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Federico Marazzi - Le città dei monaci. Storia degli spazi che avvicinano a Dio. (2015, Editoriale Jaca Book) - libgen.li

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Le città dei monaci

Sacri ruderi: i resti materiali dei monasteri dell’Oriente tardoantico,

i loro spazi e le loro funzioni

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Sebbene dettagliati ed evocativi, i racconti delle fonti letterarie sono comunque il

frutto di visioni soggettive. Soprattutto su un tema così fortemente influenzato da

motivazioni di carattere ideologico come quello della definizione dei profili agiografici

dei santi monaci, è possibile che determinati aspetti relativi ai luoghi e agli

ambienti in cui essi vivevano siano stati adattati a beneficio dell’identità del personaggio

che s’intendeva trattare. Per queste ragioni è importante un riscontro con i

resti materiali dei numerosi insediamenti monastici di questo periodo indagati dagli

archeologi, sopravvissuti fra Egitto, Siria e Palestina.

In generale, ciò che è giunto sino a noi difficilmente rispecchia la primissima

fase dell’espansione monastica, avvenuta durante il iv secolo. Tuttavia, non è infrequente

che in molti siti sopravvivano elementi che consentono di comprendere la

loro articolazione planimetrica e funzionale durante il v e il vi secolo. In effetti, il

raffronto tra le indicazioni fornite dalle fonti scritte e la lettura dei resti materiali

propone un quadro in cui le somiglianze sono maggiori delle differenze.

Una delle aree che conserva tracce di maggiore antichità è quella che ospitò la

comunità dei Kellia, a sud-ovest di Alessandria, ai margini della regione del Delta

del Nilo. Questa immensa area archeologica, purtroppo in gran parte distrutta

dall’avanzamento delle aree coltivate sulla riva sinistra del corso del fiume, costituisce

parte di una vera e propria ‘regione monastica’. I primi monaci vi si stabilirono

come eremiti, già durante la prima metà del iv secolo, andando a occupare al

seguito dell’abba Ammone le terre della Nitria, abbastanza prossime al corso del

Nilo. Successivamente, tra la fine dello stesso secolo e gli inizi del v, i monaci iniziarono

a colonizzare un’area posta circa una ventina di chilometri più a sud, al

confine fra steppa e deserto, che costituì il cuore dell’area dei Kellia. Quest’ultima

divenne infine una tappa intermedia lungo un cammino che conduceva sino al cuore

del deserto, nella valle del Wadi Natroun, quaranta chilometri ancora più a sud,

dove si formò un’area di eremitaggi rupestri ancora più isolati, detta Scetè, dove

ancora oggi sopravvivono alcuni importanti cenobi copti.

L’area dei Kellia si sviluppò soprattutto fra vi e vii secolo, quando l’originaria

organizzazione eremitica si trasformò progressivamente in una lavra. Il nome Kellia

allude al fatto che l’insediamento era composto da decine e decine di piccoli

eremitaggi autonomi, sorti l’uno accanto all’altro nell’assolata pianura stepposa. La

cellula-base dell’insediamento, che ne costituisce presumibilmente la più antica tipologia

architettonica, confacente a uno stile di vita sostanzialmente eremitico, è

rappresentata da una struttura destinata a ospitare un monaco di solito assistito da

un novizio. A partire dal pieno v secolo, si assiste però al sorgere di agglomerati

più articolati che sembrano rappresentare un’evoluzione verso l’affermarsi di forme

di vita comunitaria, adottate almeno da una parte dei monaci che vivevano in

questa zona (Aravecchia 2001).

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Marazzi.In claustro.indb 40 11-02-2015 9:02:44

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