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Federico Marazzi - Le città dei monaci. Storia degli spazi che avvicinano a Dio. (2015, Editoriale Jaca Book) - libgen.li

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Le città dei monaci

no, cosa che invece, asseriva sempre Giovanni, finiva per intaccare la solitudine degli

eremiti, costretti a gestire da soli sia il problema del proprio sostentamento quotidiano,

sia quello dell’intrattenimento di quanti si recavano presso di loro per conversare

19 .

Produzione, lavoro e scambi commerciali presso i monaci

dell’Oriente tardoantico: una sfida etica e organizzativa

La dimensione della vita cenobitica, quindi, permetteva – a patto che se ne rispettassero

rigorosamente le regole – un perseguimento più integrale della vocazione

monastica e, in particolare, della lode perpetua a Dio.

Naturalmente – ed è questo un aspetto che si riproporrà sempre nella storia del

monachesimo sia orientale sia occidentale – come e da chi dovessero essere sostenuti

gli oneri necessari a organizzare la ‘vita perfetta’ di chi abitava in un cenobio

è un problema che le considerazioni dell’abate Giovanni non affrontano né risolvono.

La gestione economica dei monasteri nonché la realizzazione materiale e il mantenimento

delle loro strutture costituivano problemi spinosi e di non facile risoluzione:

essi determinavano la necessità di rapporti e contaminazioni con il mondo

esterno e costituivano perciò un terreno di costanti possibili minacce nei confronti

degli ideali di secessus e di abbandono dei beni materiali che la vita monastica implicava.

Non era facile, infatti, mantenere sempre distinti i due ambiti quando la

consistenza di una comunità monastica comportava la risoluzione quotidiana del

problema della sua sopravvivenza o quando la fama della medesima la rendeva oggetto

di attenzioni da parte della società circostante, con conseguente flusso di offerte

di beni mobili e immobili.

Il tema della sopravvivenza quotidiana di una comunità, e cioè dei suoi componenti

e delle strutture del luogo in cui essa si era stabilita, s’intersecava strettamente

con quello dell’impegno dei monaci in attività produttive. L’obiettivo ideale era

ovviamente quello di poter raggiungere la totale autonomia (potremmo dire l’autarchia)

rispetto al mondo esterno, organizzandosi in modo da procurarsi con il

proprio lavoro tutto quanto fosse necessario per se stessi e per i propri confratelli

senza dover ricorrere, anche in questo caso, a interazioni con l’esterno. Ma questa

possibilità rimaneva relegata entro i confini dell’utopia, mentre la realtà imponeva

che le comunità istituissero reti più o meno stabili di contatti con il mondo che le

circondava, al fine di veicolare sul mercato i beni da esse prodotti, in cambio di

quanto non fosse disponibile sul posto o che, per vari motivi, i monaci non fossero

in grado di realizzare con le proprie forze e competenze.

La coordinazione fra vita monastica, lavoro manuale e proiezione dei frutti di

quest’ultimo sul mercato era questione assai complessa, sia sul piano concettuale

sia, più prosaicamente, su quello eminentemente pratico. L’impegno del monaco

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Marazzi.In claustro.indb 34 11-02-2015 9:02:44

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