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ViVaVerdi n. 2 - Siae

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VIVAVERDI<br />

46<br />

musica<br />

INTERVISTA A FABRIZIO DE ROSSI RE<br />

TRA JAZZ E TRADIZIONE<br />

di Cristina Wysocki<br />

Mio padre, avvocato, era anche un pianista<br />

di jazz. Stimolato da lui come jazzista,<br />

sono molto legato all’improvvisazione,<br />

a una artigianalità di famiglia un<br />

po’ spicciola, su cui però si è innestato<br />

il fattore tecnico, dato dal conservatorio:<br />

le due strade hanno una forza viva,<br />

che mi serve a realizzare quello che più<br />

mi interessa. La pratica artigianale legata<br />

all’improvvisazione e la scrittura<br />

fatta di nozioni tecniche, di strutture,<br />

di forma, mi hanno messo nelle condizioni<br />

di crearmi una strada originale,<br />

che può essere bella, può piacere o no,<br />

ma essere comunque personale, per cui<br />

scrivo sempre più spesso musica che è<br />

vicina a quella che improvviso. Ho dei<br />

grandi predecessori sotto quest’aspetto,<br />

a partire da Chopin, la cui musica è<br />

tutta una trascrizione delle sue improvvisazioni,<br />

strutturate poi in un tema e<br />

uno sviluppo, o anche Debussy, in grado<br />

di improvvisare tranquillamente per<br />

ore. Compositori che hanno un certo<br />

spirito jazzistico. La scrittura musicale,<br />

da metà dell’800 in poi, ha fatto un po’<br />

da padrona, con una scuola intimamente<br />

legata alla partitura, mentre in tutti i secoli<br />

precedenti la pratica improvvisati-<br />

Ha scritto lavori cameristici e opere radiofoniche, teatro musicale e colonne<br />

sonore di scena. Più che di ricerca, nel caso di Fabrizio De Rossi Re, bisogna<br />

parlare della realizzazione effettiva di uno stile personalissimo, di una sintesi<br />

che innesta il jazz sulla tradizione, l’improvvisazione sulla notazione in<br />

partitura, il teatro antico su un teatro dinamico, ‘performativo’. Un talento<br />

multiforme che si esprime in tante diverse proposte concrete per il futuro della<br />

composizione musicale.<br />

va era fondamentale. Tutto ciò mi ha<br />

aiutato anche per il teatro musicale. Più<br />

che a un teatro museale come si usa fare,<br />

cioè l’opera con tutti gli orpelli tipici,<br />

come i cantanti e l’orchestra, credo<br />

in un teatro che fa paradossalmente riferimento<br />

al teatro più antico. Nelle partiture<br />

della scuola napoletana, Leo, Jommelli,<br />

Paisiello, c’erano degli spazi immensi<br />

per l’improvvisazione e per l’armonizzazione<br />

al basso continuo. Io ho<br />

adottato questa pratica in tutto il mio<br />

teatro abbastanza recente, dal 2002 in<br />

poi, sempre con musicisti dentro alla<br />

scena, proprio per permettere questo<br />

spirito performativo.<br />

Lei dimostra un certo interesse per i<br />

timbri degli strumenti a fiato, un timbro<br />

che si collega alla voce, quindi alla<br />

vocalità e al teatro…<br />

Il filo rosso è assolutamente giusto. Vi-<br />

sta la mia formazione di base jazzistica,<br />

il suono dello strumento a fiato è una<br />

componente importante della mia logica<br />

musicale. Nel jazz l’uso della voce<br />

è abbastanza strumentale e le grandi<br />

cantanti, come Ella Fitzgerald, hanno<br />

una duttilità grandissima, piegano anche<br />

una canzone semplice a una drammaturgia.<br />

Questo, per me, è già teatro<br />

puro. Sono un musicista che si muove<br />

nelle pieghe di un mondo che offre una<br />

tavolozza estremamente ricca. Il teatro<br />

è un passo immediatamente successivo,<br />

perché un teatro che funziona, oggi,<br />

ha bisogno di uno spirito performativo.<br />

Abbiamo tali e tanti monumenti<br />

nel teatro musicale passato, lavori scritti<br />

straordinariamente bene, che hanno<br />

un po’ esaurito il genere…Oggi è assolutamente<br />

necessario trovare un’altra<br />

strada, fatta di una mescolanza di lin-

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