WineCouture 11-12/2022
WineCouture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. WineCouture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.
WineCouture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. WineCouture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.
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NUMERO 11/12
Anno 3 | Novembre-Dicembre 2022
Poste Italiane SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi.
VENTIVENTITRE
ISTANTANEE E PROTAGONISTI DELL’ANNO E DEL VINO CHE VERRÀ
Tempo di chiusura d’anno con lo sguardo proteso
a quello che verrà. Sullo sfondo i permanenti
indicatori di crisi a dettare l’agenda. Così anche il
mondo italiano del vino si trova davanti a una sfida
altamente impegnativa. I dati forniti da Unione
Italiana Vini evidenziano per il 2023 una riduzione
del 16% dei fatturati. Anche se alcuni operatori,
almeno nelle parole, manifestano un maggiore
ottimismo (da intendersi come un possibile contenimento
della flessione) difficilmente sarà possibile
fare i conti con il segno “più”. E allora che
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Il “sistema” vincente
fare? Confidando che una serie di meccanismi
possano essere attivati su scala macro (interventi
di sostegno a livello governativo o comunitario)
la ricetta quasi obbligata è riconducibile a un’espressione
che per anni ha fatto tendenza, senza
però trovare una piena applicazione: “fare sistema”.
Già: ora, alla luce del contesto competitivo,
è coinvolta tutta la filiera enoica: dalla produzione
alla distribuzione, fino al consumo.
Insomma, urge passare all’azione. C’è una “quadra”
da trovare in termini di produzione, innanzitutto,
ma ancor più di valorizzazione del territorio.
“Fare sistema” significa mettere insieme le criticità
e le opportunità per trovare soluzioni reali, concrete,
rapide per ottenere i risultati che servono.
Questi, magari nel breve, appariranno contenuti.
Ma sul medio-lungo periodo potrebbero generare
benefici decisamente più rilevanti. La campana è
suonata. Il tempo stringe. Lo “stellone” italico rischia
di non bastare più. Serve trovare il “sistema”
vincente, come quello di una volta, della cara e
vecchia schedina.
04 Primo Piano. Un’assaggio di futuro nella
Valpolicella Classica della famiglia Boscaini
06 Zoom. L’identità contemporanea del Cru La
Selvanella in una verticale da sogno
08 Interni d’autore. Alla scoperta del nuovo
volto di Casa Sartori 1898
SOMMARIO
10 Visioni. Ritorna lo Champagne sartoriale di
Philippe Starck per Louis Roederer
19 Collection. Una speciale passerella di
classici e novità per il brindisi di Natale
28 Champagne. Tre nuovi Blanc de Blancs
per altrettante novità d’autore
WINECOUTURE - winecouture.it
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Direttore editoriale Luca Figini
Cover editor Alice Realini
Coordinamento Matteo Borré
Marketing & Operations Roberta Rancati
Contributors Francesca Mortaro, Andrea Silvello
(founder Topchampagne), Irene Forni
Art direction Inventium s.r.l.
Stampa La Terra Promessa Società Cooperativa
Sociale Onlus (Novara)
Editore Nelson Srl
Viale Murillo, 3 - 20149 Milano
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Registrazione al Tribunale di Milano n. 12
del 21 Gennaio 2020 - Nelson Srl -
Iscrizione ROC n° 33940 del 12 Febbraio 2020
Periodico bimestrale
Anno 3 - Numero 11-12 - Novembre/Dicembre 2022
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Responsabile dati Riccardo Colletti
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20149 Milano
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PRIMO PIANO
Un assaggio
di futuro
250 vendemmie, l’Amarone da collezione Vajo dei Masi 1997 e il primo
scorcio di Monteleone21 celebrano il domani secondo la famiglia Boscaini
DI MATTEO BORRÈ
Per festeggiare un traguardo speciale è
d’obbligo un vino davvero unico. E meglio
non si sarebbe potuto scegliere per il
brindisi che ha celebrato il 250esimo atto
della straordinaria storia che lega la famiglia
Boscaini e uno degli angoli più vocati della Valpolicella
Classica, il Vaio dei Masi. Un vigneto diverso
da tutti gli altri, come già il nome sta a indicare: ancora
oggi, non a caso, denomina un brand che nel corso
degli ultimi decenni è arrivato ad abbracciare prima
l’Italia e poi il mondo, “esportando” la sua expertise,
definita dalla tecnica dell’appassimento, ovunque sia
giunto. Sono passate 250 vendemmie dal primo capitolo
“ufficiale” scritto nel mondo del vino dalla famiglia
Boscaini. Ed è un assaggio di futuro quello che
ha caratterizzato un festeggiamento che ribadisce la
centralità di una realtà e di volti che da sempre rappresentano
il Veneto enoico nel mondo e sono emblema
della sua tradizione più pura. A convergere in un
unico appuntamento, andato in scena in Valpolicella
venerdì 14 ottobre scorso, infatti, anche l’assegnazione
del Premio Masi 2022, resa ancora più simbolica
dallo storico traguardo tagliato dalla famiglia che
lo ha creato e dalla location in cui ha avuto luogo. E
per brindare degnamente alla felice concomitanza di
occasioni, è giunto il lancio di un’etichetta davvero
unica come il neonato Vajo dei Masi 1997, esclusiva
edizione limitata di un Amarone della Valpolicella
Classico Doc imbottigliato dopo 25 anni dal raccolto.
Dopo 250 vendemmie al Vaio dei Masi
Una celebrazione in grande stile quella che ha visto protagonista
l’intero team di Masi Agricola per la 250esima
vendemmia della famiglia Boscaini. Sono, infatti,
passati due secoli e mezzo da quando nel 1772 ha preso
il via ufficialmente una storia – condivisa, tappa per
tappa, nel podcast “Buon tempo! 250 anni di Masi” su
Spotify – che si è tramutata nel tempo in racconto di
una delle realtà simbolo del vino veneto a livello globale.
Il primo seme, infatti, è germogliato proprio in
quel Vaio dei Masi che ancora oggi denomina il brand.
E da quella vendemmia di 250 anni fa, molti sono stati
i capitoli scritti nel mondo del vino dalla famiglia Boscaini,
che lungo il corso degli ultimi 40 anni ha saputo
anche infondere vigore all’ambizioso progetto di valorizzazione
di storiche tenute vitivinicole, aprendo alla
collaborazione con i Conti Serego Alighieri, discendenti
del poeta Dante, proprietari della tenuta che in
Valpolicella può vantare la più lunga storia e tradizione,
e con i Conti Bossi Fedrigotti, prestigiosa griffe trentina
con vigneti in Rovereto, cui si aggiunge lo storico
château nel cuore di Valdobbiadene di Canevel Spumanti,
cantina rinomata per i suoi spumanti premium
e parte del gruppo da fine 2016. Oggi, Masi Agricola si
spinge con la sua produzione di vini biologici fino alla
Toscana delle tenute Poderi del Bello Ovile e all’Argen-
tina di Masi Tupungato: due orizzonti che raccontano
perfettamente il futuro di una realtà che con la nuova
sede di Monteleone21, il cui cantiere ha rappresentato
la speciale location scelta per la storica celebrazione,
punta a proseguire convintamente lungo il sentiero della
massima sostenibilità, nelle diverse declinazioni che
questo importante concetto propone.
Monteleone21: un primo assaggio di futuro
della Masi Wine Experience
Un innovativo complesso polifunzionale. Un progetto
architettonico ambizioso nel segno della sostenibilità
che racconta l’heritage di Masi, ma anche la contemporaneità
e rappresenta l’impegno della storica cantina
verso il territorio della Valpolicella Classica.
Con Monteleone21 si parla di un decisivo tassello che
arricchirà, ampliandola, l’attuale cantina della realtà
veronese con nuovi spazi dedicati all’attività produttiva,
direzionale ed enoturistica: una nuova perla nella
collana della Masi Wine Experience. La location, ancora
in fase di costruzione ma di cui si comincia già a riconoscere
il profilo, inaugurerà al pubblico il prossimo
anno, ma è stata resa disponibile per fare da palcoscenico
al grande evento di celebrazione della 250esima
vendemmia della famiglia Boscaini al Vaio dei Masi.
Il nuovo edificio, realizzato per due terzi in ipogeo,
incarna la relazione inscindibile tra la cantina e il suo
territorio. Studiato per una perfetta integrazione con il
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paesaggio della Valpolicella, ne reinterpreta in chiave
contemporanea gli elementi più caratteristici. La struttura
polifunzionale, infatti, ricoperta di viti e vegetazione,
sarà caratterizzata da un rivestimento in pietra
locale che rimanda alle “marogne”, i muretti a secco tipici
della zona che sostengono i vigneti di collina.
A introdurre la novità di Monteleone21 è stato l’amministratore
delegato, Federico Girotto, spiegando:
“Con Monteleone21 la Masi Wine Experience, il nostro
progetto strategico volto a conseguire un contatto
sempre più diretto con il consumatore finale, si completa
di un prezioso tassello. Una vera e propria cantina
aperta pensata per accogliere i visitatori in un percorso
esperienziale immersivo, a partire da un fruttaio monumentale
di 12 metri di altezza destinato all’appassimento
delle uve per l’Amarone, tecnica in cui Masi
ha un expertise riconosciuta a livello internazionale”.
E il presidente Sandro Boscaini, “Mister Amarone”, ha
tenuto a sottolineare: “A 250 anni dalla nostra prima
vendemmia ci emoziona presentare Monteleone21, un
progetto che racchiude in sé i più importanti valori del
marchio Masi e ne rappresenta la storia, il presente e
il futuro. Questo ponte ideale tra epoche diverse viene
ben raffigurato dalla nuova struttura, che sarà collegata
da un lungo passaggio ipogeo alla nostra storica sede e
alla cantina di Gargagnago. Sarà un ideale entry gate
nelle terre dell’Amarone e della Valpolicella Classica,
con l’obiettivo di continuare a valorizzare il nostro territorio
di origine e le sue eccellenze”.
Monteleone21 è stato d’altronde concepito da ogni
punto di vista in chiave di sostenibilità: dall’integrazione
nel territorio all’utilizzo di fonti rinnovabili come il
fotovoltaico e la geotermia, alla minimizzazione dei
consumi energetici, per esempio con la cross-ventilation.
Un assaggio di futuro, come detto, questo primo
scorcio “rubato”, cui nella serata di festa è seguito
il brindisi che ha voluto celebrare anche una speciale
edizione del Premio Masi, che ha visto conferiti solo
due riconoscimenti con il Premio Interazionale Grosso
D’Oro Veneziano, la massima onorificenza assegnata
dalla Fondazione Masi, alla Procuratoria della Basilica
di San Marco a Venezia “per il suo contributo alla
preservazione dei valori della Civiltà Veneta” e al Great
Wine Capitals Global Network, rete delle grandi capitali
del vino mondiali, “per l’attuale fondamentale contributo
alla Civiltà del Vino”. E poi il clou, che ovviamente
è da andare a ricercare nel calice.
Vajo dei Masi 1997: un’edizione limitata di un
Amarone “assoluto” da collezione
Per festeggiare lo storico 250esimo atto era d’obbligo
una novità che celebrasse il prestigioso traguardo. Ed è
un Amarone che si può tranquillamente definire “assoluto”,
per la sua impressionante freschezza nonostante
gli anni che vanta alle spalle, quello uscito dalla cantina
della realtà veronese. Parliamo del neonato Vajo dei
Masi 1997, esclusiva edizione limitata di un Amarone
della Valpolicella Classico Doc imbottigliato dopo 25
anni dal raccolto. Un vino senza età, che ha lasciato
dietro sé ogni possibile fattore di pesantezza per presentarsi
al meglio proprio in occasione della serata di
festa. Una sorpresa nel calice, che ora volge lo sguardo
al domani: tutto da definire e scoprire sarà, infatti,
l’orizzonte della sua curva evolutiva, che si annuncia
straordinaria. Ci voleva qualcosa di veramente speciale
per celebrare 250 vendemmie della famiglia Boscaini:
questo Vajo dei Masi 1997 lo è.
Non a caso, il nuovo Amarone è disponibile in una limited
edition di 2500 magnum numerate, autografate
dallo stesso presidente Sandro Boscaini. “A 250 anni
dalla nostra prima vendemmia, siamo orgogliosi di presentare
questo vino unico per la sua tecnica produttiva
ed il risultato ottenuto dal punto di vista organolettico:
la particolare lavorazione ci ha permesso di ottenere,
dopo un quarto di secolo, un nettare dalla grande complessità
determinata dal lungo affinamento e al tempo
stesso dall’inusuale e inattesa freschezza”, ha spiegato
Mister Amarone. “Riscontriamo anche una notevole
omogeneità tra le diverse bottiglie, non interessate dai
possibili effetti ossidativi conseguenti alla lunga permanenza
in bottiglia”.
Vajo dei Masi, per diversi aspetti, rappresenta l’essenza
di Masi Agricola e della sua storia scritta da ben sette generazioni
della famiglia Boscaini che si sono susseguite
nella cura del territorio, nell’arte enologica e nella visione
imprenditoriale. E non poteva che essere un Amarone,
vino che ha innalzato la realtà veronese tra i grandi
produttori del mondo e che l’azienda ha contribuito in
maniera decisiva a rendere un’icona internazionale. Un
“vino moderno dal cuore antico” che ha preso forma
dall’annata 1997, riconosciuta come la migliore in Valpolicella
nel secolo scorso, e ha maturato per 25 anni,
con affinamento e conservazione avvenuti seguendo un
metodo del tutto originale: dopo una prima fase di circa
cinque anni di maturazione in legno, tra il 1997e il
2002, ha atteso paziente in contenitori in acciaio a saturazione
di azoto fino al momento dell’imbottigliamento,
avvenuto a maggio di quest’anno. Per un’etichetta
che racconta perfettamente il connubio tra il cognome
Boscaini e il toponimo Vaio dei Masi, “Nectar Angelorum
hominibus”, come recita il motto che impreziosisce
la veste e riporta alla mente quella prima vendemmia del
1772 in uno dei futuri più noti Cru di alta collina sulla
cresta intervalliva tra Marano e Negrar: lo stesso che
ancora oggi suggella l’eccellenza di Masi Agricola.
PRIMO PIANO
6
ZOOM
Al cuore di un’icona
del Gallo Nero
La verticale che svela l’identità contemporanea del
Cru La Selvanella e del suo Chianti Classico Riserva
S
DI MATTEO BORRÈ
ta che beneficia della straordinaria unicità della selezione
clonale di Sangiovese Grosso, mantenuta nel corso dei
reimpianti che si sono susseguiti nei decenni, che colora
l’intera collina estendendosi tra 330 e 600 metri s.l.m,
dove la differenza dei suoli regala a ciascuna parcella di
vigna un proprio carattere e un’anima. Ed è la selezione
di queste microvinificazioni a creare il blend di una Riserva
che racchiude in sé solo il meglio di ogni raccolto.
La posizione di questo Cru contribuisce, poi, a renderlo
ancora più unico in particolare per la maturazione delle
uve, grazie a un’ubicazione che gli consente di godere
dell’esposizione del sole lungo l’intera giornata e del
Maestrale che, proveniente dal mare, in estate s’incanala
lungo la valle permettendo una ventilazione continua e
costante dei filari da mattino a sera. “La parte più bassa
è composta da Alberese misto ad Argilla, per un terreno
che si mantiene abbastanza sciolto. Una faglia di rottura
la separa dalla porzione superiore della vigna, che vede
invece la presenza del tipico Galestro”, spiegano a WineCouture
il direttore di cantina, Alessandro Zanette,
e l’enologo, Francesco Bruni. “Nelle annate più asciutte
ci si dirige così più verso il basso, dove l’argilla trattiene
maggiormente l’acqua, nella selezione dei diversi vini
che daranno forma al blend, mentre in caso opposto ci si
spingerà maggiormente verso l’alto. L’obiettivo è sempre
quello di riportare la massima espressione dell’anno e
del vigneto, mostrando le differenze nel fil rouge dettato
da una filosofia che non è cambiata nel tempo”. Una
ul confine tra i territori di Greve e Radda in Chianti, si
estende un Cru di poco più di 50 ettari vitati. Siamo in
Località La Selvanella, volto noto del Gallo Nero che
proprio in questa fattoria di 139 ettari trova una delle
sue espressioni più iconiche. Una storia che racconta di
un vero e proprio Monopole in Chianti Classico, nonché
di scelte pioneristiche, come quella d’indicare per
primi proprio il vigneto di provenienza in etichetta fin
dalla prima annata 1969. Un debutto che ebbe poi luogo
quattro anni dopo la vendemmia e nel 2023 celebrerà
così mezzo secolo sul mercato. Un traguardo importante,
quello che si appresta a tagliare La Selvanella, nome
che racchiude in sé un’identità delineata attorno a una
sola collina, combinazione infinita di biodiversità tra
i filari e di suoli grazie ad Alberese e Galestro, un solo
vitigno, il Sangiovese, un solo vino, Chianti Classico Riserva
Docg. Sono passati 50 anni dalla prima comparsa
di questo rosso che, vendemmia dopo vendemmia, si fa
espressione trasversale del carattere di ciascuna singola
annata col suo inconfondibile stile nel calice. Un’etichetfirma
che parla solo ed esclusivamente dell’anima di
un terroir, con le sue esposizioni e differenze di terreni,
mantenendosi da sempre fedele in cantina alla scelta di
tre anni di affinamento in botte grande, con aggiunta di
uno ulteriore di riposo in bottiglia. Il Chianti Classico
Riserva Docg La Selvanella è vino che va, dunque, oltre
le mode, mantenendo poi la sua assoluta precisione nel
calice anche a distanza di decenni. A dimostrarlo la costanza
dei riconoscimenti ricevuti dall’etichetta lungo
il corso degli anni, col primo Tre Bicchieri che rimanda
al 1986, ma anche il parallelo tra i vini, che ancora oggi
può essere compiuto grazie alla lungimirante scelta iniziale
di conservare fin dal 1969 parte di tutte le annate.
Ed è così, che in uno straordinario cammino à rebours,
iniziando dal frutto della vendemmia 2018 attualmente
in commercio e fino alla sorpresa di una cieca che ci ha
condotto al 1973, in compagnia di Alessandro Zanette e
Francesco Bruni abbiamo potuto effettuare l’esperienza
di una verticale di questo grande classico. Un’occasione
che ci ha consentito di ritrovarci faccia a faccia con le
molteplici sfaccettature del volto di questa Riserva. Partendo
dall’anima gastronomica, con i suoi tratti carnosi
e di frutta matura, dell’annata 2018, cui fa da splendido
contraltare una 2017 diretta, gessosa, dove la preponderante
acidità detta la modernità dell’espressione di un
anno che ha messo a dura prova i viticoltori a queste latitudini,
ma non solo. A seguire, il frutto della vendemmia
2016, che oggi si mostra in perfetto equilibrio, con
tratti maggiormente verticali che non lasciano spazio a
estremi, specchio della regolarità stessa dell’andamento
dell’annata. Chiude il quartetto iniziale la piacevole
prontezza della 2015, con le sue note di frutta sotto spirito
e di macchia mediterranea. Un’annata su cui s’innesta
in scia la vendemmia 2013, che paga condizioni metereologiche
peggiori della 2015 e in cui al palato si avverte
un’alcolicità più spiccata. Giunge poi l’ora di lasciare spazio
al tempo che scorre. Ed ecco fare capolino la Riserva
2006, con i suoi tratti balsamici riconoscibili fin dal
naso. Un’espressione setosa di macchia mediterranea,
che col passare dei minuti ricorda la 2017 per carattere,
in particolare quando fa emergere gli stessi sentori di roccia
bagnata. Con l’annata 2000 comincia il tempo della
maturità, tra cuoio, sottobosco e muschio, mentre la
chiusura nell’altro secolo regala due interpretazioni particolarmente
interessanti: le vendemmie 1997 e 1993. La
prima si esprime al palato con una larghezza che ricorda
le specificità della 2006, ma elevate all’ennesima potenza:
tra note di vaniglia, spezia e frutta sotto spirito, a colpire
è la caratteristica acidità in bocca che si mantiene
quale tratto identitario de La Selvanella. Con l’annata
1993 si entra, infine, in un’altra dimensione, anche a livello
climatico nel racconto delle vendemmie, ed è così
che a predominare è il ricordo dell’essenza della buccia
di arancia: un tratto che in una cieca a suggellare la verticale,
si ritroverà evoluto nella Riserva 1973, grazie a una
nota di frutta candita che tende al mandarino e a quella
di fungo appena raccolto, che sono completate da un richiamo
alla dolcezza della pastafrolla. Un racconto davvero
unico di un vino da sempre contemporaneo.
8
INTERNI D’AUTORE
Benvenuti nella nuova
Casa Sartori 1898
Il presidente Andrea Sartori racconta un 2022 di
cambiamenti, tra nuovi trend e il progetto hospitality
Giungere in visita a Casa Sartori 1898
oggi ha un sapore differente. Non è
solo, infatti, la storia secolare della famiglia
Sartori a poter essere degustata
nel calice. A ogni angolo, in questa Villa,
già palcoscenico di importanti esperimenti vinicoli
prima che diventasse ricovero per le armi tedesche durante
la Seconda Guerra Mondiale, gli aneddoti
si rincorrono. C’è il vigneto “dietro
casa”: quello del “brolo” che dà vita al
portabandiera Corte Brà, Amarone
Riserva che ha da poco iniziato la
sua seconda giovinezza. Ci sono
poi i ricordi di famiglia, costruiti
nel tempo di quattro generazioni,
dopo che il vino è tornato protagonista
in questo luogo. A iniziare
dal grande parco, pista prediletta
delle “gare” in auto dei fratelli Sartori
(Andrea e Luca) fin da giovanissimi. Ma
ogni angolo parla anche di stimoli per rinnovare
il rapporto con la natura, in cui ritrovare spazio
per sé stessi e per ritmi che sono ormai andati perduti.
Quelli del vino, innanzitutto. Ma anche quelli che portano
a esplorare nuovi orizzonti: tanto si parli di mercato,
quanto di nuovi progetti che proprio al centro
trovano la sede di Casa Sartori 1898. Al suo presidente,
Andrea Sartori, abbiamo chiesto di raccontarceli.
DI MATTEO BORRÈ
Quale bilancio si può cominciare a tracciare di
quello che è stato il 2022 per Casa Sartori 1898?
Nei numeri ci aspettiamo di chiudere in pareggio col 2021.
Gli ultimi sono stati 12 mesi di cambiamenti, a
iniziare dallo sviluppo del progetto hospitality:
come mai e in che modo avete scelto di aprire le
porte della vostra cantina?
Riteniamo che il turismo del vino sia
un’opportunità ancora in forte espansione
ed evoluzione, soprattutto
in Valpolicella. Stiamo dando il
nostro contributo per far crescere
questo settore per noi e per la
nostra terra. Siamo quasi al termine
del restauro della Villa, che
vogliamo aprire al pubblico con
una serie di eventi che sfruttino sia
la casa sia il parco, per attirare in un
circolo virtuoso non solo appassionati di
vino, ma dando spazio anche ad altre realtà,
in sintonia con la nostra filosofia come l’arte, la musica,
la letteratura e la cultura in generale, e al benessere.
Il consumatore cosa cerca oggi e come una realtà
storica come Casa Sartori 1898 ha scelto di rispondere
ai nuovi trend che si vanno delineando?
Il consumatore è sempre più attento al tema della so-
stenibilità. Anche noi ci stiamo muovendo in questa
direzione con, ad esempio, la certificazione Equalitas,
un’attenta scelta di packaging per il rispetto dell’ambiente,
l’implementazione dei pannelli fotovoltaici per
ridurre i consumi e la ristrutturazione del nuovo wine
shop che sarà a breve certificato Carbon Neutral, energeticamente
indipendente al 90% con una fornitura al
100% da fonti rinnovabili. Per quanto riguarda i nuovi
trend di prodotto, invece, abbiamo introdotto Fira
bianco e rosso, due vini che incontrano il gusto delle
nuove generazioni per profilo organolettico e aromaticità.
A queste etichette abbiamo associato un progetto
di sostegno all’Associazione D.i.re. (Donne in Rete
contro la Violenza) che inizia adesso e proseguirà per
tutto l’anno prossimo.
Due vostri volti iconici per il canale Horeca, l’Amarone
Reius e il Corte Brà, arrivano in questi
giorni con le nuove annate: cosa aspettarsi dalle
nuove uscite?
Entrambe le annate di questi due Amarone, sia la 2015
sia la 2016, sono giudicate di grandissimo livello dal
punto di vista qualitativo e quindi ci aspettiamo un
grande successo sul mercato, come anche per le nuove
annate di Valpolicella e Valpolicella Ripasso. Riteniamo
che i nostri Amarone abbiano sempre una bella
chiarezza espressiva: non siano mai modaioli, ipermorbidi,
con una bella bevibilità ed eleganza.
Cosa sta affinando, invece, in cantina per il
2023: quali i prossimi orizzonti di Casa Sartori
1898?
Stiamo lavorando su un nuovo progetto I Saltari, che per
noi è molto significativo perché rappresenta l’inizio della
collaborazione con Colognola ai Colli e la nostra interpretazione
di terroir della Valpolicella Orientale.
tailorbrand.it
masottina.it
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Un rendez-vous sempre grandemente atteso. Che si consuma attorno a una
bottiglia dall’habillage creato su misura da uno dei tratti più noti nel panorama
del design internazionale. È un calice di bellezza e di bontà, quello che
ritorna ad ogni uscita degli Champagne firmati Philippe Starck per Louis
Roederer. Un incontro concepito a inizio millennio e che nel tempo ha rafforzato
l’amicizia che unisce Frédéric Rouzaud, presidente e Ceo della realtà fondata nel
1776, Jean-Baptiste Lécaillon, il suo chef de caves da quasi trent’anni, e il genio la cui
mano sta dietro a veri e propri oggetti di culto nel campo del design. Con il 2015 si scrive
il quarto capitolo della collaborazione tra il designer e la Maison, che riconferma la scelta
di affiancare la versione in rosa al Brut Blanc. I due volti Nature di Louis Roederer, battesimo
nella tipologia per il marchio e che proprio nell’anno del nuovo vintage fece l’esordio
in Italia. Un percorso che nel 2012 ha visto la prima produzione del Brut Nature Rosé,
conservando i suoi tratti identitari. Champagne non dosati, la cui ricetta è stata perfezionata
nel tempo ruotando attorno ai cardini di un’annata dalla maturazione fenolica perfetta
e dell’impiego di tutte e tre le varietà principali di uve della Champagne: Pinot Noir,
Chardonnay e Meunier. Così nascono le espressioni più autentiche destinate a riprodurre
nel calice la bellezza fredda e i poggi argillosi rivolti a sud che riflettono il sole con forza
delle terre nere di Cumières. Dieci ettari lavorati a mano, sartorialmente proprio come
l’etichetta che li racconta. A prendere forma sono qui vini fragranti, viscosi, di energia
capace di perdurare nel tempo. Minimalismo ed essenzialità, dove il superfluo è messo da
parte e l’insieme riconnette con la natura. Un’opera che si svela con l’affinamento in vetro,
strada intrapresa con il millesimo “originale” 2006, proseguita con l’annata 2009, adottata
con il vintage 2012 e riconfermata ancora una volta con la 2015 tenuta a battesimo, poi
sottoposta alla prova suprema del calice. Tratti netti, precisi e chiari, che nell’evoluzione
del progetto si sono visti incorniciati ed evidenziati, enfatizzati, con cromie detonanti,
in perfetto stile Starck. Un’espressione di originalità nella libertà. E poi c’è l’espressione
di un terroir che parla. “Il mio registro progettuale si basa sul gesso, il suolo bianco del
Cristal”, evidenzia Jean-Baptiste Lécaillon. “Era necessario contrastarlo con qualcosa di
originale. A Cumières, la natura ci ha regalato succhi diversi”. Il frutto di tre appezzamenti
contigui, Les Pierreuses, Les Chèvres e Les Clos, che proprio nel 2015 si esplicitano con
rigore. “Continentale e soleggiata, la 2015 è un’annata spettacolare”, riprende Lécaillon,
“caratterizzata da un’estate calda, elevate temperature e un radioso finale di stagione quando
la pioggia ha rallentato lo sviluppo della maturazione che al momento della raccolta si
contraddistingue per una grande freschezza, acini succosi e linfa vegetale che mi ha ricordato
l’annata dell’85, con un profilo aromatico intenso e molto promettente, soprattuttto
per il Pinot Noir, con una materia densa, profonda e di equilibrio”. Poi i due spartiti, a iniziare
dal Brut Nature Blanc: vino moderno, minerale e diretto, perfetto lettore del terreno
che unisce la vibrazione data dalle argille e il carattere sapido dell’annata. Per Philippe
Starck “è uno Champagne di azione, movimento, teso e vivace, radioso ed elegante. È uno
Champagne dal piacere immediato”. Il Brut Nature Rosé 2015, invece, ha un carattere
differente, “è come un gioco mentale, un’esperienza sensoriale e sentimentale unica dove
si sorseggia anche il colore rosa, tenero e intimo, frizzante e talcato. Incanta con la sua
frutta fresca che contraddistingue il terroir in cui nasce ma anche la tecnica di infusione
prevista nel suo protocollo di vinificazione. L’uva più matura e succosa viene trattata con
delicatezza per preservare il carattere più impulsivo di uno Champagne di corpo e anima,
che unisce potenza e rettitudine totalizzante per un sorso tutto in eleganza e forza”. Un
gioco di sponde, che riceve anche l’omaggio della collaborazione tra la Maison e l’artista
vietnamita Duy Anh Nhan Duc, classe 1983. Un’ode all’unione che lega le produzioni
Louis Roederer con gli elementi del suolo, decantata attraverso cinque installazioni capaci
di fondere al loro interno gli elementi del terroir della Champagne. “L’aspetto tecnico è
necessariamente importante nella creazione di un grande Champagne”, sottolinea Frédéric
Rouzaud, “e lavorare con un artista come Duy Anh è un modo per andare oltre questo
aspetto e riconnettersi con la bellezza del mestiere. È un ponte”. Un invito a prendersi del
tempo per guardare il mondo che ci circonda con occhi nuovi, iniziando da ogni co-creazione
con la natura che si esprime in ogni calice di bellezza e di bontà firmato Philippe
Starck per Champagne Louis Roederer.
DI MATTEO BORRÈ
VISIONI
Un calice di bellezza
e di bontà
Ritorna la firma Philippe Starck per Louis Roederer,
con il quarto capitolo di uno Champagne sartoriale
12
Che significato ha per il
Gruppo Zonin1821 la parola
sostenibilità?
La nostra filosofia aziendale mette al
centro il Vino, con la V maiuscola, inteso
come Cultura che si tramanda ed arricchisce da
millenni grazie al passaggio generazionale e alle tradizioni
locali. È un patrimonio unico, un savoir-faire d’eccellenza
quello che abbiamo ereditato. E che a noi è domandato
di contribuire ad interpretare e custodire per le generazioni
future. Proprio in virtù di questo si comprende il
motivo per il quale cura del territorio, valorizzazione delle
tradizioni vinicole locali, rispetto della biodiversità, sperila
Penisola, siamo una sorta di osservatorio speciale per
comprendere sia l’evoluzione del settore vitivinicolo in
Italia sia l’adattabilità di studi, progetti e tecnologie. Questo
in relazione alle nostre necessità, ma anche alle numerose
opportunità offerte dalle aziende produttrici che ci
scelgono per implementare i loro studi, sperimentiamo
costantemente nuove attrezzature e forniamo analisi puntuali
sul funzionamento dei macchinari ai nostri fornitori
tra i quali, per esempio, Scam, Manica e Tecnovict.
Ma l’innovazione tecnologica quanto è valore
aggiunto per lo sviluppo sostenibile?
Il valore dell’innovazione tecnologica è da intendersi
come opportunità per “far bene” e “meglio”. Innovazione
tecnologica e sostenibilità vanno spesso di pari passo:
questo non significa che tutte le innovazioni tecnologiche
rendono le aziende più sostenibili, ma che alcune possono
essere fondamentali per lo sviluppo sostenibile. L’innovazione
tecnologica basata sull’integrazione di macchine e
tecniche è importante per supportare lo sviluppo della
nostra industria, da un lato garantendo prodotti sempre
più “buoni” qualitativamente, dall’altro anche riducendo
la complessità del lavoro in vigna e nei differenti processi
di produzione. Non può però essere dimenticata l’innovazione
tecnologica a sostegno del cliente: dalle nuove
piattaforme digitali che danno la possibilità al consumatore
di scoprire il prodotto, alle app realizzate per garantire
trasparenza e affidabilità nella selezione dei vini da
degustare, senza dimenticare le forme di realtà aumentata
capace di “far vivere” a chi non può esserci fisicamente
un’esperienza che si avvicini alle sensazioni che si vivono
passeggiando tra le vigne delle tenute.
NUOVI CODICI
La scelta sostenibile
di Zonin1821
Come il Gruppo ha puntato a “far bene” e “meglio”
nel 2022. A tu per tu con Francesco Zonin
Sostenibilità: questa la parola chiave che ha
dettato ogni azione del 2022 del Gruppo Zonin1821.
Sostenibilità declinata seguendo
tutte le direttrici che un termine sempre più
decisivo per le realtà del vino, e non solo, implica.
Ma cosa comporta una scelta e un focus di questo
tipo per chi è chiamato a proseguire un’eredità storica che
rimonta per sette generazioni? Lo abbiamo domandato
a Francesco Zonin, vicepresidente
del Gruppo Zonin1821 e volto della
settima generazione della famiglia
che guida il colosso del vino che da
Gambellara ha portato la propria
expertise nel mondo.
DI MATTEO BORRÈ
mentazioni tecniche ma anche innovazione dei processi
produttivi e sviluppo sostenibile siano elementi fondanti
ed imprescindibili che esprimono il DNA della nostra
azienda. Il Gruppo Zonin1821 promuove infatti uno sviluppo
sostenibile in tutti i suoi aspetti: ambientale, economico
e sociale. Questa tematica, che sfortunatamente
troppe volte è percepita come una moda, è in realtà un asset
fondamentale per lo sviluppo del settore, per
il benessere della collettività e quello delle
generazioni future.
Per sviluppare un approccio
sostenibile essere un Gruppo
rappresenta un valore
aggiunto?
Sebbene custodi della cultura vitivinicola
millenaria e delle tradizioni
locali – che vogliamo continuare a
rispettare – siano chiaramente le nostre
tenute, l’essere Gruppo è un valore
aggiunto nell’interpretazione di quella Cultura,
anche qui con la C maiuscola, di cui si diceva prima. I nostri
enologi ed agronomi si confrontano continuamente
tra loro. E questo dibattito, che spazia da Nord a Sud ma
coinvolge anche l’estero, relativo alla gestione del vigneto,
alle tecniche adottate e alle innovazioni da implementare
è un grande patrimonio che si autoalimenta e auto-arricchisce.
Inoltre, grazie alle nostre tenute dislocate in tutta
Ma come si rende partecipe il consumatore
di questo impegno sostenibile?
All’interno delle tenute, l’attività di produzione del vino si
affianca a quella dell’ospitalità: l’importanza data all’accoglienza
ha un notevole significato simbolico poiché esprime
il ruolo di Zonin1821 nel promuovere l’educazione in
questo settore, rispettare le diversità tipiche di ogni territorio
e valorizzare i saperi locali. Uno sviluppo sostenibile
non può prescindere dalla promozione della Cultura di settore.
Proprio in virtù di questa visione, nella nostra storica
sede di Gambellara si trova un percorso museale, aperto a
tutti i visitatori, dedicato proprio alla cultura vitivinicola.
Uno dei grandi temi portanti oggi in questo settore
è quello del biologico: qual è la sua funzione
e come si pone il Gruppo in merito a questo?
Il vino biologico continua ad essere sempre di più apprezzato
a livello internazionale grazie al crescente interesse dei
consumatori e alla sempre maggiore attenzione dei produttori
ad uno sviluppo sostenibile. Per semplificare, possiamo
dire che l’agricoltura biologica è un metodo agricolo
volto a produrre alimenti con sostanze e processi naturali.
Ciò significa che tende ad avere un impatto ambientale limitato,
in quanto incoraggia a usare l’energia e le risorse
naturali in modo responsabile, coltivare la biodiversità,
conservare gli equilibri ecologici regionali, migliorare la
fertilità del suolo evitandone lo sfruttamento e garantire la
qualità delle acque. Proprio in linea con la visione aziendale
di Castello di Albola e di Rocca di Montemassi, presentata
anche nel Bilancio di Sostenibilità, è cominciato nel
2016 il processo di conversione al bio grazie al quale nei
prossimi mesi verranno distribuiti sul mercato vini biologici
che possono fare sempre più la differenza in termini
ambientali, senza però rinunciare all’eccellente gusto della
nostra tradizione. Dobbiamo però stare molto attenti
e non far diventare il biologico un
dogma assoluto o peggio un’ideologia:
è necessario aprire
un dialogo per comprendere
le difficoltà, in determinati
territori con dei climi particolarmente
complessi, di
produrre bio.
Wines of Altitude
.
Above the village of Radda lies one of the highest
estates in Chianti Classico, Castello di Albola.
Here, award-winning expressions of ‘high-hill’
Sangiovese are crafted to perfection from vineyards
yielding grapes of sublime balance.
14
ON AIR
Il 2022
delle enoteche italiane
Primo bilancio con Andrea Terraneo, presidente di Vinarius,
dell’anno che è stato per il canale
DI MATTEO BORRÈ
Voci di costo lievitate e vendite in flessione,
crollo della redditività, ansia da recessione.
La fine d’anno per il mondo del vino
appare funestato da più di un’incognita.
Eppure, i calici non sono mai stati così
pieni, in particolar modo nel fuori casa. A confermarlo
sono i dati di mercato condivisi dall’Osservatorio di
Unione Italiana Vini e Vinitaly. I numeri parlano, infatti,
di un 2022 in chiusura per il settore con vendite in calo
dell’1% a volume (41,4 milioni di ettolitri), per un valore
che però è registrato in aumento del 6%, a 14,3 miliardi
di euro, grazie proprio alle performance dell’Horeca e
al contributo della vendita diretta. Sul dato valoriale,
tuttavia, pesano logiche inflattive che non permette di
sorridere eccessivamente. Ma prima di fasciarsi la testa,
è ancora tutto da vedere cosa porteranno le feste
di fine anno e, soprattutto, i possibili mutamenti nei
prossimi mesi dello scenario internazionale, che oggi
rallenta quella che era stata una ripresa spumeggiante
dopo i tempi bui della pandemia. Ma in questo contesto
generale, il mondo delle enoteche come arriva al rettilineo
finale di questo 2022? E quali sono le richieste che
il canale fa al nuovo Governo da poco insediatosi? Lo
abbiamo domandato, in attesa di poter tirare una riga
definitiva sul bilancio dell’anno, ad Andrea Terraneo,
presidente di Vinarius, Associazione delle Enoteche Italiane
che riunisce un centinaio di punti vendita sparsi
in tutt’Italia e dal 1981 promuove e valorizza l’enoteca
come luogo dove si esercita il commercio specializzato
del vino di qualità e al tempo stesso di tutela il ruolo
dell’enotecario come professionista e divulgatore del
vino e del mondo che ad esso sta intorno.
Quali sono stati i trend di vendita in enoteca
di questo 2022?
È ancora presto per fornire una risposta definitiva, in
particolare se parliamo dell’articolazione dei trend legata
alle fasce prezzo. Ma circa le tipologie di prodotti, a livello
generale si sono registrate buone performance per i vini
bianchi, anche per via di un’estate molto calda, e hanno
tenuto particolarmente bene i rosati, soprattutto al Sud.
Qual è stata la denominazione italiana
o la categoria di vino sorpresa dell’anno?
In attesa anche in questo caso di riuscire a offrire una
panoramica più dettagliata a seguito della volata delle
feste di fine anno, si constata a livello complessivo una
conferma della tendenza a un maggiore consumo degli
autoctoni nei territori stessi di origine dei diversi vitigni.
Cosa domandate al nuovo Governo come
associazione di categoria?
Al nuovo ministro Lollobrigida domandiamo quanto
già avevamo sottoposto al suo predecessore Patuanelli.
In primis, di essere riconosciuti come categoria in qualità
di veicolatori dell’eccellenza dei prodotti agricoli
made in italy. Noi enoteche, infatti, svolgiamo quotidianamente
la fondamentale attività di proposta, promozione
e valorizzazione delle referenze agroalimentari
italiane ad Indicazione Geografica. È un importante
lavoro di utilizzo e divulgazione delle eccellenze del
nostro Paese, il nostro, che avviene sia attraverso i vini
sia attraverso accompagnamenti gastronomici come
possono essere salumi, formaggi e prodotti ortofrutticoli.
Per questo motivo continuiamo a ritenere incomprensibile
come un importante segmento della filiera,
quale siamo noi enoteche che raggiungiamo e superiamo
il 34% di approvvigionamento totale di prodotti a
Indicazione Geografica, non sia stato incluso fra le attività
destinatarie di benefici economici approvati dal
precedente Esecutivo legati ai fondi a sostegno delle
eccellenze del food & wine made in Italy. Al nuovo Governo,
dunque, domandiamo di essere ascoltati maggiormente,
tanto quando si parla di vino, quanto più in
generale di agroalimentare italiano. E soprattutto che si
prenda maggiormente in considerazione l’importante
lavoro svolto capillarmente sul territorio nazionale da
noi enoteche in termini di divulgazione di conoscenza
e qualità dei prodotti.
Guardando infine oltreconfine, chi sale
e chi scende tra i vini stranieri nel 2022?
Anche qui in attesa del dato definitivo, si sta delineando
una buona ripresa dello Champagne.
15
A
l cuore del nord dell’Italia, sulla punta più meridionale della Lombardia,
stretto tra Piemonte, Emilia-Romagna e Liguria, c’è un territorio del vino
che oggi più che mai è tornata alla ribalta, riempendo sempre più i calici di
semplici appassionati e grandi intenditori: è l’Oltrepò Pavese. Scendendo
per circa 60 km a sud di Milano, dopo aver oltrepassato il Po, ha inizio un’area
che se ben osservata assume la forma di un grappolo d’uva, con quattro
valli che si aprono a ventaglio verso il fiume, creando dolci colline, e che,
in alcuni punti, salgono fino ai 1.700 metri s.l.m. fino alle pendici dell’Appennino.
Una zona particolarmente vocata alla vite e ai suoi frutti. Ed è una
lunga storia d’amore quella che lega l’Oltrepò Pavese al vino.
Stiamo parlando, d’altronde, di una delle aree vitivinicole più estese d’Italia,
a fronte di un totale di circa 13mila ettari di vigneti: la terza per estensione
tra tutte le Denominazioni tricolori, dove si produce oltre il 60% dei vini
della Lombardia. Ed è un racconto straordinario, quello offerto dall’Oltrepò
Pavese del vino, che si sviluppa lungo il 45esimo parallelo, lo stesso dove
affacciano il Piemonte, la Borgogna, la zona di Bordeaux e l’Oregon.
Sulla latitudine dei grandi vini del mondo, le prime tracce della coltivazione
della vite rimandano a più di 2000 anni fa: già nel 40 a.C., Strabone,
documentando un suo passaggio per queste terre, parlava di “vino buono,
popolo ospitale e botti in legno molto grandi”. Ma oggi sono innanzitutto
il suolo e il clima a rendere grande l’Oltrepò Pavese del vino. È una biodiversità
davvero unica quella che caratterizza l’area, tra zone vocate a vitigni
a bacca rossa che si alternano a quelle più idonee alle produzioni di uve
bianche. Merito di una conformazione che spazia dalle influenze marine
del Mar Mediterraneo, che arrivano dalla Liguria, al clima più continentale
della Pianura Padana. E poi la diversità dei suoli, con presenza variabile di
calcare o argilla, oltre ad esposizioni ed escursioni termiche differenti.
In questo grappolo di terra, da sempre, tutti i vitigni trovano ottima espressione,
con un denominatore comune che vale per le uve destinate a vini più
“importanti”: la terra, per sua origine ampelografica e natura geologica, garantisce
lunghi e qualitativi invecchiamenti. È la storia, poi, a ricordare che
nel 1884 in Oltrepò Pavese si censivano ben 225 vitigni autoctoni. Oggi
sono poco più di 10 quelli di maggior diffusione, con la scelta effettuata nel
corso del tempo di focalizzare l’attenzione sulle varietà di uva di maggiore
qualità e che esprimono al meglio il territorio, senza dimenticare alcune
tipologie storiche e uniche della zona. Prendono così forma le sei Doc e la
Docg dell’Oltrepò Pavese Metodo Classico Pinot Nero, che si presenta anche
in rosa con il Cruasé, termine che identifica anche un brand consortile.
Denominazioni che sono promosse e su cui vigila un Consorzio di Tutela
fondato su base volontaria nel 1961 e che dal 1977 a livello istituzionale si
fa garante della salvaguardia della lunga storia d’amore tra l’Oltrepò Pavese
e il vino. Un racconto di Oltrepò Pavese Docg Metodo Classico, Buttafuoco
dell’Oltrepò Pavese Doc, Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc, Oltrepò
Pavese Pinot Grigio Doc, Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese Doc, Sangue di
Giuda dell’Oltrepò Pavese Doc, Oltrepò Pavese Doc di cui Oltrepò Pavese
Doc Barbera, Oltrepò Pavese Doc Pinot Nero (bianco, frizzante e spumante),
Oltrepò Pavese Doc Riesling, che parla di una ricchezza più unica che
rara. Un universo tutto da esplorare, dalla vigna alla bottiglia.
Una lunga
storia d’amore
Viaggio lungo il 45esimo parallelo alla scoperta
dell’Oltrepò Pavese del vino
GIRAMONDO
Photo: Consorzio Tutela Vini OP - Anglisani
16
GIRAMONDO
La biodiversità dell’Oltrepò Pavese del vino
tra sfumature Pop e bottiglie che amano il tempo
Sono tanti e diversi i volti dell’Oltrepò Pavese
del vino lungo il 45esimo parallelo.
All’incrocio di quattro regioni e quattro
province, è una biodiversità invidiabile a
consentire a questo grappolo di terra di regalare
espressioni nel calice adatte a ogni occasione e
contesto.
Tra Valle Staffora, Valle Coppa, Valle Scuropasso e
Valle Versa, le quattro valli orientate secondo la direttrice
Sud – Nord che definiscono l’anima del terroir
con le loro esposizioni, prendono forma produzioni
che, tra sfumature Pop e bottiglie “importanti”, raccontano
l’unicità nella varietà.
Tra vitigni e tipologie differenti l’una dall’altra, ci si
trova così a spaziare in unico territorio dai famosi spumanti
Metodo Classico ai vini bianchi freschi o anche
da invecchiamento, passando per i rosati, vini frizzanti,
rossi giovani e quelli, invece, da dimenticare in cantina
per ritrovarli un giorno nella loro piena “maturà”,
per concludere con le proposte dolci. Non manca proprio
nulla in Oltrepò Pavese. Una terra generosa da
scoprire, assaggio dopo assaggio.
La terra del Pinot Nero che ama le bollicine
Quando si pensa all’Oltrepò Pavese, la mente va subito
ai suoi spumanti Metodo Classico e al Pinot Nero,
che proprio lungo il 45esimo parallelo individua il suo
habitat naturale.
Le bollicine sono infatti la punta di diamante del vino
a queste latitudini, visto che stiamo parlando di uno
tra i territori principali in Italia per la produzione di
spumante rifermentato in bottiglia, che qui si basa soprattutto
sul più nobile dei vitigni.
È una lunga storia, che ancora oggi propone una qualità
che non teme confronti, quella dell’Oltrepò Pavese
Docg Metodo Classico. Per una narrazione che
si sviluppa anche in direzione di un’interessantissima
versione rosé, che solo qui è chiamata Cruasé, un
marchio collettivo riservato ai soci che identifica lo
spumante rosé da uve Pinot Nero. Stiamo parlando,
è sempre bene rimarcarlo, della terza area produtti-
EVENTO REALIZZATO CON IL COFINANZIAMENTO DEL FEASR
RESPONSABILE DELL'INFORMAZIONE:
CONSORZIO TUTELA VINI OLTREPÒ PAVESE
AUTORITÀ DI GESTIONE DEL PROGRAMMA: REGIONE LOMBARDIA
va mondiale di Pinot Nero, capace di esprimere una
produzione realmente spumeggiante e oggi in ascesa
con le sue 553mila bottiglie del 2021, che hanno significato
un incremento del 23% sul dato dei 12 mesi
precedenti. È questo il sintomo di una rinnovata partecipazione
al progetto di qualità della Docg, il cui potenziale
– è bene evidenziare anche questo – parla di
numeri che si attestano attorno alle 2 milioni di bottiglie
a poter aderire alla Denominazione. Un’identità
spumantistica (storica), dove il fattore “Tempo” è positiva
discriminante. I vini in Oltrepò Pavese, infatti,
invecchiano bene.
Quella che si può incontrare frequentando i “caveau” di
cantine ultracentenarie, iniziando proprio dalla Docg
dedicata al Metodo Classico, è una sorpresa continua.
Tempo al tempo: dove ricchezza e unicità aggiungono
valore alla biodiversità dell’Oltrepò Pavese. E le performance
più interessanti le ottengono – guarda caso
– proprio due dei vitigni internazionali qui protagonisti
e molto amati nel mondo: il citato Pinot Nero, da
scoprire anche nella sua anima rossa ferma, e il bianco
Riesling.
Tempo al tempo: Sua Maestà il Riesling
Ogni valle, ogni esposizione, ogni terroir racconta nel
calice una storia diversa ma comune, che si identifica
poi nelle poliedriche Denominazioni di questa ricca
terra del vino. E sono vere e proprie strade quelle
17
su cui ci si può incamminare, iniziando da quella che
conduce lungo la Valle del Riesling, che si snoda per
i comuni di Calvignano, Casteggio, Montalto Pavese,
Mornico Losana, Oliva Gessi e Rocca de’ Giorgi. Un
percorso di valorizzazione della varietà nella zona a
più alta vocazione. Per una storia più recente rispetto
a quella del Pinot Nero, che si divide tra Riesling Renano
e Riesling Italico che crescono in una valle ricca
di gesso e di ulivi: l’habitat perfetto, lungo cui si estendono
1.300 ettari di vigneti che regalano bianchi da
invecchiamento dalle sfumature ogni volta sempre più
sorprendenti.
Photo: Consorzio Tutela Vini OP - Mdidier
L’identità “Pop” dell’Oltrepò Pavese
Se Sua Maestà il Riesling definisce il volto nobile
dell’attesa, a raccontare l’anima Pop dell’Oltrepò Pavese
del vino è la via che conduce a scoprire l’immediatezza
della Bonarda, altra Doc numericamente importante
per il territorio.
Un’iconica espressione da uva Croatina, arrivata a
contare una produzione di 15 milioni di bottiglie. Il
rosso che delinea la tipicità, tanto nel suo carattere fermo
quanto nella variante naturalmente mossa. Il vino
della tradizione, a Denominazione dal 1970, ma che
vanta nondimeno una lunga storia alle spalle, come
testimonia la descrizione organolettica del 1864, fatta
sul Bollettino del Comitato Agrario Vogherese pubblicato
da Acerbi, che parla di un “vino di colore, amaro
anziché no, di molta finezza, alcolico e aroma piccante,
generoso e digestivo”.
Allora come oggi, la sua facilità, in primis nella semplicità
d’abbinamento, rende la Bonarda un passe-partout
che ben sposa momenti di socialità e un consumo
fuori dagli schemi, occasioni che gli stanno consentendo
d’intercettare un pubblico di giovani sempre
più numeroso. Si giunge così alle logiche conclusioni.
In sintesi, se nulla manca, c’è proprio tutto in Oltrepò
Pavese. E dall’antipasto al dolce è possibile gustare
lentamente l’assaggio di una terra. Ma è importante
seguire il filo che aiuta a non perdersi per strada: quello
della biodiversità di 13mila ettari vitati, dove tutto
viene bene, su colline che maliziose strizzano l’occhio
al mare, verso la Liguria, prendono gli aliti ridenti
dell’Emilia, dall’altra parte del confine del grappolo, e
scollinano verso il Basso Piemonte.
Il terroir è la chiave. E tanto di quel che sta nel calice
lo si potrà comprendere già al primo sguardo a questa
grande terra del vino.
Una storia ancora da degustare
Una pubblicazione della locale Camera di
Commercio edita nel 1884 sulle condizioni
economiche civili
della provincia di Pavia,
attesta che nelle
zone di Stradella,
Montù Beccaria, Broni,
si contavano allora
ben 59 qualità di uva,
tra le quali, spiccavano
la Moradella, la
Pissadella, l’Ughetta
di Canneto, la Rossara, il Barbisino, il Pignolo,
il Besgano, l’Uva d’Oro, lo Sgorbera, il
Nebbiolo, il Moscatello e il Trebbiano. Poco
coltivate erano a quei tempi la Croatina (da
cui il vino Bonarda) e
la Malvasia: pochissimo
la Barbera, la
Vernaccia, l’Altrugo e
il Cortese. Oggi, una
nuova tendenza tra
i produttori storici in
Oltrepò Pavese sta
conducendo a una
riscoperta di alcune
testimonianze del passato, come ad esempio
proprio l’Uva della Cascina o la Moradella.
Pionieri
del Metodo Classico
In Oltrepò Pavese ci sono ancora diverse
cantine storiche che per prime si sono distinte
quando si parla della nascita delle
bollicine in Italia. Alla metà del 1800, tempi
in cui il Metodo Classico tricolore strizzava
l’occhio anche nel nome al suo più celebrato
fratello maggiore d’Oltralpe, cominciano
a saltare i primi tappi anche in Oltrepò
Pavese. È il conte Carlo Giorgi di Vistarino,
l’uomo che ha portato a Pavia e dintorni il
Pinot Nero della Borgogna, a battezzare
il primo Brut made in Italy nella tenuta di
Rocca de’ Giorgi. E proprio la valle Scuropasso,
zona particolarmente vocata, è considerata
da sempre la casa del più nobile
tra i vitigni. L’Italia delle bollicine “s’è desta”
e progressivamente prende forma. A Codevilla,
sempre in Oltrepò Pavese, è l’ing.
Domenico Mazza con la sua azienda Montelio
a introdurre in quegli anni una bottiglia
specifica per lo spumante. Ma curiosando
fra i primati di questo angolo di mondo del
vino, si scopre anche che il primo in Italia a
mettere a punto una valida scheda di degustazione
fu Emilio Sernagiotto: sono gli anni
’50 del 1900 quando il futuro presidente
dell’Associazione enotecnici italiani, nativo
di Casteggio, spiega che degustare un vino
comporta indagare razionalmente, senza
alcun pregiudizio, impegnando tutti i sensi
di cui disponiamo per classificarne, attraverso
un’analisi sistematica, pregi e difetti.
GIRAMONDO
18
GIRAMONDO
Il futuro di una grande terra del vino.
A tu per tu con Gilda Fugazza e Carlo Veronese
Direttore Veronese, che cammino ha scelto d’intraprendere
e sta seguendo l’Oltrepò del vino
in Italia e all’estero davanti ai consumi che si
rinnovano?
La strada è una sola e lo sostengo da sempre: bisogna
muoversi, portare il vino dove non c’è. Anzi: dove non
è ancora stato promosso, ma ci sono i distributori. Per
questo appena siamo usciti dal blocco delle attività causato
dal Covid-19 non abbiamo voluto e potuto perdere
tempo. Sono partiti diversi tour promozionali all’estero
e abbiamo individuato soprattutto il mercato americano,
quello giapponese e poi Germania e Svizzera come basi
di partenza per farci conoscere sempre più. E in questo finale
di anno, Tokyo e Stati Uniti ci hanno impegnato con
una organizzazione fitta di eventi, in parallelo alle attività
legate a Milano e Merano, con i due wine festival diversi e
complementari fra di loro.
Ma come puntate a consolidare nel 2023 il lavoro
fatto per riportare la varietà dell’Oltrepò
del vino nella carte dei ristoranti e sugli scaffali
delle enoteche?
Con le attività, con le relazioni, con i tasting event e con
una presenza capillare, individuando con intelligenza
mercati, segmenti, trend e opportunità che ci vengono
proposte. Ma questo si fa solo muovendosi e valorizzando
le Denominazioni in modo coerente, con le misure
che ci vengono proposte e che intercettiamo per concretizzare
la nostra promozione.
Un universo variegato, quello enoico oltrepadano,
che nelle tante sfumature di colori
e vitigni trova unità all’interno della
grande casa del Consorzio Tutela Vini
Oltrepò Pavese. Fondato su base volontaria
nel 1961, dal 1977 a livello istituzionale si fa garante
della salvaguardia della lunga storia d’amore tra l’Oltrepò
Pavese e il vino, promuovendo e vigilando
sulle sue Denominazioni. Ma qual è oggi lo
stato dell’arte sulle colline oltrepadane?
E quale il futuro per questa grande terra
del vino? Lo abbiamo domandato
a Gilda Fugazza e a Carlo Veronese,
rispettivamente presidente e direttore
del Consorzio Tutela Vini Oltrepò
Pavese.
Direttore Veronese, qual è il primo
bilancio che può tracciare l’Oltrepò
Pavese del vino sul proprio 2022?
Di una generale crescita della qualità, delle attività,
delle strutture e della partecipazione agli eventi che
prosegue in scia a quanto fatto in questi ultimi tre
anni, compresa la pandemia. Il Consorzio ha sfruttato
ogni occasione di promozione e di selezione per stimolare
un mondo delle Denominazioni e promuovere
partecipazione, condivisione ed entusiasmo nel valorizzare
un territorio magnifico che ha tutto per vince-
re ed imporsi in uno scenario produttivo in continua
evoluzione come quello del mondo del vino italiano.
Presidente Fugazza, come intendete proseguire
nel cammino per coniugare numeri e qualità in
una terra generosa e vocata per tante varietà
diverse tra loro?
La chiave è nella parola sostenibilità. Lo ripeto
senza stancarmi: si tratta di una parola che
significa sostenibilità ambientale, ma
anche sociale ed economica. La nostra
ricchezza è concreta e attuale, ma si
scontra con una realtà economica
molto complessa dove abbiamo la
possibilità di giocarci non una ma
più partite. Chiamiamoli tre focus.
Fatti di vitigni di grande potenzialità,
con l’universo delle bollicine della
nostra Docg che è il mondo del Pinot
Nero in tutte le sue sfumature. Poi i grandi
blend da uve autoctone - Croatina e Barbera, ad esempio
– con Bonarda Doc o Buttafuoco Doc e il sempre
più richiesto Sangue di Giuda. Infine, il mondo dei
grandi Riesling Renano e Italico, dove stiamo raccogliendo
già i frutti di un lavoro di crescita costante. Tre
mondi complementari, dove i numeri e la qualità sono
la base per una crescita parallela e gli uni non possono
prescindere dall’altra.
Presidente Fugazza, esiste oggi una chiave per
conquistare al vino dell’Oltrepò il pubblico più
giovane?
Siamo convinti che il mondo del vino stia cambiando velocemente.
Se da una parte il modello tradizionale non
può che continuare a perseguire la strada della tradizione
e dell’eccellenza secondo modelli consolidati per quanto
riguarda le Doc e Docg di eccellenza, credo ci sia più che
mai spazio nel nuovo mondo di quel “nuovo vino” capace
d’intercettare gusti, momenti di consumo e target diversi
e interessanti. Di recente, da una riflessione condivisa con
il Consorzio Prosecco Doc abbiamo capito che i giovani
vanno assecondati rispetto all’interesse dimostrato per il
mondo del vino facile, “easy to drink” di qualità, più naturale
possibile: anche nella sua impostazione comunicativa
profilata, con gradazioni moderate capaci di essere una
scelta giusta per ogni momento di pausa e socializzazione
in cui vino e food dialogano senza troppi problemi e si
abbinano facilmente. Può sembrare un discorso banale,
invece non lo è in un momento in cui stiamo tutti ancora
di più attenti al bere responsabile e a limitare l’abuso e
l’atteggiamento molto spesso sfrenato dei giovani rispetto
ai superalcolici o alla logica dello “sballo”.
E quale sarà la parola chiave del 2023 per
l’Oltrepò?
Oltre “unione”, dico anche “la forza della sostenibilità”,
che rappresenta la bellezza della nostra terra del vino
pronta, ospitale, accogliente e ca rica di futuro.
Una terra che sorride prima di tutto in un calice di Bonarda,
di Pinot Nero, di Riesling dell’Oltrepo Pavese.
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Dal cuore dell’Alta Valle Versa, sulle dolci colline dell’Oltrepò
Pavese, arriva il 470 Pinot Nero 2017 Metodo Classico Vsq
Tenuta Caseo. Il figlio di un territorio vocato per il più nobile
dei vitigni, che qui ha trovato uno dei suoi habitat d’elezione
all’interno di una proprietà che si estende su 120 ettari, di cui 90
di vigneto. Un angolo rimasto immutato nella sua dimensione
originale, dove si tramanda e si continua a scrivere una storia già
iniziata prima del 1200 e poi fiorita con Gian Galeazzo Visconti,
primo Duca di Milano. Il “Metodo Classico” secondo la famiglia
Tommasi, 100% Pinot Nero da un terreno in prevalenza argilloso
con presenza di calcare attivo. Per una bollicina dalla struttura
ricercata, che si fonde con una spuma fitta e fine e a un sottile e
continuo perlage. Fresco come una boccata d’aria, intriga con il
palato secco e la persistenza aromatica di pregio caratterizzata da
gradevole acidità e piacevole mineralità. Scelta per ogni occasione,
dall’aperitivo a risotti e grigliate di carne bianca e pesce, risulta
eccezionale accordo con ogni tipo di frittura.
SPECIALE NATALE | TOMMASI FAMILY ESTATES
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L’espressione più identitaria di una
denominazione, bollicina capace di sfidare il
tempo e sfatare pregiudizi. Il R .D.O. Ponente
2021 Brut Conegliano Valdobbiadene
Prosecco Superiore Rive di Ogliano Docg
Masottina è single vineyard che racconta
l’unicità di un territorio, partendo dal suo
sempre più basso residuo zuccherino,
passato a 4 g/l. Un Cru vocato dal profilo
gastronomico, capace di farsi anche
ingrediente in cucina e non solo abbinamento
in tavola, sigillando in bottiglia sforzi ed
eleganza della più pura viticoltura eroica.
Per un palato che parla la lingua di fresche
e delicate fragranze floreali, valorizzate da
piacevoli sfumature minerali, e un finale lungo
che chiude equilibrato con nuance di zenzero
e un richiamo alle spezie.
SPECIALE NATALE | UN BRINDISI “SUPERIORE”
L’eccellenza del territorio e del suo frutto,
uniti ad una nuova tecnica spumantistica:
da questo connubio prende vita l’Asolo
Prosecco Superiore Docg Brut Millesimato
FM333 Montelvini. Una bollicina dallo stile
inconfondibile che nasce da un unico vigneto
chiamato Fontana Masorin situato sulla collina
del Montello a 333 m s.l.m. Uno “spumante
da mosto” che conquista con la sua assoluta
fragranza, ipnotizzando con la sinuosa danza
di una bolla finissima e persistente alla quale si
cede appagati da un’eleganza aromatica unica.
Un grande classico, sempre contemporaneo.
Il Valdobbiadene Prosecco
Superiore Docg Millesimato Extra Dry
Val D’Oca è etichetta inconfondibile
dietro cui si cela una bollicina equilibrata,
sempre tesa all’eleganza. Iconico, come
l’elegante bottiglia nera satinata, la prima
nella storia del Prosecco nel 1991, che
oggi si rinnova grazie a un restyling nella
veste su cui risalta il nuovo logo. Per un
frutto di uve raccolte esclusivamente a
mano nei vigneti condotti nel rispetto dei
principi dell’agricoltura integrata e certificati
Sqnpi, che nel calice raccontano della
gradevole sapidità che si somma alle note
più dolci della frutta, donando sensazioni
di piacevole freschezza.
Un portavoce di biodiversità delle colline scoscese e generose di uno dei Grand Cru più preziosi
d’Italia. Il Valdobbiadene Superiore di Cartizze Docg Brut Ruggeri rende omaggio
e al contempo svela i profumi di un terroir unico che si risveglia dopo i mesi più freddi. Un
inno alla vita, alla Natura e a un nuovo inizio a suggellare nel calice gli auguri nelle festività di
fine anno. Per una bollicina conviviale e vivace, fragrante e aromatica, che seduce con il suo
armonioso equilibrio e la sua sapidità cristallina con delicate note minerali.
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SPECIALE NATALE | COL VETORAZ
Spirito della notte. Signature scintillante.
Ricordo di una serata d’estate.
L’Asolo Prosecco Superiore Docg Extra
Brut Night Glowing di Montelvini
oggi brilla ancor più di luce propria.
Superiore, non solo per titolo. Vellutato, con la sua aromaticità
elegante che al palato risulta avvolgente. Elegante, grazie al suo
fine perlage e alla consistenza cremosa della sua spuma. Esclusivo,
eccellenza figlia delle colline nelle quali è incastonata Col Vetoraz
all’interno dei più pregiati 107 ettari della Denominazione. Il
Valdobbiadene Superiore di Cartizze Docg Dry Col Vetoraz
è massima espressione delle uve Glera da cui prende forma, col
suo profumo intenso e delicato di fiori e frutta matura, il gusto
pieno e dal perfetto equilibrio aromatico. La proposta ideale per
accompagnare con grazia il finale di un pasto. Brindisi per ricordare
momenti importanti, è perfetto abbinamento anche ai sapori della
tradizione, come una semplice e irresistibile fetta di sopressa.
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Una visione differente di Valpolicella. La
prima a valorizzare la Corvina Veronese
scegliendo d’intraprendere una strada
che non conduceva sul cammino del
tradizionale metodo dell’appassimento.
La Poja Corvina Veronese Igt 2016
Allegrini non è solo il racconto di
un monovitigno, ma soprattutto di
un’intuizione: quella che nel 1979
condusse Giovanni Allegrini, padre della
Signora dell’Amarone, sulla sommità
de La Grola. È su questo altopiano a
nascere un vino che si è trasformato in
icona grazie al fazzoletto di circa 3 ettari
di calcareo candore, cinto da cipressi
e che guarda il Garda distante una
manciata di chilometri, in cui prende
forma. Frutto, spezie e note balsamiche
si fondono alla perfezione nel calice.
Profondo e raffinato, porta con sé la
consistenza della terra che gli regala i
natali e la leggerezza delle brezze che
giungono da lago. Per un vino profondo
e raffinato, capace d’invecchiare
con eleganza, in particolare col suo
millesimo 2016 che si annuncia come
una tra le migliori annate di sempre.
Una Sicilia autentica che emerge dalla pressatura di 100% uve coltivate in
biologico. La scommessa sull’anima autoctona di un vitigno reliquia, che
poi affina interamente in acciaio tra i quattro e i cinque mesi. Arcodace
Perricone Sicilia Doc Assuli è il simbolo di una nuova personalità
della viticoltura dell’isola. Un rinascimento enologico che nel calice
esprime il proprio carattere elegante. Un racconto che celebra il legame
col territorio anche in etichetta, richiamo all’Orlando Furioso e alla
radura magica dove la meraviglia di dischiude e l’emozione si accende.
Orizzonte cje ritorna al primo sorso, dove il frutto è vivace e a venire
espressa è l’eleganza e la freschezza del tannino.
SPECIALE NATALE | FESTA IN ROSSO
L’incontro tra una famiglia con alle spalle una secolare esperienza nel vino e 23 ettari di vigneto situati sulla cima di una collina, a 350
metri di altitudine, tra la Val d’Illasi e la Val di Mezzane. Un terroir eccezionale, dove il terreno di origine argilloso e calcareo infonde
una mineralità ottimale. Un luogo estremo, denominata Montevegro, che in veronese significa “incoltivabile”, ma che oggi, grazie
alla lungimiranza di chi qui piantò le vigne oltre 40 anni fa, regala il Mai Dire Mai Amarone della Valpolicella Docg 2013 Pasqua.
Una delle Icons della cantina, che ne racconta l’innovativo approccio nel winemaking: fatto per durare molto nel tempo, è progetto
slow, che ha bisogno di riposo. Un Amarone di nuova generazione che punta ad esprimere l’identità della collina, domandando di
ritrovarla ancora vibrante nel calice tra 40 anni. Un vino da collezione che propone di avventurarsi alla scoperta delle emozioni che
saprà suscitare la sua curva evolutiva nel corso dell’invecchiamento.
Un inno al Cabernet Franc in terra di Chianti Classico,
che interpreta in bottiglia la personalità vulcanica del suo
autore: Michelangelo Piccini, quinta generazione della
storica famiglia del vino toscana. Pècchero Toscana
Cabernet Franc Igt 2018 Fattoria di Valliano è rosso
dai tratti estrosi, tanto grande da meritarsi, con la sua
produzione esclusiva di sole 600 bottiglie per l’annata,
un grande calice. Lo stesso che porta con sé nel nome,
termine dei secoli passati ormai dimenticato che si
trasforma in ricordo, omaggiando un nonno che amava
gustare il vino in ampi bicchieri. Per un’interpretazione
di sinuosa eleganza che non teme la prova del tempo,
stupendo a ogni sorso con la sua anima dinamica ma
capace di avvolgere e conquistare con la sua raffinatezza.
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SPECIALE NATALE | TEDESCHI
Dopo una lunga attesa, il primo Amarone nato nel Cru delineato dai confini della tenuta Maternigo. Il risultato di molto studio, una buona dose di esperienza
sul campo e la giusta intuizione, che ha condotto una generazione fino alla “terra della madre”. Così ha preso forma Maternigo Amarone della Valpolicella
Docg Riserva 2016 Tedeschi. Un vino omaggio alla tradizione di un’antica tenuta ricca di storia che si sviluppa per circa 33 ettari nei comuni
di Tregnago e Mezzane di Sotto, tra terreni calcari marnosi grigi e rosei e marne bianche e rosa del Cretacico. Al suo cuore, nel vigneto Barila, un’attenta
zonazione e caratterizzazione dei suoli ha condotto alla selezione che oggi regala a questa Riserva la sua inconfondibile impronta aromatica, che spazia tra
note di frutti rossi e sentori floreali mediterranei, fino a freschi accenni di eucalipto a esaltare le intense percezioni di spezie dolci di cannella e di chiodi
di garofano. Per un vino elegante e longevo, in perfetto stile Tedeschi, che vede la luce solo nelle annate più importanti e, nella sua trama tannica vellutata,
racconta dell’unione paritetica di Corvina e Corvinone completata dal giusto tocco di Rondinella.
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Un brindisi in grande, da provare in Magnum o in Jéroboam
da 3 litri. Formati all’altezza di un’avventura iniziata
nel 1985 con una vendemmia straordinaria per uno dei
simboli nel mondo del re dei rossi toscani. Il Brunello
di Montalcino Riserva Poggio all’Oro 2016 Banfi
è una vera e propria perla all’interno della produzione
della storica realtà della famiglia Mariani-May. Figlio di
un singolo vigneto, esclusivamente nelle grandi annate
(16 in totale dal battesimo), è il primo Brunello Prodotto
Sostenibile Equalitas. Riserva particolarmente elegante e
dalla personalità complessa, si presenta con la sua struttura
raffinata in perfetto equilibrio con la parte acida, che
sostiene in modo eccellente la lunga persistenza.
SPECIALE NATALE | IDEE REGALO
Un nuovo arrivato, che dietro a nome ed etichetta cela molto di più. Il Franciacorta Docg Blànc 2018
Contadi Castaldi è Metodo Classico in cui nulla è stato lasciato al caso. È frutto di un cammino di
ricerca durato 20 anni da parte della cantina del Gruppo Terra Moretti Vino. Evoluzione del Soul Satèn,
è Extra Brut in cui Chardonnay e Pinot Bianco s’incontrano alla pari e che si distingue grazie al suo
carattere deciso. Una nuova cuvée asciutta, pulita e lineare, dove 20 sono le selezioni di vendemmia, 37
i vigneti da cui queste provengono. I numeri in etichetta, attenzione estrema al dettaglio, per arrivare al
profondo di un vino che sancisce un patto con la terra: ogni anno questo algoritmo potrebbe cambiare,
perché una vendemmia non è uguale ad un’altra, perché le vigne invecchiano ed esprimono nuovi
paradigmi. Un sorso affascinante del quale stupisce il graffiante sviluppo verticale in un palato d’autore.
Sostenibilità, senza rinunciare ad eleganza e qualità. Una proposta glamour che segue il principio del
“vuoto a guadagnare”. M-Use mini-size Cantina Pizzolato è gift box in cui è racchiuso piacevolezza
nel calice e impegno concreto all’utilizzo responsabile delle risorse. Al suo interno, una bottiglia M-Use
mini-size, un bicchiere di vetro ricavato dagli scarti delle bottiglie stesse, uno stoppino per rigenerare una
candela, una boccetta con all’interno l’essenza di mosto e dei bastoncini per i profumatori d’ambiente.
Per un progetto che presta attenzione a ogni elemento della sua filiera produttiva: dall’uva sana al vino
biologico, dalla bottiglia diamantata in vetro leggero al suo completo riutilizzo.
Il colore delle feste, per un cofanetto capace
di farsi sintesi della grande magia delle colline
di Valdobbiadene, Patrimonio Unesco. Un
luogo incantato dove si realizza, vendemmia dopo
vendemmia, un’irripetibile sinergia di vite, territorio
e saper fare. Prendono così forma irresistibili bollicine
destinate a colorare ogni momento ed occasione: fresche,
fragranti, si distinguono per la loro impronta floreale e
fruttata. In uno spettro di emozioni e identità che parla la
lingua del Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Villa
Sandi, spaziando tra la versione Brut, ad accompagnare primi
piatti delicati e finger food, Extra Dry, ideale per brindisi in
aperitivo, e Dry, da abbinare al più dolce dei finali.
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SPECIALE NATALE | VALDO
Spirito della notte. Signature scintillante.
Ricordo di una serata d’estate. L’Asolo
Prosecco Superiore Docg Extra Brut Night
Glowing di Montelvini oggi brilla ancor
più di luce propria.
Il secondo capitolo della dichiarazione d’amore della famiglia Bolla alle colline di Valdobbiadene. A ribadire con una nuova annata l’attaccamento alla propria
terra e ai suoi preziosi frutti di chi guida con passione da quasi un secolo una realtà simbolo della Docg del Prosecco Superiore. Catturano l’attenzione al primo
sguardo le 7760 le bottiglie numerate di Amor Soli Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Biologico Brut 2021 Valdo, un progetto enologico che oggi
sceglie di comunicare l’impegno e il cammino intrapreso da più di 20 anni verso la massima sostenibilità arricchendosi grazie a un nuovo accessorio realizzato
su misura da Resilia. Una bag green che impreziosisce, confezionata a mano dalle donne di D-Hub, associazione di promozione sociale. Un’edizione limitata
realizzata interamente con materiali di recupero destinati a nuova vita. Rivisitazione dell’iconica borsa a secchiello che prende forma dalle rimanenze di magazzino
per combattere lo spreco e contribuire a contrastare l’inquinamento ambientale. Per il brindisi sostenibile delicato ed elegante, che al palato si esprime
in sensazioni gustative che ricordano la pietra focaia e la cipria: una bollicina che nel calice si trasforma in aperitivo di alto livello, ma si abbina perfettamente
anche a gran parte dei primi piatti di pasta fresca della cucina italiana, in particolar modo di pesce.
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SPECIALE NATALE | LA SCELTA ALTERNATIVA
Selezione di alcune ben specifiche parcelle, per rappresentare
al meglio il carattere tipicamente graffiante della
Denominazione. Il Pinot Nero che si completa con il 5% di
Chardonnay, in un blend che attende poi paziente per 42
mesi sui lieviti. Parcellaire Alta Langa Docg Extra Brut
Metodo Classico Millesimato 2018 Enrico Serafino è
bollicina senza filtri. La scelta parcellare che si perpetua,
retaggio identitario fin dalla nascita del volto spumeggiante
del Piemonte. E poi il dosaggio volutamente ridotto in
zuccheri, che unito all’assenza di distillati elimina ogni
interferenza tra il vino e il suo territorio di origine. Eccellenza
in aperitivo, piacevolezza a tutto pasto.
Selezione in purezza, eleganza in rosso che al palato si traduce nell’incontro
tra l’apprezzabile acidità e una struttura importante. Il Vino
Nobile di Montepulciano Docg Settecento Podere Casanova è
omaggio in bottiglia che seduce. E nel calice ammalia riproponendo
il fascino delle terre poliziane e di un incantevole microcosmo
incastonato nella quiete della natura della Val di Chiana. Per un vino
che regala ricordi fruttati e un assaggio che resta nella memoria sia a
livello tattile sia gustativo. Un accompagnamento blasonato per primi
piatti di cacciagione e al tartufo, cinghiale in umido e secondi piatti
saporiti, importanti salumi e formaggi stagionati.
Ambasciatore di un territorio e della “gioia di vivere al lago di Caldaro”,
Kunst.Stück Kalterersee Classico Superiore Doc 2016 Cantina Kaltern
è fermo immagine nel calice di un vitigno e un terroir dove l’infinito respiro
della natura accarezza i pendii colorati dai vigneti. Un protagonista, pronto
al suo assolo di Schiava. Combinazione di freschezza ed eleganza vellutata,
dove l’entrata piena, sapida e salata si accompagna a una rotondità e persistenza
senza fine. Un rosso della tradizione che si smarca dalle scelte scontate
e chiama ad osare con abbinamenti inconsueti, anche azzardati come crudi e
frutti di mare. Esperienza per cuore, mente e palato.
Dieci anni di emozioni, conservazione e rivalutazione di un piccolo tesoro di tradizione
e identità, riconosciuto e riportato alla luce. Massifitti Bianco Veronese Igt Suavia
è 100% Trebbiano di Soave nato e cresciuto sui basalti del Cru Fittà, piccola, grande
rivoluzione all’interno del panorama Soave. Omaggio alla terra, attraverso una varietà
storica che prima nessuno aveva mai scelto di proporre in purezza. Un vino “autentico”,
ottenuto da cloni delle più vecchie vigne di Trebbiano selezionate geneticamente dopo
un approfondito studio, che al palato si svela nitido e verticale. La grande freschezza
unita ad una struttura elegante e cremosa, il finale iodato, lo rendono passe-partout in
bianco ideale in apertura e, poi, con primi a base di verdure e pesce, ma anche con crudi
e sushi. La scelta “autoctona” a tavola dice: moleche fritte, polenta “Biancoperla” e schie,
risi e bisi, seppie in umido alla veneziana.
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SPECIALE NATALE | ALBINELLA CANALI
Spirito della notte. Signature scintillante.
Ricordo di una serata d’estate. L’Asolo
Prosecco Superiore Docg Extra Brut Night
Glowing di Montelvini oggi brilla ancor
più di luce propria.
Brindisi spumeggianti dal cuore dell’Emilia del vino. Brindisi autoctoni, incarnando la tradizione o sposando l’innovazione che
reinterpreta origini e radici. Le mille sfumature di Lambrusco, tra autentica classicità e una personalità nuova che ne eleva il
posizionamento. Da una parte il Reggiano Doc Foglie Rosse Albinea Canali, massima espressione del proprio territorio e vigoroso
protagonista della moderna osteria: l’abbinamento emiliano per eccellenza, dall’erbazzone ai salumi, dalla pasta ripiena in brodo a
bolliti e arrosti. Il gioco di sponde tra passato e futuro si riflette, poi, nell’immagine del nuovo Metodo Classico Blanc Brut VSQ
Albinea Canali: visione, in cui li Grechetto Gentile si unisce al Lambrusco di Sorbara, figlia del mosto fiore e di minimo 24 mesi di
riposo in bottiglia sui lieviti. Vibrante ricercatezza che si fa bollicina di sicuro affidamento e capace d’immettersi nel solco di due vitigni
simbolo dell’emilianità. Piacevolezza contemporanea che la trasforma nel pairing ideale per degustazioni di frutti di mare e pregiati
crostacei.
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CHAMPAGNE
Calici di amicizia,
affari e Champagne
Due nuovi Blanc de Blancs di Billecart-Salmon e Bruno
Paillard raccontano speciali liason tra Francia e Italia
U
na fine d’anno all’insegna dello Chardonnay per lo
Champagne in Italia. Con due arrivi che raccontano
non soltanto delle espressioni in bianco più pure tra
le bollicine più famose al mondo, ma soprattutto di
storie che s’intrecciano e collaborazioni che celebrano
sodalizi che sono ben più che commerciali. Rapporti
che affondano le radici in profondità, proprio
come la vite nei gessosi terroir di Champagne. E che
testimoniano di liason a cavallo tra Francia e Italia che
oggi assumono la forma di bottiglie molto speciali.
La prima storia di amicizia, affari e Champagne conduce
alla scoperta della release celebrativa dell’anniversario
dell’incontro tra la Velier e la Maison Billecart-Salmon.
Parliamo di un Blanc de Blancs Vintage 2010 creato su
misura per l’occasione. Uno Champagne elegante ma di
carattere, dalla consistenza decisa, tanto da avvertire la
sensazione di masticarlo. Dalla bella acidità e il magnifico
tocco gourmand, siamo davanti alla formula perfetta,
una sorta di sezione aurea quando si parla di Blanc de
Blancs. Una bollicina speciale, dunque, che racconta in
DI MATTEO BORRÈ
bottiglia e in calice 50 anni di sodalizio. “Billecart-Salmon
è uno dei rari prodotti del vecchio catalogo sopravvissuti
al mio ingresso in Velier”, spiega Luca Gargano,
presidente di Velier, storica realtà familiare distributiva
genovese che fin dalla sua nascita, nel 1947, si occupa
d’importazione di distillati, liquori e vini. “Arrivando nel
1983 a dirigere l’azienda, io che ero stato battezzato con
una goccia di Pommery, non lo conoscevo e pensavo di
sostituirlo. Cambiai idea nel visitare la cantina, un’azienda
familiare d’eccezione, con un prodotto che all’epoca
era svenduto. Per più di 50 anni abbiamo lavorato con tre
generazioni della famiglia, passata da Jean-Roland Billecart
ai suoi figli Antoine e François, e oggi a Mathieu.
Prima di essere uno Champagne, Billecart è un vino,
con le stesse tecniche di produzione delle origini, se non
migliori; una delle ultime aziende ancora di proprietà famigliare,
con un cuore e con un’anima”. È un racconto di
raffinatezza, eleganza ed equilibrio quello che si ritrova
anche nella cuvée tailor made celebrativa: tre termini
che descrivono alla perfezione lo stile che da sempre caratterizza
la Maison nata nel 1818 a Mareuil-sur-Ay, nella
Marna, dal matrimonio tra Nicolas François Billecart ed
Elisabeth Salmon, unione tra famiglie che ancora oggi,
dopo sette generazioni, si mantiene fedele all’approccio
delle origini di puntare all’eccellenza. A ribadirlo è
proprio la speciale etichetta, che si distingue anche per
il logo appositamente studiato per l’occasione. Una novità,
quella che fa il suo esordio in questo finale di 2022,
che rivela tutte le specificità dello Chardonnay, figlia di
alcuni tra i migliori Grand Cru per il vitigno: Chouilly,
Cramant, Oiry e Oger. “La cuvée Blanc de Blancs 2010
è stata selezionata dalla famiglia Billecart per celebrare
l’anniversario dei 50 anni della nostra relazione”, evidenzia
Mathieu Roland-Billecart, Ceo della Maison. “È
composta dai migliori Grand Cru della Côte des Blancs
e ha trascorso oltre 10 anni nelle nostre cantine secolari
per svelare tutta l’eleganza dei grandi Champagne. In un
mondo in cui le relazioni a lungo termine si fanno sempre
più rare, siamo fieri del legame che abbiamo creato
con la famiglia Gargano, che valorizza gli Champagne
Billecart-Salmon in tutta Italia”. Con gli estimatori più
attenti di Billecart-Salmon che sapranno riconoscere
in questa speciale release le note proprie della Cuvée
Louis Salmon, iconico Blanc de Blancs della Maison.
Ma quello che celebra il sodalizio tra Velier e Billecart-Salmon
non è l’unica novità “in bianco” a fare capolino
in questo finale d’anno. Una non meno consolidata
partnership porta in Italia un altro speciale Blanc
de Blancs: è il millesimato 2013 firmato Bruno Paillard.
Un’etichetta che racconta più di una storia, a iniziare
da quella del rapporto che lega la Cuzziol GrandiVini,
naturale evoluzione che ha preso vita nel 2015 dell’azienda
creata alla fine degli anni ‘50 da Renzo Cuzziol
con la moglie e focalizzata in origine sulla distribuzione
di petroli e il commercio di bevande, alla Maison di
Champagne nata nel 1981, che figura anche tra i soci
dello storico distributore di vini fini e prodotti gastronomici.
La nuova release è particolarmente significativa,
in quanto unicum se rapportata agli ultimi 10 anni. “La
2013, tra gli anni recenti, è stata l’unica annata fredda”,
spiega Alice Paillard. “E presentare oggi questo Blanc de
Blancs millesimato, dopo una vendemmia 2022 in cui
abbiamo dovuto affrontare le conseguenze della siccità,
ci costringe a riflettere profondamente sugli effetti del
cambiamento climatico in Champagne in questo ultimo
decennio”. Imbottigliato nella primavera 2014 e sboccato
nel 2021, con 16 mesi di riposo in bottiglia
dopo sette anni di affinamento
sui lieviti in cantina, il Blanc de Blancs
2013 Champagne Bruno Paillard
è elaborato esclusivamente a partire
della prima spremitura, la più pura,
di Grand Cru di Chardonnay del
cuore della Côte des Blancs: Le Mesnil-su-Oger
e Oger, di cui 25% vinificati
in barrique. Per un Extra Brut,
dosato 4,5 g/l, che si esprime nel calice
attraverso un’effervescenza fine
e cesellata. Al palato, l’attacco è diretto,
vivace e cristallino. In bocca,
poi, l’elevata sapidità si distende
in una trama ampia e ricca. Per
un Blanc de Blancs maturo che
si apre carnoso ed evolve in
sfumatura di nocciola tostata
dopo il primo impatto legato
a una freschezza mentolata
e nota di eucalipto. Un vino
gioviale e vivace che non si
pone limiti. Così, questo
100% Chardonnay millesimato
2013 si apre ed
evolve perfettamente, in
pieno. E come da tradizione,
per illustrarlo è stata
commissionata un’opera
all’artista Anne Commet
che pone al centro il tema
“Libertà”, a raffigurare carattere
e stile dell’annata e
rendere ancora più speciale
questa novità di cui saranno
disponibili 12mila
bottiglie e 700 magnum.
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movimento di una vera sinfonia. Lo scrive Krug col lancio del suo ricercatissimo
Clos du Mesnil. Non uno Champagne come gli altri, ma il Solista,
con la S maiuscola, della storica Maison. Un unico appezzamento, un
unico vitigno, un unico anno: queste le coordinate a definire i tratti di una
L'ultimo
bollicina figlia dello Chardonnay del vocato vigneto di 1,84 ettari, protetto
da mura fin dal 1698, al cuore di Mesnil-sur-Oger, uno dei villaggi più rappresentativi in
Champagne. Un Solista chiamato con questa nuova uscita a interpretare lo spartito di una
delle vendemmie più celebrate degli ultimi decenni: la 2008. Il Krug Clos du Mesnil 2008
si iscrive così in un ristretto club, inaugurato con la vendemmia 1979, come il 20esimo
Champagne ottenuto dall’esclusivo appezzamento di Chardonnay della Maison. Una scelta,
quella della Chef de Cave Julie Cavil, conseguenza di circostanze che hanno conferito
alle uve dell’annata un’eleganza classica, rendendola eccezionale e instillando la promessa
di rivelare tutto lo straordinario potenziale del Clos. E dopo oltre 13 anni di permanenza
sui lieviti nelle cantine (uno in più per le 500 Magnum non ancora disponibili rispetto alle
13.160 bottiglie in formato classico da 0,75 lt), il battesimo del neonato millesimo non ha
tradito le grandi attese che, a ogni uscita, sono riservate all’etichetta. Esaltato dalla nitida
purezza dello Chardonnay proveniente dal singolo appezzamento, il Krug Clos du Mesnil
2008 rivela una grazia sorprendente per uno Champagne della sua “importanza” al debutto.
Secco, tagliente, fa capolino con una delicata persistenza e un’acidità particolarmente
elegante. Diretto, franco, sincero, si presenta in maniera totalmente differente rispetto a
quel che fu Krug 2008 all’epoca dell’esordio di quest’ultimo. La bollicina del Krug Clos
du Mesnil 2008 è finissima, mentre la controparte del millesimo dedicato all’annata, a 12
mesi dall’uscita, è indomita, potente, esplosiva. Al palato, poi, il Krug 2008 è oggi citrico,
possente, monumentale, espressivo. Si conferma così l’impressione avuta al debutto, di uno
Champagne che invita ad attendere per diversi anni per poterne godere appieno nella sua
straordinaria imponenza. Un vero fuoriclasse che oggi trova col passare dei minuti nel calice
l’amalgama di una bollicina realmente spumeggiante. Il confronto tra il nuovo Krug Clos
du Mesnil 2008 e il Vintage 2008 è d’obbligo, non solo per l’assonanza figlia della vendemmia
che invita al parallelo nel calice, ma anche per un’esperienza di degustazione che per
l’occasione si arricchisce delle note di una vera sinfonia creata per Maison Krug dal pluripremiato
artista e compositore giapponese Ryuichi Sakamoto. Un’interpretazione in musica
del carattere di un millesimo, questa “Suite for Krug in 2008” dedicata a tre creazioni
ispirate proprio dall’annata: Krug Clos du Mesnil 2008, Krug Vintage 2008 e Krug Grande
Cuvée 164ème édition. La prima nel Belpaese dell’evento globale “Seeing Sound Hearing
Krug” che celebra la collaborazione è andato in scena a Milano, il 25 ottobre. Un’occasione
speciale non solo perché è stato possibile degustare i tre Champagne in parallelo, ma anche
perché l’esordio ufficiale in Italia di Krug Clos du Mesnil 2008 è stata l’occasione del debutto
in qualità di brand manager per il marchio sul mercato italiano di Carlo Vallarino Gancia.
E nel confronto tra le tre creazioni di un’unica annata, la Krug Grande Cuvée 164ème
édition non ha perso occasione di mostrare tutto il suo carattere, fieramente rivendicando
la propria indipendenza, emblema di quella visione coniata da Joseph Krug di uno Champagne
nato per essere il migliore e dare piacere, a prescindere dal variare della stagione:
l’espressione più generosa, tutti gli anni. È, infatti, la fotografia di come si propone oggi il
blend di 127 vini di 11 annate diverse, dal 1990 al 2008. La Krug Grande Cuvée 164ème
édition regala una grande espressività: carnosa, dalla magnifica amalgama e la piacevole
acidità che invita a bere e ribere. E poi il bilanciamento ideale di una bollicina che oscilla
in perfetto equilibrio tra finezza e cremosità. Per uno Champagne che sfida anche la curiosità,
interrogando su quale sarà la sua traiettoria evolutiva nel calice nei prossimi anni
e invitando a conservare da parte più di una bottiglia per futuri paralleli didattici. Quello
stesso confronto tradotto in musica da Ryuichi Sakamoto, con il primo movimento a
rappresentare un assolo, che riducendo al minimo l’arrangiamento richiama la purezza e
la precisione di Krug Clos du Mesnil 2008, il secondo che riunisce un piccolo ensemble
intorno a Krug 2008, eseguendo la musica che racconta la storia dell’annata, e nell’ultimo
dei tre esprime la generosità di Krug Grande Cuvée 164ème Édition, con la pienezza
dei sapori e degli aromi riprodotta da un’orchestra sinfonica al gran completo. Un modo
diverso per degustare uno spartito davvero unico: l’annata della “grandeur” 2008.
DI FRANCESCA MORTARO E MATTEO BORRÈ
L’essenza
di un assolo
Krug Clos du Mesnil 2008
si presenta in un parallelo d’autore
CHAMPAGNE
Paolo Lavezzini, Chef Il Palagio, top Krug Ambassade una stella Michelin, Carlo Vallarino Gancia, brand manager Krug,
Francesca Terragni, direttore marketing & comunicazione Moët Hennessy Italia, e Olivier Krug, direttore di Maison Krug
30
La cantina
più bella del mondo
è Antinori nel Chianti Classico
Arriva dall’Alto Adige
TITOLI DI CODA
il migliore spumante
italiano 2022
Arriva dall’Alto Adige il migliore spumante italiano,
nonché la stella nascente tra le bollicine del
mondo. A decretarlo uno dei concorsi internazionali
più rigorosi: lo Champagne & Sparkling
Wine World Championships. L’annuale contest
capitanato da Tom Stevenson, Essi Avellan MW
e George Markus incorona il Metodo Classico
Athesis Brut Alto Adige Doc 2018 in Magnum
quale “Best Italian Sparkling Wine” e “World
Champion Rising Star”. Così, per la prima volta in
otto anni, la classifica italiana del mondiale delle
bolle è stata scalata da uno spumante altoatesino,
autentica “bollicina delle Dolomiti” e originario
Metodo Classico firmato da Kettmeir nel 1992.
Immersa nei vigneti di Caldaro, la storica cantina
fondata nel 1919 oggi si configura sempre più
come azienda all’avanguardia, capace di valorizzare
i vitigni locali situati sia a valle sia in quota,
producendo vini profumati, eleganti e territoriali.
Pioniera della riscoperta dell’antica tradizione
spumantistica di queste zone, nonché della costituzione
della “via altoatesina” alle bollicine, Kettmeir
si distingue oggi proprio per la produzione
di Metodo Classico Alto Adige Doc. Bollicine
naturalmente eleganti ed istintivamente raffinate,
capaci di sprigionare già al primo assaggio un’intensa
aromaticità e una piacevole freschezza. “Si
parla tanto di territorio, e allora noi vogliamo che
si senta da quando si mette il naso nel bicchiere”,
sottolinea l’enologo Josef Romen. “Chi beve Kettmeir
deve pensare: ecco l’Alto Adige”. Ogni anno
apprezzate e pluripremiate
dalla critica nazionale e
internazionale, le bollicine
Kettmeir hanno
oggi arricchito il
proprio palmares con
il più importante dei
titoli per la categoria.
Un importante riconoscimento nel decimo anniversario
della cantina, inaugurata proprio nell’ottobre del
2012. È quello ricevuto da Antinori nel Chianti Classico
che si è classificata al primo posto della World’s Best
Vineyards 2022. Nella graduatoria delle migliori eccellenze
dell’enoturismo mondiale, la destinazione principe
di Marchesi Antinori in Italia è salita sul gradino
più alto del podio, classificandosi al primo posto come
cantina più bella del mondo.
Sagna arricchisce
il proprio portfolio:
tutte le novità
in arrivo
Nuovi ingressi in portfolio per Sagna, col distributore
piemontese che presenta nuove tipologie di produzioni
firmate Pierre Ferraud & Fils. “Si
tratta di un importante ampliamento
della gamma per arricchire la
nostra offerta dei vini della Borgogna
meridionale e del Beaujolais”,
spiega l’amministratore delegato
Massimo Sagna. Fondata nel 1882,
la Maison vinifica da cinque generazioni
uve provenienti da
cinque diversi Domaine all’interno
dei territori di Borgogna.
Per i vini del Beaujolais,
a essere proposto in Italia è
il prestigioso Morgon Les
Charmes, vino elegante e
dal grande potenziale d’invecchiamento
che completa
la selezione dei Beaujolais
Villages, mentre per la Borgogna
Meridionale aggiunti
diversi Pinot Noir, un cremoso
e fresco Crémant de
Bourgogne, spumante a base
Chardonnay, e l’alternativa
in bianco di un Aligoté.
La regione del
vino dell'anno
è in Italia
L’Abruzzo trionfa ai Wine Star Award, i premi di Wine Enthusiast,
battendo come “Wine Region of the Year 2022”
le candidate Marlborough, New Zealand, Southern Oregon/Rogue
Valley, Oregon, Uco Valley, Argentina e Slo
Coast, California. “La regione è ricca di tradizione e intrisa
di innovazione”, la motivazione del riconoscimento del
magazine. “Una gemma nascosta per gli enofili più appassionati;
dai suoi villaggi incontaminati ai suoi paesaggi naturali
mozzafiato, pieni di cascate, fiumi e castelli storici”.
Guida Michelin Italia 2023:
Cannavacciuolo
nuovo tre stelle
Nuovo tristellato nella Guida Michelin Italia 2023: il ristorante
Villa Crespi di Orta San Giulio guidato dallo chef
Antonino Cannavacciuolo entra ufficialmente nel Gotha
della ristorazione mondiale, dopo un percorso che ha avuto
inizio nel 2003 con l’assegnazione della prima stella Michelin,
seguita dalla seconda nel 2006. Arriva così a 12 il
numero di ristoranti che “valgono il viaggio” in Italia.
E ancora...
“Milano Wine Week 2022: il mio bilancio e cosa
abbiamo in mente per il 2023”: parla Federico Gordini.
Il Brunello di Montalcino si conferma il vino più
conosciuto dagli italiani nel report Wine Intelligence.
L’Asti e il vino italiano piangono Vittorio Vallarino
Gancia. Ferrari Riserva Bruno Lunelli 2006: il
secondo millesimo da collezione diventa anche un
NFT. Vino in frenata nel 2023: i dati dell’Osservatorio
Uiv – Vinitaly. Quali sono le migliori cantine di
OperaWine 2023, a Verona il prossimo 1° aprile.
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Biodistretto. Tradizione Futura: Moët & Chandon
torna a premiare la next generation in cucina. Barolo
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WineFestival 2022: quali sono i vini premiati col The
WineHunter Award Platinum.
Futuro Piwi: arriva il Sant’Eu
stachio Sa uvignon Nepis,
vi no resistente Giusti
Wine. Ruinart Sommelier
Challenge Italian Edition:
chi è Lorenzo Campoli, il
vincitore 2022.