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Processo alla - Avvocato Carlo Priolo

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delle preferenze'. Partendo dal presupposto che il potere non si esprime unicamente in<br />

decisioni concrete, ma si realizza anche nel sopprimere le decisioni che sarebbero<br />

sfavorevoli, i sostenitori di questo metodo suggeriscono di considerare pure il<br />

contesto istituzionale e organizzativo in cui le decisioni vengono prese. Ciò equivale<br />

a spostare il fuoco dell'analisi sulle regole del gioco e sui valori dominanti, che<br />

potrebbero preselezionare le proposte su cui decidere, limitandole a quelle su cui<br />

esiste un consenso generalizzato, o addirittura non includere nell'agenda decisionale<br />

quei temi che si ritengono lesivi degli interessi dominanti. Il dibattito conseguente<br />

<strong>alla</strong> contrapposizione tra elitismo e pluralismo ha avuto, tra gli altri meriti, anche<br />

quello di ridare attualità a un vecchio e spinoso problema: la compatibilità tra élite e<br />

democrazia. La storia di questo rapporto è più che secolare, in quanto affonda le sue<br />

radici nella seconda metà del secolo scorso, e ha conosciuto tante manifestazioni<br />

quanti sono i significati che si sono attribuiti al termine democrazia, sia nella sua<br />

dimensione realistica sia in quella prescrittiva.<br />

A una concezione della democrazia come forma di governo la teoria delle élites ha<br />

contrapposto la realtà di una inevitabile e perenne strutturazione oligarchica del<br />

potere. Alla presentazione della democrazia come forma di emancipazione popolare<br />

gli elitisti hanno reagito descrivendo il popolo come una massa, come un'entità<br />

atomizzata, inerte, incapace di produrre spontaneamente azioni organizzate e coerenti.<br />

All'ideale della partecipazione si è opposta la constatazione dell'apatia e<br />

dell'eterodirezione, mentre il valore dell'eguaglianza politica è stato criticato, <strong>alla</strong> luce<br />

della constatazione del carattere perenne dell'ineguaglianza nella distribuzione delle<br />

risorse e delle capacità. Solo negli ultimi tempi si è delineata un'area di conciliazione,<br />

a partire dal progressivo rifiuto di una democrazia intesa come partecipazione diretta<br />

e d<strong>alla</strong> crescente esaltazione dei processi di competizione che coinvolgono una<br />

pluralità di élites eterogenee e conflittuali anche al loro interno. Di solito, quando si<br />

vuole porre l'accento sulla non compatibilità tra teoria delle élites e democrazia, si<br />

ricorre alle pagine in cui Pareto presenta la democrazia come una "derivazione<br />

metafisica", definisce la rappresentanza popolare "una finzione", e riconosce come<br />

unica prerogativa del governo democratico una maggiore propensione al clientelismo<br />

e al consenso manipolato, anziché all'uso della forza. Tuttavia, sempre per restare<br />

nell'elitismo classico, già in Mosca si trovano indicazioni di conciliabilità, come<br />

quando egli distingue tra regimi aristocratici e regimi democratici che, a differenza<br />

dei primi, sono governati da classi politiche articolate, eterogenee, aperte e soggette<br />

<strong>alla</strong> regola della libera discussione, oppure quando definisce il sistema<br />

rappresentativo come l'unica forma di organizzazione in cui una molteplicità di forze<br />

politiche sono poste in condizione di controllarsi efficacemente a vicenda.<br />

Ma è soprattutto qualche decennio più tardi, prima con Mannheim, successivamente<br />

con Schumpeter e Lasswell, che si sono poste le basi per una teoria elitistica della<br />

democrazia. Il sociologo ungherese Mannheim, in un'analisi scritta negli anni trenta<br />

ma pubblicata postuma con il titolo The democratization of culture (1956), ha<br />

sostenuto che la democrazia non esclude la presenza di élites, ma implica uno<br />

specifico principio di formazione e di reclutamento di queste ultime. L'economista di<br />

origine austriaca Schumpeter è andato ancora più in là proponendo, in Capitalism,<br />

socialism and democracy (1942), una nuova teoria della democrazia che ha il suo<br />

punto di forza proprio nei problemi relativi <strong>alla</strong> composizione e <strong>alla</strong> formazione<br />

dell'élite politica. Anche se il nome di Gaetano Mosca non compare mai nel libro di<br />

Schumpeter, la critica al concetto classico di democrazia in esso contenuta poggia in<br />

gran parte sugli stessi fondamenti sui quali il politologo italiano rigettò l'idea della<br />

sovranità popolare. Come Mosca, infatti, Schumpeter ritiene che in nessun caso la<br />

maggioranza possa governare e che in tutti i regimi sia sempre una minoranza a<br />

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