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Il numero di Marzo 2007 - Associazione Nazionale Venezia Giulia e ...

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12 DIFESA ADRIATICA <strong>Marzo</strong> <strong>2007</strong><br />

Gli esuli in Argentina<br />

per il Giorno del Ricordo<br />

Buenos Aires. La Federazione dei Circoli <strong>Giulia</strong>ni in Argentina, ha<br />

commemorato lo scorso sabato 10 febbraio il Giorno del Ricordo, con<br />

una S. Messa nella Chiesa della Madonna degli Emigranti, nel quartiere<br />

“porteño” <strong>di</strong> La Boca, celebrata da Monsignor Luigi Mecchia.<br />

La Chiesa era colma <strong>di</strong> persone: <strong>di</strong>scendenti dei martiri infoibati,<br />

esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati ed italiani in generale, che<br />

hanno seguito con emozione la celebrazione, accompagnata dallo stupendo<br />

Coro degli Alpini.<br />

Tr a le autorità presenti, il Console Generale d’Italia, dott. Giancarlo<br />

Curcio, ed il Primo Consigliere dell’Ambasciata, dott. Fabrizio Marcelli.<br />

Subito dopo la Messa, si è letto il messaggio del Presidente dell’<strong>Associazione</strong><br />

<strong>Giulia</strong>ni nel Mondo <strong>di</strong> Trieste, Dario Locchi sul dovere della<br />

memoria al fine <strong>di</strong> sollevare il velo del silenzio dalla trage<strong>di</strong>a delle foibe<br />

e <strong>di</strong> riconoscere senza ambiguità il torto orribile che fu compiuto ai<br />

danni delle popolazioni istriane, fiumane e dalmate costrette all’Esodo.<br />

Per la Federazione <strong>Giulia</strong>na, il Vicepresidente 1º, Duilio Ferlat, nel<br />

suo intervento ha voluto rilevare che: «il valore della memoria con<strong>di</strong>visa<br />

comporta il <strong>di</strong>ritto alla verità, possibile soltanto se vi è effettiva conoscenza<br />

che gli ecci<strong>di</strong> delle Foibe avevano lo scopo <strong>di</strong> intimi<strong>di</strong>re e indurre<br />

la popolazione italiana all’esodo.<br />

La memoria deve passare anche attraverso atti concreti che troveranno<br />

soluzione ai problemi ancora aperti, dagli indennizzi per i ‘beni<br />

abbandonati’ alle restituzioni, dall’anagrafe alle provvidenze <strong>di</strong> carattere<br />

sociale».<br />

Ha poi aggiunto: «se oggi ricor<strong>di</strong>amo, non è per desiderio <strong>di</strong> vendetta,<br />

bensì per completare una pagina <strong>di</strong> storia che deve essere conosciuta,<br />

per quanto tragica essa sia; ricordare per solidarietà con quelle <strong>numero</strong>se<br />

famiglie <strong>di</strong> connazionali che hanno avuto padri, nonni, cugini,<br />

zii, fratelli, gettati morti o vivi a più <strong>di</strong> cento metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà nell’orrido<br />

<strong>di</strong> una foiba per il fatto <strong>di</strong> essere italiani. Si deve ricordare per dare<br />

un senso alla vita e al futuro, in una logica <strong>di</strong> pace, <strong>di</strong> desiderata riconciliazione<br />

tra i popoli, perché queste trage<strong>di</strong>e non si ripetano mai più».<br />

<strong>Il</strong> Console Generale Curcio, ha voluto richiamare le parole del Presidente<br />

Napolitano alla cerimonia ufficiale al Quirinale, riconoscendo<br />

la cecità sulla vicenda delle foibe, ed ha voluto esprimere «il sentimento<br />

più profondo, le nostre preghiere, la nostra vicinanza per tutti coloro<br />

che hanno sofferto questa trage<strong>di</strong>a».<br />

<strong>Il</strong> Consigliere Marcelli intanto, portando il saluto del signor Ambasciatore<br />

Ronca, ha manifestato che «la piena riconciliazione sarà veramente<br />

possibile se gli Stati che sono succeduti alla Jugoslavia, la Slovenia<br />

e la Croazia, riconosceranno i delitti ed i crimini eseguiti contro persone<br />

appartenenti alla nazione italiana».<br />

Infine, il fiumano Leonardo Racchetta, ha voluto sintetizzare le esperienze<br />

<strong>di</strong> chi ha vissuto <strong>di</strong> persona il dramma dell’esodo dalla sua città,<br />

il <strong>di</strong>fficile inserimento nei campo profughi a Novara, e l’emigrazione in<br />

Argentina.<br />

Alla chiusura dell’atto, il Coro degli Alpini ha intonato il Va’ Pensiero,<br />

seguito con emozione da tutti i presenti.<br />

LEZIONE DI STORIA<br />

DALLA... GIORDANIA<br />

Quante volte ci siamo detti e ripetuti che i nostri studenti non conoscono<br />

la storia delle Foibe e dell’Esodo, non ne trovano traccia nei loro<br />

libri, cadono dalle nuvole se se ne parla? È una triste realtà che durerà<br />

fin quando i libri <strong>di</strong> testo (avverrà mai?) si allineeranno allo spirito della<br />

legge istitutiva del Giorno del Ricordo.<br />

Una bella lezione, stimolante e stupefacente allo stesso tempo, ci<br />

giunge però da tutt’altro ambito.<br />

Ci scrivono.<br />

«D’abitu<strong>di</strong>ne per lavoro pranzo in un locale gestito da giordani, gente<br />

nel nostro Paese da anni e che parla un italiano corrente. Ne sanno<br />

appena qualcosa della nostra storia, ma soprattutto guardando la TV. Da<br />

alcuni giorni avevo notato un nuovo <strong>di</strong>pendente sulla quarantina, anch’egli<br />

giordano, ma che si esprimeva in un italiano assai stentato, segno<br />

evidente <strong>di</strong> un suo arrivo molto recente. Mi sono trovato a parlare,<br />

non mi ricordo neanche come, del Giorno del Ricordo e, <strong>di</strong> fronte all’ignoranza<br />

quasi totale, proprio l’ultimo arrivato con il suo italiano<br />

incespicato ha spiegato ai suoi colleghi le motivazioni dell’esodo, la<br />

storia del trattato <strong>di</strong> pace, il cambiamento dei confini, l’esodo e finanche<br />

l’episo<strong>di</strong>o della stazione <strong>di</strong> Bologna dove il treno degli esuli fu respinto<br />

e fatto proseguire invece <strong>di</strong> fornirgli assistenza.<br />

Non ricordo quanto tempo sono rimasto a bocca aperta, ma qualcuno<br />

se n’è accorto e mi ha chiesto che accidenti mi era preso. Non potevo<br />

credere alle mie orecchie: un giordano che dava lezioni sulla storia<br />

degli esuli! Non ho potuto resistere alla tentazione <strong>di</strong> chiedergli come<br />

<strong>di</strong>avolo sapesse tutte queste cose: chissà, magari le aveva lette su un<br />

giornale in questi giorni. La risposta è stata semplice e <strong>di</strong>sarmante: “Le<br />

ho stu<strong>di</strong>ate a scuola”. La mia bocca è rimasta aperta, ancor più sorpreso<br />

<strong>di</strong> prima. Ho pensato a quanta ignoranza gira ancora per le nostre scuole<br />

e che razza <strong>di</strong> lezione ci viene dalla Giordania. Poveri figli nostri!<br />

Sanno che Napoleone si infilava la mano nel doppio petto ma non conoscono<br />

gli istriani, i fiumani, i dalmati.<br />

Non è per motivi commerciali o d’appetito, ma in quel locale ora ci<br />

torno tutti i giorni».<br />

Se questa è memoria...<br />

In Racconta! una citta<strong>di</strong>na ebrea <strong>di</strong> Fiume narra la sua deportazione<br />

«Racconto e ricordo quello che<br />

so», tiene a precisare Hanna Kugler<br />

Weiss nel suo libro <strong>di</strong> memorie, pubblicato<br />

nel 2006 dalla casa e<strong>di</strong>trice<br />

Giuntina, Racconta!.<br />

«L’idea <strong>di</strong> scrivere le mie memorie<br />

è nata dal desiderio <strong>di</strong> raccontare ai<br />

miei nipoti e, sopratutto, ai miei figli la<br />

mia storia». <strong>Il</strong> libro nasce dunque da<br />

esigenze private, per smascherare la<br />

reticenza, coltivata nel contesto<br />

famigliare per troppi anni, intorno alla<br />

sua storia personale. Sebbene i suoi<br />

figli siano a conoscenza dei suoi trascorsi,<br />

la Kugler non ha mai raccontato<br />

loro i particolari della sua prigionia,<br />

«come se quel periodo non fosse mai<br />

esistito». Finalmente in questo volume,<br />

con un linguaggio asciutto e penetrante,<br />

Hanna Kugler Weiss confessa<br />

a se stessa, ai suoi figli e ai lettori,<br />

ciò che è stata: una schiava <strong>di</strong><br />

Birkenau, sporca e puzzolente, che ha<br />

rovistato nelle immon<strong>di</strong>zie, un inutile<br />

oggetto destinato alla morte in un<br />

crematoio o in una fossa comune,<br />

scampata per caso, e non per qualche<br />

merito acquisito, ad una fine certa. «Ci<br />

sono voluti anni per ricostruire il passato<br />

cercando <strong>di</strong> capire quello che mi<br />

era successo e come ne ero uscita. Solo<br />

così mi è stato possibile scrivere le mie<br />

memorie».<br />

In questa delicata operazione pubblica<br />

<strong>di</strong> autonarrazione, un ruolo fondamentale<br />

è svolto proprio da noi lettori<br />

e u<strong>di</strong>tori, perché il raccontare, forse<br />

a maggior ragione il raccontare <strong>di</strong><br />

sé, richiede una <strong>di</strong>sposizione nell’altro<br />

all’ascolto. Non a caso l’incubo più<br />

ricorrente <strong>di</strong> Primo Levi, durante e<br />

dopo la prigionia, era <strong>di</strong> ritrovarsi a<br />

parlare e raccontare della sua esperienza<br />

nel lager tra le calde e accoglienti<br />

mura della propria casa, a Torino, circondato<br />

dai suoi cari, ma non essere<br />

ascoltato, completamente ignorato da<br />

tutti.<br />

Hanna, ragazza italiana <strong>di</strong> Fiume<br />

smarrita nei gironi dell’inferno<br />

La scrittura della Kugler, concisa e<br />

senza enfasi, dà vita ad una testimonianza<br />

che tocca noi lettori fisicamente,<br />

conducendoci dentro l’orrore che<br />

ha scavato una profonda frattura, forse<br />

insanabile, nella sua esistenza.<br />

Questo libro-testimonianza rappresenta<br />

chiaramente un tentativo <strong>di</strong> recupero,<br />

<strong>di</strong> salvataggio della memoria,<br />

la propria. Un salvataggio che è<br />

anche metafora <strong>di</strong> qualcos’altro, <strong>di</strong> un<br />

ponte tra la Hanna adulta, mamma,<br />

moglie, nonna e citta<strong>di</strong>na israeliana, e<br />

la Hanna ragazza italiana <strong>di</strong> Fiume<br />

smarrita nei gironi dell’inferno. <strong>Il</strong> ricordo<br />

si trasforma allora in una cura, che<br />

tenta <strong>di</strong> ricomporre un’identità infranta.<br />

<strong>Il</strong> flusso dei suoi ricor<strong>di</strong> comincia<br />

proprio da Fiume, la città in cui è nata<br />

nel 1928. Hanna è la terza <strong>di</strong> quattro<br />

figli <strong>di</strong> una famiglia ebrea ortodossa. <strong>Il</strong><br />

padre, Sigismondo, originario dell’Ungheria<br />

si occupava <strong>di</strong> commercio alimentare<br />

(latte, formaggi, uova), la<br />

madre Carlotta (Shari) Kurtz era nativa<br />

<strong>di</strong> Fiume.<br />

In seguito all’occupazione della<br />

<strong>Venezia</strong> <strong>Giulia</strong> da parte della Wehrmacht<br />

nel settembre 1943, i Kugler<br />

furono costretti all’esilio. Così Hanna<br />

con le sorelle, la madre e i nonni si<br />

rifugiarono a Trieste e poi a Lugo in<br />

Emilia Romagna. Qui vennero aiutate<br />

da Vincenzo Tambini, il quale fece sì<br />

che cambiassero il nome in Vieri, <strong>di</strong>chiarando<br />

<strong>di</strong> essere profughi italiani<br />

<strong>di</strong> Zara, <strong>di</strong>strutta dai bombardamenti<br />

alleati. Come si legge anche nell’ultimo<br />

libro <strong>di</strong> Liliana Picciotto (I Giusti<br />

tra le Nazioni, Mondadori 2006), la<br />

famiglia Tambini, residente a Bagnacavallo,<br />

e composta da Aurelio,<br />

Aurelia e i figli Vincenzo e Rosita riuscì<br />

ad aiutare molte famiglie fiumane.<br />

Le famiglie Weiss, Jakobiwitz e<br />

Galandauer, ad esempio, riuscirono a<br />

riparare in Svizzera grazie al loro aiuto.<br />

Tutti i Tambini furono riconosciuti<br />

«Giusti tra le nazioni» dallo Yad<br />

Vashem <strong>di</strong> Gerusalemme il 28 aprile<br />

1974, per il loro coraggio e le loro<br />

azioni <strong>di</strong> salvataggio, che costarono<br />

l’arresto e la carcerazione ad Aurelio<br />

e a Vincenzo.<br />

Diverso fu il destino <strong>di</strong> Hanna, che<br />

con la sua famiglia fu catturata, per una<br />

delazione, dalle guar<strong>di</strong>e italiane a<br />

Cremenaga (Varese), mentre cercava<br />

<strong>di</strong> valicare clandestinamente il confine<br />

svizzero. Dopo l’arresto e varie vicissitu<strong>di</strong>ni<br />

fu internata insieme alla<br />

madre, le sorelle e i nonni nel campo<br />

<strong>di</strong> Carpi Fossoli, in provincia <strong>di</strong> Modena,<br />

luogo che è entrato a far parte<br />

anche della storia dell’esodo giuliano<br />

per essere stato a<strong>di</strong>bito, dopo la fine<br />

della guerra, all’accoglienza dei profughi<br />

istriani, fiumani e dalmati.<br />

Nel 1944 all’interno del lager <strong>di</strong><br />

Fossoli c’erano <strong>di</strong>verse famiglie fiumane,<br />

tra cui gli Einhorn, Isacco, Amalia<br />

e la loro figlia Renata (ve<strong>di</strong> in proposito<br />

la testimonianza <strong>di</strong> Laura Einhorn<br />

Ricotti nella rivista “Fiume”, n. 14,<br />

2006), <strong>di</strong> cui Hanna non ci racconta e<br />

che forse neanche conosceva. Insieme,<br />

però, con<strong>di</strong>visero il terribile viaggio<br />

per Auschwitz-Birkenau del convoglio<br />

n. 10, che, come si legge nel<br />

Libro della Memoria <strong>di</strong> L. Picciotto, fu<br />

quello che impiegò in assoluto più<br />

tempo per compiere quel tragitto. Partito<br />

da Carpi Fossoli il 16 maggio 1944,<br />

raggiunse il campo <strong>di</strong> sterminio soltanto<br />

dopo una settimana, il 23. La<br />

transportliste, che è conservata nell’archivio<br />

del Museo <strong>di</strong> Auschwitz,<br />

conta 564 deportati. I reduci furono<br />

soltanto 60.<br />

Ex deportati a Buchenwald,<br />

19 giugno 1945<br />

(da www.buchenwald.de,<br />

archivio fotografico U.S. Army)<br />

La selezione sulla Rampa <strong>di</strong><br />

Birkenau ad opera del dottor Mengele<br />

fu implacabile. La nonna <strong>di</strong> Hanna, la<br />

mamma Carlotta e la piccola sorella<br />

Maddalena furono imme<strong>di</strong>atamente<br />

gassate, così come i genitori <strong>di</strong> Renata.<br />

Hanna si chiamò da quel momento<br />

«A - dreiundfünfzig siebenundsiebzig»<br />

(A-5377), sua sorella Gisella<br />

<strong>di</strong>ventò A-5376, poco prima sul braccio<br />

destro <strong>di</strong> Renata era stato tatuato il<br />

<strong>numero</strong> A-5367, come era d’uso fare<br />

ad Auschwitz nel 1944 alle prigioniere<br />

<strong>di</strong> sesso femminile.<br />

Gli affetti, le speranze, i sogni, i<br />

dolori, le illusioni, ogni cosa precipitò<br />

nel vuoto dell’abisso. Hanna smarrì<br />

quello che era, anche la certezza <strong>di</strong><br />

essere donna. «Da qui, da questo campo,<br />

non uscirete vive», <strong>di</strong>sse un’infermiera<br />

italiana ad Hanna e sua sorella<br />

Gisella, «però, nel caso che riusciste a<br />

uscirne vive, donne, non sarete mai<br />

più!». Hanna impiegò quattro giorni<br />

per rendersi conto della morte dei suoi<br />

cari, e quando si arrese all’evidenza,<br />

non pianse; le ci vollero quarantasei<br />

anni per sciogliere in lacrime quel gelido<br />

dolore, quando tornò in Polonia<br />

nell’agosto 1990. «Per la prima volta<br />

piansi e mi sentii in lutto per la morte<br />

dei miei amati, mia madre, mia sorella,<br />

i nonni».<br />

A Birkenau le sorelle Kugler furono<br />

aiutate da un amico fiumano,<br />

Häftling (prigioniero) come loro,<br />

Martino Godelli, che Gisella sposerà<br />

nel 1947. «Ciapa Ghisi!», gridava<br />

Marino a Gisella, gettandole per terra<br />

<strong>di</strong> nascosto una cipolla, una volta perfino<br />

un sacchetto <strong>di</strong> zucchero. Malate<br />

al momento dell’evacuazione forzata<br />

dal campo verso occidente <strong>di</strong> tutti i<br />

prigionieri abili, Hanna e Gisella riuscirono<br />

ad evitare «la marcia della<br />

morte» e furono liberate dalla 322°<br />

unità dell’Armata Rossa il 27 gennaio<br />

1945.<br />

<strong>Il</strong> rifiuto <strong>di</strong> tornare<br />

nella Fiume comunista <strong>di</strong> Tito<br />

Anche Renata Einhorn, come ci<br />

racconta la sorella Laura, fu aiutata ad<br />

Auschwitz da un conoscente fiumano,<br />

Giuseppe Kroo, il quale trovò la morte<br />

nell’evacuazione, che pure Renata<br />

dovette compiere e dopo vari trasferimenti<br />

da un campo all’altro fu liberata<br />

nell’aprile 1945.<br />

Da allora Renata si è sempre rifiutata<br />

<strong>di</strong> parlare della sua esperienza, se<br />

non in circostanze <strong>di</strong> particolare intimità.<br />

La parola le si bloccò dentro e<br />

neanche il tempo è servito a liberarla.<br />

Al contrario <strong>di</strong> Hanna, la quale, nel<br />

1945, scegliendo <strong>di</strong> abbandonare la<br />

Fiume comunista <strong>di</strong> Tito per andare a<br />

vivere in Israele, decise «<strong>di</strong> aprire le<br />

pagine bianche <strong>di</strong> una nuova vita,<br />

mettendo da parte i ricor<strong>di</strong> portati dalla<br />

Golà (Diaspora) <strong>di</strong> imparare la lingua<br />

e <strong>di</strong> parlare solo l’ebraico, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare<br />

una vera israeliana. Misi in<br />

custo<strong>di</strong>a i ricor<strong>di</strong> e non parlai più».<br />

Dopo più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni, però, grazie<br />

all’apertura del processo Eichmann a<br />

Gerusalemme nel 1960, le grosse <strong>di</strong>ghe,<br />

sorte dentro <strong>di</strong> lei a protezione<br />

dei ricor<strong>di</strong>, cominciarono a crollare.<br />

La custo<strong>di</strong>a si aprì: riemersero i ricor<strong>di</strong><br />

e «le atrocità tornarono davanti ai nostri<br />

occhi». Hanna, da allora, ha trovato<br />

la forza e il coraggio per parlare,<br />

rievocare e provare a sciogliere la rabbia<br />

e la vergogna in un racconto.<br />

Noi lettori la ringraziamo.<br />

Emiliano Loria<br />

Hanna Kugler Weiss, Racconta!,<br />

Giuntina, Firenze 2006<br />

Euro 12,00, pp. 117

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