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Federico Marazzi - Le città dei monaci. Storia degli spazi che avvicinano a Dio. (2015, Editoriale Jaca Book) - libgen.li

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Le città dei monaci

losofo plasmi la sua personalità attraverso la rinuncia alle ricchezze, alla fama, agli

onori mondani, al soddisfacimento del desiderio sessuale e a un’alimentazione

smodata. Porfirio, in particolare, nel suo trattato sull’astinenza ricorda che l’esempio

migliore da seguire per l’esercizio di queste virtù si trovava nei seguaci di Pitagora

i quali, per sfuggire ogni tentazione, si allontanavano dalle città per cercare

luoghi deserti o, se vi rimanevano, si stabilivano entro i sacri recinti dei santuari, ove

potevano vivere liberi dal disturbo recato dalle faccende mondane (Dillon 1998).

Similmente, un autore come Girolamo, impegnato nella promozione del monachesimo

cristiano, non ha difficoltà ad ammettere che il costume della fuga mundi

era già praticato presso alcuni philosophi pagani, come appunto i Pitagorici, al fine

di perseguire la meditazione al riparo dalle passioni e dalle lusinghe del mondo (e

della città in particolare):

Spinti dunque da queste considerazioni, molti filosofi hanno abbandonato l’affollamento

delle città e i giardini dei suburbi, con i loro terreni percorsi dalle acque, gli alberi

frondosi, il cinguettio degli uccelli, lo specchio di una fontana, il mormorio di un ruscello

e le mille dolcezze che catturano l’occhio e l’orecchio. Essi temevano che il lusso e

l’abbondanza dei beni indebolissero la loro forza d’animo e ne sporcassero la purezza.

[…] Di fatto, i pitagorici, per evitare questa confusione, abitavano normalmente nella

solitudine e nei luoghi deserti 1 .

Inoltre, come ricorda Richard Finn, esiste un vasto retroterra di tradizioni cultuali

del mondo greco-romano, nell’ambito del quale «modalità specificamente definite

di astinenza dal cibo e dal sesso erano funzionali alla definizione di spazi e

tempi consacrati, a mediare un accesso entro – o stabilire una comunicazione con

– il mondo sacro degli dei e per sancire l’esistenza di un ordine sociale in cui sesso

e cibo trovavano il loro spazio nell’ambito della vita familiare ed urbana» (Finn

2009: 14).

Ugualmente, le due sette ebraiche dei Terapeuti (in Egitto) e degli Esseni (in

Palestina) sono descritte nella testimonianza di Filone di Alessandria come caratterizzate

da una vita comunitaria che, per raggiungere attraverso la conoscenza

della Legge e delle Scritture il proprio ideale di contemplazione divina, sceglievano

programmaticamente di allontanarsi dall’ambiente cittadino visto come fonte

di confusione materiale e morale, andando quindi a perseguire in luoghi isolati

un’esistenza fatta di rinunce e astinenza. Osserva sempre Finn che Filone, nel descrivere

i modelli organizzativi delle due sette, forse aveva in mente riferimenti

tanto alla tradizione filosofica greca quanto a quella biblica, che voleva i Leviti destinati

ad abitare città proprie, scevre da commistioni con chi non poneva al primo

posto, nella propria esistenza, il servizio a Dio (Finn 2009: 38). I rotoli di Qumran,

tra cui in particolare il cosiddetto Documento di Damasco, forniscono indicazioni

sul fatto che i membri del gruppo costituiscono un’‘unità’ di persone alla

ricerca della santità e della prossimità con Dio attraverso la purezza e l’astinenza

14

Marazzi.In claustro.indb 14 11-02-2015 9:02:42

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