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Federico Marazzi - Le città dei monaci. Storia degli spazi che avvicinano a Dio. (2015, Editoriale Jaca Book) - libgen.li

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Le città dei monaci

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Nel monastero di Apa Geremia a Saqqarah, in Egitto, la chiesa è letteralmente

circoscritta dagli altri edifici, così come in quello di Euthymius. In quello di Bir-el-

Qutt, in area palestinese, essa non solo è disposta tra le altre fabbriche, ma anche

priva di un accesso frontale (Corbo 1958; Meimaris 1990; McKenzie 2007: 306-

312).

Il medesimo posizionamento appartato della chiesa, la sua accessibilità attraverso

percorsi diversi da quello dell’accesso frontale e mediati dal passaggio entro altri

edifici, si riscontra quasi sempre nei complessi monastici di ambito egiziano (oltre

ai già citati monasteri di San Bishoi e dei Siriani: i casi del monastero di Sant’Antonio,

nel deserto arabico, e del monastero di San Simeone ad Assuan), anche se lo

stato attuale degli edifici risale a ricostruzioni databili fra viii e x secolo. In ogni

caso, considerando che tale schema organizzativo trova già riscontri di età tardoantica,

questi esempi possono quanto meno essere considerati come prosecuzione di

un’attitudine tradizionale rispetto alla fruibilità della chiesa, non rivolta a un pubblico

esterno alla comunità (Capuani, Meinardus, Rutschowscaya 1999).

Come si diceva, nei monasteri orientali d’età tardoantica l’ingresso appare spesso

come una struttura complessa, nel senso che può essere caratterizzato dalla presenza

di edifici monumentali, nonché dall’attiguità di ambienti destinati a ospitare

il guardiano e gli eventuali visitatori. Così accade nel monastero palestinese di Martyrios,

dove non solo l’entrata è presidiata dalla cella del portinaio, ma accanto a

essa è edificato anche un intero quartiere destinato all’accoglienza dei visitatori,

collocato però in una posizione nettamente distinta ed esterna rispetto al recinto

murario che racchiude l’area destinata all’insediamento dei monaci (Hirschfeld

1992: 39-42). Anche nel complesso di Khirbet ed Deir, nel deserto palestinese, l’ingresso

è custodito da un edificio posto a cavallo del recinto murario (Hirschfeld

1992: 171). In numerosi monasteri egiziani tale edificio assume l’aspetto di una torre.

È il caso, ad esempio, di siti come quello dei monasteri di San Bishoi e di quello

dei Siriani, nell’area della Scetè, di fondazione tardoantica, ma le cui fasi costruttive

si estendono sino al x-xi secolo, obbligando quindi a valutarne con prudenza

le modalità di sviluppo architettonico (Capuani, Meinardus, Rutschowscaya 1999:

67-77).

Altro elemento che trova una precisa corrispondenza con quanto narrano le

fonti è costituito dalla presenza di uno o più edifici turriti (oltre a quello che talora

troviamo presso l’ingresso), variamente dislocati all’interno dell’area del recinto

monastico. L’interpretazione funzionale di queste strutture è dibattuta, come pure

lo è la loro datazione archeologica, e, come si è potuto vedere da alcuni accenni

presenti nelle fonti scritte, esse potevano essere utilizzate sia come spazi per l’alloggio

della comunità, sia come residenza per il suo capo, sia come luogo d’isolamento

eremitico 27 .

Quanto agli altri edifici, è spesso attestata la presenza di un ambiente adibito a

refettorio, mentre gli alloggi dei monaci possono essere tanto costituiti da ambien-

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Marazzi.In claustro.indb 42 11-02-2015 9:02:44

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