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WineCouture 5-6/2023

WineCouture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. WineCouture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.

WineCouture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. WineCouture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.

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NUMERO 5/6<br />

Anno 4 | Giugno-Luglio <strong>2023</strong><br />

Poste Italiane SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi.<br />

NUOVI ORIZZONTI<br />

MERCATO, CHAMPAGNE, CONEGLIANO VALDOBBIADENE PROSECCO DOCG


2<br />

Non è solo una questione d’etichetta<br />

“Chi ga inventà el vin, se non el xe in Paradiso, el xe vissìn”, si dice in Veneto.<br />

“Chi ha inventato il vino, se non è in Paradiso, è lì vicino”. Non così la pensano<br />

i legislatori irlandesi, che contro tutto e tutti si sono convinti che un<br />

calice di vino sia da equiparare a un pacchetto di sigarette, ponendo ben in<br />

evidenza il suo essere nocivo in etichetta. Non crediamo però che i nostri<br />

avi implicassero una qualche sorta di dipartita quando facevano riferimento<br />

al Paradiso. Piuttosto, volevano semplicemente evidenziare quella che è<br />

una grande verità: che un calice di vino, come ha spiegato proprio in questo<br />

numero il presidente di Veuve Clicquot, Jean-Marc Gallot, “rappresenta una<br />

dose supplementare di ottimismo, rendendo realmente tutto possibile”. Un<br />

calice di vino è da sempre qualcosa che trascende giusto o sbagliato. Non è<br />

una questione di salute, si va ben oltre. Un orizzonte dalle mille sfumature e<br />

implicazioni: “Qualcosa che rende tutto possibile”. Nonostante quel che ci<br />

vogliono far credere gli amici irlandesi. Nessuno, sia chiaro, mette in dubbio<br />

la scientificità degli studi che spiegano come l’assunzione di alcol rappresenti<br />

un fattore di rischio per la salute, ma quel che preme evidenziare è quanto<br />

quello stesso calice possa fare infinitamente più bene dell’eventuale danno.<br />

Ovviamente, se assunto moderatamente, come proprio sono i protagonisti<br />

del vino a insegnare con il programma Wine in Moderation, che aiuta a far<br />

comprendere come a tavola una bottiglia sia segno di civiltà e non uno strumento<br />

di sballo. È un lungo cammino di consapevolezza quello a cui siamo<br />

tutti chiamati oggi, ma insieme sapremo convincere anche i più scettici.<br />

05 Primo Piano. La nuova era di Cavicchioli,<br />

simbolo del Lambrusco e di Modena<br />

07 Nuovi Codici. Allegrini: il vino che pensa al<br />

domani con il Lugana Doc Oasi Mantellina<br />

08 Dossier. I nuovi orizzonti di Conegliano<br />

Valdobbiadene, da Masottina a Villa Sandi<br />

SOMMARIO<br />

22 Trade. Vino dealcolato: quali sono<br />

le opportunità di business<br />

WINECOUTURE - winecouture.it<br />

Direttore responsabile Riccardo Colletti<br />

Direttore editoriale Luca Figini<br />

Coordinamento Matteo Borré (matteoborre@nelsonsrl.com)<br />

Marketing & Operations Roberta Rancati<br />

Contributors Francesca Mortaro, Andrea Silvello,<br />

Irene Forni<br />

Art direction Inventium s.r.l.<br />

Stampa La Terra Promessa Società Cooperativa<br />

Sociale Onlus (Novara)<br />

27 Champagne. Il domani visto da Jean-<br />

Baptiste Lécaillon e Maison Louis Roederer<br />

Editore Nelson Srl<br />

Viale Murillo, 3 - 20149 Milano<br />

Telefono 02.84076127<br />

info@nelsonsrl.com<br />

www.nelsonsrl.com<br />

Registrazione al Tribunale di Milano n. 12<br />

del 21 Gennaio 2020 - Nelson Srl -<br />

Iscrizione ROC n° 1172376 del 5 Febbraio 2020<br />

Periodico bimestrale<br />

Anno 4 - Numero 5/6- Giugno/Luglio <strong>2023</strong><br />

Abbonamento Italia per 6 numeri annui 30,00 €<br />

28 On Air. Innovazione e mercato per Veuve<br />

Clicquot: intervista con Jean-Marc Gallot<br />

L’editore garantisce la massima riservatezza<br />

dei dati personali in suo possesso.<br />

Tali dati saranno utilizzati per la gestione degli<br />

abbonamenti e per l’invio di informazioni<br />

commerciali. In base all’art. 13 della Legge<br />

n° 196/2003, i dati potranno essere rettificati<br />

o cancellati in qualsiasi momento scrivendo a:<br />

Nelson Srl<br />

Responsabile dati Riccardo Colletti<br />

Viale Murillo, 3<br />

20149 Milano<br />

Photo: sopra-corina-rainer-unsplash - sotto-cottonbro-studio-pexels


Ben oltre i Millesimi rari<br />

Ricreare l’annata perfetta<br />

99/100 96/100 19/20<br />

Fotografo Iris Velghe - Disegno LUMA<br />

Grand Siècle Nº23 magnum. Su prenotazione.<br />

www.laurent-perrier.com


4<br />

Una nuova vetta per il Pinot Nero in Alto Adige. Grazie a un vino che<br />

ha scelto di farsi perfetto rappresentante di un territorio e di una ben<br />

specifica identità, quella di un singolo vigneto, situato nell’MGA Gleno,<br />

in frazione di Montagna (Bolzano). La terra promessa, insieme con<br />

Mazon, del Pinot Nero altoatesino, che qui si esprime ai suoi massimi<br />

livelli. E poi la mano di chi da decenni ha scelto proprio il più nobile dei vitigni come<br />

sua cifra produttiva: la famiglia Pfitscher. È una novità destinata ad aprire in Alto<br />

Adige una nuova era dell’uva a bacca nera più desiderata al mondo, quella che prende<br />

il via con l’esordio della Riserva Vigna Das Langefeld 2019. Una vera e propria selezione<br />

figlia di un’annata eccellente, come la 2019, che celebra un’idea e una volontà:<br />

quella di riprodurre nel calice la nitida immagine di una particella di 0,4 ettari fra le<br />

più alte e vecchie in Alto Adige. Situata a circa 550 metri s.l.m. al cuore dell’MGA<br />

di Gleno, questo appezzamento speciale è coltivato seguendo i dettami della conduzione<br />

biologica e presenta terreni profondi argillosi in superficie e dal substrato<br />

calcareo. Qui ha preso forma un progetto, nato intorno al 2013, che tanto racconta<br />

anche dello stile della famiglia Pfitscher, voce del territorio, e dell’elegante forza del<br />

Pinot Nero in Alto Adige. Il Vigna Das Langefeld è il vino di una nuova generazione,<br />

quella di Marion, Daniel e Hannes, ma è allo stesso tempo un simbolico passaggio di<br />

testimone. È Klaus Pfitscher, il padre, che quasi 40 anni fa già comprende le potenzialità<br />

di quest’angolo vocato, decidendo così di piantare un’alta densità per ettaro di<br />

cloni di Pinot Nero provenienti dalla Borgogna. “Quando ho piantato questo vigneto<br />

nel 1984, ero convinto che ne sarebbe nato qualcosa di grande. Questo vino è il coronamento<br />

di un sogno”, conferma l’uomo che con determinazione ha saputo portare<br />

avanti questa sua volontà, fino ad arrivare oggi a condividerla con la moglie Monika<br />

e i tre figli. Ed è stata proprio la nuova generazione l’artefice della creazione, con in<br />

prima fila chi in cantina opera insieme al padre, Hannes Pfitscher. “Noi tutti siamo<br />

alla continua ricerca della perfezione”, spiega il giovane enologo e cantiniere. “L’età<br />

delle vigne, il microclima di Gleno e la coltivazione biologica rappresentano la base di<br />

un vino caratterizzato da una grande profondità, oltre che da un’eccellente eleganza e<br />

finezza, di cui siamo molto fieri”.<br />

Nella Riserva Vigna Das Langefeld 2019 a emergere sono dapprima fragranze di<br />

frutti di bosco e di sottobosco con lievi accenni a note affumicate che deliziano e<br />

coinvolgono l’olfatto, preparando la mente ad un piacevole assaggio. Al sorso è di<br />

fatto ricco e stratificato di sapori, con tannini vellutati che ne definiscono il gusto<br />

che permane al palato con avvolgente lunghezza. Poi ci sono i numeri: 1296 bottiglie,<br />

10 Magnum, tre Jéroboam. Una disponibilità per il mercato, dove sarà posto in<br />

commercio a novembre, avendo completato il ciclo di affinamento di quattro anni,<br />

limitatissima. Ogni bottiglia è numerata per questa etichetta che si trasformerà nella<br />

nuova flagship label della Tenuta Pfitscher. Elegante, complesso ma facile da comprendere,<br />

Vigna Das Langefeld 2019 è vino di grande bevibilità, che si esprime tra<br />

un carattere nordico e un’anima fresca e dalla spiccata intensità aromatica. L’esordio<br />

di un progetto che proseguirà, andando a svilupparsi esclusivamente nelle annate<br />

che lo permetteranno per qualità riconosciuta. Se Vigna Das Langefeld nasce innanzitutto<br />

in vigna, dove gli acini pienamente maturi vengono selezionati a mano<br />

da vendemmie di basse quantità, la magia poi si completa in cantina, dove la maggior<br />

parte dell’uva non viene diraspata e segue poi una macerazione a freddo di due<br />

giorni dalla quale la fermentazione alcolica avviene spontaneamente. Dopo circa 14<br />

giorni di fermentazione, il vino è posto a maturare per 12 mesi in barrique e dopo<br />

una sosta di sei mesi in botte grande da 10 hl, segue un ulteriore affinamento di 30<br />

mesi in bottiglia, con l’imbottigliamento che avviene senza chiarifica o filtrazione.<br />

Per una naturale evoluzione di quello che è l’altro grande simbolo della cantina altoatesina,<br />

parlando di Pinot Nero: quella Riserva Matan di cui Vigna Das Langefeld<br />

è una costola che si è scelto di staccare dopo anni di prove di microvinificazione e a<br />

fronte dell’eccezionalità del risultato capace di garantire. Una nuova vetta che, dal<br />

carattere contemporaneo e tipico al contempo, trasmette in un sorso il passato e il<br />

presente di ciò che era ed è oggi il vino in Alto Adige.<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

EXPERIENCE<br />

Il Pinot Nero dell’Alto Adige<br />

che vuol riscrivere la storia<br />

Il primo incontro con Vigna Das Langefeld,<br />

la nuova Riserva dall’MGA Gleno firmata Pfitscher<br />

Photo: Tiberio Sorvillo


5<br />

La nuova era<br />

di Cavicchioli<br />

Si apre un altro capitolo nella storia di un simbolo<br />

del Lambrusco e di Modena<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

Quando si parla di Lambrusco, il nome<br />

Cavicchioli s’impone come un riflesso,<br />

quasi si facesse riferimento a un sinonimo.<br />

Dal 1928, infatti, di generazione<br />

in generazione, questa famiglia ha rappresentato<br />

un caposaldo nell’universo della declinazione<br />

modenese della storica bollicina in rosso emiliana. Se nel<br />

territorio di Sorbara, nella vocata zona compresa tra i fiumi<br />

Secchia e Panaro, le uve Lambrusco hanno individuato<br />

uno dei loro terroir d’elezione, di padre in figlio, a iniziare<br />

dal fondatore Umberto Cavicchioli, ciò che poi ha caratterizzato<br />

la cifra stilistica di un marchio divenuto storico è<br />

stata la capacità di offrire vini in grado di soddisfare i palati<br />

più esigenti, come testimoniano alla perfezione quelli che<br />

si sono tramutati nel tempo in vere e proprie icone di un<br />

terroir: il frizzante Vigna del Cristo e il Metodo Classico<br />

Rosé del Cristo. Due etichette che ben testimoniano la capacità<br />

di saper coniugare il sapore autentico della migliore<br />

tradizione emiliana con l’innovazione dettata da un “saper<br />

fare” costruito lungo quello che si avvicina a divenire<br />

un secolo di bollicine. Una storia che muove i primi passi<br />

nella pianura della Bassa modenese, avendo quale suo epicentro<br />

San Prospero, dove un laboratorio dietro casa si trasformò<br />

il 6 aprile del 1928 in cantina. Poi, negli anni ’60,<br />

il raggio d’azione si amplia: sono soltanto sei i chilometri<br />

che dividono Bomporto, nella frazione di Sorbara, laddove<br />

l’uva comincia a essere lavorata all’interno di un nuovo<br />

edificio situato nel cuore della tenuta agricola, alla storica<br />

sede, da dove l’imbottigliamento dell’azienda non si è<br />

mai mosso. È in questi dintorni, in zona Doc, che i vigneti<br />

Cavicchioli si sviluppano fino a raggiungere i 60 ettari. Il<br />

resto, dal passaggio di testimone tra il fondatore, i figli e i<br />

nipoti, all’ingresso in Cantine Riunite & Civ nel 2011, con<br />

la commercializzazione poi di Cavicchioli tramite Gruppo<br />

Italiano Vini, è un racconto che nel corso dei decenni ha<br />

saputo ribadire la cifra di una famiglia modenese nell’anima<br />

e non solo all’anagrafe, capace di dare voce in bottiglia<br />

e valorizzare il volto moderno di un vino davvero unico.<br />

Oggi, quello che si apre per il Lambrusco modenese e<br />

per Cavicchioli è un nuovo capitolo, a fronte della presa<br />

in carico da parte di Cantine Riunite & Civ dell’attività di<br />

distribuzione dello storico brand sia in Italia sia all’estero.<br />

“Uno degli elementi che definiscono il DNA di Cavicchioli<br />

è proprio questa appartenenza a Modena e alla storia del<br />

Lambrusco”, spiega Francesca Benini, Sales & Marketing<br />

Director di Cantine Riunite & Civ. “Una passione e una<br />

capacità di creare bollicine trasmessa per generazioni, fino<br />

all’odierna quarta. A venire riassunte, in questo, sono le<br />

caratteristiche stesse del Lambrusco: convivialità, leggerezza<br />

e tradizioni familiari tipiche emiliane. Tutti elementi<br />

che desideriamo oggi valorizzare attraverso un portfolio<br />

prodotti capace di esprimere già un’identità importante<br />

e ben delineata nei suoi tratti, avendo quale riferimento<br />

le produzioni più iconiche firmate Cavicchioli: Vigna del<br />

Cristo e Rosé del Cristo”. Il primo, Lambrusco di Sorbara<br />

in purezza, nasce con la vendemmia del 1987 per celebra-<br />

re i 60 anni dell’azienda. “Un vino che prende forma dalle<br />

uve provenienti dall’omonimo vigneto di cinque ettari in<br />

località Cristo”, riprende Francesca Benini. “E che, dopo<br />

una lenta fermentazione in autoclave, affina sui propri<br />

lieviti per almeno 120 giorni, seguendo i dettami di nu<br />

metodo Charmat lungo”. Un vino che al momento del suo<br />

debutto fece grande scalpore. “Si trattava di un Lambrusco<br />

differente da quello cui si era abituati fino a quel momento,<br />

anche all’interno dell’area di provenienza. Ma è stato<br />

poi il prodotto che ha permesso di allargare gli orizzonti,<br />

mutando la percezione con i suoi tratti moderni, unici e,<br />

al tempo stesso, fedeli alla tradizione”. Vigna del Cristo è<br />

un Sorbara avvolgente, ma estremamente equilibrato nella<br />

sua secchezza, con una sapidità che sposa la nota caratteristica<br />

di lampone, fragola e ciliegia tipica del vitigno. Un’etichetta<br />

che ha segnato la storia di Cavicchioli, ma non<br />

solo, proprio come, pochi anni dopo, l’uscita del Rosé<br />

del Cristo, Metodo Classico capace di svelare l’altra faccia<br />

possibile del Lambrusco, quella di uno spumante che<br />

ricerca la perfezione. “Un’altra etichetta pioneristica per il<br />

suo tempo e che ha tracciato la via per Cavicchioli, anche<br />

sotto il lato distributivo all’interno dell’universo della ristorazione”.<br />

Oggi, attraverso questi due prodotti iconici<br />

e un allargamento di gamma che scommette ancora sulle<br />

bollicine, la cantina modenese punta a imporsi come<br />

il simbolo riconosciuto e principe del Lambrusco lungo<br />

l’intero Stivale. “Partendo da Modena e dalla Via Emilia,<br />

intendiamo dare ulteriore impulso al brand con il lancio<br />

di una linea di spumanti composta da prodotti a base Pignoletto<br />

e Sorbara a marchio Antica Foresteria”, annuncia<br />

Francesca Benini. “In aggiunta, abbiamo inserito nella fascia<br />

premium un nuovo Metodo Classico, Lo Scarlatto di<br />

Umberto, che, proprio come indica il suo nome, avrà una<br />

tonalità differente rispetto al Rosé del Cristo. Poi, daremo<br />

spazio, sempre attraverso Pignoletto e Sorbara, a una linea<br />

di ancestrali, tipologia di nicchia, ma capace di attrarre<br />

oggi un target importante di appassionati intenditori. Infine,<br />

abbiamo rivisto la gamma 1928, che rappresenta il<br />

Lambrusco più classico, oggi reso ancor più abboccato e<br />

morbido, così da raccontare la tipicità con una selezione<br />

trasversale”. Un ampliamento della visione, dunque, che<br />

mira a farsi inclusivo, sposando stili diversi e adattandosi<br />

ai gusti di un pubblico che copre l’intero territorio nazionale.<br />

“Con i brand ambassador dedicati al marchio, che<br />

vede al suo interno la presenza anche di Carlo Cavicchioli,<br />

rappresentante della quarta generazione della famiglia, affiancheremo<br />

i nostri partner commerciali nel racconto dei<br />

prodotti, evidenziando l’assoluta unicità di queste bollicine<br />

e adattando la comunicazione a seconda del contesto<br />

territoriale e ai suoi specifici gusti”, conclude Francesca<br />

Benini. “Questi ambasciatori, inoltre, accenderanno i riflettori,<br />

con eventi, serate e degustazioni su Cavicchioli,<br />

formando agenti e grossisti lungo tutta la filiera commerciale”.<br />

Ad ognuno, dunque, il suo calice di modenesità della<br />

nuova era del mito Cavicchioli.<br />

PRIMO PIANO


6<br />

FOCUS ON<br />

Photo: Marco Marroni<br />

DI LUCA FIGINI<br />

All’interno del variegato panorama dei vini<br />

bianchi italiani che sempre più stanno balzando<br />

agli onori della cronaca, tanto che<br />

si parli di preferenze nel calice da parte dei<br />

consumatori, quanto di giudizi della critica<br />

enologica, al Vermentino è di certo da riservare un posto<br />

speciale. Un universo che oggi parla diverse lingue, ma che<br />

vede il suo cuore pulsante nel triangolo che congiunge le<br />

coste di Toscana, Sardegna e Liguria. Non stupisce, dato<br />

che il Vermentino lungo i litorali si trova sempre a suo<br />

agio. Le uve di questa varietà, infatti, sviluppano le migliori<br />

caratteristiche organolettiche in termini di equilibrio<br />

tra acidità e aromi quando maturano a breve distanza dal<br />

mare, grazie soprattutto alle influenze termiche altalenanti<br />

nonché alle brezze marine e ai venti, che garantiscono un<br />

clima asciutto. E quando parliamo di Vermentino, la mente<br />

non può oggi non andare alla Maremma Toscana, Doc<br />

che sta guidando, in un’epoca di consumi che mutano,<br />

una vera e propria rivoluzione, proiettando i riflettori su<br />

un territorio unico, per la sua variopinta conformazione,<br />

che sempre più vuole porsi sotto le luci della ribalta. Già,<br />

perché la Denominazione toscana, oggi più in salute che<br />

mai, ha una visione ben chiara di quello che vuole essere<br />

il futuro del suo bianco di punta, testimoniata dalla scelta<br />

del Consorzio di “codificare” con il Superiore un volto che<br />

sta riscuotendo sempre più di successo. Una dichiarazione<br />

d’intenti e una volontà di posizionarsi a un livello sempre<br />

più alto, dando seguito alla vocazione di un vino gastronomico<br />

che ben sposa la tavola, a ogni latitudine e livello.<br />

Alla provincia grossetana, sui cui la Doc Maremma insiste,<br />

fanno oggi riferimento quasi la metà (937,57) degli<br />

ettari totali coltivati a Vermentino in Toscana (1899,72),<br />

avendo decuplicato negli ultimi 15 anni le superfici (erano<br />

138ha nel 2006 a Grosseto). “I produttori della provincia<br />

di Grosseto, che corrisponde alla zona di produzione della<br />

Doc Maremma Toscana, sono sempre più attratti dalla<br />

nostra Denominazione che, lo ricordo, è ancora relativamente<br />

giovane, essendo stata riconosciuta alla fine del<br />

2011”, sottolinea Luca Pollini, direttore del Consorzio Tutela<br />

Vini della Maremma Toscana. “Lo dimostrano i dati<br />

sugli ettari e i quintali di uve rivendicati nel 2022, con il<br />

nuovo massimo raggiunto di 2.578 ettari contro i 2.364<br />

ettari del 2021 e quasi 174.000 quintali di uva vendemmiata<br />

contro poco meno di 128.000”. Principale protagonista<br />

di questo balzo in avanti proprio il Vermentino, passato<br />

da circa 33.700 quintali nella vendemmia 2020 agli<br />

oltre 43.300 del 2022, tanto che oggi rappresenta il 34%<br />

dell’intero quantitativo di uve rivendicate della Doc Maremma<br />

Toscana. Un successo che però deve essere incanalato<br />

sui giusti binari, al fine di garantire una crescita nei<br />

numeri che abbia un riflesso anche a valore. Ed è così che<br />

la Doc ha portato avanti l’inserimento in Disciplinare della<br />

menzione Superiore per la tipologia Vermentino, con il<br />

via libera ufficiale giunto a metà maggio. “È una scelta di<br />

cui mi assumo la paternità, in quanto l’ho voluta molto”,<br />

spiega Francesco Mazzei, presidente del Consorzio Tutela<br />

Il nuovo verbo<br />

del bianco italiano<br />

Il Vermentino di Maremma diventa Superiore<br />

dando il via a una rivoluzione nel calice<br />

Vini della Maremma Toscana. “Da sempre, infatti, credo<br />

fortemente che le Denominazioni si affermino laddove vi<br />

siano picchi riconosciuti di qualità. Ed è evidente come la<br />

Maremma abbia una vocazione chiara per il Vermentino<br />

sotto varie sfaccettature. Siamo un territorio ampio, un’area<br />

molto diversificata se guardiamo il profilo pedologico,<br />

tra colline metallifere, zone argillose, tufo, sabbia e suoli<br />

vulcanici. Con un denominatore comune dettato da un<br />

Vermentino che risponde molto bene davanti alla diversità,<br />

anche sostenuto dalla benefica influenza della prossimità<br />

del mare, con le sue brezze. È all’interno di questo<br />

mosaico che prendono forma tanti buoni Vermentino con<br />

una buona capacità ad invecchiare, vini che già presentano<br />

una sostanziale complessità, identità varietale e territoriale<br />

oltre al potenziale in termini di longevità. Così, abbiamo<br />

pensato fosse arrivato il momento di dare vita a una categoria<br />

che li riunisse e stimolasse l’upgrade dell’intera Denominazione”.<br />

E a confermare il trend sono stati anche i<br />

risultati della quarta edizione del Vermentino Grand Prix,<br />

che ha svelato la Top 10 <strong>2023</strong> delle etichette maremmane:<br />

in ordine alfabetico per azienda, sono Belguardo Belguardo<br />

“V” 2021, Bruni Perlaia 2021, Castelprile, Bianco Riserva<br />

2021, Podere Cirene Cirene 2021, Santa Lucia Brigante<br />

2022, Tenuta Agostinetto La Terrazza 2021, Tenuta<br />

Dodici Solo 2021, Terenzi Balbinvs 2021, Terre dell’Etruria<br />

Marmato 2022, Val Delle Rose Cobalto 2020. “Anche<br />

in questa occasione, abbiamo avuto la conferma che il<br />

Vermentino della Denominazione abbia una grande personalità,<br />

non solo nella versione fresca e di facile beva, ma<br />

anche in versioni più importanti con processi di vinificazione<br />

complessi e periodi di affinamento più lunghi”, prosegue<br />

Mazzei. Non a caso, proprio i giudizi dell’annuale<br />

contest sono stati ispirazione al cambiamento. “Il fatto che<br />

le giurie di esperti abbiano privilegiato negli ultimi anni i<br />

Vermentino di annate non correnti ha imposto a ricercare<br />

la ragione dietro la scelta. E la risposta è semplice: quella<br />

di un vitigno in bianco che, alla stregua di un rosso, occorre<br />

concepire e pensare da bere non per forza nel futuro immediato.<br />

E ormai sta diventando quasi plebiscitaria questa<br />

constatazione. Una conferma in più per noi, in Consorzio,<br />

della bontà della strada intrapresa con la creazione della<br />

categoria del Vermentino Superiore”. Una carta in più per<br />

dare valore a una Doc che spaventa anche i francesi. “Al<br />

momento, su scala internazionale, il Vermentino è in una<br />

fase di vero e proprio boom. Soprattutto se guardiamo<br />

all’ambito gastronomico e al mondo della ristorazione.<br />

C’è un dettaglio che ci deve fare riflettere: si pensi che in<br />

Francia, dove gli ettari coltivati sono 6.035, tra Provenza,<br />

Corsica e Languedoc-Roussillon, hanno combattuto una<br />

vera battaglia, che per ora hanno perso, per poter sostituire<br />

la dicitura Rollo con Vermentino”. Un dato che dice<br />

tanto se non tutto, ad avviso del numero uno della Doc<br />

Maremma Toscana. “In questa vicenda, quel che è da sottolineare<br />

è che se chi produce alcuni dei migliori vini bianchi<br />

al mondo vede nel Vermentino un fenomeno che gli<br />

sta sfuggendo di mano, è assolutamente un buon segnale<br />

per la salute della nostra produzione e della Denominazione”.<br />

La strada è tracciata e conduce lungo la via di progetti<br />

capaci di uscire dalle logiche stagionali. E il Vermentino<br />

di Maremma ha tutte le carte per fare da capofila nel diffondere<br />

il nuovo verbo del vino bianco italiano.


7<br />

Allegrini: il vino<br />

che pensa al domani<br />

Il Lugana Doc Oasi Mantellina e la scelta sostenibile<br />

che custodisce la biodiversità in vigna<br />

Un grande vino è sempre e innanzitutto figlio<br />

del vigneto in cui prende forma. Ma<br />

non si parla soltanto di suoli e terroir.<br />

Quello a cui si deve prestare attenzione,<br />

infatti, è anche e soprattutto la salute della<br />

vigna e, ovvio riflesso, delle uve. Da sempre, indicatore<br />

fondamentale nella lettura di questo elemento è la molto<br />

reclamizzata biodiversità, concetto che meriterebbe<br />

un capitolo a sé nelle<br />

sue molteplici declinazioni<br />

applicabili<br />

al vino. Ma a voler<br />

in breve sintetizzare<br />

una parola dalle mille<br />

sfumature, è il principio<br />

della ricchezza di<br />

vita sulla terra quel<br />

che meglio la riassume.<br />

Dunque, non soltanto<br />

si deve parlare<br />

di vigna, ma anche dei diversi ecosistemi che vi ruotano<br />

attorno, istante dopo istante, lungo l’incedere dei giorni<br />

e delle stagioni: dall’uomo, artefice di quella che sarà la<br />

trasformazione in vino dell’uva, a flora e fauna, con una<br />

particolare attenzione a quei minuscoli e spesso invisibili<br />

insetti che con il loro prezioso apporto contribuiscono<br />

in maniera decisiva a generare e far prosperare<br />

la stessa biodiversità che poi giunge dritta nel calice. In<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

questo tourbillon, che poi in bottiglia trova la sua sintesi,<br />

le api giocano un ruolo decisivo, fondamentali con<br />

il loro contributo diretto del perpetuarsi di un numero<br />

sterminato di specie vegetali del mondo. Per questo<br />

motivo, sono sempre più le aziende che hanno scelto<br />

d’intervenire in maniera diretta a difesa di una specie<br />

senza la quale nulla crescerebbe, salvaguardandone l’esistenza<br />

e favorendone la riproduzione. Come nel caso<br />

di un volto storico del<br />

vino italiano, Allegrini,<br />

che racconta oggi<br />

un’idea che va ben<br />

oltre il vino attraverso<br />

il suo più elegante<br />

volto in bianco.<br />

Una scelta che non<br />

stupisce, ulteriore<br />

segno tangibile<br />

dell’impegno sostenibile<br />

della storica<br />

azienda veronese. Da generazioni, d’altronde, la famiglia<br />

Allegrini vive a Fumane, piccola località nel cuore<br />

della Valpolicella Classica, tramandando la cultura<br />

della vite e del vino. Protagonisti in queste terre fin<br />

dal XVI secolo, l’azienda assume la propria fisionomia<br />

moderna grazie al capostipite della nuova generazione,<br />

Giovanni Allegrini, tra i primi a stravolgere, negli anni<br />

’60, le abitudini consolidate e parlare con chiarezza di<br />

“qualità” in un’epoca in cui il parametro della “quantità”<br />

era il solo ad indirizzare le produzioni. Nasce così lo<br />

“stile Allegrini”, poi condotto ai massimi vertici internazionali<br />

dai tre figli Walter, Franco e Marilisa. Oggi<br />

siamo giunti alla settima generazione, che porta avanti<br />

con dedizione al fianco di Marilisa (in foto con Francesco<br />

e Silvia) l’eredità di una realtà, ambasciatrice del<br />

made in Italy enoico nel mondo, che dall’annata 2019<br />

ha deciso di scommettere, per i vini bianchi, su un’altra<br />

prestigiosa Denominazione, spingendosi fuori dai<br />

confini della Valpolicella, fin in Lugana. È tra le dolci<br />

colline moreniche che circondano il Lago di Garda che<br />

ha preso forma un progetto che in bottiglia ha assunto<br />

le sembianze del Lugana Doc Oasi Mantellina, che tratteggia<br />

nel calice il frutto di un singolo vigneto, un’oasi<br />

di natura incontaminata dove rare specie animali godono<br />

di un habitat naturale unico, in primis per quegli<br />

insetti impollinatori che qui trovano una dimora sicura.<br />

Api, innanzitutto, ma anche farfalle, bombi, ditteri,<br />

imenotteri e coleotteri vari, cui oggi è stata dedicata<br />

una specifica “comfort zone” all’interno della tenuta.<br />

Perché fin dal principio dell’avventura di Allegrini sulle<br />

sponde del Garda, l’intento è stato quello di preservare<br />

questi luoghi per le generazioni future e al contempo<br />

dare forma, con maestria e saggezza, a un simbolo<br />

d’eccellenza nel calice. Un vino che valorizza il territorio<br />

e che si lega a traguardi concreti di sostenibilità<br />

dell’azienda, certificati da un lato dall’impegno Equalitas<br />

e dall’altro dal riconoscimento Biodiversity Friend<br />

Beekeping, che esplicita la cura non solo della vite ma<br />

anche l’attenzione agli esseri viventi che popolano il<br />

paesaggio, come evidenza bene proprio la struttura del<br />

WWF recentemente installata per accogliere gli insetti<br />

impollinatori. Poi c’è la grandezza di un bianco su cui<br />

oggi è sempre più impresso il nome della famiglia Allegrini,<br />

grazie anche allo stemma storico che dall’annata<br />

2022 ne arricchisce la veste. Un altro<br />

segno del valore aggiunto del progetto<br />

attorno a cui ruota il Lugana<br />

Doc Oasi Mantellina, che nasce da<br />

una pressatura soffice di uve Turbiana<br />

e Cortese, seguita dalla permanenza<br />

per circa quattro mesi in<br />

acciaio e affinamento ulteriore di<br />

due mesi in bottiglia. E sono proprio<br />

le uve raccolte a perfetta maturazione<br />

che portano in dote un<br />

frutto bianco maturo, contornato<br />

da fresche note floreali e sentori<br />

di mandorla. In bocca, Oasi<br />

Mantellina debutta con la tipica<br />

ricchezza del Lugana, poi la<br />

spiccata acidità ha il compito<br />

di tenderne il sorso e donare<br />

agilità. Per un vino che<br />

non si ferma al semplice<br />

aperitivo. Se da un lato,<br />

chiama all’abbinamento<br />

con antipasti o pesce<br />

di lago, tra cui trota,<br />

persico e lavarello, la<br />

sua versatilità lo spinge<br />

ben oltre i confini<br />

del Garda: l’internazionalità<br />

del gusto non<br />

trova certo impreparato<br />

questo Lugana.<br />

Per un bianco che si fa<br />

perfetto accompagnamento<br />

al pesce crudo,<br />

a partire dai “tagli<br />

giapponesi” di sashimi<br />

e sushi, spaziando poi<br />

per tutte le variazioni<br />

sul tema proposte nel<br />

mondo.<br />

NUOVI CODICI


8<br />

Dove stanno andando le colline Patrimonio dell’Umanità Unesco dal 2019<br />

del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg? All’interno del variegato<br />

universo della bollicina italiana più venduta al mondo, questa preziosa<br />

area, che ne è stata culla e ancora oggi ne rappresenta il vertice, sempre<br />

più si va affermando per la qualità di una proposta capace di dare forma a<br />

progetti unici e, nella maggior parte dei casi, finanche eroici. Sui ripidi pendii che definiscono<br />

la fisionomia della Denominazione, infatti, quello che si va sviluppando è sempre<br />

più un racconto che parla di valore e sostenibilità, per merito di uomini e donne che nel<br />

corso del tempo hanno saputo perpetuare una storia e la cultura di un intero territorio,<br />

modellandolo e creando un unicum paesaggistico. “La coltivazione della Glera e la produzione<br />

del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg sono frutto dell’operosità<br />

di un’intera comunità di produttori che hanno fatto di questo territorio, della viticoltura e<br />

dell’enologia la loro vita”, sottolinea la presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano<br />

Valdobbiadene Prosecco Docg, Elvira Bortolomiol. “Il nostro compito oggi è quello di<br />

consolidare questo intelletto collettivo nato dal territorio stesso e farlo prosperare attraverso<br />

il racconto del nostro vino”. Un prodotto unico, sia che si parli del frutto di ciascuna<br />

tra le 43 Rive o della peculiarità straordinaria dettata dal Cartizze, sottozona disciplinata<br />

fin dal 1969, compresa tra le colline più scoscese di San Pietro di Barbozza, Santo Stefano<br />

e Saccol, che oggi vede una superficie rivendicata a Valdobbiadene Superiore di Cartizze<br />

Docg di 106 ettari. Nel corso del 2022, la Denominazione dove il Prosecco è Superiore<br />

ha immesso sul mercato quasi 104 milioni di bottiglie, un volume di prodotto che si attesta<br />

su valori decisamente importanti, a cui corrisponde un valore di 634 milioni di euro<br />

(+2% sul dato 2021). Focalizzando l’attenzione sulla tipologia Spumante Docg, che in<br />

termini di volume rappresenta la quasi totalità dell’offerta, le vendite sono leggermente<br />

calate in Italia (-3,4%) registrando però in contemporanea un aumento del prezzo medio<br />

(+4%) che ha consentito di mantenere piuttosto stabile il valore complessivo della produzione<br />

destinata al mercato interno. L’export, all’opposto, ha fatto segnare crescite del<br />

3,2% in volume e del 7,4% in valore, a fronte di un deciso incremento del prezzo medio a<br />

bottiglia (+4%). In Italia, per quanto riguarda la suddivisione delle vendite per canale si<br />

è assistito negli scorsi 12 mesi a una riduzione dei volumi nell’Horeca e nelle enoteche,<br />

cui ha però corrisposto un aumento del valore delle vendite in termini assoluti (+5%). Il<br />

canale grossisti e distributori ha registrato uno sviluppo del giro d’affari di quasi il 2% in<br />

volume e di più dell’8% in valore. In crescita anche le quote assorbite da vendite a privati<br />

di tipo tradizionale, che rispetto al 2021 hanno registrato un aumento del 28,7% in volume<br />

e del 32,1% in valore. Interessante, infine, notare la forte affermazione a valore della tipologia<br />

Rive nella vendita diretta, con un +37,4% in volume e +53,8% in valore. Poi, c’è il<br />

capitolo della sostenibilità, tanto ambientale, quanto sociale. Nel 2022, la Docg è progredita<br />

ulteriormente nel proprio percorso in tema. Se, infatti, a risultare in crescita sono gli<br />

investimenti delle case spumantistiche in installazioni e tecnologie finalizzate a raggiungere<br />

livelli più elevati di autosufficienza energetica, al contempo, sempre più significativo<br />

è il numero d’imprese che sfruttano energie rinnovabili, con una quota complessiva sul<br />

totale utilizzato che raggiunge quasi il 60%. “La totalità della produzione controllata dalle<br />

case spumantistiche della Denominazione osserva uno standard di sostenibilità”, spiega il<br />

direttore del Consorzio, Diego Tomasi, che aggiunge: “Il 54,5% delle aziende segue il Protocollo<br />

viticolo della Denominazione e si rafforza la quota di aziende conformi al Sistema<br />

nazionale di qualità di produzione integrata (Sqnpi) – Sistema regione Veneto di qualità<br />

verificata (Srqv), con una quota pari al 43,7%”.<br />

È, in sintesi, una fotografia, quella tratteggiata da numeri e scelte, che restituisce l’immagine<br />

di una Docg dinamica, che ha saputo superare le grandi sfide degli ultimi anni. Al<br />

contempo, la Denominazione guarda sempre più al futuro, come dimostra l’attenzione<br />

riservata a giovani, conservazione del paesaggio e turismo. I primi 60 anni del Consorzio<br />

di Tutela, celebrati proprio nel 2022, sono stati l’occasione per promuovere la nascita di<br />

Green Academy e Wine Tourism Lab, nuovi strumenti dedicati a definire il domani delle<br />

colline del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, a cui poi quest’anno si è aggiunto<br />

il neonato Young Club Conegliano Valdobbiadene. La strada è, dunque, tracciata ed è<br />

destinata a condurre lontano il mondo del Prosecco Superiore.<br />

DI MATTEO BORRÈ E ROBERTA RANCATI<br />

DOSSIER<br />

I nuovi orizzonti<br />

di Conegliano Valdobbiadene<br />

Tra sostenibilità e valore, lo stato dell’arte<br />

di una Denominazione che guarda già al domani<br />

Photo: Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg


9<br />

Photo: Roberto Magnanini<br />

La longevità del<br />

Prosecco Superiore<br />

Il valore del tempo Masottina e la rivoluzione<br />

delle vecchie annate delle Rive di Ogliano<br />

Quanto può invecchiare un Prosecco? Al<br />

quesito, nel corso degli anni, hanno provato<br />

a rispondere in diversi produttori,<br />

ovviamente tra quelli della culla storica<br />

della bollicina, le colline tra Conegliano<br />

e Valdobbiadene. È qui, d’altronde, che il Prosecco si fa<br />

Superiore, all’interno della Docg che definisce l’apice di<br />

un universo altamente variegato. Ma se sono state più le<br />

realtà ad aver provato a definire verticali capaci<br />

di raccontare l’evoluzione di un prodotto<br />

da sempre considerato di pronta beva, la<br />

prima e unica a costruire attorno all’idea<br />

che il Prosecco Superiore potesse<br />

effettivamente invecchiare un’iniziativa<br />

commerciale capace di raggiungere<br />

il consumatore è stata quella<br />

guidata dalla famiglia Dal Bianco. “Il<br />

valore del tempo Masottina”, questo il<br />

nome di un’iniziativa che ha inteso svelare<br />

l’evoluzione di un vino, sfatando pregiudizi<br />

e falsi miti. “Nella mia famiglia abbiamo<br />

una lunga tradizione nella produzione di grandi vini<br />

fermi, che produciamo tutt’ora”, sottolinea Federico Dal<br />

Bianco (in foto), vicepresidente della realtà nata nel 1946<br />

per iniziativa del nonno Epifanio Dal Bianco. “Per queste<br />

etichette da invecchiamento era prassi comune mettere da<br />

parte vecchie annate per comprenderne il potenziale lungo<br />

il corso degli anni. Il valore del tempo Masottina nasce<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

da un’intuizione che mi ha portato dal 2009, primo anno<br />

in cui veniva introdotta la possibilità di vinificare le Rive,<br />

a iniziare a costruire una biblioteca di R.D.O., che conta<br />

oggi 13 annate, spinto dalla curiosità di andare a scoprire<br />

come evolveva invece un vino Prosecco che nasceva nel<br />

territorio delle Rive di Ogliano”. Il risultato si è dimostrato<br />

una vera epifania. “La rivelazione, andando ad assaggiare<br />

queste vecchie annate”, prosegue Federico Dal Bianco, “è<br />

stata che, con il passare del tempo, esse acquisiscono<br />

un profilo sempre più gastronomico, che<br />

poi le rende ancor più adatte all’abbinamento<br />

con l’alta ristorazione”. Da qui la<br />

svolta. “Proprio per questa caratteristica,<br />

ho voluto non soltanto proporre<br />

delle degustazioni di verticali dedicate<br />

al tema, ma presentare le vecchie annate<br />

di R.D.O. a ristoratori e ambasciatori<br />

visionari, rendendo Masottina la<br />

prima cantina a proporre ai ristoranti una<br />

carta vini che includesse diverse annate di<br />

Prosecco Superiore, andando a costruire quindi<br />

un’iniziativa commerciale originale e mai vista prima”. Un<br />

progetto pronto a sfidare i pregiudizi e che ha affinato ulteriormente<br />

anche il lavoro in cantina della realtà della famiglia<br />

Dal Bianco. “Masottina è sempre orientata ad un lavoro<br />

costante e ad investimenti tecnologici sia in cantina sia<br />

in vigna, in una continua ricerca sui tempi di affinamento<br />

al fine di creare vini con una qualità straordinaria capace<br />

non solo di vincere la sfida degli anni che passano, ma anche<br />

di evolversi e arricchirsi di nuove piacevoli e complesse<br />

caratteristiche. Quest’anno abbiamo allungato ulteriormente<br />

i tempi di affinamento dei due R.D.O. portandoli a<br />

circa quattro mesi e mezzo per il Levante Extra Dry e a tre<br />

mesi e mezzo per il Ponente Brut. Per quest’ultimo, inoltre,<br />

abbiamo abbassato ulteriormente il grado zuccherino<br />

portandolo a circa 3 g/l”. Dettagli capaci di fare la differenza,<br />

soprattutto sul lungo periodo. Ma come quantificare<br />

fin dove ci si potrà spingere con questi Conegliano Valdobbiadene<br />

Prosecco Docg? “La potenziale evoluzione,<br />

ad oggi, non posso confermarla”, risponde Federico Dal<br />

Bianco. “Ma poco tempo fa ho assaggiato un R.D.O. 2011<br />

ed era ancora vibrante”. Il valore del tempo Masottina è<br />

senz’altro un progetto volto ad elevare ulteriormente il<br />

Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, in particolare<br />

ponendo in luce il valore delle diverse microzone presenti<br />

all’interno della Denominazione. “Le Rive sono la speciale<br />

menzione riservata alle 43 zone dell’area del Conegliano<br />

Valdobbiadene Prosecco Superiore, Patrimonio Unesco,<br />

che si contraddistinguono per la loro unicità e determinano<br />

le diverse sfumature della Docg, diventandone le<br />

punte di diamante”, prosegue Dal Bianco. “Il potenziale e<br />

la longevità degli R.D.O. di Masottina sono frutto, infatti,<br />

del valore del territorio in cui nascono: sono infatti Rive<br />

caratterizzate da vigne storiche di circa 60 anni di età che<br />

godono di una forte escursione termica tra giorno e notte,<br />

di una costante brezza che concentra zuccheri e acidità, di<br />

meno piovosità e di un suolo unico di formazione glaciale<br />

che regala una solida complessità”. Ambasciatori di un territorio,<br />

premiati a livello internazionale con l’inserimento<br />

nella Top 100 wines of the year del 2021 dell’annata 2019<br />

di R.D.O. Levante Extra Dry, ma anche con il debutto<br />

quest’anno ad OperaWine, unico vino Prosecco presente<br />

all’evento, kermesse che racchiude l’eccellenza del sistema<br />

enologico italiano. “In ogni occasione in cui abbiamo presentato<br />

una vecchia annata abbiamo visto, con non poca<br />

soddisfazione, che la diffidenza nel consumatore svanisce<br />

non appena effettuato il primo assaggio, lasciando il posto<br />

alla sorpresa e alla curiosità di provare anche le altre”,<br />

sottolinea Federico Dal Bianco. “Direi che la vera sfida è<br />

ora arrivare a più persone possibili”. Per questo, “Il valore<br />

del tempo Masottina” è un progetto in continua crescita.<br />

“Ad oggi possiamo contare su quattro Ambassador tra ristoranti<br />

ed enoteche che hanno scelto di farsi portavoce di<br />

questo progetto. Accanto a uno stellato come l’Alchimia di<br />

Milano, il primo ad affiancarci come nostro ambasciatore,<br />

oggi abbiamo altri importanti partner che hanno scelto di<br />

diventare R.D.O. Ambassador: a Conegliano il ristorante<br />

Città di Venezia, a Roma, a piazza Farnese, il ristorante<br />

Camponeschi (in foto, in alto, Alessandro Camponeschi e<br />

lo chef executive Luciano La Torre) e a Padova l’Enoteca<br />

la Moscheta”. E il futuro cosa riserva? “Sono sicuro il progetto<br />

sia destinato a crescere ulteriormente, arricchendosi<br />

di nuovi prestigiosi ambasciatori in diverse zone d’Italia.<br />

La sfida da qui a qualche anno invece è sicuramente sbarcare<br />

all’estero con il primo Ambassador”. A cui Masottina<br />

brinderà ovviamente con un calice d’annata.<br />

PROTAGONISTI


10<br />

PROTAGONISTI<br />

Tra i protagonisti principali delle colline di<br />

Conegliano e Valdobbiadene, da sempre Villa<br />

Sandi riveste un ruolo di primo piano. Uno<br />

status, quello della realtà della famiglia Moretti<br />

Polegato, oggi più che mai confermato<br />

innanzitutto dai numeri. È del 2021 la notizia della “prima<br />

volta” sopra quota 100 in termini di fatturato, con l’azienda<br />

di Crocetta del Montello (Treviso) a far registrare un<br />

risultato record pari a 121<br />

milioni di euro. Un traguardo<br />

ancora più apprezzabile<br />

se comparata con<br />

i risultati pre-Covid, con<br />

il raffronto lusinghiero a<br />

esplicitare un +28% rispetto<br />

ai 94 milioni di euro del<br />

2019. Ma Villa Sandi non<br />

si è certo cullata sugli allori,<br />

archiviando gli scorsi 12<br />

mesi con un’altra performance<br />

da sogno, a fronte di ricavi per 145 milioni di euro,<br />

in crescita del 20% sul 2021 e del 70% sul quinquennio.<br />

Una vera e propria svolta, quella nei numeri, conseguenza<br />

di strategie che parlano di un’evoluzione figlia di una qualità<br />

del prodotto superiore, tanto si parli delle colline Patrimonio<br />

dell’Umanità Unesco quanto dell’oasi del Collio di<br />

Borgo Conventi, ma anche del contributo che oggi giunge<br />

da una nuova generazione, quella di Diva e Leonardo, figli<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

del presidente Giancarlo Moretti Polegato (in foto), cittadini<br />

del mondo, cosmopoliti, ma soprattutto chiamati,<br />

con la stessa dedizione che è stata in precedenza del padre,<br />

a raccogliere l’eredità familiare e a ribadire la vocazione internazionale<br />

di Villa Sandi. Una missione che si esplicita<br />

proprio nei successi che hanno costellato l’ultimo anno<br />

della cantina di Crocetta del Montello. “Tra le tre Denominazioni<br />

dell’universo Prosecco che Villa Sandi presidia<br />

con i suoi vini, la Docg<br />

Conegliano Valdobbiadene<br />

è senza dubbio la più<br />

storica e dal valore aggiunto<br />

superiore, soprattutto<br />

quando si fa rifermento<br />

alla crescita registrata in<br />

questi ultimi anni”, sottolinea<br />

Giancarlo Moretti<br />

Polegato. “Parliamo di una<br />

Denominazione dal forte<br />

respiro internazionale, con<br />

una quota export inferiore alla Doc ma soltanto perché<br />

molto più solido è il suo percepito in Italia”. Una “fama”,<br />

quella delle bollicine “Superiori” del Prosecco delle colline<br />

Patrimonio dell’Umanità Unesco dal 2019, che va<br />

coltivata e supportata, come dimostrano le numerose iniziative<br />

che hanno visto in questi ultimi mesi protagonista<br />

proprio Villa Sandi nella diffusione del verbo della Docg<br />

Conegliano Valdobbiadene. A iniziare dall’apertura al<br />

Il futuro nel solco<br />

della tradizione<br />

Le colline del Conegliano Valdobbiadene Docg<br />

nell’interpretazione di Villa Sandi<br />

pubblico del wine bar Villa Sandi & deCanto all’Aeroporto<br />

Marco Polo di Venezia, dove appositi Qr Code trasportano<br />

i viaggiatori di passaggio per il Terminal alla scoperta<br />

delle unicità gastronomiche e dei vini dell’azienda, dando<br />

vita a un’esperienza immersiva che conduce fin sui ripidi<br />

pendii di Valdobbiadene e del cru Cartizze. “Gli aeroporti<br />

sono il primo biglietto da visita di un territorio, oltre che<br />

una grande occasione per attirare attenzione e visibilità: si<br />

pensi che al solo Marco Polo di Venezia quest’anno transiteranno<br />

12 milioni di passeggeri da tutto il mondo. Con<br />

Villa Sandi abbiamo investito molto sull’hospitality, segnando<br />

ogni giorno che passa un incremento nelle visite<br />

e offrendo un contributo concreto nella diffusione della<br />

cultura del vino, in primis del Conegliano Valdobbiadene<br />

Prosecco Superiore Docg”. A consolidare l’ampliarsi degli<br />

orizzonti in termini di visibilità, ad ottobre scorso, l’inserimento<br />

di Villa Sandi tra le destinazioni italiane dell’enoturismo<br />

premiate nella speciale classifica delle World’s Best<br />

Vineyards. Unica cantina in Veneto, la realtà di Crocetta<br />

del Montello è entrata per la prima volta nella Top 100<br />

che valuta, oltre al valore architettonico e paesaggistico<br />

delle tenute, il percorso di visita, l’accessibilità degli spazi,<br />

l’attenzione all’ambiente, la competenza del personale, la<br />

reputazione dell’azienda e la gastronomia. “Un riconoscimento<br />

che non arriva per caso: abbiamo sostenuto con<br />

diversi investimenti negli anni questo percorso che oggi è<br />

ripagato da un’affermazione internazionale che ci ha reso<br />

particolarmente orgogliosi. Quel che proponiamo, infatti,<br />

va ben oltre il vino e spazia dalla visita alla nostra sede, una<br />

splendida villa veneta del 1622, all’assaggio delle nostre<br />

bollicine, che guardano oltre il Conegliano Valdobbiadene<br />

Prosecco Superiore Docg con il Metodo Classico Opere,<br />

fino alla Locanda Sandi, immersa tra le colline Patrimonio<br />

Unesco. Abbiamo molto da far vedere e credo Villa Sandi<br />

abbia dato uno stimolo a tanti all’interno della Denominazione<br />

come esempio virtuoso di quanto sia importante investire<br />

sull’ospitalità e trovare soluzioni che permettano di<br />

promuovere una crescita per l’intero territorio”. Una bellezza<br />

che poi crea ambasciatori in tutto il mondo di questo<br />

angolo vocato d’Italia e dei suoi vini. Tanto che la fama di<br />

Valdobbiadene oggi ha raggiunto contesti di primo piano,<br />

glamour, come da ultimi i prestigiosi campi della Snow<br />

Polo World Cup di St. Moritz, dove proprio Villa Sandi ha<br />

condotto il Prosecco ad affiancare lo Champagne. “Per la<br />

prima volta, in una location dove la convivialità è tradizionalmente<br />

legata alle bollicine di Champagne, il Prosecco<br />

ha trovato un pubblico che l’ha apprezzato dal primo sorso”,<br />

sottolinea il presidente Moretti Polegato. Con la punta<br />

di diamante di questo territorio meraviglioso da andare a<br />

ricercare all’interno del cru più prestigioso della Docg Conegliano<br />

Valdobbiadene: il Cartizze. Qui nasce La Rivetta,<br />

bollicina declinata in Brut salita quest’anno sul gradino<br />

più alto del podio nella speciale classifica che incrocia e<br />

somma i punteggi delle sei guide italiane più autorevoli.<br />

“Un vino che nasce in una tenuta di un ettaro e mezzo<br />

dei preziosi 106 che delimitano il cru”, sottolinea Moretti<br />

Polegato. “Il fiore all’occhiello e un orgoglio per tutta la<br />

Docg, il Cartizze, che nel tempo abbiamo contribuito a far<br />

conoscere nel mondo, con la specifica interpretazione che<br />

ne offriamo e che ha aiutato a far crescere l’export di questa<br />

tipologia”. Sulla scia di questo successo ha preso forma<br />

anche una linea Villa Sandi denominata La Rivetta, che ha<br />

visto il lancio di un’etichetta particolare: il Valdobbiadene<br />

Docg La Rivetta 120. “Una produzione limitata che è stata<br />

recepita molto positivamente dal mercato, ribadendo<br />

come il futuro della Docg Conegliano Valdobbiadene sia<br />

quello di proseguire nel solco tracciato in questi anni di distinguersi<br />

per progetti di altissima qualità. Con La Rivetta<br />

120 parliamo sempre di un Prosecco Superiore che nasce<br />

in un unico vigneto, in cui le rese sono state volutamente<br />

mantenute più basse di quanto stabilito dal disciplinare di<br />

produzione, e a cui i 120 giorni di maturazione conferiscono,<br />

poi, maggiore complessità. Un Extra Brut che corrisponde<br />

esattamente alla linea guida del nostro lavoro:<br />

ovvero espressione dell’identità territoriale nel rispetto<br />

della tipicità del vitigno”.


12<br />

DOSSIER<br />

S<br />

ono colline in perenne fermento quelle<br />

trevigiane Patrimonio dell’Umanità<br />

Unesco delineate dai 15 comuni di<br />

Conegliano, San Vendemiano, Colle<br />

Umberto, Vittorio Veneto, Tarzo, Cison<br />

di Valmarino, San Pietro di Feletto,<br />

Refrontolo, Susegana, Pieve di Soligo,<br />

Farra di Soligo, Follina, Miane, Vidor<br />

e Valdobbiadene. Merito della moltitudine<br />

di piccoli e grandi produttori che<br />

ogni giorno sono impegnati nella ricerca<br />

di nuove vette di qualità quando si parla<br />

di Conegliano Valdobbiadene Prosecco<br />

Docg. A iniziare dal cuore della Denominazione,<br />

la ristretta area collinare di<br />

appena 106 ettari chiamata pentagono<br />

d’oro: il Cartizze.<br />

È qui, dove le uve Glera crescono forti<br />

e sane nelle zone più impervie di Valdobbiadene,<br />

che ha preso forma Springo<br />

Gold, il nuovo arrivato in casa Le<br />

Manzane. La cantina di San<br />

Pietro di Feletto ha arricchito<br />

la proposta della sua linea più<br />

prestigiosa con un Valdobbiadene<br />

Prosecco Superiore<br />

di Cartizze Docg prodotto<br />

in edizione limitata di 5.500<br />

esclusive bottiglie, tutte numerate.<br />

Nell’interpretazione<br />

di Ernesto, Silvana, Marco e<br />

Anna Balbinot, il vertice della<br />

Denominazione delle colline<br />

Patrimonio dell’Umanità<br />

Unesco è Dry. “L’esposizione<br />

a sud della collina e la costante<br />

ventilazione consentono<br />

di ottenere delle uve con un<br />

livello di zuccheri superiore,<br />

per questo abbiamo deciso di produrlo<br />

in questa versione”, spiega il titolare della<br />

cantina Le Manzane. La realtà di San<br />

Pietro di Feletto, radicata nel territorio<br />

trevigiano da quasi 40 anni, ha deciso di<br />

compiere il grande passo, lanciando uno<br />

spumante dall’area riconosciuta come<br />

l’apice qualitativo del Conegliano<br />

Valdobbiadene Prosecco<br />

Docg grazie al suo microclima<br />

unico, il terreno ricco<br />

di minerali, il drenaggio naturale<br />

delle acque superflue<br />

e l’escursione termica che<br />

conferisce alle uve un corredo<br />

aromatico ricco ed intenso.<br />

Ed è grazie a questa combinazione<br />

che Springo Gold Dry<br />

si presenta il suo perlage intenso,<br />

fine e persistente. Uno<br />

spumante complesso al naso,<br />

particolarità che deriva dal<br />

terreno ricco di minerali di<br />

origine marina che contraddistingue<br />

il famoso pentagono<br />

d’oro del Prosecco Superiore,<br />

in bocca ha un sapore<br />

ricco, pieno e consistente. Elegante ed<br />

armonico, è esperienza sensoriale unica<br />

La famiglia Balbinot<br />

Francesco Drusian<br />

Graziano Merotto<br />

e capace di sorprendere.<br />

Altra produzione limitata,<br />

in sole 6600<br />

bottiglie disponibili<br />

dallo scorso maggio,<br />

che si fa nel calice<br />

racconto della viticoltura<br />

eroica delle<br />

colline più vocate è<br />

un’altra novità: quella<br />

firmata da Francesco<br />

Drusian. Un<br />

nuovo Rive per uno<br />

dei grandi maestri<br />

del Conegliano Valdobbiadene<br />

Prosecco<br />

Docg. Il frutto di<br />

un piccolo vigneto<br />

posizionato a 150<br />

metri di altitudine,<br />

circondato dai boschi<br />

e che beneficia<br />

di una costante ventilazione,<br />

fattori decisivi per preservare<br />

la freschezza e l’aromaticità che solo le<br />

uve Glera allevate in collina riescono<br />

a portarsi in dote. Siamo a Colfosco,<br />

frazione di Susegana, in provincia di<br />

Treviso: nasce qui il secondo vino che<br />

arricchisce il progetto triennale creato<br />

dall’azienda agricola Drusian denominato<br />

“Le Rive, la nostra fierezza”. Un<br />

nuovo single vineyard, dunque, entra a<br />

far parte della linea della storica realtà<br />

di Bigolino di Valdobbiadene. “Dopo<br />

il debutto nel 2022 del Valdobbiadene<br />

Docg Rive di Collalto, è giunto il momento<br />

di presentare il secondo vino<br />

che entra a far parte del nostro<br />

progetto dedicato alla valorizzazione<br />

delle Rive”, spiega Francesco<br />

Drusian, terza generazione<br />

al timone dell’azienda di famiglia<br />

che con 80 ettari di vigneto rappresenta<br />

una fra le proprietà più<br />

estese all’interno del territorio<br />

della denominazione Conegliano<br />

Valdobbiadene Docg. Il nuovo<br />

Valdobbiadene Docg Rive di Colfosco<br />

firmato Drusian<br />

nasce su un terreno argilloso<br />

e compatto, caratterizzato<br />

da caldi toni<br />

marroni e intervallato da<br />

rocce che contribuiscono<br />

a conferire un tipico carattere<br />

minerale a questo<br />

Valdobbiadene Docg che<br />

viene ottenuto con la seconda<br />

fermentazione in<br />

autoclave, secondo il Metodo<br />

Martinotti, con una<br />

lunga permanenza sui<br />

lieviti per 140 giorni. “Il<br />

particolare microclima<br />

presente a Colfosco consente,<br />

anche in annate<br />

nelle quali si raggiungono temperature<br />

particolarmente elevate, di preservare<br />

la fondamentale aromaticità delle uve<br />

Glera”, sottolinea Francesco Drusian.<br />

Nel calice il Valdobbiadene Docg Rive<br />

di Colfosco Drusian ha un perlage particolarmente<br />

fine e persistente. Al palato<br />

ha un sorso di grande freschezza, con un


13<br />

gini, invece, una realtà simbolo sempre<br />

di Farra di Soligo: quella guidata dai<br />

fratelli Innocente, Adamaria e Guido<br />

Nardi. Desiderosi di mostrare<br />

un’altra interessante<br />

sfaccettatura del Conegliano<br />

Valdobbiadene Prosecco<br />

Docg, hanno presentato lo<br />

scorso anno un rifermentato<br />

in bottiglia senza sboccatura.<br />

Il Valdobbiadene Prosecco<br />

Superiore Docg Sui Lieviti<br />

Brut Nature firmato La<br />

Farra rappresenta una vera e<br />

propria chicca della cantina<br />

nel cuore delle colline Patrimonio<br />

dell’Umanità Unesco,<br />

con la produzione della vendemmia<br />

2020 che è stata di<br />

sole 4500 bottiglie. Un vino<br />

fermentato in bottiglia senza<br />

sboccatura che nasce da viti<br />

di più di 30 anni, coltivate<br />

sui ciglioni dei versanti sud<br />

delle cordonate ben esposte<br />

al sole, tra i 180 e i 300 metri<br />

s.l.m. proprio a Farra di Soligo,<br />

in località Collagù e San<br />

Gallo. Il particolare metodo<br />

di produzione rende questo<br />

spumante longevo, senza che perda la<br />

sua piacevolezza, e in bocca risulta sapido<br />

e armonioso, lasciando un finale<br />

gradevole, piacevolmente amarognolo e<br />

con richiamo ai lieviti.<br />

Una scelta, questo ritorno alla forma di<br />

produzione degli inizi dell’epopea del<br />

Conegliano Valdobbiadene Prosecco<br />

Docg, verso cui si è indirizzata anche<br />

un’altra cantina, parte dell’universo di<br />

gusto del Gruppo Hausbrandt, situata<br />

nel cuore della Denominazione, tra<br />

i comuni di Susegana e Pieve di Soligo:<br />

Col Sandago. La forte identità che lega<br />

l’azienda al terroir d’origine si esprime<br />

oggi in un vino, allo stesso tempo ancestrale<br />

e contemporaneo, che si rinnova<br />

nella tipologia. Un aggiornamento che<br />

trasforma Antico, Conegliano Valdobbiadene<br />

Prosecco Superiore Docg Brut<br />

Nature rifermentato in bottiglia, da frizzante<br />

“Col Fondo” a spumante “Col Fondo”.<br />

Cambio di volto, dunque, per questa<br />

etichetta Col Sandago figlia delle uve<br />

Glera in purezza provenienti dai vigneti<br />

situati nel comune di Susegana, dove<br />

il terreno argilloso con scheletro in arenaria<br />

conferisce delicata mineralità. Poi,<br />

un carattere forgiato in bottiglia, dove il<br />

vino rifermenta senza alcuna filtrazione<br />

né dégorgement, conservando all’interno<br />

il naturale deposito di lieviti. Fresco<br />

e vellutato, asciutto e piacevolmente<br />

amarognolo sul finale, di buona struttura<br />

e delicatamente minerale, si presenta<br />

nell’apparente semplicità di una bottiglia<br />

liscia e trasparente: con l’etichetta color<br />

tortora dai dettagli dorati a rimarcare<br />

l’ancestralità e la matericità del contenuto,<br />

prezioso per tradizione e storia.<br />

In una costante oscillazione tra tradizione<br />

e avanguardia, nel corso dei secoli si<br />

è plasmata sulle colline di Conegliano<br />

Valdobbiadene l’identità di Bisol1542,<br />

realtà dal 2014 parte del Gruppo Lunelli<br />

e brand che rappresenta uno tra i massifinale<br />

minerale e fruttato di ottima persistenza<br />

e armonia.<br />

Lo spirito di Graziano Merotto non<br />

risente del tempo che passa. E a dimostrarlo<br />

è un vino che rappresenta simbolicamente<br />

la summa della storia di<br />

quest’uomo e dei 50 anni di vita dedicata<br />

alla ricerca per ottenere il meglio dallo<br />

splendido territorio del Conegliano<br />

Valdobbiadene Prosecco Docg. Merotto<br />

è rimasto lo stesso visionario che negli<br />

anni ‘70 faceva sacrifici in funzione del<br />

suo sogno e della sua visione: quella di<br />

un artigiano sempre pronto a proporre<br />

al panorama enoico una bollicina nuova,<br />

inaspettata e anticonformista. Proprio<br />

come la Late Release <strong>2023</strong> dell’etichetta<br />

Cuvée del Fondatore Graziano Merotto,<br />

un Valdobbiadene Prosecco Docg Brut<br />

Millesimato Edizione 50esimo, affinata<br />

due anni in bottiglia. Un’etichetta<br />

emblematica già dalla sua genesi, perché<br />

festeggia un traguardo importante:<br />

mezzo secolo di sacrifici, di rivincite, di<br />

vita e di vino. A darle forma, le uve accuratamente<br />

selezionate dalle vigne più<br />

vecchie e radicate di Col San Martino.<br />

Poi, l’invecchiamento, a regalare un’ulteriore<br />

svolta, con i due anni in bottiglia<br />

sul tempo passato che lo hanno reso diverso,<br />

migliore, più strutturato, donandogli<br />

una natura diversa, più di spessore,<br />

robusta e consistente.<br />

A raccontare un’altra importante visione<br />

delle colline del Conegliano Valdobbiadene<br />

Prosecco Docg ci ha pensato Andreola,<br />

cantina di Farra di Soligo. Lo ha<br />

fatto con una nuova referenza: l’Etichetta<br />

del Fondatore Nazzareno Pola. “Questo<br />

spumante rappresenta la personale visione<br />

di mio padre, Nazzareno Pola, del<br />

massimo livello qualitativo che la nostra<br />

Denominazione è in grado di dare alle<br />

uve”, spiega Stefano Pola. “Nasce come<br />

ulteriore selezione di uno dei nostri vini<br />

più rappresentativi, ovvero il Dirupo, una<br />

cuvée le cui uve provengono da vigne site<br />

nel cuore della zona storica di produzione<br />

del Valdobbiadene che danno vita a frutti<br />

eccezionali. Tra queste, solamente una,<br />

quella che ha dato le uve migliori dell’anno<br />

in assoluto, è scelta per essere destinata<br />

all’Etichetta del Fondatore”. La prima<br />

annata è stata la 2022, una vendemmia<br />

caratterizzata da temperature sopra la<br />

media che hanno portato a identificare<br />

nelle uve di un vigneto situato nell’estremo<br />

est di Valdobbiadene, tra Guia e Combai,<br />

l’eccellenza indiscussa. “Vista l’annata<br />

particolarmente calda abbiamo scelto<br />

un appezzamento che, nella media di più<br />

anni, ha dato vita a vini particolarmente<br />

freddi, introversi e con un buon profilo<br />

acidico in grado di assorbire al meglio il<br />

residuo zuccherino che desideravamo”,<br />

sottolinea Mirco Balliana, enologo di<br />

Andreola. “Nell’etichetta del Fondatore<br />

2022 abbiamo lavorato per preservare il<br />

più possibile i precursori aromatici e per<br />

garantire l’equilibrio gustativo. Questo<br />

vino rappresenta per noi una delle massime<br />

espressioni di finezza ed intensità<br />

olfattiva, sprigionando aromi di fioriture<br />

primaverili e frutta fresca. In bocca il finale<br />

è asciutto e sapido”.<br />

Ha scelto la strada di un ritorno alle ori-<br />

DOSSIER


14<br />

DOSSIER<br />

mi riferimenti per il Prosecco Superiore<br />

a livello globale. Storicamente legato al<br />

territorio in cui è nato, oggi<br />

si è fatto portavoce della contemporaneità,<br />

ma sempre ricercando<br />

la distinzione. Non<br />

è un caso, d’altronde, che proprio<br />

come in passato l’azienda<br />

abbia creato, tra gli altri vini,<br />

il primo Brut nella storia,<br />

Crede, oggi Bisol1542 abbia<br />

dato forma al primo Prosecco<br />

Superiore Brut con il minor<br />

tasso alcolico della Denominazione,<br />

quello dedicato ai<br />

Gondolieri, etichetta capace<br />

di legare indissolubilmente le<br />

ripide vigne valdobbiadenesi<br />

e la Laguna. Bollicine che richiamano<br />

a un immaginario<br />

da sogno, ma al contempo di rottura in<br />

bottiglia. È, infatti, un Valdobbiadene<br />

Prosecco Superiore Docg Brut Millesimato<br />

che mira ad essere olfattivamente<br />

più ampio, quello dedicato da Bisol1542<br />

ai Gondolieri veneziani,<br />

edizione speciale di una partnership<br />

triennale. Più che un vino, un colpo<br />

di fulmine nel calice, proprio come<br />

Venezia dal vivo: etereo, tutto da<br />

mosto e zero zuccheri aggiunti, un<br />

vero inno alla convivialità. Un vino<br />

trasversale, elegante, sapido, pulito e<br />

diretto, capace di mettere d’accordo<br />

più generazioni con i suoi tratti divertenti<br />

e che al palato parla di una<br />

bollicina spensierata che fa della<br />

comprensibilità e dell’immediatezza<br />

i suoi punti di forza. I Gondolieri è un<br />

vino di consapevolezza, che si muove<br />

tra attenzione massima alla qualità<br />

della materia prima e conoscenza<br />

assoluta del territorio, e racconta alla<br />

perfezione la stilistica rinnovata di un<br />

protagonista assoluto delle colline trevigiane<br />

Patrimonio dell’Umanità Unesco.<br />

Da oltre 140 anni, Serena Wines 1881,<br />

azienda familiare di Conegliano, si colloca<br />

tra le più grandi e rappresentative<br />

realtà del territorio e della Denominazione.<br />

Oggi, dedicato al Conegliano<br />

Valdobbiadene Prosecco Docg è il suo<br />

progetto Ville D’Arfanta, orgoglio di una<br />

cultura agricola plurisecolare e massima<br />

espressione di spumanti di nicchia<br />

e dall’elevato profilo qualitativo. È una<br />

vera e propria storia d’amore, quella<br />

che lega l’azienda oggi guidata dalla<br />

quinta generazione di Luca Serena a<br />

una terra preziosa, madre di una tradizione<br />

ormai plurisecolare che nel<br />

mondo è diventata sinonimo di pura<br />

italianità. Una linea, quella di Ville<br />

D’Arfanta, che prende il nome dalle<br />

colline di Arfanta di Tarzo, dove da<br />

sempre si coltivano le uve Glera, e<br />

che vede oggi l’esordio di una novità<br />

destinata a chi ricerca una bevuta<br />

raffinata e più secca rispetto alle già<br />

consolidate versioni Brut o Extra<br />

Dry: il Ville D’Arfanta Conegliano<br />

Valdobbiadene Docg Extra Brut. Un<br />

Prosecco Superiore dal perlage fine<br />

e persistente con profumi fruttati e<br />

floreali. Per un sorso di classe, sapido<br />

e fresco, capace di donare un piace-<br />

Luca Serena<br />

vole tocco di complessità che s’intreccia<br />

in armonia al basso residuo zuccherino,<br />

adatto ad ogni social occasion.<br />

Con oltre 1000 ettari di vigneto gestiti<br />

da circa 600 soci viticoltori, la Cantina<br />

Produttori di Valdobbiadene è oggi<br />

una delle realtà più rappresentative delle<br />

colline Patrimonio dell’Umanità Unesco.<br />

Una storia corale, quella di un’impresa<br />

fondata nel 1952 e che nel corso dei<br />

decenni si è configurata come una vera<br />

e propria iniziativa sociale che risponde<br />

al bisogno di una comunità di persone.<br />

Una realtà cooperativa che, incamminandosi<br />

sulla strada di un modello virtuoso<br />

di business socialmente responsabile,<br />

ha saputo anticipare di oltre mezzo<br />

secolo tendenze oggi fortemente in atto,<br />

grazie a un DNA profondamente agricolo<br />

che si fonde al radicato spirito<br />

di comunità, riflesso di uomini e<br />

donne che vivono il territorio su cui<br />

insiste la Denominazione. In vigna,<br />

il reale patrimonio di Cantina Produttori<br />

di Valdobbiadene, questa<br />

visione risulta ancor più evidente.<br />

Tra gli ettari controllati attraverso<br />

i soci, a spiccare all’interno dei 700<br />

nel Conegliano Valdobbiadene Prosecco<br />

Docg sono i 14 in Cartizze e<br />

i 120 delle Rive. Qui, come previsto<br />

da disciplinare, a venire effettuata<br />

è la raccolta della Glera interamente a<br />

mano. Ma per regolamento della Cantina,<br />

la realtà cooperativa domanda a tutti<br />

i suoi associati di procedere alla stessa<br />

maniera sull’intera produzione di Conegliano<br />

Valdobbiadene Prosecco Docg,<br />

ma anche per il Prosecco Doc, inclusi i<br />

terreni che per conformazione morfologica<br />

consentirebbero la raccolta meccanica.<br />

Un’attenzione alla materia prima<br />

che trova ulteriore conferma dagli<br />

attestati che raccontano di un’evoluzione<br />

all’insegna della massima<br />

sostenibilità, per un cammino che<br />

ha visto tagliare il traguardo dello<br />

standard ministeriale Viva nel 2019,<br />

ottenere dalla vendemmia 2021 la<br />

certificazione Sqnpi di agricoltura<br />

integrata per tutti i 1000 ettari di<br />

vigneto, infine raggiungere a giugno<br />

2022 anche quella Equalitas. Dall’inizio<br />

degli anni ‘90, marchio esclusivo<br />

per il canale Horeca dei vini<br />

prodotti dalla Cantina Produttori di<br />

Valdobbiadene è Val D’Oca, brand<br />

fin dalle origini fortemente dirompente,<br />

tanto da essere il primo ad utilizzare, nel<br />

1998, una elegante bottiglia dalla particolare<br />

lavorazione satinata nera, scelta<br />

visionaria premiata e tuttora immagine<br />

icona, nonché inconfondibile segno di<br />

riconoscimento. Ma è nelle Rive che si<br />

gioca il futuro di questa realtà, che oggi<br />

già indirizza al mondo della ristorazione<br />

e delle enoteche tre etichette che delineano<br />

i racconti nel calice dei fianchi scoscesi<br />

di Colbertaldo, declinato in un’elegante<br />

versione Extra Dry, San Pietro<br />

di Barbozza, un classico Brut dalle note<br />

sapide che chiudono nella frutta fresca,<br />

e Santo Stefano, Extra Brut teso e al contempo<br />

vibrante. Tre eccellenze che ben<br />

testimoniano la grandezza di una Denominazione<br />

realmente Superiore.


15<br />

Una nuova etichetta per una nuova sfida. La stessa ambizione di sempre: stupire. Vinitaly <strong>2023</strong><br />

è stata l’occasione per accendere una nuova luce: quella di Fear No Dark Cabernet Sauvignon<br />

Igt 2020 Pasqua Vini. Un’altra scelta “non convenzionale”, che s’inserisce nel solco<br />

del progetto che più di altri ha sancito quel che è stato un vero e proprio cambio di rotta per la<br />

cantina veronese: il pioneristico Amarone Mai Dire Mai. Con il velo che si solleva oggi su una<br />

nuova Icon a colorare l’universo delle etichette ultra-premium Pasqua Vini figlie del vigneto<br />

di Montevegro. Un Cabernet Sauvignon, con giusto un tocco di Oseleta, rappresentazione<br />

dell’inesplorato: una singola parcella di 5,1 ettari, localizzata nel punto più appartato della<br />

proprietà, porzione di vigna con esposizione a nord-est, ombreggiata, fresca ed esposta ai venti<br />

provenienti dai monti Lessini, dove due grandi balze, sovrastate da una collina, determinano<br />

tempi di maturazione differenti tra le due tipologie di uve. Un nuovo sguardo uncoventional<br />

per una novità, che debutterà il 29 settembre prossimo, giorno di luna piena, destinata a far<br />

parlare di sé e della cui prima annata, la 2020, sono state prodotte 12mila bottiglie.<br />

COLLECTION VINITALY <strong>2023</strong>


16<br />

Fresco ed estivo, pronto al debutto proprio per l’inizio della bella stagione, in perfetto accordo con il significato sotteso del nome:<br />

è Calaonda Calabria Rosso Igt Librandi. Una nuova etichetta che, con Critone e Terre Lontane, completa la linea de “Gli<br />

Internazionali”, strizzando l’occhio ai giovani. Calaonda rimanda, infatti, a un rosso avvolgente di grande piacevolezza, ma allo<br />

stesso tempo ricco e dinamico nel bicchiere: una baraonda, alla maniera calabrese. Unione paritaria di Magliocco e Merlot da<br />

terreni calcareo e argilloso, è interpretazione moderna che ne esalta la dolcezza e la componente fruttata,<br />

dando vita a un vino morbido e dal tannino delicato. L’incontro perfettamente riuscito in terra<br />

calabrese tra il carattere delle uve autoctone e la piacevolezza dei vitigni internazionali.<br />

COLLECTION VINITALY <strong>2023</strong><br />

Da chi ha scritto la storia del vino piemontese, una nuova interpretazione che rende omaggio<br />

alle due uve più rappresentative di questa terra vocata. La particolarità dell’Alba Doc Pi Cìt<br />

2021 Marchesi di Barolo sta nella vinificazione di Nebbiolo e Barbera insieme, con la data della<br />

raccolta stabilita in modo da avere un perfetto equilibrio fra l’eleganza e la potenza del primo<br />

ed il frutto e la rotondità della seconda. Poi, la grandezza del suolo, con le marne di Sant’Agata<br />

tipiche, ricche di limo e sabbia, a donare un grande bilanciamento a questo matrimonio che<br />

s’aveva da fare. Per un vino, che dopo nove mesi di maturazione in legno, viene<br />

assemblato e prosegue la propria evoluzione in bottiglia per almeno sei<br />

mesi prima dell‘immissione sul mercato, dove la bocca è ampia,<br />

il tannino è setoso ed il finale è morbido ed avvolgente.


17<br />

Ancora una volta, Vinitaly è stata l’occasione<br />

per porre sotto le luci dei riflettori il carattere cosmopolita<br />

e innovatore di una tra le più storiche<br />

cantine di Valdobbiadene, che oggi guarda ad<br />

orizzonti che mirano ad indagare la vita oltre<br />

le bollicine delle colline Patrimonio dell’Umanità<br />

Unesco. Lo fa in maniera dirompente,<br />

spingendosi verso mondi ancora non pienamente<br />

esplorati. In linea con le più recenti tendenze del<br />

mercato internazionale, l’ultimo nato che arricchisce<br />

la Prestige Collection è Mionetto 0.0%<br />

Alcohol Free, il primo spumante analcolico della<br />

realtà nata nel 1887 nella culla del Prosecco. Un<br />

prodotto che, con la sua freschezza e leggerezza,<br />

combina il piacere di un calice in compagnia<br />

con la caratterizzazione unica di una bollicina<br />

senz’alcol e dal ridotto residuo zuccherino. In<br />

bocca a imporsi sono note citrine e di mela verde.<br />

Versatile negli abbinamenti, punta anche<br />

a conquistare la mixology per la creazione di<br />

cocktail e Spritz a basso contenuto alcolico.<br />

COLLECTION VINITALY <strong>2023</strong><br />

La scelta made in Italy capace di abbracciare universi<br />

che oggi appaiano a molti ancora distanti, ma in verità<br />

ben più prossimi di quanto si creda. E farlo, forti di un<br />

patrimonio unico che rimanda a oltre 200 anni di storia,<br />

all’interno di quello che è stata una più generale opera<br />

di restyling volta a rendere più inclusivo, accogliente ed<br />

accessibile un brand iconico della cultura vitivinicola<br />

italiana. In questa esplorazione del gusto aperta davvero<br />

a tutti s’inserisce la novità della Cuvée Zero Zonin, che<br />

ha debuttato in occasione di Vinitaly. Un prodotto alternativo<br />

che, grazie ad un’aromaticità simile a quella del<br />

vitigno Glera e zero alcol, mira a raggiungere una fascia<br />

sempre crescente di consumatori in giro per il mondo.<br />

La bellezza della quotidianità celebrata all’insegna di<br />

nuove modalità di brindisi che scommettono sulla condivisione<br />

dell’onomatopeico pop di una bottiglia.


18<br />

Da uno specialista del Barbaresco, un<br />

ritorno alle origini con una personale<br />

interpretazione, dopo aver dato voce<br />

a Langhe e Roero, della bollicina alla<br />

piemontese. Prende il nome di Ritorno in<br />

Alta Langa Docg Brut Spumante Metodo<br />

Classico Millesimato Cantina Piazzo la<br />

più recente tra le novità della realtà fondata<br />

oltre 50 anni fa dai coniugi Armando Piazzo<br />

e Gemma Veglia. Una tiratura molto limitata,<br />

70% uve Pinot Nero e 30% Chardonnay, che<br />

delineano la visione della terza generazione<br />

in cantina della Alte Bollicine Piemontesi.<br />

Un vino complesso ed elegante, che riposa<br />

per oltre 30 mesi in bottiglia, teso alla ricerca<br />

della propria peculiare personalità. Un<br />

emblema, proprio come il riferimento in<br />

etichetta dei buoi ed il carro carico d’uva<br />

simbolo dell’azienda vinicola di Alba, della<br />

volontà di non vedere svanire il legame<br />

con chi li ha preceduti di Simone e Marco<br />

Allario Piazzo, tornati a vinificare nelle<br />

zone natie del nonno, originario di San<br />

Bovo, il paese intitolato a Bovone,<br />

santo protettore del bestiame.<br />

COLLECTION VINITALY <strong>2023</strong><br />

Si chiama Puntay Peak Nat VSQ Brut<br />

2022 Erste+Neue il primo spumante, in<br />

un’edizione di sole 6mila bottiglie, ad<br />

aver fatto il proprio ingresso nella linea<br />

di punta dell’azienda di Caldaro. Con<br />

la scelta ricaduta su un Pinot Bianco<br />

in purezza, figlio dei vigneti più<br />

elevati ed estremi che si trovano<br />

sulla costa della Mendola, capace<br />

di dare origine a bolle di grande<br />

piacevolezza. Spirito alpino e<br />

raffinatezza dei profumi trovano<br />

sintesi in una bollicina che,<br />

dopo la presa di spuma, riposa<br />

per circa sei mesi. Al sorso, il<br />

mix di freschezza e sapidità,<br />

con una carbonica comunque<br />

molto fine, nonostante il breve<br />

tempo trascorso in bottiglia,<br />

conferiscono una beva<br />

coinvolgente e rinfrescante.


20<br />

DATA<br />

Photo: polina-kovaleva-pexels<br />

Tutti i numeri<br />

del vino italiano<br />

Un’analisi dei principali indicatori del 2022<br />

che traccia lo stato dell’arte di un comparto da record<br />

DI RICCARDO COLLETTI<br />

Il post Vinitaly è sempre un momento privilegiato<br />

per chi opera nel mondo del vino per poter trarre<br />

qualche bilancio e guardare in prospettiva a come il<br />

settore affronterà l’anno che entra nel vivo. Nel tourbillon<br />

di eventi e nuovi lanci, che vi abbiamo presentato<br />

nelle pagine precedenti, anche noi di <strong>WineCouture</strong><br />

abbiamo voluto tracciare una riga per capire qual è oggi lo<br />

stato dell’arte del comparto e cosa lo attende nei mesi che<br />

verranno. E per far questo, abbiamo deciso di rivolgerci ai<br />

numeri, che non sempre spiegano tutto, ma certo aiutano<br />

a definire il perimetro in cui quotidianamente i professionisti<br />

del vino agiscono. Partiamo, dunque, dalla più semplice<br />

tra le domande: quante vale oggi il vino italiano?<br />

L’inarrestabile ascesa del vino italiano<br />

I numeri dell’industria vinicola del Belpaese dicono che<br />

oggi il suo valore è pari a 31,3 miliardi di euro, impegnando<br />

530mila aziende con circa 870mila addetti. Un universo<br />

che si pone in cima alla speciale classifica relativa<br />

alla bilancia commerciale del made in Italy “tradizionale”,<br />

quello delle 4A (Abbigliamento, Alimentare, Arredamento,<br />

Automazione), ogni anno capace di generare circa<br />

200 miliardi di euro. Ma c’è di più. Andando ad indagare<br />

nelle pieghe delle statistiche, si scopre che il vino, con<br />

7,3 miliardi di euro di esportazioni nette, si è collocato nel<br />

2022 al primo posto per saldo commerciale, lasciandosi<br />

alle spalle altri campioni tricolori, sia del sistema moda sia<br />

della meccanica strumentale. Il dato più interessante, in<br />

tema, è però osservare da dove si è partiti e dove oggi si è<br />

giunti. Infatti, è una vera e propria scalata quella effettuata<br />

dal nettare di bacco: partito dalla quarta piazza del 2011,<br />

oggi le sue ultime performance gli hanno fatto compiere<br />

un sorpasso che mette i brividi a pensare quali sono stati i<br />

comparti icona del lifestyle made in Italy che si è lasciato<br />

alle spalle, ovvero gioielleria e bigiotteria (+6,8 miliardi di<br />

euro), pelletteria (+6,7 miliardi di euro) e abbigliamento<br />

(+6,4 miliardi di euro).<br />

I protagonisti della crescita<br />

È un mondo variopinto quello che definisce l’industria vinicola<br />

italiana. Con la filiera principale, quella che include<br />

coltivazione, produzione, vendita e distribuzione, che vale<br />

oggi 26,2 miliardi di euro, suddivisi tra i 16,4 afferenti alla<br />

parte produttiva e i 9,8 delle vendite, impiegando 836mila<br />

addetti in 526mila aziende. A completare il quadro, il<br />

mondo di tecnologie e macchinari per vigneto, cantina,<br />

controllo qualità e certificazioni, che vede operare 34mila<br />

professionisti, contando circa 1.850 aziende, per un fatturato<br />

di 5,1 miliardi di euro.<br />

Dove si beve in Italia e quanto vale l’export<br />

Nel Belpaese ci sono 29,4 milioni di consumatori di vino,<br />

un dato che equivale al 55% della popolazione, di cui il<br />

42% beve con frequenza quotidiana. Le vendite in Italia<br />

vedono il trittico Horeca, grossisti ed enoteche e wine bar<br />

rappresentare una quota del 58% sul totale, seguiti dalla<br />

Gdo, al 25%, e dal circa 18% degli acquisti diretti in cantina.<br />

Ma il tratto che distingue l’universo del vino italiano<br />

è la sua spiccata propensione all’internazionalizzazione:<br />

con 7,9 miliardi di euro di export nel 2022, le vendite estere<br />

hanno toccato negli scorsi 12 mesi il loro massimo storico,<br />

sfiorando il traguardo degli 8 miliardi di euro, generando<br />

oltre il 54% del fatturato di settore e confermando<br />

l’industria vinicola tra le punte di diamante del made in<br />

Italy agroalimentare. Una performance, quella dell’anno<br />

passato in giro per il mondo, che è riflesso anche in questo<br />

caso di una crescita inarrestabile cumulata nell’ultimo decennio<br />

e prossima all’80%. E senza il contributo del vino,<br />

che ha una propensione all’export doppia rispetto agli altri<br />

alimentari e bevande (54,5% contro 27,3%), l’avanzo<br />

commerciale dell’agroalimentare italiano sarebbe inferiore<br />

del 64%.<br />

Come sono andati i vini italiani nel mondo nel<br />

2022<br />

Mai così in alto l’export dell’Italia del vino, dunque. Con<br />

una corsa che prosegue sui mercati internazionali per la<br />

produzione enoica tricolore. Nella crescita fatta segnare<br />

dal made in Italy del vino intorno al mondo, in evidenza,<br />

in particolare, come il mercato abbia retto anche alle inevitabili<br />

quanto parziali variazioni dei listini, nonostante l’escalation<br />

dei costi di produzione abbia abbondantemente<br />

eroso i margini della filiera, in particolare per i prodotti<br />

entry level e popular fino a 6 euro al litro.


21<br />

Tra le tipologie, come rilevato dall’Osservatorio targato<br />

Unione Italiana Vini, Ismea e Vinitaly, è proseguito nel<br />

2022 il forte traino degli spumanti, volati a +19% in valore,<br />

con il Prosecco a +22%, e che hanno confermato la<br />

positività nei volumi (+6%, di cui +6% Prosecco e +9%<br />

Asti Spumante). A faticare sono stati gli scorsi 12 mesi i<br />

vini fermi imbottigliati (-3% volume), con i rossi in sofferenza<br />

che hanno chiuso a -4% volume e +4% valore, contro<br />

il +12% dei bianchi. In particolare, sui rossi, a risultare<br />

in contrazione sono stati i volumi nelle fasce di posizionamento<br />

più basse (sotto i 3 euro), mentre hanno tenuto<br />

molto bene e, anzi, sono risultati in buona crescita i vini<br />

premium, in particolare piemontesi (+9%), veneti (+4%)<br />

e toscani (+6%). I frizzanti hanno ceduto il 7% in volume<br />

nel 2022 ma guadagnato il 6% a valore.<br />

Un’analisi qualitativa sulle esportazioni dei rossi italiani,<br />

poi, ha visto emergere gli scorsi 12 mesi le categorie premium<br />

(da 6 a 9 euro/litro in cantina) e superpremium<br />

(oltre i 9 euro), che hanno conquistato quote di mercato<br />

molto importanti in questi ultimi 12 anni. Per esempio,<br />

stante il calo generale dei volumi di rosso esportati, nel<br />

2010 i prodotti sotto i 6 euro rappresentavano a valore i<br />

due terzi del mercato. Oggi, l’inversione di tendenza: gli<br />

over 6 euro hanno raggiunto il 60% delle vendite. In poco<br />

più di 10 anni la crescita del segmento di fascia alta – che<br />

vale ora 1,9 miliardi di euro di export – è stata del 200%.<br />

Photo: olga-lioncat-pexels<br />

Photo: zan-unsplash<br />

Il caso delle bollicine<br />

Chiude di nuovo in crescita e sfiora quota 1 miliardo di<br />

bottiglie (978 milioni, per la precisione) la produzione di<br />

spumanti italiani nel 2022. A rilevarlo sempre l’Osservatorio<br />

Uiv – Vinitaly, che ha elaborato i dati di imbottigliamento<br />

raccolti presso gli Organismi di certificazione. Il<br />

dato segna un leggero aumento (+4%) rispetto a uno strabordante<br />

2021 (+25%), con i comuni e varietali (+10%)<br />

ad aver fatto meglio degli sparkling Doc e Igp (+3%, 807<br />

milioni di bottiglie). A livello territoriale, l’85% dello spumante<br />

italiano Dop e Igp ha origini venete (683 milioni<br />

di bottiglie), poi Piemonte (9% e 72 milioni), Lombardia<br />

(3% e 24 milioni), Trentino (2% e 16 milioni) ed Emilia-Romagna<br />

(1% e 7,4 milioni). A livello di export, gli<br />

spumanti italiani confermano il loro ruolo trainante per il<br />

comparto. Nel 2022, infatti, l’Italia ha esportato 5,2 milioni<br />

di ettolitri di bollicine, in aumento del 6% rispetto al<br />

2021, di cui 3,7 milioni di Prosecco (+6%) e 461mila di<br />

Asti (+9%), per un controvalore complessivo di 2,2 miliardi<br />

di euro. Il Prosecco rimane la locomotiva dello spumeggiante<br />

export (+22% a valore, 1,6 miliardi di euro) ma<br />

cresce bene anche l’Asti Spumante, che vola a +16% e 168<br />

milioni di euro di vendite.<br />

Oggi le bollicine pesano per il 24% volume sul totale delle<br />

esportazioni di vino tricolore, quota che solo nel 2015 era<br />

del 14%, e addirittura del 7% nel 2010. Con gli spumanti a<br />

rappresentare ora il primo prodotto export in piazze chiave<br />

come Uk (44% di quota contro il 9% del 2010), Francia<br />

(49% contro 12%), Russia (44%), Belgio (39% contro<br />

17% di 12 anni prima), Austria (33%). Negli Usa, primo<br />

mercato a valore, le bollicine, con una quota di mercato<br />

del 33%, sono dietro solo ai bianchi (36%) ma davanti ai<br />

rossi (24%): sette anni fa, stavano al 17% contro 45% dei<br />

primi e 30% dei secondi.<br />

Quanto vale il vigneto Italia?<br />

Il vigneto Italia vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo<br />

a ettaro di 84mila euro, quattro volte più della media<br />

delle superfici agricole. I dati sono ancora dell’Osservatorio<br />

Uiv – Vinitaly a fronte di una ricognizione sui valori dei<br />

674mila ettari che da Nord a Sud della Penisola generano<br />

un’economia da oltre 30 miliardi di euro l’anno e rappresentano<br />

al contempo uno degli investimenti più redditizi<br />

in assoluto sul piano fondiario. Con il mercato che risponde<br />

con un boom di transazioni, dettate in particolare da<br />

fondi e family office interessate soprattutto alle regioni a<br />

maggior vocazione enologica e di conseguenza a maggior<br />

tasso valoriale, come Alto Adige, Trentino, Veneto, Toscana<br />

e Piemonte. Le quotazioni massime più alte tra i filari<br />

italiani – a volte sopra il milione di euro per ettaro – si riscontrano<br />

oggi in provincia di Bolzano, nella zona di Barolo<br />

e Barbaresco, sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene<br />

e a Montalcino. Si parte dai 300 – 500mila euro a ettaro<br />

per la zona di produzione del Trento Doc, la Valpolicella,<br />

Bolgheri e la Franciacorta. Stime di poco inferiori, poi, per<br />

le aree del Prosecco Doc, del Lugana, del Chianti Classico<br />

e di Montepulciano. Ma negli ultimi 15 anni, secondo le<br />

rilevazioni elaborate dal Crea, è la grande maggioranza delle<br />

Denominazioni ad aver incrementato le proprie punte<br />

di valore: che siano Montalcino (+63%) o Valdobbiadene<br />

(+16%), gli areali nel bolzanino come Caldaro (+75%) o<br />

Canelli nell’astigiano (+58%) fino al Collio (+50%), all’Etna<br />

(+57%) e ai filari montani della Valle d’Aosta (+114%).<br />

Orizzonte <strong>2023</strong>: le previsioni Mediobanca dopo<br />

12 mesi da record<br />

Secondo la recente tradizionale indagine firmata dall’Area<br />

Studi Mediobanca, i maggiori produttori di vino in Italia<br />

si attendono per il <strong>2023</strong> una crescita delle vendite complessive<br />

del +3,3%, con l’export in sviluppo del +3,1%.<br />

A spingere le vendite l’ottimismo delle bollicine (+5,2%<br />

i ricavi complessivi, +4,2% l’export), mentre i vini fermi<br />

sono attesi a un più cauto +2,8% (+2,9% l’export). Numeri,<br />

quelli stimati per il <strong>2023</strong>, che seguono un 2022 chiuso<br />

dai maggiori produttori italiani di vino con un aumento<br />

del fatturato del 10% (+10,5% il mercato interno, +9,5%<br />

l’estero). L’Ebit margin, invece, ha riportato un calo del<br />

7,6% sul 2021, il rapporto tra il risultato netto e il fatturato<br />

dell’8,7%. Tra le tipologie di prodotto, secondo l’analisi<br />

Mediobanca, i vini frizzanti (+16,9%) hanno accelerato<br />

più dei fermi (+8,2%), mentre sul fronte export prevalgono<br />

i mercati di prossimità (Paesi Ue) con il 37,1%<br />

delle vendite, ma si riduce la distanza con il Nord America<br />

(34,6%) ed è da segnalare la crescita importante<br />

(+26,9%) per l’America centro-meridionale. Nel 2022, il<br />

ritorno alle normali abitudini di consumo e la ripresa del<br />

flusso turistico hanno poi favorito il giro d’affari nel canale<br />

Horeca (+19,9%), che passa dal 16,6% del mercato nel<br />

2021 al 18,1% degli scorsi 12 mesi, a svantaggio della Gdo<br />

(+3,3% a valore) in calo dal 37,7% al 36%. L’attenzione<br />

alla sostenibilità spinge le vendite 2022 del bio (+9,6% sul<br />

2021), che però rimangono confinate a una quota complessiva<br />

del 4,3% sul totale.<br />

Territori del vino: le migliori performance<br />

Dall’analisi dei conti aziendali effettuata dall’Area Studi<br />

Mediobanca a emergere sono anche le specificità regionali.<br />

Nel 2021 il miglior Roi tocca alle aziende piemontesi<br />

(8,9%), alle toscane il più alto Ebit margin (15,7%).<br />

In Toscana anche la maggiore solidità finanziaria, con<br />

i debiti finanziari pari ad appena il 22,1% del capitale<br />

investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi<br />

(68,9% del fatturato), mentre brilla la Lombardia (Ebit<br />

margin 2021 all’8,5%) con vendite 2021 in aumento<br />

del 18,6% trainate dalle bollicine (+29,9%) che rappresentano<br />

la metà del fatturato complessivo. Nel 2022<br />

gli spumanti spingono la crescita delle imprese venete<br />

(+13,4%). Performance superiori alla media nazionale<br />

anche per Puglia (+21,1% sul 2021) e Sicilia (+14,9%).<br />

Ottimismo, infine, per le prospettive <strong>2023</strong> da Friuli-Venezia<br />

Giulia (+9,9% sul 2022), Lombardia (+6,7%), Piemonte<br />

(+6,1%) e Sicilia (+5,6%).<br />

DATA


22<br />

Q<br />

uella del vino alcol free non è più una novità nel settore<br />

delle bevande. La sua rapida, se non rapidissima ascesa,<br />

è certamente dovuta alle nuove tendenze di sostenibilità<br />

ed healthy life che trovano sempre più spazio.<br />

Un segmento che ha saputo creare una rivoluzione, sia<br />

in termini di qualità sia di varietà di prodotti. Non più<br />

soltanto succhi di frutta e bibite per gli astemi o per<br />

coloro che, per varie ragioni di salute, sport o fede, non<br />

possono consumare alcol, ora disponibili troviamo<br />

una moltitudine di bevande sviluppate e progettate<br />

con la stessa cura di un prodotto alcolico. E il vino non<br />

fa certo eccezione.<br />

Ambasciatori di uno stile di vita più sano e di un consumo<br />

più responsabile, i vini analcolici si stanno ormai<br />

ritagliando un posto d’elezione in enoteche e rivenditori<br />

specializzati: ma questo non basta per fare breccia<br />

nei cuori di tutti coloro che questo settore lo muovono<br />

e lo vivono nel quotidiano.<br />

Sono molti, infatti, i dubbi e le perplessità che nel nostro<br />

paese, eccellenza mondiale nella produzione vini-<br />

cola, hanno fatto ritardare gli investimenti e la produzione<br />

del vino alcol free. Un ritardo che, invece, non<br />

ha toccato paesi come Francia, Germania, Danimarca,<br />

Olanda e Spagna, che da anni hanno abbracciato le<br />

produzioni senza alcol, scommettendoci. Se dunque il<br />

successo dei vini dealcolati già da tempo è visibile sui<br />

mercati esteri, a dare una spiegazione su quella che è<br />

la recente ma non ancora consolidata crescita di questi<br />

prodotti nel Bel Paese è certamente il dubbio che<br />

affligge molti produttori e professionisti di settore.<br />

Queste bevande possono essere effettivamente definite<br />

vino? E in quel caso, il possibile danno che questa<br />

opzione di consumo possa dare al prodotto enologico<br />

come tutti lo conosciamo è reale? Tante idee e pensieri<br />

sul vino alcol free ci giungono dagli operatori della<br />

ristorazione, della vendita al dettaglio e della distribuzione,<br />

approcci che aiutano sicuramente a delineare il<br />

movimento di questa nuova frontiera.<br />

Vino dealcolato: di cosa parliamo<br />

Prima però di entrare nel merito, resta fondamentale<br />

definire che cosa sia e come venga prodotto il vino dealcolato.<br />

A darci un importante definizione su quella che è la<br />

sua produzione, è una figura che non solo ci crede profondamente<br />

in questo vino, ma ne ha fatto una professione<br />

e un’attività. Parliamo di uno dei soci fondatori<br />

di My Alcol Zero, Luca Sonn.<br />

My Alcol Zero è un’azienda che dal 2019 commercializza<br />

e promuove vini alcol free italiani con l’intento di<br />

offrire un punto di riferimento per chiunque desideri<br />

avvicinarsi e conoscere questi nuovi prodotti. Infatti,<br />

come lo stesso Luca Sonn ci racconta: “I principi su cui<br />

l’azienda si basa sono: la promozione e commercializzazione<br />

di solo materia prime prodotte e lavorate interamente<br />

in Italia, prodotti che non debbano contenere<br />

aromi e conservanti e cercare di offrire referenze che<br />

siano il più sane possibili. Inoltre, vogliamo contribuire<br />

a portare quel tocco di italianità in una bevanda<br />

che tende ad includere più che a dividere. Grazie all’assenza<br />

di alcol, tutti e ovunque possono brindare senza<br />

esclusioni di età, religione o stile di vita”. Seguendo le<br />

parole di Luca Sonn è quindi possibile salvaguardare la<br />

tipicità del vino italiano in quanto questi prodotti rappresentano<br />

un’alternativa e non una sostituzione. Resta<br />

però da chiedersi come si producono. A rispondere<br />

è proprio Sonn, che spiega: “Il vino dealcolato nasce da<br />

un vino normalmente vinificato sottoposto ad un processo<br />

di dealcolazione parziale o totale. Questa avviene<br />

solitamente tramite osmosi, grazie a membrane con<br />

le quali si separa l’alcol dal vino, oppure per distillazione<br />

a freddo sottovuoto, grazie all’evaporazione dell’alcol.<br />

Noi, ci troviamo più in sintonia con il metodo a<br />

osmosi, poiché riesce a preservare totalmente l’acqua<br />

vegetale presente nel vino di partenza, rispetto al metodo<br />

per distillazione a freddo, che, facendo evaporare<br />

DI IRENE FORNI<br />

TRADE<br />

Vino dealcolato:<br />

quali opportunità?<br />

Tra dubbi e incertezze su come definirli,<br />

i prodotti no alcol possono essere una via d’inclusione<br />

Photo: cottonbro-studio-pexels


23<br />

l’alcol, porta a una conseguente evaporazione di parti<br />

di acqua vegetale, determinando così la necessità di<br />

reintegrarla, spesso con acqua estranea al processo di<br />

vinificazione”.<br />

Luca Sonn<br />

Carlo Alberto<br />

Sagna<br />

Alessandro, Claudia e Nicola Sarzi Amadè<br />

L’approccio della distribuzione<br />

Come visto, c’è quindi una salvaguardia del prodotto<br />

di base e una modifica su quella che è la sua risultanza<br />

finale, che sicuramente fa apprezzare il processo produttivo<br />

dietro a queste bevande. Ma quando si parla<br />

d’integrare questi prodotti nel commercio del vino<br />

classico, come ci si può comportare e qual è l’approccio?<br />

Per rispondere a questa domanda abbiamo coinvolto<br />

due imprenditori leader nel mondo della distribuzione<br />

come Alessandro Sarzi Amadè, titolare della Sarzi<br />

Amadè, e Carlo Alberto Sagna, quarta generazione<br />

dell’omonima azienda<br />

fondata nel 1928 dal Barone<br />

Amerigo Sagna.<br />

“Sui vini dealcolati ho<br />

un’opinione fortemente<br />

condizionata dal mio<br />

retaggio culturale. Ammetto<br />

anche di non aver<br />

ancora avuto l’occasione<br />

– o forse ho volutamente<br />

evitato di farlo – di<br />

degustare un vino senza<br />

alcol”, sottolinea Sarzi<br />

Amadè.<br />

“Dovrei forse scindere<br />

l’aspetto commerciale da<br />

quello puramente personale,<br />

per riuscire a dare<br />

un giudizio sulle potenzialità<br />

di una bevanda<br />

che non possiamo nemmeno<br />

più considerare<br />

una novità. L’alcol dà un<br />

apporto di calorie importante,<br />

non per niente<br />

i nostri nonni lo consideravano<br />

un alimento più<br />

che una bevanda, ed in<br />

una società che ci vuole sempre più in forma ed in salute,<br />

offrire ai consumatori un prodotto con un minore<br />

apporto calorico potrebbe avere successo. Non posso<br />

non citare le recenti disposizioni emanate dall’Irlanda<br />

con le quali sarà obbligatorio apporre etichette sulle<br />

bottiglie di vino che avvertono di quanto l’alcol possa<br />

essere dannoso per la salute. Sono poi seguite a ruota<br />

le affermazioni della ricercatrice Antonella Viola con<br />

le quali prende una fortissima posizione contro il vino,<br />

denunciandone il rischio di tumori e danni al cervello<br />

causati anche da un consumo limitato. Tutto questo<br />

andrà sicuramente ad influenzare una buona fetta<br />

di consumatori che potrebbero rivolgersi a questo<br />

prodotto, creando un nuovo trend di mercato. Le mie<br />

selezioni sono fortemente influenzate dal mio gusto,<br />

non credo che al momento inserirò un vino dealcolato<br />

a catalogo. Ma se in futuro non se ne potrà fare a meno<br />

valuterò come comportarmi”.<br />

Una visione meno personale ma di contesto è, invece,<br />

quella che arriva da Carlo Alberto Sagna.<br />

“Basse gradazioni alcoliche e meno zuccheri in favore<br />

di vini sempre più freschi, focalizzati sul frutto e sulla<br />

bevibilità ma non per questo privi di complessità o<br />

aderenza al territorio d’origine: questo è quello che il<br />

mercato chiede da qualche anno. Un trend cui assistiamo<br />

anche nel mondo dei cocktail bar”, spiega.<br />

“Jean-Baptiste Lécaillon, chef de caves della Maison<br />

Louis Roederer, ha intercettato questa domanda oltre<br />

15 anni fa, difatti abbiamo assistito ad una graduale riduzione<br />

dei dosaggi e dei legni negli Champagne, alla<br />

nascita dei Brut Nature ed a una ricerca sempre più definita<br />

della tensione. Sul fronte Mixology, invece, Neri<br />

Fantechi di Mad Spirits ha messo a punto una linea di<br />

liquori a bassa gradazione<br />

alcolica e zucchero,<br />

a base di sola<br />

frutta fresca che mette<br />

al centro proprio i<br />

gusti degli ingredienti<br />

rispetto ad alcol e<br />

percezione del dolce.<br />

Stessa cosa per l’azienda<br />

Antica Torino,<br />

che con il suo Vino<br />

Chinato propone un<br />

sorso dalla concentrazione<br />

di zucchero<br />

pari alla metà circa<br />

rispetto ai prodotti<br />

in commercio della<br />

stessa categoria”.<br />

Sagna poi aggiunge:<br />

“Rispetto al contesto<br />

che ci vede coinvolti<br />

la presenza dei<br />

vini dealcolati non<br />

erode gli attuali target<br />

ma si può dire<br />

che abbiano creano<br />

una certa spaccatura,<br />

se all’estero si<br />

stanno affermando<br />

rapidamente, in Italia<br />

ci sono criticità culturali prima che normative. In<br />

Europa i vini dealcolati sono previsti dal regolamento<br />

2117/2021 e ci si sta adoperando per esplicare le pratiche<br />

enologiche autorizzate per produrli così come<br />

nel definire le diciture in etichetta; nel nostro paese,<br />

invece, il Testo unico del vino (Legge 238/2016) non<br />

prevede il vino senza alcol. Sebbene questa tipologia<br />

di prodotti non sia all’interno della nostra offerta al<br />

momento reputiamo che il loro consumo porterebbe<br />

nuovi consumatori ad essere ugualmente coinvolti<br />

nell’indotto del vino: dalla cultura, ai paesaggi e alla<br />

storia. E, in egual modo, il consumo di vini dealcolati<br />

potrebbe anticipare la fase esplorativa di scoperta del<br />

prodotto, un cuscinetto tra il non bere e avvicinarsi al<br />

mondo del vino”.<br />

Zero alcol, sì o no?<br />

Parola alle enoteche<br />

Se da una parte, quindi,<br />

risulta evidente<br />

che il problema di approccio<br />

dell’Italia a<br />

questi nuovi prodotti<br />

sia prettamente un<br />

problema culturale,<br />

dall’altra, invece, è<br />

proprio il movimento<br />

dei vini No-Lo<br />

(acronimo di No o<br />

Low Alcol, ndr) a rappresentare<br />

una leva,<br />

andando ad ampliare<br />

quello che è il portfolio<br />

prodotto non solo<br />

delle singole aziende<br />

ma del settore intero.<br />

Ma se stiamo, piano piano, abbracciando queste nuove<br />

produzioni ed esigenze del mercato, allora che cosa<br />

spaventa?<br />

Interessanti risultano le diverse dichiarazioni e punti<br />

di vista di tre enotecari come Filippo Carraretto, giovane<br />

rappresentante della storica enoteca La Mia Cantina<br />

di Padova, Giuliano Rossi, titolare dell’enoteca La<br />

TRADE


24<br />

TRADE<br />

Giuliano Rossi<br />

Walter Meccia<br />

Filippo Carraretto<br />

Luca Sarais<br />

Fiaschetta di Roma, e di Luca Sarais di Cantine Isola<br />

a Milano.<br />

Filippo Carraretto, terza generazione della storica<br />

enoteca di Padova, sul vino dealcolato<br />

ha idee ben chiare e afferma:<br />

“Da consumatore di vino con la V<br />

maiuscola, onestamente non mi<br />

sento attratto da questa novità del<br />

settore. Credo inoltre che sia inesatto<br />

che un vino che subisce tale processo,<br />

possa essere chiamato vino.<br />

Penso sia sbagliato ma soprattutto,<br />

temo possa creare confusione nel<br />

consumatore”.<br />

L’enotecario padovano, poi, aggiunge:<br />

“In tutta onestà non penso che sarà<br />

presente nel nostro assortimento,<br />

dopo tutto siamo solo all’inizio e<br />

prima che un prodotto si affermi e<br />

consolidi un po’ di tempo è necessario”.<br />

Di altro avviso, invece, è Giuliano<br />

Rossi dell’enoteca La Fiaschetta, il quale dichiara:<br />

“Penso sia una tendenza giusta e che aspettava solo<br />

di manifestarsi e consolidarsi nel tempo. So che molti<br />

vedono questo movimento come un qualcosa di momentaneo<br />

e quasi offensivo al mondo del vino, ma da<br />

imprenditore rinunciare a questa tipologia di prodotto<br />

significherebbe non considerare una forte opportunità<br />

di mercato che già conquista molti territori, specialmente<br />

all’estero. Inoltre, chiunque conosca il mercato<br />

sa che per affermarsi<br />

un’offerta deve rispondere<br />

ad un bisogno, e quello<br />

del vino dealcolato per<br />

molti culti, religioni, stili<br />

di vita o ragioni varie è<br />

certamente un bisogno<br />

che molti consumatori<br />

iniziano a manifestare e<br />

voler trovare quando siedono<br />

ai tavoli anche dei<br />

locali più blasonati”.<br />

Dal bancone milanese di<br />

Cantine Isola, Luca Sarais<br />

va invece più nello<br />

specifico quando si parla<br />

di vino senza alcol, dichiarando:<br />

“Credo onestamente che<br />

sarà un fenomeno che<br />

si affermerà ma rimarrà<br />

legato ad una fetta specifica<br />

di mercato. Non sarà<br />

una tendenza e un cambio<br />

produttivo che verrà<br />

fatto da piccoli produttori,<br />

ma solo da importanti<br />

aziende con produzioni<br />

più grandi. A livello di consumo credo che possa essere<br />

una curiosità da provare per gli appassionati ma<br />

che non diventerà un personale stile di beva. Se poi<br />

mi soffermo su quella che è la nostra offerta a Cantine<br />

Isola, non è escluso che sia presente nel nostro assortimento<br />

con qualche etichetta. Dopo tutto, se il settore<br />

abbraccerà anche questa tendenza, sarà assurdo non<br />

farci coinvolgere mantenendo comunque la nostra<br />

identità”.<br />

Spunti di profondo interesse e che generano a loro volta<br />

altre riflessioni su opportunità, apertura e definizione<br />

nella dicitura. L’importanza di riportare un determinato<br />

nome in etichetta resta di fatto fondamentale, in<br />

quanto si parla di un fortissimo veicolo comunicativo<br />

e informativo ma anche legislativo e di tutela del prodotto<br />

stesso. Un problema, come giustamente spiega<br />

Carraretto, effettivo e tangibile, non solo per la salvaguardia<br />

del vino ma anche per la comunicazione del<br />

vino no alcol e di quello che rappresenta. Un po’, se vogliamo,<br />

come il grande dubbio e confusione che ancora<br />

oggi molti consumatori hanno nei confronti dei solfiti,<br />

la cui presenza o meno all’interno del vino rappresenta<br />

ancora un dibattito poco chiaro e poco definito quando<br />

si tratta di rivolgersi ad un consumatore meno preparato<br />

ma comunque col diritto di essere informato.<br />

Il futuro del vino è (anche) alcol free?<br />

Dalla produzione alla distribuzione, passando per l’enoteca,<br />

fino ad arrivare alla ristorazione: come per il<br />

vino tradizionale, quest’ultimo sbocco rappresenta,<br />

insieme all’intero<br />

universo Horeca, il<br />

trampolino di lancio<br />

e conoscenza per<br />

ogni tipo di bevanda.<br />

È la porta che sancisce<br />

il passaggio fra la<br />

domanda e l’offerta e<br />

che quotidianamente<br />

è a contatto con il<br />

consumatore, con le<br />

sue esigenze e necessità.<br />

Ecco che, per chiudere<br />

il cerchio di un<br />

viaggio di pensieri e<br />

considerazioni attorno<br />

al mondo alcohol<br />

free, abbiamo chiesto<br />

l’idea sul tema<br />

dell’Head Sommelier<br />

del ristorante Il<br />

Palagio, una stella<br />

Michelin a Firenze,<br />

Walter Meccia, il<br />

quale conclude:<br />

“Dovremmo abituarci<br />

a dare un’offerta alcohol free, sia che si tratti di<br />

vino o di altre bevande. Sempre più persone, influenzate<br />

anche dalla costante comunicazione dei media,<br />

iniziano ad approcciarsi a questo mondo e credo che<br />

molte aziende vinicole dovrebbero iniziare a diversificare<br />

seriamente la propria produzione, per poter avvicinare<br />

e abbracciare anche questa fetta di mercato e<br />

di consumatori sempre più in crescita. Inoltre, dalla<br />

mia esperienza personale, il<br />

servizio di bevande zero alcol<br />

ha sempre ricevuto molta<br />

attenzione da parte nostra,<br />

perché come hotel la nostra<br />

clientela è varia e spesso per<br />

motivi religiosi non si avvicina<br />

alle bevande alcoliche.<br />

A Il Palagio Firenze siamo<br />

dunque preparati a questo<br />

e lavoriamo con frequenza<br />

con bevande a base di vino,<br />

a base di tè, oppure succhi di<br />

frutta che vengono creati con<br />

la stessa attenzione del vino”.<br />

Un mercato, in definitiva,<br />

quello del vino dealcolato,<br />

che funziona, piace e necessita<br />

solo di un piccolo passo<br />

di apertura e informazione<br />

maggiore.<br />

Un nuovo segmento che promette<br />

di arricchire e diversificare<br />

il settore e che, anche<br />

attraverso il calice, genera<br />

inclusione.<br />

Una bevanda alla quale trovare un nome? Forse. Ma<br />

non una diversa interpretazione della qualità.


25<br />

Chi è il “Miglior Enotecario<br />

d’Italia” <strong>2023</strong><br />

Catania, Teramo e Pavia sugli scudi alla seconda edizione di successo<br />

del Concorso organizzato da Aepi<br />

PROTAGONISTI<br />

DI ROBERTA RANCATI<br />

Buona anche la seconda. Con il contest<br />

dedicato a premiare il “Miglior Enotecario<br />

d’Italia” che concede il bis dopo il<br />

successo della grande “prima” di 12 mesi<br />

fa. Una vera e propria competizione, che<br />

ha visto il suo epilogo con la cerimonia d’investitura<br />

nella magnifica cornice romana del Borgo Pallavicini<br />

Mori il 29 maggio, che anche quest’anno ha voluto<br />

puntare i riflettori sulla figura e la professionalità di<br />

chi ogni giorno si fa depositario e ambasciatore della<br />

cultura del vino. “Sono molto soddisfatto per questa<br />

seconda edizione”, sottolinea Francesco Bonfio, presidente<br />

dell’Associazione Enotecari Professionisti Italiani.<br />

“La categoria degli enotecari ha dimostrato di<br />

essere vivacissima, pronta a nuove sfide, consapevole<br />

delle proprie capacità. Complimenti a chi ha vinto: è<br />

un concorso e un candidato vince. È una legge di vita.<br />

Ma i tre finalisti per ciascuna categoria erano tutti eccellenti<br />

professionisti che hanno illustrato alla Giuria<br />

cosa significa fare l’enotecario. E a me piace pensare<br />

che il vincitore sia un primus inter pares che è svettato<br />

con il guizzo vincente”. Sul podio, a conclusione di<br />

un cammino di prove promosso con la collaborazione<br />

di Vinarius, Associazione Enoteche Italiane, e con il<br />

patrocinio del Masaf, a essere premiate sono state<br />

quest’anno le province di Catania, Teramo e Pavia.<br />

Per la categoria bottiglierie, infatti, a prevalere è stata<br />

Loredana Santagati di Misterbianco (Catania, Enoteca<br />

MisterCoffee), mentre per la categoria enoteca con<br />

mescita, il riconoscimento è spettato a Silvia Angelozzi<br />

di Alba Adriatica (Teramo, Bellariva Enoteca Bistrot).<br />

“Santagati si è distinta per la profonda conoscenza<br />

dei meccanismi di funzionamento dell’attività, per la<br />

maturità nel governo delle fasi gestionali, per l’appassionata<br />

adesione alle prove pratiche”, ha sottolineato<br />

la giuria di esperti capeggiata dal giornalista Stefano<br />

Caffarri e composta da Chiara Giovoni, Leila Salimbeni,<br />

Cristian Deflorian e Giuseppe Vaccarini. “Silvia<br />

Angelozzi ha dimostrato una coinvolgente capacità di<br />

gestire le situazioni critiche con atteggiamento di soluzione<br />

dei problemi, per la intensa indagine dei prodotti<br />

e la loro proposizione di vendita”. Poi, i premi speciali,<br />

con Matteo Bertelà di Vigevano (Pavia), titolare<br />

di Metodo Froma Bottega, ad aggiudicarsi il titolo di<br />

“Miglior Enotecario Under 30”, mentre da oltreconfine<br />

giunge una conferma, con Daniele Leopardi dell’Enoteca<br />

Tentazioni, situata a Montmartre a Parigi, che<br />

ha difeso la corona come “Miglior Enotecario all’Estero”,<br />

che già si era aggiudicato nel 2022.<br />

Quella dell’enotecario è una figura che si è molto evoluta<br />

nel corso del tempo e che mai come oggi si dimostra<br />

strategica nella promozione e nella salvaguardia<br />

del vino di qualità. Ad evidenziarlo anche le parole<br />

giunte tramite videomessaggio in occasione della serata<br />

di premiazione dal ministro dell’Agricoltura, della<br />

Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollo-<br />

brigida, che nel confermare la posizione “anti-etichetta”<br />

proposta dall’Irlanda dell’Esecutivo – poi ribadita,<br />

nel corso della serata, anche dall’onorevole Mirco Carloni,<br />

presidente della Commissione Agricoltura alla<br />

Camera – ha sottolineato il ruolo cruciale che vede<br />

impegnati i professionisti delle enoteche di tutta Italia<br />

nella divulgazione del grande valore identitario della<br />

produzione vitivinicola tricolore. E il mondo del vino<br />

italiano non ha mancato, neanche in questo secondo<br />

appuntamento del Concorso, di fare sentire il proprio<br />

sostegno, grazie al diretto supporto all’iniziativa arrivato<br />

da Consorzio Vini Doc delle Venezie, Consorzio<br />

di Tutela Vini del Trentino, Consorzio Vino Toscana,<br />

Consorzio di Tutela Vini Doc Cirò e Melissa, Consorzio<br />

Vino Chianti Classico, Consorzio Tutela Vini<br />

Friuli Colli Orientali Ramandolo e Consorzio Tutela<br />

Vini Collio. Partner del contest, confermando l’impegno<br />

del 2022, anche il Comité de Champagne, che ha<br />

permesso ai finalisti di vivere un’esclusiva full-immersion<br />

formativa di quattro giorni, dal 14 al 17 maggio<br />

scorsi, in preparazione all’ultimo atto della competizione,<br />

a Epernay. Insieme alle due vincitrici e al premiato<br />

Under 30, l’edizione <strong>2023</strong> ha visto giungere in<br />

finale Andrea Lauducci di Ferrara (Botrytis Enoteca),<br />

Luca Civerchia di Jesi (Rosso Intenso Enoteca Ristorante<br />

Degusteria) e Daniele Liurni di Roma (Enoteca<br />

Krasì). Per tutti loro, in alto i calici e un brindisi ai primi<br />

ambasciatori del vino.


26<br />

ama lo Champagne. Se già non si era compreso, ora l’ufficialità è giun-<br />

dalla performance record fatta segnare nel Belpaese gli scorsi 12 mesi dalla<br />

bollicina più amata e conosciuta al mondo. I segnali, d’altronde, c’erano tutti.<br />

Dopo l’impennata delle vendite 2021, ci si attendeva un altro anno a tutto gas,<br />

L'Italia<br />

come testimoniato anche dalle diverse rotture di stock registrate per tante etichette<br />

di Champagne già a inizio agosto 2022, e i numeri hanno confermato che oggi, per<br />

la più spumeggiante tra le eccellenze del vino francese, l’Italia è diventato un riferimento<br />

imprescindibile. Tanto importante da aver spinto gli stessi vertici del Comité Champagne,<br />

l’ente che rappresenta le Maison e i Vigneron della regione, a fare tappa a Milano al gran<br />

completo per dare le cifre di un exploit che rappresenta un punto di partenza, non certo<br />

d’arrivo. Esperto, curioso e orientato alle cuvée di alta gamma: questo il profilo del consumatore<br />

italiano di Champagne ad emergere dai dati sulle spedizioni del 2022. Un anno, lo<br />

scorso, che per l’Italia ha fatto registrare un doppio record storico: a volume, raggiungendo<br />

i 10,6 milioni di bottiglie (+11,5%), e a valore, con il giro d’affari ad essersi attestato a<br />

247,9 milioni di euro (valore franco cantina e tasse escluse) in crescita del 19,1%. Cifre che<br />

hanno portato l’Italia al quarto posto nella classifica dell’export di Champagne a valore, a<br />

fronte del sorpasso della Germania. Un elemento significativo, quest’ultimo, soprattutto se<br />

rapportato a volumi che vedono il Belpaese in quinta piazza dietro i tedeschi, a ribadire che<br />

non sono cuvée qualunque quelle che i consumatori italiani prediligono.<br />

Già, perché gli appassionati in Italia si confermano grandi conoscitori di Champagne, muovendosi<br />

all’interno della profondità di gamma offerta. Millesimati, Dosaggi zero, Cuvée de<br />

Prestige e Rosé hanno rappresentato nel 2022 più di un terzo delle bottiglie giunte nel nostro<br />

Paese, con la restante fetta del mercato rappresentato dal 63,4% dei Brut Sans Année,<br />

per una performance da vertice in queste categorie superiori. Da segnalare, in particolare,<br />

la crescita degli Champagne a basso dosaggio, che costituiscono oggi il 5,1% a valore delle<br />

importazioni e confermano l’evoluzione dei gusti degli italiani: 15 anni fa, infatti, rappresentavano<br />

solo lo 0,1% del totale delle spedizioni. “I gusti degli italiani si distinguono da<br />

sempre nel panorama mondiale del consumo di Champagne per la particolare domanda di<br />

bottiglie di pregio”, ha spiegato Charles Goemaere, direttore generale del Comité Champagne.<br />

“In questo scenario il settore Horeca ci appare particolarmente dinamico. Dopo<br />

la crisi sanitaria, nel 2022, i consumi in bar, hotel e ristoranti fanno presumere una netta<br />

ripresa, confermando che il fuori casa rappresenta ormai un’abitudine consolidata per i<br />

consumatori italiani di Champagne. I positivi dati delle spedizioni confermano inoltre che<br />

l’offerta è riuscita a soddisfare la domanda”. Su quest’ultimo punto, in realtà, si potrebbe<br />

obiettare, dato che, viste le performance di vendita che hanno chiuso il 2022 all’interno<br />

del mondo Horeca tricolore, è quasi certo che a fronte di una maggiore disponibilità di<br />

prodotto, il mercato italiano avrebbe sicuramente fatto registrare crescite ancora più marcate.<br />

D’altronde, il consumo di Champagne è stato ampiamente sdoganato e oggi non è<br />

più esclusivamente confinato ai momenti di festa. “Il dinamismo a cui stiamo assistendo è<br />

dovuto essenzialmente allo sviluppo di nuovi mercati e di nuovi momenti di consumo”, ha<br />

confermato David Chatillon, presidente dell’Union des Maisons de Champagne e co-presidente<br />

del Comité. “Lo Champagne resta il vino delle celebrazioni, ma prende sempre più<br />

piede un suo consumo che potremmo definire informale”. Non è un caso, d’altronde, se a<br />

livello globale, nel 2022, le spedizioni totali di Champagne hanno raggiunto quota 325,5<br />

milioni di bottiglie, in crescita dell’1,5% rispetto al 2021 e del 9,5% rispetto al 2019. In un<br />

anno che risente ancora in termini di offerta del passaggio a vuoto della programmazione<br />

produttiva nel frangente della pandemia, si parla del miglior risultato a volume, secondo<br />

solo al picco del 2007. Il 2022 ha fatto registrare anche un nuovo record a valore, con un<br />

giro d’affari che supera complessivamente i 6,3 miliardi di euro, a fronte di un export arrivato<br />

a rappresentare il 57% delle spedizioni, con 187,5 milioni di bottiglie, in crescita<br />

del 4,3%. “La nostra ambizione non è di cercare di fare di più, ma di fare ancora meglio, a<br />

beneficio delle generazioni future”, ha evidenziato Maxime Toubart, presidente del Syndicat<br />

général des vignerons e co-presidente del Comité Champagne, annunciando il lancio<br />

del piano che definirà la strategia globale per affrontare le sfide del decennio a venire. Un<br />

futuro, ci si può scommettere più di una bottiglia sopra, in cui l’Italia sarà sempre più un<br />

protagonista per il mercato dello Champagne.<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

CHAMPAGNE<br />

Lo Champagne<br />

vola in Italia<br />

Un 2022 da record porta il Belpaese a essere<br />

il quarto mercato mondiale a valore


27<br />

al loro territorio e innovativi. Stiamo infatti attraversando,<br />

nella Denominazione, una sorta di frangente storico di<br />

ebollizione creativa molto interessante, tanto si parli di<br />

piccoli vignaioli indipendenti, quanto di grandi Maison.<br />

Jean-Baptiste Lécaillon, da oltre 30 anni, è lo<br />

Chef de Caves di Maison Louis Roederer (in<br />

foto con Massimo Sagna), una tra le cinque<br />

grandi realtà della Champagne, nata nel 1776,<br />

ancora di proprietà dei discendenti del fondatore.<br />

Ma Lécaillon è tanto di più. Innanzitutto, è un vero<br />

e proprio maestro: quando si fa riferimento alle bollicine<br />

di Reims e dintorni, ma non solo. Nativo proprio della<br />

“città dei Re”, vintage 1966, ha l’innata capacità di<br />

spiegare anche i concetti più articolati con la<br />

massima semplicità. Ed è a lui che abbiamo<br />

domandato di spiegarci quale futuro<br />

vede per le bolle francesi più amate al<br />

mondo e cosa attendersi dalle ultime<br />

novità Collection 244 e Cristal 2015.<br />

Come è cambiato, visto dalla<br />

prospettiva di un grande Chef de<br />

Caves, il modo di fare Champagne<br />

in questi ultimi decenni?<br />

Il clima è ovviamente mutato in Champagne, ma ancor<br />

più a cambiare è stata la viticoltura. Parliamo di concentrazioni<br />

superiori e di una vinosità supplementare, per<br />

vini che presentano oggi una ancora più spiccata capacità<br />

d’invecchiare. La Champagne, possiamo affermare,<br />

sta riprendendo la direzione di vini gastronomici,<br />

ovviamente senza mettere da parte quelle produzioni<br />

che definiscono il carattere effervescente champenoise<br />

La visione<br />

di JBL<br />

Jean-Baptiste Lécaillon, Chef de Caves<br />

Maison Louis Roederer, e la Champagne di domani<br />

DI MATTEO BORRÈ E ANDREA SILVELLO<br />

perfette per i momenti di festa. Oggi, ci si sta rendendo<br />

sempre più conto che in Champagne la materia prima<br />

è di una tale qualità che è possibile spingersi verso<br />

nuovi orizzonti con vini da invecchiamento, più maturi,<br />

più complessi, tanto che si parli di bollicine, quanto di<br />

Coteaux Champenois, altra nuova dimensione che si va<br />

imponendo nella Denominazione.<br />

Maison Louis Roederer come opera oggi<br />

in vigna per governare il cambiamento<br />

intervenuto in questi anni?<br />

Oggi operiamo con metodi di viticoltura<br />

che per il 50% della vigna sono certificati<br />

biologici. Ma facciamo anche della<br />

biodinamica. È nei suoli, che devono<br />

essere rigenerati, vivi, estremamente dinamici,<br />

che va ricercata la resilienza dei<br />

nostri vini. Oggi alla vigna bisogna chiedere<br />

quel che puoi garantire e non domandarle<br />

niente di più. Un’altra strada di profondo interesse<br />

che abbiamo intrapreso è quella relativa alla selezione<br />

massale, andando a riprendere dei cloni di Pinot Nero e<br />

di Chardonnay con precocità, maturità e tempi di fioritura<br />

differenti. Sfruttiamo, dunque, la biodiversità nel suo<br />

senso più ampio, dando così forma a un ecosistema più<br />

resistente. E ritengo che la Champagne sia proprio in cammino<br />

verso una nuova era, fatta di vini diversi da quelli che<br />

abbiamo conosciuto fino ad oggi, di vigneron più attaccati<br />

Se volgiamo lo sguardo ai Coteaux Champenois,<br />

quale stile ritiene s’imporra in futuro per questa<br />

tipologia?<br />

Esistono diversi storici Coteaux Champenois, non parliamo<br />

certo di una novità. Ma oggi, a livello generale, quel<br />

che c’è in gioco è la necessità di definire uno stile preciso.<br />

Dobbiamo darci il tempo di individuare l’unicità di un<br />

Pinot Noir fermo della Champagne, di uno Chardonnay<br />

o di un Meunier. Dobbiamo chiaramente dirci che non<br />

siamo la Borgogna o una qualunque altra regione vinicola<br />

già nota, domandandoci: cosa fa la nostra forza? Ci vorrà,<br />

però, un po’ di tempo per individuare la giusta misura:<br />

almeno 10 o 15 anni per trovare il livello di equilibrio di<br />

un Coteaux Champenois che personalmente vedo come<br />

spiccatamente fine, digeribile, capace di fare risaltare le<br />

note sapide peculiari del terroir in cui ci troviamo e della<br />

Craie e, al contempo, le note fumé che possono apparire<br />

nei vini, in aggiunta alle loro connotazioni profumate che<br />

devono essere sufficientemente solide per poter durare<br />

nel tempo. E quest’ultima è un’ulteriore sfida: realizzare<br />

un Coteaux Champenois che poi possa stare in cantina<br />

per oltre 15 o 20 anni e non da dover consumare nel breve<br />

periodo. Sono aspetti e riflessioni che fanno parte di quella<br />

ebollizione creativa che si sta vivendo in Champagne in<br />

questo periodo e non bisogna affrettare i tempi per definire<br />

nuove strade innovative. Non bisogna compiere l’errore<br />

di voler arrivare subito, ma ripartire dalla vigna, dalla<br />

vinificazione e dall’affinamento, sperimentando. Questa è<br />

senza dubbio una sfida molto eccitante per tutti e credo<br />

debba essere un apporto che possa arrivare dalle nuove<br />

generazioni.<br />

Parlando di rivoluzioni in Champagne, una delle<br />

ultime è legata alla nascita di Collection Louis<br />

Roederer: ci puoi introdurre la novità della Collection<br />

244 in uscita?<br />

È la terza edizione di Collection, la 244, su base millesimo<br />

2019: un anno maturo e potente con dei Pinot Noir<br />

magistrali estremamente aromatici. Vinificare seguendo<br />

il nuovo spirito di Collection significa rispettare al massimo<br />

l’annata, ma sempre andando a esaltare i grandi valori<br />

della nostra bollicina, come le note iodate, fresche,<br />

salivanti che fondano i grandi Champagne, oltre a quella<br />

dimensione peculiare della cifra di Maison Louis Roederer,<br />

che offre una dimensione più vinosa, più lunga, in un<br />

“crescendo” in termini di freschezza. E la 244, a mio avviso,<br />

rappresenta proprio un culmine, nel senso che con la<br />

243 avevamo sfiorato l’obiettivo, ma con questa edizione<br />

abbiamo raggiunto il vero potenziale di Collection, individuando<br />

l’equilibrio che cercavamo e allo stesso tempo<br />

avendo rafforzato la nostra réserve perpétuelle, uno strumento<br />

fantastico a nostra disposizione, oggi, per poter<br />

dare forma a nuovi capitoli di questa storia.<br />

Non si può non concludere non domandandole<br />

un giudizio sul Cristal 2015 appena uscito.<br />

La 2015 è stata un’annata davvero sfidante, caratterizzata<br />

prima da una grande siccità e poi dell’acqua che ha fatto sì<br />

che in campagna la vigna abbia sofferto. Questo ha avuto<br />

degli impatti sulla maturità delle uve e ha portato ad avere<br />

dei vini – già avevamo vissuto una dinamica simile nel<br />

2014 – che, a mio avviso, combattono e si cercano, avendo<br />

necessità ancora di tempo per trovarsi. Più che mai, oggi,<br />

i vini domandano tempo. Cristal 2015 è ovviamente degustabile<br />

fin da oggi: sotto questo punto di vista, abbiamo<br />

lavorato al momento della vinificazione per favorire il<br />

lato più delizioso e precoce dell’annata. Ritengo, però, che<br />

questo millesimo, a differenza del 2014 e del precedente<br />

2013, avrà bisogno di qualche anno supplementare, attorno<br />

a 10 anni mi vien da dire, dunque 2025, per cominciare<br />

a esprimere la sua vera identità.<br />

CHAMPAGNE


28<br />

Fondata a Reims nel 1772, Veuve Clicquot è da sempre un simbolo della<br />

Champagne. Un vero e proprio mito forgiato in origine da quella Madame<br />

Clicquot che, divenuta vedova, nel 1805 assunse le redini della Maison, tra<br />

le prime imprenditrici dell’era moderna. “La Grande Dame de la Champagne”<br />

avrebbe poi lasciato dietro sé un’eredità fatta di grandi innovazioni<br />

capaci di portare una rivoluzione nell’universo delle bollicine più amata al mondo,<br />

dalla prima table de remuage al Millesimato, passando per il Rosé per assemblaggio.<br />

Oggi, da poco tagliato il traguardo dei suoi primi 250 anni, la<br />

Maison prosegue lungo il cammino tracciato, scegliendo audacia e<br />

ottimismo quali capisaldi del quotidiano agire. In occasione del<br />

lancio in Italia della nuova annata della sua Cuvée de Prestige,<br />

La Grande Dame 2015 x Paola Paronetto, abbiamo intervistato<br />

Jean-Marc Gallot, da quasi un decennio presidente di Veuve<br />

Clicquot, a cui abbiamo domandato il suo pensiero sullo<br />

Champagne oggi.<br />

Oggi, lo Champagne è ancora solo un vino o è qualcosa<br />

d’altro?<br />

Lo Champagne è qualcosa che racchiude in sé proprio tutto, che<br />

può far vivere un’esperienza intera già nel semplice gesto di versarsi<br />

un calice. Ci sono studi che sostengono che all’interno di ciascun bicchiere<br />

sono racchiuse 9 milioni di bollicine, che rappresentano, a mio avviso,<br />

nient’altro che altrettante possibilità. Innanzitutto, quella di godere di una straordinaria<br />

esperienza enologica. Poi – ed è ciò che in Veuve Clicquot privilegiamo maggiormente<br />

– consente di affrontare la vita con una dose supplementare di ottimismo,<br />

rendendo realmente tutto possibile. Ritengo, in definitiva, che lo Champagne sia<br />

proprio questo: qualcosa che rende tutto possibile. Ed è, in fondo, esattamente quello<br />

che insegna la storia stessa de La Grande Dame: è un appello all’ottimismo.<br />

Dopo quasi 10 anni in Veuve Clicquot, come ha visto cambiare il mercato<br />

dello Champagne?<br />

Veuve Clicquot è solo uno dei molti attori che popolano la Champagne, ma siamo anche<br />

un caso molto particolare. Siamo diversi, nel senso che rappresentiamo una Maison con<br />

una storia singolare, ampiamente nota tutti: quella di Madame Clicquot, rimasta vedova<br />

nel 1805 e prima donna a capo di un’impresa in Francia. E poi l’audacia e l’innovazione<br />

delle sue tante invenzioni, dal primo Champagne Millesimato al Rosé per assemblaggio<br />

e tanto altro ancora. Noi siamo figli di questa audacia e determinazione. Ed<br />

è proprio da questa speciale combinazione che è sempre nato nel mercato<br />

dello Champagne ogni cambiamento. Penso, a tal pro posito, a un caso<br />

che riguarda proprio l’Italia. Quattro anni fa, ci siamo confrontati<br />

sulla necessità di essere maggiormente presenti sulle tavole della<br />

cucina tradizionale italiana e abbiamo deciso d’indirizzarci alla ristorazione<br />

più informale, coinvolgendo nuovi clienti non abituati<br />

ad avere in carta e vendere Champagne. Abbiamo scelto di osare,<br />

anche davanti a tante reazioni che ci dicevano che non avrebbe<br />

mai funzionato. Invece, la storia ha insegnato ancora una volta che<br />

lo Champagne ha quella allure unica, un tono e un portamento che<br />

nessun altro vino possiede, capace di conquistare chiunque strappandogli<br />

un sorriso. Ed è proprio quel che è successo.<br />

Nella vita professionale, cosa le ha insegnato lo Champagne?<br />

La mia esperienza in Champagne riassume un po’ tutta quella che è stata la mia carriera<br />

professionale. Perché lo Champagne insegna la pazienza: non bisogna fargli fretta e occorre<br />

fare le cose per bene. Il vino resta infatti in bottiglia per anni e prima che sia bevuto<br />

possono passare anche decenni. Per questo ritengo che lo Champagne insegni a riflettere<br />

sul valore del tempo in maniera straordinaria. Soprattutto se lo si confronta con altri settori,<br />

come quello della moda o dei gioielli, che vivono di mutamenti e novità da una stagione<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

ON AIR<br />

“Lo Champagne<br />

rende tutto possibile”<br />

A tu per tu con Jean-Marc Gallot, presidente Veuve Clicquot,<br />

su mercato e innovazione nella bollicina più amata al mondo


29<br />

con l’altra. Noi, all’opposto, dobbiamo essere bravi a lasciare spazio al tempo che passa,<br />

senza far pressione. Ed è un insegnamento che, a 58 anni, ti fa capire l’importanza di compiere<br />

un passo indietro per osservare il lavoro in prospettiva: abbiamo da poco celebrato i<br />

250 anni della Maison, un traguardo che ci ha posto ancora una volta innanzi all’evidenza<br />

che di tempo a disposizione ne abbiamo e che dobbiamo essere capaci di ragionare con<br />

calma per dare forma alle cose secondo il ritmo di cui necessitano e gustarci il piacere di<br />

ogni creazione.<br />

Lei è a capo di una delle Maison più grandi anche in termini di volumi,<br />

ma quando si produce vino, come si risponde a chi vive il pregiudizio dei<br />

numeri?<br />

Ogni Maison in Champagne vive di piccole produzioni dalle quantità limitate, come può<br />

essere il caso per noi della Cuvée de Prestige La Grande Dame, e di grandi volumi, come<br />

per esempio per Yellow Label, uno dei Brut più venduti al mondo. Ma quel che realmente<br />

poi conta è il lavoro dello Chef de Caves, che ha la responsabilità di donare una costanza<br />

unica di stile e gusto alle etichette che vanno sul mercato in grandi quantità. E in questo,<br />

a guidarci noi abbiamo un principio fondativo ben chiaro che ci è stato lasciato in eredità<br />

dalla stessa Madame Clicquot: “una sola qualità, la migliore”. Questo significa innanzitutto<br />

che in Veuve Clicquot non facciamo mai compromessi su nulla. Secondo aspetto decisivo<br />

è quello che in Champagne abbiamo una ricetta molto particolare quando si parla di Sans<br />

Année, che prevede l’utilizzo di vini d’annata ma anche di vin de réserve. E sotto questo<br />

aspetto, Veuve Clicquot è in grado di sfruttare nella creazione dello Yellow Label oggi sul<br />

mercato una collezione di vini che vanno indietro fino al 1988. E la parte di vin de réserve<br />

nel nostro Champagne Brut arriva fino al 45% della Cuvée. Tutto questo ci assicura che,<br />

grazie al giusto bilanciamento, sia possibile garantire la qualità costante in ciascuna delle<br />

nostre produzioni che presentiamo ogni anno sul mercato.<br />

Parlando proprio di mercato: ci sarà abbastanza Champagne per i prossimi<br />

due anni davanti al boom di richiesta?<br />

Non ci si deve preoccupare, perché il mercato presto troverà il giusto bilanciamento rispetto<br />

a quella che è stata la generale impennata dei consumi. La ragione di questo cambio<br />

di passo è una ed essenziale: prima del Covid, in particolare nel mondo anglosassone,<br />

vi era una spiccata abitudine a consumare Champagne esclusivamente in bar, ristoranti<br />

ed hotel. La pandemia ha mutato le abitudini, sviluppando i consumi anche in ambito<br />

casalingo. Alla riapertura dell’Horeca, la voglia di uscire ha portato alla ripresa delle<br />

vendite di Champagne nel fuori casa, ma al contempo i consumi in ambito domestico<br />

non sono diminuiti. E questo ha condotto all’attuale domanda mondiale straordinaria<br />

per lo Champagne. Ma è necessario resistere davanti alla richiesta di più prodotto del disponibile<br />

per evitare di dover scendere a compromessi sulla qualità. Stiamo vivendo un<br />

frangente eccezionale, dove la domanda eccede l’offerta, ma a questo si deve rispondere<br />

andando a profilare con ancora più qualità i buoni clienti e quegli sbocchi di mercato che<br />

maggiormente valorizzano il prodotto.<br />

Cosa significa essere sostenibile per lei e per Veuve Clicquot?<br />

Innanzitutto, dico che per essere sostenibili non bisogna per forza essere bio. Il suolo della<br />

Champagne, infatti, ha la Craie che lo caratterizza, con tutti i pregi e i difetti che ne derivano.<br />

Questo strato agisce, infatti, come una spugna, assorbendo acqua ed umidità. Un<br />

elemento che, ad esempio, ha consentito di avere un’ottima vendemmia lo scorso anno per<br />

quantità e qualità, nonostante la grande siccità. Per Veuve Clicquot, l’impegno sostenibile<br />

passa innazitutto dall’obiettivo di preservare il terreno che rende unica la Champagne,<br />

facendo sì che meno sostanze possibili vi finiscano all’interno. Per questo siamo stati la<br />

prima Maison ad aver dismesso l’utilizzo di erbicidi in vigna, con l’impegno di arrivare<br />

al 2030 allo stesso risultato anche per tutti i nostri partner conferitori. Non impoverire il<br />

suolo per rispettarlo: questo è il nostro primo dovere. Il nostro secondo impegno in termini<br />

di sostenibilità è che tutto quel che riguarda il nostro marchio deve essere realizzato<br />

con materiali duraturi e riciclabili, nel rispetto di un’impronta ecologica che sia in linea<br />

con la salvaguardia del pianeta. E poi, siamo una realtà che preferisce agire, piuttosto che<br />

rilasciare dichiarazioni pubbliche sul soggetto. Perché penso che uno dei grandi problemi<br />

quando si parla di sostenibilità è che in troppi sono quelli che parlano, ma poi non fanno<br />

granché. Noi, sull’argomento, abbiamo decisamente un approccio totalmente opposto a<br />

quest’ultimo.<br />

Nello Champagne, l’innovazione passa solo dall’immagine e dal marketing<br />

per una grande Maison?<br />

L’innovazione in Champagne passa per due direttrici: dentro la bottiglia e attorno ad essa.<br />

Come ha dimostrato anche l’ultima creazione La Grande Dame 2015 x Paola Paronetto e<br />

le installazioni ad essa collegate, Veuve Clicquot non smette mai d’innovare all’insegna di<br />

un approccio solare e colorato. Per noi innovazione significa anche sorprendere clienti e<br />

consumatori con ciò che veste la bottiglia e gli ruota attorno. Per quanto riguarda, invece,<br />

la possibilità d’innovare all’interno della bottiglia, ci abbiamo provato a più riprese: a volte<br />

funziona, altre no. Quanto è sicuro è che nulla sostituirà lo Yellow Label e il Rosé, La Grande<br />

Dame e la sua versione in rosa, proprio come i Vintage. Poi, però, col tempo è arrivato<br />

Rich, lo Champagne da servire con ghiaccio, perché i più giovani lo domandavano. Si tratta<br />

di un nuovo segmento che si è affacciato in Champagne, proprio come un’altra recente<br />

innovazione: l’Extra Brut Extra Old. Ma alla fine della giornata, ritengo che siano quegli<br />

Champagne che sono lì da decenni, se non secoli, il futuro principale della Maison e il<br />

miglior esempio d’innovazione riuscita.<br />

Quanto vale l’Italia per Veuve Clicquot e qual è il cliente in cui vi identificate?<br />

Negli ultimi anni abbiamo lavorato molto sul nostro presidio del mercato italiano, andando<br />

a indirizzarci con sempre maggiore attenzione alle enoteche e ai locali capaci di valorizzare<br />

i nostri prodotti, piuttosto che scegliere di crescere nel canale della grande distribuzione.<br />

Il futuro passa in primo luogo dal trovare nuovi modi per parlare ancor più direttamente<br />

al consumatore finale, sfruttando tutti gli strumenti a disposizione, online e offline, per far<br />

comprendere a neofiti e appassionati italiani perché debbano scegliere di avere nel calice<br />

dello Champagne e non un’altra bollicina. Il secondo target sono le enoteche, che in Italia<br />

compongono una rete diffusa e davvero magica per chi è impegnato a diffondere qualità:<br />

personalmente adoro la passione e la competenza degli enotecari italiani, che traspare perfettamente<br />

dai loro negozi, in cui ci si addentra come se si fosse protagonisti di una vera<br />

caccia al tesoro. E dico che Veuve Clicquot deve molto a loro in quella che è stata la costruzione<br />

in Italia della nostra forte identità di brand. Infine, come spiegavo prima rispetto al<br />

progetto legato alle trattorie, ancora abbiamo davanti grandi margini di crescita nella ricerca<br />

per location partner di qualità, tra wine bar, ristoranti e hotel, che possano valorizzare i<br />

nostri prodotti con il loro lavoro e la loro expertise.<br />

ON AIR<br />

Ma Jean-Marc Gallot, cosa beve quando non ha nel calice dello Champagne?<br />

Confesso che ho cominciato in maniera molto tradizionale, come ogni buon francese:<br />

ovvero bevendo Bordeaux. Dunque, sono sempre rimasto attaccato a questa<br />

formazione “classica”. Poi, però, in Francia si dice che quando s’inizia a invecchiare<br />

ci si dirige verso est: recentemente bevo con grande piacere Pinot Noir, come i Gevrey-Chambertin<br />

di Borgogna. E da qualche anno, devo ammettere che ho cominciato<br />

ad adorare e bere i Supertuscan.


30<br />

Marchesi Antinori raddoppia<br />

in Napa Valley con<br />

iDealwine:<br />

Stag's Leap Wine<br />

Cellars<br />

un nuovo mondo<br />

di opportunità per le aziende<br />

italiane<br />

TITOLI DI CODA<br />

Le Tenute del Leone Alato<br />

sbarcano in Toscana: acquisito il<br />

100% di Duemani<br />

Le Tenute del Leone Alato hanno portato a termine<br />

l’acquisizione del 100% di Duemani, azienda della costa<br />

toscana con vigneti in Riparbella e Castellina Marittima<br />

fondata nel 2000 da Elena Celli e Luca D’Attoma, enologo<br />

di fama internazionale. “Duemani è un importante nuovo<br />

tassello nella strategia di ampliamento delle tenute di proprietà”,<br />

il commento dell’amministratore<br />

delegato Igor Boccardo<br />

all’annuncio dello sbarco in<br />

Toscana, “aggiunge all’attuale<br />

portfolio un’azienda agricola<br />

di elevato valore reputazionale,<br />

tanto a livello nazionale<br />

quanto internazionale”.<br />

Champagne<br />

Experience <strong>2023</strong><br />

in scena il 15 e 16 ottobre<br />

a Modena<br />

Ritorna Champagne Experience. Domenica 15 e lunedì<br />

16 ottobre saranno ancora gli spazi di ModenaFiere a<br />

ospitare i vini di oltre 140 aziende, tra storiche Maison<br />

e piccoli Vigneron. Oltre 800 gli Champagne in degustazione<br />

nei 5mila metri quadrati del Padiglione A, che<br />

aprirà le porte ai tanti professionisti del settore Horeca<br />

sempre più attenti alle novità di un comparto che vede<br />

l’Italia tra i più importanti mercati al mondo per vendite.<br />

“Champagne Experience è un punto di riferimento sia<br />

a livello nazionale che ormai europeo. Questo ci rende<br />

orgogliosi e al tempo stesso responsabilizza<br />

tutti noi a voler creare<br />

una manifestazione sempre<br />

più all’altezza delle aspettative<br />

dei suoi tanti visitatori”,<br />

sottolinea Luca Cuzziol, presidente<br />

di Società Excellence<br />

che organizza l’evento.<br />

Colpo grosso sull’asse Italia – California, con una delle più<br />

storiche famiglie italiane del settore che fa “spese” nella terra<br />

promessa del vino Usa, la Napa Valley. Marchesi Antinori<br />

ha acquisito la piena proprietà di Stag’s Leap Wine Cellars,<br />

dopo 16 anni di collaborazione<br />

con l’azienda americana, di cui<br />

già possedeva una quota minoritaria.<br />

Una delle più antiche<br />

realtà familiari del vino made<br />

in Italy raddoppia così Oltreoceano,<br />

dove già era presente<br />

con tenuta Antinori Napa Valley.<br />

Vitaliano Maccario<br />

nuovo presidente del Consorzio<br />

Barbera d’Asti e Vini<br />

del Monferrato<br />

Cambio al vertice nel segno della continuità per il Consorzio<br />

Barbera d’Asti e Vini del Monferrato. L’Assemblea dei<br />

Soci ha decretato l’elezione del nuovo CdA per il triennio,<br />

con i consiglieri che hanno poi indicato come presidente<br />

Vitaliano Maccario. Al neoeletto numero uno, si affiancano<br />

due vice: Lorenzo Giordano e Filippo Mobrici, presidente<br />

uscente, per una squadra simbolo dell’intenzione di dare<br />

continuità all’importante lavoro svolto fino a questo momento<br />

dal Consorzio e dai suoi membri.<br />

E ancora...<br />

Masi Agricola mette a segno il secondo migliore Q1<br />

dalla quotazione in borsa. Da Ca’ del Bosco alla Sicilia:<br />

Dante Bonacina è il nuovo amministratore delegato di<br />

Baglio di Pianetto. Chi sono i primi 60 ambasciatori<br />

del Banfi Brunello Ambassador Club. Consorzio Vini<br />

Alto Adige nel segno della continuità: Andreas Kofler<br />

confermato presidente. Amarone Classico Bertani<br />

2013 all’esordio con un’importante rivoluzione.<br />

Gruppo Mezzacorona nuovo ambasciatore del<br />

programma Wine in Moderation. Sagna amplia il<br />

catalogo con le bollicine della Loira di Marc Brédif.<br />

Enoturismo: la Lugana Doc ha il<br />

suo piano. Coravin Vinitas:<br />

arriva il nuovo device per<br />

assaggiare il vino prima<br />

di acquistarlo. Christian<br />

Marchesini confermato<br />

all’unanimità pre sidente del<br />

Consorzio Vini Valpolicella.<br />

Creata nel 2000 e con sedi in Europa e in Asia,<br />

iDealwine è un’azienda francese diventata in<br />

pochi anni la piattaforma online di riferimento<br />

per le aste di vini pregiati e la valutazione dei<br />

Grand Cru. Per completare l’offerta, a essere<br />

proposta è anche un’ampia selezione disponibile<br />

a prezzo fisso nella sezione enoteca online,<br />

presente sul sito da oltre 10 anni. Costantemente<br />

rinnovata e arricchita, fa spazio a etichette<br />

acquisite direttamente da una rete di oltre 900<br />

produttori e a un’offerta di vini d’annata provenienti<br />

da collezioni private. Con le bottiglie<br />

vendute sul portale, tra vini rari, vecchie annate,<br />

le grandi icone e gli astri nascenti del mondo<br />

del vino, nonché un’ampia selezione di etichette<br />

bio, biodinamiche e Triple A, disponibili per la<br />

spedizione in più di 60 Paesi. E oggi, quella offerta<br />

da iDealwine è una novità che schiude alle<br />

aziende ulteriori opportunità, con i contenuti<br />

del sito disponibili da qualche settimana anche<br />

in italiano e tedesco, dopo francese e inglese.<br />

Si apre, così, una nuova era carica di opportunità<br />

per le cantine tricolore. La maggior parte<br />

delle etichette proposte nella sezione enoteca<br />

online, infatti, proviene direttamente dalle<br />

tenute partner ed è il frutto di anni di consolidate<br />

collaborazioni. Ogni produttore e cuvée<br />

sono selezionati con cura da un’équipe composta,<br />

da un lato, da buyer che attraversano in<br />

lungo e in largo i vigneti di tutto il mondo per<br />

individuare le migliori cantine, dall’altro, da un<br />

team di esperti che si occupa di valutare tutti<br />

i vini. Sono poi proprio questi wine expert ad<br />

occuparsi di raccontare ogni assaggio e la storia<br />

dietro ogni bottiglia. A essere offerta, così,<br />

ai partner iDealwine è una comunicazione su<br />

misura attraverso tutti i canali di cui il portale<br />

dispone: da operazioni commerciali mirate a<br />

newsletter ed articoli sul blog iDealwine, passando<br />

per la presenza, in Francia, ma anche in<br />

Europa, Asia e Stati Uniti, a saloni di settore,<br />

cene e masterclass con il cliente finale volte<br />

a promuovere le aziende,<br />

fino al lavoro dietro al<br />

database di schede<br />

tecniche tradotto<br />

in quattro lingue<br />

diverse e gestito da<br />

un gruppo di appassionati<br />

professionisti.

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