Gli anni di piombo. Satira e tragedia in Dario Fo - Italianistica e ...
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<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>.<br />
<strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
<strong>di</strong> Beatrice Alfonzetti<br />
1.“LA TRAGEDIA DI ALDO MORO”<br />
Non sembr<strong>in</strong>o estravaganti queste pag<strong>in</strong>e, suggestionate<br />
da una riflessione e da una ricerca s<strong>in</strong>o ad ora<br />
relative ad altri secoli, ad altri tempi. A ben guardare,<br />
però, mi accorgo che un filo rosso lega e attraversa<br />
<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i proiettate all’<strong>in</strong><strong>di</strong>etro, ma sorrette da <strong>in</strong>terrogativi<br />
nati dal nostro essere nel tempo. Come poi benissimo<br />
ci ha raccontato lo spettacolo <strong>di</strong> Marco Baliani su<br />
Corpo <strong>di</strong> Stato / il delitto Moro: una generazione <strong>di</strong>visa,<br />
quell’evento drammatico aveva lacerato la nostra<br />
generazione, lasciando un segno profondo. Realizzato<br />
a vent’<strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, <strong>in</strong> collaborazione con RAI 2<br />
dove è andato <strong>in</strong> onda <strong>in</strong> <strong>di</strong>retta, il racconto è stato<br />
scritto e recitato da parte <strong>di</strong> un testimone <strong>di</strong> quei giorni,<br />
che <strong>in</strong> qualche modo sente, nel momento <strong>in</strong> cui<br />
deve <strong>di</strong>rne, un co<strong>in</strong>volgimento profondo. Così s’<strong>in</strong>terroga<br />
sulle contrad<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> allora, sulle scissioni prodottesi<br />
nella sua coscienza giovanile. Conflitti rivissuti<br />
con l’acuta consapevolezza <strong>di</strong> una loro rappresentatività<br />
e <strong>in</strong> tal senso non riferiti né riferibili solo a un io<br />
narrante, al narratore, che tuttavia, oltre a implicare il<br />
suo vissuto nel racconto del “dramma”, lo del<strong>in</strong>ea <strong>in</strong><br />
base a una “<strong>di</strong>chiarata visione soggettiva <strong>di</strong> quegli<br />
<strong>anni</strong>”. E questa può s<strong>in</strong>tetizzarsi con le stesse parole <strong>di</strong><br />
Baliani, qui trascritte dal programma dello spettacolo:<br />
Nei 55 giorni della prigionia <strong>di</strong> Moro ho raccontato<br />
<strong>di</strong> una lacerazione, <strong>di</strong> come il tema della violenza<br />
rivoluzionaria abbia dovuto fare i conti con un corpo<br />
139 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 140<br />
prigioniero, e come questa immag<strong>in</strong>e sia <strong>di</strong>ventata via<br />
via spartiacque per scelte f<strong>in</strong>o ad allora rimandate,<br />
abbia fatto nascere domande e conflitti <strong>in</strong>teriori non più<br />
risolvibili con slogan o con pratiche ideologiche.<br />
Dalla più giovane Alessandra Rossi Ghiglione,<br />
coautrice della scrittura drammaturgica <strong>di</strong> Corpo <strong>di</strong><br />
Stato, gli <strong>anni</strong> Settanta, pervasi da un “or<strong>di</strong>ne violento<br />
del mondo”, sono assimilati a “una trage<strong>di</strong>a greca”, <strong>in</strong><br />
grado <strong>di</strong> suscitare, <strong>in</strong> chi non c’era, “pietà e terrore”.<br />
Seguendo questa traccia, guar<strong>di</strong>amo <strong>in</strong><strong>di</strong>etro, a quegli<br />
<strong>in</strong>tellettuali, letterati o uom<strong>in</strong>i <strong>di</strong> teatro controcorrente,<br />
che hanno imme<strong>di</strong>atamente percepito la drammaticità<br />
del delitto Moro, sebbene forse da altri punti <strong>di</strong> vista e<br />
con altre emozioni. E hanno proiettato le loro visioni o<br />
percezioni nella scrittura, <strong>in</strong> una <strong>di</strong>mensione letteraria<br />
o teatrale, secondo una correlazione ricorrente nel<br />
nostro passato, che ha, <strong>di</strong> volta <strong>in</strong> volta, fissato le gran<strong>di</strong><br />
trage<strong>di</strong>e politiche <strong>in</strong> forme letterarie o tragiche, sottraendo<br />
l’evento all’<strong>in</strong><strong>di</strong>fferenza della cronaca, al dest<strong>in</strong>o<br />
dell’oblio.<br />
Se molti hanno letto la suggestiva prosa <strong>di</strong> Leonardo<br />
Sciascia sulla drammatica vicenda <strong>di</strong> Aldo Moro,<br />
pochi <strong>in</strong>vece sanno che anche <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong> l’aveva restituita,<br />
già nel 1979, sotto forma <strong>di</strong> “trage<strong>di</strong>a”. Oggi possiamo<br />
leggerla sotto il titolo Il caso Moro nel prezioso<br />
volume Fabulazzo, (Kaos, 1992), che, sud<strong>di</strong>viso <strong>in</strong><br />
varie sezioni, raccoglie fra l’altro <strong>in</strong>terventi, conferenze,<br />
<strong>in</strong>e<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> <strong>Fo</strong> degli <strong>anni</strong> 1960-1991.<br />
Nell’<strong>in</strong>tervista a Chiara Valent<strong>in</strong>i, già parzialmente<br />
apparsa sull’“Espresso” e ora <strong>in</strong> appen<strong>di</strong>ce alla rie<strong>di</strong>zione,<br />
per i tipi <strong>di</strong> Feltr<strong>in</strong>elli, della Storia <strong>di</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
(1997), alla domanda se ci fosse “qualcosa che non è<br />
riuscito a raccontare”, <strong>Fo</strong> senza esitazione <strong>in</strong><strong>di</strong>ca proprio<br />
“il sequestro Moro”:<br />
Ci avevo fatto sopra ad<strong>di</strong>rittura due testi, lo sentivo<br />
come qualcosa <strong>di</strong> cui era necessario parlare. Il primo,<br />
scritto a botta calda nel ’79, era molto <strong>di</strong>verso dai
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
miei soliti lavori, già dal titolo. Si chiamava, semplicemente,<br />
La trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Aldo Moro ed era costruito quasi<br />
come una trage<strong>di</strong>a greca. Moro era Filottete, l’eroe che<br />
viene abbandonato perché è ferito, perché è <strong>di</strong>ventato<br />
un peso. Attorno c’erano i suoi compagni della DC, Piccoli,<br />
Zaccagn<strong>in</strong>i, Andreotti, Cossiga, che gli giravano<br />
attorno come ombre, con la faccia coperta da maschere.<br />
Sullo sfondo c’era il rapporto con mandanti lontani,<br />
con un potere che voleva Moro morto (p. 186).<br />
Quei c<strong>in</strong>quantac<strong>in</strong>que giorni, dal 16 marzo al 9<br />
maggio 1978, <strong>in</strong> cui si consumano il drammatico rapimento<br />
del Presidente della Democrazia cristiana, la<br />
carcerazione nella cosiddetta “prigione del popolo” e la<br />
sua esecuzione, e ancora le lettere, i comunicati delle<br />
Brigate rosse, le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i maldestre e <strong>in</strong>efficienti, gli<br />
<strong>in</strong>utili tentativi umanitari, bloccati dal prevalso partito<br />
della fermezza; quei c<strong>in</strong>quantac<strong>in</strong>que giorni erano<br />
apparsi alla fantasia geometrica <strong>di</strong> Leonardo Sciascia<br />
quasi come una “compiuta opera letteraria” (pp. 25-6).<br />
Bastava pirandellianamente rovesciare le cose e vedere<br />
“il dramma che l’assenza dell’onorevole Moro dal<br />
Parlamento, dalla vita pubblica, è più producente [...]<br />
della sua presenza” (L’affaire Moro, Adelphi, 1994, p.<br />
27).<br />
Deputato eletto nelle liste del partito ra<strong>di</strong>cale, lo<br />
stesso scrittore siciliano nella sua “Relazione <strong>di</strong> m<strong>in</strong>oranza”<br />
relativa ai lavori svolti <strong>in</strong> seno alla “Commissione<br />
Parlamentare d’<strong>in</strong>chiesta su la strage <strong>di</strong> via Fani, il<br />
sequestro e l’assass<strong>in</strong>io <strong>di</strong> Aldo Moro [...]”, scriverà nel<br />
giugno del 1982 che “le risposte sicure, <strong>in</strong> questo<br />
genere <strong>di</strong> cose, vengono alla <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> <strong>anni</strong>, dagli<br />
archivi, sotto gli occhi dello storico” (ivi, p. 191). E tuttavia,<br />
se non <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e storica, l’arabescato Affaire tracciava<br />
una cronistoria volta a re<strong>in</strong>terpretare i fatti, <strong>in</strong><br />
base a un metodo già sperimentato nei Pugnalatori.<br />
Solo che questa volta la drammaticità degli eventi era<br />
acuita dalla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> testimoni dei lettori e dello<br />
stesso scrittore, dalla contemporaneità estrema fra fat-<br />
141 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 142<br />
to e scrittura. La percezione è quella <strong>di</strong> una “trage<strong>di</strong>a”<br />
(p. 99), se si guarda alla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Moro – e del<br />
resto tale connotazione ricorre anche nella lettera dello<br />
stesso, del 20 aprile, <strong>in</strong><strong>di</strong>rizzata al segretario della<br />
DC, Benigno Zaccagn<strong>in</strong>i – . Ma può convertirsi <strong>in</strong> quella<br />
<strong>di</strong> un “melodramma”, recitato sulla “scena italiana”<br />
secondo lo schema del gioco delle parti:<br />
vittime <strong>di</strong> questa gran<strong>di</strong>osa messa <strong>in</strong> scena –<br />
come schiacciati dalle massicce qu<strong>in</strong>te, dai massicci<br />
fondali – sembravano essere coloro che non nutrivano<br />
grande amore per lo Stato o per lo Stato italiano così<br />
com’era; ma la vera vittima ne era Aldo Moro (p. 34)<br />
Una vita, una “storia già opera letteraria”, <strong>in</strong> cui<br />
volendo si colgono “segni premonitori” della “trage<strong>di</strong>a”<br />
(p. 117), che la prosa appassionata e lucida <strong>di</strong> Sciascia<br />
fissa a tratti <strong>in</strong> sequenze ‘tragicomiche’, ‘<strong>in</strong>verosimili’<br />
per la loro ‘surrealtà’ e drammatica ‘comicità’ (i titoli dei<br />
giornali, la “beffa” del f<strong>in</strong>to suici<strong>di</strong>o coatto nel lago della<br />
Duchessa, la seduta spiritica da cui vien fuori l’<strong>in</strong><strong>di</strong>cazione<br />
“Gradoli”, ecc.).<br />
Opera <strong>in</strong>evitabilmente “letteraria”, sorretta dalla<br />
passione a tratti cupa ma lucida del maestro Voltaire e<br />
del sodale Pasol<strong>in</strong>i e improntata alle costruzioni fantastiche<br />
delle pag<strong>in</strong>e <strong>di</strong> Pirandello e Borges, l’Affaire<br />
poteva approdare all’<strong>in</strong>vestigante lavoro <strong>di</strong> una commissione<br />
parlamentare o, al contrario, suggestionare il<br />
processo creativo <strong>di</strong> una letteratura ‘civile’. Moro, che<br />
non vuol rivestire i p<strong>anni</strong> dell’eroe, che tenta una <strong>di</strong>sperata<br />
<strong>di</strong>fesa della vita – per non morire <strong>di</strong> “quella morte”<br />
– <strong>in</strong> lettere e scritti, <strong>in</strong> cui non lo si vuol più riconoscere,<br />
appariva alla sensibilità umana <strong>di</strong> Sciascia come la<br />
vittima sacrificale. Il suo precipitare “dal vertice del<br />
potere alla più assoluta impotenza” (pp. 127-8) attivava,<br />
nella memoria poetica, richiami alla tra<strong>di</strong>zione tragica,<br />
rievocando la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Sigismondo nella Vita<br />
è sogno <strong>di</strong> Calderón.<br />
A <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong> – già firmatario dell’appello lanciato da
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
“Lotta cont<strong>in</strong>ua” nel numero del 19 aprile per la liberazione<br />
<strong>di</strong> Aldo Moro – Moro evocava, <strong>in</strong>vece, l’eroe del<br />
Filottete, tra<strong>di</strong>to e impietosamente abbandonato nell’isola<br />
<strong>di</strong> Lemno da Ulisse e dai più stretti compagni. Sulla<br />
falsariga della drammaturgia <strong>di</strong> He<strong>in</strong>er Müller, autore<br />
fra l’altro proprio <strong>di</strong> un Filottete riscritto dalla trage<strong>di</strong>a<br />
sofoclea, <strong>Fo</strong> s’ispira al mito greco attualizzandolo,<br />
secondo la sua poetica dello spessore del tempo iscritto<br />
nel testo. Quest’ultima può essere esemplificata con<br />
un ragionamento per assurdo espresso nel Manuale<br />
m<strong>in</strong>imo dell’attore (E<strong>in</strong>au<strong>di</strong>, 1997). Parlando della<br />
struttura dei nostri testi teatrali degli ultimi decenni,<br />
così <strong>Fo</strong> la visualizza:<br />
Prendete questi testi, <strong>di</strong>cevo, e, senza metterci<br />
sopra data alcuna, poneteli <strong>in</strong> una capsula d’acciaio<br />
speciale. Spariamo il tutto con un razzo nella stratosfera.<br />
Immag<strong>in</strong>iamo che fra c<strong>in</strong>que secoli degli astronavi<br />
trov<strong>in</strong>o la capsula, la riport<strong>in</strong>o sulla terra, e alcuni<br />
stu<strong>di</strong>osi imme<strong>di</strong>atamente s’impossess<strong>in</strong>o <strong>di</strong> quei testi,<br />
si butt<strong>in</strong>o a stu<strong>di</strong>arli, li analizz<strong>in</strong>o nel tentativo <strong>di</strong> scoprire<br />
<strong>in</strong>nanzitutto a che periodo storico appartengano.<br />
Voi credete ci possano riuscire? Dove troverebbero un<br />
riferimento a fatti <strong>di</strong> cronaca, una qualche allusione ai<br />
fatti tragici della nostra epoca, un riferimento ai conflitti<br />
sociali? No, troverebbero solo fiumi <strong>di</strong> concetti, parole<br />
che si r<strong>in</strong>corrono a moscacieca senza ritrovarsi mai,<br />
personaggi senza tempo, senza una realtà m<strong>in</strong>ima.<br />
No, nessuno riuscirebbe a <strong>in</strong>dov<strong>in</strong>are quando e da chi<br />
possano essere stati scritti quei testi. Giorni, mesi, notti,<br />
epoca, tutto senza tempo (pp. 176-7).<br />
Fedele a questa concezione allusiva ma densa <strong>di</strong><br />
riferimenti al presente del testo teatrale, <strong>Fo</strong> immag<strong>in</strong>a<br />
nel Caso Moro una scena modellata sullo spazio scenico<br />
orig<strong>in</strong>ario del teatro greco: una cavea “concentrica<br />
a c<strong>in</strong>que o sei gradoni”. Qui, fra il frastuono <strong>di</strong> satiri<br />
e baccanti evocati dal rito <strong>di</strong>onisiaco annunziato da<br />
Coro e Corifeo, prenderanno posto otto personaggi<br />
143 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 144<br />
“paludati”, che reciteranno con maschere <strong>in</strong>dossate da<br />
manich<strong>in</strong>i lì già collocati, pronte per essere utilizzate<br />
dagli attori, ogni volta che entreranno nel personaggio<br />
del potere <strong>di</strong> turno. La f<strong>in</strong>alità scenica, <strong>in</strong><strong>di</strong>cata dalla<br />
<strong>di</strong>dascalia (“Così gli otto attori avranno la possibilità <strong>di</strong><br />
recitare un numero più che doppio <strong>di</strong> ruoli”), recupera<br />
l’uso dei greci <strong>di</strong> affidare tramite i travestimenti a pochi<br />
attori vari ruoli, su cui <strong>Fo</strong> si sofferma nel Manuale (p.<br />
232 sgg.). L’uso della maschera, <strong>in</strong>oltre, impone “una<br />
particolare gestualità” e nel far sì che il corpo funzioni<br />
“da cornice alla maschera” “ne trasforma la fissità”.<br />
Così nel variare i movimenti, soprattutto del collo, si<br />
possono ottenere “effetti d’un’aggressività quasi animalesca”,<br />
che vanno attenuati o meno s<strong>in</strong>o a far corrispondere<br />
il “ritmo” “alle parole e al contenuto” (ivi, pp.<br />
41-2). La scelta della maschera per il Caso Moro, oltre<br />
a sottol<strong>in</strong>earne la forma tragica pur se giocata <strong>in</strong> chiave<br />
satirica, si configura come la più felice per rappresentare<br />
la carica <strong>di</strong> ferocia trattenuta degli otto. Questa<br />
soluzione scenica risponde pertanto all’esigenza <strong>di</strong><br />
variare i loro gesti e <strong>di</strong> calibrarli sulle loro parole, che<br />
acquisteranno via via una forte aggressività nei confronti<br />
della ‘vittima’, del capro da sacrificare nel moderno<br />
rito macabro del potere.<br />
Non poteva mancare però il personaggio-cifra della<br />
drammaturgia <strong>di</strong> <strong>Fo</strong> cioè il personaggio monologante<br />
che, nel ruolo del Buffone, recita un vero e proprio<br />
prologo, <strong>in</strong><strong>di</strong>rizzato agli spettatori (“Osservate”, “Guardateli”,<br />
“Guardate”, ecc.). Sud<strong>di</strong>viso <strong>in</strong> tre parti, esso<br />
enuncia l’argomento e svela il parallelismo fra il passato<br />
e il presente, attraverso cui si assegna alla vicenda<br />
<strong>di</strong> Moro-Filottete un’identità tragica, espressa nel<br />
l<strong>in</strong>guaggio acre e risentito della satira:<br />
Buffone: “Che misera fantasia ha il potere / osservate<br />
come da mille e mille <strong>anni</strong>, f<strong>in</strong> dalle trage<strong>di</strong>e dei<br />
greci / egli ripete con ossessiva monotonia / sempre le<br />
stesse storie <strong>di</strong> truffa / volete un esempio? Che cosa<br />
raccontava Euripide nel Filottete / se non <strong>di</strong> uno smac-
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
cato tra<strong>di</strong>mento mascherato da sublime sacrificio? / In<br />
quella trage<strong>di</strong>a si mette <strong>in</strong> scena la storia <strong>di</strong> un capo<br />
illustre degli Achei / Filottete appunto, un tempo stimato<br />
e ascoltato eroe / colpito dalla sventura [...] / La trage<strong>di</strong>a<br />
<strong>di</strong> Moro può sembrare nuova a ogni sprovveduto<br />
/ ma a saperla guardare per un m<strong>in</strong>uto con attenzione<br />
è ancora e sempre la stessa canzone... (p. 174).<br />
Si entra nella seconda parte del prologo con una<br />
repent<strong>in</strong>a <strong>in</strong>versione stilistica: la prosa è più adeguata<br />
a presentare agli spettatori gli impassibili otto, annunziati<br />
con l’efficace ripetizione del deittico “Eccoli! Eccoli<br />
qua”. Secondo l’opposizione fra testo letterario e<br />
testo teatrale a più riprese sottol<strong>in</strong>eata da <strong>Fo</strong>, ora il<br />
testo enfatizza il Buffone che acquista una <strong>di</strong>namica<br />
corporale zoomorfa e si esprime con una voce modulata<br />
sugli sghignazzi. D’altronde è proprio lui, narratore<br />
popolare della storia nel prologo, a poterne smascherare<br />
le false verità, i falsi valori, sottoponendo a pubblico<br />
<strong>di</strong>leggio gli otto per <strong>in</strong>tanto privi <strong>di</strong> parola. Con l’autore<br />
il narratore Buffone <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> aver immag<strong>in</strong>ato l’<strong>in</strong>contro<br />
fra Moro, magicamente ancora <strong>in</strong> vita, e gli otto.<br />
Così, la voce <strong>in</strong> <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> Moro, che ripete a viva voce<br />
le parole affidate alle lettere, darà al <strong>di</strong>alogo un andamento<br />
“... davvero tragico... quasi osceno. Osceno per<br />
il potere” (p. 175).<br />
Un altro stacco <strong>in</strong>troduce l’entrata <strong>in</strong> scena <strong>di</strong><br />
Moro personaggio, preceduto dal mutarsi improvviso<br />
del fare <strong>di</strong>alogante del Buffone. Nell’unica sequenza<br />
del testo improntata a uno stile alto, la sua voce recita<br />
un pezzo <strong>in</strong> versi allusivo nel mito <strong>di</strong> Prometeo, “l’addome<br />
squarciato, da lentissima morte crudele asse<strong>di</strong>ato<br />
/ all’irragionevole ragione <strong>di</strong> Stato immolato”, alla<br />
caduta vertig<strong>in</strong>osa <strong>di</strong> Moro e al suo tragico dest<strong>in</strong>o <strong>di</strong><br />
capro espiatorio. Inf<strong>in</strong>e Moro appare e prende avvio il<br />
drammatico confronto. Come enunciato dal Buffone, le<br />
battute <strong>di</strong> Moro procedono dalle lettere scritte dal ‘carcere’,<br />
anche se il lavorìo <strong>di</strong> adattamento alla struttura<br />
del <strong>di</strong>alogo e il <strong>di</strong>verso montaggio dei pezzi provocano<br />
145 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 146<br />
un effetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, <strong>di</strong> alterità dalle fonti e dal vario<br />
materiale documentario adoperato.<br />
A turno parlano gli otto guidati dall’Anziano, il primo<br />
ad adoperare nell’alternarsi <strong>di</strong> blan<strong>di</strong>zie, accuse,<br />
ricatti, quella che più avanti Moro def<strong>in</strong>irà l’“oscena<br />
retorica del terrore” (p.181) rivolta all’op<strong>in</strong>ione pubblica.<br />
Celati da maschere, svelano la loro identità<br />
(Andreotti o Piccoli), solo quando sono chiamati <strong>in</strong> causa<br />
da Moro, su cui <strong>in</strong>combe, per un rovesciamento delle<br />
parti, un processo la cui la sentenza <strong>di</strong> morte è già<br />
annunciata:<br />
Moro: [...] Sono pazzo quel tanto che basta per<br />
non dovere prendere <strong>in</strong> nessun conto le verità che<br />
vado <strong>di</strong>cendo... ma soprattutto per poter cancellare f<strong>in</strong><br />
da adesso le cose che potrei <strong>di</strong>re dopo, nel caso, per<br />
voi drammatico, mi riuscisse <strong>di</strong> uscire vivo da questa<br />
prigione. Che spettacolo, che stupenda sequenza avete<br />
elaborato:<br />
“Scena prima: Moro è sconvolto ma ancora <strong>in</strong> sé.<br />
Scena seconda: Moro è un pupazzo. Scena terza:<br />
Moro è drogato. Scena quarta: Moro è pazzo. Scena<br />
qu<strong>in</strong>ta: Moro è già morto! (p. 186)<br />
La pièce è costruita con grande accuratezza e<br />
rispetto dei fatti, che pur stravolti dalla logica teatrale e<br />
dal taglio satirico, sono facilmente <strong>in</strong><strong>di</strong>viduabili nelle<br />
loro drammatiche sequenze. Così ad esempio nell’improvviso<br />
arrivo del Papa è riprodotto l’<strong>in</strong>tervento <strong>di</strong> Pio<br />
VI, che lanciò il toccante ma <strong>in</strong>utile appello ai brigatisti,<br />
aff<strong>in</strong>ché liberassero Moro “senza con<strong>di</strong>zioni”. Introdotto<br />
dalla parlata beffarda del Buffone, che oppone come<br />
Sciascia la “trage<strong>di</strong>a vera” al “melodramma da quattro<br />
sol<strong>di</strong>”, il Papa potrebbe rivestire la funzione del deus<br />
ex mach<strong>in</strong>a delle trage<strong>di</strong>e a lieto f<strong>in</strong>e <strong>di</strong> Euripide, come<br />
nel nuovamente richiamato Filottete. Alla sua preghiera,<br />
che ricalca le parole pronunciate da Pio VI (“Io mi<br />
<strong>in</strong>g<strong>in</strong>occhio davanti a voi, uom<strong>in</strong>i delle Br... Io vi amo<br />
come fratelli... anche se non vi conosco vi prego, vi
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
supplico, liberate Aldo Moro...semplicemente e senza<br />
con<strong>di</strong>zioni...” p.187), replica affannosamente il prigioniero<br />
che “non è a loro, alle Br, che dovete portare la<br />
vostra affettuosa <strong>in</strong>tercessione...ma verso loro... Questi<br />
altri... li vedete? [...] Pregateli. Sono questi che hanno<br />
le chiavi della mia prigione. È a loro che dovete toccare<br />
il cuore, Padre” (pp. 187-8).<br />
Il taglio e il punto <strong>di</strong> vista del Caso Moro combaciano<br />
con il quadro del<strong>in</strong>eato dal Moro storico nelle lettere,<br />
quando accusa la DC <strong>di</strong> “cattiveria” (“Lettera alla<br />
moglie Eleonora del 7 aprile, <strong>in</strong> Ultimi scritti, Piemme,<br />
1998, p. 28) e soprattutto <strong>di</strong> “<strong>in</strong><strong>di</strong>fferenza” e “c<strong>in</strong>ismo”<br />
perpetratisi per quaranta giorni (Lettera a Benigno<br />
Zaccagn<strong>in</strong>i del 20 aprile, p. 23); quando riven<strong>di</strong>ca a più<br />
riprese la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “prigioniero politico”, sottoposto<br />
a un “processo”, e l’“autenticità” delle sue parole –<br />
scaturite da “sofferenza, non <strong>di</strong>sgiunta da luci<strong>di</strong>tà e<br />
libertà <strong>di</strong> spirito” (“Lettera al partito della Democrazia<br />
Cristiana”, pp. 32-3) – contro il documento firmato da<br />
c<strong>in</strong>quanta personalità del mondo cattolico, <strong>in</strong> cui si<br />
sosteneva che quelle lettere “costituiscono un tentativo<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere la fisionomia <strong>di</strong> Moro”. E soprattutto<br />
quando sposta sulla DC, unitamente al PC, l’“<strong>in</strong>iqua ed<br />
<strong>in</strong>grata sentenza” (p. 31) e la “condanna a morte” (p.<br />
40), <strong>in</strong> nome <strong>di</strong> una “presunta ragion <strong>di</strong> stato” (p. 23).<br />
Sono più o meno queste, ritoccate, le battute del<br />
Moro personaggio, cui <strong>Fo</strong> regala <strong>in</strong>e<strong>di</strong>te parole <strong>di</strong> pietà<br />
verso la scorta (“Certo che li ho visti e sentiti morire<br />
quegli uom<strong>in</strong>i... E quelle pallottole, quei colpi, hanno<br />
colpito pure me... Negli occhi e nella mente. Ma io non<br />
posso parlarne, non posso <strong>di</strong>re del mio orrore, della<br />
mia pietà! [...], non siate sleali!” p. 177). Una pietà che<br />
solo il Buffone, attraverso il meccanismo comico del<br />
“contrasto”, sa suscitare, laddove, lucido e beffardo,<br />
argomenta, commenta, recita versi, <strong>in</strong>cita alla rissa il<br />
Socialista e gli Otto. Va <strong>in</strong> scena uno scontro fra<br />
“pupazzi”, una grande “pupazzata”, mentre nel mondo<br />
circostante si svolge un “macabro pie<strong>di</strong>grotta” (“... ogni<br />
notte, <strong>in</strong> tutta la penisola, saltano <strong>in</strong> aria caserme, se<strong>di</strong><br />
147 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 148<br />
<strong>di</strong> partiti, <strong>di</strong> s<strong>in</strong>dacati, camere <strong>di</strong> commercio, macch<strong>in</strong>e<br />
<strong>di</strong> <strong>in</strong>dustriali e <strong>di</strong> carab<strong>in</strong>ieri” p. 182). Fra le trovate<br />
sceniche che ben si attagliano alla ‘trage<strong>di</strong>a’, e che<br />
rispondono all’esigenza <strong>di</strong> variare e rendere scenico il<br />
processo a Moro, vorrei segnalare la sequenza <strong>in</strong> cui<br />
gli otto <strong>in</strong>tonano <strong>in</strong> coro “una specie <strong>di</strong> giaculatoria”. Un<br />
pezzo <strong>di</strong> grande effetto, <strong>in</strong> cui <strong>Fo</strong> re<strong>in</strong>troduce uno dei<br />
motivi centrali della sua iconoclastia, decl<strong>in</strong>ato qui non<br />
tanto <strong>in</strong> chiave anticlericale e <strong>di</strong>ssacrante come nell’<strong>in</strong>superabile<br />
Mistero buffo, quanto piuttosto <strong>in</strong> chiave<br />
antifrastica nei confronti <strong>di</strong> un potere che, vantandosi<br />
<strong>di</strong> ispirarsi al credo cristiano, ne fa un uso scellerato e<br />
menzognero:<br />
“Fratelli non voltiamo la faccia a chi s’è perduto /<br />
non replichiamo con verbo risentito / a chi, non per sua<br />
colpa, ci ha <strong>in</strong>sultato / noi e il nostro operato / perdoniamo<br />
e compren<strong>di</strong>amo chi per dolore <strong>di</strong> senno è sortito.<br />
/ E del signore la gradìa ha smarrito / un nostro fratello<br />
impazzito ci male<strong>di</strong>ce / <strong>di</strong>o perdonalo egli non sa<br />
quello che <strong>di</strong>ce / [...] lui che era il più forte <strong>di</strong> noi tutti,<br />
oggi prigione / alla violenza ha ceduto smarrendo<br />
volontà e ragione / vaga il suo spirito travolto dai flutti /<br />
nel terribile mare della <strong>di</strong>sperazione / vaga il suo spirito<br />
travolto dai flutti / nel terribile mare della <strong>di</strong>sperazione<br />
/ egli grida nel vento impazzito / un lamento d’<strong>in</strong>sulti<br />
salato / l’onde si <strong>in</strong>frangono sulla ragion <strong>di</strong> Stato [...]”<br />
(p. 179).<br />
Ci si può <strong>in</strong>terrogare sul perché <strong>Fo</strong> si sia arrestato<br />
al <strong>di</strong> qua della messa <strong>in</strong> scena della Trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Aldo<br />
Moro. Secondo il suo giu<strong>di</strong>zio, espresso nell’<strong>in</strong>tervista<br />
del ’97, quel testo letto due volte <strong>in</strong> pubblico non riusciva<br />
a catturarne l’attenzione, “annoiava”. E dato che<br />
la parola <strong>di</strong>venta teatrale quando nasce sulla scena e<br />
un testo si fa teatrale attraverso quello che <strong>Fo</strong> chiama<br />
nel Manuale “sondaggio prelim<strong>in</strong>are” (p. 167), lo stesso<br />
autore ne avrebbe decretato l’irrapresentabilità. In<br />
una parola, soltanto ragioni <strong>di</strong> teatralità o meno: que-
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
sta è la risposta <strong>di</strong> <strong>Fo</strong>; cui si potrebbe chiedere oggi un<br />
più lucido approfon<strong>di</strong>mento, uno sforzo per scavare <strong>in</strong><br />
quegli <strong>anni</strong> con maggiore spregiu<strong>di</strong>catezza e più<br />
verità. Una verità riguardante certi settori soprattutto<br />
giovanili del suo pubblico, forse a <strong>di</strong>sagio nel riconoscere<br />
<strong>in</strong> questa paro<strong>di</strong>a della trage<strong>di</strong>a – che tuttavia<br />
vuol essere tragica (così potrebbe def<strong>in</strong>irsi il Caso<br />
Moro) – la solita maniera <strong>di</strong> <strong>Fo</strong>, anche perché quell’argomento<br />
era scottante e <strong>di</strong>videva le coscienze. Il teatro<br />
politico <strong>di</strong> <strong>Fo</strong> poteva stare dalla parte <strong>di</strong> P<strong>in</strong>elli, ma<br />
non <strong>di</strong> Moro: questo forse era il nodo che proprio Il<br />
delitto Moro <strong>di</strong> Baliani ha evidenziato. E sarebbe auspicabile<br />
che si potessero mettere a confronto questi due<br />
testi, l’uno sui partiti, l’altro sul ‘movimento’, anche <strong>in</strong><br />
un’occasione scenica.<br />
L’estrema contemporaneità della vicenda, <strong>in</strong>oltre,<br />
rendeva ardua una sua imme<strong>di</strong>ata restituzione teatrale,<br />
come a vent’<strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza è stato realizzato, oltre<br />
che dallo spettacolo <strong>di</strong> Baliani, dalla messa <strong>in</strong> scena<br />
del Caso Moro <strong>di</strong> Roberto Buffagni, allestita al Teatro<br />
Stabile <strong>di</strong> Parma <strong>in</strong> co-produzione con la Compagnia<br />
Contemporanea ’83. Anche qui troviamo nello scontro<br />
fra voci <strong>di</strong>verse, da quella <strong>di</strong> Moro (Sergio Fantoni) a<br />
quella dei terroristi accorpate nel “coro <strong>in</strong>sangu<strong>in</strong>ato”,<br />
a quelle delle vittime della scorta e delle loro vedove, il<br />
recupero del tragico come struttura dell’immag<strong>in</strong>ario,<br />
ancor prima che del teatro (o forse del teatro perché<br />
dell’immag<strong>in</strong>ario). Così nell’<strong>in</strong>tervista al supplemento<br />
del martedì della “Repubblica” (10 marzo 1998) spiega<br />
Crist<strong>in</strong>a Pezzoli, cui si deve la regìa:<br />
Non ci <strong>in</strong>teressa il giu<strong>di</strong>zio politico, ma lo scontro<br />
<strong>in</strong>conciliabile tra i l<strong>in</strong>guaggi delle Br, dello Stato, della<br />
stampa. Ognuno <strong>di</strong> loro è cieco, come le forze che agiscono<br />
nella trage<strong>di</strong>a. Un conflitto <strong>di</strong> cui si ha ancora<br />
paura, non si ha il coraggio <strong>di</strong> parlare, come fosse proibito:<br />
ma una società che non sa affrontare il proprio<br />
passato cont<strong>in</strong>ua a non capire il presente.<br />
149 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 150<br />
Fra la scrittura e lettura della Trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Aldo<br />
Moro e la sua pubblicazione con il mutato titolo del<br />
Caso Moro, appare un altro scritto <strong>di</strong>chiaratamente<br />
improntato all’Affaire Moro. È L’ombra <strong>di</strong> Moro <strong>di</strong> Adriano<br />
Sofri, e<strong>di</strong>to da Sellerio nel 1991. Con questo saggio,<br />
ritornano le stesse coor<strong>di</strong>nate della l<strong>in</strong>ea Sciascia –<br />
<strong>Fo</strong>, quasi a conferma <strong>di</strong> un immag<strong>in</strong>ario ancora pervaso<br />
da equivalenze mitico–simboliche, pur se espresse<br />
<strong>in</strong> una cifra ironica. Solo così per altro un certo Novecento<br />
ha saputo esprimere la pietà e il dolore e talvolta<br />
anche il <strong>di</strong>ssenso.<br />
Solo un anno prima – da qui l’avvio – era stato<br />
ritrovato <strong>in</strong> un appartamento <strong>di</strong> via Monte Nevoso a<br />
Milano un materiale composito, fra fotocopie delle lettere<br />
<strong>di</strong> Moro, pistole e una borsa nera con sessanta<br />
milioni. S<strong>in</strong>golarmente quel luogo era già stato scoperto<br />
come covo delle Br nel 1978, ma non vi si era trovato<br />
nulla. Questo ritrovamento <strong>di</strong> lettere scritte a<br />
mano, sebbene <strong>in</strong> fotocopia, sp<strong>in</strong>ge Sofri nella stessa<br />
<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Sciascia, verso una lettura dei fatti <strong>in</strong> chiave<br />
fortemente simbolica che att<strong>in</strong>ge al l<strong>in</strong>guaggio<br />
metaforico dell’universo tragico o letterario. Così affiora<br />
una sorta <strong>di</strong> “congiura” dove lo stesso Moro, anzi il<br />
suo “fantasma” recita a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> <strong>anni</strong> il ruolo <strong>di</strong> “congiurato”<br />
contro le rimozioni e i silenzi (p. 18). Più avanti<br />
questo fantasma o ombra che <strong>in</strong>combe, e che forse<br />
è comparso <strong>in</strong> sogni <strong>di</strong> cui nessuno ha mai parlato,<br />
<strong>in</strong>duce alla riflessione <strong>di</strong> come l’illusione della morte<br />
liberatrice dai rimorsi sia “l’antefatto <strong>di</strong> ogni trage<strong>di</strong>a”<br />
(p. 73). E se a Sciascia la con<strong>di</strong>zione del prigioniero<br />
ricordava il Sigismondo <strong>di</strong> Calderón, a Sofri la lettura<br />
del cosiddetto Memoriale, <strong>in</strong> cui Moro ripercorre la sua<br />
vita “non solo politica”, fa venire <strong>in</strong> mente la Morte ^<br />
<strong>di</strong><br />
Ivàn Il’ic <strong>di</strong> Tolstoj (p. 25), <strong>in</strong> cui il personaggio <strong>in</strong> prossimità<br />
della morte s’<strong>in</strong>terroga e me<strong>di</strong>ta sul senso della<br />
sua vita. Il sequestro <strong>in</strong>vece non trova altra parola per<br />
essere nom<strong>in</strong>ato che quello <strong>di</strong> “trage<strong>di</strong>a” (p. 29), suscitante,<br />
nel suo “spettacolo <strong>di</strong> maestà detronizzata”, <strong>in</strong><br />
qualcuno compiacimento, nei più “pena”. Poi le lettere
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
<strong>di</strong> Moro, con la richiesta della trattativa e dello scambio<br />
<strong>di</strong> prigionieri, trasformano “quell’episo<strong>di</strong>o tragico e<br />
assurdo”, quella “catastrofe morale e simbolica”, <strong>in</strong> cui<br />
era agevole immag<strong>in</strong>are Moro nel ruolo <strong>di</strong> “martire”, <strong>in</strong><br />
un fatto talmente <strong>in</strong>aspettato, da provocare il “rigetto<br />
reciproco” fra Moro e “le persone del mondo <strong>di</strong> fuori”<br />
(pp. 42-5).<br />
Come drammatizzato <strong>in</strong> <strong>Fo</strong>, anche Sofri con<strong>di</strong>vide<br />
lo stesso giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Moro sul tra<strong>di</strong>mento, negando<br />
che sia stato Moro a tra<strong>di</strong>re o a tra<strong>di</strong>rsi (“è stato tra<strong>di</strong>to,<br />
piuttosto”) e sottol<strong>in</strong>eando l’assurda accusa <strong>di</strong> “non<br />
essere un antico romano – da parte <strong>di</strong> romani recentissimi”<br />
(p. 71). Rilievo già <strong>in</strong> Sciascia e <strong>in</strong> <strong>Fo</strong>, laddove<br />
il personaggio <strong>di</strong> Moro nel contrad<strong>di</strong>ttorio con quello <strong>di</strong><br />
Andreotti nega che la moglie avesse rilasciato la<br />
<strong>di</strong>chiarazione, attribuitale dalla stampa, <strong>di</strong> non trattare<br />
con le Br (“L’importante era dare subito una immag<strong>in</strong>e<br />
gloriosa da eroica matrona romana... una Cornelia fierissima<br />
e sacrificante” p. 188). Anche Sofri <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, suggestionato<br />
dal come si sia <strong>di</strong>panata la vicenda più tragica<br />
<strong>di</strong> quegli <strong>anni</strong>, la del<strong>in</strong>ea sotto forma <strong>di</strong> trage<strong>di</strong>a<br />
esemplare e collettiva <strong>in</strong> un pezzo dal titolo eloquente:<br />
La trage<strong>di</strong>a. Così ancora una volta, un evento personale<br />
ma gran<strong>di</strong>osamente epocale acquista l’identità<br />
mitica del tragico, richiamando alla memoria l’ero<strong>in</strong>a<br />
“<strong>di</strong> tutte le sconfitte”, Antigone:<br />
Con Moro, la vera trage<strong>di</strong>a fa irruzione e spiazza<br />
l’<strong>in</strong>tero cast <strong>di</strong> primattori e generici. La trage<strong>di</strong>a è fatta<br />
<strong>di</strong> pochi <strong>in</strong>gre<strong>di</strong>enti essenziali: una grandezza abbattuta,<br />
una catastrofe annunciata e <strong>di</strong>lazionata, centell<strong>in</strong>ata,<br />
un pubblico che conosce già l’esito funesto ma non<br />
riesce f<strong>in</strong>o all’ultimo a r<strong>in</strong>unziare alla speranza. Questo<br />
è stato il caso Moro. Questo ne ha fatto una storia<br />
<strong>di</strong>versa dalle altre. Moro, la sua figura dolente e stanca,<br />
era il miglior can<strong>di</strong>dato a quella parte (p. 91).<br />
151 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
2. “MORTE ACCIDENTALE DI UN ANARCHICO”<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 152<br />
In <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong> parla <strong>di</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong> (Lerici, 1977) si possono<br />
reperire varie def<strong>in</strong>izioni <strong>di</strong> satira <strong>in</strong> opposizione<br />
a una certa comicità. Mentre quest’ultima provoca una<br />
“risata meccanica”, suscitata abilmente dalle tecniche<br />
dell’attore comico e si limita all’autoreferenzialità, la<br />
prima punta alla “risata satirica” prodotta da un <strong>di</strong>retto<br />
rapporto fra pubblico, attore e realtà “che è scelta<br />
come tema <strong>di</strong> un’azione scenica” (p. 57). Quella realtà<br />
spesso è “tragica”, una “farsa tragica”, cui non servono<br />
l’oratoria funebre e catartica, ma l’allusività e il travestimento<br />
(la convenzione <strong>in</strong> base alla quale, rappresentando<br />
una vicenda simile, tutti sanno che si parla<br />
d’altro). Il passaggio dalla farsa della prima maniera <strong>di</strong><br />
<strong>Fo</strong> (prima della svolta del 1968) alla satira cioè da un<br />
“teatro – parabola” al “teatro – cronaca” è <strong>in</strong><strong>di</strong>cato <strong>in</strong><br />
Morte accidentale <strong>di</strong> un anarchico, rappresentata per<br />
la prima volta dal Collettivo teatrale “La Comune” nel<br />
<strong>di</strong>cembre del 1970 (pp. 102-4).<br />
Molti <strong>anni</strong> dopo, <strong>Fo</strong> traccia un bilancio del teatro<br />
contemporaneo, lamentando la carenza <strong>di</strong> autori e <strong>di</strong><br />
testi co<strong>in</strong>volti nel presente e controbattendo alle <strong>di</strong>ffuse<br />
valutazioni che oggi la cronaca televisiva renda<br />
impraticabile la trasformazione <strong>di</strong> un fatto <strong>di</strong> cronaca <strong>in</strong><br />
azione teatrale. Questa posizione significherebbe, portata<br />
all’estremo, che “il teatro civile” “da quando c’è la<br />
televisione è roba da buttare” (Manuale, cit., p. 170).<br />
Dietro quell’atteggiamento <strong>Fo</strong> <strong>in</strong><strong>di</strong>vidua, non a torto,<br />
una tentazione al conformismo, ad accettare senza<br />
alcun “piacere del contrario” una certa ricostruzione<br />
dei fatti, che <strong>in</strong>vece, rappresentati con “s<strong>in</strong>tesi e forme<br />
<strong>di</strong>verse”, f<strong>in</strong>iscono col rivelare “la brutalità grottesca e<br />
tragica al tempo stesso <strong>di</strong> una cronaca” (p. 169). <strong>Fo</strong> si<br />
riferisce al rapimento <strong>di</strong> Ciro Cirillo, del tutto re<strong>in</strong>ventato<br />
<strong>in</strong> Claxon trombette e pernacchi (1982), ma questi<br />
rilievi possono valere benissimo per del<strong>in</strong>eare la sua<br />
poetica teatrale. In particolare un’annotazione conclusiva<br />
<strong>di</strong> un certo <strong>in</strong>teresse per le nostre riflessioni, che
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
riguarda la possibilità <strong>di</strong> una trasco<strong>di</strong>ficazione dei fatti<br />
pers<strong>in</strong>o <strong>in</strong> trage<strong>di</strong>a:<br />
Insomma, la lettura staccata e approfon<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tutto<br />
ciò che sta <strong>di</strong>etro ai fatti, ci permette oggi <strong>di</strong> re<strong>in</strong>ventare<br />
<strong>in</strong> grottesco, <strong>in</strong> ironia o <strong>in</strong> tragico, tutto quello<br />
che la comunicazione <strong>in</strong> <strong>di</strong>retta non riuscirà mai a darci.<br />
E il nostro dovere o, se preferite, il nostro compito<br />
professionale, <strong>di</strong> autori, registi, gente <strong>di</strong> teatro, è riuscire<br />
a parlare della realtà violando lo schema standard<br />
col reagente della fantasia, con l’ironia, con il c<strong>in</strong>ismo<br />
della ragione (p. 172).<br />
In seguito, <strong>in</strong> un’<strong>in</strong>tervista apparsa sull’“Europeo”<br />
e ora compresa <strong>in</strong> Fabulazzo, <strong>Fo</strong> alla vigilia della partenza<br />
per Parigi – dove andava a <strong>di</strong>rigere gli attori della<br />
“Comé<strong>di</strong>e française” <strong>in</strong> due farse <strong>di</strong> Molière – tornava<br />
a riflettere sulla comicità f<strong>in</strong>e a se stessa, sulla<br />
comicità del <strong>di</strong>ssenso e sulla satira. Recuperando con<br />
<strong>in</strong>tenzione la categoria del tragicomico della nostra<br />
migliore tra<strong>di</strong>zione teatrale novecentesca, da Pirandello<br />
a Eduardo, <strong>Fo</strong> vi sostiene che “la satira per potersi<br />
manifestare ha bisogno della trage<strong>di</strong>a, <strong>di</strong>etro” (p. 134).<br />
Una trage<strong>di</strong>a non pert<strong>in</strong>ente solo al potere, ma, proprio<br />
come nel caso <strong>di</strong> Eduardo, esten<strong>di</strong>bile anche ai “luoghi<br />
comuni che il costume impone”. Nascendo dall’“<strong>in</strong><strong>di</strong>gnazione”,<br />
la satira può apparire c<strong>in</strong>ica e paradossale,<br />
<strong>in</strong> quanto rivolta anche verso la vittima (“il colpito”) e<br />
<strong>in</strong>vece non è altro che una reazione <strong>in</strong> cui il riso sostituisce<br />
il pianto. A <strong>di</strong>fferenza della volgare comicità fondata<br />
sull’<strong>in</strong>sulto, il teatro della satira è un teatro “morale”<br />
e “civile”, che come la “trage<strong>di</strong>a” non ha “conf<strong>in</strong>i”:<br />
“ché ambedue, denunciano <strong>in</strong> fondo le cose più <strong>in</strong>fami<br />
dell’uomo: la violenza, lo strapotere, l’<strong>in</strong>cesto, lo stupro,<br />
la strage... ” (p. 135).<br />
Il teatro ovviamente per <strong>Fo</strong> non descrive ma allude,<br />
non imita il reale ma lo re<strong>in</strong>venta a f<strong>in</strong>i <strong>di</strong> denuncia<br />
e <strong>di</strong> trasformazione. Valutando l’“effetto <strong>di</strong>sastroso”<br />
delle avanguar<strong>di</strong>e (“teatro <strong>di</strong> immag<strong>in</strong>e” p. 125), <strong>Fo</strong> ha<br />
153 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 154<br />
ulteriormente riba<strong>di</strong>to come soprattutto il terrorismo sia<br />
la vera occasione mancata della nostra drammaturgia:<br />
Mancano autori che abbiano gr<strong>in</strong>ta [...] Ma c’è<br />
anche carenza <strong>di</strong> idee <strong>di</strong> teatro. Per esempio, non ci<br />
sono testi sul terrorismo [...]<br />
Oggi il teatro è fuori dal tempo. Anche nelle gran<strong>di</strong><br />
opere, da quelle <strong>di</strong> Cechov al teatro d’avanguar<strong>di</strong>a,<br />
non c’è nessuna possibilità <strong>di</strong> riferimento ai problemi<br />
attuali. Non è venuto fuori niente sul nucleare, sul terrorismo,<br />
sulla droga, e neppure sulla pazzia. Niente,<br />
non c’è niente nel teatro che tratti i gran<strong>di</strong> temi dei<br />
nostri tempi (p. 114 e p. 128).<br />
Morte accidentale <strong>di</strong> un anarchico e Pum! Pum!<br />
Chi è? La polizia, quasi un <strong>di</strong>ttico sulla cosiddetta strage<br />
<strong>di</strong> stato, saranno s<strong>in</strong>teticamente def<strong>in</strong>iti da <strong>Fo</strong> come<br />
“due lavori grotteschi su realtà tragiche” (p. 355). Il primo<br />
allude <strong>in</strong>fatti al f<strong>in</strong>to suici<strong>di</strong>o dell’anarchico Giuseppe<br />
P<strong>in</strong>elli, fermato dalla polizia qualche giorno dopo la<br />
strage <strong>di</strong> piazza <strong>Fo</strong>ntana del 12 <strong>di</strong>cembre 1969; l’altro<br />
alla vicenda giu<strong>di</strong>ziaria <strong>di</strong> Pietro Valpreda, anch’egli<br />
arrestato il 15 <strong>di</strong>cembre con l’accusa d’esserne stato<br />
l’esecutore. Come confermato ulteriormente dai lavori<br />
della stessa Commissione parlamentare d’<strong>in</strong>chiesta<br />
sulla strage ancora impunita, le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i si sono poi<br />
<strong>in</strong><strong>di</strong>rizzate sul versante delle organizzazioni eversive <strong>di</strong><br />
destra e sui servizi segreti deviati. Valpreda sarà assolto<br />
solo negli <strong>anni</strong> 1985-7.<br />
Tradotta <strong>in</strong> molte l<strong>in</strong>gue e rappresentata quasi <strong>in</strong><br />
tutto il mondo, Morte accidentale è accanto a Mistero<br />
buffo uno dei capolavori <strong>di</strong> <strong>Fo</strong>. Certamente, al <strong>di</strong> là della<br />
l<strong>in</strong>ea <strong>in</strong>terpretativa più orientata a privilegiare “il teatro<br />
del comico” strutturato sul monologo del <strong>Fo</strong>–attore<br />
(Meldolesi), la si può ritenere una delle satire più<br />
emblematiche e riuscite del suo teatro “morale”. Un<br />
testo che non solo resiste al tempo ma che è stato,<br />
<strong>di</strong>ciamo così, <strong>in</strong>verato dal tempo, da questi trent’<strong>anni</strong>
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
che ci separano dall’emozione e dalla rabbia suscitate<br />
da un’opera militante, scritta, però, secondo la tecnica<br />
della “convenzione”. Allora, un prologo s’<strong>in</strong>caricava <strong>di</strong><br />
spiegare allo spettatore che la comme<strong>di</strong>a s’ispirava a<br />
un fatto veramente accaduto nel 1921: “il ‘volo’ da una<br />
f<strong>in</strong>estra del quattor<strong>di</strong>cesimo piano del palazzo della<br />
polizia <strong>di</strong> New York dell’emigrante italiano Salsedo,<br />
anarchico” (Morte accidentale, E<strong>in</strong>au<strong>di</strong>, 1988, p. 79).<br />
Oggi quel prologo non compare più nell’e<strong>di</strong>zione del<br />
testo, forse perché l’ultima sfida <strong>di</strong> <strong>Fo</strong> è quella <strong>di</strong> affermare<br />
il suo teatro – e le polemiche che hanno accompagnato<br />
il conferimento nel 1997 del Premio Nobel per<br />
la letteratura lo confermano – come un teatro d’autore,<br />
nato come quello <strong>di</strong> Molière o Shakespeare, o dei<br />
nostri Pirandello e Eduardo, dalle tavole del palcoscenico,<br />
ma valido al <strong>di</strong> là del fatto che lo stesso <strong>Fo</strong> ne sia<br />
stato e ne possa essere ancora l’attore.<br />
In questa prospettiva Morte accidentale <strong>di</strong> un<br />
anarchico, come ogni grande testo resistente all’usura<br />
del tempo, lungi dal risultarne datato, ha acquistato<br />
valenze <strong>in</strong>terpretative più ampie, sollecitate dalla stessa<br />
complessità architettonica del testo. Per questo<br />
esso va liberato da una lettura strettamente ideologica,<br />
per analizzarne strutture e tecniche <strong>di</strong> scrittura teatrale<br />
dense <strong>di</strong> significati allusivi plurimi.<br />
È il Matto il personaggio che conduce e regge lo<br />
straor<strong>di</strong>nario gioco metateatrale del testo. E se il metateatro<br />
è, dopo Pirandello, se non dopo la riflessione critica<br />
<strong>di</strong> Abel che lo riconduce all’Amleto, la con<strong>di</strong>zione<br />
epistemologica del teatro contemporaneo, gli scarti<br />
realizzati da un testo ne cifrano la sua stessa capacità<br />
<strong>di</strong> rottura. Per questo mi limiterò ad alcune considerazioni<br />
sul particolare meccanismo metateatrale della<br />
pièce, senza <strong>di</strong>menticare che <strong>in</strong>nanzitutto essa appartiene<br />
al genere della comme<strong>di</strong>a, del tutto <strong>di</strong>st<strong>in</strong>ta dalla<br />
farsa dallo stesso <strong>Fo</strong> <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong> parla <strong>di</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong>:<br />
La scelta <strong>di</strong> scrivere una comme<strong>di</strong>a significa la<br />
scelta <strong>di</strong> una struttura più complessa <strong>di</strong> quella della far-<br />
155 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 156<br />
sa. Mentre la farsa si regge dal pr<strong>in</strong>cipio alla f<strong>in</strong>e su <strong>di</strong><br />
una macch<strong>in</strong>a teatrale fondata su <strong>di</strong> un congegno unico,<br />
e solo su quella, la comme<strong>di</strong>a ha una struttura articolata<br />
sul filo <strong>di</strong> una storia e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> i congegni possono<br />
essere molteplici. Inoltre il fatto che si alimentano <strong>di</strong><br />
riferimenti alla realtà del tempo complica questa struttura,<br />
nel senso che gli dà una terza <strong>di</strong>mensione (p. 43)<br />
Comme<strong>di</strong>a sì, Morte accidentale <strong>di</strong> un anarchico,<br />
ma sui generis: ‘lavoro grottesco’ su una ‘realtà tragica’.<br />
A tali niente affatto cavillose specificazioni va commisurata<br />
la metateatralità del testo, che f<strong>in</strong>irà così per<br />
apparire assai meno un ormai topico e per altro banalizzato<br />
espe<strong>di</strong>ente tecnico e assai più il senso dell’<strong>in</strong>tera<br />
costruzione drammatica. Metateatrale anche e perché<br />
drammatizza una vera trage<strong>di</strong>a, ne parla, rovesciando<br />
e sovrapponendo i due teatri: quello della<br />
comme<strong>di</strong>a e quello della cronaca, oggi storia.<br />
Il Matto è il personaggio che istericamente recita<br />
la sua follia, la vive nel cont<strong>in</strong>uo gioco <strong>di</strong> travestimenti,<br />
<strong>di</strong> entrate nelle parti (<strong>di</strong> chirurgo, vescovo, ecc.) e<br />
<strong>in</strong>sieme è l’In<strong>di</strong>ziato che ad ogni fermo <strong>di</strong> polizia ricorre<br />
alla simulazione della follia per essere rilasciato.<br />
Come nell’Enrico IV della “trage<strong>di</strong>a” <strong>di</strong> Pirandello, il<br />
marg<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>tenzionale ambiguità del personaggio si<br />
riduce con il sovrapporsi <strong>di</strong> un terzo elemento, quello<br />
della f<strong>in</strong>zione consapevole, dell’esplicitazione del<br />
metateatro. Il teatro parla <strong>di</strong> se stesso per bocca dell’attore–autore<br />
<strong>di</strong> un teatro “verità”:<br />
INDIZIATO [...] Ma io sono matto: matto patentato...<br />
guar<strong>di</strong> qua il libretto cl<strong>in</strong>ico: sono stato ricoverato già<br />
se<strong>di</strong>ci volte... e sempre per la stessa ragione: ho la<br />
mania dei personaggi, si chiama “istrionomania” viene<br />
da istriones che vuol <strong>di</strong>re attore. Ho l’hobby <strong>di</strong> recitare<br />
delle parti <strong>in</strong>somma, sempre <strong>di</strong>verse. Soltanto che io<br />
sono per il teatro verità; qu<strong>in</strong><strong>di</strong> ho bisogno che la mia<br />
compagnia <strong>di</strong> teatranti sia composta da gente vera...<br />
che non sappia <strong>di</strong> recitare. D’altra parte io non ho mez-
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
zi, non potrei pagarli... ho chiesto sovvenzioni al m<strong>in</strong>istero<br />
dello spettacolo ma, siccome non ho appoggi<br />
politici... (pp. 7-8)<br />
Si potrebbero <strong>in</strong><strong>di</strong>care svariate sequenze <strong>in</strong> cui i<br />
tre livelli <strong>in</strong>teragiscono più scopertamente, rivelando<br />
come tutto il meccanismo teatrale sia costruito attorno<br />
a questa tri<strong>di</strong>mensionalità: dall’espresso desiderio <strong>di</strong><br />
poter “riuscire a recitare almeno una volta nella vita” il<br />
“mestiere, il personaggio” del giu<strong>di</strong>ce (pp. 11-2) al travestimento<br />
da primo consigliere della Corte <strong>di</strong> cassazione;<br />
travestimento che prevede l’uso <strong>di</strong> un tipico<br />
oggetto scenico del comico, <strong>di</strong> “un’altra borsa, enorme”<br />
dalla quale il Matto “estrae un sacco <strong>di</strong> carabattole” (p.<br />
21). E ancora al cambiamento <strong>di</strong> “personaggio” effettuato<br />
dal Matto (COMMISSARIO Ma lei è un genio! Se la<br />
sente proprio <strong>di</strong> recitare la parte <strong>di</strong> capitano? p. 50) che<br />
si trasforma allusivamente <strong>in</strong> una maschera della<br />
Comme<strong>di</strong>a dell’arte (“Appare con baffi f<strong>in</strong>ti, una pezza<br />
nera sull’occhio, e una mano coperta da un guanto<br />
marrone”), più avanti perfezionata da “una gamba <strong>di</strong><br />
legno tipo pirata” (p. 58). Progressivamente, nel capovolgersi<br />
delle cose, il Matto <strong>in</strong>terloquisce <strong>di</strong>rettamente<br />
con il pubblico, rivelando la sua natura <strong>di</strong> attore <strong>di</strong> un’azione<br />
f<strong>in</strong>ta, <strong>in</strong> contrapposizione agli attori veri della<br />
realtà (“Non preoccupatevi, questi sono attori... quelli<br />
veri ci sono e stanno zitti e seduti” p. 63). Alla f<strong>in</strong>e, se<br />
proprio non lo avessimo compreso, ecco svelata la<br />
genìa dei comici cui il Matto appartiene, quella dell’attore<br />
<strong>di</strong> varietà, dell’avanspettacolo, che muta e si trasforma<br />
come il “Fregoli del porcogiuda” (p. 73) <strong>in</strong> mille<br />
parti improvvisate e co<strong>di</strong>ficate.<br />
Il “copione” che il Matto nel ruolo <strong>di</strong> consigliere ha<br />
fatto recitare a Questore, Agente e Commissario allude<br />
a una “realtà tragica”, a un fatto già <strong>di</strong> per sé cifrato<br />
da una <strong>di</strong>mensione drammatica. A <strong>di</strong>fferenza del<br />
metateatro <strong>di</strong> Ciascuno a suo modo, <strong>in</strong> cui pure verità<br />
e f<strong>in</strong>zione si confrontano e scontrano, Morte accidentale<br />
<strong>di</strong> un anarchico è la paro<strong>di</strong>a tragica (grottesca) del<br />
157 L’illum<strong>in</strong>ista
Beatrice Alfonzetti<br />
L’illum<strong>in</strong>ista 158<br />
teatro dei poteri giu<strong>di</strong>ziari e <strong>di</strong> polizia, delle morti coperte<br />
da segreti <strong>di</strong> stato, <strong>di</strong> una trage<strong>di</strong>a ‘politica’:<br />
GIORNALISTA Il Pubblico M<strong>in</strong>istero ha <strong>di</strong>chiarato,<br />
per iscritto, che la morte dell’anarchico è da ritenersi:<br />
“morte accidentale”. Notabene, accidente, non suici<strong>di</strong>o,<br />
come avete detto voi. E c’è una bella <strong>di</strong>fferenza fra<br />
i due term<strong>in</strong>i. D’altra parte il dramma, così come l’ha<br />
esposto il capitano, volendo, si potrebbe def<strong>in</strong>ire proprio<br />
un “accidente” (p. 55)<br />
Se metateatro significava per Pirandello il teatro<br />
che svela se stesso, che fa la paro<strong>di</strong>a al dramma borghese,<br />
a quello romantico, a quello storico o al melodramma;<br />
se con questa paro<strong>di</strong>a il teatro rappresentava<br />
il “conflitto” fra tutti gli elementi del teatro, attori e<br />
personaggi, attori e pubblico, attori e regista, metateatro<br />
acquista nella ‘comme<strong>di</strong>a’ <strong>di</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong> un significato<br />
del tutto nuovo. Nel primo tempo del “teatro-verità”,<br />
l’attore–regista fa ripercorrere e recitare il dramma ad<br />
attori che simulano i personaggi veri responsabili della<br />
morte <strong>di</strong> un <strong>in</strong>nocente, cui fa da sfondo “quel massacro<br />
degli <strong>in</strong>nocenti” (p. 65), <strong>di</strong>laniati nella strage <strong>di</strong> Piazza<br />
<strong>Fo</strong>ntana:<br />
MATTO “Siamo appunto al primo tempo... an<strong>di</strong>amo<br />
per or<strong>di</strong>ne [...]”.<br />
“Su, si riabiliti e reciti la parte…”<br />
“E lei dottore prego, mi reciti quest’entrata <strong>in</strong> prima<br />
persona”.<br />
“No, no per favore... attenersi al copione.”<br />
“No, risponda con le stesse parole <strong>di</strong> quella sera.<br />
Immag<strong>in</strong>i che sia io il ferroviere anarchico. Su, coraggio,<br />
quali bombe?<br />
“Per <strong>di</strong> più sempre lei, parlando con la stampa e alla<br />
televisione, ha <strong>di</strong>chiarato che l’anarchico prima del tragico<br />
gesto si sentiva ormai perduto... era ‘<strong>in</strong>castrato’.<br />
Ha detto così? (pp. 24-27)
<strong>Gli</strong> <strong>anni</strong> <strong>di</strong> <strong>piombo</strong>. <strong>Satira</strong> e trage<strong>di</strong>a <strong>in</strong> <strong>Dario</strong> <strong>Fo</strong><br />
Con la scrittura <strong>di</strong> Clacson trombette e pernacchi,<br />
<strong>in</strong> cui si rappresenta il “fantomatico” rapimento <strong>di</strong> Giov<strong>anni</strong><br />
Agnelli, va <strong>in</strong> scena per la prima volta, nel teatro<br />
<strong>di</strong> <strong>Fo</strong>, la controfigura <strong>di</strong> Aldo Moro (“Questo spettacolo<br />
ha per tema il terrorismo. Mi sono riferito <strong>in</strong> particolare<br />
all’‘affare Moro’”. Fabulazzo, p. 355). <strong>Fo</strong>rse solo così,<br />
allusa, spostata, la sua ‘ombra’ poteva trovare consistenza<br />
nel corpo irriconoscibile del personaggio <strong>di</strong><br />
Agnelli, scambiato e ridotto a Sosia dell’operaio Antonio<br />
da un farsesco <strong>in</strong>tervento chirurgico. Fra ripetuti<br />
equivoci, pupazzi volanti, gag e grammelot jazzistico, il<br />
commento della semplice Rosa, moglie <strong>di</strong> Antonio, è<br />
forse più eloquente e amaro <strong>di</strong> tanti <strong>di</strong>scorsi seri. Contro<br />
il silenzio che segue <strong>in</strong>evitabilmente il frastuono<br />
assordante delle voci, Rosa cont<strong>in</strong>uerà a parlare:<br />
ROSA Ha ragione. Non si capisce ’sto voltafaccia:<br />
Moro hanno lasciato che l’accoppassero come una<br />
ramazza, tutti d’accordo per il sacrificio. Fermezza! E<br />
<strong>in</strong>vece guarda qui con l’Agnelli, che razza <strong>di</strong> salto mortale...<br />
Che schifezza!<br />
159 L’illum<strong>in</strong>ista