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A confronto<br />

con il campione del mondo di vela,<br />

Paolo Scutellaro<br />

Port Village<br />

il magazine di chi ama vivere il mare<br />

Il talento<br />

degli italiani<br />

“Avevo 7 anni quando ho iniziato ad andar per mare” e ancora oggi Paolo Scutellaro non l’ha lasciato.<br />

“Il mare è quasi una malattia e infatti non riesco mai a staccarmene. Tante volte ho pensato a dire basta ma non ci sono mai riuscito”. Una passione<br />

che si è fatta professione, un rapporto intimo e quotidiano, nato grazie al papà che pur non avendo potuto praticare sport legati al mare o<br />

navigare lo ha messo su una barca fin da bambino. “L’Italia vive il grosso problema di vivere la nautica come elitaria con costi elevati e una difficoltà<br />

di accesso superiore a quanto avvenga in altri Paesi. La vela stessa è uno sport ancora troppo difficilmente accessibile e legato a circoli esclusivi.<br />

Questo vale soprattutto per il Sud, perché al Nord è più aperta al godimento popolare”. Ma l’amore ha vinto ogni difficoltà, con l’aiuto della fortuna<br />

e del proprio talento, “all’inizio della carriera ho avuto la fortuna di ottenere risultati importanti nelle competizioni. L’entusiasmo nelle cose è<br />

importante ma sono le soddisfazioni che lo mantengono vivo. Se arrivano i risultati è più facile prendere le decisioni. Le vittorie mi hanno aiutato<br />

ad essere ancora oggi insieme al mare”. Paolo Scutellaro è conosciuto per la sua duplice capacità, quella di vivere gare veliche e quella di progettazione<br />

e promozione di eventi importanti. Ultimo tra tutti le World Series dell’America’s Cup di Napoli. “Se vai per mare per una vita ti rendi<br />

conto che questo è fatto di tante cose, di portualità, servizi, indotto, cantieristica. Ti metti così a confronto con una realtà economica importante<br />

ma poco valorizzata. Il mio lungo percorso agonistico ha accompagnato anche tutta la mia carriera scolastica, fino alla laurea in Economia. Così<br />

la passione, i risultati e la mia formazione si sono naturalmente riversati nella mia vita professionale. Con il tempo ho capito che c’erano i margini<br />

per lavorare nel mio settore, nella vela e nello sport, e mi sono trovato a legarlo alle attività economiche e ad un indotto ancora poco utilizzato.<br />

Sono convinto che siano proprio questi settori legati al mare che potrebbero dare<br />

un impulso di sviluppo al nostro Paese, soprattutto in un momento come questo.<br />

E’ questa economia l’investimento più adatto all’orografia dell’Italia, che è fatta<br />

per lo più di coste”. Ed è immersa nel mare la sua Napoli, “che non sono ancora riuscito a lasciare. E’ una città difficile soprattutto<br />

per chi ha pochi mezzi economici ma è unica e ti tiene legato a sé. Soprattutto grazie al mare”. “La prima candidatura di Napoli per l’America’s<br />

Cup” ha commentato Scutellaro “la presentai personalmente nel 2003 per la stagione 2004/2005. Napoli è una città unica al mondo orograficamente<br />

e per le potenzialità che esprime in termini di spettatori. Il fatto che finalmente, grazie ad una sinergia istituzionale, ci sia finalmente riuscita<br />

mi dà grande gioia e ottimismo per il futuro. Spero che questa convergenza si mantenga nel tempo e che si dia inizio all’organizzazione di tanti<br />

eventi che possano apportare nuova occupazione e benefici per tutti”. La ricetta è semplice: “il successo di Napoli è frutto di un lavoro di team, in<br />

cui io credo da sportivo e da regatante. E’ lo spirito di squadra che fa la differenza, molto più dei talenti individuali. Se si mettono insieme competenze<br />

e obiettivi comuni ogni ostacolo è superabile”. Eppure l’Italia destina ancora poche risorse all’Economia del mare. “Il nostro Paese ha<br />

investito nel tempo in altri settori come l’automotive, il petrolio e la chimica, trascurandone altri, come la nautica e il turismo. Questa scelta oggi<br />

si è rivelata fallimentare. E’ da tempo che si parla di mare in termini economici ma poco ancora si fa. Le idee sono tante ma vanno attivate con<br />

una reale politica di sviluppo e una strategia chiara”. Nel frattempo, anche grazie all’America’s Cup è tornata alta in Italia l’attenzione sul mondo<br />

della vela. Per citare solo uno degli esempi positivi, colpisce “la riscoperta passione degli italiani per la navigazione oceanica in solitario, prima<br />

prettamente francese. Abbiamo tolto la divisa del navigatore giornaliero per avventure più<br />

complesse, ottenendo grandi risultati. I talenti italiani ormai si sono fatti spazio<br />

e sono riconosciuti in tutto il mondo. Manca però un sistema vela, un’organizzazione che possa finanziare univocamente<br />

queste forze. Ci sono tante strutture piccole che non parlano tra loro. Prendiamo la Nuova Zelanda, il cui team è per loro una sorta di<br />

accademia della vela. Il Governo investe milioni di euro per continuare a farlo vivere. E’ vero che lì la vela è come per noi il calcio. Noi abbiamo<br />

il calcio e il mare ce lo siamo dimenticati”. E allora “togliamo qualche risorsa al calcio, che ultimamente ha dimostrato di avere delle falle anche<br />

etiche e investire in un settore forse più consono alla conformazione del nostro Paese. Siamo simili alla Nuova Zelanda,<br />

abbiamo grandi talenti, ma mancano gli investimenti per farli crescere”. Come a dire,<br />

la passione e il talento non sempre bastano.<br />

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