreva fuori dal

finestrino. La cena consisteva in aragosta di Loirmoutier al forno con


una spruzzata di burro e succo di limone. Come contorno era stato

servito un vassoio di patate al caviale.

Alec era indeciso sul caviale. Poi parve imbarazzato per la sua

esitazione. «Pensavo che lo si mangiasse perché è costoso.»

«No,» disse Magnus «lo si mangia perché è costoso e delizioso. Ma

è complicato. Devi assaporarlo lentamente, per fare esperienza della

raffinatezza e della complessità del sapore.» Prese un pezzo di patata,

lo spalmò di panna acida e poi vi mise sopra una porzione generosa di

caviale, dopodiché se lo infilò in bocca. Masticò con calma studiata, a

occhi chiusi.

Quando li riaprì, Alec lo stava osservando con attenzione e annuiva

pensieroso. Poi scoppiò a ridere.

«Non è divertente» disse Magnus. «Ecco, te ne faccio una.» Preparò

un’altra patata e la fece assaggiare ad Alec dalla sua forchetta.

Alec imitò Magnus, masticando con movimenti esagerati e facendo

roteare gli occhi in una parodia di estasi. Magnus aspettò.

Alla fine, Alec deglutì e aprì gli occhi. «È proprio buono, a dire la

verità.»

«Visto?»

«Devo roteare gli occhi tutte le volte?»

«Se lo fai, è più buono. Aspetta… guarda.»

Alec pronunciò un: «Oh!» meravigliato e gratificante quando il

treno fece una curva ed emerse nel cuore della campagna francese.

Fitti boschi verde scuro incorniciavano laghi dalla superficie liscia

come uno specchio e in lontananza si scorgevano montagne

incappucciate di bianco. Più vicino, un promontorio roccioso si ergeva

come la prora di una nave sopra i caratteristici filari ordinati delle

vigne sottostanti.

Magnus osservò il paesaggio, poi la faccia di Alec e di nuovo il

panorama. Guardarlo insieme a lui era come vedere il mondo con

occhi nuovi. Magnus era già stato nel Parc du Morvan, ma per la

prima volta da molto tempo provò anche lui meraviglia.

«A un certo punto» disse Alec «attraverseremo i confini di Idris e il

treno salterà da quello più vicino a quello più lontano in un istante. Mi

chiedo se riusciremo ad accorgercene.»


C’era una nota nostalgica nella sua voce, benché Alec non vivesse a

Idris da quando era piccolo. I Nephilim avevano sempre un posto a

cui tornare, qualunque cosa succedesse, un paese di foreste incantate e

campi ondulati, con al centro una città di splendenti torri di cristallo.

Donata loro dall’Angelo. Magnus era un uomo senza patria, ed era

così da più tempo di quanto potesse ricordare. Che strano vedere la

bussola dell’anima di Alec oscillare e puntare sicura verso casa. La

bussola dell’anima di Magnus si muoveva liberamente dentro di lui, e

lui vi aveva da tempo fatto l’abitudine.

Si presero per mano e Magnus chiuse le dita su quelle di Alec,

mentre osservavano spesse nuvole avanzare da est.

Magnus indicò uno dei cumuli temporaleschi. «Quella lì lunga

assomiglia a un serpente annodato. Quella là sembra il croissant che

ho mangiato stamattina. E quella… un lama, mi pare. O magari mio

papà? Ciao, pa’! Spero di non vederti presto!» Soffiò un bacio

sarcastico.

«Funziona come con le stelle?» chiese Alec. «È romantico nominare

le cose che vedi in cielo?»

Magnus rimase in silenzio.

«Puoi parlare di lui, se vuoi» disse Alec.

«Mio padre il demone o il mio patrigno che ha cercato di

uccidermi?» chiese Magnus.

«Tutti e due.»

«Non voglio rovinarci l’appetito» disse Magnus. «Cerco di non

pensare a nessuno dei due.» Menzionava di rado suo padre, ma dopo

le informazioni di Johnny Rook non riusciva a levarselo dalla testa.

Continuava a riflettere su cosa potesse significare per suo padre essere

il demone adorato dalla Mano Scarlatta.

«Stavo pensando a mio padre proprio ieri» disse Alec, esitante. «Mi

ha detto che sarei dovuto restare a New York e fingere di essere

eterosessuale. Era quello che intendeva, almeno.»

Magnus ricordò una lunga notte fredda, in cui era stato costretto a

mettersi in mezzo tra una famiglia di lupi mannari terrorizzati e un

gruppo di Shadowhunters, tra cui la madre e il padre di Alec. Nel

mondo c’erano così tanto odio e paura, anche tra coloro che erano


scelti dall’Angelo. Guardò Alec in faccia e vide i dubbi e i timori che il

padre gli aveva instillato.

«Non parli molto dei tuoi genitori» osservò Magnus.

Alec esitò. «Non voglio che pensi male di mio padre. So che in

passato ha fatto delle cose… che è rimasto coinvolto in cose di cui non

va fiero.»

«Anch’io ho fatto cose di cui non vado fiero» mormorò Magnus,

non osando dire di più. Per la verità, a Magnus Robert Lightwood non

piaceva, e non gli era mai piaciuto. In qualunque altro universo, non

avrebbe mai pensato di poter cambiare idea.

Ma in questo universo, entrambi amavano Alec. Certe volte l’amore

funzionava, oltre ogni speranza di cambiamento, quando non

funzionava nient’altro. Senza amore, il miracolo non si compiva mai.

Magnus si portò alla bocca la mano di Alec e la baciò.

Robert non poteva essere un mostro totale. In fin dei conti, aveva

cresciuto Alec.

Finirono di cenare in un silenzio amichevole, interrompendosi per

osservare il sole incendiare le montagne in lontananza mentre calava

dietro le vette. Le prime stelle iniziarono a comparire nel cielo che si

andava scurendo.

Arrivò il cameriere per chiedere se volevano il dessert, o magari un

digestivo.

Magnus stava per domandare cosa ci fosse quando Alec, con una

scintilla negli occhi, rivolse al cameriere un sorriso luminoso.

«A dire la verità» disse «penso che opteremo per lo champagne che

ci aspetta nel nostro scompartimento. Non è così, Magnus?»

Magnus era rimasto letteralmente a bocca aperta. Era abituato a

due Alec molto diversi: lo Shadowhunter sicuro di sé e il ragazzo

timido e insicuro. Non sapeva cosa pensare dell’Alec con lo scintillio

negli occhi.

Alec si alzò e tese la mano a Magnus perché facesse altrettanto. Gli

diede un bacetto sulla guancia e lo prese per mano.

Il cameriere annuì educatamente e fece un sorriso comprensivo.

«Ma certo. Vi auguro bonne nuit, allora.»

Non appena raggiunsero la loro cabina, Alec si tolse la giacca e si


diresse verso il letto. Magnus avvertì uno sfarfallio nel petto: non c’era

niente di più sexy di un uomo con indosso una camicia da smoking e

Alec riempiva meravigliosamente la sua.

Mentre rivolgeva un ringraziamento silenzioso all’Angelo per tutto

l’esercizio fisico che gli Shadowhunters erano costretti a fare, fece

comparire una bottiglia gelata di Pol Roger e la appoggiò sul bancone.

Sollevò due bicchieri e sorrise quando si riempirono da soli, con il

turacciolo al suo posto anche se il livello del vino si abbassava. Si unì

ad Alec sul letto, offrendogli un bicchiere. Alec accettò.

«Allo stare insieme» disse Magnus. «Ovunque vogliamo.»

«Mi piace stare insieme» rispose Alec. «Ovunque vogliamo.»

«Santé» disse Magnus. Fecero tintinnare i bicchieri e bevvero, con

Alec che lo guardava da sopra il bordo del calice con quello scintillio

negli occhi. Magnus non poteva resistere a quello sguardo più di

quanto potesse resistere a una birichinata, a un’avventura o a un

cappotto dal taglio elegante. Si sporse in avanti, posando le labbra su

quelle di Alec, piene e morbide. Fu scosso da un brivido intenso.

Mentre gli passava la lingua sul labbro inferiore sentì il gusto frizzante

e aspro del vino. Alec ansimò a offrì la bocca a Magnus perché la

esplorasse. Gli mise un braccio intorno al collo, stringendo ancora in

mano il calice e inarcandosi al punto che le piegoline inamidate delle

camicie da sera sfregarono tra loro.

Vi fu un crepitare di scintille azzurre e d’un tratto i bicchieri di

champagne erano sul comodino accanto al letto. «Oh, grazie

all’Angelo» disse Alec e si tirò sopra Magnus.

Era pura beatitudine. Le braccia snelle di Alec circondavano

Magnus, i baci erano decisi, profondi e lo facevano sciogliere dentro. Il

corpo forte di Alec sosteneva il peso di Magnus senza il minimo

sforzo.

Magnus si rilassò, abbandonandosi ai baci lunghi e lenti, alla

sensazione delle mani di Alec tra i capelli. Si stavano ancora baciando,

quando la corsa regolare del treno fu interrotta da uno scossone che

fece oscillare violentemente la carrozza. Magnus rotolò di lato e si

ritrovò disteso sulla schiena. Le flûtes di champagne erano cadute dal

comodino ed erano finite sul letto, inondandoli di vino frizzante.


Guardò Alec e vide che batteva le palpebre per togliersi lo champagne

dagli occhi.

«Stai attento» disse Alec, afferrando Magnus per le braccia e

tirandolo giù dal letto.

Le lenzuola erano zuppe e Magnus era finito su un bicchiere,

rompendolo. Si rese conto che Alec temeva che potesse tagliarsi. Esitò,

colto alla sprovvista più da quella preoccupazione che dal bicchiere

rotto.

«Dovrei chiamare per far cambiare le lenzuola» disse Magnus.

«Potremmo andare al vagone panoramico ad aspettare…»

«Non fa niente» ribatté Alec, insolitamente tagliente. Dopo un

attimo si ricompose. «Cioè… sì. Sarebbe perfetto. Certo.»

Magnus riesaminò la situazione e decise che – come succedeva

spesso – la soluzione era la magia. Agitò le dita e il letto si rifece da

solo, con le lenzuola che svolazzavano in aria in mezzo a una pioggia

di scintille azzurre, per poi sistemarsi sul letto che tornò a essere liscio

e perfettamente bianco.

Alec rimase di stucco alla vista di lenzuola e cuscini che

fluttuavano disordinati per la cabina e Magnus ne approfittò per

sfilarsi la giacca e slacciarsi il papillon. Si avvicinò ad Alec e gli

sussurrò: «Credo che potrebbe essere più che perfetto».

Si baciarono, e anziché condurlo verso il letto Magnus lo guidò in

direzione della doccia tirandolo per i passanti dei pantaloni. Alec fece

un’espressione stupita, ma lo seguì docilmente.

«Hai la camicia inzuppata di champagne» spiegò Magnus.

Alec abbassò lo sguardo sulla camicia di Magnus, che era diventata

trasparente. Arrossì leggermente e bisbigliò: «Anche tu».

Magnus sorrise, premendo la bocca su quella di Alec. «Ottima

osservazione.»

Fece un gesto e dalla doccia iniziò a uscire l’acqua calda, che si

riversò su di loro. Magnus vedeva i deboli contorni scuri delle rune

sotto la stoffa sottile della camicia bagnata di Alec. Goccioline

argentee di luce e acqua danzavano nello spazio ristretto che li

separava. Magnus sollevò le mani e sfilò la camicia e la maglietta di

Alec facendogliele passare dalla testa. Sul petto nudo di Alec


scorrevano rivoletti d’acqua che seguivano il rilievo dei muscoli.

Magnus lo attirò più vicino e lo baciò mentre gli sbottonava la

camicia. Sentiva le mani forti di Alec sulla schiena, attraverso la stoffa

sottile e fradicia della camicia che non costituiva praticamente una

barriera e al tempo stesso lo era anche troppo. Abbassò la testa e posò

le labbra sul collo di Alec, scendendo sulla spalla.

Alec rabbrividì e spinse Magnus contro la parete di vetro della

doccia. Magnus stava avendo seri problemi a sbottonarsi la camicia.

Alec posò la bocca su quella del compagno, che gemette sommesso.

Il bacio era appassionato e urgente, le bocche unite e impazienti come

le mani. Mentre Magnus si sforzava di concentrarsi sul sofisticato

controllo motorio, notò uno strano baluginio vicino al soffitto, fuori

dalla doccia.

Alec si immobilizzò quando percepì la nuova tensione nel corpo

del compagno. Seguì lo sguardo di Magnus. Un paio di occhi sinistri li

osservavano ammiccanti attraverso il vapore.

«Non adesso» sussurrò Alec contro la bocca di Magnus.

«Dev’essere uno scherzo.»

Magnus mormorò un incantesimo, senza staccare le labbra da

quelle di Alec. Dalla cima della doccia iniziò a zampillare del vapore

che si raccolse attorno allo scintillio e dalla nebbia emerse la sagoma

di una scolopendra gigantesca. Il demone Drevak attaccò.

Magnus snocciolò diverse parole con voce tagliente, in ctonio

demoniaco. Le pareti della doccia si ricoprirono all’istante di ghiaccio

e si indurirono proprio mentre il demone Drevak lanciava un getto di

acido corrosivo nella loro direzione.

Alec spinse a terra Magnus e uscì dalla doccia piegato in due,

scivolando sul pavimento bagnato e finendo contro le porte di legno

dell’armadio dall’altra parte della cabina. Afferrò goffamente il bordo

inferiore di una delle ante e la spalancò.

Magnus non capì cosa stesse facendo, finché lo vide alzarsi in piedi

con in mano una spada angelica. «Muriel!»

Prima che il Drevak potesse attaccare di nuovo, Alec balzò verso il

soffitto e menò un fendente slanciandosi in avanti. Le due parti del

demone caddero a terra dietro di lui e svanirono.


«È proprio strano che esista un angelo Muriel» commentò Magnus.

«Muriel mi fa venire in mente un’insegnante di piano acida.»

Sollevò in alto un’immaginaria spada angelica e salmodiò: «La

prozia Muriel!».

Alec si girò verso Magnus, a torso nudo e con i pantaloni fradici,

illuminato dalla luce delle stelle e dal bagliore della spada angelica, e

per un attimo Magnus rimase senza parole per il puro e semplice

desiderio fisico. Alec disse: «Il Drevak non sarà solo».

«Demoni» osservò Magnus amaramente. «Loro sì che sanno come

rovinare l’atmosfera.»

Il finestrino della cabina esplose verso l’interno, provocando una

pioggia di schegge e detriti. Magnus perse momentaneamente di vista

Alec, nascosto dalla nuvola di polvere. Fece un passo avanti e si

ritrovò faccia a faccia con una creatura dal lungo corpo nero, le gambe

filiformi e una testa prominente da cui spuntava una proboscide

allungata. Atterrò di fronte a lui e sibilò, rivelando file serrate di denti

appuntiti.

Magnus fece un gesto e dal pavimento zampillò dell’acqua che

avvolse il demone in una bolla trasparente. La sfera si capovolse,

disorientando la creatura. Quindi Magnus sollevò un braccio e lanciò

la bolla fuori dal finestrino.

Arrivò immediatamente un altro demone. L’insetto cercò di

sorprenderlo sul fianco e per poco non gli staccò un pezzo di gamba

con un morso. Magnus barcollò all’indietro verso il letto agitando le

dita; le ante dell’armadio si spalancarono colpendo con violenza

l’insetto gigantesco.

Il demone quasi non se ne accorse. Sibilò e fece a pezzi il legno con

un morso poderoso. Mentre stava per attaccare, il bagliore bianco

accecante della lama angelica di Alec si abbatté in mezzo agli occhi

composti della creatura, tagliandogli a metà la testa prominente.

Alec estrasse la spada dal corpo del demone e disse: «Dobbiamo

muoverci».

Raccolse l’arco, facendo cenno a Magnus di seguirlo, e uscirono

dalla cabina distrutta, ritrovandosi in un vagone letto dove regnava la

calma. Dopo il caos di un istante prima, il silenzio del corridoio faceva


uno strano effetto. Non si sentiva niente, tranne il tonfo ritmico delle

ruote del treno sui binari e la musica classica che proveniva dagli

altoparlanti del soffitto. La bassa illuminazione ambrata faceva

muovere le ombre al ritmo di un valzer dettato dalle lievi oscillazioni

del convoglio.

Alec girò su se stesso imbracciando l’arco, in attesa dell’attacco

successivo. Il silenzio inquietante durò parecchi secondi, prima che lo

udissero. Un debole picchiettio, quasi impercettibile sulle prime, come

di una pioggia leggera che batte sul tetto. Ben presto si udirono altri

rumori, colpi e tonfi che aumentavano di frequenza e numero.

Alec sollevò l’arco, mentre il rumore si faceva sempre più forte, un

ticchettio di unghie o artigli sul metallo, come se il treno stesse

passando in mezzo a un temporale. «Siamo circondati. Spostiamoci

nel vagone successivo. Sbrigati.» Magnus si diresse verso la porta più

vicina, ma Alec gli disse duramente: «Lì ci sono altri vagoni letto.

Occupati da mondani».

Magnus fece dietrofront e si diresse verso la porta più lontana,

tallonato da Alec. Percorsero il corridoio che portava al vagone di

coda, con il bar pieno di Nascosti. Una giovane lupo mannaro con un

vestito decorato di perline stava camminando nel corridoio. Quando li

vide si bloccò.

Cinque mastodontici demoni Raum entrarono come furie dal

finestrino sull’altro lato e lei gridò. Alec le si gettò addosso, facendole

scudo con il proprio corpo e pugnalando furiosamente il demone che

cercava di attaccarli. Furono avvolti dai tentacoli di un altro demone e

Alec rotolò con il lupo mannaro tra le braccia, tagliando le appendici

della creatura con la lama angelica.

Uno dei Raum superstiti si avviò a passi pesanti verso i rumori che

provenivano dal bar. Magnus spedì una palla di luce rovente nella sua

direzione.

«È un demone, quello?» sentì gridare una voce. «Chi l’ha invitato?»

Un’altra voce disse: «Leggi il cartello, demone!».

«State tutti bene?» urlò Magnus e un demone approfittò di

quell’istante di distrazione per attaccarlo.

Un incubo di tentacoli e denti si parò di fronte a Magnus; poi il


demone si dissolse in nulla, con una freccia nella schiena. Magnus

guardò attraverso la caligine e il lampo e vide Alec, accucciato sul

pavimento con l’arco in mano.

Il lupo mannaro guardava Alec sbalordita. La polvere scura dei

demoni uccisi e un sottile velo di sudore rilucevano sulla sua pelle

nuda marchiata dalle rune.

«Non avevo capito niente degli Shadowhunters. D’ora in avanti,

potete chiedermi di fare qualunque cosa per la vostra lotta contro i

demoni» annunciò convinta la ragazza lupo mannaro. «E io lo farò.»

Alec girò la testa per guardarla. «Qualunque cosa?»

«Con piacere» disse la ragazza.

«Come ti chiami?» le chiese Alec.

«Juliette.»

«Sei di Parigi?» chiese Alec. «Vai al Mercato delle Ombre di Parigi?

Conosci una fata bambina che si chiama Rose?»

«Sì» rispose la ragazza lupo mannaro. «La conosco. È davvero una

bambina? Pensavo che fosse solo astuzia da fata.»

«La prossima volta che la vedi» disse Alec «puoi darle da

mangiare?»

La ragazza lupo mannaro sbatté le palpebre e la sua espressione si

addolcì. «Sì» rispose. «Posso farlo.»

«Cosa succede qui?» chiese il goblin con cui aveva parlato prima,

emergendo in corridoio dalla festa. Fece tanto d’occhi. «C’è viscidume

di demone dappertutto e un sacco di pelle di Shadowhunter da queste

parti!» urlò da sopra la spalla.

Alec si alzò in piedi e si avvicinò a Magnus, che schioccò le dita e

fece comparire la sua maglietta ancora umida. Alec la prese,

chiaramente sollevato. Magnus e la ragazza lupo mannaro

osservarono un po’ tristi mentre lui se la infilava.

Indossata la maglietta, Alec prese Magnus per mano. «Stai vicino

a…»

Magnus non sentì il resto. Prima che potesse aprir bocca, qualcosa

gli si avvinghiò attorno alla vita, sollevandolo da terra e strappandolo

alla presa di Alec. Fu attraversato da un dolore lancinante che gli levò

il fiato. Udì il suono del vetro che si rompeva e sentì centinaia di


minuscole schegge conficcarglisi nella pelle.

Il mondo scomparve e riprese conoscenza qualche momento dopo,

con il rumore del vento che gli ululava nelle orecchie e l’aria gelida

che gli schiaffeggiava il viso. Stordito e disorientato, alzò lo sguardo e

vide la luna piena librarsi sopra le montagne frastagliate. Sotto di lui,

il treno correva lungo un ponte.

Magnus era sospeso in aria sopra un precipizio. L’unica cosa che gli

impediva di precipitare incontro alla morte era il tentacolo nero

attorno alla vita.

Il tentacolo non era un grande conforto.


8

La velocità del fuoco

La mano ancora allungata, Alec fissò il punto in cui Magnus si trovava

solo un secondo prima e sentì che il cuore gli si fermava.

Un attimo prima stringeva la mano di Magnus. Adesso era lì

impalato, il braccio proteso verso un finestrino che si era trasformato

in una nuvola di minuscoli frammenti di vetro sparsi sulla folta

moquette color vino.

Fu percorso da un brivido: non riusciva a scacciare il pensiero di

tutto quello che aveva perduto nella battaglia di Alicante. Non poteva

perdere anche Magnus. Era destinato a essere un guerriero e un

soldato, una luce salda contro le tenebre. Ma il terrore che lo

attanagliava in quel momento era profondo e viscerale, più terrificante

di qualunque paura avesse mai provato in battaglia.

Sentì un grido, a malapena udibile sopra l’ululato del vento. Corse

verso il finestrino rotto.

Magnus era sospeso in aria accanto al treno, nelle grinfie di una

creatura simile a un albero fatto di fumo accucciata sul tetto della

carrozza. Magnus era intrappolato tra i rami neri, le mani

immobilizzate dai tentacoli. Sotto di loro si apriva un precipizio di

centinaia di metri.

La superficie fumosa del demone ribolliva e si increspava nell’aria.

Alec fu tentato di colpirlo con delle frecce, ma non voleva provocarlo,

non mentre teneva prigioniero Magnus. E Magnus non poteva usare

la magia, con le mani bloccate. Alec guardò nell’abisso; era così buio

che non se ne vedeva il fondo.

«Magnus!» urlò. «Arrivo!»

«Fantastico!» gli urlò Magnus di rimando. «Non mi muovo!»

Alec si arrampicò sul telaio del finestrino e si bilanciò mentre il


treno oscillava, rivolgendo un grazie silenzioso alla runa della

Destrezza che gli consentiva di mantenere l’equilibrio. Sollevò le

braccia e afferrò la T e la E all’inizio della parola INTERNATIONALE,

incastonata in lettere d’ottone sopra i finestrini dei vagoni. Non

doveva fare altro che tirarsi su e far oscillare le gambe slanciandole

sopra il tetto.

Avrebbe dovuto funzionare. Alec aveva compiuto imprese del

genere centinaia di volte durante l’addestramento. Ma la lettera T era

meno salda di quanto pensasse e quando fece leva si allentò con un

rumore metallico, le viti piegate e mezze divelte. Riuscì a portare sul

tetto solo una gamba prima che si staccasse del tutto. Cercò di trovare

un appiglio, con le braccia e le gambe divaricate contro la fiancata

convessa della carrozza.

«Tutto a posto?» gli urlò Magnus.

«Tutto secondo i piani!» Alec iniziò a scivolare lentamente, un

centimetro dopo l’altro.

Si sentì assalire da un’urgenza mai provata in vita sua. La

disperazione gli trasformò le mani in artigli. Con una forza che

nasceva solo dalla volontà di salvare Magnus, riuscì a trovare un

appoggio sotto il piede e ad arrampicarsi freneticamente sul tetto.

Prima che potesse rimettersi in piedi, qualcosa di grosso e pesante

gli arrivò addosso da dietro. Dei tentacoli gli si avvolsero attorno alle

gambe e alla vita, stringendo. Decine di minuscole ventose rosse lo

pizzicarono attraverso la stoffa bagnata della maglietta, bruciandogli

la pelle.

Alec si ritrovò a fissare i grandi occhi sporgenti e la mascella

spalancata di un demone Raum. Fece un rumore schioccante e cercò di

morderlo. Senza poter usare l’arco e impossibilitato a raggiungere la

spada angelica, Alec usò l’unica arma che aveva a disposizione. Alzò

il braccio e tirò un pugno in faccia al demone Raum.

Lo prese in un occhio e gli diede una gomitata sul muso. Alec

tempestò di colpi la faccia del demone finché i tentacoli non si

allentarono quel tanto da permettergli di divincolarsi dalla sua presa.

Cadde sulla schiena e si rialzò con una capriola, mettendosi in

ginocchio. Aveva in mano l’arco con la freccia incoccata e la lasciò


andare proprio mentre il demone Raum lo assaliva.

Fermò la prima freccia con un tentacolo, ma barcollò quando la

seconda lo colpì a un ginocchio. Smise di caricare quando la terza

freccia, scoccata quasi a bruciapelo, gli si conficcò nel petto. Il demone

gemette in agonia, barcollò, perse l’equilibrio e cadde giù dal tetto del

treno.

L’arco finì a terra con fracasso. Alec espirò e appoggiò una mano

sul tetto del vagone per reggersi. Sentiva il corpo bruciare per le

decine di punture velenose provocate dai tentacoli del demone. Cercò

a tentoni lo stilo e se lo premette sul cuore, tracciando l’iratze. Subito

l’oppressione al petto si alleviò e gli si snebbiò la mente.

Inspirò bruscamente. Il veleno del demone non era facile da

contrastare. Quel sollievo era solo temporaneo.

Avrebbe dovuto sfruttare al massimo i minuti successivi.

Si mise in piedi con uno sforzo di volontà e si concentrò su Magnus,

ancora prigioniero del mostro oscuro simile a una piovra. Non aveva

mai visto un demone del genere, e sicuramente nel Codice non se ne

faceva menzione. Fa niente. Aveva preso Magnus e si stava

allontanando.

Raccolse l’arco e si slanciò all’inseguimento, correndo sul tetto del

treno e superando a balzi lo spazio vuoto tra un vagone e l’altro.

Teneva lo sguardo fisso su Magnus, cercando di non perderlo di vista

di nuovo. Il terrore lo spingeva avanti con coraggio sprezzante.

Rimase sul treno per miracolo quando il convoglio imboccò

improvvisamente una curva.

Comparvero parecchi demoni Ravener che gli bloccavano la strada,

con le mascelle spalancate e le velenose code da scorpione. Una vocina

nella testa gli disse che era strano essere attaccati

contemporaneamente da tanti tipi diversi di demoni. In genere

avevano la tendenza a starsene tra di loro.

Quasi certamente significava che erano stati convocati. Che dietro

quell’attacco c’era un intento malvagio, che aveva di mira

precisamente loro due.

Al momento Alec non aveva tempo per approfondire la questione,

e neanche per farla troppo lunga con i demoni Ravener. A ogni


secondo perso, Magnus era sempre più lontano. Lanciò frecce

correndo a perdifiato, sacrificando un po’ la precisione della mira.

Una delle frecce colpì un Ravener mentre balzava, e Alec ne spazzò

via altri due con l’arco, facendoli cadere dal treno. Un altro demone

Raum si beccò una freccia nella gola. La spada angelica attraversava i

corpi come se fossero l’aria notturna.

Alec era in piedi, ricoperto di icore e sangue, e si accorse di aver

fatto fuori tutto il gruppo.

Gli faceva male ovunque e l’iratze stava iniziando a svanire. Non

aveva finito. Strinse i denti e si avviò a passo pesante. Il demone di

fumo era all’estremità della carrozza. Aveva smesso di muoversi. Due

tentacoli erano ancora avvolti attorno a Magnus, quattro erano

aggrappati al fianco del convoglio vicino ai binari e gli ultimi due

svolazzavano nell’aria come se stesse saggiando il vento. No, le

estremità dei tentacoli erano immerse in una luce che si faceva via via

più complessa a ogni nuovo movimento e rimaneva vicino al demone

anche se il treno continuava la sua corsa.

Alec strizzò gli occhi e si rese conto che la luce era il bagliore rosso

di un pentacolo che si stava delineando nell’aria a fianco del treno.

Incoccò una freccia, mirò in mezzo agli occhi del mostro e la lasciò

andare. La freccia rimbalzò via dalla pelle turbolenta del demone

senza fare danni. Ne lanciò un’altra e lo colpì di nuovo; stesso

risultato. A quel punto il pentacolo si era aperto e il demone ci stava

mettendo dentro Magnus. Poteva sbatterlo in un’altra dimensione o

lasciarlo cadere in qualche abisso senza fondo.

Alec incoccò un’altra freccia. Questa volta mirò a uno dei tentacoli

che tenevano stretto Magnus. Sussurrò una preghiera all’Angelo e

scoccò il dardo.

La freccia si conficcò nel tentacolo a pochi centimetri dal corpo di

Magnus. Il mostro arretrò e allentò un pochino la presa. Magnus non

perse tempo e non appena ebbe una mano libera si mise a muoverla

rapidamente nell’aria. Una ragnatela di elettricità azzurra avvolse

l’altro tentacolo che lo teneva prigioniero. Il demone di fumo urlò e i

tentacoli si ritrassero di scatto, liberando Magnus. Lo stregone cadde

sul tetto del vagone con un tonfo e rotolò, iniziando a scivolare giù dal


treno.

Alec si tuffò in avanti, scivolando sul metallo freddo,

pericolosamente vicino all’orlo del tetto. Sfiorò la punta delle dita di

Magnus e lo mancò, mentre Magnus cadeva giù dal treno.

Alec si allungò con uno scatto oltre il bordo e afferrò una manciata

di stoffa umida. Strinse la camicia di Magnus con entrambe le mani e

cercò di tirarlo su usando tutte le forze che gli restavano.

Gli si annebbiò la vista per lo sforzo, ma poi Magnus era tra le sue

braccia e batteva gli occhi dorati in cui c’era un’espressione scioccata.

«Grazie, Alexander» disse. «Purtroppo, la piovra sta attaccando di

nuovo.»

Alec rotolò di lato, tirandosi dietro Magnus. Un tentacolo nero si

abbatté nel punto in cui si trovavano un attimo prima. Il tentacolo si

sollevò per colpire di nuovo. Magnus si mise a sedere di scatto e

sollevò le mani; un fascio di luce azzurra tagliò uno dei tentacoli che

frustavano l’aria. Il mostro ritrasse l’arto ferito spruzzando intorno

icore nero.

Magnus si alzò in piedi. Alec fece per imitarlo, ma fu colto dalle

vertigini. Gli effetti dell’iratze erano quasi svaniti e il veleno del Raum

gli scorreva nelle vene come acido.

«Alec!» urlò Magnus. I suoi capelli svolazzavano impazziti nel

vento che spazzava il tetto del convoglio. Tirò su Alec con uno

strattone, mentre il demone si preparava ad attaccarli di nuovo. «Alec,

cosa c’è?»

Alec cercò lo stilo, ma aveva la vista annebbiata. Sentiva Magnus

chiamare il suo nome, udiva il demone avvicinarsi. Magnus non

poteva aiutare Alec e al tempo stesso respingere il demone.

Magnus, pensò. Scappa. Mettiti in salvo.

Il mostro di fumo balzò in avanti, proprio mentre una sagoma

scura si interponeva tra loro e il demone.

Una donna, con un mantello e i capelli scuri che svolazzavano al

vento. Stringeva in mano una spada con la lama triangolare che

scintillò alla luce della luna.

«State indietro!» gridò. «Me ne occupo io.»

Fece un gesto con la mano e il demone di fumo cacciò un lungo


gemito crepitante, come il rumore del legno che scoppietta quando

brucia.

«L’ho già vista» disse Alec, stupito. «È la donna con cui ho

combattuto al Mercato delle Ombre di Parigi. Magnus…»

Fu attraversato da un’altra fitta dolorosa provocata dal veleno. Gli

si offuscò la vista. Aveva la sensazione che lo stessero pestando,

colpendolo allo stomaco, e gli cedettero le gambe.

«Magnus» ripeté.

Il cielo cominciò a svanire, con le stelle che si spegnevano a una a

una, ma Magnus lo prese al volo. «Alec» stava ripetendo e la sua voce

non era per niente quella di Magnus, fredda, sprezzante e

affascinante. Era roca e disperata. «Alec, ti prego.»

Alec sentiva le palpebre pesantissime. Tutto gli diceva di chiudere

gli occhi. Si costrinse a tenerli aperti per guardare un’ultima cosa:

Magnus che torreggiava sopra di lui, i suoi strani occhi colmi d’amore

l’ultima luce che vedeva.

Avrebbe voluto dirgli che andava tutto bene. Magnus era salvo.

Alec aveva tutto ciò che desiderava.

Cercò di sollevare una mano per toccargli la guancia. Non ci riuscì.

Il mondo era così buio. Il viso di Magnus sbiadì e fu inghiottito da

una notte senza stelle, insieme a tutto il resto.


9

Shinyun

L’acido demoniaco aveva distrutto metà del loro scompartimento.

Anzi, tutto il treno aveva subito parecchi danni, che erano stati

nascosti al personale e ai passeggeri mondani con un’intelligente

combinazione di incantesimi e voci sparse ad arte su un festino di reali

europei.

Magnus stava ricreando il rivestimento di legno, e già che c’era

apportava alcune migliorie all’arredamento, quando sentì Alec

muoversi. Era stato solo un movimento impercettibile sotto le coperte,

ma Magnus lo aveva aspettato tutta la notte.

Si girò in tempo per vedere Alec muoversi di nuovo. Si affrettò ad

andare a sedersi di fianco al letto.

«Ehi, splendore, come ti senti?» mormorò.

Alec allungò una mano, con gli occhi ancora chiusi. Era un gesto

muto di fiducia… il gesto di un ragazzino che poteva sempre contare

su mani amorevoli e voci affettuose quando era malato o ferito. A

Magnus venne in mente quando era arrivato all’Istituto, convocato

per guarire Alec da ferite demoniache. Isabelle era nel panico, Jace

camminava su e giù per i corridoi, bianco come un lenzuolo.

Quella situazione aveva riportato Magnus indietro nel tempo, al

ricordo di Nephilim cui aveva voluto bene e che si amavano

reciprocamente. Essere testimone dell’amore tra Will e Jem aveva

cambiato i suoi sentimenti nei confronti dei Nephilim e vedere Jace – il

freddo, imperturbabile Jace – a pezzi per Alec glielo aveva fatto

apprezzare molto di più.

Adesso la mano di Alec era allungata verso di lui e Magnus la prese

come la testimonianza di fiducia che era. La pelle di Alec era fresca.

Magnus premette la guancia sulle loro mani allacciate, chiudendo gli


occhi solo un attimo e lasciandosi inondare dal sollievo. La pelle di

Alec aveva bruciato di febbre per un pezzo, ma Magnus aveva grande

esperienza nel curare i Nephilim.

Perché gli Shadowhunters, per quanto adorabili, erano tutti quanti

dei pazzi incoscienti.

Ovviamente, Alec si era comportato da pazzo incosciente per

salvare la vita a Magnus. Ripensò ad Alec in equilibrio sul tetto del

treno che sfrecciava su tortuosi passi di montagna, i vestiti bagnati, la

pelle ricoperta di sangue e sporcizia. Era straziante e seducente al

tempo stesso.

«Sono stato meglio.» Le lenzuola di Alec erano fradice di sudore,

ma sul viso gli stava tornando il colore. «Sono stato anche peggio.

Grazie per avermi guarito.»

Magnus si raddrizzò e passò la mano a mezz’aria sopra il petto di

Alec. Dal palmo scaturì un bagliore azzurro che scintillò prima di

sparire nel corpo di Alec. «Il battito è più regolare. Avresti dovuto

chiedermi subito di occuparmi di quel veleno.»

Alec scosse la testa. «Se ricordi, un demone piovra ti stava portando

via.»

«Sì» rispose Magnus. «A proposito. Apprezzo profondamente che

tu mi abbia salvato. Ci tengo molto alla mia vita. Ma se fosse

necessario decidere tra la tua vita e la mia, Alec, ricorda che io ho già

vissuto tantissimi anni.»

Pronunciare quelle parole gli fece un effetto strano. Non era facile

parlare dell’immortalità. Magnus ricordava a stento la sua giovinezza,

ma non era neanche mai stato vecchio. Era stato con mortali di età

diverse e non era mai riuscito a capire cosa volesse dire il tempo per

loro. E loro non erano stati in grado di comprendere lui.

Eppure, tagliare i ponti con i mortali avrebbe significato recidere i

suoi legami con il mondo. La vita sarebbe diventata una lunga attesa,

senza calore né intimità, finché il suo cuore si sarebbe inaridito. Dopo

un secolo di solitudine, chiunque sarebbe impazzito.

Anche il fatto che Alec avesse rischiato la vita per Magnus

sembrava una follia.

Alec aveva gli occhi ridotti a fessure. «Cosa stai dicendo?»


Magnus intrecciò di nuovo le dita a quelle di Alec. Le loro mani

erano posate sulle lenzuola, quelle di Alec pallide e marchiate dalle

rune, quelle di Magnus scure e scintillanti di anelli.

«Dovresti pensare prima alla tua incolumità. La tua vita è più

importante, significa più della mia.»

Alec disse: «Direi la stessa cosa a te».

«Ma ti sbaglieresti.»

«Questione di opinioni. Cos’era quel demone?» Magnus fu

costretto ad ammirare la faccia tosta con cui Alec aveva cambiato

argomento. «Perché ti ha attaccato?»

«Attaccare è quello che fanno di solito i demoni» rispose Magnus.

«Se ero io il suo obiettivo, presumo che fosse invidioso del mio stile e

del mio fascino.»

Alec non si lasciò incantare. Magnus non aveva creduto sul serio di

riuscirci.

«Avevi mai visto niente del genere? Dobbiamo escogitare il modo

migliore per affrontarlo, se ne compare un altro. Se potessi andare alla

biblioteca di New York, verificare sui bestiari… magari posso chiedere

a Isabelle di farlo per me…»

«Oh, voi Nephilim avete il chiodo fisso» disse Magnus, lasciandogli

andare la mano prima che lo facesse lui. «Non potreste prendere la

vostra carica di energia dalla caffeina come tutti gli altri?»

«Il demone era una regina madre Raum» disse una voce di donna

alle loro spalle. «Ci vuole una magia potente per attirarne una fuori

dalla sua tana.»

Con una mano Alec afferrò le lenzuola per coprirsi e allungò l’altra

per impugnare la spada angelica.

«A proposito,» disse Magnus alzando la voce «posso presentarti la

nostra nuova amica, Shinyun Jung? Ha vaporizzato il demone che ci

stava attaccando. Mi ha fatto un’ottima prima impressione.»

Alec e Shinyun guardarono Magnus increduli.

«La mia prima impressione» sottolineò Alec con una certa durezza

«è stata che mi stesse attaccando al Mercato delle Ombre.»

«La mia impressione» ribatté Shinyun «è stata che tu stessi

attaccando me. Volevo solo parlare con Magnus, ma tu mi hai puntato


contro un’arma.»

«Forse dovremmo fare due chiacchiere per chiarire le cose»

concordò Magnus.

Era stato troppo preoccupato per Alec per rifletterci più di tanto.

Shinyun si era inginocchiata accanto a lui e aveva iniziato ad aiutarlo

a guarire le ferite di Alec. In quel momento, era l’unica cosa che gli

serviva sapere.

«Sì» disse Shinyun. «Perché non continuiamo questa conversazione

fuori di qui, quando saremo tutti vestiti?»

«Lo apprezzerei» disse Alec.

«Suggerisco il vagone bar.»

Magnus si illuminò. «Questo lo apprezzerei io.»

Si ritrovarono al bar dei Nascosti. Il vagone era ancora affollato, ma

dopo l’attacco dei demoni la gente si era data una bella calmata. D’un

tratto al bancone si liberarono tre posti vicini e mentre si sedevano

sugli sgabelli comparvero una bottiglia di champagne e tre bicchieri

senza che li avessero ordinati. Quando Alec si guardò attorno

diffidente, un vampiro gli strizzò l’occhio e gli fece il gesto della

pistola con le dita.

Forse Magnus non avrebbe dovuto preoccuparsi granché del fatto

che i Nascosti odiassero Alec. Non su quel treno, almeno.

«Non credevo che gli Shadowhunters fossero così popolari tra i

Nascosti» osservò Shinyun.

«Solo il mio Shadowhunter» disse Magnus, versando da bere.

Il bar era illuminato da lampade d’ottone appese al soffitto. La luce

calda cadeva in pieno sul viso di Shinyun. Gli occhi e le labbra si

muovevano quando parlava, ma il resto della faccia rotonda, le

palpebre e le guance lisce erano immobili. La voce era asciutta e

sembrava uscirle di bocca monocorde, senza alcuna inflessione.

Era il suo marchio da stregone, il viso inespressivo. Tutti gli

stregoni avevano una caratteristica unica, che in genere compariva

nella prima infanzia e spesso portava alla tragedia. Il marchio di

Magnus erano gli occhi dorati da gatto. Il patrigno li aveva definiti

finestre sull’Inferno.


Magnus non riusciva a smettere di ripensare a quando era

inginocchiato sul tetto del treno, folle di paura, con Alec che perdeva

conoscenza fra le sue braccia. Aveva visto il demone dissolversi in

fumo attorno a Shinyun, mentre lei si toglieva il cappuccio e

abbassava lo sguardo su di lui. L’aveva riconosciuta al volo: non chi

era, ma il fatto che era come lui. Uno stregone.

Un’entrata a effetto, bisognava riconoscerlo.

«Parliamo» disse Alec. «Perché ci stavi seguendo? Più

precisamente, perché stavi seguendo Magnus al Mercato delle Ombre

di Parigi?»

«Cerco la Mano Scarlatta» rispose Shinyun. «Avevo sentito dire che

Magnus è il loro leader.»

«Non lo sono.»

«Non lo è» rincarò la dose Alec, con voce dura.

«Lo so» disse Shinyun. Magnus vide che Alec rilassava

impercettibilmente le spalle. Gli occhi scuri di Shinyun si girarono

verso Magnus e ne sostennero lo sguardo. «Avevo già sentito parlare

di te, naturalmente. Magnus Bane, il Sommo Stregone di Brooklyn.

Hanno tutti qualcosa da dire su di te.»

«Ovvio» commentò Magnus. «Sono famoso per il mio gusto in fatto

di moda e l’ospitalità delle mie feste.»

«È vero che tutti sembrano fidarsi di te» continuò Shinyun. «Non è

che io volessi credere che tu fossi a capo di un culto, ma di recente l’ho

sentito ripetere di continuo. “Magnus Bane è il fondatore della Mano

Scarlatta.” Quello che chiamano il Grande Veleno.»

Magnus esitò. «Può darsi. Ma non me lo ricordo. I miei ricordi di

quel periodo sono stati… alterati. Vorrei saperlo.»

Alec gli lanciò un’occhiata e Magnus, nonostante non fosse capace

di leggere nella mente, capì chiaramente che era scioccato all’idea che

rivelasse un segreto così importante e pericoloso a una completa

sconosciuta.

D’altra parte, Magnus si sentiva stranamente sollevato di aver

ammesso a voce alta di poter essere il fondatore della Mano Scarlatta,

anche con un’estranea così particolare. In fin dei conti, aveva fatto

quella battuta a Ragnor. Aveva visto la foto di Tessa. Sapeva che gli


mancavano anni di ricordi. Cos’era più probabile: che fossero tutte

coincidenze o che l’avesse fatto davvero?

Avrebbe voluto poter viaggiare a ritroso nel tempo e darsi un calcio

nel sedere da solo.

«Ti mancano dei ricordi? Pensi che li abbia presi la Mano

Scarlatta?» chiese Shinyun.

«È possibile» rispose Magnus. «Senti, io non voglio un culto»

aggiunse. Sentiva con forza di dover chiarire senza ombra di dubbio la

sua posizione riguardo ai culti. «Non ho intenzione di prendere la

guida del culto. Ho intenzione di eliminarlo e di cercare di rimediare a

qualunque colpa possa avere per il male che hanno fatto. Rivoglio

indietro i miei ricordi e voglio sapere perché sono spariti, ma più per

curiosità personale che altro. L’importante è che non esistano più culti

demoniaci convinti di avere qualche legame con Magnus Bane. E poi

hanno rovinato una vacanza romantica che si stava rivelando molto

promettente, o almeno penso.»

Si scolò lo champagne. Dopo aver rischiato di essere buttato giù da

un treno, se lo meritava, un drink. Anzi, più d’uno.

«Si stava rivelando molto promettente» borbottò Alec, lanciando a

Shinyun un’occhiata per dire che, anche se gli aveva salvato la vita, la

sua presenza non era più necessaria.

Magnus rifletté se dire che li avevano interrotti sul più bello, ma

decise che non era il momento.

«Potete capire perché possa essermi venuto il sospetto…» cominciò

Shinyun.

«Puoi capire perché a noi possa essere venuto più di un sospetto!»

ribatté Alec.

Shinyun lo guardò in cagnesco. «Finché non ho visto la regina

madre Raum attaccarti» disse. «Conosco la Mano Scarlatta

sufficientemente bene da sapere come agiscono. Il leader attuale sta

cercando di ucciderti, Bane. Il che significa che qualunque cosa sia

accaduta in passato, adesso ti considerano il nemico. Ieri sera li ho

fermati, ma è probabile che ci riproveranno.»

«Come fai a sapere così tante cose di loro?» chiese Alec. «E cosa

vuoi?»


Shinyun si portò il bicchiere alle labbra e bevve lentamente un

sorso di vino. Magnus ne ammirò per l’ennesima volta l’istinto sicuro

per i gesti a effetto.

«Il mio obiettivo è lo stesso che avete voi. Intendo distruggere la

Mano Scarlatta.»

Magnus provò disagio davanti alla presunzione di quella donna

che parlava al posto suo. Avrebbe voluto mettersi a cavillare, ma più

ci pensava e più capiva che aveva ragione. Alla fine, probabilmente si

sarebbe arrivati a quello.

«Perché?» chiese Alec, puntando l’attenzione sulla cosa più

importante. «Cosa ha fatto a te la Mano Scarlatta?»

Shinyun guardò fuori dal finestrino i pallidi globi riflessi della luce

delle lampade contro il buio della notte. «Mi hanno fatto del male»

disse e Magnus sentì un vuoto alla bocca dello stomaco. Qualunque

cosa avesse fatto la Mano Scarlatta, se era stato lui a fondarla, come

minimo era in qualche modo responsabile.

Le mani di Shinyun furono scosse da un tremito e lei le premette

l’una contro l’altra per nasconderlo. «I particolari non sono

importanti. La Mano Scarlatta sta accumulando sacrifici – sacrifici

umani, naturalmente – per evocare un Demone Superiore. Uccidono

fate. Mondani. Perfino stregoni.» Guardò Magnus, senza battere le

palpebre. «Pensano sia la strada per ottenere il potere supremo.»

«Un Demone Superiore?» esclamò Alec.

L’orrore e il ribrezzo che trapelavano dalla sua voce erano del tutto

comprensibili. Per poco non era stato ucciso da un Demone Superiore.

Quando ci pensava Magnus sentiva ancora una stretta allo stomaco.

Finì il secondo bicchiere e se ne versò un altro.

«La cosa più trita e banale che un culto malvagio può volere,

dunque. Potere. Potere attraverso un demone. Com’è che sono sempre

convinti che verranno risparmiati? I demoni non vanno famosi per il

fair play.» Magnus fece un sospiro. «Verrebbe da pensare che un culto

fondato da me debba avere uno spirito più creativo. E poi sarei

portato a credere che un culto fondato da me non sarebbe stato

malvagio; questo aspetto continua a stupirmi.»

«Persone a cui volevo bene sono morte a causa della Mano


Scarlatta» continuò Shinyun.

«Forse i particolari contano, dopo tutto» disse Alec.

Shinyun strinse il bicchiere così forte da farsi sbiancare le nocche.

«Preferirei non parlarne.»

Alec sembrava dubbioso.

«Se volete che mi fidi di voi, dovrete fidarvi di me» disse Shinyun

senza mezzi termini. «Per il momento, tutto quello che vi serve sapere

è che desidero vendetta contro la Mano Scarlatta per i crimini che

hanno commesso contro di me e le persone che amo. Questo è quanto.

Se voi siete contro di loro, siamo dalla stessa parte.»

«Tutti hanno dei segreti, Alec» disse Magnus piano, percependo

acutamente il proprio. «Se la Mano Scarlatta sta cercando di uccidermi

per qualche ragione, dovremmo sfruttare tutto l’aiuto che riusciamo a

ottenere.»

Magnus poteva perdonare a Shinyun la scelta di non rivelare il

proprio passato. In fin dei conti, lui non riusciva neanche a ricordare il

proprio. Avrebbe voluto credere che parlarne avrebbe migliorato le

cose, ma nella sua esperienza talvolta parlare non faceva altro che

peggiorare tutto.

Scese il silenzio. Shinyun sorseggiò il drink senza dire niente.

Magnus era spaventato, e non per la propria vita. Continuava a

pensare al momento in cui Alec era svenuto sul tetto del treno,

quando aveva creduto, in preda a un terrore raggelante, che stesse

morendo per lui. Aveva paura per Alec, e per quello che poteva aver

fatto e che adesso non ricordava.

Non sapeva cosa stesse pensando Alec, ma mentre lo osservava lo

vide sorridere, appena un po’, e allungare una mano sul bancone. Le

sue dita forti e callose si strinsero intorno a quelle di Magnus, le loro

mani unite nella minuscola pozza di luce gettata dalla candela.

Magnus avrebbe voluto prenderlo e baciarlo fino a rimanere senza

fiato, ma sospettava che Shinyun non avrebbe apprezzato lo

spettacolo.

«Hai ragione» disse Alec. «Immagino che il nemico del nemico sia

mio amico, o almeno una conoscenza amichevole. Meglio se uniamo le

forze.» Abbassò la voce. «Ma lei non dorme in camera con noi.»


«Siamo intesi, allora?» chiese Shinyun. «Perché, e scusate la

maleducazione, è terribilmente imbarazzante stare qui a guardarvi.

Non sono venuta ad assistere al fiorire della vostra relazione. Voglio

solo sconfiggere il culto malvagio.»

Magnus aveva deciso. Qualunque altra cosa ci fosse in ballo – che

fosse debitore a Shinyun per avergli salvato la vita, o si sentisse

responsabile per il male che la Mano Scarlatta le aveva fatto – lei

sapeva molte cose. Sarebbe stato stupido non tenersela buona.

«Godiamoci lo champagne e per ora supponiamo di essere tutti

dalla stessa parte. Puoi dirci qualcosa del tuo passato più recente,

almeno?»

Shinyun rifletté per un momento e poi sembrò giungere a una

decisione.

«È da un po’ che sto addosso alla Mano Scarlatta. Ricevevo

aggiornamenti da un informatore tra le loro fila che si chiamava Mori

Shu. Mi stavo avvicinando, ma hanno scoperto un’altra spia al loro

interno, hanno abbandonato la sede e si sono nascosti. Avevo esaurito

le piste da seguire, quando una fonte attendibile mi ha riferito che il

Labirinto a Spirale vi aveva offerto l’opportunità di dare la caccia al

culto.»

«Se l’ha saputo lei, magari l’ha saputo anche qualcun altro» osservò

Alec. «Forse è per questo che la Mano ti vuole morto, Magnus.»

«Può darsi» disse Magnus. Era una teoria valida, ma c’erano ancora

troppi elementi che non ricordava. Aveva la sensazione tormentosa

che ci fossero un mucchio di cose che poteva aver fatto per attirarsi

addosso l’odio della Mano.

Shinyun non sembrava interessata. «Ti ho seguito a Parigi,

osservando i tuoi movimenti, e avevo deciso di avvicinarti al Mercato

delle Ombre, quando lo Shadowhunter mi ha attaccata.»

«Stavo proteggendo Magnus» protestò Alec.

«Lo capisco» disse Shinyun. «Combatti bene.»

Ci fu una pausa quasi impercettibile.

«Anche tu.»

Il leader della Mano Scarlatta, chiunque fosse, sapeva che stavano

arrivando. Magnus voleva essere al sicuro. Voleva che Alec fosse al


sicuro. Voleva che quella storia finisse.

«Prendiamo un’altra bottiglia» disse, facendo un gesto in direzione

del barista, «e brindiamo alla nostra nuova alleanza.»

La bottiglia arrivò e i bicchieri furono riempiti. Magnus levò il

proprio per brindare. «Bene,» disse «a Venezia.» Fecero tintinnare i

bicchieri e bevvero. Magnus pensò a cose più piacevoli dei culti

demoniaci. Rifletté sulla città di vetro liquido e acqua in movimento,

la città di canali e sognatori. Guardò Alec, incolume, gli occhi azzurri

limpidi e la voce un’ancora nel mare in tempesta.

Magnus pensò che si era sbagliato a credere che Parigi fosse la città

adatta per mettere la loro relazione sui binari giusti. Anche prima del

culto di adoratori di demoni, Alec non era rimasto impressionato dalla

Tour Eiffel né dalla mongolfiera, non nel modo in cui avrebbe voluto

lui. Parigi era la città dell’amore, ma anche di superfici senza

profondità, di luci brillanti che scivolavano via e si spegnevano in

fretta. Magnus non voleva perdere questa occasione. Voleva

un’ambientazione migliore. Questa volta voleva che le cose andassero

per il verso giusto.

Venezia era il posto per Alec. Venezia aveva profondità.


Parte seconda

CITTÀ DI MASCHERE

… Venezia un tempo diletta.

D’ogni piacere divino soggiorno,

della terra l’eliso, dell’Italia ballo in maschera.

LORD BYRON


10

Labirinto d’acqua

Magnus spalancò le tende e uscì sul balcone della stanza dell’hotel.

«Ah, Venezia! Non esiste città al mondo come te.»

Alec lo seguì fuori e si appoggiò alla ringhiera. Seguì con lo

sguardo una gondola che serpeggiava sul canale e spariva dietro un

angolo.

«Puzza un po’.»

«È l’atmosfera.»

Alec fece un ghigno. «Be’, l’atmosfera è piuttosto pungente.»

L’unica cosa positiva dell’attacco dei demoni della sera prima era

che tra la decina di incantesimi di invisibilità messi in atto da tutti i

partecipanti e da un certo numero di spettatori, i mondani

responsabili del treno non si erano accorti del caos spaventoso né del

buco gigantesco in una delle carrozze passeggeri. Erano arrivati a

Venezia alle dieci del mattino, quasi in orario.

Dopo aver preso un taxi d’acqua, erano scesi al Belmond Hotel

Cipriani, a pochi isolati dall’ex sede della Mano Scarlatta.

Magnus rientrò nella suite e indicò le valigie, che si aprirono e

iniziarono a disfarsi da sole. Maglioni e cappotti volarono

nell’armadio, la biancheria si piegò nei cassetti, le scarpe

camminarono mettendosi ordinatamente in fila vicino alla porta e gli

oggetti di valore si chiusero nella cassaforte.

Si girò verso Alec, che stava osservando il movimento del sole nel

cielo sereno con la fronte leggermente aggrottata.

«So cosa stai pensando» disse Magnus. «Colazione.»

«Non abbiamo tempo» disse Shinyun, facendo irruzione nella suite

senza bussare. «Dovremmo andare subito a perquisire la sede

abbandonata.»


Lei, ovviamente, si era già cambiata e indossava un tailleur

pantaloni di fattura italiana che risplendeva iridescente di incantesimi

e protezioni.

Magnus le lanciò un’occhiata di disapprovazione. «Non abbiamo

lavorato insieme per molto tempo, Shinyun Jung, ma una delle cose

che dovresti imparare di me è che prendo i pasti molto sul serio.»

Shinyun guardò Alec, che assentì.

«In qualunque momento, potrei organizzare un’intera fase della

nostra missione imperniandola su un ristorante o un bar particolari.

Se lo faccio, aspettare ne varrà la pena.»

«Se è tanto importante…» cominciò Shinyun.

«Mangeremo tre volte al giorno. La colazione sarà uno di questi

pasti. Anzi, la colazione sarà il più importante, perché la colazione è il

pasto più importante della giornata.»

Shinyun guardò di nuovo Alec, che disse impassibile: «Più di una

missione per eliminare un grande male è fallita a causa di un calo di

zuccheri».

«Allora mi ascolti quando parlo!» esclamò Magnus. Alec rivolse a

Shinyun un sorriso di scuse, che lei non ricambiò.

«Benissimo» disse Shinyun. «Allora, dove inizia oggi il tuo

programma?»

Il programma di Magnus, fortunatamente, iniziava in fondo alle

scale, all’Oro Restaurant dell’albergo. Sedettero sulla terrazza

osservando una sfilata di barche che navigavano sulla laguna. Alec

divorò due crêpe e prese in considerazione di ordinarne una terza.

Magnus si godette un espresso, il piatto a base di uova più complicato

presente sul menu e il canale turchese scintillante.

«Stavo pensando che Venezia potrebbe piacerti più di Parigi» disse

ad Alec.

«Parigi mi è piaciuta» rispose Alec. «Anche qui è bello.» Con uno

sforzo visibile si girò verso Shinyun e cercò di fare conversazione. «È

la prima volta che viaggio per piacere. Sono sempre stato vicino a

casa. Tu di dove sei?»

Magnus fu costretto a distogliere un attimo lo sguardo per

concentrarsi sulle barche. Certe volte la tenerezza che provava per


Alec era dolorosa.

Shinyun esitò. «La Corea, quando ancora avevo una patria. La

Corea della dinastia Joseon.»

Ci fu una pausa. «Era un posto difficile in cui vivere per uno

stregone?»

Shinyun guardò Magnus e disse: «Ogni luogo è difficile, per un

bambino stregone».

«Vero» confermò Magnus.

«Sono originaria di un piccolo villaggio nei pressi del monte

Kuwol. I miei marchi si manifestarono tardi. Avevo quattordici anni

ed ero promessa a Yoosung, un bel ragazzo di una buona famiglia del

villaggio. Quando il mio viso si paralizzò, tutti credettero che mi fossi

trasformata in un demone Hannya o fossi posseduta da un gwisin. Il

mio promesso disse che a lui non importava.» La voce le tremò quasi

impercettibilmente. «Mi avrebbe sposata lo stesso, ma fu ucciso da un

demone. Ho consacrato la vita a cacciare i demoni in suo onore. Ho

fatto studi approfonditi sui demoni nel corso dei secoli. So come si

comportano. Conosco i loro nomi. E non ho mai evocato un demone,

né mai lo farò.»

Magnus si mise comodo e bevve un sorso di caffè. «Alec, ricordi la

notte scorsa, quando la nostra nuova conoscenza ci ha detto di non

poterci rivelare nulla del suo passato?»

Shinyun rise. «È storia antica. Sono trascorsi moltissimi anni tra

allora e oggi, un enorme pezzo di passato dopo essermi lasciata alle

spalle quello che vi ho raccontato.»

«Be’,» disse Magnus «capisco le ragioni della tua scelta, ma per la

cronaca io evoco demoni di continuo. Be’, non proprio di continuo. Ma

quando sono pagato per farlo, entro i limiti del mio codice etico,

ovviamente.»

Shinyun ci pensò su. «Ma a te non… piacciono i demoni. Non hai

problemi a ucciderli.»

«Sono predoni violenti e irrazionali del nostro mondo, quindi no,»

disse Magnus «non ho problemi a ucciderli. Il mio ragazzo è uno

Shadowhunter, per l’amor del cielo. Letteralmente, per l’amor del

cielo.»


«L’avevo notato» commentò Shinyun asciutta.

Scese un breve silenzio imbarazzato, rotto da Shinyun che

disegnava nell’aria un’immagine fluttuante in miniatura della piovra

contro cui avevano combattuto la notte prima.

«Prenderò un altro espresso» disse Magnus, alzando la tazzina

vuota in direzione del cameriere.

«Questa regina madre Raum, ad esempio. Non ha ossa e può far

ricrescere la propria carne. Si può mutilarla o trapassarla quanto si

vuole, ma rigenererà gli organi e gli arti troppo rapidamente perché

sia possibile ucciderla in questo modo. Bisogna invece lacerarla

dall’interno. Ecco perché ho usato un incantesimo sonico.»

«Le avevi già combattute?» chiese Alec.

«Ne ho affrontata una sull’Himalaya un centinaio di anni fa,

quando terrorizzava un villaggio locale.»

La discussione si spostò sulla caccia ai demoni, un argomento

noiosissimo per Magnus, ma profondamente eccitante per Alec. Così

si mise comodo, sorseggiò l’espresso e rimase a osservare mentre i

minuti passavano, finché vi fu una pausa nella conversazione. A quel

punto si schiarì la gola e disse: «Se abbiamo finito di fare colazione,

potremmo andare a dare un’occhiata alla sede della Mano Scarlatta di

cui abbiamo tanto sentito parlare».

Shinyun ebbe il buon gusto di apparire un filo imbarazzata mentre

lasciavano il ristorante per recarsi nell’atrio dell’albergo. Magnus si

fece chiamare un taxi d’acqua. Quando arrivò a prenderli, Shinyun e

Alec erano di nuovo intenti a scambiarsi consigli su come ammazzare

i demoni.

Il segreto di Venezia è che le sue strade sono un labirinto

impenetrabile, ma i canali hanno un loro strano senso. Anziché

percorrere le vie di una città prive di targhe con i nomi delle strade, il

loro taxi d’acqua fu in grado di lasciarli in vista del palazzo dove

erano diretti.

I muri dorati dell’edificio erano arricchiti di colonne e archi in

marmo bianco, ornati di stucco scarlatto. Le finestre di quello che in

qualunque altra parte del mondo si chiama piano terra, e a Venezia

“piano di marea”, erano insolitamente grandi, una concessione alla


bellezza in cambio del rischio di inondazioni. Il vetro rifletteva le

acque del canale, trasformando il volubile turchese in giada

scintillante.

Magnus non riusciva a immaginare di poter fondare un culto, ma

se avesse avuto intenzione di farlo, si vedeva benissimo a scegliere

quell’edificio.

«Il genere di posto che piacerebbe a te» osservò Alec.

«È meraviglioso» disse Magnus.

«La cosa che più mi colpisce, però,» aggiunse Alec «è il viavai di

persone. La tua amica Tessa non aveva detto che era abbandonato?»

Venezia era sempre affollata e le strade erano movimentate come i

canali, ma Alec aveva ragione. C’era un flusso costante di gente che

entrava e usciva dal portone doppio d’ingresso.

«E se la Mano Scarlatta fosse ancora qui?» chiese Alec.

«Ci renderebbe le cose più facili.» Shinyun aveva parlato in tono

impaziente.

«È chiaro che quelli non sono membri di un culto» fece notare

Magnus. «Guarda che aria annoiata.»

In effetti, gli uomini e le donne che entravano e uscivano dal

palazzo avevano l’aria di persone intente a svolgere un lavoro.

Trasportavano mucchi di stoffa, scatoloni di cartone, pile di sedie.

Passò un tizio vestito da cuoco, reggendo degli scaldavivande

ricoperti di carta d’alluminio. Non c’era nemmeno l’ombra di tuniche,

maschere, fiale di sangue o animali vivi per i sacrifici. Alcuni erano

Nascosti, notò Magnus.

Si diresse verso la persona che aveva l’aria più da Nascosto di tutti,

una driade maschio dalla pelle verde in piedi accanto al portone

d’ingresso, immersa in conversazione con un satiro che aveva in mano

un portablocco.

Mentre si avvicinava la driade fece un sobbalzo. «Wow… sei

Magnus Bane?»

«Ti conosco?» chiese Magnus.

«No, però potresti, assolutamente» rispose la driade soffiandogli un

bacio.

Alec tossì ostentatamente alle sue spalle.


«Sono lusingato, ma come puoi sentire, sono impegnato. Be’, di

sicuro quella non è un’infreddatura.»

«Peccato» disse la driade. Diede un colpetto sul petto al satiro.

«Questo è Magnus Bane!»

Senza alzare gli occhi dal portablocco, il satiro ribatté: «Magnus

Bane non è invitato alla festa. Perché esce con uno Shadowhunter, ho

sentito».

La driade li guardò con espressione di scuse. «Nofon pafarlafarefe

defellofo Shafadowfohufuntefer» sussurrò al satiro cercando di non

farsi sentire dagli altri. «Lofo Shafadowfohufuntefer èfe qufuifi efe tifi

sefentefe!»

«Sì, e ho già decifrato il vostro linguaggio segreto» disse Alec

asciutto.

Magnus fece un’espressione addolorata e si girò verso i suoi

compagni. «Non posso credere di non essere invitato alla festa. Sono

Magnus Bane! Lo sanno perfino questi tizi.»

«Quale festa?» chiese Shinyun.

«Scusate,» proseguì Magnus «lasciate che vi spieghi una cosa. Una

festa in cui Alec non è il benvenuto non è una festa a cui voglio

partecipare.»

«Magnus, quale festa?» insistette Shinyun.

«Penso che Shinyun trovi strano» disse Alec molto lentamente a

Magnus «che stia per tenersi una festa di Nascosti nell’ex sede della

Mano Scarlatta.»

«Tu» disse Shinyun alla driade in tono autoritario. «Cosa ha detto

riguardo a una festa?»

La driade mise su un’espressione perplessa, ma rispose piuttosto

prontamente. «Il ballo in maschera di stasera, per celebrare la sconfitta

di Valentine Morgenstern nella Guerra Mortale. Questo posto enorme

si è appena liberato e uno stregone l’ha affittato per un grande evento.

Partecipa gente di tutto il Mondo delle Ombre. Un bel po’ di noi sono

arrivati in treno da Parigi.» Gonfiò il petto, le guance color smeraldo

per l’orgoglio. «Sai, se i Nascosti non si fossero uniti per sconfiggerlo,

il mondo intero sarebbe stato in pericolo.»

«Gli Shadowhunters erano coinvolti» fece notare Alec.


La driade agitò una mano, facendo svolazzare le foglie sul polso.

«Ho sentito dire che hanno aiutato.»

«Allora alla festa viene un sacco di gente?» chiese Magnus.

«Speravo di incontrare uno stregone mio amico. Si chiama Mori Shu.

È sulla lista degli invitati?»

Magnus sentì Shinyun inspirare bruscamente alle sue spalle.

Il satiro sfogliò il blocco. «Sì, eccolo. Però qualcuno mi ha detto che

potrebbe non farcela, qualcosa a proposito del fatto che ultimamente

tiene un profilo basso. Una faccenda di demoni.»

«Ovviamente, tu sei invitato» disse la driade a Magnus. «Tu e i tuoi

amici. È stata una svista che non fossi già sull’elenco.»

Il satiro capì al volo e andò diligentemente alla fine della lista per

aggiungere il nome di Magnus.

«Sono molto offeso di essere stato escluso dagli invitati e perciò io e

i miei amici parteciperemo di sicuro» disse Magnus altezzoso.

La driade ci mise un attimo a capire, poi annuì. «Le porte verranno

aperte alle otto.»

«Noi arriveremo molto, ma mooolto più tardi» disse Magnus «per

via dei nostri fittissimi impegni sociali.»

«Naturalmente» assentì la driade.

Scesero i gradini e si guardarono intorno.

«È perfetto» disse Alec. «Andiamo alla festa, sgattaioliamo via,

troviamo la Camera. Facilissimo.»

Shinyun annuì in segno di assenso.

«Voi due pensate di andare a una festa?» chiese Magnus. «Vestiti

così?»

Alec e Shinyun si guardarono. Shinyun indossava il tailleur

pantaloni, un capo costoso, ma non certo l’abbigliamento adatto a una

festa. Al fianco aveva appesa la samgakdo. Alec indossava una T-shirt

scolorita e dei jeans inspiegabilmente macchiati di vernice. Magnus

aveva già aggiunto dei capi al guardaroba di Alec mentre erano a

Parigi, ma non avevano maschere di carnevale né costumi elaborati,

cosa che per quanto lo riguardava era l’occasione perfetta per una

delle sue attività preferite.

«Su, cacciatori di demoni» disse in tono regale. «Andiamo a fare


shopping.»


11

Maschere

«Non lo dico a cuor leggero» dichiarò Magnus. «Ma… ta-da!»

Magnus li aveva portati alle Mercerie per quello che aveva

promesso sarebbe stato uno shopping spettacolare. Alec era già stato a

fare acquisti con Magnus, perciò sapeva cosa aspettarsi. Attese in ogni

negozio con in mano cinque o sei sacchetti, mentre lo stregone si

provava praticamente tutto, dagli abiti tradizionali alla traja de luces da

matador a una cosa che somigliava in modo sospetto a un costume da

mariachi. Non c’erano uno stile o un colore che non fossero adatti ai

suoi capelli scuri e agli occhi da gatto verde-oro, per cui Alec non

sapeva bene cosa Magnus stesse cercando. Qualunque combinazione

scegliesse, era sicuro che gli sarebbe stata bene.

La mise che indossava in quel momento non faceva eccezione.

Pantaloni neri di pelle che gli abbracciavano le lunghe gambe snelle e

muscolose come se fossero state intinte nell’inchiostro. La cintura era

un serpente di metallo con anelli di squame, la fibbia una testa di

cobra con occhi di zaffiro. La camicia con il collo a scialle era una

cascata di blu scurissimo e lustrini color indaco che rivelava non solo

le clavicole, ma un’ampia porzione di pelle.

Magnus girò su se stesso, poi si guardò nello specchio con aria

critica, dando la schiena ad Alec che a quella vista sentì la bocca

improvvisamente secca.

Disse: «Penso che tu stia… bene».

«Qualcosa non va?»

«Be’» rispose Alec. «Quei pantaloni ti ostacolerebbero in una

battaglia, ma non avrai bisogno di combattere. Posso farlo io per te, se

si presenta l’eventualità.»

Magnus parve colto di sorpresa e Alec si chiese se non avesse detto


qualcosa di sbagliato, finché non vide la sua espressione addolcirsi.

«Apprezzo la tua offerta. Adesso» aggiunse «proverò solo un’altra

cosa.» Scomparve nel camerino.

Ne uscì con una giacca senza collo e un corto mantello asimmetrico

in tinta che gli pendeva con noncuranza dalle spalle. Shinyun

comparve con addosso quello che sembrava una via di mezzo tra

un’armatura e un abito da sposa.

Cinque minuti dopo essere entrati nel primo negozio Alec aveva

scelto quella che Magnus aveva chiamato una redingote, lunga e nera

con code di media lunghezza. Era sufficientemente flessibile da

permettergli di muoversi e combattere, e abbastanza ampia nei punti

giusti per poter portare lo stilo e le spade angeliche. Magnus avrebbe

voluto che si provasse qualcosa con un briciolo più di colore, ma Alec

aveva detto di no e lui non aveva insistito. La camicia era di seta blu

scuro, il colore dei suoi occhi.

Dopo essersi provata una serie di vestiti più sobri, Shinyun aveva

visto Magnus sfilare fuori dal camerino con un abito dorato ispirato

vagamente alla camera sepolcrale di un faraone e si era ripresentata

con un elaborato hanbok color pesca. Magnus le aveva fatto lodi

sperticate ed era iniziata la gara.

Shinyun era competitiva nei confronti di Magnus. Forse tutti gli

stregoni si mettevano in competizione tra loro. Alec non ne aveva

conosciuti molti e non lo sapeva.

Stava cercando di non preoccuparsi troppo di Shinyun. A Magnus

chiaramente piaceva, ma Alec era impacciato con gli estranei e non

voleva assolutamente essere ancora più impacciato in quel viaggio

romantico. Come avrebbero fatto lui e Magnus a conoscersi meglio,

con un terzo incomodo sempre fra i piedi?

Forse non preoccuparsi era una causa persa. Alec cercava almeno di

non dare a vedere che era preoccupato.

Alec diede un colpetto alla commessa dagli occhi sgranati che gli

stava accanto. «Dove avete scovato questi costumi?»

La giovane scosse la testa, parlando in un inglese accurato. «Non ne

ho idea. Non li avevo mai visti prima.»

«Uh» disse Alec. «Strano.»


Alla fine, Magnus sfoggiava un abito bianco luccicante, decorato

con quelle che sembravano squame di drago iridescenti che lo

ammantavano di una luminosità opalescente. Sopra portava un

mantello color avorio che gli arrivava alle ginocchia e aveva il colletto

della camicia slacciato, con la stoffa perlacea che si arricciava sulla

carnagione scura.

Shinyun aveva deciso di esagerare, scegliendo un complicato abito

nero con enormi nastri avvolti intorno ai fianchi. Dal collo del vestito

partivano intricati tralci di vite argentei che arrivavano fino a terra e

dalla nuca zampillava una fontana di fiori rosa.

Chiesero ad Alec di aiutarli con la scelta della maschera. Per

Magnus l’alternativa era tra una maschera dorata con un pennacchio

di piume arancioni disposte a semicerchio e una mascherina d’argento

lucido, così brillante che quasi non si riusciva a guardarla. Le due

opzioni di Shinyun erano una maschera di marmo che le nascondeva

tutta la faccia oppure una sottile maschera fatta di fili che non copriva

praticamente nulla, entrambe ironiche. Alec scelse quella d’argento

per Magnus e quella a rete per Shinyun. Lei se la mise sul viso con una

vaga espressione soddisfatta.

«Stai bene» le disse Magnus. Spostò gli occhi su Alec e gli tese una

mezza maschera di seta blu scuro come il tramonto. Alec la prese e

Magnus sorrise. «E tu sei perfetto. Andiamo.»

Il crepuscolo avvolgeva la città. Il palazzo era decorato di torce

disposte sulla cima dei muri. Una nebbia bianca era scesa nelle strade

circostanti; serpeggiava attorno alle colonne e ammantava i canali,

conferendo all’atmosfera una luminosità inquietante. Alec non era in

grado di capire se fosse effetto di una magia o un fenomeno naturale.

Sopra la facciata di marmo del palazzo c’erano luci fatate che

scintillavano e si muovevano, spostandosi ogni due minuti per creare

le parole QUALUNQUE GIORNO MA NON IL GIORNO DI VALENTINE.

Alec non era un amante delle feste, ma perlomeno apprezzava il

motivo di questa.

Aveva combattuto per fermare Valentine Morgenstern. Avrebbe

dato la vita per farlo. Non aveva riflettuto molto su cosa pensassero i


Nascosti di Valentine, il quale era convinto che fossero impuri e aveva

in mente di spazzarli via dalla faccia della terra. Adesso capiva quanto

dovessero essere spaventati.

Gli Shadowhunters avevano molti guerrieri famosi. Alec non si era

reso conto cosa avrebbe significato per i Nascosti ottenere una vittoria

tutta loro ed eroi propri: non solo di un clan, di una famiglia o di un

branco, ma che appartenesse a tutto il Mondo Invisibile.

Sarebbe stato ancora più comprensivo se la squadra della sicurezza

di lupi mannari non avesse insistito per perquisirlo. Due volte. La

sicurezza non sembrava poi così rigida, finché non avevano visto le

rune di Alec.

«È assurdo» disse con rabbia. «Ho combattuto nella guerra di cui

celebrate la vittoria. Dalla parte dei vincitori» si affrettò ad

aggiungere.

Era stato chiamato il capo della sicurezza, il lupo mannaro più

grosso: Alec immaginava che avesse senso. Disse ad Alec a bassa voce:

«È solo che non vogliamo problemi».

«Non avevo in mente di creare alcun problema. Sono qui soltanto

per festeggiare» disse Alec chiaramente.

«E pensavo che foste in due» borbottò il lupo mannaro.

«Cosa?» disse Alec. «Due Shadowhunters?»

Il lupo mannaro si strinse nelle spalle massicce. «Signore, spero

proprio di no.»

Magnus disse: «Avete finito con il mio compagno di ballo o no?

Capisco che facciate fatica a tenere le mani a posto, ma devo

insistere».

Il capo della sicurezza scrollò le spalle e fece un gesto con la mano.

«Okay, andate pure.»

«Grazie» disse Alec a bassa voce e allungò la mano verso quella di

Magnus. Gli addetti alla sicurezza gli avevano confiscato arco e frecce,

ma non si preoccupava troppo visto che non avevano trovato le sei

spade angeliche e i quattro pugnali che si era nascosto addosso.

«Questa gente è impossibile.»

Magnus arretrò di un passo e Alec non riuscì a prendergli la mano.

«Alcune di queste persone sono miei amici» disse. Ma poi si strinse


nelle spalle e sorrise. «Alcuni dei miei amici sono impossibili.»

Alec non era del tutto convinto. Era turbato dalla distanza che si era

creata tra loro. Entrarono nella dimora scintillante separati da quel

piccolo, freddo vuoto.


12

Cammina leggero

Nella grande sala da ballo risuonava il Valzer dell’imperatore di Johann

Strauss. Magnus vide centinaia di persone mascherate con costumi

elaborati danzare all’unisono e attorno a loro musica che poteva essere

vista, oltre che ascoltata. Quasi fossero state strappate da un foglio di

carta in bianco e nero e trasformate in luminose forme vive, le note

fluttuavano nell’aria trasportate da correnti di righi musicali e si

libravano intorno alle maschere luccicanti e alle pettinature elaborate

dei ballerini.

Lungo il soffitto ruotavano le costellazioni; no, quella era

l’orchestra. Le stelle si muovevano a suggerire sagome di musicisti e

strumenti. Libra era il primo violino, Orsa Maggiore accanto a lei il

secondo. Aquila suonava la viola mentre Scorpione era al

contrabbasso. Orione suonava il violoncello, Ercole le percussioni. Gli

astri suonavano mentre le coppie mascherate danzavano e le note

musicali fluttuavano in mezzo a loro.

Magnus scese lo scalone di marmo di Carrara che conduceva dal

foyer alla sala da ballo, con Alec e Shinyun che lo tallonavano come

gorilla.

«Principe Adaon» chiamò, riconoscendo un amico.

Il principe Adaon, con la maschera da cigno che risaltava splendida

sulla pelle scura, rivolse un sorriso a Magnus al di sopra delle teste dei

suoi cortigiani.

«Sei in rapporti di amicizia con un principe?» chiese Alec.

«Non rivolgerei la parola manco morto alla maggior parte dei

principi della Corte Unseelie» rispose Magnus. «Non crederesti mai a

cosa combinano. Devono solo ringraziare che non esistano riviste

scandalistiche nel Regno delle Fate. Adaon è il migliore della cricca.»


Mentre arrivavano ai piedi dello scalone, incapparono in un uomo

con uno smoking color lavanda, una maschera a viso intero di El

Muerto e i capelli bianchi lisciati all’indietro. Magnus fece un ghigno.

«Il nostro anfitrione, se non sbaglio.»

«Che cosa te lo fa pensare?» chiese l’uomo, parlando con accento

inglese.

«Chi altri avrebbe potuto dare questa festa? Ti faccio i complimenti

per esserti espresso al meglio. Non ha senso fare i pidocchiosi.»

Magnus gli strinse la mano. «Malcolm Fade. Quanto tempo.»

«Appena prima del nuovo millennio. Ricordo che l’ultima volta che

ti ho visto eri in una fase grunge.»

«Sì. Peccato che non ho raggiunto il nirvana. Mi ha stupito sentire

che ti eri trasferito a Los Angeles e che ti hanno nominato Sommo

Stregone.»

Malcolm sollevò la maschera e Magnus lo vide sorridere,

l’espressione sempre dolce e più che un po’ triste.

«Già. Che scemi.»

«Congratulazioni in ritardo» disse Magnus. «Come va? Stai

lavorando a qualcosa e chiaramente non è l’abbronzatura.»

«Oh, mi diletto di molte cose, tra cui organizzare feste.» Malcolm

fece un gesto indicando lo spettacolo del grandioso salone da ballo.

Aveva eseguito il suo numero a meraviglia, ma aveva la testa altrove;

Magnus lo conosceva da troppo tempo per lasciarsi ingannare. «Sono

contento che ti piaccia la mia piccola soirée.»

Alle spalle di Malcolm comparvero due persone: una era una fata

con la pelle azzurra, i capelli color lavanda e le mani palmate e l’altra

un viso familiare. Johnny Rook aveva gli occhiali da sole sulla punta

del naso, il che era ragionevole se pensavi che fosse ragionevole

portare gli occhiali da sole al chiuso di sera. Magnus vide Rook

spalancare gli occhi riconoscendolo e poi evitare il suo sguardo.

«Oh, vi conoscete? Dovete conoscervi» disse Malcolm con aria

sognante. «Lei è Hyacinth, la mia indispensabile organizzatrice di

eventi. E Johnny Rook. Sono sicuro che sia indispensabile a

qualcuno.»

Magnus fece un gesto. «Questi sono Alexander Lightwood,


Shadowhunter, Istituto di New York, e Shinyun Jung, guerriera

misteriosa con un passato misterioso.»

«In che senso misteriosa…» cominciò Malcolm, ma fu distratto

dall’arrivo di diversi bancali di carne cruda. Si guardò intorno

impotente. «Qualcuno sa cosa dobbiamo farcene di tutta questa carne

cruda?»

«È per i lupi mannari.» Hyacinth congedò l’addetto alle consegne

con un cenno della mano. «Me ne occupo io. Ma potrebbe essere

richiesto il tuo intervento personale in salotto.»

Si portò la mano a una conchiglia scintillante fissata all’orecchio e

bisbigliò qualcosa a Malcolm. Il sangue defluì dalla faccia già pallida

del Sommo Stregone di Los Angeles.

«Oh, cielo. Dovete scusarmi. Le nostre sirene si sono installate

accanto alla fontana di champagne e stanno cercando di annegarci gli

ospiti.» Si allontanò in fretta.

«Tu eri al Mercato delle Ombre» disse Alec a Johnny Rook,

riconoscendolo.

«Non mi hai mai visto» ribatté Johnny. «Non mi stai vedendo

neanche adesso.» Si dileguò.

Alec stava osservando la sala con un’espressione sospettosa

stampata in faccia. Molti dei presenti restituivano lo sguardo con

interesse.

Magnus aveva portato uno sbirro alla festa. Se ne rendeva conto.

Non poteva biasimare Alec se era diffidente. Quasi tutti i Nascosti

avevano un passato sanguinario. I vampiri succhiavano il sangue, la

magia di fate e stregoni andava per il verso sbagliato, i lupi mannari

perdevano il controllo e altre persone perdevano gli arti. Al tempo

stesso, non poteva nemmeno biasimare i suoi pari se ci andavano

cauti. Non era trascorso molto tempo da quando gli Shadowhunters

collezionavano teste di Nascosti.

«Ehi, Magnus!» lo chiamò uno stregone con indosso un semplice

vestito verde e una maschera bianca da medico della peste sotto cui si

intravedeva la pelle blu.

Magnus si illuminò.

«Ciao, tesoro» disse e la strinse in un abbraccio. Dopo averla


sollevata da terra, la presentò tutto fiero ai suoi compagni. «Alec,

Shinyun, lei è Catarina Loss. Una delle mie amiche di più vecchia

data.»

«Oh» disse Catarina. «Ho sentito molto parlare di te, Alexander

Lightwood.»

Alec parve allarmato.

Magnus voleva che si piacessero. Li osservò mentre si studiavano.

Be’, per queste cose ci voleva tempo.

«Posso parlarti un attimo, Magnus?» chiese Catarina. «In privato.»

«Vado a cercare la nostra capra di pietra» disse Shinyun e si

allontanò.

Catarina sembrava perplessa. «È solo un suo modo di dire colorito»

spiegò Magnus. «Ha un passato misterioso, sai.»

«Dovrei andare anch’io» intervenne Alec. Corse a raggiungere

Shinyun e parlottò con lei: a Magnus parve che stessero decidendo chi

dovesse cercare dove.

Catarina prese Magnus sottobraccio e se lo trascinò dietro, come

un’insegnante con un alunno che ha combinato una marachella.

Entrarono in una stretta nicchia dietro l’angolo, dove la musica e il

rumore della festa arrivavano attutiti. Lo aggredì a parole.

«Di recente ho curato Tessa per delle ferite che dice le sono state

inflitte dai membri di un culto di adoratori di demoni» disse Catarina.

«Mi ha detto che tu stavi, cito, “gestendo” il culto. Che cosa succede?

Spiegami.»

Magnus fece una smorfia. «Potrei aver dato una mano a fondarlo.»

«Dato una mano?»

«Be’, tutt’e due.»

Catarina si stizzì. «Ti avevo detto espressamente di non farlo!»

«Davvero?» disse Magnus. Sentì nascere una speranza. «Ti ricordi

cosa è successo?»

Lei gli lanciò un’occhiata afflitta. «Tu no?»

«Qualcuno mi ha portato via tutti i ricordi legati al culto» spiegò

Magnus. «Non so chi sia stato, né perché.»

Suonava più disperato di quanto gli sarebbe piaciuto, più disperato

di quanto avesse voluto. L’espressione della sua vecchia amica era


piena di affetto.

«Non ne so niente, di questo» disse. «Ero con te e Ragnor per una

breve vacanza. Sembravi turbato, ma cercavi di riderci sopra, come fai

sempre. Tu e Ragnor mi diceste che avevi avuto l’idea geniale di

fondare un culto per scherzo. Io ti dissi di non farlo. Questo è quanto.»

Lui, Catarina e Ragnor avevano fatto molti viaggi insieme, nel

corso dei secoli. In un’occasione memorabile Magnus era stato bandito

dal Perú. Si era sempre goduto quelle avventure più di ogni altra cosa.

Stare insieme ai suoi amici era quasi come avere una casa.

Non sapeva se ci sarebbe mai stato un altro viaggio. Ragnor era

morto e Magnus poteva aver fatto qualcosa di terribile.

«Perché non mi hai fermato?» chiese. «Di solito lo fai!»

«Dovevo portare un bambino orfano dall’altra parte dell’oceano

per salvargli la vita.»

«Giusto» concordò Magnus. «Questa è una buona ragione.»

Catarina scosse la testa. «Ti ho tolto gli occhi di dosso per non più

di un secondo.»

Aveva lavorato negli ospedali mondani di New York per decenni.

Salvava gli orfani. Curava gli ammalati. Era sempre stata la voce della

ragione nel terzetto composto da Ragnor, Catarina e Magnus.

«Quindi io e Ragnor avevamo in mente di fondare un culto per

scherzo, e immagino di averlo fatto. Adesso il culto da burletta è

diventato un culto vero e hanno un nuovo leader. Pare che si siano

immischiati con un Demone Superiore.»

Non avrebbe fatto il nome di suo padre neanche con Catarina.

«Pare che lo scherzo ti sia un po’ sfuggito di mano» osservò

Catarina asciutta.

«Pare che io sia la battuta finale. Ci sono tutte queste voci secondo

cui il nuovo leader sono io. Devo trovare quei tizi. Conosci un uomo

di nome Mori Shu?»

Catarina scosse la testa. «Sai che non conosco nessuno.»

Passò incespicando un gruppetto di fate ubriache. I festeggiamenti

stavano aumentando notevolmente in decibel e turbolenza. Catarina

attese che fossero di nuovo soli per proseguire.

«Sei in questo guaio e continui ad andartene in giro con uno


Shadowhunter?» chiese. «Magnus, sapevo che stavi uscendo con lui,

ma qui siamo andati ben oltre il divertimento. È suo dovere riferire al

Conclave che hai fondato questo culto. Alla fine gli giungerà voce che

ne sei a capo, che il tuo Lightwood glielo dica o meno. I Nephilim non

cercheranno altri colpevoli. I Nephilim non ammettono debolezze. Nei

loro cuori non vi è spazio per la pietà o la misericordia. Ho visto i figli

dell’Angelo ammazzare la propria gente per aver infranto la loro

preziosa Legge. È in ballo la tua vita, Magnus.»

«Catarina» disse Magnus. «Io lo amo.»

Lei lo fissò. Aveva gli occhi del colore dell’oceano, spazzato dalle

tempeste e con tesori inabissati sotto le onde. Aveva portato vere

maschere da peste durante vere epidemie di peste. Aveva visto

talmente tante tragedie, e sapevano tutti e due che le tragedie peggiori

nascevano dall’amore.

«Ne sei sicuro?» gli chiese a bassa voce. «Speri sempre per il

meglio, ma questa volta la speranza è troppo pericolosa. Questo

amore potrebbe ferirti molto più degli altri. Potrebbe farti finire

ammazzato.»

«Ne sono sicuro» rispose Magnus. «Sono sicuro che funzionerà?»

Pensò al momento di freddezza tra lui e Alec prima di entrare alla

festa. Pensò a tutti i segreti che ancora teneva per sé. «No. Ma sono

sicuro di amarlo.»

Negli occhi di Catarina si leggeva la tristezza. «Ma lui ti ama?»

«Per adesso» rispose Magnus. «E se vuoi scusarmi, devo andare a

cercare la capra di pietra, se capisci cosa intendo.»

«No, non lo capisco,» disse Catarina «ma buona fortuna,

immagino.»

Nell’ora successiva Magnus si dedicò al compito di trovare la

stupida capra. Decise di perlustrare il piano nobile, visto che Shinyun

e Alec erano andati da un’altra parte, e cominciò una disamina

accurata delle stanze una per una, prima il salotto, poi la sala da

musica e la sala da gioco, usando sobriamente la magia per

individuare serrature, leve o bottoni nascosti che dessero su passaggi

segreti. Sfortunatamente, l’intero palazzo era così permeato di magia

per i festeggiamenti che tutti i suoi incantesimi finivano per essere


distorti e inconcludenti.

Magnus continuò a provare, prendendosi il tempo che gli serviva

per “sentire” gli ambienti mentre circumnavigava la folla, sfiorando

con la mano tutti i soliti sospetti: girava candelieri, estraeva libri dagli

scaffali, spingeva statue. Tirò quella che credeva la corda di un

campanello e invece era un’alga che rivelò una stanza quasi tutta

sott’acqua dove un gruppo di sirene se la spassava con un vampiro

solitario.

Il vampiro, un mattoide di nome Elliott che Magnus conosceva di

vista, si sbracciò nella sua direzione fino a far schiumare l’acqua.

«Non badare a me» gli gridò Magnus. «Continua pure a

sguazzare.»

Tutto normale.

Raggiunse il fumoir all’estremità dell’ala ovest. Un grande camino

sulla parete laterale era il pezzo forte della stanza riccamente arredata,

zeppa di sontuosi mobili vittoriani elaborati e massicci. Ogni pezzo

era mostruosamente sproporzionato. Un gigantesco divano rosso

capitonné delle dimensioni di un’auto era affiancato da un paio di

sedie azzurre con lo schienale alto che sembravano fatte per dei

bambini. Lungo ogni parete c’erano carta da parati animata e applique

d’ottone alternate a grammofoni che suonavano jazz.

Una driade, non quella che aveva incontrato in precedenza, era

seduta su un’altalena appesa a un lampadario nel centro della stanza.

Un divano letto grigio talpa pendeva verticalmente dalla parete più

lontana e in quel momento era occupato da un vampiro che ci stava

sdraiato sopra come se fosse nella posizione giusta. Magnus non era al

corrente che Malcolm si dilettasse di magia antigravità, ma apprezzò

il talento del Sommo Stregone della Città degli Angeli.

«Hai l’aria di uno a cui farebbe bene una fumatina, Magnus Bane»

disse una voce femminile in un punto imprecisato accanto a lui.

Seguì la voce e vide una donna dalla pelle color mogano che

indossava un elegante abito metallico perfettamente intonato ai capelli

bronzei. La maschera era una cascata di stelle dorate che correvano

dalla cima della testa e scendevano oltre il mento. Richiamavano le

pupille della donna, anch’esse a forma di stella.


«Hypatia» disse Magnus. «Grazie, ma ho smesso un secolo fa.

Stavo attraversando una fase di ribellione.»

Hypatia Vex era uno stregone di Londra con il bernoccolo per gli

affari e le proprietà. Le loro strade si erano incrociate qualche volta nel

corso degli anni e a un certo punto erano stati piuttosto vicini, ma era

successo tanto tempo prima. Più di un secolo.

Si sedette davanti a Hypatia, sulla sedia dallo schienale alto

leggermente troppo piccola. Hypatia accavallò le gambe e si sporse in

avanti, facendo un lungo tiro. «Ho sentito una voce alquanto maligna

su di te.»

Anche Magnus accavallò le gambe, ma si appoggiò allo schienale.

«Dimmi. Adoro un buon pettegolezzo maligno.»

«Guidare un culto chiamato la Mano Scarlatta verso la gloria e la

distruzione?» chiese Hypatia. «Ragazzaccio.»

Magnus immaginò che non avrebbe dovuto stupirsi che Hypatia

fosse a conoscenza del culto. A differenza di quella mezzacalzetta di

Johnny Rook, Hypatia bazzicava le alte sfere. Aveva gestito un salone

Nascosto all’inizio del Novecento, il centro di ogni scandalo a Londra.

Magnus ricordava tutti i segreti che conosceva allora, ed era una

collezionista: poteva solo immaginare che a quel punto dovesse

averne messi insieme parecchi di più.

«Non posso negare di essere un ragazzaccio in senso più generale»

ammise Magnus. «Ma gloria e distruzione non sono il mio stile. La

voce è del tutto infondata.»

Hypatia si strinse con grazia nelle spalle. «Sembrava inverosimile,

ma in questi ultimi giorni si è propagata come un incendio. Potresti

considerare che effetto fa: essere a capo di un culto e farsela con uno

Shadowhunter. E non uno Shadowhunter qualunque, ma il figlio di

due membri del Circolo di Valentine.»

«Questa non è una voce.»

«Felice di sentirlo» disse Hypatia. «Sembra essere un disastro.»

«È la verità» ribatté Magnus. «E lui è delizioso.»

L’espressione di Hypatia era tutto un programma. Da che la

conosceva, Magnus non l’aveva mai vista scioccata.

«Faresti bene a ricordare che sei uno degli stregoni più illustri del


mondo» disse Hypatia quando si fu ripresa. «Ci sono Nascosti che

guardano a te come a un esempio. Ci sono occhi puntati su di te.»

«Normale» disse Magnus. «È per via del mio fascino.»

«Non fare il finto tonto» lo ammonì Hypatia con durezza.

«Hypatia» disse Magnus. «Mi hai mai visto preoccuparmi delle

apparenze?»

Lei scosse la testa facendo dondolare gli orecchini d’oro contro la

pelle scura. «No. Però ti preoccupi per gli altri e sono certa che hai a

cuore questo Alec Lightwood. So chi è tuo padre, se ricordi, Magnus.

Tu e io eravamo piuttosto intimi, un tempo.»

Magnus lo ricordava. «Non capisco cosa questo abbia a che fare con

Alec.»

«Gli hai parlato di tuo padre?» chiese lei.

Dopo una lunga pausa Magnus rispose: «No».

Hypatia si rilassò un tantino. «Bene. Spero tu non abbia in mente di

farlo.»

«Non credo siano affari tuoi quello che dico al mio ragazzo.»

«Sono certa che tu consideri Alec Lightwood del calibro morale più

elevato, Magnus» disse Hypatia scegliendo le parole con cura. «E

potresti non avere torto. Ma immagina la posizione in cui lo metteresti

se sapesse che lo stregone rappresentante del Consiglio è anche il

figlio del demone adorato dalla Mano Scarlatta, un culto che in questo

momento sta creando scompiglio. Se davvero gliene importa di te,

terrebbe per sé ciò che sa e se la cosa si viene a sapere, entrambi sarete

coinvolti dal segreto che condividete. La storia ha dimostrato che i

Nephilim sono capaci di crudeltà sia nei confronti della loro gente che

dei Nascosti. Soprattutto quelli tra loro che non rientrano nello status

quo.»

«Noi tutti abbiamo genitori demoni, Hypatia. Non è che sia una

novità» disse Magnus.

«Sai bene quanto me che non tutti i demoni sono uguali. Non tutti

verrebbero guardati con lo stesso odio e la stessa paura riservati a tuo

padre. Ma dato che hai sollevato la questione, questa cosa ha effetto su

tutti noi. Gli stregoni hanno camminato su una linea sottile con i

Nephilim per secoli. Veniamo tollerati perché i nostri talenti sono utili.


Molti di noi hanno rapporti professionali con il Conclave. Tu sei uno

degli stregoni più famosi al mondo e che ti piaccia o no il modo in cui

sei percepito si riflette su tutti noi. Ti prego, non fare nulla che metta a

rischio la sicurezza per cui abbiamo lottato. Sai che è stata conquistata

a caro prezzo.»

Magnus avrebbe voluto essere arrabbiato. Avrebbe voluto dire a

Hypatia di non immischiarsi nelle sue faccende, nella sua vita

amorosa.

Ma capiva che parlava sinceramente. La tensione nella sua voce era

reale. Era spaventata.

Si schiarì la gola. «Lo terrò presente. Hypatia, dato che sembri così

ben informata, conosci un certo Mori Shu?»

«Sì» rispose Hypatia, appoggiandosi allo schienale. Pareva un po’

imbarazzata per la passione del suo sfogo. «Non è membro del tuo

culto?»

«Non è il mio culto» ripeté Magnus, ostinato.

«È qui stasera» disse Hypatia. «L’ho visto prima. Magari voi due

dovreste farvi una chiacchierata, chiarire tutta questa faccenda del

culto.»

«Magari lo faremo.»

«Se accetti il mio consiglio,» disse Hypatia «fossi in te chiarirei

anche la faccenda dello Shadowhunter.»

Magnus le rivolse un sorriso feroce. «I consigli non richiesti sono

critiche, mia cara.»

«Be’, il funerale è il tuo» disse Hypatia. «Aspetta. I Nephilim ti

fanno il funerale, dopo averti giustiziato?»

«È stato bello vederti, Hypatia,» disse Magnus e se ne andò.

Sentiva il bisogno di un drink. Si fece largo tra la folla finché non

trovò un bar. Si sedette e ordinò un Dark’n’Stormy: buio e tempestoso,

in tono con il suo umore. La preoccupazione di Catarina e l’orrore di

Hypatia avevano lasciato il segno nel suo cuore in genere ottimista.

Il bar era vicino a una finestra. Attraverso le bottiglie vedeva

un’altra festa danzante, in pieno svolgimento nel giardino sottostante,

e udiva la musica attutita filtrare dalla scintillante bolla verde che

circondava i ballerini. Si era immaginato di ballare con Alec in posti


bellissimi dell’Europa, e invece no. Per colpa del suo passato.

Magnus fece schioccare le dita e nella mano gli comparve un

bicchiere di cristallo che si riempì di liquido ambrato mentre la

bottiglia sullo scaffale si svuotava.

«Eccoti qui» disse Shinyun, comparendogli davanti con in mano un

bicchiere di vino rosso.

Magnus toccò il bicchiere di lei con il proprio. «Hai avuto fortuna?»

«No. Ho provato con degli incantesimi di localizzazione, ma erano

confusi.»

«Ho avuto anch’io lo stesso problema» disse Magnus. Sorseggiò il

suo drink e studiò il viso immobile di Shinyun. «Il culto è una

questione personale, per te» continuò. Non era una domanda. «Hai

parlato di caccia ai demoni, ma non vuoi parlare del culto. Non hanno

solo ucciso persone a cui volevi bene. Ti senti in colpa per qualcosa

che ha a che fare con la Mano Scarlatta. Di cosa si tratta?»

Osservarono in silenzio il giardino affollato di gente che ballava.

Passarono diversi secondi.

«Sai tenere un segreto?» chiese Shinyun alla fine.

«Dipende dal segreto» disse Magnus.

«Ti rivelerò questo. Puoi farne ciò che vuoi.» Si girò a guardarlo.

«Io… ne facevo parte. La Mano Scarlatta è perlopiù un culto umano,

ma reclutano stregoni bambini.» Il tono di Shinyun si fece caustico.

«C’è stato un tempo in cui adoravo te, il Grande Veleno, santo

fondatore e profeta della Mano Scarlatta, gli adoratori di Asmodeo.»

«Asmodeo?» ripeté Magnus piano, mentre qualunque speranza che

Johnny Rook si fosse sbagliato gocciolava via come sangue da una

ferita.

Ricordava che centinaia di anni prima aveva desiderato sapere chi

fosse suo padre. Era stato in quell’occasione che aveva scoperto che

era possibile usare sangue di fata per evocare un Demone Superiore.

Magnus non aveva fatto del male a un Nascosto per chiamare a sé

suo padre. Aveva trovato un altro modo. L’aveva guardato in faccia e

gli aveva parlato, poi gli aveva voltato le spalle, con il cuore pesante.

«Ovviamente nessuno aveva mai cercato di evocare Asmodeo a

quei tempi» proseguì Shinyun. «È un nuovo sviluppo. Ma non


facevamo che parlare di lui. Qualunque stregone bambino orfano era

figlio suo, diceva il culto. Io pensavo a me stessa come a sua figlia.

Tutto quello che facevo era al suo servizio.»

Stregoni bambini. Ricordava come si era sentito da bambino,

disperato e solo. Chiunque avrebbe potuto approfittare della sua

sofferenza.

Fu sopraffatto dall’orrore. Aveva sentito parlare della Mano

Scarlatta nel corso degli anni: era uno scherzo, come aveva spiegato a

Tessa, e Tessa si era detta d’accordo. Era solo il nuovo leader a

costituire un problema, oppure il culto era un problema da molto più

tempo di quanto ci si fosse resi conto ed era riuscito chissà come a

mantenere segreta la sua vera natura?

«Tu adoravi me?» chiese Magnus, senza riuscire a nascondere la

nota di disperazione nella voce. «Sono felice che ti sia affrancata da

quell’assurdità. Per quanto tempo hai fatto parte del culto?»

«Molti decenni» rispose lei amaramente. «Una vita intera. Io…

uccidevo per loro. Ero convinta di farlo per te, in tuo nome.» Fece una

pausa. «Per favore non dire allo Shadowhunter – ad Alec – che

uccidevo per loro. Puoi dirgli che ero un membro della setta, se devi.»

«No» disse Magnus, ma non sapeva se lo stava dicendo

nell’interesse di Shinyun o del proprio. Shinyun aveva detto di aver

creduto di essere figlia di Asmodeo. Poteva solo immaginare la sua

reazione di orrore se avesse saputo che Magnus era veramente figlio

di Asmodeo. Pensò a Hypatia, che lo aveva avvertito di non rivelare

ad Alec l’identità di suo padre. Immagina la posizione in cui lo metteresti.

La storia ha dimostrato che i Nephilim sono capaci di crudeltà sia nei

confronti della loro gente che dei Nascosti.

«Sono passate molte vite da quando mi sono liberata dalle loro

grinfie. È da allora che cerco di distruggerli, ma non ero abbastanza

forte per farlo da sola e poi è arrivato questo misterioso nuovo leader.

Non avevo nessuno a cui rivolgermi. Mi sentivo così impotente.»

«Come ti sei unita a loro?»

Shinyun chinò la testa. «Ti ho già detto più di quanto intendessi.»

Magnus non insistette. Neppure lui parlava della sua infanzia.

«Sei coraggiosa ad affrontare il tuo passato» disse piano. «Potrei


dire ad “affrontare i tuoi demoni”, ma sembra troppo scontato.»

Shinyun sbuffò.

«Immagino tu non sappia dove si trova la Camera della Mano

Scarlatta.» Shinyun stava già scuotendo la testa quando Magnus

aggiunse, senza sperarci troppo: «O queste Pergamene Rosse della

Magia».

«Mori dovrebbe saperlo» gli disse Shinyun. «I membri della Mano

Scarlatta si fidavano di lui più che di me. Eravamo amici, ma ho

dovuto lasciarlo quando sono scappata. Sono passati anni, però lo

riconoscerei se lo vedessi e lui si fiderebbe di me.»

«È qui,» disse Magnus «a quanto sembra.» Schioccò le dita e il suo

bicchiere scomparve con uno scintillio cristallino. Allungò la mano

verso la bottiglia di champagne messa in fresco in un secchiello vicino.

Era una festa grandiosa, ma Magnus stava passando una serata

terribile. Non aveva scoperto nascondigli segreti e non aveva trovato

traccia di questo irritante uomo del mistero. Avrebbe voluto ballare, e

dimenticare che c’erano un sacco di cose che non ricordava.

«Chiederò in giro» disse Shinyun.

«Fallo» rispose Magnus, alzandosi. «Io devo occuparmi di una

cosa.»

Amava Alec e avrebbe voluto deporre ai suoi piedi il suo passato e

le sue verità, come tagli di seta scintillante. Avrebbe voluto dirgli chi

era suo padre e sperare che non avesse importanza. Ma come faceva a

confessare ad Alec cose che non ricordava? E come poteva rivelargli

dei segreti che avrebbero potuto renderlo un bersaglio per il Conclave,

come aveva detto Hypatia?

Si fidava di Alec. Si fidava di lui a prescindere. Ma la fiducia non

garantiva l’incolumità di Alec. E poi, Magnus si era già fidato altre

volte, sbagliando. Mentre andava in cerca di Alec, non riuscì a

scacciare l’eco delle parole della sua vecchia amica che gli risuonava

nelle orecchie.

Ma lui ti ama?


13

Fammi ballare alla tua bellezza

Alec rimase a guardare mentre la vecchia amica di Magnus, Catarina

Loss, lo portava via. Un attimo dopo Shinyun varcò il grande portone

doppio, presumibilmente per controllare i terreni della proprietà,

lasciando Alec solo soletto nel bel mezzo di un ballo.

Era contentissimo di portare una maschera. Si sentiva abbandonato

in territorio ostile. Anzi, avrebbe preferito di gran lunga essere

abbandonato in territorio ostile che piantato da solo a una festa.

Magnus aveva detto che alcune di quelle persone erano suoi amici.

Nel corso delle loro avventure a New York Magnus era sempre

sembrato così indipendente e autonomo. Era Alec quello che aveva

dei legami: con i compagni Shadowhunters e soprattutto con sua

sorella e il suo parabatai. Non gli era mai venuto in mente che anche

Magnus avesse rapporti con altre persone. Non veniva invitato alle

feste ed era tagliato fuori dal suo mondo, perché stava con Alec.

Se voleva stare con Magnus, Alec doveva riuscire ad andare

d’accordo con i suoi amici. Magnus non si tirava indietro quando si

trattava degli amici di Alec. Doveva trovare un modo per fare

altrettanto, anche se non riusciva a capire come.

Ricordò con profondo sollievo che aveva una missione.

Si fece largo tra i corridoi gremiti e giunse in quelli che dovevano

essere gli alloggi dei domestici, solo leggermente meno affollati delle

altre stanze. Un piccolo esercito di membri del personale – in gran

parte jinn, kelpie e folletti – schizzava qua e là per assicurarsi che la

musica e le luci rimanessero accese, che l’alcol continuasse a scorrere e

che la dimora fosse pulita. C’era un salotto con una decina di stregoni

che facevano i turni per mantenere la magia. Un branco di lupi

mannari gestiva la sicurezza.


Attraversò velocemente il locale dei domestici dietro la sala da

pranzo ed entrò in cucina, solo per venire buttato fuori dal capocuoco,

un goblin arrabbiatissimo.

Si affrettò ad allontanarsi. Il goblin, che brandiva una mannaia e

una spatola, non riuscì a stargli dietro.

Non vi era traccia di una capra di pietra da nessuna parte. Alec

cercò di tornare alla festa, dove avrebbe potuto chiedere se qualcuno

aveva visto quel tale, Mori Shu, benché l’idea di interrompere degli

sconosciuti per interrogarli non lo allettasse per niente.

Udì della musica provenire da dietro una porta. La aprì ed entrò in

una stanza dipinta con murali di scene boschive, rampicanti sottili e

profonde pozze d’acqua. Contro il murale due donne si stavano

baciando. Una era minuscola e vestita di un viola acceso che

splendeva nella penombra romantica. Quella più alta, con capelli

biondo argento tirati indietro a scoprire le orecchie appuntite da fata,

guardò Alec da sopra la spalla della compagna inarcando un

sopracciglio. La partner fece una risatina e accarezzò la coscia fasciata

di nero della fata.

Alec arretrò verso la porta.

La chiuse.

Si chiese dove fosse Magnus.

Gironzolò per il palazzo. Passò davanti a una stanza dove un

gruppo di Nascosti giocavano a carte. Mise dentro la testa e si rese

conto a cosa giocavano quando qualcuno fece un commento a

proposito di un pollo e a quel punto un brownie con una maschera da

uccello, che evidentemente aveva perso la mano, si alzò e iniziò a

sbottonarsi la camicia.

«Oh, wow, scusatemi» disse Alec battendo in ritirata.

Una pixie gli afferrò la mano. «Puoi rimanere, Shadowhunter. Facci

vedere qualcuna delle tue rune.»

«Lasciami andare, per favore» disse Alec.

Negli occhi della pixie passò un lampo malizioso.

«L’ho chiesto gentilmente» aggiunse Alec. «Non lo rifarò.»

Lei gli lasciò andare la mano. Alec continuò a cercare stancamente

Mori Shu, qualunque segno dell’attività di un culto o perlomeno


qualcuno che non ci provasse con lui.

In uno dei corridoi, con il pavimento di parquet lucido e il soffitto

decorato di cherubini dorati, c’era un ragazzo con una maschera da

gatto bisbetico e un paio di stivali da motociclista, non intento ad

attività sessuali, appoggiato al muro con le gambe incrociate. Quando

un gruppetto di fate gli passò davanti, ridacchiando e palpeggiandolo,

lui si allontanò.

Ad Alec venne in mente che quando era più piccolo i gruppi di

persone gli sembravano sempre troppo numerosi. Si avvicinò al

ragazzo, appoggiandosi alla parete accanto a lui. Lo vide scrivere un

SMS: LE FESTE SONO STATE INVENTATE PER DARE FASTIDIO A ME.

CONTENGONO LA COSA CHE ODIO DI PIÙ: LE PERSONE, TUTTE PRESE

DALL’ATTIVITÀ CHE ODIO DI PIÙ: L’INTERAZIONE SOCIALE.

«Neanche a me piacciono molto le feste» disse Alec comprensivo.

«No hablo italiano» borbottò il ragazzo, senza alzare gli occhi.

«Ehm» disse Alec. «Questa conversazione è in inglese.»

«No hablo inglés» ribatté quello senza scomporsi.

«Oh, andiamo. Davvero?»

«Valeva la pena provare» disse il ragazzo.

Alec rifletté se andarsene. Il ragazzo scrisse un altro messaggio a un

contatto salvato come RF. Non poté fare a meno di notare che la

conversazione era a senso unico, con il ragazzo che mandava un SMS

dopo l’altro senza ottenere risposta. L’ultimo diceva: VENEZIA PUZZA

COME UN CESSO. IN QUANTO NEWYORKESE, NON LO DICO ALLA LEGGERA.

La bizzarra coincidenza diede coraggio ad Alec.

«Anch’io divento timido quando ci sono degli estranei» disse al

ragazzino.

«Io non sono timido» rispose quello beffardo. «È solo che odio tutti

quelli che mi stanno intorno e tutto quello che succede.»

«Be’.» Alec si strinse nelle spalle. «Certe volte sembrano un po’ la

stessa cosa.»

Il ragazzo alzò la testa riccioluta, sollevando la maschera da gatto

scontroso, e rimase paralizzato. Anche Alec si gelò per il doppio shock

provocato dalla vista delle zanne e del viso familiare. Era un vampiro

e Alec lo conosceva.


«Raphael?» chiese. «Raphael Santiago?»

Si domandò cosa ci facesse lì il comandante in seconda del clan di

New York. I Nascosti provenivano da ogni parte del mondo, ma

Raphael non gli era mai sembrato un festaiolo.

Ovviamente, in quel momento non si stava rivelando esattamente

un animale da festa.

«Oh, no, sei tu» disse Raphael. «L’idiota dodicenne.»

Alec non andava pazzo per i vampiri. In fin dei conti, erano

persone che erano morte. Alec aveva visto fin troppa morte per

desiderare che qualcuno gliela ricordasse.

Capiva che erano immortali, ma non c’era nessun bisogno di farla

tanto lunga.

«Abbiamo appena combattuto una lunga guerra insieme. Ero con te

nella tomba quando Simon è tornato sotto forma di vampiro. Mi hai

visto un mucchio di volte da quando avevo dodici anni.»

«Il pensiero di te a dodici anni mi ossessiona» ribatté cupo Raphael.

«Okay» disse Alec, assecondandolo. «Per caso hai visto un tizio di

nome Mori Shu da queste parti?»

«Sto cercando di evitare il contatto visivo con chiunque, qui

dentro» disse Raphael. «E non sono una spia degli Shadowhunters.

Né un fan della conversazione, con nessuno e in nessun posto.»

Alec alzò gli occhi al cielo. A quel punto arrivò volteggiando una

fata. Aveva delle foglie nell’acconciatura raccolta ed era avvolta da

nastri e edera, e non molto altro. Inciampò in un tralcio di edera e Alec

la prese al volo.

«Ottimi riflessi!» disse vivace. «Anche braccia fantastiche. Saresti

interessato a una notte tumultuosa di passione proibita, con l’opzione

di estenderla a sette anni?»

«Ehm, sono gay» disse Alec.

Non era abituato a dirlo con noncuranza a chiunque gli capitasse a

tiro. Era strano ammetterlo e provò sollievo misto a un’ombra

dell’antico timore.

Ovviamente quell’ammissione non significava molto per le fate. La

donna la accolse con un’alzata di spalle, poi guardò Raphael e si

illuminò. Il giubbotto di pelle o il cipiglio sembravano esercitare su di


lei un’attrazione irresistibile.

«E tu che ne dici, Vampiro senza una causa?»

«Io non sono gay» rispose Raphael. «Non sono etero. Non sono

interessato.»

«La tua sessualità è “non interessato”?» indagò Alec curioso.

«Esatto» rispose Raphael.

La fata ci pensò su un attimo, poi si buttò: «Posso anche assumere

le sembianze di un albero!».

«Non ho detto “non interessato a meno che tu non sia un albero”.»

«Aspetta» disse la fata all’improvviso. «Ti riconosco. Sei Raphael

Santiago! Ho sentito parlare di te.»

Raphael la congedò con un gesto. «Hai sentito che mi piace quando

la gente si toglie dai piedi?»

«Sei stato uno degli eroi della vittoria dei Nascosti contro

Valentine.»

«È stato uno degli eroi dell’alleanza tra Nascosti e Shadowhunters,

che ha portato alla vittoria» ci tenne a precisare Alec.

La smorfia scocciata di Raphael lasciò il posto a un’espressione di

maligno divertimento.

«Oh, gli Shadowhunters hanno dato un piccolo contributo?» chiese.

«C’eri anche tu!» ribatté Alec.

«Posso avere il tuo autografo, Raphael?» chiese la fata.

Gli porse una grossa foglia di un verde lucido e un calamo. Raphael

ci scrisse sopra: LASCIAMI IN PACE.

«Lo conserverò come un tesoro» disse la fata. Corse via,

stringendosi la foglia al petto.

«Non farlo» le urlò dietro Raphael.

Per tutta risposta si udì un boato di musica riecheggiare per i

corridoi. Sia Alec che Raphael sobbalzarono. Raphael alzò lo sguardo

su di lui.

«È la festa peggiore a cui sia mai stato» disse. «E io odio le feste. La

gente continua a chiedermi se ho superpoteri extra e io dico loro che si

riferiscono a Simon, che detesto.»

«Sei un po’ duro» disse Alec.

«Bisogna essere duri con i novellini, altrimenti non imparano»


ribatté Raphael inflessibile. «E poi le sue battute sono stupide.»

«Non tutte sono il massimo» ammise Alec.

«Come fai a conoscerlo?» Raphael schioccò le dita. «Aspetta, mi

ricordo. È amico del tuo irritante parabatai biondo, giusto?»

Lo era, anche se Simon probabilmente sarebbe rimasto stupito di

sentire una cosa del genere. Alec sapeva molto bene come si

comportava Jace quando voleva essere tuo amico. Non agiva in modo

amichevole, sarebbe stato troppo facile. Invece si limitava a passare un

sacco di tempo in tua presenza finché ti abituavi ad averlo intorno,

cosa che stava facendo in quel momento con Simon. Quando Jace e

Alec erano più giovani, Jace gli era gironzolato intorno con fare ostile

per un pezzo, sperando di essere notato e amato. Sinceramente Alec

preferiva quel comportamento alle imbarazzanti conversazioni per

conoscersi.

«Giusto. In più Simon esce con mia sorella Isabelle, più o meno»

rispose Alec.

«Non può essere» disse Raphael. «Isabelle può fare di meglio.»

«Ehm, conosci mia sorella?» chiese Alec.

«Mi ha minacciato con un candelabro, una volta, ma non ci

parliamo» rispose Raphael. «Il che significa che il nostro è il rapporto

ideale.» Gelò Alec con lo sguardo. «È il rapporto che vorrei avere con

tutti gli Shadowhunters.»

Alec stava per rinunciare e andarsene, quando dal fondo del

corridoio arrivò di corsa una vampira graziosa che indossava uno

cheongsam, con i nastri nei capelli a strisce viola che svolazzavano

come bandiere seriche. Il viso gli era familiare. L’aveva vista al Taki’s

e in giro in città, di solito con Raphael.

«Salvaci, o leader impavido» disse l’amica di Raphael. «Elliott è in

un acquario enorme che vomita blu e verde. Ha cercato di bere sangue

di sirena. Ha cercato di bere sangue di selkie. Ha cercato di…»

«Ehm» disse Raphael, facendo scattare la testa in direzione di Alec.

Alec agitò la mano. «Shadowhunter» disse. «Proprio qui. Ciao.»

«Ha cercato di mantenere gli Accordi e di rispettare tutte le Leggi

conosciute!» dichiarò la donna. «Perché è questa l’idea di spassarsela a

una festa del clan di New York.»


Alec pensò a Magnus e si sforzò per non sembrare di essere lì a fare

il guastafeste. C’era una cosa che lui e quella donna avevano in

comune. Aveva riconosciuto il vestito viola che indossava.

«Credo di averti vista prima» disse esitante. «Stavi… pomiciando

con una fata?»

«Be’, dovresti essere un po’ più specifico di così» ribatté il vampiro.

«Siamo a una festa. Ho limonato con sei fate donne, con quattro fate

uomini e con un fungo velenoso parlante del cui genere non sono

sicura. Piuttosto sexy per essere un fungo velenoso, però.»

Raphael si coprì brevemente la faccia con la mano che non stava

scrivendo SMS.

«Perché, Shadowhunter, hai qualcosa in contrario?» La donna si

irritò. «Sapessi come sono felice di vedere i Nephilim che ci rovinano

regolarmente le feste. E poi, ti hanno invitato?»

«Sono un accompagnatore» disse Alec.

La ragazza vampiro si rilassò un tantino. «Oh, giusto, sei l’ultimo

disastro di Magnus» disse. «È così che ti chiama Raphael. Io sono

Lily.»

Alzò una mano in un gesto poco convinto. Alec guardò Raphael,

che inarcò un sopracciglio con fare ostile.

«Non mi ero reso conto che io e Raphael fossimo così intimi da

appiopparci nomignoli» commentò Alec. Studiò Raphael. «Conosci

bene Magnus?»

«Quasi per niente» rispose Raphael. «Ci conosciamo appena. Non

penso granché della sua personalità. O del suo gusto nel vestire. O

delle compagnie che frequenta. Andiamo, Lily. Alexander, spero di

non rivederti mai più.»

«Ho deciso che ti detesto» disse Lily ad Alec.

«È reciproco» ribatté Alec secco.

Inaspettatamente, la donna sorrise prima che Raphael la trascinasse

via.

Alec fu quasi dispiaciuto di vederli andarsene. Erano un pezzo di

New York, anche se erano vampiri e per qualche ragione

incredibilmente ostili verso di lui in particolare. Prima di allora Alec

non aveva mai conosciuto gente più incapace di lui di divertirsi a una


festa.

Non poteva ancora abbandonare le sue ricerche. Si diresse al piano

di sotto, in cerca della cantina, e trovò una pista da bowling

trasformata in un’arena per duelli improvvisata. Accanto c’era un

teatro che poteva descrivere solo come una sala delle orge in stile

Roma antica. All’estremità più lontana c’era una piscina dove in quel

momento era in corso un gigantesco schiuma party. Era tutto

eccessivo e parecchio imbarazzante. Ancora niente capre di pietra in

vista.

Varcò una porta laterale e si ritrovò in un passaggio illuminato che

conduceva a quello che sembrava un sotterraneo. Il rumore della festa

era attutito dagli spessi muri di pietra. Alec percorse il corridoio e

scese dei gradini, notando lo spesso strato di polvere che ricopriva

quasi tutto e rivelava impronte di passi. Qualcuno era stato lì di

recente.

Il livello inferiore dava su una cantina scavata rozzamente nella

roccia, piena di rastrelliere di botti su un lato e di pile di scorte di cibo

sull’altro. Quel posto sarebbe stato l’accesso perfetto a un nascondiglio

segreto, ammesso che ce ne fosse uno. Si mise a tastare le casse,

cercando un falso bottone, una serratura segreta o qualunque cosa

fuori del normale. Era a metà del muro quando le sentì: voci lontane e

un rumore raschiante. Si immobilizzò. Inclinò la testa di lato e ascoltò

con l’udito potenziato dalle rune.

«Questa era la sede della Mano Scarlatta» disse la voce di un uomo

che parlava con accento francese. «Ma non ho visto nessuna traccia di

attività cultuali e tutti i segni di una festa davvero grandiosa. Ho

persino sentito che c’è Magnus Bane.»

«Eppure dobbiamo ancora perquisire tutto l’edificio» rispose una

voce femminile. «Pensa un po’.»

Alec estrasse una spada angelica mentre si avvicinava furtivo alle

voci, senza però attivarla. Alla fine del muro si apriva un breve

passaggio che conduceva in una cantina di vini. Le pareti erano

interamente occupate da scaffali di bottiglie. Da un punto di una delle

mensole emanava un’accecante luce bianca che illuminava l’ambiente.

Davanti alla luce c’erano due sagome intente a studiare quella che


sembrava una statuetta di Bacco. Alec intuì il profilo di una donna e la

curva di un orecchio appuntito.

Non riusciva a vederli in faccia con quella luce forte, così continuò

ad avanzare furtivo, un passo felpato dopo l’altro. Nessun Nascosto

poteva sentire avvicinarsi uno Shadowhunter, se lo Shadowhunter

non voleva farsi sentire.

Un pugnale fendette l’aria, mancando per un soffio la manica del

cappotto nero di Alec.

Forse qualche Nascosto riusciva a sentire uno Shadowhunter che si

avvicinava.

«Atheed!» gridò la donna e una spada angelica prese fuoco nella sua

mano. L’uomo accanto a lei puntò l’arco.

«Aspettate!» disse Alec e si abbassò la maschera. «Sono uno

Shadowhunter! Sono Alec Lightwood, dell’Istituto di New York!»

«Oh» disse l’uomo e abbassò l’arco. «Ciao.»

La Shadowhunter che aveva estratto la spada non la mise via ma si

avvicinò, osservandolo. Alec ricambiò lo sguardo e la riconobbe, di un

pallore perlaceo, con lunghi capelli chiari, orecchie delicatamente

appuntite e impressionanti occhi verde-azzurro. Il viso grazioso aveva

un’espressione arcigna.

Era la fata che baciava la ragazza vampiro nella prima stanza in cui

Alec era incappato alla festa.

Era la Shadowhunter che aveva visto a Parigi dalla mongolfiera,

mentre inseguiva un demone.

C’era solo una Shadowhunter con sangue di fata di cui Alec fosse al

corrente.

«E tu sei Helen Blackthorn» disse lentamente «di Los Angeles. Che

ci fate qui?»

«È il mio anno di studio all’estero» rispose Helen. «Ero all’Istituto

di Parigi con l’intenzione di andare all’Istituto di Roma, quando

abbiamo sentito voci di uno stregone che comanda i demoni e guida

un culto chiamato la Mano Scarlatta.»

«Quali voci?» chiese Alec. «Cosa avete sentito e da chi?»

Helen ignorò le domande. «Da allora ho dato la caccia ai demoni e

allo stregone. Malcolm Fade, Sommo Stregone di Los Angeles, mi ha


invitata a questa festa e sono venuta sperando di trovare delle

risposte. Tu che ci fai qui?»

Alec batté le palpebre. «Oh. Uhm. Sono in vacanza.»

Si rese conto di quanto suonasse stupido. Però era la cosa più vicina

alla verità che poteva ammettere senza tradire Magnus e condurre a

una situazione che lo vedeva davanti al Conclave a spiegare: Il mio

fidanzato stregone ha fondato per sbaglio un culto demoniaco.

Quando era nei guai, era abituato a contare sui suoi colleghi

Shadowhunters per farsi aiutare. Se non fosse stato per Magnus,

avrebbe detto a quei due di Mori Shu e della capra di pietra.

Avrebbero potuto cercare insieme. Ma adesso non poteva farlo.

Quegli Shadowhunters e lui forse non erano dalla stessa parte.

Li guardò e anziché sollievo per la loro presenza lì, sentì solo l’ansia

di essere costretto a raccontare bugie.

«Sono qui solo per divertirmi» aggiunse debolmente.

Sul viso di Helen passò un’espressione incredula. «Nel sotterraneo

della ex sede di un culto, durante una festa di Nascosti piena di

miscredenti, armato di una spada angelica?»

«Non è la tua idea di divertimento?» chiese Alec.

«Ho sentito parlare di te» disse Helen. «Hai combattuto nella

guerra. Eri quello con Magnus Bane.»

«È il mio ragazzo» disse Alec in tono incolore.

Evitò deliberatamente di guardare in faccia lo Shadowhunter, che

stava in disparte in silenzio. Dato quello che aveva visto, forse Helen

non aveva problemi con le relazioni omosessuali, ma spesso la cosa

non valeva per gli Shadowhunters.

Lei non parve scioccata. Ma preoccupata sì. «Malcolm Fade mi ha

detto che gira voce che lo stregone a capo della Mano Scarlatta sia

Magnus Bane» disse Helen.

Quindi adesso la voce era arrivata agli Shadowhunters. Alec si

disse di mantenere la calma. Malcolm era il Sommo Stregone di Los

Angeles. Helen abitava all’Istituto di Los Angeles. Si conoscevano. Ciò

non significava che la storia fosse arrivata al resto del Conclave.

«Non è vero» disse, con tutta la convinzione che riuscì a racimolare.

«Malcolm ha detto che non ci credeva» ammise Helen.


«Giusto» disse Alec. «Vedo che avete la situazione sotto controllo.

Io tornerò di sopra, alla festa.»

Helen lo precedette, come per controllare che non ci fosse nessun

altro in cima alla scala. Ad Alec non sfuggì che stringeva ancora in

mano la spada angelica, né che gli aveva appena bloccato la via di

fuga. Si girò verso di lui e disse: «Penso che dovresti venire con noi a

Roma per rispondere a qualche domanda».

Alec mantenne l’espressione impassibile, ma sentì un brivido

percorrergli la schiena. Se si fosse arrivati a tanto, il Conclave avrebbe

potuto mettergli in mano la Spada Mortale e sarebbe stato costretto a

dire la verità. Avrebbe dovuto dire che Magnus pensava di aver

fondato il culto.

«Credo che stiamo perdendo il senso delle proporzioni» disse.

«Sono d’accordo» interloquì inaspettatamente lo Shadowhunter,

attirando l’attenzione di Alec per la prima volta. Era basso e di

bell’aspetto, con una vistosa chioma di capelli rosso scuro e l’accento

francese. «Mi scusi, monsieur Lightwood, è stato a Parigi di recente?»

«Sì, appena prima di venire a Venezia.»

«E per caso si trovava su un pallone aerostatico?»

Fu tentato di negare, ma si rese conto che l’avevano scoperto. «Sì.»

«Lo sapevo!» Lo Shadowhunter si precipitò verso di lui e gli prese

la mano, scuotendola con entusiasmo. «Voglio ringraziarla, monsieur

Lightwood. Posso chiamarti Alec? Io sono Leon Verlac, dell’Istituto di

Parigi. La ravissante Helen e io eravamo gli Shadowhunters che hai

aiutato sul tetto. Non possiamo ringraziarti abbastanza.»

L’espressione di Helen lasciava intendere che lei poteva

ringraziarlo abbastanza senza problemi. O magari non ringraziarlo

affatto. Alec ritirò la mano dalla stretta con qualche difficoltà. Leon

pareva intenzionato a continuare a stringergliela.

«Allora eri anche tu a Parigi?» chiese Helen con noncuranza. «Che

coincidenza incredibile.»

«Visitare Parigi in vacanza è una coincidenza?» ribatté Alec.

«Sarebbe un crimine non visitare Parigi!» concordò Leon. «Avresti

dovuto fare un salto all’Istituto mentre eri lì, Alec. Ti avrei mostrato

Parigi, come ho fatto con la nostra affascinante Helen, che seguirei


ovunque. Anche a questa festa orribile.»

Alec spostò lo sguardo da Helen a Leon, cercando di capire se

stavano insieme. Helen aveva baciato la donna vampiro, quindi

presumeva di no, ma in quelle cose era un ingenuo. Magari si

sarebbero messi a bisticciare e l’avrebbero lasciato andare.

«Vai a prendere l’auto, Leon» disse Helen. «Puoi chiedere tutto

quello che vuoi ad Alec mentre andiamo a Roma.»

«Frena» disse Leon. «Alec ci ha salvato la vita su quel tetto. Non lo

avrebbe fatto se avesse qualcosa a che fare con questo. Io per primo gli

credo. Stava solo indagando su attività sospette in cantina, cioè noi,

come farebbe ogni Shadowhunter. Anche se è in vacanza.»

Rivolse ad Alec un cenno di apprezzamento.

«Non è stato un problema» disse Alec cauto.

«E poi, guardalo!» continuò Leon. «Chiaramente è qui per la festa.

Ha un aspetto fantastico. Te l’avevo detto che avremmo dovuto

metterci delle maschere. Lascia che il poveretto torni alla sua vacanza,

Helen, mentre noi cerchiamo qualche indizio reale.»

Helen fissò Alec per un pezzo, poi abbassò lentamente la spada

angelica.

«E va bene» disse scontrosa.

Alec non fece domande su Mori Shu, né su nient’altro. Si diresse

verso le scale senza farsi pregare.

«Aspetta!» disse Helen.

Alec si voltò, sforzandosi di nascondere il terrore. «Sì?»

«Grazie» disse Helen. «Per l’aiuto a Parigi.»

Alec sorrise, sorpreso. «Non c’è di che.»

Helen ricambiò il sorriso. Era carina quando sorrideva.

Mentre tornava ai piani superiori, facendosi largo tra la ressa di

gente diretta verso la sala da ballo, Alec era ancora scosso.

Si chiese se la paura raggelante che l’aveva assalito parlando con

Helen fosse ciò che provavano sempre i Nascosti quando venivano

interrogati dagli Shadowhunters. Non che la biasimasse per essere

sospettosa. Lo sarebbe stato anche Alec, nei suoi panni. Sapeva troppo

bene che chiunque poteva essere un traditore… come il suo tutor,

Hodge Starkweather, che li aveva venduti a Valentine durante la


Guerra Mortale. I sospetti di Helen erano fondati: in fin dei conti,

aveva mentito, o comunque aveva omesso informazioni importanti.

Mentire ai compagni Shadowhunters, che avrebbero dovuto stare

dalla sua parte, era tremendo. Si sentiva un traditore.

Ma si sarebbe sentito peggio se non avesse protetto Magnus. Il

Conclave avrebbe dovuto proteggere persone come Magnus, non

costituire un’altra minaccia per loro. Alec aveva sempre creduto nella

Legge, ma se la Legge non difendeva Magnus, avrebbe dovuto essere

cambiata.

Alec si fidava ciecamente di forse sei persone al mondo, ma una di

loro era Magnus. È solo che non si era aspettato che fidarsi di

qualcuno fosse così complicato.

Se solo fosse riuscito a trovarlo. Non aveva pensato che fosse

possibile, ma il palazzo era più caotico adesso di quando erano

arrivati, non molto tempo prima.

Alec continuò a salire, finché non arrivò a un lungo balcone di

pietra che correva attorno alle pareti della sala da ballo. Era una

posizione perfetta per spaziare dall’alto su tutta la festa. Non dovette

fare altro che percorrerne il perimetro per scorgere Magnus che

ballava in mezzo a una folla di Nascosti e mondani. Quando lo vide si

rilassò. Prima di conoscere Magnus, Alec non era sicuro di aver mai

creduto fino in fondo di poter essere completamente se stesso, e

completamente felice. E poi era arrivato Magnus e ciò che era

sembrato impossibile era diventato possibile. Vederlo era sempre un

piccolo shock, il suo viso uno scorcio di speranza che tutto sarebbe

andato per il verso giusto.

Due delle pareti del salone avevano enormi archi aperti sulla notte,

che trasformavano la stanza in un globo dorato sospeso tra le acque

scure e il cielo buio. Il pavimento era un’ampia distesa di azzurro,

l’azzurro di un lago d’estate. Il soffitto era gremito di un’orchestra di

costellazioni, il lampadario una cascata di stelle cadenti che le fate

usavano come altalena. Mentre osservava la scena, una fata ne spinse

un’altra giù dal lampadario. Alec si irrigidì, ma dalla schiena della

fata si spiegarono diafane ali turchesi e lui atterrò incolume in mezzo

ai ballerini.


C’erano fate alate che volavano, lupi mannari che volteggiavano

come acrobati tra la folla, vampiri che sogghignavano in un luccichio

di zanne e stregoni avvolti di luce. Le maschere venivano sollevate e

lasciate cadere, le torce creavano scie di luce come nastri infuocati e le

ombre argentee dell’acqua illuminata dalla luna danzavano sui muri.

Alec aveva visto la bellezza nelle torri scintillanti di Alicante, nel

combattimento fluido della sorella e del suo parabatai, in molte cose

familiari e amate. Non aveva visto la bellezza nel Mondo Invisibile,

finché non era arrivato Magnus. Eppure era lì, semplicemente in

attesa di essere colta.

Alec cominciò a sentirsi a disagio per l’indignazione suscitata in lui

dal fatto che i Nascosti si attribuivano la vittoria contro Valentine.

Sapeva com’era andata. Era là, a combattere fianco a fianco con i

Nascosti, e la guerra aveva reso possibile questa libertà eccezionale. La

vittoria era loro tanto quanto sua.

Ricordò lui e Magnus che si scambiavano forza attraverso la runa

dell’Alleanza, con la magia che rinsaldava la loro connessione, e

pensò: Questa vittoria è nostra.

Lui e Magnus avrebbero risolto anche questo enigma. Avrebbero

trovato qualcuno che li aiutasse a orientarsi in quel labirinto di

colonne dorate e canali scuri. Avevano superato cose peggiori. Si sentì

il cuore più leggero e in quel momento vide il suo stregone in mezzo

alla folla.

Magnus aveva la testa gettata all’indietro; l’abito bianco luccicante

era spiegazzato come le lenzuola al mattino e il mantello bianco gli

oscillava sulla schiena simile a un fascio di luce lunare. La maschera a

specchio era storta, i capelli scuri scompigliati, il corpo snello inarcato

nella danza, e intorno alle dita, simili ad anelli scintillanti, brillava la

luce della sua magia che illuminava come un faro ora un ballerino ora

l’altro.

La fata Hyacinth afferrò al volo un fascio splendente di magia e

roteò, usando la luce come se fosse il nastro di un albero della

cuccagna. La donna vampiro con il cheongsam viola, Lily, stava

ballando con un altro vampiro che Alec presumeva fosse Elliott, date

le macchie blu e verdi intorno alla bocca e sul davanti della camicia.


Malcolm Fade si unì a Hyacinth, anche se sembrava ballare la giga e

lei lo guardava con espressione alquanto perplessa. Lo stregone blu

che Magnus aveva chiamato Catarina stava ballando il valzer insieme

a una fata alta con le corna. La fata dalla pelle scura a cui Magnus si

era rivolto con l’appellativo di principe era circondata da persone che

Alec intuì dovessero essere i suoi cortigiani, i quali ballavano in

cerchio attorno a lui.

Magnus rise vedendo Hyacinth che usava la sua magia a mo’ di

nastro e inviò fasci di luce azzurra in tutte le direzioni. Catarina

respinse la magia di Magnus, con la mano accesa di un debole

bagliore bianco. I due vampiri Lily ed Elliott lasciarono che un nastro

di magia si avvolgesse intorno al loro polso. Non avevano l’aria di

gente che desse confidenza, ma si abbandonarono istantaneamente a

Magnus con completa fiducia, Lily fingendo di essere prigioniera ed

Elliott ancheggiando entusiasta, mentre Magnus rideva e li attirava

verso di sé. La musica e il bagliore delle stelle inondavano il salone, e

Magnus era la luce più brillante di tutte.

Mentre Alec si avviava verso le scale passò accanto a Raphael

Santiago, che osservava la folla di ballerini affacciato alla balaustra del

balcone, indugiando su Lily, Elliott e Magnus. Sul viso del vampiro

aleggiava un sorrisino. Non appena notò Alec, l’espressione tornò

immediatamente arcigna.

«Trovo disgustose queste manifestazioni sfrenate di gioia»

declamò.

«Se lo dici tu» ribatté Alec. «A me piacciono.»

Arrivò ai piedi delle scale e stava attraversando la pista da ballo,

quando una voce riecheggiò dall’alto come un boato.

«Sono DJ Bat, il più grande DJ lupo mannaro del mondo, o almeno

tra i primi cinque, che vi parla dal vivo da Venezia, perché gli stregoni

prendono decisioni economiche irresponsabili, e questa è dedicata agli

amanti! O a persone con amici che vogliono ballare con loro. Alcuni di

noi sono dei solitari, e se ne stanno al bar a bere.»

Si udirono le prime note dolci ed esitanti di un lento. Alec non

pensava che la pista potesse diventare più affollata di quanto già non

fosse, eppure… Decine di Nascosti mascherati vestiti in modo formale


che se ne stavano lungo le pareti si diressero verso la pista. Alec si

ritrovò in piedi da solo in mezzo al salone, mentre le coppie gli

volteggiavano intorno. Corone di spine e torreggianti piume

multicolori gli ostruivano la visione. Si guardò intorno, allarmato,

cercando una via di fuga.

«Mi concede questo ballo, signore?»

Invece vide Magnus, tutto bianco e argento.

«Stavo venendo a cercarti» disse Alec.

«Ti ho visto arrivare.» Magnus si sollevò la maschera. «Ci siamo

trovati a vicenda.»

Si avvicinò ad Alec, gli mise una mano alla base della schiena,

intrecciò le dita alle sue e lo baciò. Il lieve tocco delle sue labbra fu

come un raggio di luce sull’acqua, che illuminava e trasformava. Alec

gli si fece istintivamente più vicino, bramando di essere illuminato e

trasformato ancora, poi ricordò, riluttante, che dovevano rimanere sul

pezzo.

«Ho incontrato una Shadowhunter che si chiama Helen

Blackthorn» bisbigliò contro la bocca di Magnus. «Ha detto…»

Magnus lo baciò di nuovo.

«Qualcosa di intrigante, ne sono certo» disse. «Non hai risposto alla

mia domanda.»

«Quale domanda?»

«Mi concede questo ballo?»

«Naturalmente» rispose Alec. «Cioè… mi piacerebbe tantissimo. È

solo che… dovremmo risolvere questa cosa.»

Magnus inspirò e annuì. «Lo faremo. Raccontami.»

Prima sorrideva, ma adesso il sorriso era scomparso e al suo posto

sembrava ci fosse un peso che gli gravava sulle spalle. Alec si rese

conto per la prima volta che Magnus si sentiva in colpa perché stava

rovinando la loro vacanza. Pensò che era una stupidaggine: senza

Magnus non avrebbe fatto proprio nessuna vacanza, non ci sarebbero

stati il rifulgere della magia né quella gioia improvvisa, niente luci né

musica.

Allungò una mano e toccò la maschera di Magnus. Vi si vedeva

riflesso come in uno specchio, gli occhi azzurri spalancati che si


stagliavano sulla fantasmagoria della festa in pieno svolgimento

intorno a loro. Quasi non si riconobbe, tanto aveva l’aria felice.

Poi spinse in su la maschera e vide chiaramente il viso di Magnus.

Così andava meglio.

«Prima balliamo» disse.

Mise le braccia intorno alla schiena di Magnus, esitò, incerto, si

ritrasse e spostò le mani sulle spalle del compagno.

Magnus sorrideva di nuovo. «Lascia fare a me.»

Alec non aveva mai fatto molto caso alla danza, a parte qualche

tentativo goffo da piccolo insieme alla sorella o alla loro amica Aline.

Magnus gli fece scivolare un braccio intorno alla vita e iniziò a

muoversi. Alec non era un ballerino, però era un guerriero e scoprì

che capiva istintivamente come reagire ai movimenti di Magnus e

assecondarli. Nel giro di un batter d’occhi erano sincronizzati e

scivolavano sulla pista aggraziati come ogni altra coppia, e

all’improvviso Alec capì com’era ballare davvero con qualcuno, una

cosa che non aveva mai saputo di desiderare. Aveva sempre pensato

che momenti da libro delle fiabe come questo fossero riservati a Jace,

Isabelle, tutti tranne lui. Eppure, eccolo lì.

Il lampadario sembrava risplendere direttamente su di loro. Una

fata lanciò una manciata di stelle luccicanti dalla balconata. Dei

puntini scintillanti di luce si posarono sui capelli neri di Magnus e

galleggiarono nello spazio tra i loro volti. Alec si sporse in avanti,

toccando la fronte di Magnus e sfiorandogli le labbra incurvate in un

sorriso. I loro sorrisi combaciavano perfettamente. Alec chiuse gli

occhi, ma poteva ancora vedere la luce.

Forse la sua vita poteva essere meravigliosa. Forse aveva sempre

potuto esserlo ed era stato necessario Magnus per schiudere la porta e

permettergli di vedere tutte le cose meravigliose che aveva dentro di

sé. Tutta la sua capacità di provare gioia.

La bocca di Magnus sfiorò la sua. Mise le braccia intorno al collo di

Alec e lo attirò a sé, stringendolo. Il corpo di Magnus si muoveva

sinuoso contro il suo, e la luce si trasformò in calore. Magnus sfiorò il

bavero di Alec e gli insinuò la mano sotto la giacca, appoggiandola

sulla camicia all’altezza del cuore, che batteva frenetico. Alec spostò la


mano sulla vita snella di Magnus, urtando contro le squame

metalliche della cintura, poi intrecciò le dita a quelle del compagno sul

petto. Sentì una vampata di rossore risalirgli lungo la nuca e

diffondersi sul viso, lasciandolo stordito, imbarazzato ed eccitato. Era

tutto nuovo per lui: continuava a essere colto alla sprovvista dalla

combinazione di desiderio lancinante e tenerezza, due sensazioni

contraddittorie eppure inscindibili. Non si era aspettato niente del

genere, ma adesso che lo aveva provato non sapeva come avrebbe

fatto a vivere senza. Sperava di non doverlo mai scoprire.

«Alexander, vuoi…» cominciò Magnus, il mormorio quasi

indistinguibile in mezzo alla musica e alle risate. La voce bassa e calda

era l’unico suono che contasse.

«Sì» bisbigliò Alec senza lasciarlo finire. Voleva solo dire di sì a

qualunque cosa Magnus gli chiedesse. Premette la bocca su quella di

Magnus, vorace e appassionato, i corpi allacciati. Si stavano baciando

selvaggiamente, come se ne andasse della loro vita, e Alec non si

curava degli sguardi altrui. Aveva baciato Magnus nella Sala degli

Accordi anche per mostrare al mondo ciò che provava. In quel

momento, del mondo non gliene importava un fico secco. Gli

interessavano solo le sensazioni, il desiderio e il contatto dei corpi che

gli facevano venir voglia di morire, di cadere in ginocchio e trascinare

Magnus con sé.

Poi si udì il rumore di uno schianto, seguito da una vampata, come

se al centro del salone fosse precipitata una meteora. Alec e Magnus si

immobilizzarono, tesi e incerti. Ai piedi delle scale era comparso uno

stregone che fissava negli occhi Malcolm Fade e benché Alec non lo

riconoscesse, riconobbe senza ombra di dubbio il brivido di allarme e

paura che corse tra la folla.

Alec tirò Magnus per farlo spostare dietro di sé, continuando a

tenere le dita intrecciate alle sue. Con la mano libera estrasse una

spada angelica e mormorò il nome di un angelo. Dall’altra parte del

salone Bat il DJ e Raphael misero giù i bicchieri. Raphael sgomitò tra la

folla diretto verso i suoi vampiri. Lily e Elliott gli stavano andando

incontro. Alec alzò la voce che riecheggiò nel salone di marmo, nello

stesso modo in cui si propagava lo scintillio della sua spada.


«Chiunque desideri la protezione di uno Shadowhunter» gridò

«venga da me!»


14

Acqua alta

Con una mano Alec stringeva quella di Magnus e con l’altra

impugnava l’elsa della sua spada angelica. Parecchi ospiti della festa

si stavano avvicinando furtivi a lui e alla protezione che offriva.

Magnus percorse la sala con lo sguardo per vedere chi avrebbe fatto la

prima mossa.

Il lupo mannaro capo della sicurezza si stava precipitando giù dalle

scale. Lo stregone ai piedi dei gradini fece un gesto e il capo della

sicurezza volò sopra le teste degli invitati, cadde sul pavimento di

marmo e scivolò finendo contro un muro. Catarina corse subito da lui,

aiutandolo a rialzarsi mentre lui era piegato in due e si massaggiava le

costole.

Lo stregone non si degnò di guardare cosa ne era stato del lupo

mannaro. Era un uomo basso con la barba, occhi da serpente e la pelle

bianca a squame. Osservò i presenti mentre avanzava nel salone.

«Malcolm Fade.» Puntò il dito contro il Sommo Stregone di Los

Angeles con espressione feroce. Sembrava che dalla punta del dito

fuoriuscisse un filo di vapore. «Hai rubato la mia festa e il mio

palazzo.»

«Ciao, Barnabas» disse Malcolm. «Hai perso un palazzo? Che triste

vicenda. Spero che lo ritroverai.»

«Ho comprato questa dimora la settimana scorsa! Nel momento

stesso in cui è stata messa in vendita!» sbraitò Barnabas. «In questo

momento siamo nel palazzo che tu mi hai portato via!»

«Oh, evviva! Consideralo ritrovato, allora» disse Malcolm.

Alec diede un colpetto con il gomito a Magnus. «Chi è quello?»

Magnus si avvicinò ad Alec. «Barnabas Hale. Gestisce il Mercato

delle Ombre di Los Angeles. Credo aspirasse alla carica di Sommo


Stregone prima che la dessero a Malcolm. C’è un po’ di rivalità.»

«Oh» disse Alec. «Grandioso.»

Barnabas agitò minacciosamente un dito in direzione della sala.

«Stavo per essere io a celebrare la nostra straordinaria vittoria

Nascosta! Ho comprato questa sede per la mia Baldoria Barnabas.

Oppure avrei potuto chiamarla la mia Barnabaldoria. Non avevo

ancora deciso! E adesso non lo sapremo mai.»

«Be’, qualcuno ha bevuto un po’ troppo stasera» borbottò Magnus.

«Barnabaldoria? Ma dài.»

La tirata di Barnabas non era finita.

«Sei venuto qui come il ladro che sei e mi hai danneggiato, proprio

come hai rubato la mia legittima posizione di Sommo Stregone di Los

Angeles. Be’, la festa è annullata! Mi hai fatto fare la figura dello

stupido.» Le mani di Barnabas si misero a sibilare e fumare.

La folla arretrò, lasciando spazio ai due stregoni al centro della

pista da ballo. Sempre più persone si stavano spostando dietro Alec.

«Non ti serve davvero il mio aiuto, Barnabas» osservò Malcolm. Le

sue mani iniziarono a brillare e sulla punta delle dita comparvero due

bicchieri da champagne. Bevve da uno e fece fluttuare l’altro verso

Barnabas. «Rilassati. Goditi la festa.»

«Ecco quello che penso della tua festa.» Barnabas sventolò la mano

e il bicchiere fu rispedito verso Malcolm, versando il contenuto sulla

sua giacca color lavanda.

Un sussulto percorse la folla, ma Malcolm non fece una piega.

Abbassò lo sguardo sul vestito rovinato, tirò fuori un fazzoletto e lo

usò per tamponarsi la faccia.

Negli occhi di Malcolm c’era un luccichio febbrile, come se si stesse

divertendo. In passato, Magnus lo sapeva, Malcolm aveva desiderato

una vita tranquilla. Era stato tanto tempo prima.

«Ti ho fatto un favore» dichiarò Malcolm. «Sappiamo tutti che le

tue capacità di organizzare un evento lasciano alquanto a desiderare.

Ti ho risparmiato l’imbarazzo di dare una festa a cui non sarebbe

venuto nessuno.»

«Come osi?» Sembrava che dalla testa di Barnabas uscisse del

fumo. Lo stregone si mise in ginocchio e batté il palmo sul pavimento,


spedendo una striscia bianca di ghiaccio frastagliato verso Malcolm.

Alec fece un passo avanti, come per intervenire, ma Magnus lo

prese saldamente per il gomito e scosse la testa.

Malcolm fece un cenno noncurante della mano e il ghiaccio si

sciolse con un sibilo. Quindi la costellazione di Orione saltò giù dal

soffitto del grande salone da ballo e prese posizione accanto a lui. Le

altre costellazioni, formando vaghe sagome umane, veleggiarono

verso il basso per unirsi alla battaglia al fianco di Malcolm. Il Sommo

Stregone puntò pigramente il dito contro Barnabas e Orione attaccò lo

stregone basso con un ruggito, mulinando gli strumenti musicali come

un randello. Barnabas gelò la costellazione prima che arrivasse a lui,

poi la ridusse a una nube di polvere di stelle.

«Quello era il mio primo violoncello!» sbottò Malcolm irritato. «Lo

sai quanto è difficile trovare dei rimpiazzi?» Le costellazioni che

affiancavano Malcolm, i corpi trasparenti con centinaia di puntolini

ammiccanti di polvere di stelle e vene di luce, attaccarono Barnabas.

Erano a metà strada quando il gigantesco lampadario in mezzo al

salone prese vita e si mise a usare i suoi molti bracci come una piovra,

afferrando tutte le costellazioni a portata. Il pavimento di marmo

accanto a Malcolm si sbriciolò, lasciando emergere tubi metallici che

serpeggiarono verso lo stregone. Prima che potessero raggiungerlo il

soffitto esplose.

La maggior parte dei presenti si riversarono fuori attraverso gli

archi, terrorizzati. Altri, più coraggiosi o più stupidi, rimasero

dov’erano, incapaci di distogliere lo sguardo. I due stregoni si

lanciarono addosso ghiaccio, fuoco, fulmini e verdi globi gelatinosi. Il

palazzo scricchiolò mentre le finestre andavano in pezzi, spuntoni di

ghiaccio provocavano buchi nelle pareti e zampilli di fuoco eruttavano

dal pavimento.

Un dardo di ghiaccio colpì una parete poco lontana, causando una

grandinata di detriti su un gruppo di ninfe. Alec andò in loro

soccorso, afferrando un pezzo di pianoforte e tenendoglielo sopra la

testa a mo’ di scudo.

«Dovremmo fare qualcosa!» urlò a Magnus.

«Oppure» rispose Magnus «potremmo riconoscere che questa cosa


non ci riguarda e levare le tende.»

«Tireranno giù il palazzo. Qualcuno si farà male!»

Magnus slanciò le mani in fuori e delle lastre di marmo si

sollevarono dal pavimento, formando un muro per proteggere le ninfe

da un secondo spuntone di ghiaccio. «Qualcuno si farà male di sicuro,

molto probabilmente noi.» Ma Alec era in modalità eroe e non c’era

molto che Magnus potesse fare per fermarlo. «E comunque, cercherò

di limitare i danni.»

La sala gemette e tremò, e una delle pareti cedette. Raphael spinse

via Elliott per evitare che fosse colpito dai detriti, poi gli ripulì i

dreadlock dalla polvere bianca con fare impaziente.

«Non mi sento bene» disse Elliott. «È l’edificio che si muove o sono

io che ho bevuto veramente troppo?»

«Tutte e due le cose» rispose Lily.

«Sto parecchio male anch’io» rincarò la dose Raphael «a vederti

fare l’idiota, Elliott.»

«Ciao, Raphael» disse Magnus. «Magari avresti voglia di seguire

Alec fuori?»

Indicò il punto dove prima stava Alec. Non vide Alec, però vide il

parapetto della balconata staccarsi e cadere a pezzi verso la testa

ignara di Catarina che si stava occupando di una serie di lupi mannari

feriti.

Osservò Alec – che aveva recuperato l’arco e le frecce che gli

avevano requisito, e adesso li portava a tracolla sulla schiena – gettarsi

nel fuoco incrociato, schivare due tubi di metallo che cercavano di

afferrarlo ed evitare per un pelo di essere decapitato da uno dei bracci

del lampadario piovra. Si tuffò appena in tempo per afferrare al volo

Catarina e atterrò sulle ginocchia tenendola tra le braccia, incolume.

«Seguire Alec sembra poco saggio» disse Raphael alle spalle di

Magnus. «Visto che a quanto pare lui corre dritto verso il pericolo.»

«Gli Shadowhunters lo fanno sempre» commentò Magnus.

Raphael si studiò le unghie. «Sarebbe bello» disse «avere un partner

che sei sicuro sceglierà sempre te, non il dovere o la missione di

salvare il mondo.»

Magnus non replicò. La sua attenzione era concentrata su Catarina


e Alec. Catarina guardava Alec battendo le palpebre, con l’aria

vagamente stupita. D’un tratto si divincolò, urlando un avvertimento.

Alec alzò lo sguardo ma era troppo tardi. Si era staccato un altro

pezzo di soffitto, che penzolava minacciando di cadere e schiacciarli.

Era troppo tardi per scappare e Magnus sapeva che Catarina era

sempre pericolosamente a corto di magia. Curava chiunque si

rivolgesse a lei e non ne conservava mai abbastanza per proteggersi.

Magnus guardò terrorizzato Alec farle scudo con il proprio corpo,

preparandosi al crollo che li avrebbe seppelliti vivi entrambi.

Ci furono delle scintille azzurre. Magnus sollevò le mani, che

rilucevano come lampade tra le ombre. «Alexander!» urlò. «Spostati!»

Alec guardò in alto, stupito di non essere morto schiacciato.

Guardò Magnus dall’altra parte del salone in rovina, gli occhi azzurri

spalancati. Magnus aveva le mani ferme e si sforzava di tenere il

grosso blocco di cemento sospeso appena sopra la loro testa.

Alec e Catarina si misero in piedi freneticamente e corsero verso

Magnus attraversando il salone pieno di insidie. Furono ostacolati da

altri tubi animati che cercavano di avvolgere i loro tentacoli di metallo

intorno alle caviglie di Alec. Uno ci riuscì e Alec inciampò. Spinse

Catarina davanti a sé e Magnus le afferrò la mano portandola in salvo

al suo fianco.

Sentì Alec dire: «Cael» e vide il rifulgere della spada angelica.

Un fendente tranciò il tentacolo che lo teneva prigioniero. Alec

raggiunse Magnus proprio mentre Barnabas dava fuoco a tutto il

pavimento del salone. Malcolm rispose con un’ondata di acqua del

canale che si riversò ruggendo dalla cucina. L’acqua investì Malcolm,

facendolo cadere, poi falciò anche Barnabas. Entrambi gli stregoni

furono trascinati fuori dal palazzo, con Malcolm che esultava deliziato

come se fosse su uno scivolo d’acqua al parco dei divertimenti.

Tutti, tranne i vampiri, fecero un respiro profondo. Il palazzo

continuava a crollare intorno a loro.

«Ho cambiato idea» annunciò Catarina. Gli mise un braccio intorno

alle spalle e lo baciò sulla guancia. «Mi piaci.»

«Oh» disse Alec stupefatto. «Grazie.»

«Per favore, abbi cura di Magnus» aggiunse Catarina.


«Ci provo» disse Alec.

Catarina scoccò a Magnus un’occhiata deliziata da sopra la spalla

di Alec. «Finalmente» mormorò. «Qualcuno da non lasciarsi sfuggire.»

«Possiamo uscire dall’edificio che sta venendo giù, adesso?» chiese

Magnus seccato, anche se dentro di sé era compiaciuto.

Lui e Hyacinth si avviarono verso la porta, guidando un manipolo

di Nascosti con i vestiti a brandelli e feriti. I vampiri, il lupo mannaro

Juliette del treno e molti altri si strinsero intorno ad Alec.

Lui si guardò intorno. «La scala che porta al piano superiore è

crollata. Ci sono delle persone intrappolate di sopra.»

Magnus imprecò, poi annuì. Allungò una mano e diede un colpetto

con due dita alla faretra semivuota che pendeva dalla spalla di Alec. Si

vide balenare una debole luce azzurra e d’un tratto la faretra fu piena

di frecce.

«Io vado dietro a Barnabas e Malcolm e provo ad arginarli» disse

Magnus. «Tu fai quello che sai fare meglio e porta tutti al sicuro.»

Fece un ampio gesto con le mani e i pezzi di metallo contorto che

erano stati le tubature del palazzo si raddrizzarono e si unirono in un

ponte sopra il torrente di acqua, conducendo fuori dall’edificio nella

direzione in cui gli stregoni si erano dileguati. Magnus si girò a

guardare Alec, che si era mosso per sedare un litigio tra lupi mannari

e pixie. Poi si voltò di nuovo, precipitandosi nella direzione da cui

provenivano fumo e scintille, e sparì.


15

Mori Shu

Con il rumore di un edificio che crollava nelle orecchie, alcuni dei lupi

mannari erano andati nel panico. Alec pensava che fosse

comprensibile, però era un bel guaio. Quando i lupi mannari

andavano nel panico, tendevano a rizzare il pelo. E a mostrare i denti,

con tutto quello che ne seguiva in tema di spargimento di sangue e

sbudellamenti assortiti.

Tre lupi mannari con le zanne scoperte si stavano avvicinando a un

gruppo di pixie terrorizzati. Alec corse a mettersi in mezzo, mentre

piovevano calcinacci e polvere che li accecavano e li facevano tossire.

Alec fece appena in tempo ad abbassarsi per evitare una zampata

inferta con gli artigli protesi e poi a gettarsi di lato mentre uno dei lupi

mannari gli si avventava contro.

A quel punto arrivarono anche gli altri e tutto quello che poté fare

fu evitare di essere sventrato. La memoria muscolare e anni di

addestramento presero il comando, mentre lui schivava gli attacchi

che piovevano da tutte le parti.

Cinque lunghi artigli affilati gli mancarono la faccia per un soffio,

anche se la punta di uno gli affondò nel braccio. Due fauci irte di

zanne stavano per serrarsi sulla sua spalla, quando lui strinse nel

pugno una manciata di pelo e roteò il braccio, lanciando via il lupo

mannaro che scivolò sulla schiena e andò a schiantarsi contro un

cumulo di macerie.

L’ultimo lupo mannaro inciampò nel piede di Raphael Santiago.

Alec si affrettò a colpirlo dietro la testa con l’elsa della spada angelica,

e il lupo stramazzò.

«È stato un incidente» disse Raphael, con Lily ed Elliott che gli

stavano appiccicati dietro. «Mi è venuto tra i piedi mentre cercavo di


andarmene.»

«Okay» disse Alec, ansimando.

Si passò una mano sugli occhi per ripulirli dal sudore e dalla

polvere. Bat il DJ barcollò verso di loro, con gli artigli sfoderati, e Alec

fece girare la spada riprendendola per l’elsa.

«Qualcuno mi ha fatto cadere addosso un pezzo di tetto» gli disse

Bat, battendo le palpebre più come un allocco che un lupo. «Che

mancanza di rispetto.»

Alec si rese conto che Bat non era tanto in preda a una furia

omicida fuori controllo, quanto piuttosto stordito dalla botta in testa.

«Vieni qui» gli disse e Bat gli si accasciò sul petto.

Si guardò intorno cercando qualcuno di cui fidarsi, che fosse dalla

sua parte. Corse il rischio e scaricò Bat fra le braccia di Lily.

«Tienilo d’occhio per me, d’accordo?» disse. «Accertati che esca di

qui tutto intero.»

«Metti giù subito il lupo mannaro, Lily» ordinò Raphael.

«Fa proprio male sentirti parlare così» farfugliò Bat e chiuse gli

occhi.

Lily osservò la testa di Bat, appoggiata al suo petto color lavanda.

«Non voglio metterlo giù» annunciò. «Lo Shadowhunter ha dato

questo DJ a me.»

Bat aprì un occhio. «Ti piace la musica?»

«Sì» rispose Lily. «Mi piace il jazz.»

«Fantastico» disse Bat.

Raphael alzò le mani. «È assurdo! Bene,» disse irritato «benissimo.

Usciamo dal palazzo che sta crollando, che ne dite? Possiamo

concordare tutti su questa attività divertente e non suicida?»

Alec scortò il suo gruppo di Nascosti riottosi verso l’uscita più

vicina, raccattando nel tragitto fate sbandate con le ali spezzate e un

paio di stregoni frastornati o sbronzi. Si assicurò che la maggior parte

di loro fosse uscita, inondando le vie di Venezia di una corrente

caotica al cui confronto i canali sembravano immobili, poi si rivolse ai

vampiri. Lily aveva affidato Bat a Catarina e tutti lo stavano

guardando in attesa.

«Mi dareste una mano a salire al primo piano?»


«No» disse Raphael, gelido.

«Certo, qualunque amico di Magnus… non ci piace» disse Elliott e

poi, davanti all’occhiataccia di Raphael, aggiunse: «Proprio per

niente».

I gradini in cima alla scala erano crollati e per arrivare al

pianerottolo c’era un buco frastagliato. Lily e Elliott lanciarono Alec

sopra le loro teste e lui sfruttò la spinta per saltare. Li salutò con un

gesto della mano prima di girarsi, e Lily ed Elliott ricambiarono il

saluto. Raphael aveva le braccia incrociate.

Al piano di sopra il palazzo era più silenzioso, eccetto l’occasionale

scricchiolio del legno che si spezzava e il gemito delle fondamenta

compromesse. Alec passò al setaccio le stanze in modo sistematico.

Per la maggior parte erano vuote, naturalmente.

In una trovò una ragazza lupo mannaro in lacrime, raggomitolata

in mezzo a un mucchio di lenzuola. Alec la aiutò a salire sulla finestra

e la vide saltare nel canale e poi allontanarsi nuotando a cagnolino.

Scoprì un paio di peri nascosti nell’armadio di una stanza da letto.

O almeno, pensava che si stessero nascondendo, ma poi si rese conto

che avevano pomiciato per tutto il tempo e non avevano idea che la

festa fosse finita. Liberò anche una sirena che si era chiusa per sbaglio

in un bagno.

Aveva quasi finito di perlustrare il piano quando si avventurò nella

biblioteca e incappò in un gruppo di mondani con la Vista sopraffatti

dai rampicanti. Una giungla di assi del pavimento, tubature e altri

materiali da costruzione assortiti avevano preso vita e li avvolgevano

come mummie. La biblioteca si trovava sopra il salone da ballo e

chiaramente parte della magia usata nella battaglia era arrivata fin lì.

Alec si fece strada verso di loro con la spada angelica, falciando le

assi del pavimento come se stesse mietendo le messi. Strappò dal collo

di una donna la lampada che la stava strangolando.

Pareva che tubi e tavole stessero rivolgendo la loro attenzione ad

Alec. Il che significò che riuscì a liberare i mondani mentre le assi, i

tubi e i poggiapiedi concentravano la loro furia omicida su di lui.

Guidò il gruppetto terrorizzato verso la finestra e chiamò aiuto.

Comparve Elliott, che prese al volo i mondani uno dopo l’altro


mentre Alec glieli lanciava.

«Sono piuttosto sicuro di sapere la risposta,» urlò Elliott ad Alec

«ma tu come la vedi se gli do un assaggino…»

«No!» urlò Alec.

«Chiedevo soltanto» si affrettò a dire Elliott. «Non c’è bisogno di

arrabbiarsi.» Alec non si fidava a lanciar giù l’ultimo mondano, ma a

quel punto arrivò Catarina con in mano delle bende. I mondani

sarebbero stati al sicuro con lei.

La situazione di Alec si era fatta un tantino preoccupante. Per ogni

tubo che tagliava ne spuntava un altro. Le assi del pavimento si

curvarono, imprigionandogli le caviglie e i polsi. Più lottava, più si

ritrovava intrappolato.

In men che non si dica aveva le gambe avvolte da tubi di rame, la

vita stretta da assi del pavimento e le braccia bloccate da due tavole

che si erano staccate dal rivestimento delle pareti. Un viticcio di legno

gli si avvolse attorno al polso e strinse così forte da fargli perdere la

presa sulla spada.

In quel momento opportuno, nella stanza entrò furtiva Shinyun.

«Alec?» chiese. «Che diamine succede? Perché il palazzo sta

crollando?»

Alec la fissò. «Dove ti eri cacciata?»

«Ti serve aiuto?» chiese lei. Il viso immobile restò rivolto verso di

lui ancora per diversi istanti, durante i quali non capì se fosse

divertita, pensierosa, o si stesse meravigliando di quanto Alec fosse

idiota.

«Potrei liberarti usando il fuoco» si offrì. La sua mano iniziò a

illuminarsi, virando dall’arancio a un rosso bruciante. Alec sentiva il

calore attraverso i tentacoli che lo imprigionavano, i quali presero a

sciogliersi rapidamente.

Alec fu profondamente sollevato di veder comparire Magnus, con

Malcolm al suo fianco che sgocciolava acqua di canale. «Ti prego, non

mettere a rischio la vita o gli arti del mio ragazzo» disse Magnus. «Ci

tengo a entrambi. Malcolm, per favore, richiama i tuoi… impianti e

l’altra roba.»

La luce sulle mani di Shinyun si spense. Malcolm valutò la


situazione poi batté le mani diverse volte. A ogni battito, i tentacoli

arretravano.

«Dov’è Barnabas?» chiese Alec, ripulendosi dai detriti e dalla

polvere mentre si allontanava dal mucchio di materiale da

costruzione.

«L’ho convinto ad andarsene» disse Magnus. «In modo

diplomatico.»

«E come?» chiese Alec.

Magnus rifletté. «Forse non in modo poi così diplomatico.»

Il viso di Malcolm era ancora più pallido del solito. «È terribile»

annunciò. «Credo di aver perso la cauzione.»

«Non hai versato nessuna cauzione» gli ricordò Alec. «Hai rubato

la casa a quel tizio, Barnabas.»

«Ah, giusto» disse Malcolm, illuminandosi.

Mentre scavalcavano le rovine del palazzo, Alec tenne Magnus per

mano. Quel legame tra loro era consolante, la stretta calda e forte della

mano di Magnus una garanzia concreta del fatto che era incolume.

«Allora, come diceva Alec» disse Magnus, mentre attraversavano

quel che restava dell’atrio, «dove ti eri cacciata?»

«Fuori in giardino, quando il palazzo ha iniziato a crollare» rispose

Shinyun. «Non avevo idea di cosa stesse succedendo. Ho cercato di

tornare da voi, ma c’erano delle persone che avevano bisogno di

aiuto.»

«La cosa ha tenuto impegnati anche noi» disse Alec, mentre

scendevano i gradini dell’ingresso.

Un enorme pezzo di marmo caduto ostruiva la base dei gradini.

Malcolm aveva l’aria esausta, ma lui e Magnus fecero un gesto

all’unisono e il blocco iniziò a spostarsi lentamente di lato.

La luce della notte che stava per finire conferiva al marmo una

sfumatura violetta. Nella strada acciottolata antistante il palazzo

c’erano ancora alcuni degli invitati alla festa. Juliette esultò

fiaccamente quando vide emergere Alec e gli altri. Raphael no.

«La cosa importante» disse Magnus «è che non credo ci siano state

delle vittime.»

Il blocco di marmo si spostò e tutti videro l’uomo che vi stava sotto,


disteso a faccia in giù sui gradini del palazzo in rovina. Aveva i capelli

scuri ed era di mezza età, la pelle blu chiazzata del sangue che gli

aveva inzuppato e irrigidito i vestiti.

Stringeva ancora in mano una maschera da fenice, testimonianza

incongrua della festa ormai conclusa.

«Hai parlato troppo presto» osservò Malcolm a bassa voce.

Magnus si inginocchiò e girò con delicatezza il corpo senza vita,

anche se per l’uomo ormai non faceva più differenza. Gli chiuse gli

occhi aperti.

Shinyun risucchiò l’aria tra i denti con un sibilo.

«È lui» disse. «Questo è Mori Shu.»

Alec fu sopraffatto dall’orrore. Non avrebbe mai avuto risposte da

Mori Shu, che giaceva immobile e silenzioso sui gradini di marmo.

«E non è stato ucciso dal crollo del palazzo» continuò Shinyun, e

mentre parlava l’orrore lasciò il posto alla rabbia. «È stato ucciso dai

vampiri.»

Vedevano tutti i buchi sulla gola, con il sangue che riluceva scuro

alla luce della luna. I vampiri di New York fecero diversi passi

indietro.

«Non siamo stati noi» disse Lily dopo un attimo. «Fatemi dare

un’occhiata al corpo.»

«No, Lily.» Raphael allungò il braccio di scatto per fermarla.

«Questa cosa non ha niente a che fare con noi. Adesso ce ne andiamo.»

«Loro erano con me» disse Alec.

«Tutta la sera?» chiese Shinyun. «Sembra che sia morto da un po’.»

Alec rimase in silenzio. Elliott aveva la camicia sporca di sangue,

anche se non era del colore del sangue umano. L’idea di un vampiro

che si nutriva di una persona impotente gli diede la nausea.

«Noi non ci nutriamo del sangue degli stregoni» disse Lily.

«Chiudi il becco» le ringhiò Raphael. «Non fiatare davanti ai

Nephilim!»

«I vampiri non si nutrono degli stregoni» disse Magnus. «Nessuno

ha ucciso Mori Shu per fame. Qualcuno lo ha ucciso per impedirgli di

parlare. Raphael e i suoi non hanno alcun motivo di fare una cosa del

genere.»


«Non lo conosciamo nemmeno» disse Elliott.

«È la prima volta che lo vedo» disse Lily.

«C’erano un sacco di vampiri sulla mia lista degli invitati» fece

notare Malcolm «che se ne sono già andati. E un sacco di imbucati. Tra

cui quello che ci ha fatto crollare in testa il party. Mi toccherà cercare

un nuovo palazzo per domani sera.»

«Domani sera?» chiese Alec.

«Certo» disse Magnus. «Credevi che una festa per la vittoria

durasse solo una sera? The show must go on!»

Alec scosse la testa. Non riusciva a immaginare che qualcuno

volesse continuare a festeggiare, a quel punto.

Shinyun era inginocchiata accanto al corpo di Mori Shu, in cerca di

indizi. Mori Shu era uno stregone… immortale. Ma nessuno stregone

era invulnerabile. Qualunque stregone poteva rimanere ferito o essere

ucciso.

Magnus, con la maschera d’argento sollevata sulla testa, intercettò i

vampiri di New York prima che si allontanassero. Alec lo udì parlare

a bassa voce.

Si sentì in colpa a origliare, ma non poteva zittire i suoi istinti da

Shadowhunter.

«Come stai, Raphael?» chiese Magnus.

«Scocciato» rispose Raphael. «Come al solito.»

«Conosco la sensazione» disse Magnus. «La provo tutte le volte che

parliamo. Quello che intendevo era: so che tu e Ragnor eravate spesso

in contatto.»

Vi fu un istante di pausa nel quale Magnus studiò Raphael con

espressione preoccupata e Raphael guardò Magnus con evidente

disprezzo.

«Oh, mi stai chiedendo se sono prostrato dal dolore per lo stregone

che gli Shadowhunters hanno ucciso?»

Alec aprì la bocca per far notare che era stato lo Shadowhunter

malvagio Sebastian Morgenstern a uccidere lo stregone Ragnor Fell

nella guerra recente, come aveva ucciso il fratello di Alec.

Poi ricordò Raphael seduto da solo a mandare SMS a RF, senza mai

ricevere risposta.


Ragnor Fell.

D’un tratto Alec provò un inaspettato moto di simpatia per

Raphael, riconoscendo la sua solitudine. Era a una festa circondato da

centinaia di persone e se ne stava lì a mandare un messaggio dopo

l’altro a un uomo morto, sapendo che non avrebbe mai avuto risposta.

Raphael doveva avere pochissimi amici.

«Non mi piace» proseguì Raphael «quando gli Shadowhunters

ammazzano i miei colleghi, ma non è che fosse la prima volta che

succedeva. Succede di continuo. È il loro hobby. Grazie per avermelo

chiesto. Ovviamente uno vorrebbe accasciarsi su un divano a forma di

cuore e singhiozzare in un fazzoletto di pizzo, ma io chissà come sto

tenendo botta. In fin dei conti, ho ancora un contatto con uno

stregone.»

Magnus inclinò la testa con un sorrisino.

«Tessa Gray» disse Raphael. «Donna nobile. Molto preparata.

Penso che tu la conosca.»

Magnus fece una faccia strana. «Non è l’umorismo nero che ti

rimprovero. Quello mi piace. È la tetraggine. Uno dei grandi piaceri

della vita è sfottere gli altri, perciò di tanto in tanto mostra un po’ di

allegria quando lo fai. Un po’ di joie de vivre.»

«Sono un non morto» ribatté Raphael.

«Che ne dici di joie de unvivre?»

Raphael lo guardò freddamente. Magnus liquidò la propria

domanda con un gesto, tracciando una scia di scintille nell’aria

notturna con gli anelli e i residui di magia.

«Tessa» disse Magnus con un lungo sospiro. «È una latrice di

cattive notizie e rimarrò arrabbiato con lei per settimane per avermi

scaricato addosso questo problema. Come minimo.»

«Quale problema? Sei nei guai?» chiese Raphael.

«Nulla che non possa gestire» rispose Magnus.

«Peccato» disse Raphael. «Avevo in mente di farmi una risata alle

tue spalle. Be’, è ora di andare. Ti direi buona fortuna con la tua

cattiva notizia del cadavere, ma… non me ne frega niente.»

«Abbi cura di te, Raphael» disse Magnus.

Raphael liquidò la raccomandazione con un gesto al di sopra della


spalla. «Lo faccio sempre.»

I vampiri si avviarono per la strada buia, il canale un nastro

d’argento accanto a loro. Malcolm si avvicinò a Hyacinth e si mise a

parlare di sedi alternative per la festa con molto più interesse di quello

che aveva mostrato per il morto.

Alec seguì i vampiri con lo sguardo. «Lui voleva aiutarti.»

Magnus gli lanciò un’occhiata sbalordita. «Raphael? Non penso

proprio. Non è davvero il modello ideale di piccolo aiutante dello

stregone.»

Si girò per unirsi a Shinyun nell’esame del cadavere. Alec lo lasciò

fare, sicuro che Magnus avrebbe scoperto qualunque cosa ci fosse di

rilevante, e si mise a correre dietro ai vampiri.

«Aspettate» disse.

I vampiri continuarono a camminare, ignorandolo bellamente.

«Un attimo.»

«Non parlate con lo Shadowhunter» disse Raphael agli altri. «Non

guardatelo neanche.»

«Okay. Scusa per il disturbo. Avevo dimenticato che non te ne frega

niente di Magnus. Torno là e lo aiuto io» disse Alec.

Raphael si fermò.

«Parla» disse senza girarsi. Quando Alec esitò, cercando di farsi

venire in mente le parole giuste, Raphael iniziò a piegare le dita: «Tre.

Due. Uno…».

«In sostanza sei il capo del clan di vampiri, no?» chiese Alec.

«Perciò dovresti sapere parecchio di quello che succede tra i

Nascosti.»

«Più di quanto ne saprai mai tu, Shadowhunter.»

Alec alzò gli occhi al cielo. «Sai qualcosa della Mano Scarlatta? È un

culto.»

«Ne ho sentito parlare» rispose Raphael. «Gira voce che sia stato

Magnus a fondarlo.»

Alec rimase in silenzio.

«Io non ci credo» disse Raphael. «Lo dirò a chiunque me lo chieda.»

«Fantastico» commentò Alec. «Grazie.»

«E chiederò in giro» concesse Raphael.


«Okay» disse Alec. «Dammi il tuo telefono.»

«Non ce l’ho, il telefono.»

«Raphael, è evidente che ce l’hai, lo stavi usando per messaggiare

quando ti ho incontrato alla festa.»

Raphael finalmente si girò e studiò Alec diffidente. Elliott e Lily

rimasero in disparte, scambiandosi occhiate. Dopo una pausa,

Raphael si avvicinò, tirò fuori di tasca il telefono e lo mise nella mano

allungata di Alec, che si mandò un SMS con il cellulare del vampiro.

Cercò di farsi venire in mente un messaggio stringato e incisivo, ma

alla fine si limitò a scrivere: CIAO.

Jace sì avrebbe escogitato qualcosa di incisivo. Oh, be’. Ognuno

aveva le sue qualità.

«Questa è un’occasione storica» disse Lily. «La prima volta in

cinquant’anni che Raphael dà il suo numero di telefono a qualcuno

conosciuto a una festa.»

Elliott alzò la testa ciondolante. «Il momento richiede un altro

drink!»

Raphael e Alec lo ignorarono. Alec gli restituì il telefono. Raphael lo

prese. Si scambiarono un cenno della testa.

«A proposito di Bane. Non fargli del male» disse Raphael di punto

in bianco.

Alec esitò. «No» disse, addolcendo il tono. «Non potrei mai…»

Raphael sollevò perentorio una mano. «Smettila di essere

disgustoso, per favore» disse. «Me ne frego se “ferisci i suoi

sentimenti”, come dicono i mocciosi. Se gli butti addosso una

tonnellata di mattoni magici. Anzi, vorrei che lo facessi. Volevo solo

dire, non ucciderlo.»

«Non ho intenzione di ucciderlo» disse Alec, sconvolto.

Gli si gelava il sangue al pensiero e gli si gelò ancora di più alla

vista dell’espressione di Raphael. Il vampiro parlava sul serio.

«No?» chiese Raphael. «Shadowhunter.»

Pronunciò la parola come avevano fatto i Nascosti al Mercato delle

Ombre, ma suonava diversa detta allo scopo di proteggere qualcuno

per cui Alec avrebbe sacrificato volentieri la vita.

La cosa lo spinse a chiedersi se gli uomini del Mercato lo


guardavano vedendo in lui una minaccia alle persone cui volevano

bene.

«Smettila, Raphael» disse Lily. Scoccò ad Alec un’occhiata

comprensiva che lo stupì. «Il ragazzo è chiaramente innamorato.»

«Ugh» commentò Raphael. «Faccenda orribile. Andiamocene da

qui.»

Elliott esultò. «Possiamo andare all’afterparty?»

«No» disse Raphael con disgusto. Si allontanò da Alec e si

incamminò senza voltarsi indietro. Dopo un’ultima rapida occhiata,

Lily e poi Elliott si affrettarono a seguirlo.

Alec rimase in piedi da solo in mezzo alla strada per un momento

poi tornò da Magnus, che aveva rinunciato a cercare indizi ed era al

telefono per organizzare la rimozione del corpo di Mori Shu senza

dare nell’occhio. Alec si avvicinò circospetto. Sotto il mantello le spalle

di Magnus erano più incurvate del solito. La faccia incorniciata dalla

chioma di capelli neri striati di brillantini appariva un po’ stanca.

Alec non sapeva cosa dire. «Come hai incontrato Raphael?

Sembrate conoscervi piuttosto bene.»

«Una volta gli ho dato una mano, immagino» disse Magnus. «Una

cosa da nulla.»

Magnus era arrivato e aveva guarito Alec, la seconda volta che si

erano visti. Alec ricordò di essersi svegliato dal delirio e dall’agonia

ritrovandosi a fissare gli strani occhi luminosi di Magnus, le sue mani

attente e delicate. Fa male, aveva sussurrato Alec. Lo so, aveva detto

Magnus. Adesso rimedio.

E Alec, credendogli, aveva sentito un po’ meno dolore.

Aveva conservato quel ricordo e lo aveva seguito fino alla porta

della casa di Magnus. Magnus non pensava a se stesso in questi

termini, ma era gentile. Così gentile che poteva considerare la

guarigione o l’aiuto come se fossero ordinaria amministrazione.

Qualunque cosa avesse fatto per Raphael, chiaramente il vampiro

non riteneva che fosse una cosa da nulla.

La vita di Magnus era piena di strani incidenti e di gente ancora più

strana. Alec non ne sapeva ancora molto, ma poteva impararlo, e una

cosa la sapeva. Sua sorella aveva detto che per conoscersi davvero ci


voleva un viaggio e adesso Alec era assolutamente certo che

nell’abbagliante caos della sua lunga vita bizzarra Magnus fosse

sempre stato gentile.

Mentre Alec parlava con Raphael, erano arrivati due brownie

identici a bordo di quello che sembrava un gigantesco melone verde

su grosse ruote traballanti, ma che Alec immaginava fosse una specie

di ambulanza delle fate, per portar via il corpo di Mori Shu. Shinyun

diede loro del denaro, scambiò qualche parola in italiano, poi si unì ad

Alec e Magnus. Alzò lo sguardo sulle rovine del palazzo e Alec la

imitò.

«Se mai c’era una capra di pietra» osservò lei «è sepolta sotto

tonnellate di macerie.»

«Faremmo meglio ad andare» disse Magnus, con una voce stanca

che non era da lui. «Immagino che qui non abbiamo più niente da

fare.»

«Aspetta» disse Alec. «La Camera. Non l’abbiamo trovata. E non

penso che sia nella parte del palazzo che è stata distrutta.»

«Cioè» disse Shinyun lentamente «la parte del palazzo sopra il

livello del suolo. Oppure la vedremmo in rovina davanti a noi.»

«Ci sono delle scale esterne, dietro l’edificio» disse Magnus.

«Scendono nelle cantine, presumo. Ma forse poi portano altrove.»

Alec guardò il canale che scorreva lì vicino. «Quanto si può andare

in profondità con le costruzioni qui? Si finirebbe sott’acqua?»

«Senza magia? Non molto in profondità» disse Magnus. «Con la

magia?» Si strinse nelle spalle aprendosi lentamente in un sorriso.

«Chi vuole andare a esplorare una spaventosa segreta?»

Scese un lungo silenzio, poi Shinyun alzò molto lentamente la

mano.

«Anch’io» disse Alec.


16

Le Pergamene Rosse della Magia

Magnus ricordava bene. Nel vicolo alle spalle del palazzo in rovina,

una scala di pietra scendeva nell’oscurità. Alec accese una stregaluce

mentre raggiungevano la pesante porta di legno in fondo ai gradini.

Shinyun fece scaturire dal proprio indice un fascio di luce, che puntò

in giro come una torcia.

Oltrepassata la porta (che Alec aveva aperto con una runa di

Apertura), c’erano pareti in terra battuta con botti vuote e vecchi

stracci, niente di più eccitante. Svoltarono un angolo, poi un altro e un

altro ancora e arrivarono a una porta molto più bella, liscia e lucida,

con incisa l’immagine di un leone alato.

Quando l’ebbero varcata, Magnus e Shinyun diedero in

esclamazioni eccitate, ma Alec sospirò deluso. «Sono già stato qui»

disse. «Ricordo la statuetta di Bacco.»

Magnus la osservò. «Per essere il dio del vino e dei bagordi» disse

«ho sempre pensato che Bacco fosse vestito troppo semplicemente

nelle statue che lo raffigurano.»

Shinyun stava battendo sui muri della stanza, cercando un pannello

segreto o una serratura nascosta. Magnus era attirato dalla statua sul

suo piedistallo.

«Ho sempre pensato» disse lentamente «che se fosse per me, le

statue degli dèi sarebbero vestite in modo un po’ più… divertente.»

Mentre finiva la frase, allungò la mano per toccare la statua di

Bacco. Dalle dita fluirono scintille azzurre e lungo le pieghe della toga

cominciarono ad apparire colori e motivi; la sua magia setacciava la

semplice pietra bianca come se il marmo fosse polvere che adesso

cadeva mettendo a nudo la statua più vivace e colorata nascosta sotto.

Con un rumore stridente, la porzione di parete accanto alla statua si


aprì scorrendo di lato, rivelando una stretta scala.

«Una soluzione colorita» disse Shinyun. «Bel lavoro.» Sembrava

divertita. Ma Alec rivolse a Magnus uno strano sguardo meditabondo.

Magnus si avviò giù per la scala, tallonato da Alec. Magnus

avrebbe quasi preferito che non ci fosse. Non riusciva a scacciare il

timore di ciò che avrebbero potuto trovare e di quello che Alec

avrebbe potuto pensare di lui. La statua di Bacco era uno scherzo, uno

scherzo che ormai non gli sembrava affatto divertente.

La scala conduceva a un lungo corridoio di pietra che finiva

nell’oscurità. «Com’è che non è tutto sott’acqua?» chiese Alec. «Siamo

a Venezia.»

«Uno degli stregoni del culto deve aver eretto delle barriere per

evitare l’ingresso dell’acqua» rispose Magnus. «Magari Mori Shu.»

Oppure io, ma non lo disse.

In fondo il corridoio si apriva improvvisamente in un’ampia

camera dal soffitto alto, costruita per fungere da cantina o magazzino

per le scorte di cibo. Alec fece ruotare la stregaluce, rivelando file di

candele spente sparse per tutto il locale.

«Be’, questo è facile» disse Magnus e schioccò le dita accendendo

tutte le candele. La camera venne inondata di luce.

Era sicuramente stata una cantina. All’estremità più lontana c’era

un altare rozzo e malmesso che dei cavernicoli avrebbero potuto

erigere per adorare un dio del fuoco. Due colonne di legno

fiancheggiavano un grosso blocco di pietra a forma di cubo posto su

una piattaforma elevata.

Sulla sinistra c’era un tavolo che sembrava arredo da giardino in

plastica da quattro soldi ricoperto di incenso, rosari e altre

cianfrusaglie assortite, di quelle che potevi comprare in un centro

yoga.

«Oh, per la miseria, il mio culto è proprio scadente» gemette

Magnus. «Sono profondamente imbarazzato. Disconosco i miei

seguaci perché sono malvagi e non hanno un briciolo di stile.»

«Ma non è il tuo culto» disse Alec distrattamente. Si avvicinò al

tavolo e passò un dito sulla superficie. «C’è un sacco di polvere.

Questo posto non viene usato da un pezzo.»


«Sto scherzando» disse Magnus. «Cerco di farmi coraggio.» Guardò

in direzione dell’angolo vuoto del locale, dove la radice di un albero si

era fatta strada tra due pietre. Si avvicinò e diede uno strattone alla

radice. Niente. Lanciò un incantesimo di localizzazione nell’angolo.

Ancora niente.

«Dev’esserci altro» disse Shinyun. «Dove sono le tracce

dell’esecuzione di orribili riti? Dov’è il sangue sulle pareti?»

Alec prese in mano una statuetta e scosse la testa.

«C’è l’etichetta del fabbricante. Qualcuno l’ha comprata in un

negozio di souvenir. Se questa roba è magica, io sono l’Angelo

Raziel.»

«Gli Shadowhunters non approverebbero affatto se uscissi con

l’Angelo Raziel» commentò Magnus.

«Ma dovrebbero essere gentili con te» disse Alec brandendo la

statuetta «altrimenti li annienterei.»

«Riuscite mai a essere seri?» chiese Shinyun. Si avviò a grandi passi

verso l’altare improvvisato, poi inciampò e finì lunga e distesa. Ci fu

una pausa di silenzio durante la quale nessuno rise. Magnus e Alec

avevano gli occhi fuori dalle orbite. Dopo un lungo momento

Shinyun, ancora per terra, disse irritata: «Be’, almeno qualcuno

controlli in cosa sono inciampata».

Mentre lei si tirava a sedere spazzolandosi i vestiti, Magnus si

avvicinò e si inginocchiò. Nel pavimento di terra battuta vicino

all’altare c’era una minuscola capra di pietra. Magnus avvicinò la

bocca alla statuetta e mormorò la parola d’ordine che gli aveva dato

Johnny Rook. «Asmodeo.»

«Cosa?» disse Alec.

Magnus aveva parlato apposta a voce talmente bassa che nemmeno

uno Shadowhunter avrebbe potuto sentirlo. Evitò lo sguardo di Alec.

Nella stanza riecheggiò il boato delle pietre che sfregavano tra loro,

spazzando via qualunque momento di imbarazzo si stesse creando. Il

cubo di pietra dell’altare si aprì come un fiore. Si librò in aria e fluttuò

all’indietro, andandosi a incastrare nella pietra della parete

retrostante. La piattaforma su cui c’era il cubo si sbriciolò. Attorno alla

rosetta in cui si era trasformato il cubo comparve una luce rosso-


dorata che delineò i contorni di una porta.

La sagoma di luce si solidificò in una porta placcata d’oro

finemente lavorata, con un grande specchio ovale al centro.

Magnus si avvicinò alla porta e la studiò. Guardò il proprio riflesso

nello specchio e poi la porta di legno alle sue spalle. «Questo è più

simile a ciò che mi aspettavo» disse e allungò la mano verso la

maniglia.

Alec e Shinyun si mossero alla velocità del lampo nel tentativo di

impedire a Magnus di entrare per primo. Dato che Alec e Magnus

desideravano evitare i conflitti, ad averla vinta fu Shinyun, che li

superò con una spallata e aprì la porta che girò sui cardini senza

sforzo, rivelando un lungo corridoio dal soffitto basso. Furono

investiti da una folata di aria stantia. Sulla parete c’era una fila di torce

che si accesero una dopo l’altra.

Il corridoio era piuttosto tortuoso e fece sembrare eterno un tragitto

di non più di cinque minuti. A quel punto Magnus aveva perso

completamente l’orientamento e non capiva in che posizione si

trovassero rispetto al palazzo, né in quale punto di Venezia. Fosse stato

per me, e potrebbe ben darsi, pensò, avrei piazzato tutto quanto in mezzo alla

laguna. Davanti a lui, sentì Shinyun soffocare un’esclamazione quando

il corridoio si aprì in quella che Magnus desiderava ardentemente

fosse l’ultima camera segreta. Solo il pensiero di ripercorrere la strada

all’indietro gli faceva venir voglia di sdraiarsi e schiacciare un

pisolino.

Lui e Alec seguirono Shinyun nella camera e Magnus capì perché

era rimasta senza fiato per lo stupore. L’ambiente era enorme e

l’arredamento era il risultato dell’unione tra una chiesa e un nightclub

decisi a passare una serata all’insegna della follia.

Lungo entrambi i lati della camera c’erano due sezioni di panche

dorate e le pareti erano rivestite di piastrelle che sfolgoravano come

gioielli. All’estremità più lontana dell’ambiente era appeso un grande

dipinto che ritraeva un uomo affascinante con il viso ossuto e i

lineamenti affilati. Sarebbe quasi passato per umano non fosse stato

per i denti seghettati. L’unico ornamento che portava era una corona

di filo spinato.


Di fronte al quadro c’era un altare di pietra – molto più imponente

– al centro di un pentacolo gigantesco. Nella lastra di pietra erano

incise piccole scanalature che dai quattro angoli dell’altare

scendevano alle punte della stella sottostante. Ovunque si vedevano

macchie rosso scuro di varie tonalità ma tutte dello stesso tipo.

«Visto?» disse Shinyun trionfante. «Sangue sulle pareti. Ecco da

cosa si capisce che è quello vero.»

Alec indicò sulla sinistra con espressione perplessa. «Perché vicino

all’altare sacrificale c’è un bar ben fornito?»

Magnus si arrese. «È sicuramente il mio culto, non è così?» Fece una

pausa. «Spero che l’altare sia un’aggiunta posteriore.»

«Forse no» disse Alec. «Potrebbe esserci un altro stregone che

vorrebbe un angolo bar accanto all’altare sacrificale.»

«Be’, se è così, dovrebbe presentarsi» commentò Magnus. «Penso

che andremmo d’accordo.»

Nella fretta di andarsene, il culto aveva lasciato un gran disordine.

Metà delle panche erano rovesciate, il pavimento era in gran parte

ricoperto di spazzatura e in una buca per il fuoco c’era una pila di

detriti quasi interamente bruciati.

A un certo punto il fuoco doveva essere sfuggito di mano,

divampando fuori dalla cavità, perché alcune panche nei pressi erano

carbonizzate. Magnus andò dietro il bancone. Un sacco di liquori, ma

niente ghiaccio, frutta né altre guarnizioni. Si versò tre dita dell’amaro

più amaro che gli riuscì di trovare e lo sorseggiò con rabbia

camminando su e giù.

I ricordi erano forme potenti di magia. Ogni cosa nell’universo li

aveva, persino gli eventi, i luoghi e gli oggetti. Ecco come nascevano i

fantasmi da momenti particolarmente tragici, ecco perché le case

diventavano infestate. Magnus era disposto a scommettere che un

santuario dedicato all’adorazione dei demoni, in cui si erano svolti riti

sacrificali, avrebbe rivelato la sua bella dose di ricordi potenti da cui

avrebbero potuto ottenere degli indizi.

Camminò in cerchio attorno al perimetro del santuario e si mise a

salmodiare. Teneva le braccia allargate e dalla punta delle dita si

irradiava una scia sfavillante di foschia bianca.


La foschia aleggiò e si mosse nell’aria come pigre onde dell’oceano,

poi si condensò, assumendo la forma di corpi umani in movimento.

Erano alcuni dei ricordi più vividi impressi in quel luogo.

Ma qualcosa stava ostacolando l’incantesimo di Magnus. Il culto

era preparato a una cosa del genere. Magnus allungò le mani e spinse

contro la potente difesa che ammantava tutto quanto. Alcuni ricordi si

fusero in qualcosa di tangibile, ma rimasero deboli e confusi, e si

dissiparono dopo pochi secondi.

Solo tre di essi erano sufficientemente vividi per materializzarsi in

una forma distinguibile. Uno era quello di una vetrata colorata, ormai

scomparsa, sulla quale c’era il ritratto di una persona che assomigliava

in modo incredibile a Magnus, a cui facevano aria con foglie di palma.

In un altro c’erano due figure inginocchiate in preghiera, un adulto e

un bambino, entrambi sorridenti. Nel terzo, infine, si vedeva una

donna in piedi davanti all’altare con in mano un lungo kris. Poi

c’erano facce, troppe facce stravolte dall’agonia. Vide mondani e

persino un paio di stregoni, ma soprattutto vide fate. Sangue di fata, il

sangue che poteva essere usato per evocare Demoni Superiori.

Quando si arrese, Magnus aveva il fiatone ed era ricoperto di

sudore. Ansimando forte, fece un gesto per dissipare la fitta foschia

che aleggiava intorno a lui. Quando si fu dissolta, si accorse che

Shinyun era appoggiata a una delle colonne a braccia conserte. Aveva

osservato ciò che faceva con grande interesse.

«Qualcosa di utile?» gli chiese.

Magnus si appoggiò a una parete e scosse la testa. «Qualcuno ha

messo in atto un incantesimo per impedirmi di scoprire alcunché.

Qualcuno molto potente.»

«Noti niente di strano su quel muro?» chiese Shinyun, accennando

con la testa al dipinto dell’uomo con i denti seghettati. Magnus si era

sforzato di evitare gli occhi del ritratto, come se suo padre Asmodeo

potesse guardarlo attraverso di essi.

Se anche aveva fondato il culto, non avrebbe mai tirato in ballo

Asmodeo. Di sicuro non era mai stato così folle o temerario.

«Io sì» disse Alec all’improvviso e Magnus sobbalzò.

«Il dipinto è appeso a una nuda parete di pietra, e c’è solo quello. È


una parete piuttosto grande, perché non sfruttarla per qualcos’altro?»

Alec si avvicinò, si mise sotto la cornice del ritratto e la tirò verso di

sé. Staccò il gigantesco quadro dal muro e lo appoggiò per terra contro

una delle colonne. Tornò verso la parete di pietra e batté un colpetto

con le nocche.

Shinyun gli andò accanto e appoggiò una mano sulla pietra. Dalle

sue dita fluirono onde arancioni che si propagarono sulla parete. La

pietra scintillò come acqua e comparve una nicchia rivestita delle

stesse piastrelle luccicanti delle altre pareti. All’interno c’era un grosso

libro, rilegato in pelle di vitello tinta di rosso scuro, con lettere dorate

incise sulla copertina.

Le lettere formavano le parole LE PERGAMENE ROSSE DELLA MAGIA.

Shinyun prese il libro e sedette sulla pietra a leggere. Nelle sue

mani sottili il volume sembrava enorme. Quando cominciò a sfogliare

le pagine, la pergamena ingiallita scricchiolò. Alec si mise a leggere da

sopra la sua spalla.

Magnus non ne aveva voglia, ma si costrinse ad avvicinarsi ai due

che leggevano il libro.

Lo stupore e la paura diminuirono un po’ mentre leggeva alcuni

dei principi sacri dettati dalle Pergamene Rosse.

«Solo il Grande Veleno, colui che è bellissimo e saggio e

affascinante e bellissimo, può guidare i fedeli a Edom. Offrite dunque

al Grande Veleno cibo e bevande e bagni e occasionali massaggi.»

«Hanno scritto “bellissimo” due volte» mormorò Alec.

«Perché si chiamano Pergamene Rosse» chiese Shinyun «se si tratta

di un libro? E non di una pergamena?»

«Certo è che non sono pergamene al plurale» osservò Alec.

«Sono sicuro che chiunque sia questo bellissimo, bellissimo

fondatore del culto» disse Magnus, avvertendo un’oppressione al

petto, «aveva le sue ragioni.»

Shinyun continuò a leggere. «Il principe desidera solo il meglio per

i suoi figli. Di conseguenza, per onorare il suo nome, dev’esserci un

luogo ricolmo soltanto dei liquori, dei sigari e dei cioccolatini più

raffinati. Decime di tesori e doni elargiti con munificenza al Grande

Veleno sono simbolo dell’amore tra i fedeli, perciò che l’alcol scorra e


l’oro si accumuli, e ricordate sempre le sacre regole.

«La vita è un palcoscenico, perciò uscite con stile.

«Unicamente il fedele capace di preparare un drink veramente

fantastico sarà il prediletto.

«Non offendete il Grande Veleno con azioni crudeli o scarsa

eleganza.

«Cercate i figli dei demoni. Amateli come amate il vostro signore.

Non lasciate che i bambini siano soli.

«In tempi difficili, ricordate: tutte le strade portano a Roma.»

Alec guardò Magnus, che non riuscì a decifrare del tutto il suo

sorrisino. «Penso che queste cose le abbia scritte tu.»

Magnus fece una smorfia. Sembrava proprio lui. La parte peggiore

di sé, frivola e irriguardosa, sprezzante e superiore. Non ricordava di

averle scritte. Ma quasi certamente lo aveva fatto. Quasi certamente

era lui il Grande Veleno. Quasi certamente era lui il responsabile della

Mano Scarlatta.

«Che scemenze» osservò Shinyun disgustata.

«Magnus, non sei sollevato che sia uno scherzo?» gli chiese Alec, e

Magnus si rese conto che il suo era un sorriso di sollievo. «Perché

qualcuno dovrebbe aver pensato che fosse necessario portarti via i

ricordi di questa cosa? Non è niente di serio.»

Ebbe la tentazione di sbottare contro Alec, anche se era arrabbiato

con se stesso, non con lui. Non capisci cosa significa? La Mano Scarlatta

potrebbe anche essere iniziata per scherzo, ma adesso è una faccenda

tremendamente seria. Era morta della gente a causa dello scherzo di

Magnus.

Magnus non era responsabile solo dell’esistenza del culto. Shinyun

era accucciata sulla pietra davanti a lui, la sua vita distrutta una prova

vivente di ciò che aveva fatto. Magnus aveva detto ai suoi seguaci di

cercare i figli dei demoni. Aveva ordinato che nel culto fossero

reclutati gli stregoni bambini. Qualunque malvagità il culto avesse

commesso, qualunque cosa Shinyun avesse sofferto, era opera di

Magnus.

Non ci sarebbe voluto molto perché anche Alec lo capisse. Magnus

si schiarì la gola e si sforzò di usare un tono leggero come l’aria.


«Be’, la buona notizia» disse, ignorando la domanda di Alec, «è che

“tutte le strade portano a Roma”. Così almeno sappiamo dove

andare.»

Presto a Venezia sarebbe spuntata l’alba, illuminando l’acqua e il

cielo. La città stava già svegliandosi. Magnus vedeva aprirsi le

saracinesche dei negozi e fiutò l’odore di pane e salsiccia, come pure

quello dell’acqua salmastra.

Non era ancora giorno. L’alba era una riga perlacea sopra le acque

color indaco. Gli edifici e i ponti erano di una sfumatura lavanda

scuro accesa d’argento, per via della luce soffusa che si faceva sempre

più forte. Magnus, Alec, Shinyun e Malcolm, che avevano trovato

addormentato sui resti dei gradini d’ingresso del palazzo e avevano

portato con loro, erano saliti su una gondola vuota. Magnus indirizzò

la gondola in direzione del loro albergo, con la sua magia che faceva

baluginare scintille azzurre sulla superficie dell’acqua.

Gli abiti di Magnus erano grigi di polvere e spiegazzati, ed era così

che lui si sentiva. Avevano ripercorso in silenzio i corridoi

interminabili, la serie infinita di porte e scale, finché non avevano

trovato i gradini che portavano all’esterno mentre il cielo cominciava a

schiarirsi sopra i canali. Si erano scambiati a malapena qualche parola

e Magnus continuava a evitare di guardare Alec, il quale era

visibilmente esausto. Aveva abbandonato la giacca lacera da qualche

parte tra le macerie del palazzo ed era in maniche di camicia, con la

faccia ricoperta di polvere e sporcizia. Aveva corso, combattuto e

perlustrato per la maggior parte della notte, cercando di rimediare

agli errori di Magnus, lanciandosi a fare scudo alle persone con il

proprio corpo, mentre la magia degli stregoni sgretolava l’edificio in

cui si trovavano.

Adesso era sdraiato sul fondo dell’imbarcazione, con la schiena

appoggiata al petto di Magnus, il corpo abbandonato per la

stanchezza.

«Mi spiace che tu abbia passato una serata tremenda a quella festa

orribile» gli bisbigliò Magnus all’orecchio.

«Non ho passato una serata tremenda» sussurrò Alec di rimando,


la voce rauca per la stanchezza e la preoccupazione. «Ero insieme a

te.»

Alec gli appoggiò la testa sul petto.

«Peccato che la festa sia finita troppo presto» commentò Malcolm.

«È quasi ora di colazione, Malcolm. E poi, il palazzo è crollato.

Qualcuno vuole fare colazione?»

«Il pasto più importante della giornata» mormorò Alec, mezzo

addormentato.

Nessuno rispose, neanche Malcolm, che stava chiaramente

rimuginando sui propri torti. «Quel Barnabas Hale è incredibile»

disse. «È così volgare. Sono solo contento che se ne stia andando

incavolato in un’altra città. Era Firenze? O forse…»

«Roma» disse Shinyun cupa.

«Oh, sì» disse Magnus allegramente. «Forse Roma.»

Scese un silenzio di tomba. Venne rotto quando Malcolm iniziò a

cantare una canzone, a voce bassa e stonata, su un amore perduto in

mare. Non aveva importanza: i pensieri di Magnus erano

lontanissimi.

Barnabas Hale stava andando a Roma.

Tutte le strade della Mano Scarlatta portavano a Roma.

La Mano Scarlatta e il suo leader, che addossava a Magnus la colpa

delle attività correnti del culto, erano quasi sicuramente a Roma.

Magnus conosceva Barnabas Hale da un sacco di tempo e non gli

era mai piaciuto. La sua comparsa a Venezia era stata una sorpresa

spiacevole. Ma ne correva tra questo tizio è irritante e questo tizio sta

ammazzando fate ed evocando Demoni Superiori e ha cercato di uccidermi

con una regina madre Raum.

D’altra parte, Barnabas era uno stregone con grandi poteri. Aveva

detto che il palazzo era suo, quindi aveva anche grandi ricchezze. Era

un personaggio da tenere d’occhio, in ogni caso.

«Abbiamo bisogno di dormire» disse Shinyun alla fine «poi

dovremmo andare a Roma il prima possibile.»

«Prima ci arriviamo, prima Alec e io possiamo riprendere la nostra

vacanza» disse Magnus.

Il tono allegro non suonava convincente, nemmeno alle sue


orecchie. Domani, disse a se stesso, avrebbe fatto di meglio. Avrebbe

smesso di sentirsi così oppresso dal peso del passato e dalla paura del

futuro, e si sarebbe goduto il presente come faceva di solito.

«Sono sicura che tu e Alec ve la godrete» disse Shinyun.

Era difficile da stabilire, dato il suo volto inespressivo, ma Magnus

pensò che potesse essere un’offerta di pace. Le fece il sorriso migliore

che riuscì a tirar fuori.

«Ti è molto affezionato» continuò Shinyun, guardando Alec. Lui

aveva gli occhi chiusi, ma teneva un braccio attorno a Magnus con

fare protettivo, persino nel sonno. «Non si arrende mai?»

Allungò una mano per toccare quella di Magnus, ma Magnus sentì

i muscoli del corpo di Alec tendersi l’istante prima che lo

Shadowhunter scattasse per afferrarle il polso.

«No» disse Alec.

Shinyun si immobilizzò, poi ritirò la mano. La testa di Alec ricadde

subito sul petto di Magnus e lui scivolò di nuovo in quella zona in

bilico tra la veglia e il sonno in cui si trovava fino al momento prima.

La gondola passò sotto il Ponte dei Sospiri, una pallida corona nel

cielo lattiginoso sopra di loro. In passato i prigionieri avevano visto la

loro città per l’ultima volta da quel ponte, prima di essere condotti

all’esecuzione.

Magnus si accorse che Malcolm li osservava, il viso pallido come il

marmo. Malcolm aveva amato una Shadowhunter. Non era finita

bene. Una volta Magnus aveva parlato con lui di questo, della

necessità di superare l’amore e andare avanti, di trovare di nuovo

l’amore. Malcolm aveva scosso la testa. Aveva detto: Non voglio un

altro amore, mai più.

Magnus aveva pensato che si stava comportando da pazzo.

Forse tutti gli amori rasentavano la follia. Più profondo era l’amore,

più pericoloso era.

L’imbarcazione scivolava sull’acqua scura. Quando Magnus si

guardò alle spalle, vide le ultime scintille della sua magia affondare e

svanire negli abissi. Le scintille ammiccavano, azzurro chiaro e bianco

brillante, e le lievi increspature del canale assumevano una sfumatura

viola, perlacea e nero inchiostro sotto la luce dell’alba imminente. Una


luminescenza soffusa schiariva l’acqua appena prima che le scintille

azzurre venissero inghiottite. Magnus infilò delicatamente le dita tra i

capelli arruffati di Alec e lo sentì girare la testa verso di lui nel

dormiveglia. Udì Malcolm cantare e gli vennero di nuovo in mente le

parole di tanto tempo addietro.

Non voglio un altro amore, mai più.


17

Segreti amari

«Quando si è a Roma, Alexander,» disse Magnus «si guida una

Maserati.»

Dovevano arrivare a Roma il più rapidamente possibile e non

potevano usare un Portale, perciò Magnus aveva detto che stava

valutando l’opzione migliore. Shinyun leggeva Le Pergamene Rosse

della Magia e li ignorava, il che ad Alec andava benissimo.

«Scelta eccellente» disse l’impiegato nel parco macchine del

lussuoso autonoleggio. «Non potete non amare una Maserati 3500 GT

Spyder.»

Alec si appoggiò a Magnus. «È l’auto di Spider-Man?»

Magnus si strinse nelle spalle e gli elargì un sorriso irresistibile.

«Non ne ho idea. L’ho scelta solo perché è italiana e rossa.»

Venti minuti dopo filavano lungo la A13 in direzione di Bologna,

con la capote abbassata e il vento che gli fischiava nelle orecchie.

Shinyun era allungata sul sedile posteriore con gli stivali appoggiati al

finestrino e a intervalli leggeva a voce alta dalle Pergamene Rosse. Alec

era sul sedile del passeggero e cercava di orientarsi con l’unico aiuto

di una carta stradale, piegata a fisarmonica e scritta in una lingua che

non capiva.

Magnus, che stava guidando, disse: «È passato un bel po’ di tempo

dall’ultima volta che ho usato un cambio manuale. Niente battute, per

favore».

Arrivarono a Firenze in tempo per una cena sul presto. Magnus

aveva prenotato in un ristorante così minuscolo che Alec era quasi

sicuro che fosse il salotto del cuoco. Mangiò la pasta migliore che

avesse mai assaggiato.

Dopo cena, Magnus disse: «Non possiamo passare tutto il tempo a


guidare come degli esagitati. Rischiamo di fare un incidente.

Proviamo a visitare un altro luogo del nostro vecchio itinerario. Non

siamo lontani dal Giardino di Boboli».

«Ma certo» rispose Alec.

Shinyun li seguì con le Pergamene Rosse sottobraccio, anche se

nessuno le aveva chiesto di accompagnarli.

Magnus raccontò dov’erano diretti mentre camminavano lungo

l’Arno, attraversavano Ponte Vecchio e procedevano a zigzag per fare

deviazioni verso una serie assortita di venditori ambulanti. Magnus

acquistò una sciarpa, un paio di occhiali da sole, una zeppola e un

mantello che lo faceva assomigliare al Fantasma dell’Opera.

Arrivarono all’anfiteatro di Boboli e girarono intorno alle statue che

ne bordavano il perimetro, dirigendosi verso l’obelisco al centro.

«È da un po’ che non scattiamo foto per quelli rimasti a casa»

osservò Alec.

Magnus lo prese sottobraccio e lo trascinò oltre la Fontana del

Nettuno e la Statua dell’Abbondanza, finché trovò una scultura che

raffigurava un tizio grasso completamente nudo a cavalcioni di una

tartaruga gigante. Dichiarò che era il posto perfetto per una foto.

Inclinò all’indietro il panama e assunse una posa regale di fianco alla

statua che, spiegò ad Alec, si chiamava “nano Morgante”. Alec si mise

dall’altro lato, con le mani in tasca, mentre Shinyun scattava diverse

foto con il cellulare di Alec.

«Grazie» disse Alec. «Spedirò queste e dirò a Isabelle che ci stiamo

divertendo tantissimo.»

«Davvero?» chiese Magnus.

Alec batté le palpebre. «Certo. Cioè, mi mancano Isabelle e Jace, e

mamma e papà.»

Magnus parve in attesa che continuasse. Alec ci pensò su.

«Mi manca anche Clary» disse. «Un po’.»

«Lei è il mio pasticcino. A chi non mancherebbe?» disse Magnus,

ma sembrava ancora piuttosto teso.

«Non conosco Simon molto bene» aggiunse Alec.

Alec non conosceva molta gente. C’erano la sua famiglia, Jace

incluso, e la nuova fidanzata di Jace, e il vampiro che Jace


contrabbandava come compreso nel pacchetto. Conosceva qualche

altro Shadowhunters. Aline Penhallow aveva la sua stessa età ed era

fantastica con i pugnali, ma viveva a Idris, perciò non l’avrebbe

frequentata neanche se fosse stato a New York.

Gli ci vollero diversi minuti mentre gironzolavano per i giardini

per rendersi conto che forse Magnus si stava preoccupando di quello

che avrebbe potuto dire alla sua famiglia e ai suoi amici, che erano

ovviamente quasi tutti Shadowhunters. Nessuno dei quali sarebbe

stato incline a concedere a Magnus il beneficio del dubbio come faceva

Alec.

Alec era in pensiero per Magnus, per il modo in cui si stava

sforzando un po’ troppo di divertirsi. Ad Alec piaceva quando

Magnus si divertiva sul serio, ma detestava quando fingeva, e a quel

punto capiva facilmente la differenza. Avrebbe voluto dire qualcosa,

ma c’era Shinyun, non sapeva cosa dire e proprio in quel momento gli

suonò il telefono.

Era Isabelle.

«Stavo proprio pensando a te» disse Alec.

«E io stavo pensando a te» rispose Isabelle, allegra. «Ti stai

divertendo in vacanza o sei ricaduto nel lavoro senza riuscire a

tirartene fuori?»

«Siamo al Giardino di Boboli» disse Alec, che era la pura verità.

«Come stanno tutti quanti a New York?» aggiunse in fretta. «Clary sta

trascinando Jace in qualche altro pasticcio? Jace sta trascinando Clary

in qualche altro pasticcio?»

«È la pietra angolare della loro relazione, però no, Jace frequenta

Simon» riferì Isabelle. «Dice che giocano ai videogiochi.»

«Credi che Simon abbia invitato Jace a uscire con lui?» chiese Alec,

scettico.

«Fratello,» rispose Isabelle «non lo credo.»

«Jace ha mai giocato a un videogioco in vita sua? Io non ci ho mai

giocato.»

«Sono sicura che ci prenderà la mano» disse Isabelle. «Simon mi ha

spiegato come funzionano e non sembra difficile.»

«Come vanno le cose tra te e Simon?»


«Ha preso il numerino e sta nella lunga fila di uomini che anelano

alla mia attenzione» disse Isabelle con fermezza. «Come vanno le cose

tra te e Magnus?»

«Be’, mi chiedevo se potessi darmi una mano.»

«Sì!» esclamò Isabelle con entusiasmo spaventoso. «Fai bene a

rivolgerti a me. Sono molto più sottile ed esperta nell’arte della

seduzione rispetto a Jace. Okay, ecco il mio primo consiglio. Ti

serviranno un pompelmo…»

«Frena!» disse Alec. Si allontanò in fretta da Magnus e Shinyun e si

nascose dietro un’alta siepe. Loro lo guardarono disorientati. «Non

finire la frase, ti supplico. Volevo dire, c’è ancora quel problemuccio

del culto di cui ti avevo chiesto. Vorrei davvero risolverlo, così

Magnus sarà più contento. Durante la nostra vacanza.»

E così i demoni smetteranno di cercare di ucciderlo e Magnus sarà

libero dalle voci minacciose e dalla minaccia ancora più seria

rappresentata dal Conclave. Anche quello avrebbe reso felice Magnus,

Alec ne era certo.

«Giusto» disse Isabelle. «A dire la verità, è per questo che ti ho

chiamato. Ho mandato un messaggio attentamente formulato a Aline

Penhallow, ma in questo momento non è a Idris e non può aiutarmi.

Quindi non sono riuscita a scoprire granché, ma ho fatto qualche

ricerca negli archivi dell’Istituto. Non abbiamo una grossa sezione

dedicata ai culti. Non ce ne sono molti a New York. Probabilmente per

via dei prezzi degli immobili. Comunque, ho scovato la copia di un

manoscritto originale che potrebbe esserti utile. Ho fotografato alcune

pagine. Te le mando per e-mail.»

«Grazie, Izzy» disse Alec.

Isabelle esitò. «C’era un frontespizio con il disegno di una persona

dall’aria incredibilmente familiare.»

«Davvero?» chiese Alec.

«Alec!»

«Mi racconti tutti i tuoi segreti, Izzy?»

Isabelle rimase in silenzio. «No» disse in tono più morbido. «Ma te

ne rivelerò uno. Di tutti gli uomini in coda per la mia attenzione,

Simon potrebbe essere quello che preferisco.»


Alec guardò oltre le file di siepi, di un verde luminoso nella fresca

serata italiana, e le statue di marmo bianco in direzione di Magnus,

che imitava le pose delle statue. Shinyun non era capace di sorridere,

ma Alec pensò che avrebbe voluto farlo. Nessuno resisteva a Magnus.

«Va bene» disse Alec. «Di tutti gli uomini che fanno la fila per la

mia attenzione, Magnus è assolutamente quello che preferisco.»

Isabelle fece un versaccio contrariato. Alec sogghignò.

«Sono così contenta di sentirtelo dire» disse all’improvviso tutto

d’un fiato. «E non mi impiccerò. Voglio solo che tu sappia che

manterrò qualunque segreto tu abbia. Puoi fidarti di me.»

Ad Alec vennero in mente i vecchi tempi e le antiche paure, il modo

in cui Isabelle aveva cercato di tanto in tanto di iniziare delle

conversazioni sui ragazzi e lasciato che Alec le interrompesse. L’aveva

sempre aggredita, terrorizzato all’idea di parlare e che qualcuno lo

ascoltasse, ma certe volte di notte, quando pensava alla possibilità di

essere ripudiato dai genitori, rifiutato dal Conclave, odiato da Jace e

Max, la sua unica consolazione era stata che sua sorella sapesse

eppure continuasse a volergli bene.

Alec chiuse gli occhi e le disse: «L’ho sempre fatto».

Perciò doveva dire a Magnus che aveva parlato della Mano

Scarlatta a Isabelle.

«Mi spiace» disse, non appena lo ebbe fatto. «Sono abituato a

raccontarle tutto.»

«Non devi scusarti» disse Magnus prontamente, ma sul suo viso si

dipinse di nuovo un’espressione infelice, un’espressione che stava

cercando di nascondere, ma che Alec vedeva benissimo. «Io devo…

senti, di’ a tua sorella quello che ti pare. Di’ a chiunque quello che ti

pare.»

«Wow» commentò Shinyun. «Molto avventato, Magnus. Esiste la

fiducia e poi esiste la stupidità pura e semplice. Vuoi che il Conclave ti

sbatta in prigione?»

«No, che non voglio» scattò Magnus.

Alec avrebbe voluto dire a Shinyun di chiudere il becco, ma sapeva

che Magnus desiderava che fosse gentile con lei. Così non le disse

nulla.


Invece disse: «Quando arriviamo a Roma, stavo pensando che

dovrei andare all’Istituto».

«Così Magnus può essere sbattuto in prigione…» cominciò

Shinyun, questa volta con rabbia.

«No!» ribatté Alec. «Avevo intenzione di procurarmi altre armi. E

chiedere con cautela e discrezione se girano voci di attività legate

all’evocazione di demoni che potrebbero portarci alla Mano Scarlatta.

L’unica cosa che sappiamo è che ci stiamo recando a Roma. È una

grande città. Ma stavo pensando che sarebbe meglio se… se ci andassi

da solo. Non sospetteranno di me.»

Shinyun fece per interloquire.

«Fallo» disse Magnus.

«Sei fuori di testa» disse Shinyun.

«Mi fido di lui» ribatté Magnus. «Più che di te. Più che di chiunque

altro.»

Alec si preoccupò che la fiducia di Magnus potesse essere mal

riposta quando trovarono un Internet café vicino al Giardino di Boboli

e stamparono quello che Isabelle gli aveva mandato. Che guarda caso

era una scansione delle prime cinque pagine delle Pergamene Rosse

della Magia.

«Non per essere melodrammatico» disse Magnus «ma… aaaargh.

Che diamine! Non posso credere che ci siamo introdotti in una segreta

raccapricciante per trovare qualcosa che tua sorella ci avrebbe

mandato per e-mail il giorno dopo.»

Alec guardò la pagina sulla gloriosa storia della Mano Scarlatta, in

cui il Grande Veleno ordinava ai propri seguaci di dipingere strisce

bianche sui cavalli e fare del cavallo a dondolo l’animale nazionale del

Marocco.

«È ironico» ammise.

«Non lo è» disse Shinyun. «Non è quello che l’ironia…»

Magnus le rivolse un’occhiata furente e lei si interruppe.

Alec si strinse nelle spalle. «Non fa male averne un’altra copia.

Shinyun sta leggendo il libro. Adesso posso leggerlo anch’io.»

Leggere doveva essere più facile che guardare la cartina. Mentre

tornavano all’automobile, Magnus guardò Alec e si passò le chiavi da


una mano all’altra.

«Faremmo più in fretta se io e te ci dessimo il cambio al volante» si

offrì Alec, speranzoso.

«Mai guidato con il cambio manuale?»

Alec esitò. «Non può essere più difficile che tirare con l’arco mentre

si monta un cavallo lanciato al galoppo.»

«Assolutamente no» disse Magnus. «E poi, tu hai riflessi

sovrumani. Qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere?»

Lanciò le chiavi ad Alec e scivolò sul sedile del passeggero con un

sorriso. Alec sogghignò e si diresse trotterellando dal lato del

guidatore.

Magnus suggerì qualche giro nel parcheggio per fare pratica.

«Devi sollevare il piede sinistro mentre dai gas con il destro» disse.

Alec lo guardò.

«Oh, no» disse seccamente. «Devo muovere entrambi i piedi nello

stesso momento. Come si può pretendere tanto dalla mia agilità?» Si

girò, diede gas e fu ricompensato da uno stridio acutissimo, come

quello di un’arpia presa in trappola. Magnus sorrise ma non aprì

bocca.

Di lì a poco, ovviamente, Alec guidava con fare competente nel

parcheggio.

«Pronto ad affrontare la strada?» chiese Magnus.

Alec si limitò a sorridere mentre usciva dal parcheggio. Gli sfuggì

un’esclamazione di gioia e sorpresa quando la Maserati sbandò di

coda sulla strada stretta. Svoltarono su un rettilineo e Alec premette

l’acceleratore.

«Stiamo andando molto veloci» osservò Shinyun. «Perché andiamo

così veloci?»

Il basso ruggito amichevole della piccola decappottabile riempiva

l’aria. Alec guardò al suo fianco e vide Magnus infilarsi gli occhiali da

sole e appoggiare il gomito alla portiera, sorridendo all’aria che gli

arrivava in faccia.

Alec era felice di poter concedere una pausa a Magnus. E poi non si

era reso conto che quel tipo di guida esaltante e selvaggia fosse una

cosa alla sua portata. Quando pensava alle auto gli veniva in mente


Manhattan: troppi veicoli su strade insufficienti che avanzavano a

passo di lumaca lungo le arterie della città. Laggiù andare a piedi era

una liberazione. Nella campagna toscana, invece, quest’auto era una

liberazione in sé, una liberazione esaltante. Guardò il suo ragazzo

insopportabilmente bello, con i capelli al vento e gli occhi chiusi dietro

gli occhiali scuri. Certe volte la sua vita andava alla grande. Ignorò

volutamente lo stregone scontroso che viaggiava con loro sui sedili

posteriori.

Nell’ora che seguì percorsero gli Appennini nel cuore della

Toscana. Alla loro sinistra c’erano campi dorati immersi nella luce del

tramonto, che si estendevano fino all’orizzonte, e a destra file di ville

in pietra in cima alle colline, affacciate su un mare verde di vitigni. I

cipressi sussurravano nel vento.

Era notte fonda quando arrivarono a quelle che Magnus chiamò “le

colline del Chianti”. Alec non guardò. A quel punto si sentiva

abbastanza sicuro alla guida della Maserati, ma usare un cambio

manuale sull’infilata di curve strette, sfiorando il bordo di un

precipizio nel buio, era un’esperienza completamente diversa ed

esistenzialmente minacciosa.

Ciò che rendeva la situazione ancora più tormentosa era che i fari

offrivano solo una decina di metri di visibilità, per cui tutto quello che

riuscivano a vedere era una stretta porzione di strada, il ripido

versante della montagna e l’orlo del precipizio che dava sul cielo

aperto. E solo una di quelle opzioni era percorribile.

Alec riuscì a scalare nel modo corretto sulle prime curve, ma il

sudore gli colava negli occhi facendoglieli bruciare.

«Tutto a posto?» chiese Magnus.

«Alla grande» rispose in fretta Alec.

Per vivere lottava contro i demoni. Qui si trattava di guidare, una

cosa che perfino i mondani facevano senza talenti particolari o rune

per potenziare i sensi. Doveva solo concentrarsi.

Stringeva il volante con troppa forza e strattonava il cambio tutte le

volte che doveva scalare per affrontare una curva difficile.

Sbagliò il tempismo in un tornante particolarmente arduo e perse il

controllo della macchina, che iniziò a sbandare. Cercò di premere


sull’acceleratore per raddrizzarla, ma finì per pestare sul freno e l’auto

andò in testacoda lungo una ripida discesa.

La vista davanti a loro non lasciava presagire nulla di buono.

Significava che stavano per finire dritti nello strapiombo.

Stese un braccio per proteggere Magnus e lui ci si aggrappò. Alec

aveva provato quella strana connessione un’altra volta, su

un’imbarcazione in mezzo al mare grosso: Magnus che gli si

aggrappava, sentendo il bisogno della sua forza. Mise la mano sotto

quella di Magnus e intrecciò le dita alle sue, non avvertendo altro se

non l’impulso a restituire la stretta.

L’auto era appena finita fuori strada, inclinandosi su un fianco,

quando si bloccò all’improvviso, con le ruote anteriori che giravano a

vuoto sospese nell’aria e su un tappeto di magia azzurra. Si librò per

un istante, dopodiché si raddrizzò e tornò sullo stretto ciglio sterrato

della strada.

«Ve l’avevo detto che andavamo troppo veloci» disse Shinyun dai

sedili posteriori, senza scomporsi.

Alec strinse forte la mano di Magnus, che lui teneva appoggiata sul

petto. Il cuore di uno stregone batte in modo diverso da quello

umano. Le pulsazioni di Magnus erano una rassicurazione

nell’oscurità. Alec lo sapeva bene.

«È solo una scarpata da niente» disse Magnus. «Nulla che non si

possa gestire.»

Alec e Magnus scesero dall’auto. Magnus allargò le braccia come se

volesse abbracciare il cielo notturno. Alec andò sull’orlo dello

strapiombo e guardò giù, fischiando alla vista della ripida scarpata

che precipitava in fondo al burrone. Notò un sentierino che conduceva

a una radura su uno sperone roccioso. Chiamò Magnus con un cenno.

«È piuttosto pericoloso guidare di notte. Magari dovremmo fermarci

qui.»

Magnus si guardò attorno. «Proprio… qui?»

«Campeggiare potrebbe essere divertente» disse Alec. «Possiamo

arrostire i marshmallow. Naturalmente devi evocare il necessario da

qualche parte.»

Anche Shinyun era scesa dalla macchina e si stava avvicinando ai


due. «Lasciami indovinare» disse a Magnus in tono piatto. «Tesoro, la

tua idea di campeggio è un albergo che non ha il minibar.»

Magnus la guardò sbattendo le palpebre.

«Se giochiamo a chi fa più battute, non hai scampo» lo informò

Shinyun.

Magnus alzò lo sguardo verso il cielo notturno. Alec vedeva la

curva argentea della falce di luna riflessa nell’oro dei suoi occhi.

Faceva il paio con il sorriso che d’un tratto gli illuminò la faccia.

«E va bene» disse Magnus. «Divertiamoci un po’.»

Alec mise giù la sua copia delle Pergamene Rosse della Magia per

guardare l’accampamento che Magnus aveva fatto comparire. Aveva

immaginato che Magnus avrebbe allestito sistemazioni

sufficientemente spaziose per starci comodamente in due e

abbastanza alte da poter stare in piedi senza dover chinare la testa. O

almeno era quello che aveva fatto Shinyun quando aveva insistito per

far comparire la sua tenda.

Quello che Magnus aveva eretto non era tanto una tenda quanto

piuttosto un padiglione, completo di cortine e bordi dentellati. Lo

spazioso alloggio comprendeva due camere da letto, un bagno,

un’area comune e un salotto. Alec fece un giro intorno all’enorme

struttura in pelle di capra e scoprì che la cucina era sul retro, accanto a

un patio coperto completo di tavolo e sedie. Come tocco finale,

accanto all’ingresso principale era piantato uno stendardo con l’aquila

delle legioni romane, un tributo, spiegò Magnus, al tema “quando ci si

trova a Roma”.

Magnus scostò il lembo posteriore del tendone e uscì, con l’aria

soddisfatta. «Che ne pensi?»

«È fantastico» disse Alec. «Ma non posso fare a meno di

chiedermi… dove hai preso tutta questa pelle di capra?»

Magnus si strinse nelle spalle. «Tutto quello che ti serve sapere è

che credo nella magia, non nella crudeltà.»

Vi fu un rumore di risucchio e poi dal nulla comparve una struttura

mostruosa, sparando in fuori un anello di polvere che si disperse in

tutte le direzioni. Dove prima c’era la tenda di Shinyun adesso si


ergeva una casa sull’albero di due piani, che oscurava un terzo del

cielo. Shinyun uscì dalla sua residenza migliorata e lanciò un’occhiata

in direzione di Magnus.

Fin da quando si erano provati gli abiti alle Mercerie, erano

impegnati a superarsi a vicenda in una sfida sempre meno velata, a

sostegno della teoria di Alec secondo cui forse tutti gli stregoni

mettevano alla prova i poteri reciproci, in una versione magica della

rivalità tra fratelli. Magnus stava chiaramente giocando. Alec

sospettava che Shinyun prendesse la cosa un tantino più sul serio, ma

lui rimaneva fedele all’opinione secondo cui Magnus come stregone

era superiore.

«Adoro le torrette» gridò Magnus tutto allegro. Era difficile

sconfiggerlo con l’eccesso, pensò Alec. Lui si limitava ad ammirarlo.

«Vi va uno spuntino di mezzanotte?»

Si riunirono intorno alla buca per il fuoco all’altra estremità

dell’accampamento, a pochi metri dal ciglio del burrone. Era stato

Magnus a costruirla e poi Shinyun ci aveva aggiunto delle migliorie,

sicché adesso assomigliava alla pira di un funerale vichingo. L’enorme

fiammata faceva sembrare che volessero mandare un segnale dritto su

nel Valhalla.

Sotto la luna parzialmente coperta una flottiglia di nuvole

veleggiava davanti al Corno Grande, la cima più elevata degli

Appennini. Uno sciame di lucciole danzava appena sopra le loro teste,

e la natura aveva preso vita tutt’intorno a loro, con i grilli che

frinivano e i gufi che bubolavano senza interruzione, mentre dalla

valle sottostante arrivava il basso fischio del vento. In lontananza un

branco di lupi si unì alla sinfonia notturna con un coro di ululati.

«Sembrano soli» osservò Shinyun.

«No» disse Alec. «Sono insieme. Stanno cacciando.»

«Sei tu l’esperto» ribatté Shinyun. «Un tempo ero sola, e cacciavo.»

«Un tempo facevi anche parte di un culto» le fece notare Alec, poi si

morsicò la lingua.

Nella voce di Shinyun comparve una nota tagliente. «Dimmi,

Shadowhunter, dove sono i Nephilim quando i Nascosti si trovano nei

guai?»


«Ci proteggono» intervenne Magnus. «Hai visto Alec a Venezia.»

«Era lì perché è con te» lo rimbeccò Shinyun. «Se non fosse stato

con te, non sarebbe stato lì. Ci braccano, e ci feriscono, e ci

abbandonano. Quando è stato deciso che uno stregone bambino vale

meno dei figli dell’Angelo?»

Alec non sapeva cosa dire. Lei alzò le mani e si mise in piedi.

«Vi faccio le mie scuse» disse. «Sono nervosa, con la nostra

destinazione a portata di mano. Mi ritiro per la notte. Devo riposare.

Domani arriveremo a Roma. Chi può sapere cosa ci aspetta?»

Rivolse loro un breve cenno della testa e si avviò verso la sua

enorme casa sull’albero, lasciando Magnus e Alec soli vicino al fuoco.

«Sospetto che Shinyun direbbe “no” alla stimolante proposta di

cantare attorno al fuoco che avevo in mente» disse Magnus.

Allungò una mano e sfiorò distrattamente il collo di Alec con la

punta delle dita. Alec si abbandonò alla carezza. Quando Magnus

lasciò ricadere la mano, Alec avrebbe voluto seguirla.

«Non darti pensiero per lei» aggiunse Magnus. «Molti stregoni

hanno avuto un’infanzia tragica. Veniamo al mondo già avvolti nella

tenebra per via dei demoni. È difficile non lasciarsi andare alla

rabbia.»

«Tu non lo fai» disse Alec.

«L’ho fatto.» La voce di Magnus era cupa.

«Shinyun non era costretta a unirsi a un culto» disse Alec.

«Io non ero costretto a fondare un culto» sottolineò Magnus.

Alec disse: «È una cosa diversa».

«Certo. È molto peggio.» Magnus gettò un rametto nel fuoco e lo

guardò appassire e annerirsi, poi ridursi in cenere. Alec osservava

Magnus.

Magnus Bane era come un fuoco che ardeva luminoso, stravagante

ed effervescente, etereo e spensierato. Era il Sommo Stregone di

Brooklyn, che si metteva colori sgargianti e brillantini intorno agli

occhi. Era il genere di persona che organizzava feste di compleanno

per il suo gatto e amava chiunque gli andasse di amare con

entusiasmo e orgoglio.

Solo che dietro la luce era in agguato l’oscurità. Alec doveva


imparare a conoscere anche quel lato di Magnus, o non lo avrebbe mai

compreso davvero.

«Credo di capire questa cosa di Shinyun» disse Alec lentamente.

«Mi chiedevo perché insistessi per portarla con noi. Ho anche pensato

che forse non volevi stare da solo con me.»

«Alec, io…»

Alec sollevò una mano. «Ma poi ho capito. Ti senti responsabile nei

suoi confronti, vero? Se la Mano Scarlatta le ha fatto del male, allora

hai la sensazione che sia tuo dovere aiutarla. Sistemare le cose.»

Magnus annuì impercettibilmente. «Lei è il mio riflesso oscuro,

Alexander» disse. «In un certo senso lei è ciò che sarei potuto essere

io, non fossi stato abbastanza fortunato da aver trovato amore e

accudimento… da parte di mia madre, e poi di Ragnor e dei Fratelli

Silenti. Sarei potuto essere così disperato anch’io da entrare a far parte

di qualcosa come la Mano Scarlatta.»

«Non parli molto del passato» disse Alec lentamente. «Non mi

avevi neppure detto di essere amico intimo di quello stregone che è

morto. Ragnor Fell. Gli volevi bene, non è vero?»

«Sì» rispose Magnus. «È stato il primo amico che abbia mai avuto.»

Alec si guardò le mani. Jace era stato il suo primo amico, ma

Magnus lo sapeva. Magnus sapeva tutto di lui. Era un libro aperto. Si

sforzò di scacciare la sensazione dolorosa. «E allora… perché non me

l’hai detto?»

Le scintille del fuoco scoppiettavano verso l’alto, stelle effimere che

brillavano nel cielo buio per poi spegnersi.

Alec si chiese se per Magnus amare un mortale fosse così, una

vampata luminosa ma effimera. Magari quello che stavano vivendo

era soltanto un episodio breve e insignificante di una lunghissima

storia. Non sono solo un libro aperto, pensò. Sono anche un libro

breve. Un volumetto sottile, in confronto alle cronache della lunga vita

di Magnus.

«Perché nessuno vuole saperlo davvero» rispose Magnus. «Di solito

mi limito a dire di aver ucciso il mio patrigno e la gente decide che

basta così. Tu hai già visto troppo. Ieri notte hai visto Le Pergamene

Rosse della Magia, tutte quelle cose stupide e superficiali che ho detto,


nascosti dietro un altare sporco di sangue. Puoi biasimarmi se mi

chiedo, ogni volta, se sarà questa l’occasione in cui scapperai

spaventato?»

«Gli Shadowhunters non si spaventano facilmente» disse Alec. «So

che ti senti in colpa perché Shinyun è stata cooptata nel culto, ma tu

avevi buone intenzioni. È quello che ho pensato leggendo le Pergamene

Rosse. Non hai detto di reclutare i bambini, di usarli. Hai detto di non

lasciarli soli. Tu eri solo e non volevi che altri stregoni bambini

soffrissero come avevi sofferto tu. Sono venuto con te in questo

viaggio per conoscerti meglio, e lo sto facendo.»

«Sono sicuro che tu abbia saputo più cose di quante volessi» disse

Magnus a bassa voce.

«Ho imparato che vedi animali ringhiosi in gabbia e cerchi di

accarezzarli. Il tuo amico è morto e tu non mi hai nemmeno detto che

lo conoscevi, ma hai cercato di consolare un vampiro per quella

perdita. Cerchi sempre di aiutare le persone. Me e i miei amici, tante

di quelle volte, e addirittura Raphael Santiago, e adesso Shinyun e

altri stregoni bambini, e probabilmente un mucchio di gente di cui

non so ancora niente, ma questo lo so. Ho letto Le Pergamene Rosse della

Magia e ho capito che cercavi di aiutare dei bambini. Questo è tipico di

te.»

Magnus rise, una risata aspra.

«Era quello che intendevi? Pensavo intendessi… qualcos’altro.»

Chiuse gli occhi. «Non voglio che non funzioni a causa mia» confessò.

«Non voglio distruggere quello che c’è tra noi raccontandoti qualcosa

che ti allontanerà da me. Quanta verità vuoi davvero, Alexander?»

«Tutta quanta» rispose Alec.

Magnus spostò gli occhi, più luminosi del fuoco, su Alec e allungò

la mano. Alec gliela strinse forte, trattenne il fiato e si preparò. Il cuore

gli martellava nel petto e aveva lo stomaco contratto. Attese.

«Mmh» disse dopo un po’. «Ma non stavi per fare qualche magia

per mostrarmi il tuo passato?»

«Oh, cielo, no» rispose Magnus. «Tutta quanta l’esperienza è stata

già abbastanza traumatica da vivere una volta. Avevo in mente di

parlarne e basta. Volevo tenerti la mano.»


«Oh» disse Alec. «Be’… bene.»

Magnus gli si fece più vicino. Alec avvertiva il calore della sua

pelle. Lo stregone chinò la testa mentre raccoglieva i pensieri. Fece

qualche tentativo fallito di iniziare a parlare e tutte le volte strinse più

forte la mano di Alec.

«Mi piacerebbe credere che mia madre mi volesse bene» disse alla

fine. «L’unica cosa che ricordo è che era tanto triste. Pensavo sempre

di dover imparare qualche trucco per capire come comportarmi

meglio. Pensavo di dovermi mettere alla prova, così lei sarebbe stata

felice e io sarei bastato. Non ho mai imparato il trucco. Si impiccò nel

fienile. Il mio patrigno bruciò il fienile e costruì un altare per lei tra le

ceneri. Non sapeva esattamente cosa fossi. Neanch’io sapevo

esattamente cosa fossi, però ero consapevole di non essere suo. Lui

sapeva che non ero umano. Un giorno in cui l’aria era bollente come

zuppa, stavo dormendo e mi svegliai sentendo che mi chiamava.»

Magnus sorrise come se avesse il cuore spezzato. «Aveva usato il

mio vecchio nome, quello che mi aveva dato mia madre. Adesso non

c’è più nessuno vivo che conosca quel nome.»

Alec strinse la mano di Magnus ancora più forte, come se potesse

salvarlo, in ritardo di secoli.

«Non devi dire altro» sussurrò. «Se non vuoi.»

«Voglio» rispose Magnus, ma gli tremò la voce mentre continuava.

«Il mio patrigno mi picchiò, dopodiché mi trascinò tenendomi per il

collo alle rovine carbonizzate del fienile. C’era ancora una corda

annerita che penzolava da una trave. Udivo lo scorrere dell’acqua del

ruscello. Il mio patrigno mi prese per la collottola e mi spinse la testa

nell’acqua. Appena prima di farlo, mi parlò, e sembrava più gentile di

quanto fosse mai stato. Disse: “È per purificarti. Fidati di me”.»

Alec smise di respirare. Scoprì di non poter fare a meno di

trattenere il fiato, come se lo stesse tenendo da parte per il bambino

che Magnus era stato.

«Non ricordo cosa successe dopo. Un momento prima stavo

annegando.» Ci fu una pausa. Magnus alzò una mano. Aveva la voce

svuotata di emozioni. «Quello dopo, avevo bruciato vivo il mio

patrigno.»


Il fuoco da campo esplose in una fiammata che si levò altissima nel

cielo. Alec allungò un braccio davanti a Magnus per proteggerlo dal

calore rovente.

La colonna di fuoco morì quasi immediatamente. Magnus non

parve neanche accorgersi della gigantesca fiammata che aveva creato.

Alec si chiese se Shinyun si fosse svegliata, ma in caso affermativo,

non ve ne fu alcun segno. Magari dormiva con i tappi nelle orecchie.

«Fuggii» proseguì Magnus. «Vissi nascosto, finché la mia strada

non incrociò quella dei Fratelli Silenti. Mi insegnarono a controllare la

magia. Sono sempre stato più affezionato agli Shadowhunters della

maggior parte degli stregoni, perché i vostri Fratelli Silenti mi hanno

salvato da me stesso. Continuavo a pensare di essere figlio di un

demone e che non sarei mai stato altro. Non avevo ancora conosciuto

altri stregoni, ma Ragnor Fell aveva dei legami con una famiglia

Shadowhunter. I Fratelli Silenti presero accordi con lui perché venisse

a farmi da maestro. Fui il suo primo allievo. In seguito cercò di

insegnare ai figli degli Shadowhunters cos’era la magia e a non avere

paura di noi. Diceva che tutti i suoi allievi erano terribili, ma che io ero

il peggiore. Si lamentava di continuo. Niente lo rendeva felice. Gli

volevo molto bene.» Magnus storse la bocca fissando il fuoco. «Un po’

più tardi conobbi la mia seconda amica, Catarina Loss. Dei mondani

stavano cercando di bruciarla sul rogo e io intervenni.»

«Lo sapevo che avrei scoperto che avevi salvato altre persone» disse

Alec.

Magnus sbuffò a ridere piano, stupito. Alec gli prese le mani

sollevate tra le sue, scaldandogliele e tenendole saldamente, e lo attirò

a sé. Magnus non fece resistenza e Alec lo abbracciò forte. Gli mise le

braccia attorno al corpo snello, sentì i loro petti alzarsi e abbassarsi

l’uno contro l’altro, e lo tenne stretto. Magnus gli appoggiò la testa

sulla spalla.

«Hai salvato te stesso» gli disse Alec all’orecchio. «Hai salvato te

stesso e poi hai salvato talmente tante persone. Non avresti potuto

salvare nessuno, se non avessi salvato te stesso. Non ti avrei mai

trovato.»

Alec ci aveva visto giusto sulle tenebre nascoste in Magnus, e sul


dolore che le accompagnava. Tutte quelle tenebre, e tutto quel dolore,

e nonostante tutto Magnus era ancora un tumulto ardente di vitalità e

di colore, una fonte di gioia per tutti quelli che lo circondavano. Era la

ragione per cui Alec si guardava nello specchio e vedeva una persona

completa, che non doveva nascondersi.

Rimasero abbracciati, mentre il fuoco moriva. Tutto era silenzioso.

Alec lo teneva stretto.

«Non preoccuparti così tanto. È solo un culto da niente» disse alla

fine. «Nulla che non possiamo affrontare.»

Sentì la bocca di Magnus incurvarsi contro la sua guancia mentre

sorrideva.


Parte terza

CITTÀ DI GUERRA

Quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo.

LORD BYRON


18

I tesori che persistono

Non esisteva un’altra città come Roma, pensò Magnus quando

all’orizzonte cominciarono a comparire le cupole delle basiliche.

Naturalmente, avrebbe potuto dire lo stesso di molte città. Uno dei

vantaggi di vivere in eterno. C’erano sempre nuove meraviglie del

mondo.

Non c’era niente come Tokyo, con il suo dualismo di cultura e

tecnologia. Non c’era niente come Bangkok, con la sua metropoli che

si estendeva a perdita d’occhio. Non c’era niente come il jazz e la

pizza di Chicago.

E non c’era niente di così inconfondibilmente spettacolare come

Roma, la magnifica Città Eterna.

Magnus e Alec si erano addormentati accanto al fuoco, sotto le

stelle. Si svegliarono al canto degli uccelli, nel chiarore antelucano che

annunciava il nuovo giorno. A dirla tutta, era una delle mattine

migliori che Magnus avesse mai avuto.

Rimpiangeva solo di non aver usato il tendone che aveva evocato.

Anzi, pensava che Alec non ci avesse neanche messo piede. Era un

peccato. Magnus era molto orgoglioso del suo lavoro. Ma c’era sempre

un’altra occasione.

Si sentiva rinfrancato e la sua missione era chiara: mettere la parola

fine a quella faccenda del culto e riprendere la vacanza romantica. La

Mano Scarlatta era a Roma; Magnus avrebbe rintracciato loro e

chiunque ne fosse a capo, e avrebbe avuto parole severe e incantesimi

dolorosi per quello squinternato rubaculti, rovinavacanze, evocatore

di Demoni Superiori. Era piuttosto sicuro della propria capacità di

tener testa a pressoché qualunque altro stregone del mondo. (Anche a

Barnabas. Soprattutto a Barnabas.) Benché il culto fosse così folle da


essere in contatto con Asmodeo, Magnus era quasi certo che non lo

avessero ancora evocato. Era convinto che fosse impossibile, se suo

padre era sulla terra, che non gli si fosse ancora manifestato.

Magari la questione si sarebbe risolta in men che non si dica.

Magnus rispedì al mittente tutte le forniture da campeggio,

Shinyun fece altrettanto e salirono sulla Maserati.

«Lascia perdere la cartina» disse ad Alec in tono spensierato. «Tutte

le strade portano a Roma.»

Alec gli rivolse un ghigno. «La cartina non è per niente d’accordo.»

Dopo appena due ore avanzavano a fatica nel traffico delle strade

di Roma, dove le linee basse della Maserati non erano più tanto una

nota aggraziata di stile quanto un bersaglio per la marea di motorini e

minuscole Fiat che sciamavano ovunque. Roma aveva uno dei sistemi

viari peggiori che Magnus conoscesse, e dire che ne aveva visti di

pessimi in vita sua. Presero una suite a Palazzo Manfredi, un boutique

hotel di fronte al Colosseo, dove senza praticamente neanche parlare

concordarono all’unanimità di dormire fino a sera in letti comodi con

lenzuola raffinate in splendide camere d’albergo a microclima

controllato. Persino Shinyun sembrava esausta e si diresse verso la

stanza adiacente alla loro senza praticamente aprir bocca.

Quando entrarono nella loro suite, Alec fece un fischio. Mollò i

bagagli, appoggiò l’arco alla parete e si spaparanzò sul morbido

velluto rosso del divano voluttuosamente ampio.

Magnus gettò qualche incantesimo di protezione che li tenesse al

sicuro mentre dormivano poi si unì ad Alec sul divano, salendo su

uno dei braccioli e strisciando sopra lo Shadowhunter come avrebbe

fatto Chairman Meow se fossero stati a casa. Si sistemò sopra Alec, gli

appoggiò la testa nell’incavo del collo e inspirò il suo odore. Alec gli

mise un braccio intorno alla schiena, accarezzandogli una scapola.

Magnus gli diede un bacio sotto la curva della mascella e sfregò la

guancia contro la sua barba di due giorni. Lo sentì fare un respiro

tremante.

«Hai un odore buonissimo» sussurrò Alec. «Com’è… che hai

sempre un profumo così meraviglioso?»

«Mmh» farfugliò Magnus, lottando contro la sonnolenza. «Legno di


sandalo, penso.»

«È fantastico» mormorò Alec. «Vieni e stringimi. Ti voglio vicino.»

Magnus alzò la testa per guardarlo. Alec aveva gli occhi chiusi e

respirava profondamente.

Vieni e stringimi. Ti voglio vicino. Forse per Alec era più facile dire

cose del genere quando era mezzo addormentato. A Magnus non era

venuto in mente che Alec potesse sentirsi in imbarazzo a dire quelle

cose. Aveva creduto che non volesse dirle.

Fece come Alec gli aveva chiesto e gli si accoccolò accanto,

intrecciando le gambe alle sue. Gli sfiorò la guancia con la punta

dell’indice, scendendo fino alla bocca. Alec aveva le ciglia lunghe,

folte e scure che gli ombreggiavano gli zigomi. Le labbra erano piene e

morbide, i capelli una massa di seta grezza nera. Aveva un’aria

vulnerabile difficile da associare al guerriero dallo sguardo freddo

armato di arco in cui si trasformava in battaglia.

Rifletté se svegliarlo e proporgli di spostarsi in camera da letto.

Avrebbe potuto baciare quella bocca carnosa, scompigliargli i capelli

serici. Gli sfiorò la guancia con le labbra e chiuse gli occhi…

Quando li aprì, il sole del tardo pomeriggio entrava a fiotti dalla

finestra a tutta parete. Maledisse la propria stanchezza: non aveva

idea di quante ore fossero passate e Alec non era più sul divano

accanto a lui.

Lo trovò sul balcone, vicino a un tavolo pieno di salumi, formaggi,

pane e frutta. Sollevò una flûte da champagne nella sua direzione.

«Alexander Lightwood» disse Magnus, ammirato. «Ben fatto.»

Alec fece girare il liquido nel bicchiere, l’espressione disinvolta

smentita dal sorriso sciocco che aveva stampato in faccia. «Prosecco?»

Il balcone era come una ciotola traboccante di luce calda. Si

sedettero a tavola e Magnus mandò messaggi a tutti quelli che gli

vennero in mente chiedendo se qualcuno avesse visto Barnabas Hale.

Nel frattempo si sbafò forse mezzo chilo di salumi. Consumare una

cena leggera insieme ad Alec, anche se dovevano fare in fretta, pareva

quasi una consuetudine domestica.

Dovrebbe trasferirsi da me, pensò. No, no, troppo presto, magari quando

staremo insieme da un anno.


Magnus era sotto la doccia quando sentì Alec alzare la voce in

salotto. Si affrettò a prendere un grande asciugamano che sembrava

una nuvola e se lo avvolse attorno ai fianchi, poi corse nella zona

giorno della suite nel caso Alec fosse stato attaccato da un altro

demone.

Alec e Shinyun, seduti ai capi opposti del divano, rimasero di sasso.

Shinyun si affrettò a distogliere lo sguardo, mentre Alec rimase a

fissarlo. Magnus si accorse di aver fatto irruzione nella stanza con

addosso solo un asciugamano e i capelli bagnati che gli gocciolavano

sul torso nudo.

Imbarazzante.

Sollevò una mano, schioccò le dita e un istante dopo indossava una

T-shirt bordeaux con lo scollo a V, un’elegante sciarpa di seta e un

paio di jeans aderenti. Si avvicinò scalzo ad Alec e gli diede un lieve

bacio sulla guancia paonazza. Solo a quel punto si girò per salutare

Shinyun. «Buon pomeriggio. Prosecco?»

«Me ne sto andando» disse lei.

«Tipo, per sempre?» chiese Alec, speranzoso.

«La maggior parte delle persone non trova così allarmante vedermi

mezzo nudo» disse Magnus. «Parecchi capi di Stato l’hanno definito

“un privilegio”.»

Alec alzò gli occhi al cielo. Sembrava più che un tantino teso. Forse

doveva prenotare per loro due qualche massaggio rilassante, pensò

Magnus.

«Ho dei contatti a Roma che non parleranno con uno

Shadowhunter» disse Shinyun. «E poi, sono rimasta bloccata su

un’auto con voi per quasi due giorni. Mi serve una pausa. Senza

offesa.»

«Nessuna offesa» rispose Alec. «Vai pure.»

«Vuoi un caffè?» chiese Magnus, sentendosi un po’ in colpa.

«Non posso fermarmi» rispose Shinyun.

«Non può fermarsi» disse Alec. «L’hai sentita. Deve andare.»

Shinyun rivolse a Magnus quella che lui riconobbe come

un’imitazione beffarda del suo modo di salutare e se ne andò.

Magnus si girò verso Alec e si ritrovò a baciarlo.


Si era mosso come solo uno Shadowhunter era in grado di fare,

rapido e silenzioso. Adesso stava di fronte a Magnus: si tolse la

camicia, poi mise le mani sulle braccia di Magnus baciandolo, un

bacio ardente e focoso, e oh, era diventato veramente bravo in così

poco tempo. Smise di baciare Magnus solo per slegargli la sciarpa e

levargli la T-shirt facendogliela passare dalla testa. Lanciò la maglietta

in direzione della finestra. Magnus si mise a baciarlo sul viso, sulle

mani, spronandolo a ricambiare le carezze. Era come trovarsi al centro

di un vortice meraviglioso. Alec gli fece scivolare le mani sui muscoli

della schiena, sui fianchi, sulle spalle, appassionato e avido. Magnus

barcollò all’indietro, in cerca di qualcosa a cui appoggiarsi per

rimanere in piedi. Finì con la schiena contro la parete.

«Scusa!» esclamò Alec, improvvisamente preoccupato. «Io… va

tutto bene, Magnus?»

Alec rimase lì, con gli occhi spalancati, e Magnus allungò le mani

infilandogliele nei capelli e attirandolo contro di sé.

«Va tutto bene, sì» mormorò. «Mi piace da morire. Ti amo. Vieni

qui.»

Alec si abbandonò tra le braccia di Magnus, baciandolo e

succhiandogli il labbro inferiore. Il contatto della pelle nuda era

inebriante ed entrambi vi si persero. Magnus passò la mano sullo

stomaco di Alec, sentendo i rilievi dei muscoli sotto il palmo. Alec si

lasciò sfuggire un gemito basso e disperato contro la bocca di Magnus

mentre iniziava a slacciargli i jeans. «Magnus, sì» sussurrò. «Ti prego,

sì.»

Magnus si rese conto che gli tremava la mano mentre abbassava la

cerniera dei jeans e Alec gettava indietro la testa. Teneva gli occhi

chiusi come la sera prima, le lunghe ciglia che sfarfallavano, questa

volta per il piacere. Schiuse le labbra.

Sussurrò: «Aspetta».

Magnus si scostò immediatamente, con il cuore che gli martellava.

Sollevò entrambe le mani e poi le mise dietro la schiena.

«Certo» disse. «Possiamo aspettare tutto il tempo che vuoi.»

Alec lo strinse a sé, come per istinto. Poi lasciò ricadere le braccia

lungo i fianchi e strinse i pugni. Fissò Magnus, poi si costrinse a


distogliere lo sguardo. Magnus osservò le linee severe del suo viso e

pensò all’implacabilità degli angeli.

«Lo voglio» disse Alec, in tono disperato. «Ti voglio più di quanto

abbia mai voluto qualunque cosa in vita mia. Ma… ci siamo dentro

insieme. Tu sei preoccupato per il culto e io non voglio solo degli

istanti rubati quando non c’è Shinyun, quando tu sei infelice.»

Magnus pensò di non essersi mai commosso di più per delle parole

pronunciate da qualcuno che si rivestiva.

«Voglio risolvere questa cosa» aggiunse Alec, rimettendosi la

camicia. «Dovrei andare.»

Magnus raccolse la sua T-shirt che era appallottolata per terra

vicino alla finestra. Se la infilò e guardò il Colosseo con le sue linee

dritte e curve, un posto dove uomini avevano combattuto molti anni

prima che nascesse lui.

«Vorrei che tu potessi rimanere» disse piano. «Ma hai ragione. Però

salutami almeno con un bacio.»

Alec aveva una strana espressione, come se qualcuno lo avesse

ferito, ma non proprio. Gli occhi azzurri che Magnus amava tanto

erano quasi neri.

Superò la distanza che li separava con un’unica falcata e spinse

Magnus contro la finestra, sollevandogli la maglietta. La schiena nuda

di Magnus era a contatto del vetro riscaldato dal sole. Lo baciò,

lentamente e senza fretta questa volta, e sapeva di rimpianto. Con

voce ebbra mormorò: «Sì… sì… no! No, devo andare all’Istituto di

Roma».

Si allontanò da Magnus e prese l’arco, rigirandoselo tra le dita,

come se dovesse tenersi le mani occupate.

«Se ci sono attività insolite relative a un culto o ai demoni, l’Istituto

ne sarà al corrente. Dobbiamo usare qualunque mezzo a nostra

disposizione. Non possiamo perdere tempo. Abbiamo già dormito

tutto il giorno… chissà cos’altro ha combinato il culto in queste ore…

devo andare.»

Magnus avrebbe voluto essere seccato con Alec per essersi tirato

indietro; il problema era che l’urgenza di cui parlava era un fatto

incontestabile. «Qualunque cosa pensi sia meglio fare» disse.


«Giusto» rispose Alec. «Giusto. Vado. Tu rimani. Fai attenzione.

Non lasciar entrare nessuno nella suite. Non andare da nessuna parte

senza di me. Promettimelo.»

Magnus aveva attraversato regni infernali nelle sue allucinazioni

provocate dal veleno dei demoni, aveva vagato senza casa e affamato

in strade di cui ora non rimanevano che rovine, era stato così

disperato da dar fuoco all’acqua, si era ritrovato completamente

ubriaco nel deserto. Non credeva che avrebbe incontrato il suo tragico

destino in un lussuoso hotel di Roma.

Ma amava Alec perché si preoccupava.

«Possiamo riprendere da dove abbiamo interrotto» disse,

appoggiandosi al davanzale. «Sai, quando ritorni.»

Gli rivolse un sorriso lento e malizioso. Alec fece un gesto

disperato, senza senso, indicando se stesso e poi Magnus. Alla fine

lasciò ricadere la mano. Fece per parlare, ci ripensò, scosse la testa, si

diresse verso la porta e uscì dalla stanza come una furia.

Un istante dopo la porta si spalancò e Alec rientrò nella camera.

«O forse dovrei rimanere.»

Magnus aprì la bocca, ma Alec aveva già chiuso gli occhi, aveva

lasciato cadere la testa all’indietro battendola contro lo stipite e si era

risposto da solo.

«No. Vado. Sto andando. Ciao.»

Salutò Magnus con la mano. Magnus schioccò le dita. Le chiavi gli

atterrarono sul palmo, scintillando, e lui le lanciò ad Alec, che le

afferrò d’istinto. Magnus gli strizzò l’occhio.

«Prendi la Maserati» disse. «E sbrigati a tornare.»


19

Legato nei cieli

Alec prendeva le curve delle strade ingarbugliate di Roma troppo

veloce. Gli sarebbe mancata la Maserati. Già gli mancava Magnus.

Continuava a pensare all’aspetto che aveva quando era uscito dal

bagno, la pelle arrossata dalla doccia, l’asciugamano avvolto attorno ai

fianchi stretti, il rilievo dei muscoli e lo stomaco piatto scintillanti di

gocce d’acqua. I capelli scuri erano umidi e la luce del sole li

accendeva di morbido oro. Alec spesso lo preferiva così, con i capelli

serici senza gel o punte. Non poteva dire che non gli piacessero i suoi

vestiti, però Magnus li indossava come un’armatura, uno strato

protettivo tra sé e il mondo che non sempre accoglieva a braccia

aperte uno come lui.

Non riusciva a pensare ad altro. Aveva già fatto inversione tre volte

per tornare all’albergo. L’ultima, si trovava in una strada stretta e

aveva graffiato la fiancata della Maserati.

Avrebbe voluto che Magnus andasse con lui all’Istituto. Alec era

stupito di sentirsi irrequieto e a disagio senza Magnus sotto gli occhi.

Da quando erano partiti da New York erano sempre stati insieme, e

Alec ci aveva fatto l’abitudine. Non temeva un altro attacco di

demoni, o almeno non così tanto. Sapeva che la stanza d’albergo era

protetta dalla magia di Magnus e lui aveva promesso di restarci.

Era strano. Gli mancava New York; gli mancavano Jace e Isabelle, e

mamma e papà, perfino Clary. Ma più di tutti gli mancava Magnus,

ed erano lontani solo da mezz’ora.

Si chiese cosa ne avrebbe pensato Magnus del fatto che Alec si

trasferisse da lui, una volta tornati a casa.

Come tutti gli Istituti, anche quello di Roma era accessibile solo ai

Nephilim; come molti di essi, aveva un incantesimo che lo faceva


sembrare una vecchia chiesa abbandonata. Dato che Roma era una

delle città più densamente popolate d’Europa, c’erano incantesimi

aggiuntivi per cui l’Istituto non solo appariva in pessime condizioni,

ma la maggior parte dei mondani non lo notavano neppure, e se lo

facevano se ne dimenticavano all’istante.

Era un peccato, perché l’Istituto di Roma era uno dei più belli al

mondo. Somigliava a molte delle altre basiliche della città, con tetti a

cupola, alti archi e colonne di marmo, ma come se lo si guardasse in

uno di quegli strani specchi che allungavano il riflesso. L’Istituto

aveva una base stretta affiancata da due edifici tozzi. Quando si

innalzava sopra di essi, sbocciava e si apriva a ventaglio in una serie

di cupole e torrette, come un candelabro o un albero. Il profilo che ne

risultava era sia chiaramente romano sia piacevolmente organico.

Alec trovò parcheggio non lontano, ma ebbe la forte tentazione di

rimanere in auto a leggere ancora un po’ Le Pergamene Rosse della

Magia. Aveva già notato alcune differenze tra la copia che avevano

trovato a Venezia e le pagine che aveva mandato Isabelle. Invece si

diresse verso l’ingresso dell’Istituto. Alzò lo sguardo sull’imponente

costruzione, spaventato al pensiero di tutti gli estranei che vi

abitavano, anche se erano Shadowhunters come lui. Voleva il suo

parabatai. Avrebbe dato molto per un viso familiare.

«Ehi, Alec!» lo chiamò una voce alle sue spalle. «Alec Lightwood!»

Alec si girò ed esaminò la fila di negozi dall’altro lato della strada.

Trovò il suo viso familiare a un tavolino rotondo davanti a un caffè.

«Aline!» la riconobbe stupito. «Cosa ci fai qui?»

Aline Penhallow lo guardava da sopra la tazza di caffè. I capelli

neri oscillavano lungo la linea della mascella, portava occhiali scuri da

aviatore e gli sorrideva radiosa. Aveva un aspetto molto migliore

dell’ultima volta che l’aveva vista. Lui e la sua famiglia erano nella

residenza dei Penhallow la notte in cui le difese di Alicante erano

cadute. La notte in cui era morto Max.

«Dovevo prendermi una pausa per un po’. Stanno ricostruendo

Idris, ma è ancora un caos. E mia madre ci si ritrova proprio in

mezzo.»

«Giusto, è il nuovo Console. Congratulazioni!»


Alec non riusciva neanche a immaginare come dovesse sentirsi Jia

Penhallow, scelta da tutti i Nephilim per essere la persona più vicina

all’Angelo e incaricata di eseguire il loro mandato. Gli era sempre

piaciuta la madre di Aline, una guerriera di Pechino calma e

intelligente. Adesso avrebbe potuto fare un ottimo lavoro. Essere il

leader degli Shadowhunters significava poter apportare dei

cambiamenti, e Alec era sempre più consapevole che dei cambiamenti

erano necessari. Attraversò la strada e saltò il cordone che circondava

i tavolini del caffè.

«Grazie. Tu come stai?» chiese Aline. «Cosa ci fai qui? E dove hai

preso quel gioiellino di macchina?»

«È una lunga storia» rispose Alec.

«Come stanno a New York?» chiese Aline. «Tutto a posto?»

L’ultima volta si erano visti poco dopo il funerale di Max.

«Sì» disse Alec a bassa voce. «Stiamo bene. E tu?»

«Non posso lamentarmi» rispose Aline. «Jace è con te?»

«Uh, no» disse Alec.

Si chiese se lo avesse domandato per una ragione particolare. Prima

della guerra, Aline e Jace si erano baciati. Cercò di farsi venire in

mente quello che Isabelle diceva sempre di Jace alle ragazze.

«Il fatto è» aggiunse «che Jace è un’antilope bellissima, che

dev’essere libera di correre nelle praterie.»

«Cosa?» disse Aline.

Forse Alec aveva capito male. «Jace è a casa con la sua, ehm…

nuova fidanzata. Ti ricordi di Clary?» Alec sperava che Aline non ci

fosse rimasta troppo male.

«Oh, giusto, la piccoletta con i capelli rossi» disse. Anche Aline era

minuta, ma si rifiutava categoricamente di ammetterlo. «Sai, Jace era

così triste prima della guerra, pensavo avesse un amore proibito. È

solo che non credevo fosse Clary, per ovvie ragioni. Pensavo fosse

quel vampiro.»

Alec tossì. Aline gli offrì un sorso del suo latte macchiato.

«No» disse quando ritrovò la voce. «Jace non esce con Simon. Jace è

etero. Simon è etero.»

«Io ho visto le cicatrici sul collo di Jace» osservò Aline. «Ha


permesso a quel vampiro di morderlo. Se l’è portato ad Alicante. Ho

pensato: tipico di Jace. Perché fare un casino, quando si può

combinare una catastrofe totale? Aspetta, credevi che fossi interessata

a buttarmi sotto quel treno?»

«Sì?» disse Alec.

In quanto leale parabatai, stava cominciando a trovare un po’

offensivo il tono di Aline.

«Voglio dire, Jace è obiettivamente molto carino e i biondi mi sono

sempre piaciuti, e Jace mi va a genio» disse. «È stato fantastico con me.

Molto comprensivo, ma spero sia felice con la sua… quel che è. O quel

vampiro. O con chiunque.»

«Si chiama Simon» disse Alec.

«Giusto. Naturalmente» rispose Aline. Giocherellò con la tazza

senza guardare Alec, poi aggiunse: «Ho visto te e il tuo Nascosto. Sai.

Nella Sala degli Accordi».

Scese il silenzio, con l’imbarazzo che aleggiava nell’aria come

foschia. Alec ripensò a quando aveva baciato Magnus sotto gli occhi

dell’Angelo e di tutti quelli che amava, e anche di centinaia di

completi sconosciuti. Gli tremavano le mani. Era così spaventato da

quel gesto, ma la cosa che più lo spaventava era perdere Magnus,

l’eventualità che uno di loro potesse morire senza che Magnus sapesse

cosa Alec provava nei suoi confronti.

Non riusciva a decifrare l’espressione di Aline. Era sempre andato

d’accordo con lei, che era più silenziosa di Isabelle e Jace. Aveva

sempre avuto la sensazione che loro due si capissero. Forse adesso

non lo capiva, però.

«Dev’essere stato terrificante» disse lei alla fine.

«Lo è stato» ammise Alec con riluttanza.

«Ora che l’hai fatto, sei felice?» chiese Aline, esitante.

Alec non sapeva se fosse semplicemente curiosa oppure se, come

suo padre, pensasse che la vita di Alec sarebbe stata migliore se avesse

continuato a nascondersi.

«Certe volte è dura» rispose. «Ma sono molto felice.»

Sul viso di Aline comparve un sorrisino incerto.

«Sono contenta che tu sia felice» disse alla fine. «State ancora


insieme? Oppure adesso che sa di piacerti non gli piaci più così tanto?

Magari era solo il fascino di ciò che non poteva avere. Ci pensi mai?»

«Non prima di questo momento» ribatté aspro Alec.

Aline si strinse nelle spalle. «Scusa. È che forse non sono una gran

romantica. Non ho mai capito perché la gente si scalda tanto per le

storie d’amore.»

Anche Alec era stato così. Ricordò la prima volta che Magnus

l’aveva baciato, quando ogni singola cellula del suo corpo si era

risvegliata fremente a una nuova melodia. Ricordò la sensazione che

tutte le tessere del puzzle fossero andate finalmente al loro posto.

«Be’,» disse Alec «stiamo ancora insieme. Siamo in vacanza. È

fantastico.» Scoccò a Aline un’occhiata di sfida, poi pensò a Magnus e

aggiunse in tono più morbido: «Lui è fantastico».

«E allora perché sei all’Istituto di Roma quando dovresti essere in

vacanza?» chiese Aline.

Alec esitò. «Posso fidarmi di te?» disse. «Fidarmi davvero? Parlo

sul serio. Mi fido di te, ma posso fidarmi ciecamente?»

«La cosa si è fatta seria alla svelta» disse Aline con un sogghigno,

che svanì quando si accorse dell’espressione cupa di Alec. Si morsicò

il labbro. «La tua battaglia è la mia battaglia» disse. «Puoi fidarti di

me.»

Alec la fissò per un lungo momento. Poi le spiegò tutto quello che

poteva: che c’era un culto chiamato la Mano Scarlatta, che era andato a

una festa data da uno stregone in cerca di informazioni, che la fata che

aveva visto pomiciare con una ragazza vampiro si era rivelata una

Shadowhunter di nome Helen Blackthorn, che gli Shadowhunters di

Roma potevano essere stati avvertiti di diffidare di lui.

«Devo scoprire se ci sono segni di attività cultuale a Roma» disse

«ma non posso rivelare a nessun altro dell’Istituto cosa sto cercando.»

Aline assimilò le informazioni. Alec le vide la domanda negli occhi,

ma lei strinse le labbra.

«Okay» disse alla fine. «Andiamo a controllare l’attività demoniaca

registrata nelle ultime settimane. Dirò solo che il mio amico, un eroe

della guerra, è passato a trovarmi. Credo che siano ammessi dei

visitatori. Con un po’ di fortuna, saranno tutti troppo impegnati per


fare domande.»

Alec le rivolse un’occhiata di gratitudine. Aline era gentile.

«Se il tuo stregone sta facendo qualcosa di malvagio, dovremo

tagliargli la testa» aggiunse Aline.

Aline era gentile, ma forse non brillava per tatto.

«Non lo sta facendo» disse Alec. «Se io sono un eroe della guerra, lo

è anche lui.»

Vide Aline assorbire le sue parole. Annuì, finì il latte macchiato e

pagò il conto. Alec la prese per mano mentre saltavano insieme il

cordone del caffè.

Oltrepassarono il gigantesco portone doppio dorato all’ingresso

dell’Istituto di Roma ed entrarono nell’atrio. Alec fece un fischio. Era

uno degli Istituti più grandi del mondo. Lo aveva sentito descrivere

come “riccamente ornato”, ma era un eufemismo. Era un’aggressione

per gli occhi, assolutamente eccessivo per poter essere colto tutto in

una volta. C’erano motivi bellissimi ed elaborati e opere d’arte

ovunque volgesse lo sguardo: le cinque o sei statue sulla parete di

sinistra, gli intagli realistici sulla destra, l’impressionante cupola

rivestita di piastrelle color oro e argento che svettava diversi metri più

in alto. Sul soffitto c’era un’iscrizione in latino: A TE DARÒ LE CHIAVI

DEL REGNO DEI CIELI, E TUTTO CIÒ CHE LEGHERAI SULLA TERRA SARÀ

LEGATO NEI CIELI, E TUTTO CIÒ CHE SCIOGLIERAI SULLA TERRA SARÀ

SCIOLTO NEI CIELI.

«L’hanno costruita sul modello della basilica di San Pietro» osservò

Aline, mentre faceva strada attraverso il vestibolo in direzione del

colonnato laterale.

Aline sapeva già orientarsi. Lo guidò verso passaggi laterali,

evitando i corridoi principali più frequentati. Salirono una scala a

chiocciola dorata, passarono davanti ad almeno altre dieci statue e

qualche decina di affreschi prima di arrivare a una porta a vetri.

«Dobbiamo passare dalla sala degli allenamenti per arrivare

all’archivio» disse Aline. «Spero non ci sia nessuno, ma se non è così

faremo come se nulla fosse.»

«Okay» disse Alec.

Aline bussò sulla porta a vetri con il pugno e gridò allegramente:

«Eroe della guerra in arrivo!».


«Chi?» urlarono di rimando una decina di persone tutte insieme.

Qualcun altro gridò: «È Jace Herondale?».

«Per l’Angelo, ti prego, fa’ che sia Jace Herondale!» disse un’altra

voce.

Alec e Aline entrarono in una stanza luminosa come una serra, con

il marmo del pavimento che riluceva tra i tappetini e oltre dieci

Shadowhunters in tenuta da allenamento. Sulla parete più lontana

erano stati sistemati dei bersagli, con frecce conficcate negli anelli più

esterni. Chiaramente gli Shadowhunters italiani dovevano fare ancora

pratica, ma Alec non capiva perché dovessero farlo proprio in quel

momento.

Una ragazza in prima fila incurvò le spalle per la delusione. «Oh,

non è Jace Herondale. È un tizio qualunque.»

Alec calcolò che aveva due minuti prima che superassero la

delusione e cominciassero a fare domande. Erano in troppi. E lui non

poteva dare nessuna risposta.

Fece un respiro profondo e imbracciò l’arco. Disse a se stesso di non

preoccuparsi di quelle persone, o del culto, o di Magnus. Aveva

imparato a concentrarsi in molte lunghe serate di allenamento,

quando aveva capito che Jace e Isabelle si lanciavano sempre in mezzo

al pericolo e lui avrebbe dovuto coprirli. Non avrebbe potuto farlo se

avesse permesso alle voci nella sua testa di dirgli che avrebbe potuto

fallire, che suo padre non sarebbe mai stato fiero di lui come il

Conclave lo era di Jace, che non era abbastanza bravo.

Scoccò cinque frecce verso cinque bersagli. Tutti centri perfetti.

Abbassò l’arco.

«Non sono Jace Herondale» disse. «Ma ho imparato a stare al

passo.»

Nella sala si levò un mormorio. Ne approfittò per avvicinarsi ai

bersagli e recuperare le frecce. Mentre lo faceva, prese tutti i dardi

conficcati che trovò. Aveva la sensazione che avrebbero potuto

servirgli.

«Fate pratica, ragazzi» suggerì Aline. «Noi adesso andiamo

all’archivio.»

«Magnifico» disse una voce alle spalle del gruppo. «Perché mi


piacerebbe parlare con Alexander Lightwood in privato.»

Helen Blackthorn si staccò dagli altri e rimase in piedi a fissare Alec

con le braccia incrociate.

Aline restò paralizzata. Il primo impulso di Alec fu di mettersi a

correre e saltare giù dalla finestra. Poi si ricordò a che piano erano.

Helen li guidò nella sala degli archivi, che aggettava dal fianco

dell’edificio e quindi aveva finestre su tutti i lati e una porta sola.

Aline li seguì. Era ammutolita e non era di alcun aiuto. Entrò anche

Leon, che fece un timido gesto di saluto ad Alec.

Helen si mise davanti all’unica uscita e disse: «Allora, Alec. Prima ti

rifiuti di seguirmi a Roma per rispondere a delle domande, poi te la

fili dalla scena di un delitto a Venezia e vieni a Roma di tua spontanea

volontà».

«Non dimenticare i danni alla proprietà» disse Alec.

Helen non parve divertita, anche se Aline fece un sorrisino. «Cosa

sai della Mano Scarlatta?» chiese Helen. «Dov’è Magnus Bane? Cos’è

successo a Venezia?»

Helen era chiaramente sul punto di sparare un’altra raffica di

domande, quando Aline agitò una mano verso di loro. «Scusa.»

«Cosa?» Helen sembrò vederla per la prima volta. Si guardarono.

«Ehi» disse Aline.

Ci fu un attimo di silenzio.

«Ciao» rispose Helen.

Altro silenzio.

«Ehm, scusate» intervenne Alec. «Ero troppo impegnato ad

affrontare il fuoco di fila di domande per fare le presentazioni del

caso. Helen Blackthorn, Aline Penhallow. Aline, lei è Helen.»

«E io sono Leon» disse Leon. Aline non lo degnò di uno sguardo.

Helen continuò a fissare Aline. Alec si chiese se la sua amicizia con

Aline avrebbe reso sospetta anche lei.

«Bene» disse Helen alla fine. «Torniamo alle domande.»

«Ho una domanda anch’io» disse Aline e deglutì. «Chi ti credi di

essere, Helen Blackthorn, e perché parli al mio amico, uno

Shadowhunter nonché eroe della guerra per Alicante, come se fosse

un delinquente comune?»


«Perché è incredibilmente sospetto!» sbottò Helen.

«Alec è un uomo d’onore» ribatté Aline, leale. «Non farebbe mai

nulla di sospetto.»

«Viaggia insieme a Magnus Bane, che si dice sia a capo di un culto

responsabile dell’assassinio di numerosi mondani e fate» disse Helen.

«L’unica pista che avevamo era un ex membro del culto chiamato

Mori Shu, e Mori Shu è stato trovato morto a una festa cui

partecipavano Magnus Bane e Alec. Una festa in cui è crollato tutto

quanto l’edificio, tra l’altro.»

«Messo così, suona sospetto» ammise Aline.

Helen annuì.

«Ma c’è una spiegazione per tutto» disse Aline.

«E sarebbe?» chiese Helen.

«Be’, non lo so» rispose Aline. «Ma sono sicura che dev’esserci.»

Helen e Aline si fissavano in cagnesco. Helen, che torreggiava su

Aline, la guardava dall’alto in basso. Aline ridusse gli occhi a fessure.

«Chiaramente, non piaccio granché a nessuno dei due» disse Helen.

«La cosa mi è indifferente. Quello che mi interessa è risolvere un

omicidio e porre fine a un culto demoniaco, e per qualche ragione voi

due mi state ostacolando.»

«Se Alec stesse facendo qualcosa di sbagliato» si intromise Leon

«perché ci avrebbe salvato la vita a Parigi?»

Aline lanciò un’occhiata ad Alec. «Gli hai salvato la vita a Parigi?»

disse dall’angolo della bocca. Alec annuì. «Ottimo lavoro» disse Aline

e tornò a girarsi verso Helen. «Esatto. Ottima osservazione, quella di

come-si-chiama.»

«Leon» disse Leon.

Aline non gli prestò attenzione. Era totalmente concentrata su

Helen. «Allora, fammi capire: Alec ti ha salvato la vita, è un eroe di

guerra, ma nondimeno fiancheggia un malvagio culto assassino?»

«Non credo che lui sia malvagio» rispose Helen. «Credo che sia

stato sedotto e si sia lasciato abbindolare dal leader malvagio di un

culto demoniaco.»

«Oh» disse Aline.

Aveva distolto lo sguardo da Helen alla parola “sedotto”.


«Magnus non ha niente a che fare con quel culto» obiettò Alec.

«Mentre eravamo a Venezia ho sentito dire che Magnus Bane ha

fondato il culto» ribatté Helen. «Come lo spieghi, questo?»

Alec rimase in silenzio. Helen ammorbidì lo sguardo duro degli

occhi verde-azzurro.

«Mi dispiace» disse. «Capisco che ti fidi di Magnus Bane. Lo

capisco bene. Io mi fido di Malcolm Fade e di molti altri. Non ho alcun

motivo per diffidare dei Nascosti, come puoi ben capire. Ma non puoi

negare che la faccenda non si presenti bene.»

«Magnus non ha fatto niente» ripeté Alec, ostinato.

«Davvero?» disse Helen. «E dov’è mentre tu irrompi nell’Istituto di

Roma per suo conto?»

«In albergo» rispose Alec. «Mi sta aspettando.»

«Ah, sì?» disse Helen. «Sei sicuro?»

«Sono sicuro.»

Alec tirò fuori il telefono. Chiamò l’albergo e chiese che gli

passassero la sua stanza. Attese mentre il telefono squillava e

squillava, e nessuno rispondeva.

«Magari è uscito a mangiarsi un panino!» suggerì Leon.

Alec chiamò il cellulare di Magnus e aspettò di nuovo. Nessuna

risposta. Questa volta sentì un nodo duro e freddo allo stomaco. Non

è che era successo qualcosa?

«Molto imbarazzante» disse Aline.

Helen sembrava dispiaciuta per Alec. Lui le lanciò un’occhiataccia.

«Senti» gli disse. «Abbiamo qualcosa. Sappiamo di un punto di

ritrovo usato dalla Mano Scarlatta vicino a Roma. Perché non ci

andiamo insieme? E poi si vedrà.»

Era chiaro che pensava di trovarci Magnus, intento a dare ordini

malvagi ai membri di un culto malvagio.

«Benissimo» disse Alec, mettendo via il telefono. «Voglio trovare la

Mano Scarlatta più di quanto lo voglia tu. Devo scagionare Magnus da

queste accuse. Ti permetterò di aiutarmi nella mia indagine.»

«La tua indagine?» ripeté Helen. «Questa è la mia indagine. E

credevo che tu fossi in vacanza.»

«Può fare tutte e due le cose» si intromise Aline, sulla difensiva. Lei


e Helen presero a darsi sulla voce l’una con l’altra, parlando in tono

basso e concitato, iniziando il secondo litigio da che si erano

conosciute, ovvero tre minuti prima. Alec sperava davvero di non

aver messo Aline nei pasticci.

Distolse lo sguardo dalle due donne che discutevano e incontrò gli

occhi di Leon. «Non penso che tu abbia nulla a che fare con questa

faccenda del culto» gli disse Leon.

«Oh» disse Alec. «Grazie, Leon.»

«Spero che lo zelo di Helen non impedisca che ci conosciamo

meglio.»

«Uh» disse Alec.

Leon parve prenderlo come un incoraggiamento. Alec non capiva

perché. Leon si avvicinò e Alec arretrò verso Aline.

«Helen e io abbiamo molte cose in comune» gli rivelò Leon.

«Buon per voi.»

«Una delle cose che abbiamo in comune» azzardò Leon «è che

siamo entrambi interessati a una varietà di compagnie. Se mi segui.»

«Non ti seguo» disse Alec.

Leon si guardò attorno, poi disse in fretta: «Voglio dire, siamo

entrambi bisessuali. Interessati sia agli uomini che alle donne».

«Oh» disse Alec. «Non ne so molto, ma ripeto, buon per voi.»

Alec sapeva che anche Magnus era così. Aveva iniziato a capire che

esisteva un intero mondo da cui era completamente tagliato fuori,

parole come “bisessuale” e “pansessuale” che non aveva mai sentito.

Adesso lo intristiva moltissimo ripensare a quando era più giovane, a

come si era sentito disperatamente solo, certo com’era di essere l’unico

a provare i sentimenti che provava.

Negli angoletti oscuri della sua anima certe volte Alec si

tormentava. Perché Magnus avrebbe scelto lui se poteva scegliere una

ragazza, una donna, un’esistenza più facile? Ripensò a quanto era

stato terrorizzato dal giudizio altrui.

D’altra parte, se Magnus avesse voluto un’esistenza più facile, di

sicuro non avrebbe scelto uno Shadowhunter, giusto?

«Quando questa faccenda sarà risolta, posso venire a New York»

suggerì Leon. «Potresti farmi divertire un po’.»


Gli strizzò l’occhio.

«Ti prego, dimmi che questa volta cogli i sottintesi» aggiunse Leon.

«Li colgo» rispose Alec.

«Fantastico!» gli disse Leon. «Dovremo tenerlo segreto, ma penso

che potremmo spassarcela. Hai un sacco di possibilità, Alec. Puoi

avere di meglio che un Nascosto con un passato oscuro. Ehi, sei libero

stasera?»

Leon era affascinante, immaginava Alec. Se fosse arrivato a New

York quando Alec era arrabbiato e infelice, convinto che non ci fosse

niente in serbo per lui, forse avrebbe accettato la sua offerta.

«No» rispose. Si girò, poi lo guardò da sopra la spalla. «Voglio

essere chiaro» aggiunse. «No, per stasera ho programmi che non ti

contemplano. No, non sono interessato a divertirmi in segreto. E no.

Non posso avere qualcosa di meglio di Magnus. Non esiste niente di

meglio di Magnus.»

Leon inarcò le sopracciglia mentre Alec alzava la voce. Aline e

Helen se ne accorsero e interruppero la loro discussione a voce bassa e

concitata.

«Leon, ci stai provando?» chiese Helen Blackthorn. «Perché ti

comporti sempre così? Smettila di cercare di rimorchiare, Leon!»

«Ma la vita è breve, e io sono affascinante e francese» mugugnò

Leon.

«Okay. Adesso andiamo in questo punto di ritrovo della Mano

Scarlatta. Tu rimani qui, Aline viene con noi» disse Helen. «Non

tampinare nessuno finché non torniamo.» Si girò verso Alec.

«Andiamo a prendere qualche arma e muoviamoci. Cercate di starmi

dietro.» Si avviò a lunghe falcate e Aline si mise a fianco di Alec,

qualche passo indietro.

«Conosci Helen Blackthorn da tanto?» gli chiese a bassa voce, poi

tossì. «Hai detto che stava baciando una ragazza vampiro a quella

festa? Hai detto così?»

Alec rivide Helen, le braccia pallide attorno al corpo del vampiro

alla luce della luna. Non avrebbe dovuto dirlo a Aline. Erano fatti di

Helen e sarebbe stata colpa sua se Aline avesse pensato male di Helen.

La conosceva a malapena, ma sentì un forte istinto di protezione nei


suoi confronti. Era come se avesse sentito qualcuno bisbigliare di lui

alle sue spalle, quando era più giovane e ancora più spaventato.

«Non la conosco da molto» rispose.

«Immagino che Jace ti abbia raccontato di quella volta che ci siamo

baciati» continuò Aline, saltando di palo in frasca. «Tipo, perché ci

siamo baciati. Mi stava aiutando a capire una cosa.»

Alec guardò Aline con espressione triste. Era sempre parsa una con

la testa sulle spalle in materia di ragazzi, ma Jace era un’eccezione a

molte regole.

«Il mio parabatai non è uno che va in giro a parlare di queste cose»

disse in tono più gentile.

«Oh» rispose Aline incolore.

Alec aveva passato così tanto tempo con una cotta disperata per

Jace. Aveva creduto che fosse un segreto: adesso sapeva che lo

avevano sempre saputo tutti, soprattutto Jace. A Jace non importava.

Aveva capito che Alec aveva bisogno di avere una cotta per qualcuno

di affidabile. Per un ragazzo che, se Alec gli avesse detto: “Mi piaci”,

non gli avrebbe tirato un pugno in faccia né lo avrebbe trascinato

davanti al Conclave. La gente poteva rivelarsi orribilmente feroce con

chi era diverso.

Adesso quella cotta era un ricordo. Un tempo era sembrata parte

integrante del suo affetto per Jace, quell’affetto che li aveva resi

parabatai, ma ora assomigliava di più alla luce effimera che fa

scintillare il metallo. Il bagliore era scomparso, ma l’oro dell’amicizia

era rimasto, puro e vero.

C’era gente peggiore di Jace Herondale per cui prendersi una cotta.

Non sarebbe mai stato crudele con Aline a quel riguardo. Però lui

amava Clary – in un modo che aveva sbalordito Alec, il quale non

aveva mai creduto che Jace potesse innamorarsi così – e le cose non

sarebbero cambiate.

«Sii gentile con Helen Blackthorn» disse Alec in tono appassionato.

«Non deve piacerti, ma non trattarla in modo diverso da qualunque

altro Shadowhunter.»

Aline batté le palpebre. «Non ci pensavo. Naturalmente lei è… una

collega. La tratterò in modo professionale. Era così che pensavo di


trattarla. Con tranquilla professionalità.»

«Bene» disse Alec.

«Hai il suo numero di telefono?» chiese Aline. «Nel caso dovessimo

separarci, o qualcosa del genere?»

«Non ce l’ho» rispose Alec.

Nella sala delle armi, Helen andò loro incontro con le braccia

cariche di spade angeliche, i capelli chiari sistemati dietro le orecchie.

Aline fece un sospiro.

«Stavamo andando a controllare l’attività demoniaca nell’archivio»

disse Alec a Aline. «Non l’abbiamo fatto.»

Aline iniziò a prendere le spade da Helen e a sistemarsele addosso.

«Non preferisci agire che frugare negli archivi? Se questo si rivela un

vicolo cieco, potremo sempre cercare dopo.»

Dall’ampia finestra affacciata su Roma Alec vide che il sole iniziava

a calare. La città era ancora dorata, ma le cime degli edifici erano

coronate di rosso. «Non hai torto» disse. Prese anche lui un paio di

spade angeliche.

Helen fece un ghigno impaziente. «Andiamo a caccia.»


20

Aqua Mortis

Magnus rimase solo dieci minuti, durante i quali ciondolò per la

stanza e pensò ad Alec. Poi sentì bussare alla porta.

Si illuminò. «Avanti!»

Rimase molto deluso. Non era Alec che dopotutto aveva deciso di

rimanere. Era Shinyun.

«Sono in contatto con una persona» disse senza preamboli. «Devo

incontrarla a uno stabilimento termale di Nascosti tra poco…» Si

interruppe e si guardò intorno con aria stupita. «Dov’è Alec?»

«È andato a cercare di scoprire quello che può all’Istituto di Roma.»

Magnus decise che non era necessario aggiungere altro.

«Ah, sì. Be’, se qui da solo ti annoi, potresti sempre venire con me al

mio appuntamento alle terme» disse Shinyun. «Il mio contatto non

parlerà davanti a te, ma se ha delle informazioni e tu sei nelle

vicinanze, potremmo agire immediatamente. La tua presenza in un

posto come quello non solleverà domande. Quella di Alec, sì.»

Magnus rifletté sulla proposta. Da un lato, aveva detto ad Alec che

sarebbe rimasto lì. Dall’altro, agire immediatamente una volta in

possesso delle informazioni avrebbe potuto portarli più vicini alla

conclusione di tutta quella spiacevole vicenda. Si prese un momento

per immaginare di risolvere da solo la faccenda del culto e di poter

andare da Alec a dirgli che era tutto finito e che poteva rilassarsi.

«Adoro le terme romane» disse Magnus. «Perché no?»

Si incamminarono verso le terme Aqua Mortis, nel centro storico di

Roma, lungo le acque dorate del Tevere. Magnus aveva dimenticato

quanto Roma risplendesse più di ogni altra città, come il bottino frutto

di una conquista.

«Tornatevene da dove siete venuti» borbottò un uomo in italiano,


guardando prima le fattezze indonesiane di Magnus e poi quelle

coreane di Shinyun. Fece per passare oltre, ma Shinyun sollevò una

mano. L’uomo si immobilizzò.

«Mi sono sempre chiesto cosa significhino quelle parole» disse

Magnus con noncuranza. «Non sono nato in Italia, ma ci sono molte

persone che non si adattano all’idea dell’aspetto che dovrebbe avere

uno nato qui. Pensano che i loro genitori non siano di qui, o che non lo

siano i nonni? Perché la gente dice così? È l’idea che tutti quanti

dovrebbero tornare nel luogo d’origine dei propri avi?»

Shinyun si avvicinò all’uomo, che rimase piantato dov’era,

muovendo freneticamente gli occhi.

«Significa forse» chiese Magnus «che alla fin fine dovremmo

tornare tutti all’acqua?»

Shinyun puntò un dito e l’uomo venne lanciato nel Tevere con un

gridolino. Magnus si accertò che cadesse senza farsi male e lo spinse

verso riva. Il tizio si arrampicò fuori e sedette sull’argine

sciaguattando. Magnus sperò che riflettesse sulle proprie scelte.

«Volevo solo che pensasse che l’avrei buttato in acqua» chiarì.

«Capisco l’impulso, ma spaventarlo…» Si interruppe e sospirò. «La

paura non è un motivatore granché efficace.»

«Certa gente capisce solo la paura» ribatté Shinyun.

Erano vicini. Magnus percepiva la tensione di Shinyun. Le prese la

mano e le diede una breve stretta amichevole prima di lasciarla

andare. Avvertì la leggera pressione delle dita di lei, come se volesse

restituirgli la stretta.

Sono stato io a farle questo, pensò, come faceva sempre; quelle sei

parole continuavano a girargli in testa ogni volta che era con Shinyun.

«Io preferisco credere che le persone possano capire molte cose,

quando gliene viene data l’opportunità» disse Magnus. «Apprezzo il

tuo entusiasmo, ma non affoghiamo nessuno, vuoi?»

«Guastafeste» ribatté Shinyun, ma il tono era amichevole.

Si divisero una volta arrivati alle terme, Shinyun per cercare il suo

contatto, Magnus per cercare un bagno.

L’Aqua Mortis era uno stabilimento termale gestito da vampiri, il

che a Magnus pareva una combinazione singolare. Era costituito da


quattro gigantesche vasche di acqua minerale riscaldata, ciascuna

grande come una piscina olimpionica, e da diversi locali più piccoli

dotati di vasche singole. Magnus pagò il biglietto per una delle stanze

di dimensioni più contenute e andò a cambiarsi.

Il clan di vampiri che gestiva lo stabilimento era una cricca di

bastian contrari. Avevano anche usato le terme come zona di

alimentazione controllata per secoli, finché i Nephilim non avevano

messo fine alla cosa.

Magnus rifletté che fino a quel momento l’incarico non era poi

granché impegnativo. Si recò nella stanza assegnata, lasciò cadere

l’asciugamano che gli cingeva i fianchi ed entrò nella vasca interrata.

Dall’acqua quasi bollente si levava il vapore. Era appena sopportabile,

proprio come piaceva a lui. Si immerse finché non rimase fuori solo la

testa e aspettò di abituarsi alla temperatura, con il corpo percorso dai

brividi. Mise le braccia sui bordi della vasca e si appoggiò all’indietro.

Gli antichi romani sì che sapevano come vivere.

Aveva dei lividi e qualche graffio che si era procurato la notte in

treno e durante la festa in cui era crollato il palazzo. Stavano ormai

guarendo e gli davano fastidio solo se faceva certi movimenti.

Avrebbe potuto curarsi in qualunque momento, ma aveva deciso di

lasciare che fosse il tempo a rimarginare le ferite. Non perché gli

piacesse il dolore; tutt’altro. Quando aveva imparato a curarsi, aveva

passato un sacco di tempo e di magia a occuparsi di ogni graffio per

quanto insignificante. Nel corso dei secoli, però, aveva capito che

quelle ferite di poco conto facevano parte della vita. Soffrire gli faceva

apprezzare di essere tutto intero e in salute.

Quel momento ne era l’esempio perfetto. Magnus sentiva i lividi

fargli male e i tagli pulsare nell’acqua bollente, per poi svanire insieme

al vapore. Chiuse gli occhi e si rilassò.

Aveva pagato per una stanza privata, ma dopo un po’ percepì una

presenza accanto a sé. Prima che potesse aprir bocca, qualcuno si

immerse in modo scortese nella sua vasca, disturbando la superficie

piatta dell’acqua minerale e facendola traboccare dai bordi.

Gli si affollarono nella testa diverse parole taglienti e aprì gli occhi,

apprestandosi a pronunciarle, ma rimase sbigottito vedendo Shinyun


seduta sul bordo della vasca, avvolta in un asciugamano. Aveva un

gomito puntellato sulla parete di fianco a lei e la testa appoggiata alla

mano.

«Oh» disse Magnus. «Ciao.»

«Spero non ti dispiaccia dell’intrusione.»

«A dire la verità sì, ma non importa.»

Magnus fece scorrere una mano sopra la superficie dell’acqua e

intorno ai fianchi gli si materializzò un asciugamano. Non pensava

che Shinyun ci stesse provando e lui non aveva problemi con la

nudità, ma era una situazione bizzarra.

Shinyun spostò con cautela il cellulare di Magnus, che era

appoggiato sul bordo della vasca, mettendolo fuori portata, e allungò

una mano per prendere una salvietta. Si asciugò la faccia, cosa

nient’affatto necessaria. Stava chiaramente prendendo tempo.

«Hai scoperto qualcosa?» chiese Magnus. «Dal tuo contatto,

intendo.»

«Sì» rispose Shinyun, lentamente. «Ma prima ho una confessione

da fare. L’altra sera ho sentito quando hai raccontato di aver ucciso il

tuo patrigno.»

Magnus aveva parlato a voce bassa. «Quindi hai origliato. Usando

la magia» aggiunse.

«Ero curiosa» disse Shinyun con un’alzata di spalle, come se quella

fosse una giustificazione. «E poi tu sei famoso e lavori a stretto

contatto con i Nephilim. Credevo che non avessi problemi, che vivessi

un’esistenza di allegro menefreghismo. Non pensavo che fossi come

me.»

Chinò la testa. In quel momento in lei c’era una sincerità che

Magnus non aveva mai visto. Sembrava più vulnerabile, più aperta, e

la cosa non aveva niente a che fare con il fatto che fossero seduti

insieme seminudi in una vasca di acqua calda.

Alzò lo sguardo su di lui. «Vuoi bere qualcosa?»

Non ne sentiva particolare bisogno, ma intuì che lei l’avrebbe

gradito. «Certo.»

Pochi istanti dopo comparve un vassoio d’argento con una bottiglia

di barbera d’Asti e una coppia di balloon. Shinyun versò da bere per


entrambi e fece fluttuare uno dei bicchieri verso Magnus. Brindarono.

Lei lottava per cercare le parole. «Adesso conosco la tua storia. Ed è

giusto che tu conosca la mia. In precedenza ti ho mentito.»

«Sì» disse Magnus. «Lo pensavo.»

Shinyun bevve il vino d’un fiato e posò il bicchiere.

«Quando si manifestò il mio marchio, il mio promesso non

continuò ad amarmi nonostante tutto. La mia famiglia mi ripudiò –

l’intero villaggio mi ripudiò – e così lui. Arrivarono degli uomini con

vanghe e torce chiedendo a gran voce la mia vita e la persona che

avevo sempre creduto fosse mio padre mi consegnò alla marmaglia.

Fu il mio promesso a mettermi nella bara di legno, perché venissi

sepolta viva.»

Shinyun si allungò nella vasca finché fu quasi orizzontale,

lasciando fuori dall’acqua solo la faccia, immobile come una maschera

mortuaria. Fissò il soffitto di marmo. «Riesco ancora a sentire la terra

cadere sulla bara, come il martellare della pioggia sui tetti durante un

tifone.» Strinse le dita sotto la superficie dell’acqua. «Artigliai la bara

con le mani fino a scorticarmele.»

Magnus sentiva il suono raschiante delle unghie sul legno mentre

Shinyun intesseva la magia alla sua storia. Percepiva le pareti che si

richiudevano su di lui e la mancanza d’aria nei polmoni. Bevve una

sorsata di vino per scacciare l’arsura e mise giù il bicchiere.

«“Cercate i figli dei demoni. Amateli come amate il vostro signore.

Non lasciate che i bambini siano soli.” Mi disseppellirono. Insieme

uccidemmo tutti gli abitanti del mio villaggio. Fino all’ultimo. In

seguito feci di peggio, per ordine della Mano Scarlatta. Mi dicevano di

fidarmi di loro. Ero così grata. Volevo sentirmi parte di qualcosa.»

«Mi dispiace» mormorò Magnus. Shinyun sono io. Lei è il mio riflesso

oscuro.

«Lo so» disse Shinyun. «La Mano Scarlatta non faceva che parlare

di te, il loro signore che sarebbe tornato. Dicevano che avremmo

dovuto renderti orgoglioso, quando il tempo fosse venuto. Anelavo al

tuo ritorno. Volevo che tu fossi la mia famiglia.»

«Lo sarei stato» disse Magnus. «Ma non mi ricordavo il culto. Non

sapevo niente di te. Se l’avessi saputo, sarei venuto.»


«Ti credo» disse Shinyun. «Mi fido di te. Mi hanno insegnato a

fidarmi di te per tutta la vita.»

Magnus riprese in mano il bicchiere. «Ti prometto che farò

qualunque cosa per aiutarti, e per mettere fine a tutto questo.»

«Grazie» disse lei semplicemente.

Si allungarono di nuovo nella vasca. «Ho visto la mia informatrice»

disse Shinyun, tornando al solito tono efficiente. «Ha suggerito un

punto di ritrovo a Roma dove dovrebbe riunirsi la Mano Scarlatta. Ha

detto che il loro leader è stato visto da quelle parti di recente.»

«Ha detto se si tratta di Barnabas Hale?»

«Non sapeva il suo nome» rispose Shinyun. «Sono tutte

informazioni di seconda mano. Nessun membro del culto parlerà.

Non dopo quello che è successo a Mori Shu.»

«Dovremmo dirlo ad Alec» osservò Magnus.

«Possiamo mandargli un SMS» disse Shinyun «ma non dalle terme,

qui non c’è campo. Non volevo dirglielo prima di aver parlato con te

e… prima che potessimo scambiare due parole in privato.»

Magnus provò un moto d’irritazione, ma sembrava meschino

mettersi a cavillare quando Shinyun gli aveva appena raccontato di

essere stata sepolta viva.

«Non perdiamo tempo» disse. Si alzò, fece un gesto con la mano e il

suo asciugamano si trasformò in un paio di jeans e in una camicia

scura con un motivo di stelle gialle. Recuperò il telefono e aggrottò la

fronte; lo schermo sembrava bloccato.

Shinyun gettò il suo incantesimo e la salvietta iniziò a serpeggiarle

sul corpo, asciugandola. Quando terminò, cadde sul pavimento. Sotto

era già vestita, con lo stesso tailleur corazzato che indossava a

Venezia. Si batté la mano sulla vita e sulla coscia, controllando i due

coltelli che scomparvero altrettanto rapidamente di quanto li aveva

estratti.

Soddisfatta, si avviò verso la porta. «Dopo di te.»

Magnus spense il telefono, resettandolo. Proprio il momento giusto,

per smettere di funzionare. Fa niente, c’erano un sacco di modi per far

avere il messaggio ad Alec. Tra non molto sarebbero stati di nuovo

insieme; ben presto avrebbero trovato e fermato il leader della Mano


Scarlatta. Ancora poco tempo, e si sarebbero lasciati quella faccenda

alle spalle.


21

Fuoco nella Mano Scarlatta

Magnus era in ritardo.

Si erano allontanati dall’Istituto di Roma di appena un isolato,

quando Alec aveva ricevuto un breve messaggio di Shinyun in cui

diceva che il telefono di Magnus non funzionava. Aveva ottenuto una

soffiata da uno dei suoi contatti locali, e lei e Magnus erano diretti in

un posto preciso in un bosco fuori città.

Non spiegava perché Magnus fosse con lei né dove erano stati.

Quando Alec condivise l’informazione con Helen e Aline,

concordarono che fosse meglio trovarsi con Magnus e Shinyun a

quell’incontro: erano informazioni più fresche di quelle che Mori Shu

aveva dato a Helen e anche se si fosse rivelata una pista falsa, almeno

sarebbero stati tutti insieme.

Mentre il tempo passava, Alec si chiese se per caso Shinyun e

Magnus si fossero persi, o se lui avesse frainteso le indicazioni. Era

sicuro che a quel punto sarebbero dovuti arrivare, oppure che Magnus

gli avrebbe fatto sapere se c’era qualche problema.

Il fatto di aver ricevuto un messaggio di Magnus da parte di

Shinyun lo impensieriva. Controllò di nuovo l’ora e guardò il sole

ormai calato dietro gli alberi. La sera si precipitava verso di loro come

un nemico e la stregaluce non poteva fare più che tanto in un bosco

fitto. Lanciò un’occhiata alla folta macchia di alberi; non riusciva a

vedere più in là di qualche metro.

Il bosco sembrava infestato. Enormi rami contorti crescevano

vicinissimi, alcuni allacciati come amanti, rendendo difficile

allontanarsi di molto dal sentiero sterrato. Le chiome degli alberi

nascondevano il cielo. Le ombre delle foglie danzavano al vento.

«Ma questi seguaci del culto non potevano trovarsi un locale al


chiuso?» borbottò Aline. «Tipo, in città?»

Aveva piovuto e il terreno era una fanghiglia umida e scivolosa,

difficile da percorrere. Aline in particolare faceva fatica, dato che

indossava scarpe più adatte a stare seduta in un caffè che a seguire

gente malvagia.

«Tieni, prova queste.» Helen tirò fuori un coltello e tagliò due

lunghi pezzi di corteccia dall’albero più vicino. Si inginocchiò di

fronte a Aline e le prese il tallone. Aline si immobilizzò mentre Helen

le faceva piegare delicatamente la gamba e le legava la corteccia alla

suola. Ripeté l’operazione con l’altro piede. «Ecco, adesso avrai più

presa.»

Aline aveva gli occhi sgranati. Alec notò con disapprovazione che

non aveva neanche detto grazie.

Helen si mise in testa e Alec allungò il passo per starle dietro.

Anche le sue sneakers scivolavano nel fango, ma nessuno gli aveva

offerto calzature di corteccia. Helen aveva un passo più leggero del

suo o di quello di Aline. Non si muoveva esattamente come una fata.

Alec le aveva viste camminare senza calpestare neppure un filo

d’erba. Ma neanche scivolava nel fango come loro due. Sotto i

movimenti di una guerriera c’era l’ombra della grazia delle fate.

«Le scarpe di corteccia non sono un trucco da fate, se è quello che

voi due state pensando» sbottò Helen rivolta ad Alec quando lui la

raggiunse. «L’ho imparato dagli Shadowhunters in Brasile.»

Alec sbatté le palpebre. «Perché dovremmo pensare una cosa del

genere? Senti, mi spiace se Aline si sta comportando in modo strano. È

colpa mia. Le ho raccontato cos’è successo la sera della festa a

Venezia… cioè, che ti avevo vista con la ragazza Nascosta.»

Helen sbuffò. «Non intendi l’altra ragazza Nascosta?»

«No» disse Alec. «Tu sei una Shadowhunter. Mi spiace sul serio.

Ero in pensiero per Magnus e non sono bravo a mentire. C’è stato un

tempo in cui avrei detestato che qualcuno parlasse di me a un

estraneo.»

«Non preoccuparti di questo» disse Helen. «Non è un segreto che

mi piacciono sia le ragazze che i ragazzi. Peccato se la cosa infastidisce

Aline.» Lanciò un’occhiata furtiva a Aline, poi si strinse nelle spalle.


«Un vero peccato. Quella ragazza è sexy da morire.»

Alec chinò la testa e sorrise. Era un po’ stupito, ma era piacevole

parlarne con Helen, vedere quanto era tranquilla e coraggiosa.

«Probabile» disse. «Non saprei.» Poi aggiunse timidamente: «Però

penso che il mio ragazzo sia piuttosto sexy».

«Certo, l’ho visto» commentò Helen. «Capisco perché hai perso la

testa. È solo che non mi fido di lui.»

«Perché è un Nascosto?» Il tono di Alec era duro.

«Perché quando valuto i Nascosti devo essere più obiettiva di

chiunque altro» rispose Helen.

Alec la guardò, la curva delle orecchie e la debole lucentezza della

pelle sotto le rune da Shadowhunter. Sullo sfondo del bosco, Helen

sembrava più che mai una fata.

«Sicura di essere obiettiva?»

«Penso che Magnus Bane abbia fondato il culto» disse Helen. «Il

che fa sospettare fortemente che ne sia il leader. Da quello che dice la

gente, questo leader è un potente stregone. Ci sono forse dieci stregoni

al mondo che rientrano nel profilo. Quanti di loro erano presenti alla

festa?»

«Malcolm Fade» rispose Alec.

Helen scattò: «Non è stato Malcolm!».

«Non è stato lo stregone di cui ti fidi» osservò Alec. «Capisco. Che

mi dici di Barnabas Hale?»

Helen si bloccò di colpo in mezzo al fango scivoloso e all’oscurità

che s’infittiva.

«C’era anche lui?» chiese. «Non era sulla lista degli invitati.»

«Ha mandato a monte la festa» disse Alec. «Al punto che è venuto

giù il palazzo.»

«Sapevo che Malcolm aveva combattuto contro un altro stregone»

mormorò Helen. «Ero così occupata a cercare di portar fuori la gente

che non ho visto la battaglia. Ho immaginato che si trattasse di

Magnus Bane.»

Ecco un altro dei motivi per cui Helen ce l’aveva così tanto con

Magnus. Aveva voluto proteggere Malcolm, il suo Sommo Stregone.

«Non era Magnus» disse Alec. «Si è messo in mezzo per tentare di


fermarli. Ha cercato di portar fuori le persone. Proprio come te.»

Helen si prese un attimo per assorbire l’informazione. Alec era

contento di vedere che non sapeva tutto, e ancora più contento del

fatto che sembrava disposta a prendere in considerazione questa

nuova possibilità. Magari, se Helen e Aline gli davano una mano,

avrebbero potuto indagare discretamente su Barnabas Hale tra gli

Shadowhunters.

«Non conosco nessuno di quegli stregoni» annunciò Aline. «Ma

penso che quello potrebbe essere il luogo di ritrovo.»

Indicò una piccola radura a pochi metri dal sentiero.

Non ci voleva uno Shadowhunter per capire che la zona era usata

per attività occulte. Il pentacolo tracciato con il fuoco sul terreno ai

loro piedi era una prova inequivocabile, ma c’era dell’altro. Un altare

improvvisato con due buche per il fuoco a entrambi i lati e parecchie

incisioni nella corteccia degli alberi intorno che ricordavano segni di

artigli. Sul terreno c’era anche una profonda depressione circolare.

Helen andò ai margini della radura e controllò i cespugli. Raccolse un

barilotto di birra e lo fece rotolare sull’erba.

«Wow» disse Aline. «Ai malvagi seguaci della setta piace far festa?»

«Fare baldoria è una delle loro regole sacre» rispose Alec. Helen gli

rivolse un’occhiata perplessa e lui spiegò: «Le Pergamene Rosse della

Magia. È il loro testo sacro. Vi, ehm, presto la mia copia».

Porse il telefono con le immagini mandate da Isabelle a Aline, che

poi lo passò a Helen senza chiedergli il permesso.

Helen aggrottò la fronte. «L’ultimo comandamento dice di non

lasciare che i bambini siano soli» disse. «È… stranamente gentile. Per

un culto.»

«È gentile, vero?» chiese Alec in tono assente.

Tutto quello che riguardava Magnus era strano ma gentile. Alec

non lo disse, dato che Helen l’avrebbe presa come una confessione.

«Mori Shu è stato ucciso dai vampiri» disse Helen Blackthorn in

tono tagliente. «Né Malcolm né Barnabas Hale o Hypatia Vex, gli

unici altri stregoni nei paraggi dotati di poteri sufficienti, hanno

affiliazioni particolari con i vampiri. Mentre Magnus Bane è noto per

avere legami stretti, e addirittura romantici, con alcuni dei vampiri


peggiori del clan di New York… diversi dei quali erano alla festa dove

Mori Shu e io avremmo dovuto incontrarci. La festa dove Mori Shu è

stato ucciso, prima che potesse rivelare ciò che sapeva.»

Alec rise tra sé dell’ipotesi che Magnus avesse legami d’amore con i

vampiri, soprattutto criminali. Sembrava considerare Lily, Elliott e gli

altri alla stregua di bambini divertenti.

Anche se a dire la verità sapeva pochissimo della vita amorosa di

Magnus. Gli aveva rivelato parecchie cose del suo passato durante il

viaggio, ma di quello non aveva parlato.

Scacciò quei pensieri. «Raphael e Lily non hanno ammazzato

nessuno a quella festa.»

«E chi sarebbero?» volle sapere Helen. «Sono vampiri?»

«Raphael Santiago è senz’altro un vampiro» disse Aline, quando

Alec esitò.

«Li conosci bene anche tu?»

«No» rispose Alec.

Helen e Aline lo stavano osservando con la stessa espressione

preoccupata. Alec non aveva bisogno che gli dicessero quanto tutta

quella faccenda sembrasse sospetta. Era sospetta.

Di Magnus non c’era ancora nessuna traccia. Il bosco era un

labirinto e la luce stava calando. Scrutò gli alberi. Non ci sarebbe

voluto molto prima che venissero avvolti dall’oscurità. Era di notte

che arrivavano i demoni e che gli Shadowhunters facevano il loro

lavoro. Alec non temeva l’oscurità, però voleva che Magnus li

trovasse.

C’era qualcosa che lo tormentava, una preoccupazione sotto un

mare di preoccupazioni. Era come prendersi un pugno in faccia e

avvertire, sotto l’ondata di dolore, la consapevolezza di aver perso un

dente.

«Helen» disse Alec. «Quale hai detto che era l’ultimo

comandamento delle Pergamene Rosse della Magia?»

«Di prendersi cura dei bambini» rispose lei in tono perplesso.

«Scusatemi» disse Alec.

Tirò fuori il telefono e passò sopra il pentacolo diretto verso

l’estremità opposta della radura. Aveva già provato a chiamare


Magnus un sacco di volte. Adesso voleva fare un tentativo con

un’altra persona.

Il telefono squillò due volte e poi qualcuno rispose.

«Pronto?» disse Alec. «Raphael?»

«Non si conoscono bene» borbottò Helen. «Tranne che lo chiama

per farci due chiacchiere.»

«Lo so» disse Aline. «Alec sembra proprio colpevole. Giuro che non

è così, ma tutto quello che fa è davvero sospetto.»

«Perdi questo numero» esordì Raphael scontroso all’altro capo

della linea.

Alec si guardò intorno nella radura piena di ombre e vide Helen e

Aline che scuotevano la testa con aria triste nella sua direzione.

Chiaramente non era la sua serata.

«So che non vai matto per gli Shadowhunters» disse Alec. «Ma

avevi detto che potevo chiamarti.»

Ci fu una pausa.

«Rispondo così a tutti» annunciò Raphael. «Cosa vuoi?»

«Pensavo si trattasse di quello che vuoi tu. Pensavo volessi dare

una mano» disse Alec. «Hai detto che avresti fatto qualche ricerca

sulla Mano Scarlatta. Mi chiedevo se avessi saputo qualcosa. In

particolare riguardo a Mori Shu.»

I resti di entrambi i focolari vicino al pentacolo erano ancora tiepidi

e le candele erano state utilizzate solo qualche ora prima. Si

inginocchiò lungo una delle linee del pentacolo e annusò i residui:

terra annerita con carbone e sale, ma nessuna traccia di sangue.

«No» disse Raphael.

«Va bene» rispose Alec. «Grazie lo stesso.»

«Aspetta!» latrò Raphael. «Rimani lì un minuto.»

Un’altra pausa. Che durò un sacco di tempo. Alec udì il rumore di

passi sulla pietra e in lontananza il suono argentino, ma in qualche

modo sgradevole, di una voce femminile.

«Raphael?» disse Alec. «Alcuni di noi non sono immortali. Perciò

non possiamo stare al telefono in eterno.»

Raphael grugnì per la frustrazione, un suono parecchio allarmante

visto che proveniva da un vampiro. Alec allontanò il telefono


dall’orecchio e lo riavvicinò quando udì Raphael formulare suoni

articolati.

«Una cosa c’è» disse Raphael, e si interruppe di nuovo.

«Sì?»

Il silenzio tra le parole di Raphael era infinitamente vuoto. Nelle

pause non lo si sentiva respirare. I vampiri non ne avevano bisogno.

«Non mi crederai. È inutile.»

«Mettimi alla prova» disse Alec.

«Mori Shu non è stato ucciso da un vampiro.»

«Perché non hai detto niente?»

«E a chi avrei dovuto dirlo?» ringhiò Raphael. «Sarei dovuto andare

da un Nephilim e dire: “Oh, la prego, signore, i vampiri sono stati

incastrati! Sì, è stato trovato un cadavere, e sì, perdeva sangue, ma non

abbastanza, neanche per sogno, e sì, aveva dei segni sul collo, ma

erano stati procurati dalla punta di una spada e non da zanne, e oh,

no, signor Nephilim, la prego, metta via la spada angelica”? Nessun

Nephilim mi avrebbe creduto.»

«Io ti credo» disse Alec. «Sono stati provocati da una spada con la

lama triangolare? Tipo una samgakdo?»

Silenzio. «Sì» disse Raphael. «È così.»

Alec sentì una stretta allo stomaco. «Grazie, Raphael, mi sei stato di

grande aiuto.»

«Davvero?» D’un tratto la voce di Raphael si era fatta ancora più

diffidente. «E come?»

«Lo dirò a Magnus.»

«Non ci provare» disse Raphael. «Non chiamarmi più. Non ho

alcun interesse ad aiutarti di nuovo. Non dire a nessuno che questa

volta ti ho dato una mano.»

«Devo andare.»

«Fermo» ordinò Raphael. «Non mettere giù.»

Alec mise giù.

Raphael cercò immediatamente di richiamarlo. Alec spense il

telefono.

«Che succede» chiese Aline. «Perché hai quella faccia?»

«Helen» disse Alec. «Hai menzionato Hypatia Vex come possibile


sospettata. Quindi Mori Shu non ha mai detto nello specifico che il

leader della Mano Scarlatta era un uomo?»

Helen batté le palpebre. «Non ha detto nulla né in un senso né

nell’altro.»

«La gente al Mercato delle Ombre di Parigi ne parlava come se si

trattasse di un uomo» disse Alec a bassa voce. «Perché girava voce che

fosse Magnus. Anche se qualcuno non credeva che fosse lui, avrebbe

detto “lui” senza pensarci. E Magnus e io eravamo così presi a

difendere lui, che non ci abbiamo riflettuto.»

L’informatore sulla Mano Scarlatta, assassinato alla festa a Venezia.

Marchiato con la punta di una spada dalla lama triangolare.

In tempi difficili, ricordate: tutte le strade portano a Roma.

Quella frase non c’era nella versione delle Pergamene Rosse della

Magia che gli aveva mandato Isabelle. La copia nella Camera era stata

manomessa con l’aggiunta di una nuova regola che li aveva indirizzati

a Roma.

E Shinyun Jung, uno stregone che era chiaramente anche una

guerriera ben addestrata, i cui movimenti erano di solito rapidi e

aggraziati, era inciampata, assicurandosi che trovassero il libro

manomesso. Portandoli lì.

«Dobbiamo andare» disse Alec. «Subito.»

Proprio mentre facevano dietrofront per tornare da dove erano

venuti, i boschi circostanti si animarono. Una raffica di vento scosse i

rami e fece cadere le foglie. L’aria sembrava essersi riscaldata e la

temperatura aumentava in modo allarmante. Pochi secondi prima era

una serata fresca e ventilata, ma adesso faceva un caldo soffocante.

Cinque colonne di fuoco si innalzarono ai margini della radura,

ciascuna alta diversi metri e larga come un tronco. Rami e rocce

schioccavano, le fiamme lambivano la vegetazione e la bruciavano.

Ben presto, l’aria si fece densa, rendendo quasi impossibile respirare.

Le colonne crepitarono facendo volare dappertutto grosse scintille,

centinaia di lucciole che volteggiavano nell’aria.

I tre Shadowhunters si affrettarono a tirar fuori gli stili e

tracciarono dei Marchi per difendersi: Accuratezza. Resistenza. Forza.

E, forse il più importante, Ignifugo.


Aline mise via lo stilo e sussurrò: «Jophiel» e i pugnali angelici le

comparvero nelle mani. Alec prese l’arco e un bagliore bianco

illuminò la mano di Helen, mentre anche lei estraeva una spada e

pronunciava il nome di un angelo. Alec non riuscì a distinguerlo

sopra il ruggito delle fiamme.

«A rischio di sembrare ridondante» disse Helen. «Oh, no. È una

trappola.»

Si riunirono nel centro della radura, schiena contro schiena. Alla

luce di quello che avevano di fronte, sembrava del tutto inadeguato.

«Proprio da stupidi venire qui solo noi tre» disse Alec. «La Mano

Scarlatta sapeva esattamente dove saremmo stati, e quando.»

«E come?» volle sapere Aline.

Alec incoccò una freccia. «Perché il loro leader… È stata lei a dirci

di venire qui.»


22

Il Grande Veleno

La villa antica incombeva su Magnus, con le torri in rovina che

sembravano denti seghettati rivolti al cielo.

«Non si può dire che questi fanatici siano raffinati, proprio no»

commentò Magnus. Controllò l’orologio. «Alec avrebbe dovuto essere

già qui.»

Shinyun era accanto a lui. Percepiva la tensione che le percorreva il

corpo.

«Magari lo stanno interrogando all’Istituto di Roma» disse. «Sai che

i Nephilim non vedranno di buon occhio qualunque cosa stia facendo.

Potrebbe essere in un mare di guai. E se aspettiamo ancora,

perderemo l’opportunità di catturare la Mano Scarlatta.»

Secondo l’informatore di Shinyun, i membri di grado più elevato

della Mano Scarlatta stavano parlando con un gruppo di potenziali

discepoli. Poteva essere presente addirittura il leader.

Alec avrebbe voluto che Magnus lo aspettasse. Magnus voleva

aspettare Alec. Ma Shinyun aveva ragione. Alec poteva essere

trattenuto, costretto a rispondere a domande imbarazzanti all’Istituto

di Roma, ed era tutta colpa di Magnus.

La cosa migliore che poteva fare era catturare il leader e porre fine

alla Mano Scarlatta. I Nephilim ne sarebbero stati soddisfatti e Alec

sarebbe stato scagionato da ogni sospetto.

Shinyun disse: «Potrebbe essere la nostra unica occasione».

Magnus fece un respiro profondo e decise che le sue esitazioni

erano assurde.

Non c’era nulla che non potesse gestire da solo. Finora se l’era

sempre cavata egregiamente senza l’aiuto di nessuno.

«Fai strada» disse a Shinyun.


Entrarono nella villa passando per quella che un tempo doveva

essere stata una scuderia e attraversarono una serie di stanze.

L’edificio era stato saccheggiato tempo prima. I pavimenti erano

disseminati di mobili rotti, arazzi strappati e schegge di vetro. La

natura aveva già iniziato il lento processo di colonizzazione della villa.

Erbacce e rampicanti si insinuavano nelle crepe delle pareti e dalle

finestre. Nell’aria aleggiava puzza di acqua stagnante. Era tutto

fradicio. L’odore di umidità stordiva Magnus. Faceva fatica a

respirare.

«Il male può essere giustificato, talvolta. Lo squallore, mai»

mormorò Magnus.

Shinyun mormorò di rimando: «Smetterai mai di scherzare?».

«Improbabile» rispose Magnus.

Entrarono in un locale lungo con il soffitto basso e scaffali a pezzi.

In un’altra vita, probabilmente era stata la dispensa. Adesso i muri

erano una ragnatela di legno marcio, pietre spaccate e rampicanti.

C’era una pozza d’acqua dove il pavimento era sprofondato. Shinyun

alzò un dito e si immobilizzò. Magnus si mise in ascolto. Eccolo, un

rumore: il suono smorzato di voci che salmodiavano.

Shinyun indicò l’estremità opposta della stanza e avanzò

lentamente, facendo un largo giro per evitare la pozza. Proprio mentre

stava per uscire dal locale, una saracinesca metallica, che sembrava in

condizioni molto migliori del resto dell’edificio, si chiuse con fracasso,

bloccando l’ingresso di fronte a lei.

Magnus si avviò in direzione della porta da cui erano entrati, ma

era troppo tardi. Si udì un fragore metallico e un’altra saracinesca gli

bloccò la via d’uscita prima che lui potesse arrivarci. Magnus afferrò

le sbarre e tirò. Niente. Erano in trappola.

Shinyun cercò di sollevare l’altra saracinesca. Magnus la raggiunse

e si unì a lei. Niente da fare; era troppo pesante. Fece un passo

indietro e chiamò a raccolta la sua magia, intenzionato a ridurre il

metallo in polvere. Le mani si accesero di un bagliore azzurro e dalle

dita si sprigionò una vampata di energia, che però si estinse prima di

arrivare alla saracinesca.

Si sentiva inaspettatamente debole, come se avesse appena lanciato


un incantesimo potentissimo anziché una cosetta di routine. Batté le

palpebre per mettere a fuoco la vista.

«Qualcosa non va?» chiese Shinyun.

Magnus fece un gesto noncurante. «Niente.»

Shinyun raccolse una grossa pietra e iniziò a picchiare contro le

parti più arrugginite della saracinesca. Magnus arretrò fino al centro

del locale.

«Cosa stai facendo?» chiese Shinyun.

Attorno a lui si innalzò un imbuto verde che gli fece sbatacchiare il

cappotto e rizzare i capelli. Chiamò a raccolta ogni briciolo di magia

perché l’imbuto acquistasse forza, fino al punto che l’incantesimo

iniziò a spezzarsi. Alla fine, con un grido, Magnus incanalò ogni

energia residua nel vortice ululante e lo diresse contro la porta da cui

erano entrati. Il ferro scricchiolò e gemette, poi la saracinesca venne

divelta e volò nel corridoio. Scomparve nell’oscurità prima di

schiantarsi sonoramente contro qualcosa di pietra in lontananza.

Magnus cadde su un ginocchio, ansimando. C’era qualcosa che

decisamente non andava nei suoi poteri magici.

«Come ci sei riuscito?» chiese Shinyun a bassa voce. «Come hai

fatto a essere così forte? Di sicuro adesso non ti è rimasto alcun

potere.»

Magnus si costrinse ad alzarsi e si avviò a passo pesante verso

l’uscita che aveva liberato.

«Me ne vado.»

Mentre passava accanto a Shinyun lei stese un braccio e lo afferrò

per la camicia. «Non penso proprio.»

Magnus studiò il suo viso immobile nella luce fioca. Il cuore gli

pulsava nelle orecchie, segnalando il pericolo troppo tardi.

«Vedo che si è approfittato della mia splendida natura fiduciosa»

disse. «Un’altra volta.»

Shinyun roteò, sfruttando il peso di Magnus per scaraventarlo

lungo e disteso dall’altra parte della stanza. Lui tentò di rimettersi in

piedi, ma fu ributtato a terra da un calcio al petto. Cadde di nuovo,

sbattendo contro la saracinesca ancora abbassata. Poi udì il rumore del

metallo contro il metallo e il cigolio della saracinesca che veniva


sollevata, e sentì diverse paia di mani forti che lo afferravano per le

braccia. Quasi non ci vedeva.

Sono stata esposta a una pozione che mi ha fatto perdere il controllo delle

mie capacità metamorfiche, gli aveva detto Tessa. Magnus avrebbe

dovuto ricordarselo.

«Hai messo del veleno nel mio bicchiere all’Aqua Mortis» disse,

lottando per articolare le parole. «Mi hai distratto con una storia

strappalacrime. Erano tutte bugie?»

Shinyun si inginocchiò accanto a lui sulla pietra bagnata. Vedeva

solo i contorni del suo viso, come una maschera sospesa nell’oscurità.

«No» sussurrò. «Avevo bisogno che ti sentissi dispiaciuto per me.

Dovevo dirti la verità. Un’altra cosa che non potrò mai perdonarti.»

Magnus non fu granché stupito di risvegliarsi in prigione.

Una perdita d’acqua dall’alto gli gocciolava sulla fronte a intervalli

di pochi secondi, cosa che gli fece venire in mente il metodo che i

Fratelli Silenti usavano per inculcargli la disciplina e farlo smettere di

chiacchierare durante le lezioni.

Un po’ dell’acqua gli finì in bocca e lui la sputò. Sperava che fosse

solo acqua. Qualunque cosa fosse aveva un sapore orribile. Batté le

palpebre, cercando di capire dove si trovava. Era rinchiuso da un

muro circolare senza finestre, con un cancello di ferro oltre il quale

c’era altra oscurità, e con un buco sulla parete opposta che poteva

essere sia una vecchia via di fuga che una latrina. A giudicare

dall’odore che aleggiava nell’aria, Magnus pensò che potesse essere

stata usata per entrambe le cose.

«È ufficiale» dichiarò senza rivolgersi a nessuno in particolare.

«Questa è la peggior vacanza di sempre.»

Guardò in alto. Non c’era molta luce lunare, ma quella che c’era

mandava un debole bagliore attraverso una grata circolare. Quel posto

sembrava il fondo di una cisterna, forse, o di un pozzo, non che

facesse molta differenza. Un buco, una cella, il fondo di un pozzo.

Sempre prigione era. Aveva le mani incatenate al muro sopra la testa

ed era seduto su un letto fatto con paglia che aveva l’aria di essere già

stata usata da un cavallo. Il pavimento era di pietra, quindi lui


probabilmente si trovava ancora da qualche parte nella villa. Deglutì.

Gli facevano male la faccia e il collo. Parecchio. Gli sarebbe proprio

servito qualcosa da bere.

Sperò che Alec fosse davvero bloccato all’Istituto di Roma. Che non

fosse andato dove Shinyun gli aveva detto di andare che, si rese conto,

chiaramente non era lì. All’Istituto Alec sarebbe stato al sicuro.

Dall’altra parte del cancello comparve una sagoma. Mentre veniva

aperto si udì un rumore metallico e il cigolio dei cardini.

«Non preoccuparti» disse Shinyun. «Il veleno non ti ucciderà.»

«Perché lo farò io» cantilenò Magnus. Shinyun lo guardò battendo

le palpebre. «Era a questo che miravi, no?» domandò. Chiuse gli occhi.

Aveva un mal di testa terribile.

«Ho dosato il veleno molto attentamente» disse Shinyun. «Quanto

bastava per metterti fuori combattimento e toglierti la magia. Voglio

che cammini con le tue gambe quando adempirai il tuo glorioso

destino.»

Non prometteva niente di buono. Quando Magnus aprì gli occhi,

Shinyun era in piedi davanti a lui. Era vestita di bianco immacolato

dalla testa ai piedi, con ricami d’argento sullo scollo e sui polsini.

«Il mio glorioso destino?» chiese Magnus. «È sempre un glorioso

destino. Non l’avevi notato? Nessuno parla mai di destini mediocri.»

Shinyun disse: «No. È il mio di destino che sarà glorioso. Tu non

meriti la gloria. Hai fondato questo culto per gioco. Hai spinto le

persone a fare scherzi e a curare i malati. Hai trasformato il nome di

Asmodeo in una farsa».

«La farsa è stata l’uso migliore che ho trovato per il suo nome»

mormorò Magnus.

La voce di Shinyun suonava furibonda. «Dovremmo essere

entrambi leali ad Asmodeo. Ti ha favorito talmente tanto. Non sei

degno di lui.»

«Lui non è degno di me» ribatté Magnus.

Shinyun gli urlò contro. «Sono stufa del tuo scherno e della tua

continua mancanza di rispetto. Dobbiamo la vita ad Asmodeo. Io non

sarò mai come te. Non tradirò mai mio padre!»

«Tuo padre?» le fece eco Magnus.


Shinyun non gli prestò attenzione.

«Ero sepolta viva da cinque giorni quando la Mano Scarlatta venne

a salvarmi. Mi dissero che Asmodeo li aveva mandati a soccorrere sua

figlia. La gente di mio padre mi ha salvata perché mio padre veglia

sempre su di me. La mia famiglia mortale mi ha tradita e io li ho

uccisi. Asmodeo è l’unico che mi ama, ed è tutto ciò che io devo

amare. Ho trasformato la Mano Scarlatta da farsa a realtà, ed è tempo

di distruggere l’ultimo insulto. È tempo di eliminare te, Grande

Veleno. Ti ucciderò per aver insultato Asmodeo. Sacrificherò a lui la

tua vita immortale e lascerò che si scateni su questo mondo, e siederò

al suo fianco per tutta l’eternità come la sua amatissima figlia.»

«Sì, a proposito» disse Magnus. «Se tu avessi il potere di un

Principe dell’Inferno, me ne sarei accorto.»

«Se un qualunque stregone vivo avesse il potere di un Principe

dell’Inferno, governerebbe già questo mondo» gli disse Shinyun

impaziente. «Tutti gli stregoni sono figli di Asmodeo, se si dimostrano

degni. È quello che mi ha insegnato la Mano Scarlatta.»

«Quindi tu hai… adottato Asmodeo?» disse Magnus. «O lui ha

adottato te?»

La guardò. Non era entusiasta di essere prigioniero. Ancora meno

lo entusiasmava la prospettiva del destino inglorioso che lo attendeva.

Ma non riusciva a odiarla. Capiva perché era quello che era, le forze

che l’avevano plasmata e il modo in cui le sue stesse azioni avevano

gettato un’ombra sul suo passato.

«Non guardarmi così! Non voglio la tua pietà.» Shinyun fece un

passo avanti e gli mise le mani intorno al collo. Magnus tossì e soffocò:

gli stregoni erano immortali, non invulnerabili. Sarebbe morto se

privato di ossigeno. «Non sei mai stato degno» bisbigliò mentre lui

lottava per respirare. «La mia gente non avrebbe mai dovuto seguirti.

Mio padre non avrebbe mai dovuto onorarti. Il tuo posto appartiene a

me.»

Dopo un momento, Shinyun dovette essersi resa conto che stava

strangolando il suo cosiddetto sacrificio al padre. Mollò la presa.

Magnus si abbandonò all’indietro ansimando, mentre l’aria gli

entrava nei polmoni a fiotti.


«Perché?» Si strozzò. «Mentre ci stavi aiutando non facevi che

condurci verso questa trappola. Perché non ti sei limitata a prendermi

a Parigi o sul treno, o in qualunque altra occasione ti si è presentata?

Perché tenere in piedi tutta questa messinscena?»

«Alec.» Shinyun pronunciò quel nome come se fosse veleno. «Ogni

volta che ero sul punto di catturarti, si metteva in mezzo. Ti avevo

intrappolato al Mercato delle Ombre di Parigi, finché non è arrivato

lui nel vicolo. Ti avevamo nelle nostre mani sul treno, finché lui non

ha iniziato a fare piazza pulita dei miei demoni come se fossero

spazzatura. Alec ha eliminato il branco di demoni Raum e la maggior

parte dello sciame Ravener. È rimasta solo la mia regina madre

mutilata. Non potevo contare su di lei perché finisse il lavoro e non

potevo rischiare di perdere le tue tracce. Ho deciso che dovevo starti

incollata addosso.»

La risata di Shinyun era diversa da tutte quelle che Magnus le

aveva sentito fare in precedenza. Crudele, vuota e amara.

«Nel corso dei secoli sono diventata bravissima a fingere, in nome

di mio padre. La mia faccia è un dono datomi per servire meglio

Asmodeo. Le persone non riescono a capire cosa provo veramente.

Proiettano sulla maschera ciò che desiderano e non pensano mai che

sotto di essa sono reale. Mostro loro ciò che vogliono vedere e dico

loro ciò che vogliono sentire. Ma quello Shadowhunter non voleva

niente da me, e l’unica cosa che funzionava con te era farti sentire in

colpa nei miei confronti. Ho detestato con tutta me stessa doverlo fare,

ti ho odiato talmente tanto, ma non sono riuscita a evitare che Alec

continuasse a vigilare su di te, a proteggerti, sempre all’erta. Mi sono

resa conto che l’unico modo di averti nelle mie mani era separarti da

Alexander Lightwood.»

Magnus ripensò al rammarico che aveva provato poche ore prima,

quando Alec si era sentito in dovere di andare all’Istituto di Roma.

Adesso provava solo gratitudine. Là Alec sarebbe stato al sicuro, e

Magnus poteva affrontare qualunque cosa, se Alec era in salvo.

Shinyun fece schioccare le dita e diversi uomini entrarono nella

cella di Magnus. Erano tutti vestiti di bianco, con espressioni severe.

«Portalo alla Fossa, Bernard» disse Shinyun.


«Non portarmi alla Fossa, Bernard» suggerì Magnus. «Detesto la

parola “fossa”. Suona di cattivo augurio, e lercia. A proposito, salve,

membro del culto malvagio Bernard!»

Il membro del culto malvagio Bernard lanciò a Magnus un’occhiata

infastidita. Era magro come uno stecco e i capelli scuri lisciati

all’indietro accentuavano il mento appuntito e la barbetta a ciuffi;

nell’insieme, era la copia malriuscita di una figura autorevole. Tolse le

manette di ferro a Magnus con forza non necessaria. Senza le catene a

sostenerlo, Magnus si accasciò sul pavimento. In quel momento

persino Bernard costituiva una minaccia seria. Si sforzò di stare dritto,

ma era l’unica cosa che poteva fare. Aveva la nausea, le vertigini ed

era assolutamente privo di poteri magici.

Shinyun non aveva corso rischi con il veleno. Chiaramente voleva

che Magnus non avesse alcuna chance nella Fossa.

«Un’ultima cosa» disse, con il sorriso nella voce.

Si avvicinò a Magnus.

«Ti ho portato in un luogo dove non potevi ricevere telefonate. Ho

reso inutilizzabile il tuo telefono. E ho contattato Alec a nome tuo.»

Sorrise. «Ho preparato una trappola per ciascuno di voi due. Tra non

molto, Alec Lightwood sarà morto.»

Magnus poteva affrontare qualunque cosa, se Alec era al sicuro.

Nella mente di Magnus vi fu un’esplosione di tenebre, un ululato di

dolore e di rabbia. Una rabbia che di rado si consentiva di provare.

Una rabbia che proveniva da suo padre. Si slanciò contro Shinyun.

Bernard e gli altri membri del culto lo presero per le braccia,

trattenendolo mentre lui si divincolava. Sulla punta delle dita

comparvero scintille azzurre, deboli e pallide.

Shinyun gli diede un colpetto sul viso, forte quasi come uno

schiaffo.

«Spero tu ti sia congedato in modo appropriato dal tuo figlio

dell’Angelo, Magnus Bane» mormorò. «Non riesco a immaginare che

vi ritroverete nello stesso aldilà.»


23

Il sangue di Helen Blackthorn

Le colonne di fuoco si innalzavano oltre le cime degli alberi. Il calore

stava aumentando, artigliando la pelle di Alec come se potesse

strappargli via le rune. Esaminò le sue opzioni sempre più ridotte. Le

colonne di fuoco erano distanti tra loro circa quindici metri, disposte

più o meno in cerchio. Se fossero stati veloci, avrebbero potuto gettarsi

nello spazio tra due colonne e fuggire. Ma non appena Alec si mosse

per tuffarsi nel varco, le colonne di fuoco si piegarono per bloccargli la

strada, cambiando forma all’istante e tornando all’altezza originaria

quando lui arretrò.

Una volta Alec aveva visto uno Shadowhunter saltare fiamme di

quell’altezza, ma lui non era Jace e non era in grado di farlo.

«Oh, per l’Angelo» disse Helen.

Alec pensò che stesse solo lamentandosi della situazione in cui si

trovavano, ma quando si girò a guardarla vide che aveva gli occhi

chiusi. Aveva i capelli sulla faccia, uno specchio argenteo che quasi

rifletteva il fuoco.

Disse: «Mi dispiace tanto. È tutta colpa mia».

«E come fa a essere colpa tua?» chiese Aline.

«Mori Shu mi aveva mandato un messaggio chiedendo protezione

perché il leader della Mano Scarlatta gli stava dando la caccia» disse

Helen tutto d’un fiato. «È venuto a Parigi a cercarmi. Aveva scelto

proprio me perché mia madre era una fata. Pensava che sarei stata più

turbata dalle morti delle fate e più comprensiva nei confronti dei

Nascosti. Avrei dovuto mettere Mori Shu in custodia protettiva. Avrei

dovuto dire tutto all’Istituto di Parigi, e invece ho cercato di affrontare

la cosa da sola. Volevo trovare il leader della Mano Scarlatta e

dimostrare che ero una grande Shadowhunter, per niente assimilabile


a una Nascosta.»

Aline guardò Helen premendosi una mano sulla bocca. Sul viso di

Helen luccicavano le lacrime, che le scorrevano sulle guance da sotto

le lunghe ciglia curve. Alec continuava a guardarsi intorno,

controllando le colonne di fuoco che sembravano accontentarsi di

tenerli in trappola fino a quando, probabilmente, non fosse comparso

qualcosa di peggio.

«Ma ho continuato a fare pasticci fin dall’inizio» proseguì Helen.

«Avrei dovuto incontrare Mori Shu a Parigi, e invece la Mano

Scarlatta lo aveva rintracciato e mandò dei demoni a ucciderci. Mori

Shu scappò. Mi accompagnava Leon e saremmo rimasti entrambi

uccisi dai demoni, se non fosse intervenuto Alec. Ma io non chiesi

aiuto a nessuno. Magari Mori Shu sarebbe ancora vivo se l’avessi

fatto. Non andai dal capo dell’Istituto di Parigi o da quello dell’Istituto

di Roma, quando Mori Shu mi indirizzò lì. E adesso siamo finiti in una

trappola e stiamo per morire, e tutto perché non volevo dire a nessuno

che uno stregone aveva scelto me. Non volevo che il Conclave mi

ritenesse una Nascosta, più di quanto non facesse già.»

Aline e Alec si scambiarono un’occhiata. Solo perché la crociata di

Valentine per la purezza degli Shadowhunters era stata sconfitta, non

significava che fosse scomparso il fanatismo che lui incarnava.

C’erano persone che avrebbero sempre creduto che Helen fosse

macchiata dal suo sangue di Nascosta.

«Non c’è niente di sbagliato nei Nascosti» disse Alec.

«Vallo a dire al Conclave» ribatté Helen.

Aline disse, a voce inaspettatamente alta: «Il Conclave si sbaglia».

Helen la guardò e Aline deglutì. «So come la pensano» continuò. «Un

tempo non ho stretto la mano a un Nascosto e poi lui è diventato uno

degli…» – Aline lanciò un’occhiata ad Alec – «uno degli eroi Nascosti

della guerra. Mi sbagliavo. Il modo in cui la pensano è sbagliato.»

«Deve cambiare» disse Alec. «Cambierà.»

«Cambierà in tempo per i miei fratelli e le mie sorelle?» volle sapere

Helen. «Non credo. Siamo in sette e io sono la maggiore. Mio fratello

Mark ha la stessa madre fata che ho io. Gli altri hanno una madre

Shadowhunter. Mio padre aveva appena sposato una donna


Shadowhunter quando Mark e io fummo mandati da loro. Quella

donna avrebbe potuto disprezzarci. E invece ci ha amati. È stata così

buona con me quando ero piccola. Mi ha sempre trattata come se fossi

sua. Voglio che la mia famiglia sia fiera di me. Mio fratello Julian è

così intelligente. Potrebbe diventare Console, un giorno, come lo è

adesso tua madre. Non posso essere d’ostacolo a ciò che potrebbe

realizzare… a ciò che tutti loro potrebbero realizzare.»

Come se le loro vite non fossero in pericolo, Aline si avvicinò a

Helen e le prese una mano.

«Sei nel Consiglio, giusto?» le chiese. «E hai solo diciotto anni. Li

stai già rendendo orgogliosi. Sei una Shadowhunter magnifica.»

Helen aprì gli occhi e guardò Aline. Strinse le dita attorno alle sue.

Il viso le si illuminò di speranza, che poi vacillò e scomparve.

«Non sono una Shadowhunter magnifica» disse. «Ma voglio

esserlo. Se sono magnifica, se il Conclave rimane impressionato da

me, allora io ne farò davvero parte. Ho tanta paura che decideranno

per il no.»

«Capisco» disse Aline.

Anche Alec capiva. Loro tre si scambiarono un’occhiata, uniti

contro la stessa paura di essere soli.

«Mi dispiace» bisbigliò Helen, la voce che gli arrivava esile come

fumo.

«Non c’è nulla di cui dispiacersi» disse Alec.

«Mi dispiace di non aver detto a nessuno cosa stavamo facendo o

dove stavamo andando, e adesso moriremo» disse Helen.

«Be’» rispose Alec, scrutando le cime degli alberi, «quando la metti

così non c’è da stare allegri.» Individuò una zona nel muro di fiamme

che crepitava leggermente nel punto in cui il terreno era paludoso. Le

fiamme lì erano un po’ più basse che altrove.

«Nel caso in cui morissimo» disse Aline «lo so che ci siamo appena

conosciute, Helen, ma…»

«Non moriremo» la interruppe Alec. «Helen, quanto in alto riesci a

saltare?»

Helen batté le palpebre e tornò in sé. Raddrizzò le spalle e studiò le

colonne di fuoco. «Non così in alto.»


«Non è necessario» disse Alec. «Guarda.» Si slanciò in direzione

dello spazio tra due colonne e, come prima, le fiamme si piegarono

per fermarlo.

«E allora?» chiese Aline.

«E allora,» rispose Alec «io lo rifaccio e una di voi due salta le

fiamme mentre si sono abbassate per bloccarmi il passaggio.»

Helen osservò le colonne di fuoco. «È sempre un bel salto.» La sua

espressione si fece determinata. «Lo faccio io.»

«Posso farlo io» disse Aline.

Helen le mise una mano sulla spalla. «Ma sono stata io a cacciarci in

questo guaio, e sarò io a tirarcene fuori.»

«Hai solo un secondo o due» disse Alec, arretrando per prendere la

rincorsa. «Dovrai stare appena dietro di me.»

«Ci sarò» rispose Helen.

Un attimo prima che Alec scattasse in direzione del muro di fuoco,

Aline urlò: «Aspettate! E se dall’altra parte c’è di peggio?».

«Ecco perché» rispose Helen brandendo l’ennesima spada angelica

«sono pesantemente armata. Sachiel.» Comparve una familiare luce

bianca, il bagliore dell’adamas un monito rassicurante rivolto al rosso

demoniaco delle fiamme che li circondavano.

Alec sorrise tra sé. Helen iniziava a piacergli. Poi si mise a correre.

Si gettò a terra e percepì il calore delle fiamme che si abbassavano

per bloccargli la fuga. Rimase al suolo, rotolando su se stesso, e udì

Aline esultare. Saltò in piedi e si spolverò i vestiti.

Calò un breve silenzio.

«Helen?» chiamò Aline incerta.

«Demoni! Demoni di fuoco! Sono demoni!» urlò Helen di rimando,

senza fiato. «Queste… colonne… sono… demoni! Sto combattendo

contro uno di loro!»

Solo in quel momento Alec si accorse che una delle colonne di

fuoco che si era piegata per fermarlo non era tornata nella posizione

originaria. Si rese conto di guardare la schiena di una gigantesca

sagoma umanoide fatta di fuoco, dall’altra parte della quale era

presumibile ci fosse Helen.

Lui e Aline si guardarono. Alec puntò l’arco, incerto, e scoccò una


freccia al centro della colonna accanto.

La colonna prese a muoversi, dividendosi e trasformandosi in una

figura umanoide che Alec riconobbe come un demone Cherufe. Il

demone ruggì, le fiamme come centinaia di lingue spaventose nelle

fauci spalancate, e caricò Alec sfoderando artigli di fuoco. Si muoveva

con la velocità di un incendio e coprì la distanza che lo separava da

Alec in un batter d’occhio.

Alec scansò gli artigli con un volteggio, cercando di rotolare in

direzione del varco tra il suo demone e quello di Helen, ed evitando

per un pelo di finire dilaniato e arrostito. Il mondo tremò quando

colpì il terreno con violenza, scivolando per diversi metri. Solo il

bruciore di una brace sulla guancia gli fece riprendere conoscenza

all’improvviso.

Non poté far altro che guardare, stupefatto, mentre una lingua di

fuoco sfrecciava verso di lui nell’oscurità. Il demone stava tornando

per un altro round.

Poi accanto a lui si materializzò Aline, che menava fendenti con i

pugnali con tale fulminea rapidità da rendere impossibile seguire i

suoi movimenti. Le lame angeliche avevano l’effetto dell’acqua sul

fuoco demoniaco e lo trasformavano in vapore ovunque passassero.

Un fendente al basso ventre, uno al torace e uno per mozzargli le

braccia fiammeggianti, e il demone Cherufe si disintegrò in una pozza

di magma, icore e vapore. Aline era in piedi circondata da scintille

arancioni.

Mise un pugnale sotto il braccio e tese ad Alec la mano libera.

Helen, strinata ma incolume, si unì a loro emergendo tra le fiamme

morenti del primo demone che si stava riducendo in cenere. Insieme

rivolsero la loro attenzione agli altri Cherufe, che a quel punto

avevano ripreso tutti l’usuale forma umanoide.

Alec si appoggiò su un ginocchio e tre dardi sfrecciarono nell’aria

in rapida successione, colpendo un demone al petto, con le ferite che

eruttavano fiamme. Quello ruggì e si girò verso di lui, lasciandosi

dietro una scia di fuoco. Alec scoccò altre due frecce, si abbassò di

scatto e ruotò di lato per togliersi dalla traiettoria del mostro, poi lo

finì con un dardo nell’occhio. Il demone crollò come una casa divorata


dal fuoco.

Helen e Aline stavano schiena contro schiena nell’oscurità della

radura, circondate dal bagliore delle scintille infernali e dal

risplendere delle lame angeliche. Helen finì un altro demone girando

su se stessa e infliggendogli un fendente che lo tagliò in due. Alec si

mosse con cautela attorno alla mischia, tenendosi a distanza, finché

ebbe la visuale libera. Una freccia amputò il braccio a uno dei Cherufe,

poi altre lo mandarono al tappeto mentre cercava di caricare Aline,

che lo finì con una pugnalata vibrata dall’alto.

Helen ingaggiò l’ultimo demone con una serie di rapidi fendenti,

perforandogli la pelle fatta di magma finché non eruttò sottili getti di

fuoco da ogni parte. Aline si fece sotto, abbassandosi di scatto per

evitare un pugno fiammeggiante e slanciandosi oltre il demone per

affondargli la lama nella schiena.

Non appena l’ultimo dei demoni Cherufe cadde, il fuoco svanì,

lasciando cicatrici nere sul terreno e fumo grigio che si levava nel

cielo. C’erano ancora dei rami che bruciavano e zone di erba fumante,

ma anche lì il fuoco sembrava morire lentamente.

«Helen» chiese Aline, ansimando, «stai bene?»

«Sì» rispose Helen. «Tu stai bene?»

«Io sto bene» disse Alec. «Non che qualcuno me l’abbia chiesto, in

realtà.»

Mise giù l’arco e nel muoversi sussultò, ma decise che poteva

sopportare il dolore. Non c’era tempo per celebrare la vittoria: doveva

scoprire dov’era Magnus, subito.

Helen fece schioccare la lingua. «Tu non stai bene.»

Alec rimase sbigottito davanti all’espressione del suo viso, un

miscuglio di esasperazione e preoccupazione, la stessa che sapeva di

avere sempre tutte le volte che Jace o Isabelle erano sconsiderati. Era

davvero una sorella maggiore.

Helen lo fece sedere e gli tirò su la camicia, facendo una smorfia

alla vista della vescica rossa. Tirò fuori lo stilo, lo premette sulla ferita

e iniziò a tracciare un iratze. I contorni del disegno si accesero d’oro e

scomparvero nella pelle di Alec, che risucchiò l’aria tra i denti mentre

le sue terminazioni nervose venivano percorse da brividi di freddo.


Quando l’effetto della runa diminuì, sul petto restava solo una chiazza

rossa gonfia.

«Ero un pochino distratta dai muri di fiamme e dalla morte

imminente» disse Aline. «Ma, Alec, hai detto che è stato il leader della

Mano Scarlatta a farci venire qui?»

Lui assentì. «C’era uno stregone che viaggiava con noi, Shinyun

Jung. Aveva detto di essere un ex membro della Mano Scarlatta e che

stava cercando di fermarli… ma io penso che sia lei il leader che

stiamo cercando. Dobbiamo trovare Magnus. È in pericolo.»

«Aspetta» disse Helen. «Quindi stai dicendo che il tuo fidanzato

non è il leader della Mano Scarlatta, ma avevate un altro compagno di

viaggio che invece lo è? Tipo, hai la fissa di andartene in giro con i

cultisti fanatici?»

Alec lanciò un’occhiata a Aline per avere sostegno, ma lei si limitò

ad allargare le braccia, come a dire che aveva la sensazione che Helen

non avesse tutti i torti.

«No, ho la fissa di girare con i leader dei culti» ribatté Alec. Infilò la

mano in una delle tasche posteriori dei jeans e tirò fuori la sciarpa di

seta che aveva tolto a Magnus quella mattina. Ricordò che Magnus gli

aveva baciato il polso mentre lui allentava il nodo.

Alec strinse la stoffa nel pugno e si tracciò una runa di

localizzazione sul dorso della mano. Ci volle un attimo prima che

facesse effetto, poi vide file di figure tutte vestite di bianco e pareti

impossibili da scalare. Con suo grande stupore, percepì paura. Non

riusciva a immaginare che Magnus potesse avere paura di qualcosa.

Forse la paura che percepiva era la propria.

Avvertì anche una forza che lo attirava: il suo cuore era diventato

una bussola che lo guidava in una direzione precisa. A Roma. No, non

la città, ma a sud.

«L’ho trovato» disse Alec. «Dobbiamo andare.»

«Detesto dirlo, ma siamo appena sfuggiti a una trappola mortale»

disse Aline. «Come facciamo a sapere che non finiremo dritti in

un’altra?»

Helen mise una mano sul polso di Alec e glielo strinse con forza.

«Non possiamo andare» disse. «Ho già commesso troppi errori,


agendo da sola, ed è morta una persona. Qui abbiamo avuto fortuna.

Ci servono rinforzi. Dobbiamo tornare all’Istituto di Roma e spiegare

tutto.»

«La mia priorità è Magnus» ribatté Alec.

Sapeva che Helen stava solo cercando di fare la cosa giusta. Alec

ricordava la profonda frustrazione che aveva provato quando il suo

parabatai si era messo a inseguire una ragazza in ogni genere di folle

missione temeraria. La cosa assumeva tutt’altro aspetto, adesso che

era nei panni di Jace.

«Alec» disse Helen. «So che non vuoi mettere Magnus nei guai…»

«Andrò senza di voi, se è necessario» ribatté Alec.

Non poteva andare all’Istituto di Roma. Tanto per cominciare, non

voleva rispondere a una serie di domande scomode… se si fossero

insospettiti troppo avrebbero potuto far arrivare la Spada Mortale, per

costringerlo a dire la verità. In secondo luogo, non aveva tempo per

quella trafila; sentiva con assoluta certezza che Magnus era già in

pericolo. Doveva mantenere il suo segreto e doveva fare in fretta.

Avrebbe voluto che Aline e Helen lo accompagnassero, ma non

sapeva neanche come chiederglielo. Non poteva pretendere da loro

quel genere di fiducia senza riserve. Non aveva fatto niente per

meritarsela.

«Ovviamente vuoi proteggerlo» disse Helen. «Se non è colpevole,

anch’io voglio proteggerlo. Siamo Shadowhunters. Ma il modo

migliore per farlo, e per sconfiggere la Mano Scarlatta, è usare ogni

risorsa che abbiamo a disposizione.»

«No» disse Alec. «Non capisci. Pensa alla tua famiglia, Helen.

Daresti la vita per loro, lo so. Io darei la vita per la mia famiglia… per

Isabelle, per Jace.» Buttò fuori il fiato. «E per Magnus. Darei la vita

anche per lui. Sarebbe un privilegio morire per lui.»

Si divincolò dalla mano di Helen e si avviò nella direzione in cui la

runa di localizzazione lo guidava. Aline gli si parò davanti.

«Aline» disse Alec con veemenza. «Non rischierò la vita di Magnus.

Non riferirò all’Istituto, non aspetterò rinforzi. Vado da lui. Levati di

mezzo.»

«Non voglio fermarti» disse Aline. «Vengo con te.»


«Cosa?» gridò Helen.

La risposta di Aline suonò tutt’altro che convinta, ma non lasciava

spazio a repliche. «Mi fido di Alec. Sto dalla sua parte.»

Alec non sapeva cosa dire. Fortunatamente, non c’era tempo per

parlare delle emozioni. Fece un cenno di assenso a Aline e insieme

lasciarono la radura per imboccare il sentiero nel bosco.

«Aspettate» disse Helen.

Aline si girò verso di lei. Alec gettò appena un’occhiata sopra la

spalla.

Helen teneva gli occhi chiusi. «“Vai in Europa, Helen” hanno detto.

“Non puoi startene a casa per sempre, Helen. Vattene da Los Angeles,

allarga gli orizzonti. Esci con qualcuno, magari.” Nessuno ha detto:

“Un culto e i suoi demoni ti daranno la caccia per tutta l’Europa e poi

un Lightwood fuori di zucca ti condurrà al tuo triste destino.” È il

peggiore anno di studio all’estero che chiunque abbia mai avuto.»

«Be’, immagino che ti rivedrò, una volta o l’altra» disse Aline, con

espressione affranta.

«Io vado» disse Alec.

Helen sospirò e agitò la spada angelica in un gesto di disperazione.

«E va bene, pazzoide di un Lightwood. Fai strada. Andiamo a

prendere il tuo uomo.»


24

Figlia Maledetta

Scoprì che la Fossa faceva parte della villa, non era un’aggiunta

costruita dal culto: un anfiteatro circolare in pietra, incassato nel

terreno. Gradinate di pietra conducevano a un prato circolare al

centro, sul quale era stata eretta una piattaforma sopraelevata di assi

di legno grezzo. Due scalinate di pietra, una di fronte all’altra,

consentivano di salire sugli spalti o di scendere a livello del suolo, e

lungo le gradinate erano state sistemate panche di legno. Il prato era

semplice, fatta eccezione per diversi fiori di luna piantati

maldestramente in file che si intrecciavano a casaccio. La maggior

parte dovevano essere stati schiacciati dalla piattaforma di legno. I

seguaci del culto non mostravano alcun apprezzamento per il duro

lavoro del giardiniere, pensò Magnus.

Le file e file di panche erano gremite di seguaci. I posti erano tutti

occupati e c’erano altre persone che si accalcavano dietro. Magnus

supponeva che se lui doveva essere uno spettacolo, perlomeno c’era il

pienone.

I seguaci sedevano immobili e in silenzio. Erano vestiti tutti nello

stesso modo, con orrendi fedora e completi bianchi, con camicia

bianca e cravatta bianca. I conti della lavanderia del culto dovevano

essere astronomici.

I due uomini che un po’ scortavano e un po’ trascinavano Magnus

lo condussero giù per le scale, poi lo gettarono senza tanti

complimenti sul prato nei pressi della piattaforma. Magnus si

appoggiò sulle mani e sulle ginocchia, si alzò in piedi, salutò la folla

con la mano e fece un inchino plateale.

Non voleva morire in quella fossa banale, circondato dai pallidi

fantasmi di errori del passato, ma se doveva morire, aveva in mente di


farlo con stile. Non avrebbe permesso a nessuna di quelle persone di

vederlo strisciare.

Shinyun arrivò sul prato, gli abiti di un bianco luminoso

nell’oscurità della notte, e indicò in direzione di Magnus. Bernard, che

la seguiva, puntò una spada alla gola di Magnus.

«Vestitelo di bianco» disse Shinyun «così il marchio della Mano

Scarlatta si mostrerà su di lui.»

Magnus incrociò le braccia e alzò la voce e le sopracciglia. «Puoi

avvelenarmi e gettarmi in una segreta. Puoi picchiarmi e persino

sacrificarmi a un Demone Superiore. Ma mi rifiuto categoricamente di

indossare un abito bianco per un evento serale.»

Bernard agitò la spada verso la gola di Magnus. Lui guardò la lama

curva con sprezzo. Appoggiò un dito sulla punta affilata e la spostò di

lato. «Non mi colpirai. Sono l’attrazione principale. A meno che voi

ragazzi non abbiate in mente di sacrificare Shinyun ad Asmodeo.»

Gli occhi di Shinyun erano due pozze gemelle di odio. Bernard

sobbalzò nervosamente e fece un rapido passo indietro.

Diversi seguaci del culto tennero fermo Magnus mentre Shinyun gli

si scagliava contro, assestandogli un calcio volante all’indietro al petto

e un altro allo stomaco, costringendolo a piegarsi in due. Mentre

lottava per rimettersi in piedi senza vomitare, lo costrinsero a

indossare una tunica bianca.

Bernard lo tirò in piedi afferrandolo per le braccia. Magnus guardò

la folla implacabile con gli occhi appannati dal dolore.

«Guardate, il Grande Veleno!» urlò Shinyun. «Il nostro fondatore. Il

profeta che ci ha riuniti e poi ci ha traviati.»

«È un onore essere nominato» disse Magnus senza fiato.

Si guardò attorno con attenzione, anche se aveva ben poche

speranze di cavarsela. Notò diversi demoni Raum che sorvegliavano

gli ingressi della galleria come maschere. Sopra la sua testa passarono

parecchie creature volanti di grandi dimensioni. Era troppo buio per

capire cosa fossero, ma di sicuro erano demoni di qualche tipo, a

meno che non fossero tornati i dinosauri.

«Non esiste possibilità di fuga» disse Shinyun.

«E chi cerca di fuggire?» ribatté Magnus. «Lascia che mi


complimenti con te per l’elevata qualità tecnica del tuo rito

demoniaco. Confido nel fatto che ci sia un bar ben fornito, o no?»

«Zitto, Grande Veleno» disse il seguace alla sua sinistra, che gli

stringeva una spalla in modo non particolarmente amichevole.

«Sto solo dando dei suggerimenti» rispose Magnus. «Magari

possiamo sistemare le cose in maniera civile, con il che intendo una

conversazione davanti a un drink.»

Bernard lo colpì in faccia. Magnus sentì il sapore del sangue mentre

lo sguardo di Shinyun si illuminava di piacere.

«Immagino di no» disse Magnus. «E allora che rituale di morte

demoniaco da gladiatore sia.»

Shinyun amplificò magicamente la voce, che tuonò sopra la sua e

riecheggiò in tutto l’anfiteatro.

«Il Grande Veleno è un falso profeta di falsi insegnamenti! Davanti

a voi, fratelli e sorelle, lo abbatterò e assumerò il mio posto come

vostro legittimo leader, e poi offrirò questo indegno buffone in

sacrificio a mio padre. Asmodeo sorgerà in gloria. La figlia di

Asmodeo sarà la vostra guida!»

La folla si riscosse dal suo silenzio inquietante. I seguaci del culto

iniziarono a cantilenare. «Figlia Maledetta. Figlia Maledetta.»

Magnus fu trascinato sul piccolo palco. Attraverso la nebbia di

sofferenza e disorientamento notò che i seguaci del culto stavano ben

attenti a non calpestare le file di fiori di luna che bordavano e

crescevano sotto la piattaforma di legno.

Bernard aveva appena finito di spargere sale su un pentacolo al

centro del palco. Mani rudi afferrarono Magnus per i gomiti e lo

gettarono nel pentacolo. Magnus si mise seduto, con le gambe

incrociate, e si sforzò di assumere un’aria indifferente. Bernard iniziò

ad articolare faticosamente l’incantesimo che avrebbe sigillato il

pentacolo.

Dopo un po’ Magnus sbadigliò rumorosamente. «Ti serve aiuto?»

Bernard avvampò. «Sta’ zitto, Grande Veleno. So quello che faccio.»

«Se fosse così, non saresti qui. Fidati.»

Sarebbe stato un pentacolo debole e fragile in modo offensivo. Se

Magnus avesse avuto la sua magia, l’avrebbe dissipato come niente.


Bernard terminò il suo incantesimo e si affrettò ad arretrare, mentre

da ogni punta del pentacolo si levava una pioggia di scintille. Magnus

agitò le braccia per tenere a distanza le braci e, dopo un attimo, alcuni

dei presenti si resero conto che il fuoco poteva costituire un problema

con la piattaforma di legno e iniziarono anche loro ad agitare le

braccia e i cappelli in direzione delle scintille per disperderle.

Il rituale stava cominciando sul serio.

Shinyun stese una mano e uno dei seguaci le appoggiò la samgakdo

sul palmo. Lei avanzò a grandi passi, con la lama puntata alla gola di

Magnus. Mosse la mano, ferendolo appena sotto il pomo d’Adamo,

un taglio superficiale e una fitta di dolore. Magnus abbassò lo sguardo

e vide il rosso gocciolargli sui vestiti bianchi.

«Hai dell’acqua gasata?» disse a Shinyun. «Queste macchie non

verranno più via a meno che non le togliamo alla svelta.»

«Sarai cancellato» disse Shinyun. «Verrai dimenticato. Prima, saprai

cosa hai perso. È tempo di ricordare, Grande Veleno.»

Shinyun iniziò a lanciare un incantesimo. La folla riprese a

cantilenare “Figlia Maledetta”, a voce più bassa di prima. Sopra

l’anfiteatro si ammassarono nuvole nere e attorno alla villa si schiantò

il fulmine, una, due, tre volte. Le nuvole presero a mulinare

vertiginosamente in cerchio formando un vortice che, ipotizzò

Magnus, costituiva l’inizio del legame tra questo mondo e l’altro.

Una voce nella testa di Magnus, spaventosa come una porta che si

apre sull’oscurità più fitta, disse: Sì, è tempo di ricordare. È tempo di

ricordare tutto.

Al centro del vortice di nuvole comparve un’accecante luce bianca e

iniziò a materializzarsi la punta di un imbuto. Strisce di fumo o insetti

o elettricità statica nera sciamavano sulla luce bianca. La punta

dell’imbuto iniziò a scendere dal cielo dritta verso Magnus, che attese

impotente l’arrivo della tempesta. Chiuse gli occhi.

Non voleva morire in quel modo, per mano di uno stregone ferito

pieno di rabbia, davanti a idioti fuorviati e malvestiti, con tutti gli

stupidi errori del passato che arrivavano a inghiottire la possibilità del

suo futuro. Se fosse morto, non voleva che il rimpianto fosse l’ultimo

sentimento che aveva provato.


Così pensò ad Alec.

Alec, con le sue strazianti contraddizioni, timido e coraggioso,

spietato e tenero. I suoi occhi azzurri e l’espressione del suo viso

quando si erano baciati per la prima volta. E l’ultima. Magnus non

aveva pensato che quel bacio sarebbe stato l’ultimo. Ma nessuno può

saperlo, qual è l’ultimo bacio.

Magnus vide tutti i suoi amici più cari. Tutti i mortali perduti e tutti

quelli che sarebbero vissuti. Sua madre, che non era mai riuscito a far

ridere; Etta dalla bellissima voce che aveva continuato a farlo ballare;

il suo primo amico Shadowhunter, Will. Ragnor, il maestro, che se

n’era andato prima. Catarina, le sue mani risanatrici e l’infinita grazia.

Tessa dal cuore saldo e dal grande coraggio. Raphael, che avrebbe

storto il naso davanti a quel sentimentalismo. La sua Clary, la prima e

unica bambina che Magnus avesse visto crescere, e la guerriera che

sapeva sarebbe diventata.

E poi ancora Alec.

Alec che saliva di corsa i gradini della sua casa in arenaria rossa a

Brooklyn per chiedergli di uscire. Alec che lo teneva stretto nell’acqua

gelida, offrendogli tutta la sua forza. La bellissima sorpresa della

bocca calda di Alec, le mani salde e forti, nella sala dei suoi antenati

angelici. Alec che faceva da scudo ai Nascosti nel palazzo di Venezia,

che arrivava in soccorso di Magnus attraverso una nuvola di demoni,

tentando di difenderlo ovunque e sempre. Alec che ogni volta

anteponeva Magnus al Conclave, senza esitazione. Alec che per

proteggere Magnus e custodire i suoi segreti si ribellava alle Leggi a

cui aveva consacrato la vita.

Magnus non aveva mai pensato di aver bisogno di protezione.

Aveva pensato che lo avrebbe reso debole. Si era sbagliato.

La paura scomparve. Tremante, a malapena in grado di muoversi,

con le tenebre che si chiudevano sopra di lui, Magnus provò solo

gratitudine per la sua vita.

Non era pronto alla morte, ma se doveva arrivare quel giorno,

l’avrebbe affrontata a testa alta e con il nome di Alexander Lightwood

sulle labbra.

Arrivò il dolore, devastante e improvviso. Magnus urlò.


25

Catene di magia

Alec prese la Maserati e seguì le indicazioni della runa di

localizzazione, percorrendo una strada tortuosa che girava intorno a

una montagna. Helen e Aline gli gridavano di rallentare. Lui non lo

fece, prendendo le curve a rotta di collo. Helen gli diede una botta

sulla spalla e poi rimase a fissare.

«Per l’Angelo» disse. «Un tornado.»

Sembrava un tornado. Un tornado dall’aspetto stranissimo, fatto di

spirali nere di nuvole con un accecante bagliore bianco al centro, che

vorticava nel cielo sopra una villa in rovina appollaiata in cima a una

montagna. Illuminava il cielo notturno di un chiarore malato.

Fermarono l’auto a metà della strada ripida e lo osservarono.

«Credi che sia quello, il posto?» chiese Aline asciutta.

«Sono contentissima di non aver chiesto nessuno stupido rinforzo»

borbottò Helen.

A intervalli regolari il vortice ribollente era percorso da fulmini che

spaccavano il cielo a metà. Poi seguiva un tuono che faceva tremare

l’aria e il terreno sotto i loro piedi, troppo vicino per essere naturale.

«Devo tirare Magnus fuori di lì» disse Alec. Mandò su di giri il

motore della Maserati, lanciandola sulla strada a tutta velocità. Helen

e Aline si aggrapparono disperatamente l’una all’altra mentre l’auto

sbandava sui tornanti.

Alla fine della strada c’erano massicci cancelli di ferro oltre i quali

vedevano il corpo principale della villa. Da entrambi i lati dei cancelli

alti bastioni di pietra correvano in ampie curve accanto e dietro

l’edificio, racchiudendo la proprietà.

Uno dei cancelli era aperto, ma due seguaci del culto sorvegliavano

l’ingresso, entrambi con abiti e cappelli bianchi che sembravano


emanare luce nell’oscurità.

Alec lasciò la macchina dietro l’ultima curva della strada, dove non

era visibile dai cancelli. Scesero dall’auto e si allontanarono furtivi di

cinque o sei metri, senza che le guardie li notassero. A un segnale,

Aline uscì dal nascondiglio e fece un cenno con la mano. Come

avevano immaginato, il leader del culto aveva fatto in modo che

l’invisibilità non funzionasse sulla Mano Scarlatta, ma loro avevano

pianificato di usare la visibilità a proprio vantaggio. Nella frazione di

secondo in cui le guardie si girarono verso di lei, Alec tirò una pietra

alla sentinella di sinistra colpendola in mezzo agli occhi e mandandola

al tappeto. Quando l’altro uomo si girò per vedere cos’era successo al

suo compare, Helen scattò fulminea e lo gettò a terra con violenza.

Una gomitata più tardi, era fuori combattimento pure lui.

Legarono velocemente le due guardie e le trascinarono dietro dei

cespugli prima di avanzare sul terreno della villa. Il vialetto anteriore

era pieno di automobili parcheggiate a casaccio.

Alec contò altre due sentinelle che presidiavano la porta d’ingresso

e un’altra manciata di persone che gironzolavano intorno, ma per il

resto il posto era stranamente tranquillo. «Dove sono tutti quanti?» si

chiese.

«Ovunque punti la runa di localizzazione, probabilmente» rispose

Helen.

Alec fece strada sul fianco della villa, rasente i bastioni più esterni,

finché non arrivarono sul retro dell’edificio principale. Le mura

continuavano, ma fitti giardini inselvatichiti impedivano di vedere

oltre. Controllò di nuovo la runa di localizzazione e indicò i giardini.

«Di là.»

«Notizia fantastica» disse Aline. «Quel posto sembra un ginepraio

insidioso.»

Helen annuì. «Dritto verso il tornado di morte.»

Una volta che si furono addentrati nei giardini, non erano più

visibili dalla casa. Dovettero farsi strada tra rampicanti pieni di spine

e rami fittissimi, ma il vento ululava e soffiava con tale violenza che

Alec era sicuro non potesse sentirli nessuno. Avanzarono strisciando

sui terreni della villa, spostandosi da un riparo all’altro, finché il


giardino si aprì in una radura. All’estremità opposta c’erano le rovine

di un alto muro di pietra.

Aline inspirò bruscamente.

Una gigantesca lucertola bipede con una fila di denti seghettati

sulla fronte marciava avanti e indietro davanti al muro. Aveva anche

una seconda bocca, più in basso, irta di zanne gocciolanti. La coda che

frustava l’aria era bordata di rasoi.

Alec strizzò gli occhi. «Demone Rahab.» Ne aveva combattuti

parecchi solo pochi mesi prima.

Aline rabbrividì e chiuse gli occhi. «Odio i demoni Rahab» disse

con forza. «Ne ho combattuto uno nella guerra e li odio.»

«Forse non ci ha visti» suggerì Helen.

«Ci ha fiutati» disse Aline cupa.

Alec si accorse che a Aline tremavano le mani e che le nocche che

stringevano l’elsa della spada erano sbiancate. Helen allungò una

mano e la mise su quella di Aline. Aline le sorrise con gratitudine,

rilassando la stretta.

Helen parlò a bassa voce. «Magari il vento disperderà il nostro

odore.»

Il demone dall’aspetto di lucertola sollevò il muso, assaggiò l’aria

con la lingua e guardò nella loro direzione.

Alec puntò l’arco con espressione cupa. «Be’, finora la fortuna è

stata dalla nostra parte.» Senza aggiungere altro, piantò una freccia

nel petto del demone, facendolo barcollare. Prima che la freccia

colpisse il bersaglio, Helen scattò, coprendo la distanza che la

separava dal Rahab in un battito di ciglia. Un fendente appena sopra il

ginocchio lo fece ululare di dolore, dopodiché Helen si spostò

agilmente fuori portata mentre il demone la attaccava con gli artigli

giganteschi. Più rapida di quanto sembrasse possibile, la lunga coda

spazzò il terreno e falciò Helen, facendole perdere l’equilibrio.

Anche Aline si era avvicinata e a quel punto fece un balzo e affondò

i pugnali nella schiena del mostro. Il demone si lasciò sfuggire un

lamento acuto, quasi inudibile. Aline estrasse i pugnali e gli piantò la

lama nel collo. Il demone arretrò e le si avventò contro usando la

lingua come una frusta. Aline si abbassò per evitarla e vendette cara la


pelle, colpendo ripetutamente il demone con una furia che Alec non le

aveva mai visto e lasciandolo sanguinante da centinaia di ferite.

Finalmente saltò, fece una capriola in aria e atterrò in piedi sull’erba

soffice. Ciò diede ad Alec la visuale libera di cui aveva bisogno. Prese

la mira rapidamente e scoccò un’altra freccia nel collo del demone, che

crollò a terra con fragore e scomparve, lasciandosi dietro un odore

disgustoso e strisce di icore sull’erba calpestata lungo il muro.

Aline si avvicinò a Helen e le tese la mano. Helen ebbe un attimo di

esitazione, poi la prese e lasciò che Aline la aiutasse a rimettersi in

piedi.

«Grazie per l’aiuto» disse Helen.

Alec mise via l’arco e lasciò il sottobosco al margine del giardino,

unendosi a loro vicino al muro. «Voi due siete una squadra piuttosto

valida.»

Helen parve compiaciuta. «Vero» concordò.

«Anche tu hai contribuito» aggiunse Aline lealmente. Alec la

guardò inarcando un sopracciglio.

Recuperò le frecce da terra nel punto in cui il demone era svanito.

Fece strada verso il punto più basso del muro in rovina, che si elevava

ancora ben più alto della loro testa, ma non costituiva un problema

per Shadowhunter allenati.

Dall’altra parte del muro c’era un edificio diroccato, più piccolo di

quello principale. Davanti a esso c’erano sei seguaci del culto, armati

fino ai denti e visibili come neon nei loro abiti bianchi.

«La runa di localizzazione segnala quella direzione» disse Alec a

bassa voce, indicando la porta dell’edificio in rovina di fronte a loro.

«Dritto in mezzo ai fanatici» disse Helen stancamente. «Ovvio.»

«Non c’è problema» ribatté Aline, portando una mano alla cintura

delle armi. «Sono di umore bellicoso.»

«Okay» disse Alec. «Se ci sparpagliamo…»

Si interruppe quando un urlo squarciò la notte. Un lungo grido di

sofferenza e orrore, straziante e insopportabile, che gli arrivò dritto

all’anima. La voce era inconfondibile.

Si lasciò sfuggire un grido di sgomento senza nemmeno rendersene

conto.


«Alec» gli disse Helen all’orecchio, afferrandolo per la camicia con

la mano sottile. «Stai calmo. Andiamo da lui insieme.»

Il grido di Magnus si spense, ma Alec aveva già dimenticato tutte le

sue strategie, tutti i piani. Scattò in avanti, brandendo l’arco come una

clava.

I seguaci del culto si girarono stupiti, ma lui gli era già addosso.

Colpì il più vicino all’addome mentre gli passava accanto, poi si voltò

e fece roteare l’arco sopra la testa, centrando il secondo in faccia. Il

terzo fece partire un pugno che Alec bloccò con la mano libera. Ruotò

il polso e obbligò l’uomo a contorcersi, poi lo gettò a terra.

Combattere contro i mondani era troppo facile.

Helen e Aline lo raggiunsero di corsa, entrambe brandendo una

lama. Quando videro altri due Shadowhunters infuriati unirsi a quello

che aveva mandato al tappeto i loro compari, i tre superstiti lasciarono

cadere le armi e si diedero alla fuga.

«Ecco!» urlò Aline. «E piantatela di adorare demoni!»

«Stai bene, Alec?» chiese Helen.

Alec ansimava forte. «Ho sfogato un po’ di aggressività.»

«È così che fanno gli Shadowhunters» concordò Aline.

«Non starò bene finché non raggiungiamo Magnus» disse Alec.

Helen annuì. «Allora andiamo.»

Scavalcarono i seguaci del culto, attraversarono di corsa l’edificio

diroccato, vuoto tranne polvere e ragnatele, e sbucarono dall’altra

parte in…

Un anfiteatro.

Aveva l’aria di essere antico ed era interrato, con gradinate di

pietra. Sugli spalti una folla di seguaci della Mano Scarlatta, tutti

vestiti con gli stessi abiti bianchi, osservava l’azione. Una lunga rampa

di gradini in pietra conduceva a un’ampia piattaforma di legno eretta

sull’erba, che fungeva da palco. Alec individuò subito Magnus: in

ginocchio, la testa penzoloni, al centro di un pentacolo di sale.

Shinyun torreggiava sopra di lui, con in mano una spada. Il

maelstrom che avevano visto da lontano adesso era vicino e scendeva

come un imbuto verso Magnus, un vortice di cenere e luce. Sembrava

che l’intera piattaforma stesse per essere inghiottita dal maelstrom o


spazzata via dal fuoco.

Alec partì di corsa verso la piattaforma.


26

Antichi peccati

La terra tremò, l’aria pulsò e Magnus sentì centinaia di punture di

spillo da tutte le parti. Una forza si impadronì della sua mente e la

strizzò, schiacciandola e tirandola come pasta di pane fino a darle una

forma completamente diversa. Gridò.

Il lampo accecante della sofferenza cancellò la realtà. Quando

Magnus recuperò la vista, vide una stanzetta con il soffitto intonacato

e udì una voce familiare pronunciare il suo nome.

«Magnus.»

Il possessore di quella voce era morto.

Si girò lentamente e vide Ragnor Fell, seduto a un tavolo di legno

rovinato davanti a Magnus… un secondo Magnus. Un Magnus più

giovane, meno ridotto all’impotenza da un dolore straziante. Avevano

entrambi in mano grosse tazze di latta, erano tutti e due piuttosto in

disordine e parecchio ubriachi. I capelli bianchi di Ragnor erano

aggrovigliati intorno alle corna, come nuvole impigliate nei reattori di

un jet. Le guance verdi erano avvampate di smeraldo scuro.

Aveva un aspetto assurdo. Era bello rivederlo.

Magnus si rese conto di essere intrappolato all’interno della propria

memoria, costretto ad assistere.

Si avvicinò a Ragnor e lui allungò una mano sopra il tavolo.

Magnus avrebbe voluto essere la persona che il suo amico aveva

davanti. La speranza fu sufficiente; sentì che il suo io passato e quello

presente si avvicinavano, fondendosi in un unico corpo. Magnus fu di

nuovo l’uomo che era stato, in procinto di ritrovarsi faccia a faccia con

le cose che aveva fatto.

Ragnor disse gentilmente: «Sono in pensiero per te».

Magnus agitò la tazza con studiata indifferenza. La maggior parte


del contenuto si versò sul tavolo. «Mi sto divertendo.»

«Sul serio?» chiese Ragnor.

I fantasmi dell’antica sofferenza bruciarono dentro di lui, tornando

per un attimo vivi e impetuosi. Il suo primo amore, quello che non

l’aveva abbandonato, era morto di vecchiaia tra le sue braccia. Da

allora c’erano stati troppi tentativi di trovare l’amore. Aveva già perso

troppi amici ed era ancora troppo giovane per sapere come affrontare

la perdita.

E c’era anche un’altra cosa.

«Se non mi diverto adesso» ribatté Magnus «devo solo provarci con

più convinzione.»

«Da quando hai scoperto chi era tuo padre, non sei più lo stesso.»

«Certo che no!» disse Magnus. «Sono stato ispirato a creare un culto

in suo onore. Un culto per fare tutte le cose più assurde che mi

vengono in mente. Fallirà in modo spettacolare, oppure sarà lo

scherzo più grandioso della storia. Non c’è nessun rovescio della

medaglia.»

Non era così che avevano parlato, centinaia di anni prima, ma nel

corso del tempo i ricordi si erano modificati e sia lui che Ragnor

usavano le parole e i modi di dire del presente. La memoria era una

cosa strana.

«Doveva essere uno scherzo» disse Ragnor.

Magnus tirò fuori il suo borsellino rigonfio e lo capovolse. Sul

tavolo si riversarono centinaia di pezzi d’argento. I ladri presenti nella

taverna ammutolirono.

Tutta l’esistenza di Magnus era uno scherzo. Aveva passato così

tanto tempo nel tentativo di dimostrare che il suo patrigno aveva

torto, e adesso saltava fuori che suo padre era un Principe

dell’Inferno.

Sollevò le braccia sopra la testa. «Un giro per tutti!»

Gli avventori proruppero in acclamazioni. Quando tornò a girarsi

verso Ragnor, vide che anche lui rideva, scuotendo la testa e dando

una bella sorsata alla pinta appena arrivata.

«Oh, be’» disse Ragnor. «Sono riuscito a dissuaderti dalle tue idee

balzane, ossia tutte le tue idee, tipo, vediamo… neanche una volta.»


Se Magnus riusciva a far ridere tutti gli altri, di sicuro avrebbe

avuto la sensazione di essere lui a ridere. Se fosse stato un compagno

abbastanza spassoso, non sarebbe mai rimasto solo, e se avesse finto

che andasse tutto bene, sicuramente alla fine sarebbe diventato vero.

«Va bene» continuò Ragnor. «Diciamo che hai avviato un culto per

scherzo. Cosa pensi di fare?»

Magnus sogghignò. «Oh, ho un piano. Un piano fantastico.» Agitò

le dita, facendo scaturire scintille di elettricità che rimbalzarono sui

pezzi d’argento sparsi sul tavolo. «Ecco cosa ho intenzione di fare…»

Le variopinte pareti di legno della taverna, decorate con armi, scudi

e teste di animali, svanirono. Ragnor, insieme a tutto il resto, si

trasformò in polvere. Magnus rimase a fissare tristemente lo spazio

vuoto prima occupato dal suo più vecchio amico.

Poi era in un locale diverso in uno scenario diverso, in un altro

paese, a chiedere a una folla di persone se si erano mai sentite sole, se

avevano mai desiderato appartenere a qualcosa di più grande di loro.

Beveva vino rosso da un calice e mentre agitava una mano in

direzione della stanza, vide i boccali di tutti gli altri riempirsi di birra.

Magnus evocò il nome di Asmodeo e il locale pieno di gente fu

percorso da risate di stupore e di gioia.

Il soffitto si dissolse, sostituito dal cielo aperto, e centinaia di stelle

ammiccanti presero il posto dei lampadari. I pavimenti di legno

ricoperti di folti tappeti si trasformarono in verdi campi erbosi bordati

da una fila di cespugli ben curati, con una fontana su un lato. Magnus

alzò una mano e notò la flûte di champagne piena a metà di bollicine

dorate.

«Grande Veleno!» intonavano i suoi seguaci. «Grande Veleno!»

Magnus fece un gesto elaborato e comparve un tavolo pieno di

calici da vino disposti a piramide. Dalla cima si riversò del vino

bianco, riempiendo mano a mano i bicchieri sottostanti e creando una

bellissima cascata. Un’acclamazione entusiasta percorse la folla e quel

suono quasi portò con sé il cuore di Magnus.

Brindò alla loro ultima razzia del tesoro di un conte corrotto, che

era stato distribuito agli ospedali. I suoi seguaci pulivano le strade

cittadine, davano da mangiare ai poveri, pitturavano le volpi di


azzurro.

Tutto in nome di Asmodeo.

Il culto era uno scherzo. La vita era uno scherzo e il fatto che la sua

non sarebbe mai finita era la pessima battuta finale.

Magnus si avvicinò alla pira gigantesca che ardeva al centro del

galà. I presenti, seduti sul bordo delle sedie, si presero per mano e

caddero in ginocchio quando apparve la sagoma esagerata di

Asmodeo che torreggiava sopra di loro. Magnus aveva passato la

maggior parte della settimana lavorando a quell’illusione ed era

particolarmente fiero del risultato.

Si aspettava che la folla esultasse di nuovo, ma era silenziosa.

L’unico rumore era il crepitare delle fiamme.

«Non è forse un’occasione speciale?» disse l’enorme Asmodeo

bianco scintillante ai suoi fedeli adoratori. «Una manica di buffoni

guidati dal principe dei buffoni, che innalza un mio fantoccio in

un’assurda parodia di adorazione.»

Sul luogo del raduno era scesa l’immobilità che aleggia sul campo

dopo la fine di una battaglia. Tutti i seguaci erano inginocchiati in

silenzio.

Oh, no.

«Ciao, figliolo» disse Asmodeo.

Il vortice vertiginoso in cui Magnus era immerso si bloccò di colpo

con un sussulto. Si era fatto beffe del nome di Asmodeo, si era burlato

dell’idea di culto. Aveva voluto che le sue azioni riverberassero nel

cielo, che sfidassero entrambi i suoi padri.

Magnus aveva fatto tutto ciò perché sapeva che chiunque avesse

chiamato, non sarebbe venuto nessuno.

E invece qualcuno era venuto. Suo padre era venuto per

distruggerlo.

Magnus si ritrovò paralizzato, senza poter muovere neanche un

dito. Non poté fare altro che rimanere a guardare mentre Asmodeo

usciva dalla pira e gli si avvicinava senza fretta.

«Molti mi hanno adorato» disse Asmodeo «ma raramente il mio

nome è stato invocato a gran voce da così tanta gente. La cosa ha

attirato la mia attenzione, e poi ho visto chi era il loro leader. Cercavi


di metterti in contatto con me, figlio mio?»

Magnus provò a parlare, ma aveva la mascella bloccata da una

magia sconosciuta. Dai denti serrati gli uscì solo un debole lamento.

Incontrò lo sguardo di Asmodeo e scosse la testa con fermezza.

Poteva anche non riuscire a parlare, ma voleva che il suo totale rifiuto

fosse chiaro.

Le fiamme vive degli occhi di Asmodeo si incupirono per un

istante.

«Grazie per aver riunito questi seguaci per me» sibilò alla fine. «Stai

pur certo che ne farò buon uso.»

Il viso di Magnus si ricoprì di sudore. Lottò di nuovo per parlare, e

di nuovo non ci riuscì.

Asmodeo fece lampeggiare le file di denti aguzzi.

«Quanto a te, come qualunque bambino che ha sbagliato, la tua

insolenza dev’essere punita. Non ricorderai ciò che hai fatto e non ne

trarrai alcuna lezione, perché la memoria del giusto è una

benedizione, mentre il nome degli empi marcisce.»

Le parole erano prese dalla Bibbia; i demoni citavano spesso le

Sacre Scritture, soprattutto quelli che avevano pretese di regalità.

No, Magnus quasi lo implorò. Lascia che ricordi, ma Asmodeo gli

aveva appoggiato sulla fronte la mano ossuta simile a un artiglio. Il

mondo divenne di un bianco accecante, e poi piombò nelle tenebre.

Magnus tornò in sé, nel presente, in ginocchio davanti ai membri

del suo culto, con di nuovo i ricordi che il padre gli aveva portato via.

Shinyun era in piedi davanti a lui e si era chinata, portando la faccia

vicinissima alla sua.

«Hai visto?» disse. «Hai visto cos’hai fatto? Hai visto cosa avresti

potuto avere?»

La prima emozione che Magnus provò fu il sollievo. In un angolo

della mente si era sempre tormentato riguardo a ciò di cui era

veramente capace. Sapeva cos’era: il figlio di un demone, un rampollo

della nobiltà dell’Inferno, sempre spaventato dalle proprie

potenzialità. Aveva avuto così tanta paura di aver fondato il culto con

intenzioni malvagie, di averlo usato per scopi orribili, forse di essersi

cancellato da solo i ricordi, per non dover mai affrontare ciò che aveva


fatto.

E invece no. Era stato un idiota, ma non era stato malvagio.

«Ho visto» rispose piano.

Il secondo sentimento fu la vergogna.

Lottò per rimettersi in piedi. Si girò a osservare la folla, quell’orda

di mondani che aveva messo insieme per sbaglio e trasformato in

seguaci di un culto con uno scherzo sconsiderato, quella banda di

allocchi che probabilmente cercavano solo qualcosa di più grande in

cui credere, l’assicurazione che la loro vita avesse significato, la

certezza di non essere soli al mondo. Magnus ricordò di aver provato

così tanta sofferenza da aver dimenticato che le altre persone avevano

importanza. Si era preso gioco delle loro vite. Se ne vergognava, e non

voleva che Alec conoscesse la persona che aveva fatto una cosa simile.

Stava sforzandosi di essere un uomo diverso da moltissimi anni. E,

si rese conto, non provava più quel dolore feroce che l’aveva

consumato tanto tempo prima, quando si era ubriacato insieme a

Ragnor. Soprattutto da quando aveva incontrato Alec.

Alzò la testa e parlò con voce chiara. «Mi dispiace.» Fu accolto da

un silenzio sbigottito. «Molto tempo fa, pensai che fosse divertente

fondare un culto. Mettere insieme un gruppo di mondani per fare

qualche scherzo e giocare un po’. Ho cercato di rendere la vita meno

seria di quanto non sia. Lo scherzo è finito male. Secoli dopo, voi tutti

state pagando il prezzo della mia follia. Sono sinceramente dispiaciuto

per questo.»

«Cosa stai facendo?» chiese Shinyun alle sue spalle.

«Non è troppo tardi» gridò Magnus. «Potete voltare le spalle a tutto

questo, rinunciare a demoni che non sono dei e alla follia degli

immortali. Vivete la vostra vita.»

«Chiudi il becco!» gli urlò Shinyun. «Questi sono i tuoi devoti! I

miei devoti! La loro vita ci appartiene e possiamo farne ciò che

vogliamo! Mio padre ha ragione. Sei il più stupido di tutti, il principe

dei buffoni, e parlerai come un folle finché qualcuno non ti taglierà la

gola. Lo farò io stessa. Lo farò per mio padre.»

Si mise davanti a Magnus e si rivolse alla folla.

«Adesso è il momento della svolta. È il momento in cui voi, fratelli


e sorelle, sarete elevati sopra tutti gli altri, persino sopra gli angeli,

non tenuti a rispondere a nessuno eccetto i demoni e gli stregoni più

potenti. Siederete ai piedi del trono di mio padre!»

Fece una pausa e attese speranzosa, aspettandosi un’acclamazione.

Non arrivò. Magnus vide scoppiare il caos in cima ai gradini di pietra,

in fondo all’anfiteatro. I seguaci si affollarono in cima ai gradini e

furono respinti indietro con violenza; parecchi di loro caddero dalle

scale e dagli spalti.

Shinyun vacillò. Fece un gesto in direzione delle guardie vicino al

palco.

Il trambusto si stava diffondendo e aumentava di intensità. Magnus

non riusciva a vedere cosa stava succedendo: sembrava fosse

scoppiata una rissa, con i seguaci che venivano gettati giù dalle scale e

uno sopra l’altro con grande slancio. Le guardie meglio armate vicino

al palco faticavano a farsi largo tra la folla per arrivare al tafferuglio.

Magnus avvertì un fremito di speranza. Forse alcuni dei membri

del culto avevano avuto un ripensamento riguardo al loro piano

stupido e pericoloso. Magari si sarebbero messi a litigare fra loro – i

fanatici lo facevano spesso – dimenticandosi di lui, e di Asmodeo.

Forse…

«A quanto pare» disse Shinyun, con il pugno illuminato di un

bagliore arancione, «mi tocca fare tutto da sola.»

Si avvicinò al bordo del palco. Ma proprio quando stava per

arrivare al perimetro, andò a sbattere contro una barriera invisibile e

fu scagliata all’indietro con violenza. Il cerchio di sale e i fiori di luna

si accesero di un fuoco pallido.

Magnus si irrigidì mentre capiva: i fiori di luna che bordavano il

palco non erano meramente decorativi. Seguì con lo sguardo le file di

fiori che correvano sotto la piattaforma. Insieme formavano un

gigantesco pentacolo. Un pentacolo molto più grande e più potente.

Ma chi l’aveva fatto? Non Shinyun: pareva scioccata di essere

intrappolata al suo interno.

Shinyun si rialzò e fissò i fiori di luna. Tentò nuovamente di

andarsene, solo per essere respinta ancora più energicamente per la

seconda volta. Gemette.


Bernard era in piedi appena fuori dal pentacolo e li osservava con

una certa aspettativa.

Shinyun gli sibilò: «Questo cosa significa?».

Bernard le rivolse un inchino beffardo. «Le mie scuse più sentite,

Figlia Maledetta. Il fatto è che, benché capiamo che tu appartieni alla

nostra frangia più militante e assassina, questo culto è sempre stato

rivolto più al piacere edonistico che non alla stretta osservanza del

male. La Mano Scarlatta ha convenuto di non voler obbedire alle tue

regole prive di gioia né è disposta a sottostare alla tua guida un po’

troppo rigida.»

«Guarda, guarda» disse Magnus in tono vagamente ironico.

«Sei di parere contrario, Grande Veleno?» gli chiese Bernard.

«Niente affatto» rispose Magnus. «Che il divertimento abbia

inizio.»

Shinyun fissò Bernard, poi le facce dei seguaci seduti in file attorno

a lei. Quella gente non era lì per guardare il suo profeta, si rese conto

Magnus. Si erano riuniti in quel posto per assistere a uno spettacolo di

sangue e tradimento.

«Ma io sono una di voi» obiettò Shinyun, con forza. «Il mio posto è

con voi. Sono il vostro leader.»

Bernard lanciò un’occhiata a Magnus. «Con tutto il dovuto rispetto

al Grande Veleno, sappiamo con quanta facilità si può rimpiazzare un

leader.»

«Che cosa avete fatto?» chiese Shinyun.

Bernard disse: «Non sei l’unica che può comunicare con Asmodeo.

Non sei l’unica capace di evocare demoni per servirti».

«Oh» disse Magnus. «Oh, no.»

Bernard continuò, in tono trionfante: «Lui viene quando lo

chiamiamo!».

Magnus chiuse gli occhi. «Il male lo fa sempre.»

Fuori dal pentacolo c’era gente che urlava, demoni che ruggivano e

sagome scure nel cielo. All’interno del pentacolo il suono più

percettibile era quello del respiro affannoso di Shinyun.

«Non vogliamo che ci guidi nessuno stregone» disse Bernard.

«Vogliamo il potere supremo, e dare le feste supreme. Perciò siete


entrambi prigionieri di questo pentacolo e intendiamo sacrificare

entrambi ad Asmodeo. Senza offesa, Grande Veleno. Non è una cosa

personale. Anzi, per me sei un’icona di stile.»

«Qualunque cosa Asmodeo vi abbia promesso, ha mentito» disse

Magnus, ma Bernard si limitò a sogghignare.

Una volta evocato, un Demone Superiore corrompeva chiunque gli

stesse intorno. Asmodeo offriva tentazioni cui nessuno poteva

resistere e giocava giochi più crudeli di quanto i mortali potessero

sognarsi. Non c’era da stupirsi che Bernard fosse stato preso in

contropiede, quando Magnus aveva scherzato sul fatto di sacrificare

Shinyun.

Shinyun non era mai stata il nemico. Non era mai stata il vero

leader della Mano Scarlatta. Dal momento in cui Magnus aveva perso

il controllo, tutti quegli anni addietro, era stato Asmodeo. Era sempre

stato solo Asmodeo.

Bernard si allontanò, affidando al pentacolo il compito di tenere

prigioniere le sue prede. Shinyun correva attorno al pentacolo come se

fosse divorata dal fuoco. Cercò di gettare degli incantesimi per

liberarsi, ma era inutile. Gridò ai seguaci di spezzare la barriera, ma

tutti loro la guardavano con la stessa assoluta impassibilità.

Alla fine si girò verso Magnus e sbraitò: «Fai qualcosa!».

«Non preoccuparti, Shinyun. Conosco un incantesimo capace di

annullare tutti i pentacoli, eccetto quelli più potenti.» Magnus iniziò a

muovere le mani, ma si fermò quasi subito stringendosi nelle spalle.

«Ah, già, avevo dimenticato. Avrei potuto liberarci, ma ho perso i miei

poteri perché qualcuno mi ha avvelenato.»

«Ti odio» sussurrò Shinyun.

«Vorrei anche aggiungere che “Figlia Maledetta” è un appellativo

terribile» disse Magnus.

«Senti chi parla» ribatté Shinyun. «Grande Veleno?»

«Giusto» disse Magnus. «Era un gioco di parole con il mio nome.

Magnus Bane, grande tormento. Ammetto di avere un debole per i

giochi di parole…»

Shinyun sussultò. Un demone volante si schiantò al suolo,

atterrando con un grido orribile in mezzo ai seguaci in preda al


panico. La folla si divise e comparve Alec Lightwood, già a metà dei

gradini che conducevano all’anfiteatro.

A Magnus prese un colpo. Era così che arrivava il dolore

inaspettato, cogliendoti di sorpresa e scuotendo dalle fondamenta il

tuo mondo, ma ciò che Magnus provò non era dolore.

Era un’esplosione di emozioni travolgenti: paura per Alec, e amore

e sollievo, e una gioia dolorosa e disperata. Alec, il mio Alexander. Sei

venuto per me.

I seguaci del culto si slanciavano addosso ad Alec, e lui li gettava

da parte. Per uno che ne abbatteva, se ne facevano sotto altri tre. Lo

stavano rallentando, ma non potevano fermarlo, né avrebbe potuto

farlo alcun demone della terra o dell’aria. E non era solo: alla sua

sinistra c’era una ragazza con i capelli chiari, alla sua destra una con i

capelli neri. Entrambe brandivano lame, tenendo lontana la folla da

Alec, mentre lui scoccava frecce contro un altro demone e poi

mandava al tappeto un seguace colpendolo alle gambe con l’arco.

Magnus lo divorava con gli occhi: le spalle forti, i capelli neri

scompigliati, gli occhi azzurri. Aveva sempre amato quella particolare

sfumatura di azzurro, la tinta del cielo appena prima che scenda il

crepuscolo.

Magnus si avvicinò al bordo scintillante del pentacolo. Insieme

all’amore e alla speranza sorgeva in lui qualcosa di luminoso. Sentiva

tornare i suoi poteri, appena fuori portata.

Allungò una mano verso Alec e le sue dita riuscirono a passare

attraverso il velo gettato dalle linee dell’incantesimo, come se fosse

acqua. Ma quando cercò di raggiungere Alec, andò a sbattere contro

qualcosa che aveva la consistenza di un muro di pietra.

Riuscire a oltrepassare il confine del pentacolo con le dita non si

stava rivelando granché utile.

«Niente di tutto questo ha importanza!» La voce di Shinyun alle

sue spalle era come un ruggito. «Mio padre sta arrivando! Vi

annienterà tutti, l’ateo che avrebbe dovuto credere, il falso profeta, il

disgustoso Nephilim. Tutti quanti! Mi porrà al suo fianco, nel posto

che mi spetta.»

Magnus si girò di scatto, mentre la felicità lasciava bruscamente il


posto a un terrore nauseante.

Le pietre intorno a loro si stavano scolorendo. A cominciare dalla

cima delle gradinate, la pietra divenne candida finché non parve

espandersi nell’aria, formando una colonna di elettricità statica bianca

che si fuse con il vortice di nubi e fumo sospeso sopra il sito del

rituale. All’interno della colonna si era scatenata una bufera di

minuscole particelle nere. Dentro la luce danzavano fili di fumo.

L’aria si riempì di un brusio, un torrente di sussurri sinistri

provenienti da un altro mondo.

Una voce nella sua testa disse: Te l’avevo detto, è tempo di ricordare

tutto.

Non era stata la sua paura a parlare, ma suo padre.

«Sta arrivando!» urlò Shinyun.

«Perché?» le urlò di rimando Magnus. «Non c’è ancora stato alcun

sacrificio!»

Sono venuto perché i miei seguaci lo desiderano, disse la voce. La via è

aperta a sufficienza per me.

L’aria si fece terribilmente pesante, la sensazione di un respiro

freddo e umido che gelava il sangue nelle vene. Una perturbazione

raccapricciante che fece venir voglia a Magnus di correre via, ma il

suo corpo si rifiutava di muoversi. Un istinto animale atavico sepolto

in profondità nel cervello rettiliano gli diceva che non esisteva alcun

posto sicuro dove rifugiarsi.

L’avvicinarsi di un Demone Superiore, rafforzato dall’adorazione

di così tanti fedeli, assaliva tutti i sensi, distruggeva qualunque

sentimento, finché non restava altro che l’orrore.

Sopra il pentacolo, l’elettricità statica stava assumendo una forma.


27

Forgiato nel fuoco

Alec si rese conto che erano in netta inferiorità numerica. Ogni singola

persona seduta nell’anfiteatro – e ce n’erano parecchie – si preparava

ad affrontarli. Non pochi dei presenti si erano già alzati e si stavano

armando… soprattutto di clave e bastoni, anche se vide lo scintillio di

diverse lame.

«Caspita, ci sono un sacco di seguaci» borbottò Aline. «Devono

aver usato il car pooling.»

Il rapido sorriso di Helen svanì quando due persone la presero per

un braccio. Aline colpì uno dei due con una gomitata alla gola e Helen

si liberò dell’altro dandogli una testata al petto. Un idiota si gettò

addosso ad Alec e si prese un pugno in faccia. Aveva perso di vista

Magnus, circondato com’era da un muro di mani che cercavano di

afferrarlo e di piedi che scalciavano.

L’unico modo per raggiungere Magnus era passarci in mezzo.

«Signore» disse Alec. «Andiamo?»

«Con piacere» mormorò Helen dolcemente, poi tirò un calcio nella

rotula a un uomo.

Alec schivò un pugno maldestro e rispose con uno ben assestato.

Nelle pause della zuffa, tirava frecce alle sagome demoniache che

roteavano nel cielo.

Poteva andare avanti tutto il giorno. Sapeva muoversi solo in una

direzione. Verso il palco. Verso Magnus. Niente contava finché non lo

raggiungeva.

Riusciva a vederlo nei varchi tra la folla: era in piedi sul palco come

se si stesse rivolgendo al pubblico. Shinyun era accanto a lui che

urlava e mulinava le braccia, per fortuna senza ancora partecipare alla

battaglia. Magnus si girò a metà; aveva del sangue sulla gola e sulla


tunica, e un livido scuro in faccia.

Alec sentì una stretta al cuore. Poi Magnus incontrò il suo sguardo:

vi fu uno di quei momenti di immobilità che capitano in battaglia,

come trovarsi nell’occhio di un ciclone, dove si aveva la sensazione

che il tempo smettesse di scorrere. Magnus sembrava così vicino,

come se Alec potesse allungare una mano e toccarlo, sfiorare i suoi

lividi, frapporsi tra lui e la folla.

Ricordò il giorno in cui era andato di corsa a casa di Magnus, a

Brooklyn. Avevano appena iniziato a frequentarsi. Stavano

succedendo così tante cose, all’epoca, sia nel mondo esterno che

dentro Alec. La guerra stava cominciando e Alec non riusciva a

dipanare il tumulto di rabbia, confusione e desiderio che aveva nel

cuore.

Conosceva Magnus solo da un paio di settimane. Non aveva alcun

senso approfittare dell’occasione per vederlo, quando la sua famiglia

pensava che si stesse allenando, quando le sue bugie potevano essere

scoperte in qualunque momento. Era sempre così spaventato, e si

sentiva talmente solo nella sua paura.

Alec aveva già la chiave: Magnus aveva spiegato che era più facile e

sull’appartamento aveva messo protezioni sufficienti da fargli capire

se con quella chiave entrava qualcun altro a parte Alec. Era arrivato di

corsa, con il cuore che batteva troppo forte. Aveva visto Magnus al

centro del loft, concentrato e assorbito dal suo lavoro. Indossava una

camicia di seta arancione e sfogliava tre libri di incantesimi

contemporaneamente, girando le pagine con le mani inanellate, in un

turbinio di scintille azzurre. Alec aveva un nodo di paura che gli

serrava lo stomaco al pensiero di cosa avrebbe pensato suo padre se

avesse saputo che era lì.

Poi Magnus aveva alzato lo sguardo dai libri, lo aveva visto e aveva

sorriso. E il cuore di Alec aveva smesso di agitarsi frenetico come un

prigioniero che cerca disperatamente di scappare. Aveva pensato che

sarebbe potuto benissimo rimanere lì sulla soglia, a guardare Magnus

che sorrideva nel vederlo, per il resto della sua vita.

Adesso sorrideva nello stesso modo, nonostante l’orrore che si

dispiegava intorno a loro, con le rughe agli angoli degli occhi dorati.


Era un sorriso così dolce, sorpreso, come se fosse così stupito – e così

felice – di vedere Alec da essersi dimenticato tutto il resto.

Alec sentì quasi che avrebbe potuto ricambiare il sorriso.

A quel punto Helen urlò: «Demoni Shinigami!».

La Mano Scarlatta faceva sul serio. Di tutti i demoni volanti, gli

Shinigami erano tra i peggiori. Con una letale mascella da squalo e

ampie ali nere frastagliate, gli Shinigami si divertivano a strappare la

faccia delle persone e a sbriciolargli le ossa.

Un’ombra cadde su Alec. Alzò lo sguardo verso una mascella

ghignante, irta di denti, e scoccò una freccia.

Il primo Shinigami evitò per un pelo il dardo e si gettò in picchiata

sugli Shadowhunters, tallonato da diversi altri. Una seconda freccia

abbatté il demone più vicino, spedendolo sui posti a sedere.

Dopodiché il resto degli Shinigami si gettò su di loro.

Il più vicino atterrò sui gradini con un tonfo sordo. Aline scattò e lo

colpì con le lame angeliche, aprendogli profonde ferite al petto. Il

demone ruggì e sbatté le ali, mandandola a gambe all’aria.

Si levò sulle zampe posteriori, torreggiando sopra di lei. Le ali

oscurarono la luce delle stelle, delineando un buco nero frastagliato

nel cielo notturno. Un altro Shinigami atterrò tra i seguaci del culto,

costringendoli a disperdersi freneticamente in cerca di riparo.

«Eremiel!» Il grido di Helen sovrastò il fragore mentre danzava tra

le grosse figure, con i lampi bianchi della spada angelica che

illuminavano la notte.

Alec balzò di lato ed evitò per un pelo che un demone gli piantasse

un artiglio nella spalla. Scivolò sulla schiena e gli trapassò l’ala con

una freccia, facendolo precipitare al suolo. Si guardò intorno. «Aline,

attenta!»

Aline era di nuovo in piedi e guizzava tra due demoni, impegnata a

infilzarli con i pugnali. Un altro Shinigami stava scendendo in

picchiata verso di lei.

Helen la placcò all’ultimissimo momento. Il demone le mancò e le

oltrepassò, poi si girò per caricare di nuovo. Scoprì le zanne, ognuna

lunga come una mano umana. Helen si mise in piedi, stringendosi la

spalla ferita. Si lasciò cadere in ginocchio e levò la spada in verticale


mentre il demone balzava, squarciandolo dall’ombelico al collo.

«Per l’Angelo!» urlò Aline. «Straordinario!»

Helen fece un sorriso raggiante, ma durò poco. Aveva appena

ucciso il demone che un altro Shinigami atterrò davanti a lei e mirò

alla faccia con un’ala munita di artigli. Questa volta toccò ad Aline

intervenire: tagliò l’ala alla giuntura, staccandogliela di netto. Helen

completò l’opera con un fendente orizzontale che decapitò il mostro.

Alec volse la propria attenzione a un altro Shinigami in picchiata e

riuscì a evitare di essere aperto in due da un’ala tagliente. Ne seguì la

traiettoria mentre passava e lo colpì alla schiena. Il demone si schiantò

alla base dell’anfiteatro.

«Alec!» urlò Aline. «Il palco!»

Alec si girò di scatto proprio nel momento in cui una gigantesca

colonna di luce scendeva dal vortice e colpiva un brillante pentacolo

di fiori che circondava il palco. L’intero anfiteatro venne illuminato a

giorno.

Magnus era una silhouette, immersa in una luce abbagliante. Alec

riuscì a distinguergli solo gli occhi. Erano fissi su di lui. Mosse la

bocca, come se volesse dire qualcosa.

Poi Magnus e Shinyun scomparvero. Il bagliore accecante della luce

riempì il pentacolo di fiori di luna, cancellando tutto quello che c’era

al suo interno.

Alec sentì un tuffo al cuore. Partì di corsa verso il palco, solo per

essere bloccato da un seguace del culto che gli si parò davanti. Lo tolse

di mezzo con uno spintone e si ritrovò a fissare la faccia esterrefatta

dell’uomo successivo. Parlò a bassa voce, ma sufficientemente chiara

perché lo udissero tutti.

«Se ci tieni alla vita» disse «scappa.»

L’uomo più vicino si dileguò, liberando ad Alec la strada verso il

pentacolo. Con la testa che gli ronzava per il panico, si slanciò in

quella direzione… e sbatté contro una barriera invisibile solida come

un muro di granito.

Davanti ai seguaci che stavano vicino al pentacolo c’era un uomo

pelle e ossa con la barbetta. Alec non lo aveva mai visto.

«Dov’è Magnus?» chiese Alec.


«Tu chi sei?» ribatté l’uomo barbuto.

«Noi siamo Shadowhunters» disse Helen, avanzando a grandi passi

per mettersi vicino ad Alec mentre Aline lo affiancava dall’altra parte.

«E voi siete tutti in un mare di guai. Cosa sta succedendo qui? Chi sei

tu?»

«Io sono Bernard, il leader di questo culto.»

Qualcuno alle sue spalle disse: «Abbiamo concordato di tradire il

Grande Veleno e la Figlia Maledetta. Nessuno ha mai detto che saresti

stato il nostro leader, Bernard».

La faccia di Bernard diventò paonazza sopra gli abiti bianchi.

«Chi è il Grande Veleno?» indagò Aline.

«Il nostro fondatore, Magnus Bane» rispose Bernard.

Helen inspirò bruscamente.

«Comunque, abbiamo preso le distanze dai suoi insegnamenti di

prenderci cura dei bambini e di fare scherzi ai ricchi molti anni fa»

dichiarò Bernard. «Da quando ci ha lasciati abbiamo seguito un

programma molto più malvagio. Alcuni di noi commettono assassinii.

Di recente, un sacco di assassinii. Perlopiù siamo cattivi, ma abbiamo

un approccio rilassato alla cosa.»

«Quindi Magnus è innocente! Più o meno» disse Aline. Helen parve

sconcertata.

Ad Alec non interessava nulla di tutto ciò. Diede uno spintone a

Bernard, fece un profondo respiro tremante e prese una spada

angelica dalla cintura.

«Raguel.» La spada si illuminò di luce angelica.

Usare una spada angelica contro un mondano era una cosa orribile.

Suo padre gli aveva detto che nessuno Shadowhunter degno di questo

nome si sarebbe mai sognato di farlo.

Prima che qualcuno avesse tempo di fermarlo, Alec portò la punta

della lama scintillante così vicina alla gola di Bernard che il colletto

della sua camicia bianca iniziò ad annerirsi e a fumare.

«Dov’è Magnus?» disse. «Non lo chiederò un’altra volta.»

Gli occhi di Bernard diventarono bianchi. Le sue labbra si schiusero

e dalla gola dell’uomo provenne una voce che chiaramente non era la

sua. Ruggiva e crepitava come un falò.


La voce di un demone. La voce di un Principe dell’Inferno.

«Il Grande Veleno? Be’, è proprio qui.»

Bernard gesticolò convulsamente in direzione del pentacolo

inondato di una luce terribile. Al centro le ombre più vaghe iniziarono

a trasformarsi. Alec fu in grado di distinguere delle forme in modo via

via sempre più chiaro.

«Trovalo» disse il demone dentro Bernard. «Se ci riesci.»

La scena all’interno del pentacolo divenne chiara. Alec sentì la

bocca seccarsi per l’orrore.

Vedeva Magnus. Vedeva più di un Magnus.

«Una di queste coppie che combattono sono il vero Magnus Bane e

la vera Shinyun Jung. Consideralo un test, piccolo Shadowhunter. Se

lo riconosci, puoi salvarlo.»

Alec aveva in mano l’arco e la spada, tutti i muscoli in tensione. Era

pronto a combattere, ansioso di salvare Magnus, ed era paralizzato

dal terrore.

Un centinaio di Magnus Bane combattevano accanitamente contro

un centinaio di Shinyun Jung. Erano tutti identici. Cento Magnus Bane

vestiti di bianco colpivano cento Shinyun, e ciascuno di loro poteva

essere il vero Magnus. Quello a terra, in attesa del colpo di grazia,

poteva essere il vero Magnus, che aveva disperatamente bisogno

dell’aiuto di Alec. O forse il vero Magnus era quello che stava

vincendo, e Alec avrebbe potuto ammazzarlo nel tentativo di aiutarlo.

«Un ingegnoso pezzo di magia, se posso dirlo» osservò il demone

attraverso Bernard. «Intelligente, ma al tempo stesso molto crudele,

perché ti offre una speranza. Devi solo riconoscere il vero Magnus

Bane. Non funziona sempre così nelle fiabe? Il principe è in grado di

riconoscere la sua amata anche quando ha assunto altre sembianze, un

cigno tra altri cigni, un ciottolo su una spiaggia sabbiosa.» Bernard

fece una risatina. «Se solo il mondo fosse una fiaba, Nephilim.»


28

Il principe dei buffoni

All’interno del pentacolo aleggiava un terrore muto, e all’esterno il

caos. Poi vi fu una luce. La luce sembrò obliterare il resto del mondo.

Tutto quanto c’era fuori dal pentacolo scomparve, incluso Alec.

Rimase solo suo padre.

Un uomo con un abito bianco fluttuò nell’oscurità del vortice,

guardando giù verso Magnus e Shinyun. Portava una corona di filo

spinato sulla testa e gemelli intonati in argento opaco. Discese con

grazia, come l’acqua che scorre su un letto di ciottoli.

Asmodeo aveva l’accenno di un sorrisetto che metteva in mostra i

denti seghettati e famelici. Guardò Shinyun, poi Magnus. «Mi avete

portato un dono.»

«Padre?» disse Shinyun. Sembrava quasi una bambina.

Magnus ricacciò indietro il terrore e l’odio, e si scostò con

noncuranza una ciocca di capelli dalla fronte. «Ciao, papà.»

Gli occhi di Asmodeo, e il mezzo sorriso famelico, erano fissi su

Magnus.

Magnus vide il momento esatto in cui Shinyun capì la verità. Un

momento prima era perfettamente immobile; quello dopo, tremava da

capo a piedi come se fosse appena stata folgorata.

Si girò lentamente a guardare Magnus. «No» gemette, la voce un

sussurro a malapena udibile. «Tu non puoi essere suo figlio. Il suo

vero figlio. No.»

Magnus fece una smorfia. «Sfortunatamente, sì.»

«Te l’avevo detto, mia cara, che sarebbe stata una riunione di

famiglia.» Il sorriso di Asmodeo si allargò, mentre si beava della sua

sofferenza. Si passò la lingua sulle labbra, come se ne gustasse il

sapore. «Solo, non della tua.»


Asmodeo aveva giocato con lei, raggirandola con la stessa facilità

con cui Magnus aveva ingannato i seguaci della Mano Scarlatta tanto

tempo prima.

Shinyun continuava a guardare prima l’uno poi l’altro e a

distogliere gli occhi come se quella visione glieli facesse bruciare.

Magnus si chiese se vedesse la somiglianza. Aveva il respiro

affannoso, irregolare. Alla fine il suo sguardo si fermò su Magnus.

«Hai avuto tutto» sussurrò. «Mi hai portato via tutto.»

«Che bella idea» intervenne Asmodeo. «Perché non lo fai, figliolo?

Riprenditi il culto che hai creato. Prendi il posto che sognava lei. Alla

mia destra.»

Shinyun urlò: «No!».

Le si riempirono gli occhi di lacrime, che si misero a scorrere

mentre attaccava. Magnus scansò il fendente, barcollando sotto

l’assalto. Shinyun vibrò un altro colpo e Magnus si gettò a terra,

rotolando per evitare la lama della spada. Aveva della sabbia negli

occhi. Non vedeva come sarebbe riuscito a evitare l’acciaio e la morte

ancora per molto.

Il terzo colpo non arrivò. Magnus alzò la testa, poi si rimise in piedi

con cautela.

Shinyun era congelata a metà dell’assalto, come se stesse per

inciampare. Magnus la guardò negli occhi. Si muovevano frenetici da

una parte all’altra. Adesso il suo corpo era paralizzato com’era sempre

stata la sua faccia. Solo gli occhi erano vivi.

Magnus guardò Asmodeo, il quale allargò le braccia con un gesto

plateale che riconobbe. Lo aveva fatto anche lui molte volte, quando

eseguiva un exploit di magia.

«Questo non lo capisco» disse. «Hai avuto il tuo divertimento. Hai

messo in atto la tua mossa distintiva, fatto la tua offerta, provocato la

maggior quantità possibile di dolore e di rabbia. Perché fermarla?

Perché non lasciar continuare lo spettacolo? Non che sia ansioso di

essere trasformato in uno shish kebab da una fanatica furibonda, ma

non capisco dove vuoi arrivare.»

«Voglio parlare con mio figlio» rispose Asmodeo. «Sono passati

quasi due secoli dall’ultima volta che ci siamo parlati, Magnus. Non


scrivi, non chiami, non fai sacrifici sul mio altare. Questo ferisce il tuo

affezionato genitore.»

Con un ghigno da teschio allungò una mano per dargli una pacca

paterna sulla spalla. Magnus sollevò un braccio per respingerlo.

La mano passò attraverso Asmodeo. «Non sei realmente qui.»

Il ghigno grottesco di Asmodeo si allargò a dismisura. «Non

ancora. Non finché non porto via l’immortalità a qualcuno e la uso per

ancorarmi a questo mondo.»

«La mia immortalità» disse Magnus.

Asmodeo indicò Shinyun con un gesto della mano. «Oh, no. Sarà la

sua.»

La mano di Asmodeo era liscia e pallida, con le unghie che

terminavano in artigli. Magnus vide gli occhi di Shinyun, l’unica parte

del suo corpo che si muovesse, riempirsi di nuove lacrime di

umiliazione.

«Perciò verrò risparmiato» disse Magnus. «Magnifico. Posso

chiedere per quale motivo? Presumo non si tratti di straripante affetto

paterno. Non puoi provarlo.»

Comparve una lussuosa sedia dallo schienale alto e Asmodeo vi si

accomodò. Esaminò Magnus.

«Gli angeli hanno figli» disse Asmodeo, la voce un’orribile parodia

di quella di un padre che racconta al figlio una storia della

buonanotte. «Si dice che siano la benedizione più grande di questo

mondo: i Nephilim, distruttori di demoni. E anche noi Principi

dell’Inferno abbiamo dei figli. Molti di essi si riducono in cenere e in

nulla, incapaci di tollerare ciò che sono, ma ve ne sono alcuni che

sopravvivono. Essi sono destinati a troni di ferro. Si dice che siano

fatti per essere le maledizioni più potenti di questo mondo.»

Magnus non riusciva quasi a respirare. Aveva la sensazione che

mancasse l’ossigeno.

«Ho avuto molti figli in questo mondo» continuò Asmodeo. «Quasi

tutti mi hanno deluso. Qualcuno si è dimostrato utile, per un po’, ma

praticamente non ne è valsa la pena. I loro poteri si sono esauriti o la

loro mente ha vacillato dopo un secolo. Due al massimo. I figli dei

Demoni Superiori possono essere molto potenti, ma di rado sono


stabili. Ho atteso a lungo un figlio vero che fosse una maledizione per

questo mondo e alla fine ho rinunciato. I miei figli non sono stati in

grado di prosperare in questo né in qualunque altro, luci pallide che

imploravano di essere spente, indegne di me. Ma tu. Tu sei forte.

Lotti. Mi hai cercato con un grido che avrebbe potuto distruggere un

mondo. Parli, e il sangue degli angeli ascolta. Hai aperto accessi

attraverso i mondi. Hai compiuto imprese che non ti eri reso conto

fossero impossibili e hai continuato allegramente per la tua strada. Ti

osservo da molto tempo. I demoni possono essere orgogliosi. Siamo

piuttosto bravi in questo. Figlio mio, sono fiero di te.»

Uno spazio vuoto al centro del cuore di Magnus provò dolore.

Tanto tempo prima, quelle parole avrebbero significato qualcosa per

lui.

«Davvero commovente» disse alla fine. «Che cosa vuoi? Non penso

proprio che sia un abbraccio.»

«Voglio te» disse Asmodeo. «Sei il mio figlio più potente e di

conseguenza il mio preferito. Voglio i tuoi poteri al mio servizio. Dopo

tutto quello che ho fatto per te, voglio la tua devozione.»

Magnus si mise a ridere. Asmodeo aprì bocca per parlare di nuovo,

ma Magnus alzò una mano per farlo tacere.

«Questa è buona» disse, asciugandosi le lacrime. «Quando mai hai

fatto qualcosa per me?»

In un attimo, da seduto sulla sedia Asmodeo era accanto a Magnus.

Il sussurro nel suo orecchio era come il sibilo di una fornace.

«Cosa avevo detto?» chiese a suo figlio. «È tempo di ricordare

tutto.»

Premette la mano munita di artigli sulla faccia di Magnus.

Gli si oscurò la vista e la sua mente si ritrasse davanti all’intrusione,

mentre il mondo cambiava in un batter d’occhio. Un attimo prima era

in piedi al centro del pentacolo, quello dopo sentiva il calore del sole

che gli bruciava la pelle. La fronte gli si imperlò di sudore. Fece un

passo indietro e avvertì la sabbia sotto le scarpe. Sentiva l’odore

dell’oceano e il suono delle onde che si infrangevano sulla spiaggia.

Magnus sapeva esattamente dov’era adesso e quanti anni aveva, e

fu invaso dal terrore. Era sulla spiaggia sabbiosa al limitare di una


giungla. Vite fa. All’inizio della sua prima vita, nel primo e ultimo

posto che avesse mai chiamato casa.

D’un tratto fu acutamente consapevole di quanto era piccolo. La

camicia gli pendeva dalle spalle strette, gli arti magri si perdevano

sotto la stoffa. Il suo corpo era adulto e immutabile da secoli. Aveva

dimenticato come ci si sentisse a essere deboli e fragili, così

terribilmente vulnerabili.

Udì la voce bassa e roca di un uomo che risuonava chiara nell’aria

rovente. «Vieni qui, ragazzo mio.»

Era un antico dialetto malese, caduto in disuso secoli prima.

Magnus non lo sentiva né lo parlava da quando era bambino.

Il patrigno emerse dalla vegetazione e colpì il bambino che sarebbe

diventato Magnus, mandandolo lungo e disteso nella sabbia.

Magnus tremava sotto le botte del patrigno. I ricordi che aveva

fatto tanta fatica a cancellare gli inondarono la mente, uno a ogni fitta

di dolore. Sentiva la sabbia in bocca e i vestiti bagnati che gli si

incollavano addosso. Provava tutto il terrore di quel periodo della sua

vita, e tutta la rabbia. Strinse i pugni, desiderando disperatamente di

poter fare qualcosa, qualunque cosa.

Sentiva la stretta brutale delle dita del patrigno sul braccio mentre

lo tirava in piedi con uno strattone. Fu trascinato sulla sabbia e in

mezzo agli alberi verso l’ingresso del vecchio fienile.

Quello era il passato, il suo passato. Magnus sapeva esattamente

cosa sarebbe successo dopo, e la paura che provava adesso era

peggiore della prima volta.

Il fienile dove sua madre si era impiccata era una tomba divorata

dal fuoco. C’erano buchi enormi nel tetto, uno dei muri era crollato

sotto il peso dei rami degli alberi e le erbacce spuntavano rigogliose

tra le tavole del pavimento.

Nell’oscurità penzolava ancora una corda tagliata. Su un lato del

fienile scorreva un ruscello, ombreggiato dai resti del tetto. C’era un

basso tavolo con una coppa contenente bastoncini d’incenso, due

ciotole votive con offerte e il rozzo schizzo su pietra di una donna.

Magnus guardò il ritratto e ricordò gli occhi addolorati di sua madre.

Magnus bambino alzò lo sguardo sul patrigno e lo vide piangere.


Provava la vergogna del bambino che lo odiava, il suo desiderio di

amarlo.

La parte adulta di Magnus, quella che osservava, sapeva cosa

sarebbe successo dopo.

Il patrigno mise un braccio sulle spalle del bambino e lo condusse

al ruscello. Il bambino percepiva la rigidità nelle dita del patrigno,

come se l’uomo si stesse impedendo di tremare.

Poi Magnus sentì mani brutali chiuderglisi attorno al collo mentre

l’uomo afferrava il bambino e lo spingeva nell’acqua. Il freddo lo

inghiottì e respirare diventò impossibile. I suoi polmoni si

contraevano spasmodicamente, mentre lui ingoiava sorsate d’acqua. Il

bambino agitava i pugni e si dibatteva, senza riuscire a sfuggire alla

presa del patrigno.

Poi nell’aria vi fu uno schiocco, come lo spezzarsi di un ramo

quando qualcosa si muove nella giungla. Era il primo risvegliarsi della

magia. Il bambino riuscì a divincolarsi dalla presa salda del patrigno.

Magnus tossì e sputacchiò, togliendosi i lunghi capelli dagli occhi, e

ansimò dolorosamente: «Mi spiace. Farò il bravo. Cercherò di fare il

bravo».

«Questo è l’unico modo per fare il bravo» sbraitò il patrigno.

Magnus urlò.

Le mani dell’uomo gli strinsero di nuovo il collo, la presa

implacabile, il respiro affannoso nelle orecchie di Magnus.

Nell’inappellabilità del suo tono c’era una terribile gentilezza.

«Questo ti renderà puro» sussurrò l’unico padre che avesse mai

conosciuto. «Fidati di me.»

Ricacciò sott’acqua la testa del bambino, questa volta con tale

violenza da fargliela sbattere contro il fondo sassoso del ruscello.

Magnus sentì il dolore paralizzante, le ginocchia che cedevano,

mentre il bambino iniziava a perdere conoscenza e affondava incontro

alla morte.

Magnus stava annegando, ma al tempo stesso era terribilmente

distante e guardava un bambino morire. Mentre osservava vide

un’ombra muoversi sopra l’acqua.

Un sussurro inondò la mente del bambino, più freddo dell’acqua


che gli riempiva i polmoni.

«Ecco le parole che ti libereranno. Pronunciale e scambia la sua vita

per la tua. Solo uno di voi può sopravvivere a questo. Accetta il tuo

potere o muori.»

In quel momento fu una decisione facile.

Il bambino si sentì invadere dalla calma e l’incantesimo gli uscì di

bocca sott’acqua. Le mani che si muovevano convulsamente nel

panico si immobilizzarono e poi compirono una serie di gesti

elaborati. Non riusciva a respirare, ma era in grado di fare quella

magia.

Magnus non era mai riuscito a capire come avesse fatto

l’incantesimo che aveva ucciso suo padre.

Adesso lo sapeva.

Il bambino esplose in una colonna di fiamme azzurre così roventi

da far bollire l’acqua del ruscello. Il fuoco si arrampicò vorace sulle

braccia del padre e lo consumò.

Le urla del patrigno riecheggiarono nel fienile buio dove era morta

sua madre.

Magnus si ritrovò in piedi davanti al bambino e vide il suo io più

giovane ricambiare lo sguardo. Aveva la maglietta bruciata e dal suo

corpo si levava ancora del fumo. Per un attimo pensò che il bambino

potesse vederlo. Poi si rese conto che fissava i resti carbonizzati del

patrigno.

«Non avrei mai voluto che accadesse» sussurrò Magnus a tutti i

suoi antichi fantasmi e alle vecchie ombre, a sua madre e al suo

patrigno, e al bambino smarrito e ferito che era stato.

«Però l’hai fatto» disse Asmodeo. «Volevi vivere.»

Il padre era accanto al bambino che Magnus era stato, e guardava il

Magnus adulto attraverso il fumo.

«Vai, adesso» mormorò al bambino. «Ti sei comportato bene. Va’ e

dimostrati degno. Un giorno potrei tornare a reclamarti.»

Magnus batté le palpebre contro il fumo e si ritrovò al centro del

palco dell’anfiteatro, sotto un cielo scuro.

Sentiva il terreno instabile sotto i piedi, ma era perché stava

tremando. Erano passati solo pochi secondi. Shinyun era ancora


paralizzata, gli occhi fissi su di lui con disperata intensità. All’esterno

del pentacolo il nero impenetrabile iniziava a ingrigire. Magnus

riusciva quasi a distinguere le sagome delle persone che lo

osservavano.

Asmodeo era accanto a lui, la mano sulla sua spalla in quello che

pareva quasi un abbraccio.

«Adesso capisci» disse. «Ti ho salvato. Tu mi hai scelto. Sei il mio

figlio preferito, perché ti ho forgiato in quel fuoco. Sono tornato per te

come ti avevo detto che avrei fatto. In tutti i mondi, non c’è nessuno

che ti accetterà e ti comprenderà. Ci sono soltanto io. Tutto ciò che

potresti mai essere mi appartiene.»

Nella mano di Magnus comparve un coltello, freddo e pesante. La

voce del padre era bassa e crepitava del fuoco dell’inferno.

«Prendi il coltello, versa il sangue di Shinyun. Sacrificala, in modo

che io possa attraversare il mondo e venire da te. Ho visto tutti i tuoi

sforzi e sono fiero di tutti i tuoi atti di ribellione» disse Asmodeo. «La

mia razza ha sempre visto di buon occhio un ribelle. Ogni sofferenza

che hai patito ha avuto uno scopo, ti ha reso forte, ti ha condotto a

questo momento. Mi hai reso così orgoglioso, figlio mio, mia antica

maledizione. Nulla mi dà più soddisfazione che elevare il mio degno

figlio e deporgli ai piedi tutti i regni del mondo.»

Magnus poteva quasi percepire la mano del padre sulla spalla. Sul

polso avvertiva il lieve calore dell’altra mano, come se Asmodeo

volesse guidare la lama dritta nel cuore di Shinyun.

Come lo aveva guidato a uccidere il suo patrigno, tanto tempo

prima. Allora Magnus aveva fatto una scelta. Forse era stata la scelta

giusta.

«Vedi…» disse Magnus «il fatto è che… io non voglio il mondo. Il

mondo è un gran casino. Non riesco a tenere in ordine nemmeno casa

mia. Sto ancora togliendo le paillettes dai paralumi dopo la festa di

compleanno del mio gatto, ed è stata mesi fa.»

Nonostante il calore e la pressione della mano di Asmodeo,

Magnus abbassò il coltello. Era adulto adesso, mondi ed esistenze lo

separavano da quel bambino terrorizzato. Non aveva bisogno che gli

dicessero cosa scegliere. Poteva scegliere da solo.


Asmodeo si mise a ridere. Il mondo tremò. «Si tratta di quel

ragazzo?»

Magnus aveva pensato che non avrebbe potuto avere più paura di

così, finché non si rese conto di aver involontariamente attirato

l’attenzione di Asmodeo su Alec.

«La mia vita amorosa non ti riguarda, Padre» disse con tutta la

dignità di cui era capace. Sapeva che Asmodeo avvertiva quanto fosse

mortalmente spaventato. Semplicemente non gli avrebbe dato la

soddisfazione di ammetterlo.

«Trovo molto divertente che tu abbia preso nella tua rete uno dei

Nephilim» disse Asmodeo. «Niente è più eccitante di una sfida, e

cos’altro è corrompere il più puro tra i puri? I Nephilim bruciano di

una tale furia virtuosa. Capisco la tentazione di gettare un’ombra su

tutta quella luce. Persino i Nephilim sono soggetti alle tentazioni, ai

peccati della carne e a tutti i piaceri violenti della gelosia, della

lussuria e della disperazione. A volte, soprattutto i Nephilim. Più in

alto sono, più rovinosa sarà la caduta. I miei complimenti, figliolo.»

«Non è così» disse Magnus. «Io lo amo.»

«Ah, sì?» chiese Asmodeo. «O è solo quello che ti dici in modo da

poter fare quello che vuoi, come hai fatto quando hai bruciato vivo il

tuo patrigno? I demoni non possono amare. L’hai detto tu stesso.

Tutto ciò che sei è per metà mio. Di certo significa che hai ereditato

solo metà cuore.»

Magnus distolse lo sguardo. Tanto tempo prima i Fratelli Silenti gli

avevano detto che gli stregoni avevano l’anima. E lui aveva sempre

scelto di crederci.

«Tutto ciò che sono» ribatté Magnus «appartiene solo a me.»

«E lui ti ama?» chiese Asmodeo e rise di nuovo.

La sua voce era una parodia di quella di Catarina e gli fece tornare

in mente quando lei gli aveva posto la stessa domanda,

sottintendendo che non esisteva amore che avrebbe potuto ritenere

sacro e al sicuro da Asmodeo.

«Non potrebbe mai amare qualcosa come te» proseguì Asmodeo,

girando il coltello nella piaga. «Uno acceso dalla magia dell’Inferno,

che brucia tutto ciò che tocca. Forse ti vuole adesso, ma non gli hai


mai detto di me, non è così?» Asmodeo sorrise. «Saggio da parte tua.

Se lo sapesse, dovrei ucciderlo. Non posso tollerare che un Nephilim

sappia della mia antica maledizione.»

«Non lo sa» disse Magnus a denti stretti. «E smettila di chiamarmi

in quel modo.»

«Sapevi che dirglielo avrebbe potuto mettere in pericolo i tuoi amici

stregoni» disse Asmodeo e Magnus si rese conto, disperato, che

Asmodeo stava passando in rassegna i suoi ricordi come un mazzo di

carte da gioco. «Ma tu eri contento della scusa, non è così? Temevi che

se Alexander Lightwood fosse venuto a sapere della tua parentela con

me, si sarebbe ritratto disgustato. Sai che lo farà. Finirà per odiarti e

detestare la tua immortalità mentre lui invecchia. Lui è nato per la

rettitudine, e tu per la notte eterna. La tua corruzione lo consumerà.

Non riuscirà a tollerarti a lungo, visto ciò che sei. La cosa lo

distruggerà, o lui distruggerà te.»

La voce di Asmodeo non era più fuoco e fumo. Era gocce d’acqua

gelida in un oceano di disperazione. Non c’era nulla che Magnus non

si fosse già detto.

Abbassò lo sguardo sul coltello. L’emblema sul manico e sulla

guardia, un insetto con le ali spiegate, rivelava il suo possessore.

Guardò Shinyun, che teneva gli occhi fissi sulla punta della lama.

Aveva il viso lucido di sudore benché fosse paralizzata sul posto.

«Capisci. Hai sempre saputo che non sarebbe durata.» Il respiro di

Asmodeo smosse i capelli di Magnus. «Niente durerà per te, tranne io.

Senza di me, sarai davvero solo.»

Magnus chinò la testa. Ricordò di aver incespicato sulla sabbia

rovente, disperato, le narici piene dell’odore di fumo proveniente

dalle ceneri della sua vita. C’era stato un tempo in cui era stato così

ottenebrato dal dolore da non sapere quale sarebbe stata la sua

risposta ad Asmodeo.

Adesso lo sapeva.

Si girò e si allontanò da suo padre, poi gettò via il coltello.

«Non sono solo. Ma anche se lo fossi, la mia risposta sarebbe la

stessa. So cos’è la fede» disse Magnus. «So chi sono, e so chi amo. La

mia risposta è no.»


Asmodeo si strinse nelle spalle. «E così sia. Ricorda, quando

morirai, che ho provato a darti questa opportunità. Volevo te, ma sono

più che felice di adottare.»

Asmodeo mosse pigramente una mano e Shinyun cadde per terra

ansimando. Stringeva ancora fra le mani l’elsa della spada. Magnus

non sapeva quanto avesse visto, o compreso.

Finalmente in grado di muoversi, Shinyun si rimise in piedi.

Guardò Asmodeo, poi Magnus e infine la spada.

«Shinyun, figlia mia» disse Asmodeo. «Sei stata scelta. Abbraccia il

tuo glorioso destino.»

Il viso indecifrabile era rivolto verso di lui. Si avvicinò, la sua

devota più fedele.

«Va bene» disse Shinyun, e infilzò la spada nel fianco di Asmodeo.

La sagoma brillante di Asmodeo si sfocò fino a ridursi a un

baluginio nell’aria, poi riprese forma più lontano, un’immagine

splendente sopra di loro.

«Il tradimento mi diverte» disse. «Ti perdono. Capisco la tua

rabbia. Conosco la tua sofferenza. È tutto ciò che sei. So quanto è

sempre stata profonda la tua solitudine. Cogli questa opportunità.

Prendi la vita di Magnus e avrai tutto quello che hai desiderato: un

padre, legioni di demoni ai tuoi ordini, la spada tra le mani e un

mondo da governare.»

Shinyun girò la testa verso Magnus. Incurvò le spalle, poi si riprese

e tese i muscoli con nuova determinazione. Gli si slanciò addosso

brandendo la spada e lo gettò a terra.

Le lacrime di Shinyun erano calde sulla faccia di Magnus. Lo colpì

con la mano libera, ripetutamente. Levò la spada. Poi esitò.

«Non farlo» disse Magnus con voce strozzata, la bocca piena di

sangue.

«Devo farlo!» sbraitò Shinyun. «Ho bisogno di lui. Senza di lui non

sono niente.»

Magnus disse: «Puoi essere più di questo».

Shinyun scosse la testa. Nei suoi occhi non si leggeva altro che

disperazione. Magnus cercò tastoni il coltello che aveva gettato via, ne

sfiorò il manico con le dita, poi fece un respiro profondo e sospirò.


Lasciò andare il coltello.

Shinyun sollevò la spada con entrambe le mani, la tenne sospesa

sopra il cuore di Magnus e poi la abbassò.


29

Il cavaliere del buffone

Alec guardava disperato la visione all’interno del pentacolo. Fissò

ogni Shinyun, e sembravano tutte uguali. Esaminò la faccia di ogni

Magnus, ed erano tutti Magnus. Magnus che brandiva una lama,

Magnus che ansimava in ginocchio, Magnus con le mani in alto,

Magnus con Shinyun che torreggiava sopra di lui, la spada levata per

un colpo mortale.

«E adesso come la mettiamo, Shadowhunter?» disse Bernard,

parlando con la sua voce.

Dai membri della Mano Scarlatta che gli stavano intorno si levò un

coro di risate. Helen si girò di scatto verso di loro, con la spada

angelica che le scintillava in mano… e le lacrime che le luccicavano

sulle guance. Sta piangendo per me, pensò Alec con stupore distaccato.

Per me.

«Chiudi il becco» sibilò Helen. Le risate si spensero.

«Penso solo che sia davvero spassoso» disse Bernard. «Vieni qui

convinto di essere un eroe. Determinato a sconfiggere il nemico! Ma

non riesce neanche a trovarlo, il nemico. Non sa qual è di quelle

donne.»

Alec tese la corda dell’arco, lo puntò con fermezza e prese la mira.

«Non mi serve saperlo» disse. «So quale di loro è lui.»

Scoccò la freccia attraverso la luce brillante del pentacolo.


30

Le conseguenze della gloria

Magnus attese un colpo che non arrivò mai. Shinyun mandò un grido

e si ritrasse di scatto, con una freccia conficcata nel braccio.

Una freccia familiare.

«Alec!» Con un grido, Magnus si liberò di Shinyun, rotolò per terra

e si puntellò su un ginocchio. Un’altra freccia gli passò sopra la testa

diretta verso Shinyun; si slanciò per raggiungere la sagoma indistinta

che intuiva vagamente nel bagliore del pentacolo e allungò la mano

attraversando la barriera magica, verso la luce.

Dopotutto, riuscire a oltrepassare con le dita i margini del

pentacolo si era rivelato utile.

Sentì una mano prendere la sua. La mano di Alec che afferrava la

sua come aveva fatto altre due volte, nell’acqua gelida, sul ciglio di un

burrone, e adesso in un pentacolo con il Demone Superiore che era la

paura più grande di Magnus. Prendi la mia forza, gli aveva detto Alec

una volta e Magnus, che aveva sempre dovuto essere forte da solo, era

rimasto stupito. L’energia fluiva in Magnus mentre Alec gli

trasmetteva di nuovo la propria forza. I poteri magici tornarono, caldi

e brillanti, terrificanti e trasformativi.

L’energia gli cantava nelle vene. La luce inquietante del pentacolo

iniziò a cambiare. Magnus lasciò andare la mano di Alec e si girò a

fronteggiare suo padre.

«No» lo chiamò Asmodeo, come se potesse annullare a comando

ciò che Magnus aveva fatto. «Magnus, aspetta…»

Il potere eruppe da Magnus, amore, magia e forza angelica fusi

insieme, e le barriere del pentacolo si disgregarono. Il mondo

circostante tornò, un caos di fanatici e demoni caduti.

Ma Asmodeo non poteva. Mentre la sua proiezione nel mondo


mortale si affievoliva diventando un’ombra, il Demone Superiore

Asmodeo, signore di Edom e Principe dell’Inferno, alzò un braccio e

dal centro del pentacolo si diffuse una tenebra fitta che assorbiva la

luce.

La coltre di nuvole turbinanti si spaccò e il vortice pulsò e vacillò.

Iniziò a sfilacciarsi e dalle crepe del cielo eruppero luce bianca

abbagliante e luce nera come la pece. La terra sussultò sotto di loro e

in quello che era il centro del pentacolo si aprì un buco nero che

risucchiava voracemente tutto nelle sue profondità. Magnus iniziò a

scivolare mentre la piattaforma di legno si sbriciolava sotto i suoi

piedi come terriccio.

Cadde in ginocchio. L’attrazione crebbe di intensità, strattonando

ogni particella del suo corpo. Sentiva ululare le terminazioni nervose e

si aggrappò ai bordi deformati della piattaforma come a un

salvagente.

Accanto a lui, Shinyun stava facendo lo stesso. Urlò quando la

forza del vortice la sollevò da terra.

«Magnus! Prendi la mia mano!»

Magnus udì la voce di Alec attraverso le barriere che crollavano e il

sibilo della luce morente. Alzò la testa, cercandolo.

Il terreno sotto i piedi di Magnus si stava sgretolando. Shinyun

allungò le mani verso di lui urlando e gli artigliò la tunica sporca di

sangue mentre scivolavano nelle tenebre…

Si bloccarono con uno strattone, sospesi a mezz’aria. La mano di

Alec si era chiusa attorno al polso di Magnus. Era riuscito chissà come

a slanciarsi attraverso il pentacolo distrutto e il palco a pezzi: era

lungo e disteso, con metà del corpo sporto nell’abisso. Cercò di tirarli

su, ma il peso combinato di Magnus e Shinyun era eccessivo. Scivolò

in avanti, aggrappandosi disperatamente al bordo dell’abisso.

Magnus fu preso dalla paura. Shinyun era ancora aggrappata a lui.

Rischiavano di cadere tutti quanti.

«Lasciami andare» urlò ad Alec. «Lasciami cadere.»

Alec spalancò gli occhi e le sue dita si strinsero attorno al polso di

Magnus con forza ancora maggiore.

Accanto ad Alec vi fu un movimento. Le due Shadowhunters che


avevano combattuto al suo fianco comparvero sul ciglio dell’abisso.

Una allungò la mano e prese Alec, tirandolo su. L’altra afferrò

Magnus. L’abisso ululò disperato mentre Magnus e Shinyun venivano

strappati alla sua attrazione e capitombolavano insieme ad Alec sul

terreno annerito.

Poi svanì.

Nello strano silenzio che seguì, le due ragazze si affrettarono a

bloccare Shinyun e le legarono i polsi dietro la schiena; lei non fece

resistenza. Magnus rotolò di lato e si mise seduto, con il fiatone,

rendendosi conto che stringeva ancora la mano di Alec. Teneva ancora

Alec… o, per essere più precisi, Alec lo stava ancora tenendo.

Alec era sudicio, ricoperto di terra, con la faccia sporca di sangue e

uno sguardo selvaggio negli occhi azzurri. Magnus era vagamente

consapevole di persone che ancora correvano da qualche parte in

lontananza e del fatto che Shinyun veniva portata via. Ma vedeva solo

Alec. Alec, che era venuto lì a salvarlo.

«Alexander» sussurrò. «Ti avevo detto di lasciarmi andare.»

D’un tratto le braccia di Alec lo circondarono, stringendolo forte.

Magnus ricacciò indietro un singhiozzo e gli seppellì la faccia

nell’incavo tra la spalla e il collo. Gli passò una mano sulla schiena e

sulle spalle, toccò la nuca morbida, i capelli scuri, nutrendosi della

rassicurazione che era vivo e reale, e tutto intero.

Alec lo strinse ancora più forte e gli sussurrò all’orecchio: «Non ti

lascerei mai andare».

Ebbero esattamente tre secondi per crogiolarsi nel sollievo di essersi

ritrovati. Le conseguenze negative di un rituale fallito di quelle

proporzioni furono spettacolari a molti livelli.

L’ultimo respiro del rito fu un’improvvisa e violenta espulsione di

energia, un boato tonante seguito da uno scoppio che fece innalzare

nell’aria un fungo di fumo e polvere. Magnus circondò Alec con le

braccia, gettando un rapido incantesimo che li protesse dai detriti che

volavano tutt’intorno.

Quando l’esplosione finalmente terminò, Magnus abbassò con

cautela le protezioni magiche. Era ancora seduto avvinto ad Alec, che


si guardava intorno battendo le palpebre.

«Smettila di dirmi di lasciarti andare» disse. «Non ti starò mai a

sentire. Voglio stare con te. Non ho mai voluto qualcosa con più forza

in vita mia. Se cadi, voglio cadere insieme a te.»

«Resta con me» rispose Magnus, prendendogli il viso tra le mani. I

fuochi che bruciavano intorno a loro, riflessi negli occhi di Alec,

diventarono stelle. «Adoro stare con te. Amo tutto di te, Alexander.»

Magnus lo attirò a sé e lo baciò, sentendo che si abbandonava tra le

sue braccia e rilassava i muscoli contratti. Sapeva di calore e terra e

sangue e paradiso. Sentì le ciglia di Alec sfiorargli la guancia come ali

di farfalla quando richiuse gli occhi.

«Ragazzi!» disse una voce femminile. «Sono felice che vi siate

ritrovati, ma ci sono membri del culto ovunque. Andiamo.»

Magnus alzò gli occhi sulla donna dai capelli scuri, una delle due

Shadowhunters che avevano aiutato Alec. La figlia di Jia Penhallow, si

rese conto. Poi guardò la devastazione che regnava ovunque arrivasse

lo sguardo.

L’atmosfera vibrava ancora di magia e parte della villa aveva preso

fuoco, ma sembrava che il pericolo fosse passato. Quasi tutti i membri

della Mano Scarlatta erano scappati; i restanti lo stavano facendo

oppure erano stesi a terra, feriti. Alcuni dei più fanatici e stupidi

stavano cercando di radunare le persone rimaste, per prendere il

controllo della situazione.

«Hai assolutamente ragione» disse Magnus alla ragazza Penhallow.

«Non è il momento giusto per l’amore. È il momento di levare le tende

all’istante.»

Lui e Alec si rimisero in piedi e si diressero insieme a Aline sul

davanti della villa. La zona sembrava libera da demoni e fanatici,

almeno per il momento. Helen era già lì e aveva legato Shinyun a una

colonna di marmo spezzata.

Shinyun stava in silenzio, a testa china. Magnus non sapeva se

fosse ferita o solo avvilita. Le due Shadowhunters erano immerse in

una fitta conversazione sussurrata: le studiò e d’un tratto riconobbe

quella bionda per averla vista alle riunioni del Consiglio. «Tu sei

Helen Blackthorn. Dell’Istituto di Los Angeles, giusto?»


Helen annuì con espressione stupita.

Si girò verso la ragazza più bassa. «E tu devi essere la figlia di Jia.

Irene?»

«Aline» disse d’impulso lei, gli occhi sgranati. «Non credevo

sapessi come mi chiamo. Voglio dire, eri abbastanza vicino. Ho visto

te e Alec da lontano alla Guardia. Sono una grande fan.»

«È sempre un piacere conoscere un fan» disse Magnus. «Sei il

ritratto di tua madre.»

Lui e Jia di tanto in tanto facevano commenti taglienti in mandarino

su vari membri del Conclave. Era una donna simpatica.

Alec fece un cenno della testa in direzione di Aline e Helen. «Non

sarei riuscito a raggiungerti senza di loro.»

«Grazie a tutte e due» disse Magnus «per essere venute a

salvarmi.»

La ragazza bionda con le orecchie da fata e gli occhi dei Blackthorn

sussultò.

«Non ero venuta a salvarti» confessò Helen. «Avevo in mente di

prenderti per interrogarti. Cioè… prima. Non adesso, ovviamente.»

«Be’» disse Magnus. «La cosa si è risolta piuttosto bene per me.

Grazie comunque.»

«Ci sono circa lo zero per cento di probabilità che gli

Shadowhunters dell’Istituto di Roma non si siano accorti di un

anfiteatro gladiatorio trasformatosi in supernova sulle colline»

osservò Aline. Si appoggiò a un muro di marmo in rovina e guardò

Helen con aria allegra. «Congratulazioni, Blackthorn. Hai ottenuto di

poter chiamare i rinforzi, alla fine.»

Helen non ricambiò il sorriso. Scribacchiò un messaggio di fuoco e

lo spedì, pallidissima in faccia.

«Cosa diciamo agli altri Shadowhunters?» chiese Aline. «Continuo

a non avere idea di cosa è successo nel pentacolo.»

Magnus si lanciò in una spiegazione per sommi capi degli

avvenimenti della serata, tralasciando solo il dettaglio che Asmodeo

era suo padre. Sapeva che avrebbe dovuto dirglielo, ma continuavano

a riecheggiargli nella testa le parole del padre. Se lo sapesse, dovrei

ucciderlo. Non posso tollerare che un Nephilim sappia della mia antica


maledizione.

Asmodeo se n’era andato, ma non era morto. Magnus detestava

obbedire al padre, ma non avrebbe fatto niente che rischiasse di fargli

perdere Alec. Non ora.

Shinyun alzò la testa mentre Magnus parlava e lui la vide stringere

gli occhi nella faccia immobile quando si rese conto di quello che non

aveva detto.

Avrebbe potuto smascherarlo, lo sapeva. Avrebbe potuto dire a

quei Nephilim tutta la verità in quel preciso momento. Magnus si

morsicò il labbro, sentendo il sapore della paura e del sangue.

Shinyun non disse niente. Non aprì neppure bocca. Gli occhi

sembravano fissi nel vuoto, come se la vera Shinyun fosse da tutt’altra

parte.

«Shinyun ha cercato di fermare il Demone Superiore, alla fine»

disse Magnus, quasi contro la propria volontà.

«E poi ha cercato di ucciderti» rimarcò Alec.

«Non aveva scelta» disse Magnus.

«Aveva la stessa scelta che avevi tu.»

«È smarrita» disse Magnus. «È disperata. Anch’io un tempo ero

così.»

Alec parlò in tono grave. «Magnus, possiamo chiedere al Conclave

di mostrarle clemenza. Ma è tutto ciò che è in nostro potere, dopo

quello che ha fatto. Lo sai che è così.»

Magnus ricordò la voce del padre che parlava dei figli dell’Angelo,

nati per la rettitudine. Forse voleva misericordia per Shinyun solo

perché anche lui era così imperfetto. Forse era perché stava

mantenendo il suo segreto, per il momento.

«Sì» disse. «Lo so.»

«Non capisco neanche perché stiamo facendo questa

conversazione.» Helen quasi gridò, e le si spezzò la voce. «Sta

arrivando l’Istituto di Roma al completo! Sappiamo tutti che il

Conclave la farà giustiziare.»

Era la prima cosa che Helen diceva da un pezzo, e le tremò la voce.

Aline le lanciò uno sguardo preoccupato. Magnus non conosceva bene

Helen, ma era assolutamente certo che non fosse il destino di Shinyun


ad averla sconvolta fino a quel punto.

«Cosa c’è che non va?» chiese Aline.

«Stavo cercando di fare la cosa giusta, ma ho sbagliato tutto. Se non

fosse stato per te e Alec, non sarei venuta e sarebbero morte delle

persone innocenti» ribatté Helen in tono brusco. «Non è questo il tipo

di Shadowhunter che voglio essere.»

«Helen, hai commesso un errore» disse Alec. «Il Conclave ci dice di

non fidarci dei Nascosti. Nonostante gli Accordi, nonostante tutto,

veniamo indottrinati e…» Si interruppe e alzò lo sguardo verso le

stelle luminose e fredde. «Obbedivo alle regole perché pensavo che

così avrei tenuto al sicuro tutte le persone a cui voglio bene» proseguì.

«Ma ho iniziato a rendermi conto che “tutte le persone a cui voglio

bene” è un insieme più ampio e differente da quello che il Conclave è

disposto ad accettare.»

«Allora cosa suggerisci di fare?» sussurrò Helen.

«Cambiamo il Conclave» disse Alec. «Dall’interno. Facciamo nuove

Leggi. Migliori.»

«I capi degli Istituti possono proporre nuove Leggi» intervenne

Aline. «Tua madre…»

«Voglio farlo io» la interruppe Alec. «E voglio di più che essere

capo di un Istituto. Ho capito… non devo cambiare. E neanche tu,

Helen, né tu, Aline. È il mondo che deve cambiare e noi saremo quelli

che lo cambieranno.»

«Gli Shadowhunters sono qui» gracchiò Shinyun inaspettatamente.

Si girarono verso di lei. «Guardate.»

Aveva ragione. Gli Shadowhunters dell’Istituto di Roma erano

arrivati. Si riversarono dentro i cancelli, guardando a bocca aperta la

villa bruciata, il terreno annerito e i membri del culto – alcuni che

giacevano feriti al suolo, altri che vagavano in giro – nei loro abiti

bianchi.

Non appena videro gli Shadowhunters, i seguaci del culto si misero

a correre. Gli Shadowhunters si slanciarono all’inseguimento. Sfinito,

Magnus si accasciò contro il muro della villa e osservò quello che

succedeva.

Non poté fare a meno di notare che anche Shinyun li guardava. Si


era addossata alla colonna, ma rimaneva ancora in silenzio.

Il Conclave l’avrebbe uccisa. Il Labirinto a Spirale non sarebbe stato

incline a trattarla meglio dei Nephilim. Non ci sarebbe stata molta

comprensione per uno stregone che aveva ucciso degli innocenti ed

era arrivata a un passo dall’evocare un Demone Superiore nel mondo.

Magnus comprendeva tutto questo, ma era dispiaciuto lo stesso.

Alec gli strinse la mano.

Una Shadowhunter con i capelli scuri si diresse a passo di marcia

verso di loro e si mise a parlare a mitraglia in italiano rivolta a Helen.

Magnus riuscì a capire che era Chiara Malatesta, capo dell’Istituto di

Roma, e che era sia perplessa che irritata.

Alla fine Magnus si intromise nella conversazione. «Helen è molto

coraggiosa» disse. «Sapeva di non poter aspettare se bisognava

interrompere il rito. Devo la mia vita a lei e a Aline Penhallow.»

«Ehi» disse Alec, ma stava sorridendo. Magnus lo baciò sulla

guancia. Chiara Malatesta inarcò le sopracciglia, poi si strinse nelle

spalle. Gli italiani avevano una visione filosofica dell’amore.

«Stregone» disse lei, in perfetto inglese. «Mi ricordo di te da alcune

riunioni del Consiglio, se non sbaglio. Un bel po’ di seguaci del culto

sono feriti. Puoi dare una mano a curarli?»

Magnus sospirò e si rimboccò le maniche dell’abominevole veste

bianca, irrimediabilmente rovinata.

«In parte è colpa mia» disse. «È venuto il momento di sistemare le

cose.»

Helen e Aline accettarono di unirsi alla signora Malatesta e agli altri

che perlustravano il posto in cerca di seguaci del culto e attività

demoniache. Alec rimase di guardia a Shinyun… e, sperava Magnus,

a riposare un po’.

L’aria era satura di polvere, che trasformava le violente esplosioni

nel cielo in una luminosità caliginosa. Magnus camminava in mezzo a

frammenti di pietra e tutte le volte che trovava un membro del culto

ferito pensava ad Alec che era venuto da lui, e lo curava come avrebbe

fatto Catarina.

Alla fine vide altri Shadowhunters emergere dal fumo e dalle

fiamme. Cercava di pensare ad Alec e non a quello che sarebbe


successo a Shinyun.

«Oh, salve» disse uno Shadowhunter, fermandosi di botto accanto a

lui. «Magnus Bane? Non ho mai avuto occasione di vederti bene, non

da vicino.»

Magnus sbuffò. «Ho avuto un aspetto migliore.» Pensò a com’era

ridotto, pieno di lividi e malconcio, con una tunica sporca di sangue

che gli stava malissimo. «Molto migliore.»

«Wow» disse il ragazzo. «Riuscirà a reggerlo il mio cuore? Sono

piuttosto amico di Alec, a proposito. Stavamo parlando di fare

qualcosa più tardi. Saresti il benvenuto se volessi unirti a noi.

Potremmo fare qualunque cosa ti piaccia.» Gli strizzò l’occhio.

«Qualunque.»

«Mmh» disse Magnus. «E tu chi saresti?»

«Leon Verlac» rispose il ragazzo.

«Be’, Leon Verlac» disse Magnus strascicando le parole. «Continua

a sognare.»


31

L’essenza della pietà

Alec osservò i suoi amici, appoggiato a una colonna di pietra crepata.

Helen e Aline vagavano sui terreni della villa, catturando i seguaci del

culto in cui si imbattevano. Avevano le armi sguainate, pronte ad

affrontare eventuali demoni rimasti, ma la potenza dell’uscita di scena

di Asmodeo pareva averli completamente dispersi. Non che non ci

fossero un mucchio di cose da fare: seguaci del culto mezzi sepolti

dalle macerie, piccoli focolai da spegnere, Shadowhunters di Roma cui

dare istruzioni su dove dirigersi.

Magnus stava curando i seguaci del culto che erano stati impazienti

di assistere al suo sacrificio. Passava dall’uno all’altro con calma, come

aveva fatto Catarina alla festa. Alec riusciva sempre a individuarlo dal

fiorire di scintille azzurre che gli scaturivano dalla punta delle dita.

Per quanto lo riguardava, il comportamento di Magnus non era solo

gentile, era praticamente quello di un santo.

Si girò a guardare Shinyun. Il mio riflesso oscuro, aveva detto

Magnus, ma secondo Alec non avevano niente in comune. Era ancora

legata alla colonna di marmo e fissava nel vuoto. Alec si rese conto

con un sussulto che le lacrime le striavano silenziosamente le guance.

«Vuoi infierire?» gli disse amara, quando si accorse che Alec la

stava guardando. «Sono stata una stupida. Credevo che Asmodeo

fosse mio padre. Pensavo che la Mano Scarlatta fosse la mia famiglia.

Mi sbagliavo. Sono sempre stata sola e morirò sola. Soddisfatto?»

Alec scosse la testa. «Mi stavo solo chiedendo come saresti se avessi

incontrato qualcuno che non ti tradisse.»

«Stai suggerendo che dovrei uscire con Magnus?» disse Shinyun in

tono di scherno.

Persino lei, che aveva preso prigioniero Magnus e lo aveva


trascinato a un’orribile morte pubblica, capiva com’era fatto. Lo

capiva chiunque. Alec si sentì pervadere da una sensazione di

inquietudine al pensiero di quante persone avrebbero voluto stare con

Magnus. Non voleva pensarci. Magari non avrebbe mai dovuto farlo.

«Hai cercato di ucciderlo» disse Alec. «Quindi, ovviamente, la

risposta è no.»

Shinyun si limitò a sogghignare. Alec cercò di non pensare alla

lama che si abbassava verso il cuore di Magnus.

«Mi dispiace di aver cercato di ucciderlo» borbottò Shinyun, con gli

occhi bassi. «Diglielo.»

Alec rivide Magnus nel momento in cui le barriere del pentacolo

erano crollate. Si era girato ed era parso che gli elementi girassero

insieme a lui. Aveva una mano sollevata, la magia che danzava sulla

pelle scura e liscia, di un bianco lucente contro la corona dei capelli

neri, gli occhi splendenti accesi di vento e fuoco. Era incandescente di

energia, impossibilmente bello, e pericoloso.

E non aveva fatto del male a nessuna delle persone che avevano

fatto del male a lui.

Magnus si era fidato di Shinyun e lei l’aveva tradito, ma avrebbe

continuato a fidarsi delle persone, Alec lo sapeva. Alec si era fidato di

Aline e Helen, e persino dei vampiri di New York, e aveva funzionato.

Forse era l’unica cosa che funzionava, correre il rischio della fiducia.

Non voleva che Shinyun se la cavasse. Era giusto che fosse punita

per i suoi crimini, ma Alec sapeva bene che se il Conclave le avesse

messo le mani sopra, la sua punizione sarebbe stata la morte.

E così sia, si disse. La Legge è dura, ma è la Legge.

Suo padre gli aveva sempre detto di stare attento, di non

commettere errori, di non colpire da solo, di obbedire allo spirito e alla

lettera della Legge. Pensò a Helen e a come cercava di essere la

Shadowhunter perfetta per la sua famiglia. Alec, nervosamente

consapevole di essere diverso, sicuro che avrebbe deluso il padre,

aveva sempre cercato di seguire le regole.

Magnus avrebbe potuto uccidere Shinyun quando aveva infranto il

pentacolo, o in qualunque altro momento dopo di allora. Invece era

chiaro che voleva disperatamente risparmiarla. Quando poteva


scegliere, il Magnus che lui conosceva sceglieva sempre di essere

gentile.

Si abbassò e tagliò le corde che trattenevano Shinyun con la lama

della spada angelica, il cui potere aveva la meglio persino sui ceppi

magici.

«Cosa stai facendo?» bisbigliò Shinyun.

Non lo sapeva bene neanche lui.

«Vai» disse in tono brusco. Quando Shinyun si limitò a sedersi e a

fissarlo, Alec ripeté quello che aveva detto. «Vai. O vuoi rimanere e

finire alla mercé del Conclave?»

Shinyun si mise in piedi, asciugandosi le lacrime con il dorso della

mano. Nei suoi occhi passò un lampo di sofferenza amara. «Pensi di

conoscere Magnus Bane. Ma non hai idea della portata e delle tenebre

dei segreti che ti nasconde. Ci sono tantissime cose che non ti ha

detto.»

«Non voglio saperle» disse Alec.

Fece un sorriso storto. «Un giorno le saprai.»

Alec si girò verso di lei improvvisamente furibondo. Shinyun

sobbalzò e corse via il più velocemente possibile, sparendo nel fumo.

Gli Shadowhunters di Roma erano già sul posto. Avrebbe potuto

essere presa prigioniera, ma Alec le aveva offerto l’opportunità

migliore possibile. Nessuno avrebbe potuto incolpare Magnus, né

Aline o Helen. Alec era l’unico responsabile.

Guardò la polvere che turbinava nell’aria e le luci che tingevano il

cielo di sfumature viola scuro e rosso brillante. Un giorno avrebbe

seguito di nuovo le regole. Quando le regole fossero cambiate.

Sobbalzò quando due figure emersero dal fumo, teso e pronto a

rispondere a un fuoco di fila di domande da parte degli

Shadowhunters italiani, ma erano solo Aline e Helen. Magnus le

seguiva a qualche distanza. Aline era davanti e rimase a bocca aperta

quando vide Alec in piedi da solo vicino alle rovine, con delle corde

sparse ai piedi.

«Per l’Angelo» mormorò Aline. «Shinyun è scappata?»

«Be’,» disse Alec «se n’è andata.»

Aline richiuse la bocca. Aveva l’espressione di una che ha appena


addentato un limone.

«Se n’è andata?» ripeté Helen. «E cosa diremo agli altri

Shadowhunters? “Avevamo in custodia una pericolosa fuggitiva e ce

la siamo lasciata scappare sotto il naso, ragazzi, scusate!”»

Messa così, non suonava molto bene.

Si sentivano delle urla nei pressi. Alec vedeva le sagome di figure

in tenuta che portavano via i seguaci del culto. Magnus si unì al

gruppetto che stava accanto alle corde tagliate. Alec sentì un tuffo al

cuore quando vide la faccia di Magnus, una miscela di gioia e

dolorosa preoccupazione. La tunica bianca era sporca di sangue e

cenere. Era ferito e aveva l’aria esausta.

«Shinyun se n’è andata?» indagò, e chiuse gli occhi per un

momento. «Sono quasi contento.»

Il fatto che fosse quasi contento fece sì che la decisione affrettata di

Alec sembrasse giusta.

«Statemi a sentire, tutti quanti» disse Magnus con cautela. «Voi tre

meritate un sacco di lodi e di gratitudine per quello che avete fatto

oggi. Avete spazzato via un culto mondano di adoratori di demoni,

preso una villa nella campagna italiana ed evitato che un Principe

dell’Inferno sconfinasse in questo mondo, tutto da soli. Sono sicuro

che l’Istituto riserverà a ognuno di voi encomi e pacche sulle spalle.»

Alec iniziava a spaventarsi, un’ombra del gelido terrore che aveva

provato quando aveva visto Magnus nell’arena, all’idea che avrebbe

potuto gettar via la propria vita prima che lui potesse raggiungerlo.

«E…?» chiese Alec cauto.

«E il Conclave non si comporterà allo stesso modo con me. Ero io

nel pentacolo, ed ero il centro della nostra seratina. È me che gli

Shadowhunters interrogheranno. Non voglio che nessuno di voi

finisca nei guai per essere venuto a salvarmi. Penso che dovreste usare

tutta la gloria di una missione grandiosa, portata a termine con

successo, per coprire qualunque difficoltà questa situazione potrebbe

crearvi. Siete incappati per caso in uno scenario misterioso. Non

sapete altro. Dite loro di chiedere a me.»

Alec scambiò un’occhiata con Aline, poi con Helen.

«Abbiamo fermato la Mano Scarlatta» disse Alec. «È questo


l’importante, giusto?»

Aline annuì. «I membri di un culto malvagio hanno tentato di

evocare Asmodeo. Noi tre li abbiamo individuati e abbiamo interrotto

il rito prima che potessero farlo.»

«Abbiamo anche chiuso la loro sede» aggiunse Helen. «E abbiamo

salvato l’uomo che volevano sacrificare nel rito. Questa è la verità. È

tutto quello che serve in un rapporto.»

«Non è mentire al Conclave» disse Aline in fretta. «Cosa che non

farei mai, perché mamma mi strapperebbe via i Marchi e, peggio

ancora, mi direbbe quanto l’ho delusa. Davvero, stiamo solo cercando

di chiarire la questione al Conclave, senza annoiarlo con dettagli

irrilevanti. Tu non hai niente a che fare con la Mano Scarlatta,

Magnus, a parte essere la loro vittima. A chi importa del passato?»

«Dirò che sarei dovuta andare all’Istituto di Parigi quando uno

stregone mi ha contattata per avere aiuto, anziché cercare di fare tutto

da sola» continuò Helen.

«Se il mio nome non verrà trascinato nel fango» disse Magnus «di

sicuro non dovrebbe esserlo il tuo. Avevi una pista e l’hai seguita con

lodevole zelo. A chi importa perché lo stregone ti ha contattata, se per

via del tuo sangue di fata o per qualunque altro motivo? Come

dimostrano i risultati, ha fatto la scelta giusta.»

«Non avrebbe potuto farne una migliore» disse Aline. «Hai fermato

la Mano Scarlatta. Hai fatto tutto quello che potevi. Nessun altro

Shadowhunter avrebbe potuto fare di meglio.»

Helen guardò Aline. Aveva le guance lievemente arrossate. Alec

rimase di stucco nel vedere sul viso di Helen un sentimento che

riconosceva e che provava sempre quando stava con Magnus: gioia

esitante per l’opinione elevata che aveva di lui, unita al dubbio

strisciante che Magnus si sarebbe reso conto che non la meritava.

Alec intuì di essersi perso alcuni dettagli cruciali riguardanti le sue

compagne, mentre si preoccupava per Magnus.

«Il problema, naturalmente,» disse Magnus «è che con la scomparsa

di Shinyun il Conclave cercherà qualcuno cui affibbiare la leadership

della Mano Scarlatta.»

Alec sentì una fitta di panico. «Non tu» disse. «Non puoi essere tu.»


Magnus lo guardò con inaspettata dolcezza. «Non io, amore»

rispose. «Ci inventeremo qualcosa.»

Tacque quando si avvicinò un gruppo di Shadowhunters italiani

che stavano perlustrando il terreno. Helen scambiò qualche parola con

il loro capo, mentre gli altri passavano oltre in fretta.

Loro quattro si avviarono verso l’ingresso della villa. Alec colse lo

sguardo di Helen.

«Scusa se per poco non ho rovinato tutto.»

«Che cosa ti avevo detto, Alexander Lightwood?» disse Helen.

«Ovunque tu vada succedono disastri. Crollano edifici. Scappano

prigionieri. Sto cominciando ad abituarmi.» Lanciò un’occhiata furtiva

a Aline, che diventò rossa come un peperone. «Credo che inizi a

piacermi.»

Aline si schiarì la voce. «Conosco questo posto. Non è niente di

speciale. Solo un piccolo caffè sul Tevere. Magari possiamo andarci

insieme una volta. Cioè, quando abbiamo tempo. Se ci va.» Si guardò

intorno. «L’invito era rivolto a Helen, a proposito. Non a te e

Magnus.»

«L’avevo capito» disse Alec, che finalmente aveva capito.

«È il mio anno di studio all’estero» rispose Helen lentamente. «La

settimana prossima dovrei andare all’Istituto di Praga.»

«Oh.» Aline sembrava avvilita.

Helen aveva l’aria di una che sta riflettendo su qualcosa. «Ma dopo

questa importante missione, mi servirebbe un po’ di riposo.

Probabilmente posso fare in modo di restare all’Istituto di Roma un

po’ più a lungo.»

«Davvero?» sussurrò Aline.

Helen si fermò e la guardò apertamente. Alec e Magnus si

sforzarono di fingere di essere da qualche altra parte. «Se vuoi dire

quello che penso tu voglia dire» disse Helen. «Se intendi un vero

appuntamento. Con me.»

«Sì» disse Aline, lasciando perdere qualunque pretesa di fare

l’indifferente. «Sì, sì, sì, un vero appuntamento. Sei la persona più

meravigliosa che io abbia mai conosciuto, Helen Blackthorn. E il tuo

modo di combattere è pura poesia. Quando hai parlato della tua


famiglia, mi hai fatto venire da piangere. Quindi andiamo a berci un

caffè o a cena, oppure potremmo passare il weekend a Firenze.

Aspetta, no, oppure potrei dire qualcosa di più garbato e raffinato.

Leggerò qualche libro romantico per imparare a formulare meglio le

cose. Scusa.»

Aveva l’aria mortificata.

«Perché ti scusi?» chiese Helen. «Mi è piaciuto.»

«Davvero?» disse Aline. «Vuoi andare a far colazione?»

«Be’, no» rispose Helen.

Aline parve costernata. «Ho fatto casino. Quand’è che ho fatto

casino?»

«Volevo solo dire,» si affrettò a spiegare Helen «andiamo a pranzo,

invece. Così prima possiamo tornare all’Istituto e darci una sistemata.

Ho dell’icore sotto le unghie.»

«Oh.» Aline tacque un istante. «Benissimo. Fantastico! Cioè, okay.»

Si mise a fare piani elaborati per il pranzo. Alec non sapeva come

avrebbe fatto a mettere insieme un’orchestra jazz in capo a tre ore, ma

era felice che avesse l’aria così felice: gli occhi scintillanti, le guance

arrossate per l’eccitazione. Helen doveva aver pensato che avesse

un’espressione più che felice, perché quando Aline fece una pausa per

riprendere fiato, si sporse e la baciò.

Fu un rapido sfiorarsi di labbra, un bacio gentile. Aline sorrise, poi

strinse il gomito di Helen e la attirò a sé. La luce del sole che da poco

aveva iniziato a brillare lungo l’orizzonte raggiunse l’anello

Penhallow che Aline portava al dito e lo fece risplendere, mentre lei

scostava i capelli dal viso di Helen e la baciava, insaziabile.

Alec commentò a bassa voce: «Spero che tra loro funzioni».

Magnus disse: «Credevo che stessero già insieme. Coppia

magnifica. Signore, detesto interrompervi, ma Leon Verlac sta

venendo da questa parte».

Helen e Aline si separarono, sorridenti. Il viso sempre allegro di

Leon aveva un’espressione stranamente burbera. Spingeva Bernard

davanti a sé.

Bernard aveva le mani legate e stava protestando con veemenza.

«Non puoi farmi questo! È tutta colpa di Magnus Bane!»


«Come se credessimo a una sola delle tue parole» ribatté Leon,

sprezzante.

«Io sono il leader della Mano Scarlatta, il suo signore oscuro e

carismatico, la mano invisibile dietro il trono, ma anche quello

destinato a sedere sul trono. Rifiuto di essere trattato come un

criminale comune!»

Leon Verlac lanciò un’occhiata al di sopra della spalla a Helen e

Aline, poi ad Alec e Magnus. Alec lo guardò inespressivo.

«Sì, be’» disse Leon, e diede un altro spintone al signore oscuro e

carismatico della Mano Scarlatta. «Abbiamo avuto tutti una giornata

difficile.»

Aline rivolse a Magnus e ad Alec un sorriso che si fece lentamente

deliziato. «Mi sa che il problema “leader della Mano Scarlatta” è

appena stato risolto.»

«Chi avrebbe mai pensato che sarei stato felice di vedere Leon?» si

chiese Helen.

«Credo che dovremmo fare un patto» disse Alec. «Noi quattro

teniamo segreto quello che sappiamo della Mano Scarlatta. In realtà,

preferirei che non facessimo parola di questa faccenda a nessuno, a

New York. Mai.»

«Saggia idea» osservò Aline. Aveva ancora le guance arrossate e

teneva Helen per mano. «Se Jace e Isabelle scoprono che ci siamo

divertiti così tanto senza di loro, siamo morti.»

Helen annuì. «Noi quattro non ci siamo mai visti qui. Questa cosa

non è mai successa. Non vedo l’ora di incontrarti un giorno o l’altro,

Alec. Per la prima volta.»

Se il padre di Alec fosse venuto a sapere del culto e del passato di

Magnus, avrebbe tratto le stesse conclusioni che aveva tratto Helen,

solo peggiori. Alec non voleva che succedesse. Era ancora convinto

che se suo padre lo avesse conosciuto meglio, avrebbe finito per capire

ciò che Helen e Shinyun erano arrivate a capire, ciò che Alec aveva

visto fin da subito.

Ovviamente, suo padre sarebbe stato contento di sapere che Alec

aveva offerto un grosso contributo alla missione a Roma. Il leader

della Mano Scarlatta era stato catturato, loro tre avevano fermato il


culto e posto fine al terribile rituale. Era davvero possibile che

l’Istituto di Roma gli avrebbe fatto i complimenti per il lavoro

eccellente.

Ma in confronto a Magnus, l’approvazione di suo padre – di

qualunque membro del Conclave – non contava niente. Alec sapeva

chi era. Sapeva cosa aveva fatto e per cosa aveva combattuto, e per

cosa avrebbe combattuto in futuro.

E sapeva esattamente chi amava.

La polvere si stava depositando e i raggi del sole si facevano più

forti, brillanti strisce di luce che ripulivano il giorno appena nato.

L’anfiteatro, le gradinate di pietra del pubblico e la villa che erano

stati l’ultima roccaforte della Mano Scarlatta erano ormai dei ruderi in

quella che si annunciava una serena giornata d’autunno.

Alec stupì se stesso mettendosi a ridere forte.

Allungò la mano e trovò ad attenderla quella di Magnus.


Epilogo

LA CITTÀ CHE CHIAMO CASA

Ed è New York la città più bella del mondo?

Forse…

Qui è la nostra poesia, poiché abbiamo piegato le stelle al nostro

volere.

EZRA POUND


«Ecco, questa è tutta la storia della nostra caccia alla Mano Scarlatta»

disse Magnus con un gesto plateale della mano che reggeva la tazza di

tè. Il liquido traboccò dall’orlo e finì attraverso l’illusione di Tessa.

I suoi solenni occhi grigi furono illuminati da un sorriso. Aveva

sempre un aspetto grave, eppure sorrideva spesso. Magnus ricambiò.

Aveva rubato un momento prima che lui e Alec partissero, mentre gli

Shadowhunters erano ancora impegnati a stendere rapporti ufficiali

sulla vicenda della Mano Scarlatta.

Anche Magnus aveva un rapporto da fare ed era bello vedere

Tessa, anche se era soltanto una Proiezione.

«Che storia, però» osservò Tessa.

«Lo dirai al Labirinto a Spirale?» chiese Magnus.

«Dirò qualcosa» rispose Tessa. «Qualcosa che non assomiglia

neppure lontanamente alla storia che mi hai appena raccontato. Ma

sai, un sacco di resoconti dipendono dall’interpretazione.»

«Il pubblico sei tu» disse Magnus. «Lascerò fare a te.»

«Sei felice?» chiese Tessa.

«Sì, sono felice di non essere più accusato falsamente di essere a

capo di un culto votato alla distruzione globale» rispose Magnus.

«Sono anche felice che uno stregone squinternato non stia spedendo

demoni a darmi la caccia in giro per l’Europa. È tutto molto

gratificante.»

«Non ne dubito» disse Tessa gentilmente. «Ma sei felice?»

Magnus la conosceva da tanto tempo. Abbassò un poco le difese,

abbastanza per rispondere con un semplice: «Sì».

Tessa sorrise, senza un briciolo di esitazione o sforzo. «Sono

contenta.»


Fu Magnus a esitare. «Posso chiederti una cosa? Tu hai amato uno

Shadowhunter.»

«Pensi che abbia smesso?»

«Quando amavi uno Shadowhunter, hai mai avuto paura?»

«Avevo sempre paura» disse Tessa. «È normale aver paura di

perdere la cosa più preziosa al mondo. Ma non avere troppa paura,

Magnus. So che stregoni e Shadowhunters sono molto diversi, e che

esiste un divario tra i vostri mondi che può essere difficile da colmare.

Ma come mi disse una volta una persona, all’uomo giusto non

importerà. Potete costruire un ponte sopra il divario e incontrarvi.

Potete costruire qualcosa di molto più grande di quanto ciascuno di

voi due avrebbe mai potuto costruire da solo.»

Dopo che ebbe parlato scese il silenzio, mentre ripensavano alle

epoche che avevano già visto passare, e a quelle future. Il sole era

ancora alto fuori dalla finestra della camera d’albergo di Magnus a

Roma, ma non sarebbe durato a lungo.

Magnus disse riluttante: «Ma perdiamo l’amore, alla fine. Io e te lo

sappiamo».

«No» disse Tessa. «L’amore ti cambia. L’amore cambia il mondo.

Quell’amore non puoi perderlo, indipendentemente da quanto a

lungo vivi, credo. Fidati dell’amore. Fidati di lui.»

Magnus avrebbe voluto farlo, ma non poteva dimenticare quando

Asmodeo gli aveva detto che lui era una maledizione per il mondo.

Ricordò di aver implorato Shinyun con lo sguardo di non rivelare ad

Alec chi era suo padre. Non voleva mentire a Tessa. Non sapeva come

promettere che avrebbe fatto ciò che gli aveva consigliato.

«E se dicendogli la verità lo perdessi?»

«E se lo perdessi tacendola?»

Magnus scosse la testa. «Abbi cura di te, Tessa» le disse, anziché

assicurarle che avrebbe seguito il suo consiglio.

Tessa non insistette. «Anche tu, amico mio. Auguro a voi due tutto

il meglio.»

L’illusione di Tessa svanì, la massa serica dei capelli castani che si

dissolveva nell’aria come una nuvola. Dopo un attimo, Magnus si alzò

e andò a cambiarsi per raggiungere Alec all’Istituto di Roma e


riprendere finalmente la loro vacanza.

Ai piedi dei gradini d’ingresso dell’Istituto si aprì un Portale che

fendette l’aria. Magnus era in cima alla scalinata. Aveva già salutato

tutti, comprese due Shadowhunters italiane che erano sembrate

sbigottite di venire abbracciate ed erano state costrette a presentarsi

mentre lui le stringeva, anche se avevano ricambiato con entusiasmo.

Si chiamavano Manuela e Rossella. Magnus pensò che avevano l’aria

simpatica.

Alec non abbracciò nessuno tranne Aline, ma la strinse forte.

Magnus guardò la nuca di Alec, che era chino su Aline, e scambiò

un’occhiata e un sorriso con Helen.

«Spero che la prossima tappa della vostra vacanza sia favolosa»

disse Helen.

«Lo sarà. Spero che il prossimo posto dove andrai nel tuo anno di

studio all’estero sia magnifico.»

«Il fatto è» disse Helen «che sono un po’ stufa di viaggiare. Sono

felice dove sto adesso.»

Aline raggiunse Helen e le si mise accanto.

«Viaggiare?» ripeté. «Stavo pensando, se vuoi compagnia quando

vai all’Istituto di Praga, potrei venire con te. Non ho impegni

particolari, eccetto combattere le forze del male. Ma quello potremmo

farlo insieme.»

Helen sorrise. «Credo che escogiteremo qualcosa.»

Alec scansò un tentativo di abbracciarlo da parte di Leon Verlac e

gli permise solo di sfiorargli le guance con un doppio bacio. Andò a

unirsi a Magnus in cima ai gradini.

«Pronto per riprendere la vacanza?» gli chiese Magnus, allungando

una mano.

«Non vedo l’ora» disse Alec, prendendogliela.

Insieme, con i bagagli al seguito, entrarono nel Portale. Si

lasciarono alle spalle l’Istituto di Roma e arrivarono nel salotto del loft

di Magnus a Brooklyn.

Magnus alzò una mano, girando lentamente su se stesso. Tutte le

tende si scostarono e le finestre si spalancarono. La luce del sole si


riversò sul pavimento di legno e sui tappeti colorati intessuti di

scarlatto, giallo e blu, scintillando sui libri di incantesimi rilegati in

pelle e con i titoli dorati e sulla nuova macchina per il caffè che

Magnus aveva acquistato, perché Alec disapprovava il fatto che

rubasse il caffè evocandolo dai negozi del posto.

Chairman Meow si avvicinò a Magnus inclinando la testa con felina

esitazione, prima di strusciarsi contro le sue gambe descrivendo degli

otto. Poi gli si arrampicò addosso come un alpinista, saltandogli sulle

mani e scalandogli un braccio per poi appollaiarglisi sulla spalla. Fece

le fusa vicino all’orecchio di Magnus, gli leccò la guancia con la lingua

rasposa come carta vetrata e saltò giù senza nemmeno guardarsi

indietro, avendo terminato i necessari saluti.

«Ti voglio bene anch’io, Chairman Meow» gli gridò dietro Magnus.

Alec sollevò in alto le braccia e si stirò, facendo oscillare il corpo da

una parte all’altra prima di lasciarsi cadere sul divanetto. Scalciò via le

scarpe e affondò nei cuscini. «Che bello essere di nuovo a New York.

Casa. Mi serve una vacanza da quella vacanza.»

Allungò una mano verso Magnus e lui gli si sedette accanto sul

divano, sentendo le dita di Alec nei capelli.

«Niente mete turistiche imperdibili. Nessuna cena elaborata che

richiede macchine volanti e assolutamente zero culti e stregoni

sanguinari» sussurrò all’orecchio di Alec. «Solo casa.»

«È bello essere tornati» disse Alec. «Mi è mancata la vista da questa

finestra.»

«Sì» rispose Magnus stupito. C’erano state talmente tante finestre, e

così tante città. Non aveva mai pensato di sentire la mancanza di una

vista.

«E mi è mancata Izzy.»

Magnus pensò all’impetuosa sorella di Alec, cui lui teneva più che

alla sua stessa vita. «Sì.»

«E Jace.»

«Eh» disse Magnus.

Sorrise con la bocca contro la guancia di Alec, sapendo che avrebbe

percepito il suo sorriso anche se non lo vedeva. Non gli era mai

mancato un panorama, ma era bello sentire la mancanza di questo.


Era strano guardare le case in arenaria e il cielo azzurro, l’arco del

Ponte di Brooklyn e i grattacieli scintillanti di Manhattan, e pensare al

ritorno, a un posto dove c’erano familiari e amici.

«Non credo che nessuno si aspetti che siamo già tornati» osservò

Alec.

«Non dobbiamo spiegare perché siamo tornati prima» disse

Magnus. «Io non lo faccio mai. Ci vuole meno tempo e contribuisce al

mio alone di mistero.»

«No, volevo dire…» Alec deglutì. «Mi mancano, ma potrei resistere

per avere un po’ più di tempo da solo con te. Non siamo obbligati a

dirgli che siamo tornati.»

Magnus si illuminò. «Posso sempre aprire un Portale per tornare in

vacanza, se ne abbiamo voglia. Possiamo ancora andare all’opera,

come desideravi. In un attimo.»

«Posso dire che mi si è rotto il telefono» disse Alec. «Posso dire che

mi è caduto nel Tevere.»

Magnus sogghignò malizioso. «Ho un’idea migliore.»

Saltò su dal divano e andò nel retro del loft. Gettò un incantesimo e

fece due ampi gesti con le braccia per spostare tutti i mobili da una

parte.

Si girò a guardare Alec, e tutt’a un tratto indossava un paio di

lederhosen molto lucidi e molto verdi. «Credo che la tappa successiva

del nostro viaggio fosse Berlino.»

Nell’ora seguente fecero fotografie bastanti per settimane di

vacanza, posando di fronte a sfondi evocati da Magnus sulla parete

del loft. La prima li ritraeva mentre ballavano in una discoteca di

Berlino. Quella successiva li vedeva di fronte al museo del Prado in

Spagna. Alec dava delle briciole a un gruppetto di piccioni che

Magnus aveva convocato dal tetto.

«Potrei evocare anche un toro» propose Magnus. «Per

verosimiglianza.»

«Niente toro» disse Alec.

L’ultimo scatto era a Nuova Delhi, tra la folla multicolore davanti

alla Jama Masjid per la festa di Eid al-Fitr. Magnus evocò ciotole

d’argento di gulab jamun, ras malai, kheer e altri dolci, e si diedero il


cambio a imboccarsi a vicenda sorridendo all’obiettivo.

Alec allungò le braccia per attirare Magnus a sé e baciarlo, poi esitò,

le dita appiccicose di zucchero. Magnus gesticolò, lasciandosi dietro

un’increspatura scintillante di magia che tolse di mezzo i dolci, lo

sfondo e lo sciroppo che avevano sulle dita. Si sporse, prese Alec per il

mento e gli diede un bacio.

«Adesso che ci siamo sbarazzati della parte vacanziera della nostra

vacanza» disse «possiamo divertirci.»

Si appoggiò a una libreria piena di antichi libri di incantesimi e

prese Alec per mano. «Sarebbe magnifico» rispose Alec timidamente.

«Con il senno di poi» disse Magnus «una vacanza sontuosa era

forse un po’ eccessiva per una cosa nuova come… questa.» Indicò loro

due.

Alec iniziò a sorridere. «Continuavo a preoccuparmi che avrei fatto

casino.»

«E come?»

Alec si strinse nelle spalle. «Sarei stato alla tua altezza? Sarei stato

abbastanza interessante?»

Magnus si mise a ridere. «Volevo farti vedere il mondo, mostrarti

che la vita può essere un’avventura grandiosa e romantica. Ecco

perché avevo organizzato la cena sulla mongolfiera sopra Parigi. Lo

sai quanto mi ci è voluto? Solo evitare che il vento rovesciasse il tavolo

e le sedie ha richiesto ore di magia mai viste. E mi sono schiantato lo

stesso.»

Risero insieme.

«Forse ho esagerato un tantino» ammise Magnus. «Ma volevo

mettere ai tuoi piedi tutto lo splendore e la magnificenza dell’Europa.

Volevo che ti divertissi.»

Quando lo guardò, Alec aveva la fronte aggrottata.

«Mi sono divertito» disse. «Ma non avevo bisogno di niente di tutto

questo. Erano solo posti. Non devi organizzare nessuno spettacolo per

convincermi. Non mi serve Parigi, né Venezia o Roma. Voglio soltanto

te.»

Ci fu una pausa. Il sole del pomeriggio entrava dalle finestre aperte,

illuminando il pulviscolo e gettando un bagliore sulle loro dita


intrecciate. Magnus udiva i rumori del traffico di Brooklyn, taxi gialli

che strombazzavano e si facevano largo tra le auto.

«Avevo intenzione di chiedertelo» disse Magnus. «Quando

Shinyun e io stavamo lottando nel pentacolo a Roma, l’hai colpita. Mi

hai detto che vedevi decine di illusioni di me che combattevano contro

decine di illusioni di lei. Come hai fatto a capire qual era la Shinyun

reale?»

«Non l’ho capito» rispose Alec. «Ho capito quale eri tu.»

«Oh. Una versione di me più bella delle altre?» disse Magnus,

affascinato. «Più affabile? In possesso di un certo je ne sais quoi?»

«Non ne ho idea» rispose Alec. «Hai allungato la mano verso un

coltello. L’hai preso e poi l’hai lasciato andare.»

Magnus si sgonfiò.

«Hai capito che ero io perché sono un guerriero peggiore di lei?»

chiese. «Be’, ma è terribile. Immagino che “patetico in combattimento”

sia nella top ten delle cose che fanno passare la voglia a uno

Shadowhunter.»

«No» disse Alec.

«Numero undici, appena sotto “il nero gli sta malissimo”?»

Alec scosse la testa. «Prima che ci mettessimo insieme» disse «ero

parecchio arrabbiato e ho ferito delle persone perché soffrivo. Essere

gentili quando si sta male… è difficile. La maggior parte della gente fa

fatica a farlo anche quando è al proprio meglio. Il demone che ha

gettato l’incantesimo non poteva prevederlo. Ma fra tutte quelle

immagini identiche, c’era una sola persona che ha esitato a fare del

male a qualcuno, persino nel momento dell’orrore supremo. Dovevi

essere tu per forza.»

«Oh» disse Magnus.

Mise le mani intorno al viso di Alec e lo baciò. Lo aveva fatto già

tante volte, eppure non riusciva ad abituarsi a come Alec reagiva, e a

come reagiva lui. Tutte le volte sembrava la prima volta. Magnus non

voleva farci l’abitudine.

«Siamo soli» gli sussurrò Alec, con la bocca sulla sua. «Il loft è

protetto. Nessun demone può interromperci.»

«Le porte sono chiuse» disse Magnus. «E ho le serrature migliori


che il denaro e la magia sono in grado di procurare. Non

funzionerebbe nemmeno una runa di Apertura.»

«Grande notizia» disse Alec.

Magnus lo udì a malapena. Le labbra di Alec sulle sue avevano

fatto piazza pulita di qualunque raziocinio.

Agitò le dita verso il letto alle sue spalle e spedì dall’altra parte

della stanza il piumino scarlatto e oro, che fluttuò come una vela

solitaria. «Possiamo…»

Gli occhi di Alec si accesero di desiderio. «Sì.»

Caddero sul materasso, allacciati sulle lenzuola di seta. Magnus

infilò le mani sotto la T-shirt di Alec, e sentì la pelle caldissima e il

guizzare dei muscoli dello stomaco. Il suo desiderio era una fiamma

bassa nel ventre che gli si diffondeva nel petto e gli chiudeva la gola.

Alexander. Mio bellissimo Alexander. Lo sai quanto ti voglio?

Ma l’ombra di una voce sussurrò nella testa di Magnus, dicendo

che non poteva raccontare ad Alec la verità su suo padre, sulla sua

vita. Magnus avrebbe voluto gettare ai suoi adorati piedi ogni verità

sul proprio conto, ma questa non avrebbe fatto altro che mettere Alec

in pericolo. Doveva essere tenuta nascosta.

«Aspetta, aspetta, aspetta» ansimò Magnus.

«Perché?» chiese Alec, con la bocca gonfia per i baci e gli occhi

velati dal desiderio.

Già, perché? Buona domanda. Magnus chiuse gli occhi e scoprì che

vedeva ancora la luce, i contorni del corpo di Alec che aderivano caldi

e dolci e perfetti al suo. Stava annegando nella luce.

Respinse Alec, anche se non tollerava di allontanarlo troppo.

Adesso Alec era a una spanna da lui, su un mare di seta cremisi.

«È solo che non voglio che tu faccia qualcosa di cui potresti

pentirti» disse Magnus. «Possiamo aspettare quanto vuoi. Se hai

bisogno di aspettare fino… fino a che non sei sicuro di quello che

provi…»

«Cosa?» Alec sembrava confuso, e un po’ irritato.

Quando Magnus si era raffigurato momenti meravigliosi e sensuali

con il suo amatissimo Alec, o momenti nei quali si sacrificava

nobilmente, non aveva immaginato il suo amato tanto infastidito.


«Ti ho baciato nella Sala degli Accordi, davanti all’Angelo e a tutti

quelli che conosco» disse Alec. «Non riesci a immaginare cosa

significhi?»

Magnus ricordò di aver guardato in faccia Alec all’inizio della

guerra, pensando di averlo perso per sempre e rendendosi conto che

non era così. Aveva conosciuto la certezza per un unico, glorioso

momento, che era riecheggiato nella grande sala e nel suo corpo come

una campana. Ma momenti del genere potevano andare perduti.

Magnus aveva lasciato che le ombre del dubbio su di sé, sul proprio

passato, sul futuro di Alec si insinuassero e gli strappassero quella

certezza.

Alec lo guardava con attenzione. «Hai fondato un culto secoli fa e

non ho fatto domande. Ti ho seguito per tutta l’Europa. Ho fatto fuori

un branco di demoni sull’Orient Express per te. Sono andato in un

palazzo pieno di assassini e di gente che voleva chiacchierare e

ballare, per te. Ho mentito all’Istituto di Roma per te, e avrei mentito

al Conclave.»

Messe tutte insieme, erano un bel po’ di cose. «Mi spiace che tu

abbia dovuto fare tutto questo» mormorò Magnus.

«Non voglio che tu sia dispiaciuto!» ribatté Alec. «Io non lo sono.

Volevo farlo. Volevo tutte quelle cose, insieme a te. L’unica cosa che

mi preoccupava era quando ti trovavi nei pasticci senza di me. Voglio

che nei guai ci siamo insieme. Voglio che stiamo insieme e basta. È

tutto quello che voglio.»

Magnus aspettò in silenzio. Dopo un attimo, Alec disse a bassa

voce: «Non ho mai amato nessuno in questo modo. Forse non sto

usando le parole giuste, ma è ciò che provo».

Non ho mai amato nessuno in questo modo.

Magnus ebbe l’impressione che il cuore gli si aprisse in due,

riversandogli nelle vene amore e desiderio. «Alec» sussurrò. «Hai

detto tutto benissimo.»

«Allora qualcosa non va?» Alec si mise in ginocchio sul letto, con i

capelli deliziosamente arruffati, le guance arrossate.

«Per te è la prima volta» disse Magnus. «Voglio che sia perfetta.»

Con stupore di Magnus, Alec fece un gran sorriso. «Magnus,» disse


«sto aspettando da così tanto tempo. Se non lo facciamo adesso, mi

butto dalla finestra.»

Magnus si mise a ridere. Era strano ridere e provare desiderio al

tempo stesso; non era sicuro di essersi mai sentito così se non con

Alec. Allungò una mano e lo attirò a sé.

Alec ansimò forte quando i loro corpi entrarono in contatto e di lì a

poco nessuno dei due stava più ridendo. Ad Alec si accelerò il respiro

quando Magnus gli tolse la maglietta. Le sue mani erano avide,

curiose. Trovò il colletto della camicia di Magnus e tirò, aprendola e

facendogliela scivolare giù dalle spalle. Passò le mani sulle sue braccia

nude. Lo baciò sulla gola, sul petto, sullo stomaco piatto privo di

ombelico. Magnus infilò le dita tra i capelli arruffati di Alec e si chiese

se qualcuno fosse mai stato tanto fortunato.

«Sdraiati» sussurrò alla fine. «Sdraiati, Alexander.»

Alec si stese sul letto, il corpo splendido nudo dalla cintola in su.

Con gli occhi fissi su Magnus, allungò le mani all’indietro afferrando

la testiera e tendendo i muscoli delle braccia. La luce del sole che

entrava dalla finestra cadde su Alec, immergendo il suo corpo in una

debole luminescenza. Magnus sospirò e desiderò che la magia potesse

fermare il tempo, permettendogli di vivere quel momento per sempre.

«Oh, amore mio» mormorò Magnus. «Sono così contento di essere a

casa.»

Alec sorrise e Magnus si chinò su di lui. I loro corpi si unirono e

aderirono l’uno all’altro, petto contro petto, fianchi contro fianchi.

Alec trattenne il respiro quando la lingua di Magnus gli esplorò la

bocca e le sue mani gli tolsero il resto dei vestiti. Adesso erano pelle

contro pelle, i respiri mescolati, i cuori che battevano all’unisono.

Magnus passò gli anelli sulla gola di Alec, poi risalì verso la bocca;

Alec gli leccò e succhiò le dita, le pietre degli anelli, e Magnus

rabbrividì di desiderio quando gli morse piano il palmo della mano.

Tutto ciò che baciavano e accarezzavano era come il realizzarsi di

un’alchimia, la trasmutazione in oro dell’ordinario. Si mossero

insieme, prima lentamente e poi con urgenza.

Quando infine rimasero immobili e gli ansiti si furono trasformati

in sussurri, giacquero abbracciati nella luce morente del giorno, Alec


accoccolato di fianco a Magnus, la testa sul suo petto. Magnus gli

toccò i capelli morbidi e alzò lo sguardo sognante alle ombre sopra il

letto. Era come se tutto ciò che c’era stato tra loro fosse accaduto per la

prima volta nel mondo, l’inizio di qualcosa di splendente e del tutto

nuovo.

Magnus aveva sempre avuto un cuore vagabondo. Nel corso dei

secoli, si era avventurato in talmente tanti posti diversi, sempre in

cerca di qualcosa capace di saziare la sua brama irrequieta. Non si era

mai reso conto che tutti i pezzi sarebbero potuti andare a posto, che il

luogo chiamato casa sarebbe potuto essere da qualche parte con

qualcuno.

Con Alec era a casa. Il suo cuore vagabondo poteva riposare.

Il Portale si aprì appena fuori l’hongsalmun rovinato dalle intemperie

vicino alla sommità della collina. La vernice rossa che un tempo aveva

ravvivato il cancello di legno si era scrostata un secolo prima e la

struttura era soffocata dai rampicanti.

Shinyun uscì dal Portale e respirò l’aria frizzante di montagna.

Esaminò la sua proprietà e le sue difese invalicabili. Solo una volpe

aveva sconfinato, tanto tempo prima, affamata e in cerca di cibo. Non

ne aveva trovato, e di lei era rimasto solo lo scheletro.

Percorse il sentiero tortuoso di pietre spezzate e vegetazione bassa

che si arrampicava sulla collina. La vecchia casa della sua famiglia in

Corea era nota alla gente del posto per essere un luogo maledetto,

infestato. Shinyun immaginava che lo fosse, in un certo senso. Lei era

il fantasma della propria famiglia, l’ultimo. Era stata abbandonata qui

e non era mai riuscita ad andarsene davvero.

Entrò in casa e con un gesto la riportò in vita. Un fuoco divampò

nel caminetto. I suoi due demoni Hue, occhi rossi e denti affilati come

rasoi nel volto scimmiesco, si allontanarono dal focolare e le andarono

incontro, con le code da serpente che fendevano l’aria.

I due demoni seguirono dappresso la loro padrona mentre

percorrevano il corridoio principale, diretti sul retro della casa.

Arrivarono a un muro che sfarfallò e scomparve. Shinyun e i suoi

demoni ci passarono attraverso e la parete tornò al suo posto, mentre


loro scendevano la scala nascosta.

Sulla parete di fondo della cantina c’era una gabbia di metallo

arrugginito, rinforzata da protezioni potenti. I demoni di Shinyun non

erano animali da compagnia. Erano guardiani. Tenevano alla larga gli

intrusi. Ed evitavano che ciò che c’era all’interno uscisse.

Aprì i catenacci ed entrò nella gabbia. I demoni sibilarono in

direzione del mucchio nell’angolo e lo stregone con la pelle verde,

sudicio, alzò la testa. Il volto era quasi nascosto da una massa

aggrovigliata di capelli che un tempo erano stati bianchi come la neve,

ma adesso erano grigi di sporcizia.

«Oh, sei viva» disse. «Peccato.»

Si appoggiò al mucchio di paglia e tela di sacco come se fossero

seta.

«Sono felice di vedere che non hai un bell’aspetto» aggiunse.

«Magnus Bane si è dimostrato un avversario più formidabile di

quanto ti aspettassi? Chi l’avrebbe detto? Aspetta, io te l’avevo detto

che non avevi possibilità contro di lui. Ripetutamente.»

Shinyun gli tirò un calcio feroce al plesso solare. Continuò a

prenderlo a calci finché non fu ricompensata da un gemito.

«Magari le cose non sono andate come speravo» disse con il fiatone.

«Ne sarai dispiaciuto quanto me. Ho un altro piano, un piano per tutte

le antiche maledizioni, e tu mi aiuterai.»

«Ne dubito» ribatté lui. «Non sono il tipo collaborativo.»

Shinyun lo colpì. Lo prese a calci finché lui si rannicchiò per il

dolore e lei distolse il viso per non fargli vedere che stava piangendo.

«Non hai scelta. Nessuno verrà a salvarti» disse con fredda

sicurezza. «Sei solo, Ragnor Fell. Tutti pensano che tu sia morto.»


Ringraziamenti

Alec Lightwood ha preso forma nella mia mente nel 2004, un ragazzo con

indosso vecchie felpe lise bucate sui polsi, occhi azzurri arrabbiati e un’anima

vulnerabile. Magnus si è fatto strada nel mio cuore non molto tempo dopo,

tutto personalità ingombrante ed emozioni accuratamente controllate. E

sapevo che erano perfetti l’uno per l’altro: lo Shadowhunter e il Nascosto, lo

stregone e il ragazzo arciere.

Quando ero adolescente, la rappresentazione LGBTQ+ nella letteratura per

giovani adulti si trovava perlopiù nelle pagine dei romanzi sul disagio

giovanile… se la si trovava. I miei amici gay, lesbiche e bisessuali cercavano

invano una rappresentazione di sé nel genere di libri che amavano leggere:

avventure fantasy di cappa e spada. Quando mi accinsi a scrivere i libri degli

Shadowhunters, ci misi Alec e Magnus perché adoravo i loro personaggi e

pensavo che fossero perfetti per un racconto fantasy di cappa e spada: il

rifiuto da parte delle scuole, delle fiere del libro e delle librerie che non

volevano acquistare i libri a causa loro, lo stigma degli enti di vigilanza sui

media che bollavano la presenza di personaggi gay come “contenuto

sessuale” anche se non si erano ancora nemmeno baciati mi sconvolse e mi

intristì, proprio come l’ondata di sostegno da parte dei lettori LGBTQ+ mi rese

ancora più determinata a raccontare la loro storia.

Non è stata impresa facile. Ho tentato di mantenere un equilibrio per cui

Magnus e Alec fossero sempre presenti nei libri, sempre umani e riconoscibili,

sempre eroici, senza oltrepassare quelli che erano considerati “contenuti

accettabili”, cosa che avrebbe portato all’esclusione dei libri dagli scaffali di

librerie e biblioteche, di modo che i ragazzi che più avevano bisogno di

leggere di personaggi come Alec e Magnus non sarebbero riusciti a farlo. Ma

smaniavo per fare di più.

La scrittura e la pubblicazione delle Cronache di Magnus Bane nel 2014 è

stato un colpo di avvertimento: un libro sfacciatamente incentrato su Magnus,

la sua vita e i suoi amori di entrambi i generi e l’impegno finale con Alec. È

andato modestamente bene… a sufficienza per farmi sentire che era venuto il

momento di fare una cosa che avevo sempre desiderato e raccontare una


storia fantasy romantica della quale Magnus e Alec erano i protagonisti.

Avevo già lasciato un vuoto da riempire con quella storia: la “vacanza” che

Magnus e Alec fanno in Città degli angeli caduti, durante la quale la loro

relazione diventa chiaramente più seria. Sapevamo che avevano girato

spensierati per l’Europa: ma cosa era successo esattamente? Questo libro

racconta quella storia.

Perciò grazie ai miei amici e alla mia famiglia che mi hanno sostenuta

durante la scrittura, al mio editore per aver corso un rischio, al mio editor e

agente, e al mio coautore, Wesley Chu. E grazie soprattutto ad Alec e Magnus

e a coloro che li hanno amati e seguiti nel corso degli anni. Nel 2015 una

bibliotecaria texana prese da parte la mia coautrice a una conferenza e le disse

che le Cronache di Magnus Bane era l’unico libro LGBTQ+ che le era permesso

avere in biblioteca. Tutti gli altri erano stati esclusi come “inappropriati”, ma

quando ragazzi fan degli Shadowhunters avevano chiesto ripetutamente il

libro ai genitori, le era stato detto che poteva fare un’eccezione. Grazie

soprattutto ai ragazzi che hanno chiesto e a quella bibliotecaria e ad altri

bibliotecari, insegnanti e librai che hanno messo il libro giusto nelle mani

giuste. E speriamo in un mondo in cui un giorno tutti sapranno che i libri

LGBTQ+ non sono solo “appropriati” bensì necessari.

C.C.

La Mano Scarlatta è stato scritto in un periodo di significativa transizione.

Prima che mi venisse chiesto di collaborare alla stesura della storia di Magnus

e Alec, pensavo che il mio cuore fosse appagato di vivere a Chicago con mia

moglie Paula e la nostra Airedale Terrier, Eva. Poi nacque nostro figlio Hunter

e ci trasferimmo dall’altra parte del Paese, a Los Angeles, e come il Grinch che

ha rubato il Natale il mio cuore triplicò di dimensioni e mi uscì dal petto. Gli

anni in cui ho lavorato a questo libro sono stati i più soddisfacenti e

impegnativi della mia vita, sia dal punto di vista personale che professionale,

e sento che la mia crescente capacità di amare e ciò che provo per la mia

famiglia, la mia nuova casa e questo progetto si rivelano in queste pagine.

Sono grato alla mia splendida moglie, Paula, per avermi mostrato cosa

significano amore e sostegno incondizionati, e per avermi offerto inesauribile

pazienza mentre trascorrevo migliaia di ore alla scrivania. Sono grato anche ai

miei genitori e ai miei suoceri per averci aiutati a prenderci cura di Hunter,

cosa che mi ha concesso tempo e spazio per dedicare la mia attenzione a

Magnus e Alec. Grazie anche al mio agente, Russ Galen, per aver creduto

abbastanza in me da appoggiare questo progetto, e alla squadra della

Simon&Schuster per aver fatto succedere tutto il resto.

L’amore e la dedizione dei fan degli Shadowhunters non smettono mai di

stupirmi e ispirarmi. Grazie. Ci siamo dentro tutti insieme. Ardete con forza.


Ardete con intensità.

Un grazie speciale a Cassie per avermi permesso di aiutarla a raccontare la

storia di Magnus. È stata una delle esperienze più gratificanti della mia vita e

mi ritengo davvero onorato e fortunato di far parte di una cosa tanto speciale

come l’universo Shadowhunter.

Infine devo ringraziare Magnus e Alec. Il vostro amore è un’ispirazione e

un faro per moltissime persone. Che la vostra storia possa risplendere

altrettanto luminosa dall’inizio alla fine.

W.C.


Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può

essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato,

licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo

ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato

dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o

da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi

distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come

l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti

costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà

sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla

Legge 633/1941 e successive modifiche.

Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio,

commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso

senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso,

tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui

l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente

dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

www.librimondadori.it

Shadowhunters. La mano scarlatta

di Cassandra Clare, Wesley Chu

Text Copyright © 2019 by Cassandra Clare, LLC

Published in agreement with the author, c/o BAROR

INTERNATIONAL, INC., Armonk, New York, U.S.A.

© 2019 Mondadori Libri S.p.A., Milano

Titolo dell’opera originale: The Red Scrolls of Magic

Ebook ISBN 9788852095511

COPERTINA || PROGETTO GRAFICO ORIGINALE DI RUSSELL

GORDON | ILLUSTRAZIONE © 2019 BY ANNE LAMBELET

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!