Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Rassegna trimestrale<br />
Supplemento al n. 10/<strong>2016</strong><br />
di Orizzonte Magazine<br />
di Studi Tradizionali<br />
Anno 5 n. 3<br />
Ottobre <strong>2016</strong><br />
Una pubblicazione<br />
1
2
3
LIBRERIA<br />
ROMA<br />
Specializzata in filosofia, esoterismo, magia,<br />
yoga, medicina e alimentazione naturale,<br />
simbolismo, alchimia, massoneria,<br />
templarismo, filosofie orientali, antroposofia,<br />
teosofia, astrologia.<br />
Sul sito web è possibile verificare la<br />
disponibilità dei libri ed effettuare acquisti<br />
on-line<br />
4<br />
Piazza Aldo Moro, 13 - 70122 Bari<br />
tel.: 080 5211274<br />
www.libreriaroma.it
Rassegna trimestrale<br />
di Studi Tradizionali<br />
ANNO 5 n. 3<br />
Ottobre <strong>2016</strong><br />
Supplemento al n. 10/<strong>2016</strong> di<br />
Orizzonte Magazine<br />
Reg. trib. di Bari n° 19/2014<br />
Direttore Responsabile<br />
Franco Ardito<br />
Redazione<br />
via G. Colucci, 2<br />
70019 Triggiano (BA)<br />
OUROBOROS è sfogliabile<br />
gratuitamente on-line al link<br />
http://www.orizzontemagazine.<br />
it/orizzontegroup/ouroboros/<br />
Per essere informati sulle<br />
uscite inviare il proprio<br />
indirizzo e-mail a:<br />
franco.ardito@rivista-ouroboros.it<br />
Articoli e immagini vanno<br />
inviati per e-mail a:<br />
franco.ardito@rivista-ouroboros.it<br />
Gli articoli dovranno pervenire in<br />
formato .doc o .docx e le immagini<br />
in formato .jpg con risoluzione<br />
non inferiore a 300 ppi<br />
IN QUESTO NUMERO PARLIAMO DI:<br />
7<br />
Al<br />
8<br />
Il<br />
26<br />
La<br />
30<br />
I<br />
36<br />
Medicina<br />
42<br />
La<br />
50<br />
I<br />
di là del Bene e del Male<br />
Editoriale<br />
femminile nelle fiabe<br />
di Stella D'Oronzo<br />
Morte<br />
di Aldo Tavolaro<br />
Beati Paoli<br />
di Gandolfo Dominici<br />
e ritualità<br />
di Paolo Maggi<br />
Sezione Aurea<br />
di Franco Ardito<br />
Catari<br />
di Rino Guadagnino<br />
Tutti i diritti sono riservati.<br />
Nessuna parte della pubblicazione<br />
può essere riprodotta,<br />
rielaborata o diffusa<br />
senza espressa autorizzazione.<br />
della Direzione.<br />
La collaborazione<br />
avviene dietro invito.<br />
Articoli e materiali non si<br />
restituiscono. La Direzione<br />
si riserva di adattare testi e<br />
illustrazioni alle esigenze<br />
della pubblicazione.<br />
Le opinioni espresse<br />
negli articoli impegnano<br />
solo gli autori e non<br />
coinvolgono né rappresentano<br />
il pensiero della<br />
Direzione<br />
In copertina:<br />
"Il Rebis, chiamato anche Androgino", tratto<br />
da "The Vessels of Hermes – an Alchemical<br />
Album", 1700 circa. Raccolta Manly<br />
Palmer Hall.<br />
5
Franco Ardito - Simona Ardito<br />
Castel del Monte: Il Grembo della Vergine<br />
Castel del Monte è un concentrato di applicazioni astronomiche, geografiche, matematiche e geometriche,<br />
un inspiegabile condensato di simboli, di segni, di formule. Si dà per scontato che lo abbia fatto costruire<br />
Federico II ma è quasi certo che l’Imperatore non vi soggiornò mai. E’ assolutamente inadatto ad essere<br />
abitato e non è ancora chiaro per quali motivi sia stato costruito né chi abbia inteso impegnare per la sua<br />
costruzione tanto denaro, energie e sapienza. E poi l’acqua: nella vasca monolitica che era nel cortile, nelle<br />
cisterne sulle torri, nel pozzo sotto il castello, quasi a proteggere il visitatore come in un grembo...<br />
6<br />
E' possibile acquistare il libro Castel del Monte il grembo della vergine al link:<br />
http://www.orizzontemagazine.it/shopping/categoria-prodotto/libri-e-riviste-nuovo/
O t t o b r e<br />
S<br />
AL<br />
DI LA' DEL BENE E DEL MALE<br />
pesso si sente dire che Bene e Male sono due facce della<br />
medesima medaglia, ma non è esatto: si tratta di una<br />
concezione approssimativa che non rende ragione della realtà.<br />
Dare uno schiaffo a chi mi ha insultato, per me sarà bene<br />
ma per chi lo riceve sarà male; il gesto è lo stesso ma cambia<br />
valenza a seconda del punto di vista, non parliamo più di<br />
facce diverse di una stessa medaglia, quindi, ma di diversi<br />
modi d'interpretare la medaglia medesima.<br />
Del resto nel Libro della Genesi si legge: Dio il Signore ordinò<br />
all’uomo: ‘Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dell’albero<br />
della conoscenza del bene e del male non ne mangiare’ (Gn 2:16,17).<br />
Il Bene e il Male sono racchiusi in un solo albero, che non<br />
ha due facce ma corrisponde ad un'unica entità; e allora che<br />
senso ha chiedersi come mai il Dio degli ebrei consenta il<br />
Male? Non può fare diversamente, poiché Male e Bene sono<br />
un unicum inscindibile, legati l'uno all'altro per poter esistere;<br />
chi nutre intenzionalmente il Bene, nutre inconsapevolmente<br />
anche il Male.<br />
Ne deriva dunque che Dio - Essere perfettissimo, infinito<br />
ed eterno - è buono e cattivo a un tempo; considerarlo come<br />
presidio del Sommo Bene, in contrapposizione a Satana,<br />
inteso come Signore del Male, è un non senso: significherebbe<br />
ledere la sua Infinità. Due Esseri contrapposti non sono<br />
infiniti, e inoltre Satana diventerebbe un'entità con le medesime<br />
prerogative di Dio.<br />
Così non può essere. Il Bene e il Male hanno entrambi sede<br />
in Dio; e poiché Egli creò l'uomo a sua immagine e somilianza,<br />
hanno ugualmente sede nell'uomo. Il problema, quindi,<br />
non è che il Bene prevalga sul Male, ma che queste due<br />
entità siano in equilibrio, in quanto nessuna delle due può<br />
esistere senza l'altra. E' questo il motivo per il quale è necessario<br />
costruire oscure e profonde prigioni al vizio ma non bisogna<br />
eliminarlo; una bilancia funziona solo se ha due piatti, che<br />
possono raggiungere quell'equilibrio che con un piatto solo<br />
sarebbe impossibile.<br />
7
Il femminile<br />
nelle fiabe<br />
di Stella D'Oronzo<br />
8<br />
O<br />
gnuno di noi ha fatto<br />
esperienza, direttamente<br />
come affascinato uditore e, crescendo,<br />
come narratore, del mondo<br />
fiabesco. Avere ascoltato, incantati<br />
dalla voce di un adulto, i fantastici<br />
intrecci della fiaba è un vissuto che<br />
accomuna quasi tutti i bambini. Così<br />
come spesso accade che quegli stessi<br />
bambini, crescendo, si ritrovino ad<br />
essere degli adulti che, come voce<br />
narrante, accompagnano<br />
i propri figli o nipoti nel<br />
mondo della fantasia, riproponendo<br />
a loro volta le fiabe<br />
che da piccoli più li avevano<br />
affascinati, ritrovando in esse e<br />
negli occhi di chi ascolta la stessa
tensione, lo stesso sguardo stupito e<br />
le stesse emozioni.<br />
Le fiabe sono una forma di narrazione<br />
presente in tutte le culture, hanno<br />
fondato le comunità di ogni paese e<br />
di ogni tempo, esistono infatti in ogni<br />
cultura, fiabe che contengono temi e<br />
storie molto simili, che fanno pensare<br />
all’impossibilità che ci sia stata una<br />
comunicazione di qualsivoglia tipo tra<br />
i narratori. “Già nelle opere di Platone<br />
leggiamo che le vecchie raccontavano ai<br />
bambini storie simboliche, dette Mythoi.<br />
Fin da allora dunque le fiabe erano connesse<br />
con l’educazione dei bambini” (Maria<br />
Luisa von Franz, Le fiabe interpretate,<br />
pg. 3). A cosa deve la fiaba questa sua<br />
universale diffusione?<br />
9
Nella foto:<br />
Burne Jones,<br />
La bella addormentata,<br />
1880.<br />
10<br />
E’ sempre la Von Franz a fornire<br />
una risposta a questo interrogativo,<br />
affermando che “Le fiabe sono l’espressione<br />
più pura e semplice dei processi<br />
psichici dell’inconscio collettivo. Per l’indagine<br />
scientifica dell’inconscio esse valgono<br />
perciò più di ogni altro materiale. Le fiabe<br />
rappresentano gli archetipi nella forma più<br />
semplice, genuina e concisa… ci offrono i<br />
migliori indizi per comprendere i processi<br />
che si svolgono nella psiche collettiva” (M.<br />
L. Von Franz,<br />
Le fiabe interpretate).<br />
“L’inconscio<br />
collettivo consta<br />
di contenuti che<br />
rappresentano il<br />
deposito dei tipici<br />
modelli di reagire<br />
dell’umanità fin dai<br />
suoi primi inizi –<br />
indipendentemente<br />
da differenziazioni<br />
storiche, etniche o<br />
di altro genere – in<br />
situazioni di natura<br />
genericamente umana,<br />
quali la paura,<br />
il pericolo, la lotta<br />
contro le forza superiori,<br />
le relazioni<br />
fra i sessi o fra figli e<br />
genitori, le figure del<br />
padre e della madre,<br />
il comportamento<br />
di fronte all’odio e<br />
all’amore, alla nascita<br />
e alla morte, la<br />
potenza dei principi<br />
dell’oscurità e della luce" (J. Jacobi, La<br />
Psicologia di Jung, pgg. 22-23).<br />
Il motivo della loro diffusione<br />
universale è quindi nella capacità di<br />
raccontare quello che non può essere<br />
narrato se non attraverso simboli e<br />
allegorie, in un linguaggio atemporale<br />
e collocato in un altrove.<br />
La fiaba sulla quale desidero soffermarmi,<br />
è una fiaba tedesca raccolta<br />
dai fratelli Grimm: Rosaspina, o la<br />
bella addormentata nel bosco.<br />
«C’erano una volta un Re e una Regina<br />
che non avevano figli e ogni giorno dicevano:<br />
“Ah, se avessimo un bambino!”. Ma<br />
il bambino non veniva mai. Un giorno,<br />
mentre la Regina faceva il bagno, vide<br />
saltar fuori dall’acqua una rana, che le<br />
disse: "Il tuo desiderio si compirà, prima<br />
che sia trascorso un anno, darai alla luce<br />
una figlia".<br />
La profezia della rana si avverò e, passato<br />
il tempo previsto, la Regina partorì<br />
una bimba, tanto bella che il Re non stava<br />
in sé dalla gioia. Indisse una gran festa,<br />
alla quale invitò parenti, amici, conoscenti<br />
e anche le fate, affinché fossero propizie e<br />
benevole verso la neonata, a cui era stato<br />
dato il nome di Rosaspina. Nel regno ce<br />
n’erano tredici ma la reggia disponeva solo<br />
di dodici piatti d’oro per il pranzo, per cui<br />
una delle fate non fu invitata e dovette<br />
restarsene a casa.
La festa fu celebrata con gran pompa;<br />
quando stava per terminare le fate<br />
offrirono alla bimba i loro doni: la prima<br />
le donò la virtù, la seconda la bellezza,<br />
la terza la ricchezza, e così via, porgendo<br />
alla piccola principessa tutto quel che si<br />
può desiderare al mondo.<br />
Undici fate avevano già formulato il loro<br />
augurio, quando improvvisamente giunse<br />
la tredicesima. Irritata per non essere<br />
stata invitata entrò nella sala dove si stava<br />
svolgendo il ricevimento e, senza salutare<br />
né guardare nessuno, disse ad alta voce: "A<br />
quindici anni la principessa si pungerà con<br />
un fuso e cadrà a terra morta". Quindi, senza<br />
aggiungere altro, voltò le spalle e lasciò la<br />
sala. Fra la gente atterrita, si fece avanti la<br />
dodicesima fata, che doveva ancora formulare<br />
il suo voto; non poteva annullare il<br />
crudele decreto, ma poteva mitigarlo e disse:<br />
“La principessa non morirà ma cadrà in<br />
un sonno profondo che durerà cent’anni”.<br />
La profezia si avverò: la ragazza si punse<br />
con un fuso e cadde in un sonno profondo<br />
che coinvolse tutta la corte.<br />
La notizia si sparse rapidamente; la<br />
bellezza di Rosaspina era ben nota per cui<br />
negli anni seguenti molti principi tentarono<br />
di attraversare la barriera di rovi che si<br />
era creata intorno al castello, per cercare<br />
di svegliarla; tuttavia nessuno vi riuscì: i<br />
rami erano troppo intricati perché qualcuno<br />
potesse vincerli.<br />
I cento anni di<br />
sonno stavano per<br />
compiersi quando<br />
un ennesimo<br />
principe arrivò nel<br />
paese; aveva sentito<br />
raccontare la storia<br />
della principessa e<br />
della corte addormentata<br />
insieme a<br />
lei, e aveva deciso<br />
di salvarla. Giunto<br />
al roveto che circondava<br />
il castello,<br />
anziché incontrare<br />
una barriera di<br />
spine trovò soltanto<br />
una siepe fiorita,<br />
che spontaneamente<br />
si separò per lasciarlo<br />
passare, congiungendosi<br />
poi alle sue<br />
spalle. Nel cortile<br />
del castello egli vide<br />
cavalli e cani che<br />
dormivano sdraiati<br />
al suolo quindi, proseguendo,<br />
raggiunse<br />
il salone delle feste, dove il Re e la Regina<br />
giacevano addormentati, e con loro tutta<br />
la corte.<br />
Il principe andò oltre, il silenzio era<br />
tale che udiva solo il proprio respiro;<br />
finalmente giunse alla torre e aprì la porta<br />
della stanzetta in cui giaceva Rosaspina.<br />
Era così bella che il giovane non riusciva a<br />
distoglierne lo sguardo; le si accostò e, chinandosi,<br />
non potè fare a meno di baciarla.<br />
A quel bacio Rosaspina aprì gli occhi e si<br />
11
12<br />
svegliò, guardandolo sorridente.<br />
La fiaba si conclude con le nozze del<br />
principe e di Rosaspina, che da quel momento<br />
vissero insieme felici e contenti.»<br />
Nel suo saggio la Von Franz sostiene<br />
che il motivo centrale di Rosaspina<br />
risale ad un'epoca molto antica<br />
ed ha avuto notevole diffusione e<br />
pochissime varianti. La fiaba è stata<br />
quindi tramandata sostanzialmente<br />
inalterata fino al film di animazione<br />
di Walt Disney, che nel 1959 fece conoscere<br />
al mon- do uno dei suoi<br />
più grandi successi: La Bella<br />
addormentata nel bosco.<br />
Il car-<br />
tone riporta<br />
fedelmente<br />
quanto narrato nella fiaba: la<br />
fata esclusa, con una cattiveria che<br />
agli occhi di tutti sarà certo sembrata<br />
fuori misura e sproporzionata rispetto<br />
all’offesa, punisce il Re attraverso<br />
la sua bambina, condannandola ad<br />
un sonno simile alla morte. In questa<br />
fiaba quindi si riscontrano tanti topoi:<br />
una nascita miracolosa annunciata<br />
da una rana, una presenza femminile<br />
(Aurora) che non ha ombre e lati<br />
oscuri, ma che anzi, appare sostanzial-<br />
mente appiattita e priva<br />
di contrasti, e l’esclusione di<br />
una Dea. La Von Franz asserisce<br />
che il motivo della Dea<br />
dimenticata è anch’esso archetipico,<br />
e a questo proposito tale<br />
frangente della fiaba ricalca<br />
moltissimo, a mio parere, l’episodio<br />
della Dea della vendetta<br />
Ate, che, infuriata per non essere<br />
stata invitata al banchetto di nozze<br />
di Peleo e Teti, compare solo per donare<br />
una<br />
mela<br />
d’oro<br />
recante la<br />
scritta “Tei Kallistei”<br />
(Alla più<br />
bella). L’episodio,<br />
come sappiamo,<br />
giungerà a provocare,<br />
nel mito, la<br />
guerra di Troia.<br />
Unica differenza nel<br />
film d’animazione rispetto alla<br />
fiaba classica è che per la prima<br />
volta la fata cattiva ha un nome:<br />
Malefica. Ella si configura quindi<br />
come la Madrina cattiva,<br />
rintracciabile in altre storie.<br />
Ma perché esiste tale figura?<br />
E da dove sorge la rabbia<br />
incomprensibile della fata<br />
cattiva? La madrina cattiva<br />
rappresenta un tipo di<br />
femminile avverso e ostile<br />
al femminile. Secondo la<br />
Von Franz “nella nostra
civiltà ebraico-cristiana, cioè in una tradizione<br />
rigidamente patriarcale, l’immagine<br />
della donna non trova una rappresentanza<br />
adeguata, nemmeno nel culto mariano.<br />
Come diceva Jung scherzosamente, ella<br />
non ha rappresentanti nella Camera Alta.<br />
E’ come dire che è trascurata l’Anima<br />
dell’uomo e la donna reale è incerta sulla<br />
propria essenza, su ciò che è o che potrebbe<br />
essere. Così per la donna si prospettano<br />
due vie: o regredire al modello primitivo<br />
ed istintivo e aderirvi strettamente, per<br />
proteggersi dalla pressione esercitata su di<br />
lei dalla civiltà, oppure cadere in un atteggiamento<br />
di Animus, identificarsi con esso<br />
totalmente e cercare di costruire un’immagine<br />
maschile di se stessa, per compensare<br />
l’insicurezza che sente dentro di sé sulla<br />
sua natura." (M. L. Von Franz, Il femminile<br />
nella fiaba, pg 10).<br />
Non è un caso, a mio parere,<br />
che ad oggi le dinamiche non siano<br />
cambiate di molto. Assistiamo infatti<br />
sempre più di frequente ad un’inversione<br />
di tendenza: le donne che, dalla<br />
maggior parte dell’opinione pubblica<br />
e del sentire comune, vengono considerate<br />
“vincenti” e “ispiratrici” sono<br />
quelle più integrate nel tessuto sociale<br />
ma soprattutto lavorativo, quelle che<br />
hanno costruito un immagine maschile,<br />
che sposa in toto l’idea che ad<br />
oggi abbiamo di “successo”.<br />
A questo punto è bene precisare<br />
cosa Jung intenda per gli archetipi di<br />
Animus e Anima. “Ciascuna di queste<br />
figure archetipiche dell’immagine dell’anima<br />
rappresenta la parte della psiche che<br />
ha attinenza col sesso opposto e indica<br />
sia la conformazione del nostro rapporto<br />
con esso, sia il deposito dell’esperienza<br />
collettiva umana al riguardo. E’ dunque<br />
l’immagine dell’altro sesso che portiamo<br />
in noi, come esseri singoli e come appartenenti<br />
alla nostra specie. Secondo la legge<br />
endopsichica, tutto ciò che nella psiche vi<br />
è di latente, di non vissuto, di indifferenziato,<br />
tutto ciò che si trova ancora nell’inconscio,<br />
e quindi anche l’Eva dell’uomo<br />
come l’Adamo della donna, è proiettato.<br />
Per conseguenza si sperimenta il proprio<br />
fondamento eterossessuale primigenio in<br />
un altro, si sceglie un altro, ci si lega ad<br />
un altro, che rappresenta le proprietà della<br />
nostra anima." (J. Jacobi, pg 143).<br />
E poi ancora: “La prima portatrice<br />
dell’immagine dell’anima è sempre la<br />
madre, più tardi sono quelle donne che<br />
eccitano il sentimento dell’uomo, non<br />
importa se in senso positivo o negativo. Il<br />
distacco dalla madre è uno dei principali<br />
e più delicati problemi della formazione<br />
della personalità, soprattutto dell’uomo.<br />
I primitivi posseggono tutta una serie di<br />
cerimonie ed iniziazioni maschili (…).<br />
L’europeo deve invece fare la conoscenza<br />
13
della parte femminile, o maschile, della<br />
sua anima acquistandone consapevolezza<br />
(…). In conseguenza dell’orientamento<br />
patriarcale della nostra civiltà occidentale,<br />
anche la donna è più incline a dare<br />
maggior valore all’elemento maschile che a<br />
quello femminile, e ciò contribuisce molto<br />
a rafforzare il potere dell’Animus. Tanto<br />
l’Animus quanto l’Anima, rivestono due<br />
forme fondamentali, la figura luminosa<br />
e l’oscura, la superiore e l’inferiore, con<br />
segno ora positivo ora negativo. Esseno<br />
mediatore tra il conscio e l’inconscio, l’Animus,<br />
secondo la natura del Logos, pone<br />
l’accento sul conoscere e specialmente sul<br />
capire." (J. Jacobi, pg 148).<br />
Ritornando quindi alla figura<br />
della fata cattiva, essa rappresenta<br />
la dea-madre, è la personificazione<br />
dei sentimenti feriti e inaciditi, il<br />
latte che diventa acido. Ciò illumina<br />
un problema tipico della psicologia<br />
femminile: in moltissimi casi le<br />
sofferenze della donna derivano da<br />
una reazione archetipica che consiste<br />
nel non sapere superare una ferita, un<br />
rancore o un cattivo umore dinanzi<br />
ad una delusione nella sfera dei sentimenti.<br />
Questa reazione la sommerge<br />
e spalanca le porte a quanto vi è in<br />
lei di aspro, agli attacchi cioè del suo<br />
Animus. Le donne con un complesso<br />
materno negativo sono più inclini<br />
delle altre a questo genere di reazione,<br />
perché hanno un grandissimo bisogno<br />
del calore e dell’attenzione che<br />
non hanno trovato a sufficienza nella<br />
madre. Una donna con un complesso<br />
materno negativo è continuamente<br />
minacciata da questa amarezza (M.<br />
Luise Von Franz, Il femminile nelle<br />
fiabe pg 37).<br />
Ma qual è la ferita nel caso di Malefica?<br />
La fiaba, abbiamo detto, trova<br />
nel mancato invito alla festa il motivo<br />
che spingerà la fata a perpetrare<br />
14
la sua vendetta. Nel 2014 la fiaba<br />
di Rosaspina è stata oggetto di una<br />
riuscitissim rinarrazione ad opera di<br />
Stronberg e Woolverton, che hanno<br />
dato vita al film Maleficent.<br />
«Lasciate che di nuovo vi narri una<br />
vecchia storia. E si vedrà quanto bene la<br />
conosciate - è l’incipit del film - C’erano<br />
una volta due regni vicini ed uno era il<br />
peggior nemico dell’altro. Si diceva che<br />
la discordia tra loro fosse così profonda<br />
che solo un grande eroe o un vero cattivo<br />
avrebbe potuto farli riavvicinare. In uno<br />
dei due regni vivevano persone come voi<br />
e come me, governate da un Re vanesio e<br />
avido. Esse erano sempre scontente e invidiose<br />
della ricchezza e della bellezza del<br />
regno vicino. Perché nell’altro regno, nella<br />
Brughiera, vivevano innumerevoli, strane<br />
e prodigiose creature a cui non servivano<br />
né Re né Regine, perché si fidavano l’uno<br />
dell’altro. Dentro un grande albero, su un<br />
imponente rupe, nella Brughiera, viveva<br />
uno di questi spiriti. Si potrebbe scambiare<br />
per una ragazza, ma lei non era solo una<br />
ragazza. Lei era una fata».<br />
Compare quindi Malefica come<br />
mai nessuno se la aspetterebbe. E’<br />
una ragazzina particolarmente bella,<br />
sorridente, ha ali maestose e corna.<br />
Vola sulla Brughiera facendo scherzi<br />
e curando, con il solo tocco, la natura<br />
circostante.<br />
Il suo primo contatto col mondo<br />
degli uomini avviene a causa di<br />
Stefano, il primo che osa entrare nella<br />
Brughiera; è un ragazzino orfano che<br />
valica il limite imposto tra i due mondi<br />
solo per rubare una gemma. Malefica<br />
non desidera punirlo, lo invita a<br />
lasciare quanto preso e ad andar via<br />
senza fare ritorno.<br />
Si salutano, ma nel farlo l’anello<br />
di ferro di Stefano brucia Malefica<br />
la quale, in quanto fata, non può<br />
toccare il ferro, perché è simbolo del<br />
15
16<br />
maschile, delle armi, del potere. Il<br />
ragazzino non esita a buttare l’anello,<br />
nonostante fosse una delle poche cose<br />
in suo possesso. E fu così che «Stefano<br />
e Malefica divennero i più improbabili degli<br />
amici, e per un periodo sembrò che, almeno<br />
per loro, l’antica ostilità tra gli umani e le<br />
fate fosse ormai dimenticata. Come spesso<br />
succede, l’amicizia lentamente si trasformò<br />
in qualcos’altro. E nel giorno del sedicesimo<br />
compleanno di Malefica, Stefano le fece<br />
un dono: le disse che era il bacio del vero<br />
amore, ma non sarebbe stato così».<br />
Se infatti da parte di Malefica c’è<br />
la disponibilità e la voglia di lanciarsi<br />
nell’ignoto, e quindi di diventare<br />
“preda” del vero amore, per Stefano<br />
le cose sono diverse. Per lui quel bacio<br />
non è un’epifania, non lo dispone<br />
al contatto con la sua “anima” e con<br />
un mondo naturale a lui ignoto. Egli<br />
è troppo preda del mondo e delle<br />
ambizioni terrene degli umani per<br />
permettere che questo avvenimento<br />
faccia da ponte tra i loro mondi, tra il<br />
mondo materiale e il mondo dell’immateriale,<br />
tra il mondo del ferro e<br />
quello della natura. Egli ormai è cresciuto<br />
e troppo forti ed insistenti sono<br />
i richiami alla ricchezza, al possesso<br />
e alla vanagloria. Così i due ragazzi<br />
crescono in due modi diversi: Stefano<br />
sempre più legato alle vicende del suo<br />
Regno e a un Re avido e desideroso<br />
di imporre il suo dominio anche sul<br />
mondo fatato; Malefica sempre più<br />
compenetrata nel suo mondo e nel<br />
suo ruolo di guardiana della Brughiera.<br />
Lei è Artemide, e per questo<br />
è sola per natura (M. Gancitano,<br />
Malefica, pg. 37).<br />
Il gesto di Stefano ormai ha aperto<br />
una breccia che non è più possibile<br />
richiudere e sarà proprio lui<br />
ad aiutare il re nel suo desiderio di<br />
conquista. Pur di essere designato<br />
come successore al trono si offre di<br />
sconfiggere Malefica, e lo fa ritornan-
do alla Brughiera, addormentandola<br />
con un sonnifero e tagliandole le ali.<br />
Quando ella si sveglierà e scoprirà<br />
l’accaduto urlerà; “è un urlo che riporta<br />
a galla tutto il dolore accumulato nella<br />
storia a causa del tradimento, non solo<br />
dell’uomo nei confronti della donna, ma<br />
dell’uomo nei confronti della propria parte<br />
spirituale (femminile)” (M. Gancitano)<br />
ma anche, a mio parere, dell’uomo<br />
nei confronti della propria Anima.<br />
In seguito Malefica si rialza, il<br />
dolore è fortissimo ma ella accetta<br />
la sua nuova condizione e ritrova la<br />
dignità. E' cambiata, e con lei tutta<br />
la Brughiera, che all’improvviso è<br />
diventata un territorio grigio, ostile<br />
e freddo. In lei è morto qualcosa, la<br />
ferita è troppo grande e troppo profonda,<br />
è ormai preda dell’Animus.<br />
La fata cattiva, secondo la von<br />
Franz, incarna un aspetto della deamadre<br />
che esisteva in molte civiltà<br />
antiche e primitive, ma è stato largamente<br />
dimenticato nella nostra civiltà:<br />
quello del principio femminile di<br />
severità e vendetta, che non coincide<br />
con il corrispettivo atteggiamento<br />
maschile. “Quando pensiamo ad una<br />
punizione – la vendetta è una forma<br />
primitiva di castigo – siamo abituati a<br />
pensare a leggi stabilite, alla loro violazione<br />
e alle pene comminate. Fare leggi e<br />
decidere in quali pene incorrono coloro che<br />
non le osservano è un modo maschile di<br />
affrontare il problema della giustizia. Le<br />
nostre leggi sono basate sul codice romano<br />
e sulla mentalità patriarcale, al punto che<br />
noi consideriamo generalmente la punizione<br />
come qualcosa che riguarda il mondo<br />
maschile, mentre la carità e la tendenza<br />
ad ammettere eccezioni sarebbero legate al<br />
principio femminile (…). Si potrebbe dire<br />
che la legge, come noi la concepiamo da un<br />
punto di vista maschile, è legata al principio<br />
del Logos; essa corrisponde all’idea<br />
fondamentale che un ordine debba regnare<br />
nella famiglia e nella società. A questo<br />
17
scopo vengono stabilite regole e coloro che<br />
non vi si attengono vengono puniti. Ma vi<br />
è un altro principio femminile di giustizia,<br />
di vendetta e di castigo, che avvicinerei<br />
al carattere vendicativo della natura. La<br />
natura è rigida, severa e crudelmente vendicatrice.<br />
In natura non esiste né giudizio<br />
né regola, ma semplicemente, esprimendoci<br />
in termini mitologici, la vendetta del<br />
lato oscuro della Dea. Le donne tendono<br />
a non dare molta importanza ai principi<br />
della giustizia e della legge, ma a reagire<br />
istintivamente a quanto loro dispiace: una<br />
reazione questa, simile a quella della natura.”<br />
(M. Gancitano, cit.)<br />
La sua occasione di vendetta, Malefica<br />
la troverà quando Fosco, il suo<br />
messaggero, la informerà della nascita<br />
di una bambina a corte. Ormai da tempo<br />
Malefica ha deciso di utilizzare<br />
i suoi poteri non più per<br />
essere guardiana<br />
del monbene<br />
qual è il motivo del suo arrivo.<br />
“Stefano ha rifiutato la propria vocazione<br />
per avere un posto nel mondo, la carica<br />
più alta del suo regno. A livello psicologico,<br />
l’unico modo per poter ottenere questo<br />
era uccidere la parte più autentica di sé,<br />
quella creatura ribelle e selvaggia, profonda<br />
e protettiva che si chiama Malefica.<br />
Ella rappresenta il suo fallimento, la sua<br />
possibilità mancata, il suo desiderio di<br />
potere che ha vinto sul desiderio di ricerca<br />
della verità” (M. Gancitano, pg 47-48).<br />
Appare evidente che quello che<br />
Stefano fa individualmente è stato da<br />
secoli fatto a livello collettivo; è come<br />
se l’ontogenesi riproponesse la filogenesi.<br />
Il patriarcato e le grandi religioni<br />
monoteiste hanno spazzato via il<br />
culto della Dea Madre, e se, secondo<br />
la Von Franz, “nel mito il maschile è<br />
riuscito a incarnarsi pienamente in un<br />
figlio umano, la Dea Madre antica non<br />
è riuscita a farlo. Anche nell’ambito della<br />
religione cristiana Dio si incarna nel Cristo,<br />
ma la vergine Maria non ha<br />
alcun collegamento<br />
con una<br />
do<br />
magico<br />
e buona madre<br />
delle creature della foresta,<br />
ma per soddisfare il suo grande,<br />
smisurato desiderio di vendetta.<br />
Quando compare a corte, tutti i<br />
presenti sono scossi da un brivido.<br />
Lei rappresenta tutto quello che<br />
Stefano e gli uomini si sono sforzati<br />
di dimenticare, tutto quello che il<br />
mondo maschile teme e che per questo<br />
vorrebbe far sparire. Il re quindi<br />
non si è dimenticato di invitarla, e sa<br />
18
qualche divinità femminile”.<br />
L’unica figura femminile riconosciuta<br />
nella storia del Cristianesimo<br />
è la Madonna, che d’altronde, risulta<br />
“epurata” da qualsiasi tratto o caratteristica<br />
ostile; non ha più nulla della<br />
ferocia delle divinità femminili della<br />
storia, non ha alcuna ombra, nessuna<br />
oscura attribuzione. Privata di qualsiasi<br />
istintualità e di qualsiasi ombra,<br />
ella è “sottomessa” alla divinità maschile,<br />
e le viene riconosciuta, come<br />
madre misericordiosa, la possibilità<br />
di mediare con la divinità.<br />
Scrive Clarissa Pinkola Estes: “La<br />
fauna selvaggia e la donna selvaggia sono<br />
specie a rischio. Nel tempo abbiamo visto<br />
saccheggiare, respingere, sovraccaricare la<br />
natura istintiva della donna. Per lunghi<br />
periodi è stata devastata, come la fauna e<br />
i territori selvaggi. Per alcune migliaia di<br />
anni, e basta guardarsi indietro perché la<br />
visione si ripresenti, resta relegata nel più<br />
misero territorio della psiche. I territori<br />
spirituali della Donna Selvaggia,<br />
nel corso della storia,<br />
sono stati<br />
spogliati o bruciati, le caverne distrutte,<br />
i cicli naturali costretti a diventare ritmi<br />
innaturali per compiacere gli altri. Non<br />
a caso le antiche lande del nostro pianeta<br />
scompaiono a mano a mano che svanisce<br />
la comprensione della nostra intima natura<br />
selvaggia. Non è poi tanto difficile da<br />
comprendere come mai le foreste antiche e<br />
le donne anziane sono considerate risorse<br />
di scarsa importanza. Non è un mistero<br />
insondabile. Non è mera coincidenza se<br />
i lupi e i coyote, gli orsi e le donne un po’<br />
selvagge godono di una reputazione simile.<br />
Tutti si rifanno ad archetipi istintuali fra<br />
loro connessi, e pertanto sono erroneamente<br />
considerati privi di grazia e gentilezza,<br />
totalmente e istintivamente pericolosi e<br />
rapaci”. (Clarissa Pinkola Estès, Donne<br />
che corrono coi lupi).<br />
Stefano ripercorre lo stesso processo:<br />
priva Malefica dei<br />
suoi attributi magici<br />
(il taglio<br />
delle<br />
ali è estremamente<br />
simbolico), priva la fata<br />
quindi del suo “divino”, della sua<br />
natura selvaggia e della sua potenza,<br />
e la dimentica. È convinto che una<br />
volta resa inoffensiva essa non nuocerà<br />
più, non avrà più alcuna influenza<br />
sul mondo del materiale, sul mondo<br />
dell’uomo. Ma si sbaglia.<br />
Malefica infatti decide di fare un<br />
dono ad Aurora, nell’esprimere il<br />
quale è ammantata da una luce verde<br />
19
20<br />
che ben rappresenta il suo stato d’animo:<br />
al compimento del suo sedicesimo<br />
anno la principessa si pungerà<br />
con un fuso e cadrà in un sonno simile<br />
alla morte, dal quale verrà destata<br />
solo dal bacio del vero amore.<br />
E' a questo punto che Malefica finisce<br />
con l'incarnare il materno cattivo,<br />
il femminile avverso al femminile.<br />
In preda all’Animus<br />
ella finisce per<br />
compiere un gesto<br />
patriarcale, diventa<br />
essa stessa maschile,<br />
rendendosi capace<br />
di un gesto che altro<br />
non è che lo specchio<br />
della ferita subita.<br />
Ma perché il<br />
fuso? Quale significato<br />
riveste? Anche<br />
in questo caso è la<br />
Von Franz ad illuminarci,<br />
affermando<br />
infatti che anch’esso<br />
è un simbolo femminile:<br />
«Nella Germania<br />
medioevale si parlava<br />
della parentela del fuso<br />
per designare la famiglia<br />
materna. Esso era<br />
anche l’emblema di<br />
Santa Gertrude, cui si<br />
ascrivevano le qualità<br />
delle dee madri precristiane:<br />
Freia, Hulda,<br />
Perchta e altre. Inoltre<br />
il fuso è simbolo della<br />
vecchia saggia e della<br />
strega. Anche la semina,<br />
la filatura e la tessitura del lino sono<br />
legate all’essenza della vita femminile, con<br />
le sue implicazioni di sessualità e fertilità.»<br />
Nella nostra storia il fuso è l’analogo<br />
della spina o dell’ago di molti racconti<br />
popolari; psicologicamente una<br />
parola pungente può effettivamente<br />
uccidere. l’osservazione tagliente è<br />
la forma abituale dell’aggressività<br />
femminile e dell’Anima. Generalmente<br />
le donne non sbattono la porta,<br />
non imprecano, ma lanciano qualche<br />
osservazione sottile; è la ferita della<br />
strega che colpisce precisamente<br />
il punto debole dell’altro. La fiaba<br />
denuncia un complesso materno,<br />
più esattamente l’Animus negativo<br />
materno, poiché la vecchia filatrice è<br />
una specie di madre o nonna e il fuso<br />
rappresenta l’Animus della madre.<br />
Re Stefano reagisce come nella<br />
fiaba classica, sequestrando e distruggendo<br />
tutti gli arcolai del regno<br />
e bandendone il possesso. Allontana<br />
Aurora dalla reggia e, per farla vivere<br />
in un posto sicuro e al riparo, egli<br />
ritiene, da pericoli la affida a tre fate,<br />
alle quali dona sembianze umane.<br />
All’inizio Malefica sorveglia la
imba da lontano, quasi incuriosita,<br />
ma le fate scelte dal re sono sbadate<br />
e senza la presenza di Malefica e del<br />
suo messaggero Fosco la bambina<br />
non sopravvivrebbe. Mentre il Re si<br />
rintana nel castello, preda dei suoi<br />
desideri di vendetta e di distruzione,<br />
Malefica continua ad osservare da<br />
lontano Aurora che cresce, e questo<br />
non può non cambiarla. Riprende a<br />
guarire alberi e abitanti della Brughiera,<br />
e quando la bimba le si avvicinerà<br />
e le chiederà di essere presa in braccio,<br />
indugiando sulle sue corna e sul<br />
suo viso, Malefica sarà disorientata.<br />
Questo gesto sarà l'inizio di una<br />
relazione profonda e bizzarra tra la ragazza<br />
e la fata, che qualche anno prima<br />
l’aveva condannata. Quando Aurora<br />
comincerà a chiedersi cosa possa nascondersi<br />
oltre il limite della Brughiera,<br />
sempre presidiato dai soldati del re,<br />
la strega l’addormenterà e la porterà<br />
nel suo regno, dove scoprirà quanto la<br />
ragazza incarni un perfetto ponte tra i<br />
due mondi. Aurora si accorgerà della<br />
presenza della fata e la inviterà a farsi<br />
avanti e a mostrarsi, chiamandola Fata<br />
Madrina; la conosce<br />
già, perché l’ombra<br />
di Malefica l’ha<br />
seguita passo passo<br />
per tutti quegli anni.<br />
Il tempo passa in<br />
fretta, ormai Aurora<br />
si muove nella Brughiera<br />
e stabilisce<br />
senza difficoltà un<br />
contatto con tutte le<br />
forme di vita che la<br />
abitano. Nonostante<br />
le resistenze iniziali<br />
il legame è saldo e<br />
Malefica decide di<br />
revocare la maledizione;<br />
mentre la ragazza<br />
dorme prova<br />
a spezzare l’incantesimo,<br />
ma si accorge<br />
che non è nei suoi<br />
poteri annullare<br />
quanto decretato. Invita<br />
allora la ragazza<br />
a vivere con lei nella<br />
Brughiera, illudendosi,<br />
come già era<br />
successo al re, che<br />
questo basti ad evitarle<br />
il suo destino.<br />
Così accade che gli eventi prendano<br />
il loro corso: Aurora corre a casa<br />
delle zie (le tre fate) per comunicare<br />
loro la sua decisione di vivere nella<br />
brughiera, sulla strada incontra Filippo<br />
e fra i due nasce un'immediata<br />
simpatia. Tutto accade così come doveva<br />
essere; le zie per sbaglio mettono<br />
a conoscenza Aurora della maledizione<br />
e la ragazza corre al castello<br />
21
per riabbracciare il padre. E' proprio<br />
il giorno del suo sedicesimo compleanno<br />
e Aurora per caso si punge<br />
con un fuso, piombando in un sonno<br />
profondo, simile alla morte. Il bacio<br />
che la desterà, però, non sarà di Filippo,<br />
portato al castello da Malefica<br />
e Fosco nella speranza che egli possa<br />
essere il vero amore, ma quello datole<br />
da Malefica, piangente accanto a lei.<br />
Dopo varie peripezie, anche nel<br />
film si giunge al lieto fine: Aurora<br />
aiuterà Malefica a riconquistare<br />
le sue ali, conservate in una teca a<br />
palazzo, il Re alla fine di una strenua<br />
battaglia crollerà sconfitto e Aurora<br />
diventerà l’artefice dell’unificazione<br />
dei due regni, sui quali governerà<br />
senza desiderio di potere.<br />
Di questa versione cinematografica<br />
di Rosaspina ci sono diversi aspetti<br />
degni di nota. Il fatto stesso che<br />
qualcuno abbia pensato alla rinarrazione<br />
di una fiaba così classica e così<br />
antica, riscontrando notevole successo<br />
da parte del pubblico, credo che<br />
possa indicare che forse i tempi per<br />
una riflessione più matura e consapevole<br />
del ruolo del femminile nella<br />
società possano essere maturi.<br />
Penso inoltre che molti avvertissero<br />
un senso di incompiutezza di<br />
fronte ad una favola in cui esiste una<br />
cattiva paradossalmente cattiva, e un<br />
eroe che, come impresa, non deve far<br />
altro che attraversare una siepe fiorita.<br />
E che Malefica salvi Aurora, la<br />
donna salvi la donna, è anche estre-<br />
22
mamente significativo.<br />
Nell’analisi della Von Franz, e in<br />
una prospettiva individuale, la storia<br />
di Rosaspina è quella di un complesso<br />
materno negativo della donna, e dal<br />
punto di vista maschile, dell’uomo nel<br />
quale l’Anima si è addormentata. La<br />
conclusione alla quale giunge la versione<br />
cinematografica è invece diametralmente<br />
opposta: è una donna che<br />
salva la donna, suggerendo che solo<br />
l’incontro, lo scontro e la successiva<br />
integrazione delle parti in “ombra”, in<br />
questo caso dell’Animus e dell’Anima,<br />
a seconda che si sia uomo o donna,<br />
possa portare alla vera armonia psichica<br />
che consente di comportarsi in<br />
accordo con le proprie leggi interne.<br />
Viviamo in una società che della<br />
donna propugna due modelli agli<br />
antipodi. Da una parte la donna<br />
“mascolinizzata” e integrata, che<br />
ha rinunciato a parte della sua vera<br />
natura pur di poter essere riconosciuta,<br />
e che spesso imita, quasi scimmiotta<br />
il maschile. Dall’altro lato c'è<br />
una donna sempre più “oggetto” e<br />
“specchio” dell’immagine che di lei<br />
ha l’uomo; oggetto nelle pubblicità,<br />
oggetto nell’immaginario collettivo,<br />
oggetto purtroppo di tanti, troppi<br />
episodi di cronaca nera.<br />
Forse è giunto il momento di dare<br />
voce a quel femminile del quale tutti<br />
abbiamo cercato di dimenticarci, e che<br />
rappresenta una parte autentica di noi,<br />
che è possibile e necessario integrare,<br />
per noi e per le prossime generazioni.<br />
23
24
25
la morte<br />
di Aldo Tavolaro<br />
L'<br />
uomo ha sempre avuto paura<br />
della morte e non gli si può<br />
dare torto: è un salto nell'ignoto, ancor<br />
più pauroso per la trasformazione<br />
fisica che comporta. Di conseguenza,<br />
in ogni tempo e in ogni luogo l'uomo<br />
ha cercato di esorcizzare questa<br />
paura ponendo, al di là del trapasso,<br />
nuove e diverse residenze.<br />
Cos', mettendo in moto la fantasia,<br />
i Caldei hanno individuato Pardes, gli<br />
Indù Meru, gli Iperborei Uttarakura, i<br />
Teutonici il Walhalla, il tempio celeste<br />
dove le Valkirie accompagnavano i<br />
guerrieri morti in battaglia affinché<br />
vi pranzassero con Odino, bevendo<br />
birra e idromele.<br />
Per i Musulmani questo posto è<br />
Qâf, luogo di delizie popolato dalle Urì,<br />
splendide fanciulle destinate al sollazzo<br />
26
dei trapassati merirtevoli. I Cristiani<br />
sono più pignoli: i buoni vanno in<br />
Paradiso, i cattivi all'Inferno e quelli<br />
così così fanno un corso di riparazione<br />
in Purgatorio. L'importante è inventarsi<br />
qualcosa che plachi la pauta.<br />
Comunque non tutti hanno paura<br />
della morte. Socrate la considerò<br />
una liberazione, e chiese a Critone di<br />
offrire un gallo a Esculapio in segno<br />
di ringraziamento.<br />
Secondo Baudelaire neanche i<br />
poveri hanno paura della morte, anzi<br />
per loro "è la Morte che consola, ahimé, e<br />
che fa vivere; è lo scopo della vita, è la sola<br />
speranza che, come un elisir, ci trasporta e<br />
c'inebria, e ci dona il coraggio di arrivare<br />
alla sera; attraverso la tempesta, e la neve,<br />
e la brina, è il lume palpitante sull'orizzonte<br />
nero; è la locanda famosa, segnata<br />
27
Nell'immagine:<br />
Eugène Delacroix,<br />
La morte di Sardanapalo.<br />
28<br />
sulla guida, dove si potrà mangiare, e sedere,<br />
e dormire..."<br />
La disperazione per la morte è<br />
maggione nei ricchi che, per la loro<br />
avidità, rimpiangono i beni che<br />
lasciano. Emblematica è la leggenda<br />
di Sardanapalo (Re Assurbanipal di<br />
Assiria) il quale, quando si rese conto<br />
che Ninive era sul punto di cadere<br />
nelle mani dei ribelli comandati<br />
da Arbace, prima che giungesse<br />
la sua ora fece uccidere tutti i<br />
suoi cavalli e le sue concubine,<br />
nella egoistica follia di portare<br />
tutto con sé.<br />
Per non parlare della recente<br />
vicenda di un ricco possidente<br />
che, senza discendenti, ha lasciato<br />
tutti i suoi averi alla Chiesa,<br />
con l'impegno di celebrare ogni<br />
giorno messe funebri per lui, per<br />
i suoi genitori, per le sorelle e i<br />
fratelli. In sostanza, un sistema<br />
per continuare a far rendere i suoi<br />
beni dopo la morte, non potendoli<br />
portare con sé. Una mentalità<br />
mercantile che continua anche<br />
dopo la morte: pagare i preti che<br />
celebrano messe in suffragio proprio<br />
e dei propri defunti, in modo<br />
da ridurre la permanenza in Purgatorio.<br />
In tal modo tutti possono<br />
accedere al Paradiso, dopo aver<br />
pagato con denaro contante il<br />
biglietto d'ingresso.<br />
Sin qui la morte fisica.<br />
Ma c'è anche chi vede la morte<br />
come una necessità verso la<br />
rinascita, in quanto, si sostiene,<br />
non può esservi vita se non preceduta<br />
da una morte. L'esempio<br />
classico è quello del chicco di grano,<br />
che sotto terra muore e marcisce per<br />
dar vita alla nuova pianta.<br />
Nulla si crea, nulla si distrugge,<br />
tutto si trasforma. L'uomo stesso, se<br />
viene seppellito in aperta campagna,<br />
trasformando la propria materia<br />
organica concimerà la terra, contribuendo<br />
alla crescita delle piante.<br />
E' pertanto evidente che si tratta di<br />
processi automatici già inseriti nella<br />
dinamica evolutiva.<br />
Cambia tutto quando si parla di<br />
morte iniziatica.<br />
Quel morire al peggio per rinascere<br />
al meglio non prevede un processo<br />
automatico, come accade per il<br />
chicco di grano; qui interviene un<br />
preciso atto di volontà dell'individuo,<br />
che sceglie una propria via lungo la<br />
quale si muove da solo, tappa dopo<br />
tappa. Come il nocchiero di una nave<br />
può imbattersi in un mare tranquillo<br />
o tempestoso, e di volta in volta deve<br />
decidere cosa fare.<br />
Ne consegue che la morte iniziatica<br />
non è una morte naturale ma un<br />
assassinio: il soggetto che con ferma
volontà ha scelto la via iniziatica deve<br />
ogni volta essere assassino della parte<br />
peggiore di sé, di quella parte che, passata<br />
al vaglio, egli rifiuta. È necessario<br />
abbattere il complicato e preesistente<br />
sistema delle proprie convinzioni,<br />
raggiungere lo stato d'innocenza che<br />
è necessario per comprendere una<br />
dottrina che non può essere ricevuta<br />
se non in estrema purezza.<br />
D'altronde non deve sorprendere<br />
uno strappo così sconcertante; anche<br />
Gesù disse: "Sono venuto a dividere<br />
il figlio da suo padre e la figlia da sua<br />
madre... Chi ama padre e madre più di me<br />
non è degno di me."<br />
Nella saga del Graal Parsifal, per<br />
seguire il suo nobile destino, abbandona<br />
la madre che ne muore di dolore.<br />
Non si segue Gesù o si conquista<br />
il Santo Graal senza pagare un presso<br />
altissimo per il cambio di dimensione.<br />
Non s'intraprende la via iniziatica,<br />
luminosa, ascensionale, lastricata<br />
di fuoco, senza assassinare una parte<br />
di sé, anche se in apparenza nobile,<br />
come può essere amare il padre e la<br />
madre.<br />
Appare chiaro che l'iniziato<br />
ha scelto una via difficile, più<br />
di quanto si possa immaginare;<br />
perché parlare di morte iniziatica è<br />
una cosa, ma l'assassinio iniziatico<br />
è qualcosa di molto più pesante.<br />
Ecco dunque le diverse facce<br />
della morte: quella fisica, che reca<br />
paura e sgomento e induce ad<br />
inventare nuove esistenze, e quella<br />
iniziatica, che l'individuo si<br />
procura volontariamente mentre<br />
è in vita, per attingere alla vera<br />
dignità di uomo.<br />
Uccidere giorn per giorno<br />
quello che abbiamo fatto di<br />
sbagliato, non ripeterlo anzi<br />
condannarlo, attraversare la folla<br />
dell'umanità con amore, senza<br />
invidia, con pazienza e benignità,<br />
senza sospettare il male e<br />
senza godere dell'ingiustizia, ma<br />
gioire con la verità.<br />
Vi è mai stato assassinio più<br />
nobile e lodevole? Morte più<br />
disinteressata, senza minaccia di<br />
pene o promessa di ricompense<br />
nell'aldilà? Senza prospettive<br />
di seducenti Urì, di bellissime<br />
Valkirie, di musiche paradisiache<br />
ascoltate da un posto in prima fila<br />
nella contemplazione dell'Onnipotente?<br />
Fà su questa terra tutto il bene<br />
che puoi, fallo con convinzione, senza<br />
attendere ricompense né in vita<br />
né in morte, lasciando ai mercanti e<br />
ai bottegai la pratica dello scambio<br />
delle merci con i denari, e la morte<br />
così affrontata ti sorriderà e non ti<br />
farà paura.<br />
29
i beati paoli<br />
di Gandolfo Dominici<br />
Di misteri Palermo ne nasconde<br />
parecchi, ma c’è ne uno che<br />
dura da cinque secoli, il segreto di<br />
una setta che ha attraversato vicoli e<br />
sotterranei del centro storico, osannati<br />
o maledetti erano i Beati Paoli.<br />
Chi erano veramente questi “scellerati”,<br />
come li definì il Marchese<br />
di Villabianca che ne parlò nei suoi<br />
diari palermitani, in uno degli ultimi<br />
“Opuscoli” scritti nel 1790?<br />
La loro vicenda, inquadrata in un<br />
contesto settecentesco, si snoda lontano<br />
dal mare, dai colori e dalla luce<br />
dell’abbagliante sole palermitano, si<br />
dipana nel cuore segreto di Palermo,<br />
tra gli antri oscuri e le gallerie sotterranee<br />
di uno dei quartieri più popola-<br />
ri: “il Capo”.<br />
Ancora oggi, ogni qualvolta a Palermo<br />
si scopre una cavità sotterranea<br />
tutti corrono mentalmente alla famosa<br />
setta d’incappucciati.<br />
Misteriosa e temuta, questa setta si<br />
era posto il compito di contrastare lo<br />
strapotere e i soprusi dei nobili, che<br />
amministravano direttamente anche<br />
la giustizia criminale e, molto spesso,<br />
si servivano di bravacci per risolvere<br />
alla svelta quei casi che ragioni di opportunità<br />
o di prudenza consigliavano<br />
di non far ufficialmente decidere<br />
alle loro Corti.<br />
Le origini di questi tremendi<br />
giustizieri sono remote. Secondo il<br />
marchese di Villabianca essi erano<br />
30
31
32<br />
sorti poco oltre la prima meta del<br />
secolo XII, durante la dominazione<br />
normanna, con l’appellativo di<br />
“vendicosi”. Si ha notizia di una loro<br />
tremenda azione (anche se a titolo di<br />
leggenda) intorno al 1160, quando Palermo<br />
era governata dall’arcivescovo<br />
Stefan de la Perche (vedi Luigi Natoli,<br />
“Storie e leggende di Sicilia”). Dopo vari<br />
trascorsi, alternati a lunghi silenzi<br />
e assopimenti, la setta scomparve<br />
definitivamente poco dopo il primo<br />
ventennio del XVIII secolo, anche se<br />
non è da escludere qualche sporadica<br />
attività fin dopo il 1750 circa.<br />
L’origine di questa setta è oscura,<br />
dato che non esistono fonti storiche<br />
né tanto meno documenti che possano<br />
attestarne l’esistenza; la sua storia<br />
è stata trasmessa esclusivamente<br />
per tradizione orale e tutti i letterati<br />
hanno attinto dal citato “Opuscolo”<br />
del marchese di Villabianca, l’erudito<br />
palermitano che ne descrisse i luoghi<br />
e il suo famigerato Tribunale. Anche<br />
autori come il Linares hanno attinto<br />
ad esso, fino al Natoli quando, all’inizio<br />
del novecento, pubblicò “I Beati<br />
Paoli”. Lo scrisse tra il 1909 e il 1910<br />
come romanzo d’appendice che veniva<br />
regalato dal Giornale di Sicilia ai<br />
propri lettori, ma il successo enorme<br />
che ne derivò compì un “miracolo retroattivo”,<br />
dando concretezza ad una<br />
leggenda. Quello che fino ad allora<br />
era stato un racconto un po’ confuso
e con mille particolari discordanti,<br />
acquistò dignità, diventò realtà<br />
accettata da tutti, forse anche grazie<br />
alle dettagliate descrizioni dei luoghi<br />
della città, realmente esistenti, in<br />
cui si svolgevano gli avvenimenti, e<br />
all’inserimento di personaggi operanti<br />
nella vita quotidiana palermitana<br />
di quel periodo.<br />
Travestiti da frati di giorno, giustizieri<br />
di notte, sconosciuti tra loro<br />
e guidati da un capo noto solo a<br />
due adepti, questi personaggi erano<br />
capaci di colpire anche nelle celle più<br />
sorvegliate dell'inquisizione o nelle<br />
stanze private dei palazzi aristocratici.<br />
L’ ombra avvolgeva il mistero<br />
dell’attività dei Beati Paoli, le tenebre<br />
erano le sole testimoni della loro spietata<br />
inappellabilità. Furono vindici<br />
giustizieri dei torti e dei soprusi subiti<br />
dai poveri, dai deboli, dagli umili;<br />
se cosi non fosse stato, l’eco delle loro<br />
gesta non sarebbe giunto fino a noi.<br />
Nelle tremende sentenze dell’occulto<br />
Tribunale il popolo trovava giustizia<br />
per le angherie subite. I Beati<br />
Paoli erano visti come esecutori di<br />
necessaria giustizia che maturava nel<br />
totale anonimato e, quindi, più gradita.<br />
Essi non furono gli antesignani<br />
della mafia, erano giustizieri non<br />
mafiosi e con le loro azioni<br />
non cercavano né lucro né<br />
fama personale, coperti<br />
com’erano dal totale<br />
anonimato dei loro<br />
cappucci.<br />
Il presunto covo<br />
dei Beati Paoli<br />
è una cavità<br />
sotterranea nel<br />
rione Capo,<br />
sede di uno<br />
dei mercati<br />
storici un<br />
tempo più<br />
fiorenti della<br />
città, di recente<br />
riportata<br />
alla luce ad opera del geologo<br />
Pietro Todaro su commissione del<br />
comune di Palermo. Si tratta di un<br />
ambiente circolare del diametro di<br />
circa otto metri, a circa quattro metri<br />
di dislivello dal suolo. La presenza<br />
di un sedile ricavato lungo il bordo<br />
avvalorerebbe la tesi secondo la quale<br />
i Beati Paoli si erano costituiti in un<br />
vero e proprio Tribunale, mentre il<br />
pozzo di forma quadrata profondo<br />
circa quattro metri farebbe supporre<br />
che, una volta estintasi la setta, la<br />
grotta sia stata utilizzata come camera<br />
dello scirocco.<br />
Sempre secondo il racconto del<br />
Marchese di Villabianca, che a suo<br />
tempo visitò il nascondiglio, vi si<br />
accedeva attraverso la casa di un tal<br />
Giovan Battista Baldi, nell’attuale<br />
via Beati Paoli, nel cuore del mercato,<br />
ma un altro ingresso è presente<br />
nell’adiacente Vicolo degli Orfani.<br />
Appare comunque certo che il rifugio<br />
sia collegato ad altri locali sotterranei<br />
da un reticolo di cunicoli, probabilmente<br />
appartenenti a una necropoli<br />
cristiana.<br />
Durante i lavori di pulitura, sepolti<br />
nel terriccio che ricolmava l’ingrottato<br />
sono stati trovati diversi oggetti di<br />
differenti epoche, ma la cosa<br />
che ha suscitato scalpore<br />
è il ritrovamento di<br />
un puntale conico di<br />
ferro che in realtà<br />
è un portafiaccola<br />
da parete, per il<br />
quale bisogna<br />
comunque<br />
stabilire a<br />
quale periodo<br />
risale.<br />
Quest’ultimo<br />
ritrovamento<br />
riporta<br />
certamente<br />
a<br />
33
presupposti sull’esistenza dei sectari,<br />
ma secondo il Villabianca alla fine<br />
del settecento di quella "terribile"<br />
organizzazione “si era già perduta la<br />
semenza”.<br />
Secondo un racconto popolare<br />
raccolto da Salomone-Marino “a<br />
questi uomini davano tale titolo in quanto<br />
erano tutti uomini che si mostravano<br />
devoti; il giorno per meglio apprendere i<br />
fatti che succedevano, andavano vestiti<br />
come monaci di San Francesco di Paola e<br />
stavano nelle chiese fingendo di recitare il<br />
rosario: la notte poi complottavano su ciò<br />
che avevano visto e saputo ed ordinavano<br />
le vendette”. Il nome della setta si deve<br />
dunque al fatto che i suoi membri<br />
usavano durante il giorno travestirsi<br />
da monaci di San Francesco di Paola,<br />
per aggirarsi liberamente nelle chiese<br />
e qui origliare indisturbati le voci<br />
di popolo, per poi mettere in atto la<br />
propria vendetta.<br />
Nei quasi 300 anni trascorsi dall’estinguersi<br />
della setta, la storiografia<br />
ufficiale non ha trattato con il dovuto<br />
rigore le origini e l’azione dei Beati<br />
Paoli. Le poche recenti trattazioni<br />
hanno dato brevi e lapidarie versioni<br />
del fenomeno, sottovalutando tradizioni<br />
popolari che forse meriterebbero<br />
più attenzione.<br />
Ancora oggi in Sicilia, e in special<br />
modo a Palermo, la pronuncia<br />
dell’aggettivo “beato” riferito all’insigne<br />
apostolo genera un senso di riverente<br />
rispetto per quello che fu un pur<br />
breve fenomeno di passata vita palermitana.<br />
Anche se oggi appare in tutta<br />
la sua essenza il carattere settario e<br />
oscuro dei Beati Paoli, i palermitani<br />
riconoscono in essi la spontanea<br />
necessità di quei tempi, quando la<br />
cosiddetta giustizia ufficiale era un<br />
miraggio per gli umili e un paravento<br />
per le ingiustizie dei potenti. La giustizia<br />
“illegale” degli incappucciati<br />
palermitani potrebbe apparire come<br />
frutto del carattere di un popolo che<br />
ancor oggi purtroppo viene, a torto,<br />
indicato come violento ed insofferente<br />
della legalità; ma prima di emettere<br />
giudizi occorre considerare l'epoca<br />
e il contesto in cui essi operarono.<br />
Si è trattato di mito, leggenda o<br />
realtà? Un po di tutto: pochissimo<br />
mito, elaborata e affascinante leggenda,<br />
molta e non smentita, o smentibile,<br />
realtà. Quello che è certo è che la<br />
misteriosa setta ha lasciato un ricordo<br />
indelebile, vivo ancor oggi, dopo quasi<br />
300 anni, anche se si tratta di un ricordo<br />
trasmesso oralmente, a causa della<br />
quasi totale mancanza di documenti.<br />
34
Associazione Culturale “Bensalem”<br />
Castel del Monte<br />
Il Tempio della Rosa<br />
a cura di Attilio Castronuovo<br />
Castel del Monte è uno dei misteri più affascinanti che, dalle nebbie del passato, siano giunti fino a noi.<br />
Adagiato su un poggio che domina la pianura, enigmatico per tutto ciò che attiene ai suoi scopi e alla sua<br />
funzionalità, sembra sfidare il visitatore desideroso di comprenderne il segreto. Si potrebbero affastellare<br />
all’infinito ipotesi su ipotesi nella speranza di giungere a qualche certezza, ma il castello sembra sottrarsi a<br />
questa ricerca, mostrandosi sempre più sfuggente, evanescente, irraggiungibile.<br />
di Daniela Gagliano<br />
edizionigagliano@gmail.com<br />
35
medicina<br />
e ritualità<br />
di Paolo Maggi<br />
36<br />
I<br />
l paziente aspetta il suo<br />
turno nella sala d’attesa.<br />
L’arredamento della stanza è inconfondibile,<br />
e non si presta ad equivoci:<br />
è un luogo attrezzato solo per le<br />
attese. Qualche rivista sul tavolino e<br />
la presenza di altri pazienti possono<br />
creare solo un passeggero momento<br />
di distrazione. In realtà ogni paziente<br />
è solo con i suoi pensieri.<br />
Ora tocca a lui. Viene introdotto<br />
nella stanza delle visite. Anche<br />
questo non può essere un luogo<br />
scelto a caso. Non si visita mai in un<br />
corridoio, in un luogo di passaggio,<br />
in un ambiente destinato ad altro.<br />
Le immagini alle pareti sono strane<br />
ed enigmatiche, spesso indecifrabili<br />
per il paziente. In genere sono corpi<br />
dissezionati, apparati, organi... L’ambulatorio<br />
è un ambiente misterioso,<br />
un’area consacrata solo ad un atto:<br />
quello della visita. E’ un’area sacra.<br />
In un punto centrale della stanza
campeggia sempre il lettino delle visite.<br />
Ricorda vagamente un altare.<br />
Il medico indossa il suo camice<br />
bianco. E’ un indumento inconfondibile,<br />
una sorta di paramento sacerdotale.<br />
Non è accettabile visitare in<br />
giacca e cravatta o con altri tipi di<br />
vestiario: il medico non sarebbe credibile.<br />
Il paramento va sempre indossato<br />
nel corso di questa ritualità.<br />
E’ giunto il momento di un atto<br />
rituale di fondamentale importanza:<br />
quello della spoliazione. A volte è<br />
solo parziale: “scopra il torace”, “scopra<br />
la pancia”, “mi faccia vedere il ginocchio”.<br />
A volte è totale. Capita di dover<br />
indossare in questi casi, soprattutto<br />
se le visite sono in ospedale, un apposito<br />
indumento. In genere una tunica<br />
bianca.<br />
Finalmente inizia la visita. Le<br />
mani del medico si spostano con<br />
tocchi leggeri e veloci, percorrendo<br />
tutto il corpo. Percuotono, palpano,<br />
37
Nell'immagine:<br />
Abbigliamento del<br />
medico della peste,<br />
da una stampa del<br />
XVII secolo.<br />
38<br />
premono, secondo antichi e misteriosi<br />
codici. Strani strumenti, a tratti,<br />
accompagnano il rituale: martelletti,<br />
luci, specchi, stetoscopi. A volte<br />
devono essere pronunciate parole dal<br />
senso incomprensibile: “dica trentatre”.<br />
L’effetto catartico di questo rito<br />
è concreto e immediato: il silenzio<br />
regna. Il paziente cessa di narrare la<br />
sua storia, cessano le sue domande. Il<br />
medico cessa le sue spiegazioni. Non<br />
c’è più bisogno di parole.<br />
Ora quello che, almeno agli occhi<br />
del paziente, è un misterioso rituale,<br />
finalmente si conclude. Ma da questo<br />
momento in poi tutto è<br />
radicalmente cambiato<br />
in quel luogo. Il contatto<br />
fisico ha mutato definitivamente<br />
il rapporto fra<br />
i due protagonisti. Ha<br />
creato una confidenza e<br />
un legame che prima non<br />
c’erano. E forse ancora di<br />
più.<br />
La presenza di così<br />
forti elementi rituali<br />
nella visita medica non ci<br />
deve indurre in equivoci:<br />
questo rito non è poi così<br />
antico come si potrebbe<br />
immaginare. Anzi,<br />
paradossalmente, è nato<br />
in pieno illuminismo, in<br />
un’epoca in cui la componente<br />
magico-ritualistica<br />
presente nella scienza<br />
pre-galileiana era stata<br />
definitivamente bandita.<br />
In tempi più antichi il<br />
medico non visitava che<br />
molto sommariamente il<br />
suo paziente. In genere si<br />
limitava ad osservare la<br />
parte del corpo ritenuta<br />
malata, o si attardava<br />
nella meticolosa osservazione<br />
delle sue deiezioni<br />
e nella degustazione del<br />
suo sudore e delle sue<br />
urine. I contatti fisici erano per lo più<br />
riservati agli interventi: qualche sutura,<br />
un bel salasso, un’amputazione…<br />
Durante le pestilenze, poi, il medico<br />
visitava il malato da lontano, toccandolo<br />
con una bacchetta, e con il volto<br />
ben occultato dietro una maschera.<br />
Certo, in tutto questo vi erano venerabili<br />
eccezioni: Ippocrate diagnosticava<br />
malattie di fegato osservando<br />
la cute itterica o i segni di un coma<br />
epatico. E riusciva a sentire con l’orecchio<br />
i rumori liquidi dei versamenti<br />
pleurici. Galeno poi era capace di<br />
scrivere 16 volumi sull’osservazione,
interpretazione e prognosi del battito<br />
del polso. Ma, si sa, non tutti i medici<br />
dell’antichità sono stati al pari di<br />
Ippocrate e Galeno.<br />
E così bisognerà aspettare il XVIII<br />
secolo per veder nascere l’esame<br />
obiettivo come noi oggi lo intendiamo.<br />
E la paternità spetta senza<br />
dubbio al medico austriaco Joseph<br />
Leopold Auerbrugger che, da bravo<br />
figlio di un oste, aveva ben imparato<br />
da suo padre a percuotere le botti con<br />
il dito per capire qual era il livello di<br />
liquido al loro interno. Applicando<br />
questo metodo al corpo umano riusciva<br />
a raccogliere un’enorme quantità<br />
di informazioni sulle condizioni<br />
dei polmoni, dell’addome, del cuore,<br />
del fegato e della milza dei suoi pazienti.<br />
Auerbrugger in vita non ebbe<br />
tuttavia quel successo che si sarebbe<br />
indubbiamente meritato e, con ogni<br />
probabilità, la sua arte sarebbe morta<br />
insieme al suo scopritore se non fosse<br />
stata adottata e divulgata da un suo<br />
collega assai più illustre e fortunato:<br />
Jean Nicholas Corvisart, il medico<br />
personale di Napoleone Bonaparte.<br />
A perfezionare ulteriormente le<br />
tecniche dell’esame obiettivo è poi<br />
intervenuto Rene Theophile Laennec<br />
che, agli inizi dell’800 inventò uno<br />
strumento preziosissimo, lo stetoscopio,<br />
che ha egregiamente sostituito<br />
il contatto tra orecchio del medico<br />
e torace del paziente. Era il 1816 e<br />
il medico si trovava in visita presso<br />
una sua giovane e prosperosa paziente.<br />
Un po’ per le difficoltà dovute<br />
al sovrappeso della signora, un po’<br />
a causa della presenza del marito,<br />
evidentemente geloso, Laennec era in<br />
grande imbarazzo ad affrontare la fase<br />
dell’auscultazione del cuore: avrebbe<br />
dovuto, come allora si faceva,<br />
appoggiare direttamente l’orecchio<br />
sul petto della paziente. Si ricordò<br />
allora di aver visto, attraversando<br />
la corte del Louvre, dei ragazzi che,<br />
poggiando l’orecchio all’estremità di<br />
un lungo asse di legno, si divertivano<br />
ad ascoltare il suono amplificato dello<br />
sfregamento di un piccolo chiodo<br />
posto all’estremità opposta dell’asse.<br />
Fece allora un cilindro con un quadernetto<br />
di appunti legato con un filo<br />
e lo appoggiò al petto della signora.<br />
Risolse il suo imbarazzo e si accorse<br />
39
40<br />
di riuscire a sentire i suoni del cuore<br />
assai meglio del consueto. Successivamente<br />
perfezionò egli stesso il modello,<br />
facendolo costruire in legno.<br />
Dunque, sebbene l’esame obiettivo<br />
sia straordinariamente ricco di valenze<br />
rituali, la cosa non è affatto intenzionale.<br />
Possiamo invece dire che su<br />
questo momento così critico nella vita<br />
di ciascuno di noi si proietta, e si rivela,<br />
il profondo bisogno inconscio di<br />
ritualità insito nell’uomo. Insomma,<br />
durante la visita inconsciamente si<br />
mette in scena un rituale archetipo in<br />
cui il medico e il suo paziente rivestono<br />
dei ruoli ben precisi. E su questo<br />
gli antropologi non hanno alcun<br />
dubbio: la visita medica ha davvero in<br />
sé tutte le caratteristiche canoniche di<br />
un rituale. E soprattutto, come ogni<br />
rituale importante, ha la funzione di<br />
marcare un cambiamento.<br />
Ogni rito è l’attraversamento di una<br />
soglia, è il passaggio tra un prima e un<br />
dopo. Lo sono i riti socialmente più<br />
diffusi che scandiscono le nostre vite:<br />
battesimi, matrimoni, funerali, transizioni<br />
di poteri. E lo è anche l’esame<br />
obiettivo a cui il medico sottopone<br />
il paziente. Come ogni rito, anche la<br />
visita consacra una trasformazione,<br />
un passaggio da uno stato all’altro. E<br />
questo vale per entrambi i protagonisti:<br />
tanto il paziente quanto il medico<br />
oltrepasseranno la soglia tra un prima<br />
e un dopo. Ma quale cambiamento si<br />
attende il malato, sia pur inconsciamente,<br />
dalla visita? Quale soglia sta<br />
attraversando, insieme al suo medico,<br />
nel momento in cui questi percorre<br />
con le mani il suo corpo?<br />
Il paziente, offrendo il suo corpo<br />
all’esame del medico, passa da uno<br />
stato di solitaria sofferenza ad uno<br />
stato di condivisone del suo male.<br />
Il suo dolore, la sua malattia, il suo<br />
stesso corpo, fuoriescono dalla sfera<br />
individuale e vengono validati dal<br />
suo medico. Il medico, a sua volta,<br />
nel momento in cui il malato si offre<br />
alla sua osservazione, viene validato<br />
nel suo ruolo: egli ha ora il pieno<br />
consenso per poter esplorare quel<br />
corpo, quel dolore, quella malattia e<br />
si assume ritualmente il difficile compito<br />
di prendersene cura. Formula un<br />
impegnativo, implicito giuramento:<br />
“D’ora in poi tu non sarai più solo nella<br />
tua sofferenza. E io, come medico, sarò<br />
presente nella tua vita”.<br />
Questo rito, peraltro, non è un<br />
evento unico ed irripetibile anzi, per<br />
sua stessa natura, è ciclico e deve<br />
essere rinnovato, per poter confermare<br />
ogni volta il patto e l’alleanza tra<br />
medico e paziente, che saranno,<br />
da esso, reciprocamente<br />
consacrati.<br />
Se qualcuno ha<br />
pensato che i<br />
rapporti tra<br />
esame obiettivo<br />
del<br />
medico e<br />
ritualità<br />
siano<br />
solo<br />
un<br />
futile<br />
argomento<br />
di<br />
discussione<br />
tra<br />
appassionati<br />
di<br />
esoterismo si<br />
è sbagliato di<br />
grosso: la tematica<br />
sta interessando<br />
studiosi di prestigiose<br />
scuole di medicina statunitensi,<br />
come Abraham Verghese,<br />
medico e professore di Teoria e pratica<br />
della medicina alla Stanford University.<br />
Egli è anche uno dei protagonisti di<br />
un programma educativo facilmente<br />
reperibile in rete, Stanford Medicine 25,
che vuole tornare a valorizzare la visita<br />
al letto del paziente attraverso le 25<br />
manovre semeiologiche fondamentali<br />
per la pratica clinica. Verghese ha dedicato<br />
al tema della ritualità in medicina<br />
diverse lezioni e libri di successo.<br />
Vi è un’altra caratteristica della<br />
ritualità che riveste un ruolo fondamentale<br />
in medicina: i comportamenti<br />
ripetitivi, come ci suggeriscono le<br />
neuroscienze, riducono l’ansia e aiutano<br />
a vincere lo stress generato dagli<br />
imprevisti e dalla difficoltà a controllare<br />
gli eventi nuovi. I rituali, per definizione,<br />
sono basati sulla ripetitività.<br />
Le loro reiterazioni trasmettono<br />
sicurezza. Per affrontare<br />
ogni cambiamento<br />
ciascuno di noi ha<br />
necessità vitale<br />
di serenità.<br />
Quanto più<br />
è radicale<br />
il cambiamento,<br />
tanto<br />
più è<br />
necessario<br />
associarlo<br />
ad un<br />
rituale<br />
che<br />
trasmetta<br />
sicurezza<br />
e ci aiuti a<br />
concentrare<br />
tutte le nostre<br />
energie mentali<br />
sul cambiamento che<br />
dobbiamo affrontare.<br />
La malattia è un cambiamento<br />
troppo profondo per non dover essere<br />
associato ad un rituale. La visita<br />
trasmette quella sicurezza di cui il<br />
paziente, ma anche il suo medico, ha<br />
necessità vitale.<br />
La rinnovata attenzione all’esame<br />
obiettivo del medico, al contatto fisico<br />
tra medico e paziente, nasce dalla<br />
triste constatazione che la maggior<br />
parte dei giovani medici non è più in<br />
grado di eseguire un esame obiettivo.<br />
Ormai molto spesso la classica visita<br />
al letto del malato è sostituita da un<br />
briefing attorno al computer, nel quale<br />
si esaminano lastre, referti, numeri.<br />
Così il paziente, virtualizzato, per<br />
usare le parole di Verghese, è diventato<br />
una sorta di I-patient. La medicina<br />
virtualizzata ha quasi completamente<br />
espulso dalle sue procedure il contatto<br />
fisico con il corpo del paziente, il suo<br />
polso, la sua fronte. La prescrizione di<br />
migliaia di esami ha tolto spazio all’ascolto<br />
del suo vissuto, alla risposta alle<br />
sue speranze di vita e di salute. Dice<br />
il grande cardiologo Bernard Lown:<br />
“I medici hanno imparato, credo a torto, a<br />
considerare la tecnologia come un sostituto<br />
costoso del tempo passato con i pazienti”.<br />
Lo stesso paziente si è ormai convinto<br />
che il suo corpo coincida con le<br />
immagini che si ottengono dalle tecnologie<br />
diagnostiche e dalle sfilze di<br />
numeri che escono dagli apparecchi<br />
usati per analizzare il nostro sangue.<br />
Così pensa di tenere egregiamente<br />
sotto controllo la propria salute<br />
sottoponendosi a prelievi, ecografie,<br />
TAC o risonanze magnetiche. Meglio<br />
avere a disposizione una buona lastra<br />
che un buon medico.<br />
Ora che abbiamo trasformato il<br />
paziente in un I-patient non abbiamo<br />
più a che fare con un corpo, ma con le<br />
sue immagini virtuali, che allontanano<br />
sempre più il medico dal malato. E<br />
così, perdendo la ritualità della visita,<br />
abbiamo dimenticato l’immenso<br />
potere della mano dell’uomo di toccare,<br />
diagnosticare, confortare, curare.<br />
Stiamo perdendo un rituale prezioso.<br />
Un rituale che è il cuore del rapporto<br />
medico-paziente. Con poteri, se non<br />
magici, certamente capaci di generare<br />
trasformazione e trascendenza.<br />
41
la sezione<br />
aurea<br />
di Franco Ardito<br />
42<br />
Nella Bibbia è scritto: “Tu hai<br />
disposto ogni cosa con misura,<br />
numero e peso" (Sap. 11,20). Per porre<br />
ordine nel Creato, traendolo dal<br />
caos primordiale, Dio ha utilizzato<br />
il numero nelle sue diverse espressioni:<br />
come estensione dei corpi nello<br />
spazio (misura), come consistenza<br />
della materia (peso), come espressione<br />
delle leggi che governano l’Universo.<br />
Ecco perché l'antica saggezza<br />
considerava i numeri sotto un triplice<br />
aspetto: pratico, scientifico e mistico,<br />
individuandoli come Numeri computabili,<br />
Numeri scientifici e Numeri<br />
divini, portatori delle Idee universali.<br />
Il Numero puro, o Numero divino,<br />
era l'archetipo, il modello ideale da<br />
cui discendeva il numero scientifico,<br />
così come i Numeri divini erano gli<br />
archetipi di tutto l’esistente, i prototipi<br />
d'ogni manifestazione nella mente<br />
di Dio. Attraverso i Numeri le Idee<br />
archetipiche creano la geometria delle<br />
forme, reggendo l'ordine nel Cosmo,<br />
il suo ritmo e il suo equilibrio.<br />
Dio non ha creato il numero, però<br />
lo ha utilizzato per ordinare l’Universo,<br />
segno che il numero era parte<br />
di Lui stesso. Del resto la sacralità
del numero era ben<br />
nota presso le antiche<br />
civiltà: nell’antica Mesopotamia<br />
si attribuivano<br />
numeri sacri agli dei, per Pitagora<br />
essi erano realtà divina,<br />
visione trascendente dei Numeri<br />
ideali, e la stessa Sacra Tetraktis era<br />
una divinità; è stata la “rivelazione<br />
pitagorica” ad annunciare un Universo<br />
governato dal Numero.<br />
Dal suo canto la Qabbalah ebraica<br />
afferma che le ventidue lettere dell'alfabeto<br />
ebraico, e il loro relativo<br />
significato numerico, sono<br />
preesistenti alla stessa creazione<br />
del mondo. Giungendo ai nostri<br />
giorni, Jung considerava il numero<br />
un’entità numinosa, sacra, e lo ha<br />
definito come “un archetipo dell’ordine<br />
fattosi cosciente”.<br />
Accade così che talvolta si scorge<br />
come i numeri, al di là della loro<br />
43
Nella foto:<br />
Spirale logaritmica<br />
del Nautilus, in<br />
funzione della Serie<br />
di Fibonacci.<br />
44<br />
concezione matematica legata al<br />
concetto di quantità, vivano un’esistenza<br />
“metafisica” che segue logiche<br />
e norme completamente diverse e, per<br />
molti versi, ancora ignote. Gli esempi<br />
sono intorno a noi: il più semplice è<br />
la Tavola Pitagorica, con la particolare<br />
disposizione delle cifre al suo<br />
interno, ma ci sono anche i numerosi<br />
quadrati magici, di cui è pieno il Medio<br />
Evo, e i tanti giochi matematici,<br />
divertenti agli occhi di un osservatore<br />
superficiale ma che pongono diversi<br />
interrogativi a chi<br />
non s’accontenta<br />
delle apparenze.<br />
E poi la Serie di Fibonacci, da cui<br />
ha origine la Sezione Aurea, quella che<br />
Luca Pacioli chiamò la Divina Proporzione<br />
e che in tanti hanno definito<br />
la Firma di Dio, in quanto sottolinea<br />
l’armonia in gran parte del mondo<br />
vegetale e animale, uomo compreso.<br />
Leonardo Fibonacci<br />
Tutto ha avuto inizio da una<br />
banale storia di conigli: «Un tale mise<br />
una coppia di conigli in un luogo completamente<br />
circondato da un muro. Quante<br />
coppie di conigli si ottengono in un anno,<br />
sapendo che ciascuna coppia genera ogni<br />
mese un’altra coppia e che le coppie di conigli<br />
cominciano a procreare a partire dal<br />
secondo mese dalla nascita?» Il quesito<br />
è ben più che una semplice storia<br />
di allevatori e anzi è un problema<br />
che investe le regole<br />
della natura, l’armonia del<br />
creato, le proporzioni<br />
delle creature, la firma<br />
di Dio. Sul piano<br />
matematico risale<br />
alla introduzione<br />
dei numeri “arabi”<br />
in occidente,<br />
agli inizi della<br />
numerazione<br />
posizionale,<br />
all’introduzione<br />
dello Zero<br />
nel sistema<br />
di calcolo: in<br />
pratica al 1200<br />
e a Leonardo<br />
Fibonacci.<br />
Leonardo<br />
era figlio di Guglielmo<br />
dei Bonacci,<br />
segretario<br />
della Repubblica di<br />
Pisa e responsabile<br />
del commercio pisano<br />
presso la colonia di<br />
Al Bejia, in Algeria. Ben<br />
presto Guglielmo iniziò a
45
46<br />
portare suo figlio con sé, con l’intento<br />
d’insegnargli il mestiere di mercante<br />
e di renderlo istruito nelle tecniche<br />
del calcolo; in seguito lo mandò in<br />
Egitto, Siria e Grecia, affinché studiasse<br />
le tecniche matematiche in uso<br />
in quelle regioni. Il giovane Leonardo<br />
figlio dei Bonacci (da cui l’appellativo<br />
di Fibonacci) assimilò talmente questi<br />
sistemi matematici, e fu talmente<br />
entusiasta dei loro<br />
vantaggi, che al suo<br />
ritorno a Pisa li codificò<br />
in un trattato<br />
in 15 capitoli, il Liber<br />
Abaci, il cui ruolo è<br />
stato di fondamentale<br />
importanza nella<br />
matematica occidentale,<br />
tanto da rivoluzionare<br />
il metodo<br />
di calcolo utilizzato<br />
fino a quel momento.<br />
Infatti, se prima<br />
i problemi venivano<br />
risolti singolarmente<br />
attraverso l’uso dell’abaco<br />
- una specie di<br />
pallottoliere utilizzato<br />
ancor oggi che consente<br />
di rappresentare<br />
i numeri naturali in<br />
base dieci, lasciando<br />
libero lo spazio nel<br />
caso in cui si deve<br />
rappresentare lo<br />
Zero - ora i numeri<br />
potevano essere scritti<br />
e i calcoli potevano<br />
effettuarsi per iscritto<br />
e senza abaco, anche<br />
per via dell’introduzione<br />
dello Zero,<br />
che ora poteva essere<br />
rappresentato. Inoltre<br />
i problemi potevano<br />
essere risolti non più<br />
con l’esecuzione di<br />
singoli calcoli, considerati<br />
di volta in<br />
volta a seconda del quesito specifico,<br />
ma attraverso algoritmi, e cioè procedimenti<br />
normalizzati che portano alla<br />
soluzione attraverso un numero finito<br />
di passi elementari. Questo ne rendeva<br />
la soluzione più facile e rapida.<br />
Il conto dei conigli<br />
Nacque così la disputa fra matematici<br />
“abacisti” e “algoritmisti”, che
spesso dava origine ad accese tenzoni<br />
matematiche intorno a quesiti sul<br />
genere di quello dei conigli. Quest’ultimo<br />
quesito in particolare ha però<br />
espresso una sequenza numerica che<br />
pone in evidenza quella esistenza<br />
“metafisica” del Numero di cui abbiamo<br />
detto poc’anzi.<br />
La soluzione del quesito prevede<br />
al dodicesimo mese 233 coppie di<br />
conigli, secondo la seguente logica: la<br />
coppia di conigli iniziale non è fertile<br />
ma al 1° mese la stessa coppia diviene<br />
prolifica, comportando al 2° mese<br />
2 coppie, di cui una fertile. Al terzo<br />
mese ci sono 3 coppie di cui due fertili,<br />
quindi al quarto mese ce ne sono<br />
5 di cui 3 fertili, al quinto mese ce ne<br />
sono 8 di cui 5 fertili e così via. Posti<br />
in fila questi numeri daranno origine<br />
alla seguente serie numerica, che ha<br />
preso il nome da Fibonacci, anche se<br />
lo stesso matematico pisano non ne<br />
comprese appieno l’importanza:<br />
mesi coppie<br />
0 1<br />
1 1<br />
2 2<br />
3 3<br />
4 5<br />
5 8<br />
6 13<br />
7 21<br />
8 34<br />
9 55<br />
10 89<br />
11 144<br />
12 233<br />
Se esaminiamo la serie sul piano<br />
matematico scopriamo che ogni suo<br />
elemento è determinato dalla somma<br />
dei due elementi che lo precedono,<br />
ma la principale particolarità della<br />
sequenza è nel fatto che ogni elemento<br />
diviso per il precedente dà un risultato<br />
che tende al numero 1,618; per altro<br />
verso, se si divide ogni elemento della<br />
serie per quello che lo segue il risultato<br />
tende al reciproco 0,618. Sia l’uno che<br />
l’altro sono numeri irrazionali, cioè<br />
presentano dopo la virgola una serie<br />
infinita di cifre decimali aperiodiche,<br />
e il loro prodotto è uguale a 1.<br />
Il numero 1,618 prende il nome di<br />
Numero d’Oro o anche di Sezione aurea<br />
e viene indicato con la lettera Φ. Per<br />
la precisione la proprietà della serie<br />
può essere matematicamente indicata<br />
attraverso la formula:<br />
Ma la sequenza di Fibonacci ha<br />
numerose altre particolarità; ecco le<br />
principali:<br />
• Il massimo comune divisore di<br />
due numeri di Fibonacci è ancora<br />
un numero di Fibonacci.<br />
• Il quadrato di ogni numero di<br />
Fibonacci differisce di uno dal<br />
prodotto dei due numeri fra cui<br />
il numero si trova nella serie. La<br />
differenza è, alternativamente,<br />
più o meno 1, via via che la serie<br />
continua.<br />
• Sommando i primi n numeri di<br />
Fibonacci ed aggiungendo 1, il risultato<br />
è sempre uguale al numero<br />
che nella serie si trova due volte<br />
dopo l'ultimo addizionato.<br />
• Se invece di sommare tutti i numeri<br />
se ne somma uno sì ed uno<br />
no, il risultato è sempre uguale<br />
al numero successivo all'ultimo<br />
addizionato.<br />
• Se dividiamo qualsiasi numero<br />
per il secondo che lo precede<br />
nella sequenza otterremo sempre<br />
2 come quoziente e come resto il<br />
numero che precede immediatamente<br />
il divisore.<br />
Inoltre ogni numero della serie è<br />
medio proporzionale fra il numero<br />
che lo precede e quello che lo segue;<br />
se si considera che la serie è infinita,<br />
47
questa regola vale per un numero<br />
infinito di terne di numeri.<br />
La Sezione Aurea<br />
In geometria la sezione aurea di<br />
un segmento è quella parte del segmento<br />
che è medio proporzionale fra<br />
l’intero segmento e la parte di segmento<br />
rimanente.<br />
AB : AC' = AC' : C'B<br />
48<br />
Questo significa che se il segmento<br />
AB è lungo 1,618 metri la sezione<br />
aurea AC' sarà pari a 1 metro e la<br />
parte di segmento rimanente C'B sarà<br />
m 0,618, che corrisponde a 1/1,618.<br />
Se consideriamo le figure piane, è<br />
aureo un rettangolo che ha le dimensioni<br />
basate sulla sezione aurea (il<br />
rapporto fra dimensione lunga e dimensione<br />
corta è 1,618); è in rapporto<br />
aureo un triangolo isoscele con l’angolo<br />
al vertice di 108°<br />
- che spesso costituisce<br />
il frontone<br />
di templi anche<br />
cristia-<br />
ni - in quanto il rapporto fra base e<br />
lato obliquo è 1,618. Ma la figura in<br />
cui la sezione aurea risulta strettamente<br />
connessa con la geometria è<br />
il pentagono, in particolare il pentagono<br />
stellato, in quanto corrisponde<br />
al rapporto fra diagonale AB e lato<br />
BC (vedi figura). Non a caso la scuola<br />
pitagorica aveva assunto a suo emblema<br />
proprio il pentagono stellato<br />
attraverso il quale, fra l’altro, rappresentava<br />
l’uomo realizzato in quanto<br />
il 5, come somma del maschile 3 e<br />
del femminile 2, definisce l’unione<br />
e l’equilibrio degli opposti. E non è<br />
un caso che il Numero d’Oro venga<br />
indicato con la lettera Φ, che assume<br />
il medesimo significato in quanto<br />
abbina il segno verticale maschile a<br />
quello circolare femminile.<br />
L’aspetto più notevole del Numero<br />
d’Oro consiste tuttavia nel fatto che lo si<br />
incontra spesso in natura, nelle proporzioni<br />
di numerose piante e animali,<br />
uomo compreso. Per esempio diversi<br />
tipi di conchiglie, ma anche le<br />
corna e le zanne di alcune<br />
specie animali, hanno<br />
un accrescimento a<br />
spirale che segue<br />
la serie<br />
di Fibonacci;<br />
il<br />
Numero<br />
d'Oro è<br />
presente<br />
nella dinamica<br />
di<br />
accrescimento<br />
di molte piante,<br />
nella disposizione<br />
delle brattee<br />
delle pigne, delle<br />
scaglie dell'ananas,<br />
dei semi del girasole,<br />
nella disposizione<br />
dei petali delle margherite,<br />
tanto per fare
alcuni esempi, ma anche in una serie<br />
di rapporti relativi al corpo umano.<br />
Dall'immagine leonardesca dell'uomo<br />
vitruviano si ricava come il rapporto<br />
fra la statura e la distanza dall'ombelico<br />
al terreno sia pari a 1,618, ma quest’andamento<br />
emerge in un'ampia serie di<br />
rapporti dimensionali: fra altezza e<br />
larghezza del viso, per esempio, o fra la<br />
lunghezza e la larghezza del naso, o fra<br />
le falangi del medio e dell'anulare; addirittura<br />
recenti ricerche dimostrerebbero<br />
che la pressione sanguigna ideale<br />
corrisponde ad un rapporto tra pressione<br />
massima e minima pari a 1,618.<br />
Che cos'è il numero<br />
Dopo aver scorto come tutto il creato<br />
sia permeato dal numero e come<br />
quest'ultimo, in particolari momenti,<br />
sembri vivere di vita propria, dopo<br />
averne rilevato coincidenze e bizzarrie,<br />
un quesito si pone alla mente: se<br />
l’uomo non fosse mai disceso dall’albero,<br />
se non avesse conquistato la<br />
posizione<br />
eretta,<br />
se fosse<br />
rimasto<br />
scimmia<br />
insomma,<br />
il numero<br />
sarebbe esistito<br />
ugualmente?<br />
In<br />
sostanza,<br />
il numero<br />
è solo<br />
un parto<br />
dell’immaginazione<br />
umana,<br />
un'invenzione<br />
architettata<br />
a scopi utilitaristici,<br />
per misurare,<br />
pesare,<br />
calcolare,<br />
oppure esiste indipendentemente<br />
dall’uomo, dalla materia, dall’universo,<br />
e rappresenta le leggi che sono alla<br />
base di tutto ciò che esiste? Non possiamo<br />
dirlo, come non possiamo dire<br />
che genere di matematica avremmo<br />
avuto se l'uomo non avesse avuto dieci<br />
dita ma otto, o tredici, o diciotto; non<br />
sappiamo se regole e leggi matematiche<br />
sarebbero state le stesse e quale<br />
sarebbe stato l'ipotetico Numero d'Oro,<br />
ove mai ce ne fosse stato uno.<br />
Ma forse nessuna di queste ipotesi<br />
si sarebbe potuta realizzare, e l'essere<br />
umano si sarebbe dovuto evolvere<br />
così come in realtà si è evoluto; forse<br />
il numero è proprio un'entità metafisica<br />
connaturata con l'Universo, una<br />
componente imprescindibile della<br />
creazione divenuta di percezione<br />
dell'uomo per cause fortuite; forse<br />
è proprio una parte di Dio, o forse<br />
è Dio stesso, rivelatosi all'uomo per<br />
consentirgli di comprendere da dove<br />
viene, che cos'è e magari dove va.<br />
49
I CATARI<br />
di Rino Guadagnino<br />
50<br />
“O tu ch’onori scienzia ed arte,<br />
questi chi son c’han cotanta orranza,<br />
che dal modo delli altri li diparte?”<br />
E quelli a me: “L’onrata nominanza<br />
Che di lor suona su nella tua vita,<br />
grazia acquista in ciel che sì l’avanza”<br />
(Inferno, IV)
Fra il XII e il XIII secolo i Catari<br />
furono la grande alternativa<br />
religiosa alla Chiesa Cattolica d'Occidente.<br />
Nei loro confronti la reazione<br />
della Chiesa fu fortissima e probabilmente<br />
proporzionata alla paura che<br />
questa setta potesse mettere in crisi<br />
l'intera istituzione cristiana. Non si<br />
trattava infatti di singoli eretici da<br />
punire ma di un fenomeno di vasta<br />
portata, a cui l'Europa occidentale<br />
medioevale non era abituata, e che<br />
ricordava i grandi movimenti religiosi<br />
eterodossi che avevano afflitto<br />
l'Impero Romano d'Oriente, come<br />
ad esempio i Pauliciani. E' difficile<br />
altrimenti spiegare la creazione di un<br />
potentissimo mezzo di repressione<br />
Nella foto:<br />
Ingresso del<br />
castello cataro di<br />
Carcassonne.<br />
51
Sopra:<br />
La crociata contro<br />
gli Albigesi in una<br />
cronaca del XIII<br />
secolo.<br />
52<br />
come l'Inquisizione, la fondazione di<br />
un ordine religioso preposto a confutare<br />
le dottrine catare, come quello<br />
dei Domenicani, e l'organizzazione<br />
di una crociata di cristiani contro<br />
altri cristiani, con relativa licenza di<br />
massacro.<br />
Tuttavia bisogna anche tener conto<br />
che, in quel particolare momento<br />
storico, lo stesso potere di uno stato<br />
sovrano come la Francia, già dilaniata<br />
dalla Guerra dei Cent'anni contro<br />
l'Inghilterra, sarebbe potuto essere<br />
messo in discussione da questa setta<br />
(o meglio dal suo alleato laico, il potente<br />
conte di Tolosa): per questo essa<br />
fu schiacciata dall'azione combinata<br />
di Stato e Chiesa.<br />
La storia<br />
A) I precedenti<br />
I commentatori e gli storici si<br />
orientano lungo due direzioni: coloro<br />
che vedono nei Catari una continuità<br />
col grande filone dualista che va<br />
dagli Gnostici ai Novazianisti, ai<br />
Manichei, ai Bogomili, e coloro che,<br />
pur non negando qualche similitudine<br />
con le sette dualiste, sono convinti<br />
dell'originalità del pensiero cataro,<br />
sviluppato come reazione alla corruzione<br />
dilagante nella Chiesa. Del<br />
resto all'inizio del XII secolo anche<br />
l'attività di predicatori itineranti come<br />
Pietro di Bruis, Enrico di Losanna,<br />
Tanchelmo di Brabante, Eon de<br />
l'Etoile, rappresentò il segno di quel<br />
malessere diffuso, soprattutto a livello<br />
delle classi più deboli della popolazione,<br />
che creò il substrato ideale per<br />
la diffusione del catarismo.<br />
B) L'inizio e i precursori<br />
Già dal 1018 i cronisti Ademaro di<br />
Chabannes e Rodolfo il Glabro riferirono<br />
di "manichei" diffusi nella Francia<br />
meridionale, citando Liutardo, i<br />
canonici di Santa Croce di Orléans,<br />
gli eretici di Arras e quelli di Goslar.<br />
Simili episodi si segnalarono anche<br />
in altre nazioni, come ad esempio in<br />
Italia con la vicenda di Gerardo di<br />
Monforte.<br />
Il frate Anselmo d'Alessandria
invece, nel suo<br />
Tractatus de haerecticis,<br />
sostenne che il<br />
catarismo sarebbe<br />
stato portato in<br />
Francia da alcuni<br />
reduci dalla seconda<br />
crociata del 1147 (ma<br />
il catarismo sembra<br />
essere già presente<br />
da tempo in Europa<br />
occidentale), che<br />
a Costantinopoli<br />
avrebbero incontrato<br />
alcuni bogomili<br />
dell'Ordo Bulgariae<br />
che li avrebbero<br />
convertiti. Questo<br />
sarebbe il motivo per<br />
il quale i Catari venivano<br />
anche denominati<br />
"Bulgari".<br />
Nel 1143 Evervino<br />
di Steinfeld scrisse a San Bernardo<br />
di Chiaravalle (1090-1153) per informarlo<br />
sulla presenza nella Renania,<br />
a Colonia, di eretici, anche donne,<br />
organizzati in uditori ed eletti, che<br />
accettavano come preghiera solo il<br />
Padre Nostro e si rifiutavano di frequentare<br />
le chiese e ricevere i sacramenti,<br />
eccetto una particolare forma<br />
di comunione. Gli eretici furono bruciati<br />
e Evervino si stupì che salissero<br />
serenamente, o addirittura con gioia,<br />
sul rogo. Di simili fatti narrò anche<br />
Ecberto di Schonau.<br />
Pochi mesi dopo lo stesso Bernardo<br />
accorse nella Francia meridionale,<br />
su invito del cardinale Alberico di<br />
Ostia, legato pontificio, con lo scopo<br />
di intervenire contro le predicazioni<br />
di Enrico di Losanna a Tolosa, salvo<br />
poi rendersi conto dell'elevata diffusione<br />
del catarismo nella zona.<br />
Ogni tentativo di Bernardo di convertire<br />
gli Albigesi (come li chiamò<br />
dal nome della città di Albi) rimase<br />
senza successo e tre anni dopo, nel<br />
1148, il Concilio di Tours li condannò,<br />
stabilendo che, se scoperti, essi dovessero<br />
essere imprigionati e i loro beni<br />
confiscati.<br />
Tuttavia queste disposizioni non<br />
sembra che avessero avuto particolare<br />
effetto, anzi proprio nella Francia<br />
meridionale, in Linguadoca e in Provenza,<br />
i Catari si consolidarono maggiormente.<br />
Questa regione a ridosso<br />
dei Pirenei, nota anche come Occitania,<br />
che durante l'alto Medioevo era<br />
stata parte dell'ex regno dei Visigoti,<br />
si era sviluppata come cuscinetto<br />
tra il regno dei Franchi a Nord e gli<br />
Arabi a sud ed era, dal punto di vista<br />
politico, linguistico, culturale e della<br />
tolleranza, profondamente diverso<br />
dal resto dell'odierna Francia. Infatti<br />
gli occitani parlavano la lingua d'oc, e<br />
non quella d'oil come nel resto della<br />
Francia, avevano sviluppato la lirica<br />
dei trovatori (alcuni dei quali, come<br />
Guglielmo Figueira, furono catari),<br />
tolleravano gli ebrei e i pensatori eterodossi<br />
cristiani.<br />
Vent'anni dopo la missione di<br />
San Bernardo, nel 1165 a Lombez fu<br />
tenuto un pubblico contraddittorio tra<br />
teologi cattolici e catari, questi ultimi<br />
Sotto:<br />
Rogo di eretici<br />
Albigesi<br />
53
Nell'immagine:<br />
Sassetta, Rogo di un<br />
eretico, 1425 circa.<br />
54<br />
con a capo un tale<br />
Oliviero, che si<br />
risolse in un nulla<br />
di fatto. Fu in<br />
quel periodo che<br />
i cattolici iniziarono<br />
a chiamarli<br />
Catari, sulla cui<br />
etimologia gli<br />
autori dell'epoca<br />
hanno concepito<br />
due teorie: la<br />
più probabile fa<br />
derivare questo<br />
termine dal greco<br />
Kàtharoi cioè<br />
puri, la più più<br />
folcloristica la<br />
riferisce al latino<br />
medioevale catus,<br />
gatto, un classico<br />
travestimento di<br />
Lucifero al quale<br />
gli eretici, secondo<br />
i loro detrattori,<br />
baciavano<br />
le terga durante<br />
i loro riti. Ma<br />
furono anche<br />
definiti pubblicani<br />
o pobliciani<br />
o populiciani, in<br />
rapporto ad un'altra eresia medioevale<br />
dualista, il paulicianesimo, o anche<br />
"bulgari", dal paese originario della<br />
setta dei bogomili, o "manichei" in<br />
rapporto con l'eresia di Mani o impropriamente<br />
"ariani" (o arriani) per<br />
una connessione con le tesi cristologiche<br />
di Ario. Dal mestiere abitualmente<br />
svolto da molti dei credenti furono<br />
anche chiamati tixerand, dall'antico<br />
francese per tessitori, mentre grande<br />
confusione fanno ancora alcuni<br />
autori anglosassoni, che si ostinano a<br />
chiamarli patarini, confondendoli con<br />
il noto movimento riformista, e non<br />
certo dualista, della Pataria del XI<br />
secolo. I Catari invece si definirono<br />
sempre e semplicemente boni homini o<br />
boni christiani.<br />
Nel 1167 i Catari tennero il loro<br />
Concilio a Saint-Félix de Caraman<br />
(o de Lauragais), vicino a Tolosa; vi<br />
parteciparono il vescovo bogomila<br />
Niceta (impropriamente definito il<br />
"Papa cataro"), e i vescovi della Chiesa<br />
di Francia, Robert d'Espernon e di<br />
Italia, Marco di Lombardia, oltre a<br />
Siccardo Cellerier di Albi e Bernard<br />
Cathala di Carcassonne, in rappresentanza<br />
delle altre realtà catare francesi.<br />
La presenza di Niceta servì ad<br />
avvallare la tesi che il bogomilismo<br />
di tipo assoluto, tipico della Chiesa di<br />
Dragovitza, in Bosnia, aveva influenzato<br />
in maniera decisiva la dottrina<br />
catara, se non fin dall'inizio, almeno
da quel momento in avanti. Inoltre, il<br />
movimento nella Francia meridionale<br />
fu ristrutturato in quattro chiese:<br />
Agen, Tolosa, Albi e Carcassonne<br />
(una quinta, quella del Razès fu istituita<br />
in piena crociata, nel 1226).<br />
C) La reazione dei cattolici<br />
Il periodo tra il 1178 ed il 1194 vide<br />
il fallimento di diversi tentativi di<br />
avvicinamento tra cattolici e Catari in<br />
Linguadoca; nel 1194 divenne conte di<br />
Tolosa Raimondo VI, che era favorevole<br />
ai Catari e sul cui territorio poterono<br />
svilupparsi indisturbate le diocesi<br />
catare di Agen e Tolosa. Tuttavia anche<br />
quelle di Albi e Carcassonne non<br />
correvano particolari rischi in quanto<br />
erano nel territorio<br />
del visconte<br />
Raimond-Roger<br />
Trencavel, nipote<br />
di Raimondo VI.<br />
La svolta si<br />
ebbe nel 1198,<br />
con la salita al<br />
trono pontificio<br />
di Papa Innocenzo<br />
III (1198-<br />
1216), ideatore di<br />
una vera e propria<br />
campagna<br />
contro i Catari.<br />
Infatti dapprima<br />
inviò nel 1207-<br />
1208 famosi<br />
predicatori come<br />
Domenico di<br />
Guzman e Diego<br />
d'Azevedo, vescovo<br />
di Osma,<br />
per cercare di<br />
convertire i Catari,<br />
ma i dibattiti<br />
pubblici non<br />
approdarono ad<br />
alcun risultato,<br />
anzi i teologi<br />
catari, come<br />
Guilhabert de<br />
Castres, ne uscirono a testa alta.<br />
Allora Innocenzo passò alle vie di<br />
fatto e bandì una crociata contro gli<br />
Albigesi, prendendo come pretesto<br />
l'assassinio (in realtà a sfondo politico<br />
e non certo dogmatico), a Saint-Gilles<br />
nel 1208, del legato papale e monaco<br />
cistercense Pietro di Castelnau, al<br />
quale forse non era estraneo lo stesso<br />
Raimondo VI, che era stato scomunicato<br />
dal legato nel 1207.<br />
Alla Crociata parteciparono vari<br />
nobili della Francia settentrionale,<br />
come il Duca di Borgogna ed il Conte<br />
di Nevers, oltre ad avventurieri di<br />
pochi scrupoli, attratti sia dall'indulgenza<br />
dai peccati che, molto<br />
più materialmente, dalla possibilità<br />
55
Nell'immagine:<br />
Il castello cataro di<br />
Montségur.<br />
56<br />
d'impadronirsi delle città della Linguadoca.<br />
L'esercito crociato contava<br />
un totale di 20.000 cavalieri e oltre<br />
200.000 soldati e servi al seguito.<br />
Il 22 luglio 1209 i crociati espugnarono<br />
Béziers; fu in quella occasione<br />
che il legato papale Arnaud<br />
Amaury, abate di Citeaux, interrogato<br />
su come fosse possibile distinguere<br />
i cattolici dai catari, rispose:<br />
"Uccideteli tutti, Dio saprà riconoscere i<br />
suoi". Il consiglio fu efficace: furono<br />
massacrate 20.000 persone e Amaury<br />
ricevette le congratulazioni dal Papa<br />
in persona.<br />
Stessa sorte toccò a Carcassonne,<br />
dove fu imprigionato e morì in<br />
carcere il visconte Raimond-Roger<br />
di Trencavel. Dal 1210 i crociati,<br />
con a capo Simon IV de Montfort,<br />
conquistarono una impressionante<br />
serie di città o cittadine catare: Agen,<br />
Albi, Birou, Bram, Cahusac, Cassés,<br />
Castres, Fanjeaux, Gaillac, Lavaur,<br />
Limoux, Lombez, Minerve (qui 140<br />
Catari si gettarono spontaneamente<br />
nelle fiamme), Mirepoix, Moissac,<br />
Montégur, Montferrand, Montrèal,<br />
Pamiers, Penne, Puivert, Saint Antonin,<br />
Saint Marcel, Saverdun, Termes.<br />
Queste città furono tutte espugnate<br />
secondo un crudele copione ben collaudato<br />
che comportava mutilazioni<br />
di nasi, occhi, orecchie e ovviamente<br />
l'onnipresente rogo dove gli eretici<br />
venivano bruciati.<br />
Un episodio per tutti fu la conquista<br />
di Lavaur nel 1211, con il rogo di<br />
ben 400 Catari e l'uccisione di Giraude<br />
di Lavaur, una nobile catara sorella<br />
del comandante della guarnigione,<br />
molto timorata di Dio e amata da<br />
tutti i suoi concittadini, anche cattolici.<br />
Giraude fu lapidata a morte dai<br />
crociati e quindi gettata in un pozzo.<br />
Ogni signore di queste città lottò<br />
per la sua sopravvivenza, anche se<br />
questo significava passare per faydit,<br />
eretico o protettore di eretici, e i suoi<br />
terreni venivano dati in ricompensa<br />
ai crociati.<br />
Nel 1212 intervenne nella crociata,<br />
prendendo le difese dei tolosani, anche<br />
il re d'Aragona, Pietro I, cognato<br />
di Raimondo, poiché molte delle terre<br />
in questione almeno formalmente<br />
facevano parte del suo regno. Fra<br />
Aragonesi e crociati la lite degenerò
in guerra e Pietro fu ucciso dai crociati<br />
all'assalto di Muret.<br />
Il momento più difficile per i crociati<br />
si rivelò l'assedio della capitale<br />
Tolosa del 1217-1218, dove Simon de<br />
Montfort venne ucciso da una pietra<br />
lanciata da una donna. Prese allora il<br />
comando della crociata l'inetto figlio<br />
di Simon, Amaury VI de Montfort,<br />
con scarso successo. Frattanto la<br />
situazione politica stava cambiando in<br />
favore del re di Francia, a partire dal<br />
1215, quando il futuro re di Francia<br />
Luigi VIII il Leone era intervenuto<br />
personalmente nelle operazioni militari;<br />
nel 1224, diventato sovrano, obbligò<br />
Amaury a fare dono di tutte le terre<br />
conquistate alla corona di Francia.<br />
Inoltre l'incapacità di Amaury<br />
permise ai Catari e ai conti di Tolosa di<br />
serrare le fila, prima della parte finale<br />
della guerra, voluta da Papa Onorio III<br />
e condotta da Luigi VIII in persona, e,<br />
per questo, denominata Crociata reale.<br />
Alla fine nel 1229 Raimondo VII<br />
di Tolosa, spossato da una guerra<br />
che aveva totalmente<br />
stravolto il<br />
Mezzogiorno della<br />
Francia, accettò<br />
una pace mediata<br />
da Bianca di<br />
Castiglia, madre<br />
del nuovo re minorenne<br />
Luigi IX,<br />
e ratificata con il<br />
trattato di Meaux.<br />
Raimondo conservò<br />
parte delle sue<br />
terre, cedendo il<br />
resto alla Francia,<br />
ma dovette dichiarare<br />
la sua fedeltà<br />
al re e negare ogni<br />
appoggio ai boni<br />
homini.<br />
D) La fine<br />
A questo punto<br />
ai militari subentrarono<br />
gli inquisitori domenicani e<br />
francescani, la cui attività era stata<br />
ufficializzata nel 1233 da Papa<br />
Gregorio IX come Inquisitio heretice<br />
pravitatis. Gli inquisitori, odiati dalla<br />
popolazione locale, imperversarono<br />
sul territorio per circa 100 anni (1233-<br />
1325), in realtà facendo uccidere<br />
meno persone di quanto si è portati<br />
a credere (solitamente solo i Catari<br />
"perfetti", che si rifiutavano di abiurare),<br />
ma utilizzando metodi di tortura<br />
e pressione psicologica di una sottile<br />
efferatezza.<br />
L'odio per gli inquisitori si concretizzò<br />
ad Avignonnet nel 1242, dove<br />
due di essi (Arnauad Guilhelm de<br />
Montpellier e Étienne de Narbonne)<br />
e il loro seguito furono massacrati.<br />
Questo fu il pretesto per scatenare un<br />
ultimo colpo di grazia ai Catari asserragliati<br />
nella fortezza di Montségur,<br />
il cui assedio nel 1243-1244 fu l'atto<br />
finale della guerra contro di loro.<br />
Montségur era infatti diventata, dal<br />
1232, l'ultimo baluardo della resisten-<br />
Sotto:<br />
La battaglia di<br />
Muret, miniatura dal<br />
manoscritto francese<br />
"Le grandi Cronache<br />
di Francia".<br />
57
Nell'immagine:<br />
La città di Carcassonne.<br />
58<br />
za catara. Nel maggio del 1243 la fortezza,<br />
difesa da Raimond de Péreille e<br />
dal perfetto Bernard Marty, fu posta<br />
sotto assedio da parte delle truppe del<br />
siniscalco di Carcassonne, Hugues de<br />
Arcis, ma solo nel marzo del 1244, gli<br />
assedianti riuscirono ad espugnarla.<br />
Immediatamente furono eretti i tristemente<br />
noti roghi, sui quali Bernard<br />
Marty e 225 Catari furono bruciati.<br />
E) Il movimento in Italia<br />
L'Italia settentrionale e centrale,<br />
assieme alla Francia meridionale,<br />
fu l'area geografica dove si sviluppò<br />
maggiormente il catarismo: secondo<br />
l'ex cataro Raniero Sacconi, alla metà<br />
del XIII secolo i "perfetti" erano circa<br />
2.500. Si suppone quindi che il movimento,<br />
includendo credenti e simpatizzanti,<br />
fosse molto diffuso.<br />
Il primo vescovo di tutti i Catari<br />
italiani fu Marco di Lombardia e il<br />
suo successore fu Giovanni Giudeo,<br />
ma in seguito il movimento si frazionò<br />
in sei chiese locali:<br />
• Chiesa di Desenzano (sul Lago<br />
di Garda) l'unica che praticava un<br />
dualismo di tipo assoluto e i cui<br />
adepti si chiamavano albanensi,<br />
dal nome del primo vescovo Albano.<br />
Altri vescovi degni di nota<br />
furono Belesinanza e soprattutto<br />
il massimo teologo cataro Giovanni<br />
di Lugio.<br />
• Chiesa di Concorrezzo (vicino a<br />
Monza), la maggiore in Italia, i<br />
cui membri si chiamavano garattisti,<br />
dal nome del loro primo<br />
vescovo Garatto. Seguirono Nazario<br />
e Desiderio, ma con l'abiura<br />
dell'ultimo vescovo, Daniele da<br />
Giussano, la chiesa si estinse.<br />
• Chiesa di Bagnolo San Vito<br />
(vicino a Mantova), i cui fedeli<br />
venivano chiamati bagnolensi o coloianni,<br />
dal nome in greco del loro<br />
primo vescovo Giovanni il Bello.<br />
Si estinse con l'abiura degli ultimi<br />
due vescovi, Albertino e Lorenzo<br />
da Brescia. A questa chiesa<br />
appartenne segretamente anche<br />
Armanno Pungilupo, morto nel<br />
1269 e proposto per la canonizzazione<br />
perché ritenuto in vita<br />
persona di notevole rettitudine e<br />
santità e fatto oggetto, dopo morto,<br />
di venerazione e pellegrinaggi.<br />
Purtroppo un'inchiesta voluta da<br />
Papa Bonifacio VIII rivelò che<br />
Pungilupo era un cataro e quindi<br />
fu condannato postumo.<br />
• Chiesa di Vicenza o della Marca<br />
di Treviso, fondata dal primo<br />
vescovo, Nicola da Vicenza,<br />
seguito da Pietro Gallo, noto per<br />
la confutazione delle sue dottrine
da parte di S. Pietro Martire da<br />
Verona che, secondo una leggenda,<br />
fu un cataro pentito, diventato<br />
poi un inquisitore domenicano.<br />
• Chiesa di Firenze, fondata da<br />
Pietro di Firenze, alla quale apparteneva<br />
il famoso condottiero<br />
ghibellino Farinata degli Uberti,<br />
posto da Dante nell'Inferno.<br />
• Chiesa di Spoleto e Orvieto,<br />
fondata da Girardo di San Marzano<br />
e proseguita da due donne,<br />
Milita di Marte Meato e Giuditta<br />
di Firenze. La chiesa si estinse<br />
con l'abiura dell'ultimo vescovo,<br />
Geremia.<br />
Le ultime cinque<br />
chiese praticavano<br />
un dualismo di<br />
tipo moderato.<br />
Il catarismo<br />
in Italia seguì<br />
un destino diverso<br />
rispetto<br />
a quello delle<br />
chiese sorelle<br />
in Francia; ciò<br />
era dovuto all'appoggio<br />
che spesso<br />
le fazioni ghibelline<br />
accordavano<br />
loro, in chiave<br />
antipapale. Il<br />
tutto durò fino<br />
alla battaglia di<br />
Benevento del<br />
1266, quando<br />
la sconfitta del<br />
partito ghibellino<br />
e l'affermarsi<br />
di quello<br />
guelfo degli<br />
Angioini, fece<br />
mancare ai<br />
Catari i potenti<br />
appoggi<br />
goduti fino a<br />
quel momento.<br />
Iniziò<br />
il declino e anche in Italia venne il<br />
momento della resa dei conti. Nel<br />
1276 le truppe di Alberto I della<br />
Scala espugnarono la rocca di Sirmione,<br />
dove si erano asserragliati i<br />
vescovi delle chiese di Desenzano<br />
e Bagnolo San Vito oltre a numerosi<br />
perfetti italiani e occitani. Tutti<br />
furono arrestati e portati a Verona<br />
dove, il 13 febbraio 1278, 174 perfetti<br />
furono bruciati sul rogo allestito<br />
nell'arena.<br />
F) Il revival cataro<br />
Verso la fine del XIII secolo si<br />
ebbe in Francia un rifiorire delle<br />
dottrine catare, portate dai<br />
fratelli Guglielmo e Pietro<br />
Authier, da Amelio<br />
de Perles e da Pradas<br />
Tavernier, che si erano<br />
formati presso<br />
i Catari lombardi<br />
ed erano quindi<br />
tornati a predicare<br />
in Francia: Pietro fu<br />
catturato e bruciato<br />
nel 1310 per ordine<br />
del famoso inquisitore<br />
Bernardo Gui. Ufficialmente<br />
l'ultimo cataro<br />
fu Guglielmo Belibasta,<br />
tradito dal cataro<br />
rinnegato Arnaldo<br />
Sicre e bruciato nel<br />
1321 per ordine<br />
dell'inquisitore Jacques<br />
Fournier, che<br />
sarebbe poi diventato<br />
Papa Benedetto<br />
XII (1334-1342).<br />
Da quella data il<br />
catarismo cessò di<br />
esistere, almeno<br />
esteriormente,<br />
mentre probabilmente<br />
proseguì<br />
in forma segreta<br />
e limitata a<br />
pochi adepti.<br />
Nell'immagine:<br />
Stele eretta alla memoria<br />
dei Catari arsi<br />
vivi a Monségur<br />
59
Sopra:<br />
La rocca<br />
di Sirmione.<br />
60<br />
La dottrina<br />
I catari erano cristiani dualisti che<br />
accettavano il Nuovo Testamento, e<br />
in questo si distinsero dai manichei,<br />
con i quali erano spesso accomunati<br />
dai cattolici. Essi credevano nell'esistenza<br />
di due principi contrapposti, il<br />
Bene e il Male, individuati rispettivamente<br />
nel Dio santo e giusto, descritto<br />
nel Nuovo Testamento, e nel Dio<br />
nemico o Satana.<br />
Il catarismo si<br />
divideva in due filoni:<br />
quello assoluto e quello<br />
moderato. Per i dualisti<br />
assoluti i due Dei<br />
erano sempre esistiti in<br />
un'eterna lotta e avevano<br />
creato i loro due<br />
mondi, quello dello<br />
spirito opposto a quello<br />
imperfetto della materia,<br />
al quale noi apparteniamo.<br />
Per i dualisti moderati<br />
Satana non era<br />
un Dio ma un angelo<br />
ribelle caduto, che aveva<br />
comunque creato il<br />
mondo materiale. Alcuni<br />
degli angeli (circa un<br />
terzo) furono convinti<br />
con lusinghe ad unirsi<br />
a Satana, che li intrappolò<br />
successivamente in<br />
corpi umani, impedendo<br />
loro di tornare dal<br />
Dio giusto.<br />
L'anelito continuo<br />
dello spirito, dalla sua<br />
dolorosa prigionia nel<br />
corpo dell'uomo, sarebbe<br />
quindi quello di<br />
riuscire a tornare un<br />
giorno da Dio Padre,<br />
cosa che i Catari cercavano<br />
di fare attraverso<br />
il Consolament, durante<br />
la loro vita, perché altrimenti<br />
sarebbero stati<br />
costretti, con la morte, a subire una<br />
continua trasmigrazione dello spirito<br />
da un corpo all'altro, anche animale,<br />
fino a quando non fosse riuscito a<br />
riunirsi di nuovo con Dio.<br />
La figura di Cristo solo apparentemente<br />
coincideva con quella prevista<br />
dalla dottrina cattolica; in realtà non<br />
era affatto così: i Catari credevano che<br />
Cristo fosse un angelo di Dio, chiamato<br />
Giovanni secondo Belibasta, sceso
sulla terra sotto forma di puro spirito.<br />
Quindi anche i Catari aderivano al<br />
concetto docetista della mera apparenza<br />
della nascita, sofferenza e morte di<br />
Cristo sulla terra. In tal modo automaticamente<br />
venivano a cadere due<br />
simboli cristiani legati alla vita terrena<br />
di Cristo: la croce, che i Catari negavano,<br />
se non odiavano, e la transustanziazione,<br />
la trasformazione, cioè,<br />
del pane e vino in corpo e sangue di<br />
Cristo durante l'eucaristia, che i Catari<br />
respingevano con orrore.<br />
I riti e la liturgia<br />
I Catari rifiutarono la maggior<br />
parte dei riti e delle liturgie cristiane<br />
in favore dei propri; questi erano:<br />
• Innanzitutto il Consolament, una<br />
forma di rito complesso con imposizione<br />
delle mani, fatto ad adulti,<br />
che riuniva in sé il valore dei<br />
sacramenti cristiani del battesimo,<br />
della comunione, dell'ordinazione<br />
e dell'estrema unzione. Con questa<br />
cerimonia, il cataro da semplice<br />
fedele diventava un "perfetto" o<br />
"Amico di Dio", come i Catari<br />
amavano dire. Molti credenti<br />
aspettavano di essere in fin di<br />
vita per chiedere il Consolament e<br />
preferivano a quel punto lasciarsi<br />
morire per digiuno, per non rischiare<br />
di essere esposti alle possibilità<br />
di peccato. Questa pratica si<br />
chiamò Endura e diventò popolare<br />
nel periodo del tardo catarismo,<br />
quando la scarsità di "perfetti"<br />
poteva rendere impossibile una seconda<br />
cerimonia di Consolament,<br />
se fosse stata necessaria.<br />
• Il Melhorament, un'elaborata forma<br />
di saluto tra Catari.<br />
• L'Aparelhament, una confessione<br />
pubblica dei propri peccati.<br />
• La Caretas, un bacio rituale di pace.<br />
• La recita del Padre Nostro, in<br />
Nella foto:<br />
Croce catara.<br />
61
A destra:<br />
Pedro Berruguete,<br />
San Domenico e<br />
gli Albigesi.<br />
pratica l'unica preghiera (eccetto<br />
alcune invocazioni minori)<br />
accettata dal cataro, con alcune<br />
significative correzioni del testo:<br />
il riferimento al "pane soprasostanziale"<br />
al posto del "pane quotidiano",<br />
inteso non come cibo<br />
materiale ma come insegnamenti<br />
di Cristo, e l'aggiunta in fondo<br />
alla preghiera della postilla<br />
"perché Tuo è il regno, la potenza e<br />
la gloria nei secoli dei secoli. Amen".<br />
I perfetti avevano l'obbligo di<br />
recitarlo più volte al giorno,<br />
solitamente in serie da sei<br />
(sezena), da otto (sembla)<br />
o sedici (dobla).<br />
62<br />
Come vivevano<br />
e come erano<br />
organizzati<br />
Dal punto<br />
di vista<br />
alimentare i<br />
perfetti catari<br />
erano vegetariani;<br />
avevano<br />
abolito dalla<br />
loro dieta carne,<br />
uova, latte<br />
e derivati, ma<br />
curiosamente<br />
non il pesce e<br />
i crostacei, e<br />
praticavano<br />
spessissimo<br />
il digiuno a<br />
pane e acqua,<br />
nella Quaresima,<br />
nell'Avvento,<br />
dopo<br />
la Pentecoste<br />
e tre giorni la<br />
settimana o<br />
come penitenza<br />
per peccati<br />
di lieve entità.<br />
Non potevano<br />
mentire<br />
ed erano<br />
inoltre casti;<br />
condannavano<br />
il matrimonio<br />
e l'unione<br />
sessuale, che<br />
portava alla
procreazione, come atto tipico del<br />
mondo materiale creato da Satana e<br />
che perpetuava la catena delle reincarnazioni<br />
che i Catari cercavano<br />
invece di spezzare.<br />
Infine erano tenuti al precetto di<br />
non uccidere, il che li mise spesso<br />
in forte crisi quando si trattava di<br />
difendersi durante la crociate e le<br />
successive campagne di persecuzioni<br />
dell'Inquisizione. Questi precetti, tuttavia,<br />
non si applicarono ai semplici<br />
fedeli e simpatizzanti, che potevano<br />
invece brandire le armi per difendere<br />
la propria causa.<br />
Per quanto concerne l'organizzazione,<br />
il capo della comunità o della<br />
chiesa assumeva il titolo di vescovo,<br />
secondo i cronisti cattolici dell'epoca;<br />
il perfetto destinato a succedergli era<br />
denominato "figlio maggiore" e quello<br />
destinato a succedere a sua volta<br />
"figlio minore". Pare invece improprio<br />
il titolo di "Papa cataro", attribuito a<br />
Niceta.<br />
I testi<br />
A parte il Nuovo Testamento, i<br />
Catari avevano prodotto una copiosa<br />
letteratura, per la maggior parte<br />
andata distrutta durante le persecuzioni.<br />
Le fonti originarie a noi giunte<br />
comprendono:<br />
• Il Liber de duobus principiis, scritto da<br />
Giovanni di Lugio, vescovo della<br />
chiesa di Desenzano e maggiore<br />
teologo cataro, scoperto per caso<br />
nel 1939 nell'Istituto Storico Domenicano<br />
di Santa Sabina, a Roma.<br />
• L'Interrogatio Iohannis, denominata<br />
anche Cena Segreta, un apocrifo<br />
bogomilo portato in Italia da Nazario,<br />
vescovo della chiesa di Concorrezzo,<br />
che s'ispirava alla Genesi<br />
e agli apocrifi della Bibbia.<br />
• Un altro apocrifo bogomilo, la<br />
Visione di Isaia, tradotto in provenzale<br />
da Pietro Authier.<br />
• Il Liber contra Manicheos di Durand<br />
de Huesca.<br />
• Varie versioni dei rituali catari,<br />
sia quello utilizzato dai francesi,<br />
denominato occitano, che quello<br />
usato dagli italiani, chiamato<br />
latino.<br />
• Gli Atti del Concilio di Saint Felix<br />
de Caraman, trascritti in un testo,<br />
denominato Carta di Niceta, scritto<br />
tra il 1223 ed il 1226, di cui<br />
ci sono giunte alcune copie del<br />
XVII secolo.<br />
Nella foto:<br />
Catari al rogo in<br />
una miniatura<br />
medievale.<br />
63
64