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6. UTILIZZO DEI DATI IN UN MODELLO 2D

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<strong>UN</strong>IVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO - BICOCCA<br />

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali<br />

Corso di Laurea Specialistica in Scienze e Tecnologie Geologiche<br />

ANALISI <strong>DEI</strong> PROCESSI FISICI NELLE VALANGHE DI<br />

NEVE E CONSEGUENZE SULLA PIANIFICAZIONE<br />

TERRITORIALE<br />

Applicazione all’area di Davos (CH)<br />

Relatore: Prof. Giovanni Battista CROSTA<br />

Correlatore: Dott. Dieter ISSLER<br />

Anno Accademico 2005-2006<br />

Tesi di Laurea di:<br />

Alessia ERRERA<br />

Matr. n° 070436


“ La natura non offre vista più serena della coltre bianca di neve fresca che<br />

ricopre campi, boschi e montagne. Ogni suono è pacato e perfino i passi<br />

umani vengono smorzati. Ma al di sotto di questa cortina di calma, tanto<br />

calma da assomigliare alla morte, in realtà non c’è alcuna pace.”<br />

Gerard Seligman<br />

2


<strong>IN</strong>DICE<br />

1. <strong>IN</strong>TRODUZIONE 5<br />

2. LE VALANGHE DI NEVE 6<br />

2.1 La neve e i suoi metamorfismi 6<br />

2.2 Formazione e tipologia delle valanghe di neve 11<br />

2.3 La cartografia valanghiva e le classi di rischio 16<br />

2.4 I bollettini nivometeorologici 18<br />

2.5 Progetti di ricerca europei 20<br />

2.6 Nuove osservazioni: ripresa di neve e strato fluidizzato 24<br />

3. IL LAVORO DI TESI 30<br />

3.1 Obiettivi e descrizione del lavoro 30<br />

3.2 L’area in esame 32<br />

3.2.1 Inquadramento geologico e geomorfologico 33<br />

3.2.2 Il clima della stagione invernale 2005/2006 35<br />

4. LA RACCOLTA <strong>DATI</strong> DI TERRENO 52<br />

4.1 La cartografia utilizzata 53<br />

4.2 Il metodo di lavoro e la strumentazione 53<br />

4.3 Monitoraggi giornalieri 61<br />

4.3.1 Il 19 dicembre 2005 62<br />

4.3.2 Il 20 gennaio 2006 68<br />

4.4 Analisi dei singoli eventi 71<br />

4.4.1 Ruchitobel 72<br />

4.4.2 Gotschnawang 82<br />

4.4.3 Parsennfurgga 87<br />

4.4.4 Drusatscha 92<br />

4.4.5 Sertig 101<br />

5. CATALOGAZIONE ED ELABORAZIONE <strong>DEI</strong> <strong>DATI</strong> 114<br />

5.1 Il database in excel 114<br />

5.2 Il database in ambiente GIS 118<br />

3


5.3 Analisi di statistica bivariata 120<br />

5.4 Conclusioni dell’analisi statistica sulla base delle osservazioni sul campo 126<br />

<strong>6.</strong> <strong>UTILIZZO</strong> <strong>DEI</strong> <strong>DATI</strong> DI TERRENO: RAMMS <strong>2D</strong> 143<br />

<strong>6.</strong>1 I modelli applicati alle valanghe di neve 143<br />

<strong>6.</strong>1.1 Modelli a centro di massa 143<br />

<strong>6.</strong>1.2 Modelli continui 146<br />

<strong>6.</strong>2 Ramms 147<br />

<strong>6.</strong>3 Gli obiettivi dell’analisi 148<br />

<strong>6.</strong>4 Dati di input 149<br />

<strong>6.</strong>5 Descrizione dei test effettuati 151<br />

<strong>6.</strong>5.1 Drusatscha 152<br />

<strong>6.</strong>5.2 Parsennfurgga 160<br />

<strong>6.</strong>5.3 Gotschnawang (Gennaio) 166<br />

<strong>6.</strong>5.4 Gotschnawang (Marzo) 173<br />

<strong>6.</strong>5.5. Analisi Parametrica 179<br />

<strong>6.</strong>6 Conclusioni 184<br />

7. BIBLIOGRAFIA 188<br />

8. R<strong>IN</strong>GRAZIAMENTI 191<br />

9. ALLEGATI 192<br />

4


1. <strong>IN</strong>TRODUZIONE<br />

Lo studio delle valanghe di neve è un campo piuttosto giovane confrontato con gli altri rischi<br />

idrogeologici. Probabilmente il motivo va ricercato nella mancanza di interessi nell’investire<br />

delle risorse economiche in una problematica ritenuta secondaria. A partire dai primi anni ’90,<br />

l’aumento dell’antropizzazione dell’ambiente montano, legato ad un incremento del turismo<br />

invernale, ha determinato la necessità di affrontare anche queste tematiche. Inoltre i danni<br />

registrati durante gli inverni catastrofici della fine del secolo scorso, hanno drammaticamente<br />

testimoniato il livello non ancora soddisfacente delle ricerche, incentivandone lo sviluppo.<br />

Le valanghe di neve sono un fenomeno estremamente complesso, che presuppone una ricerca<br />

approfondita su ambiti diversi: fondamentali sono diventati tutti gli studi riguardanti<br />

l’evoluzione del manto nevoso, le condizioni predisponenti la formazione di una valanga e la<br />

dinamica valanghiva. Questi tre fattori sono infatti caratterizzati da una notevole variabilità e<br />

il loro intreccio determina l’instaurarsi di un gran numero di scenari differenti.<br />

Naturalmente tutte le informazioni che si possono ottenere da questo tipo di studi, oltre che un<br />

fine puramente teorico e conoscitivo, possiedono anche un fine estremamente applicativo.<br />

Nonostante le ricerche effettuate, ancora oggi le valanghe di neve non sono ancora un<br />

fenomeno completamente compreso, essendo caratterizzate dalla presenza di molteplici<br />

sottoprocessi. Solamente negli ultimi anni, anche grazie alle simulazioni nei siti sperimentali e<br />

ai miglioramenti nei dispositivi di acquisizione dati, sono state fatte molte scoperte<br />

significative che costituiranno la base per i lavori futuri.<br />

Questi studi sono quindi estremamente importanti perché costituiscono il punto di partenza<br />

sul quale vengono sviluppati tutti i modelli, che si propongono lo scopo di descrivere, nel<br />

migliore dei modi, un fenomeno molto complesso.<br />

La ricerca di una rappresentazione più precisa e che considera la maggior parte dei processi<br />

che avvengono durante il moto valanghivo, è fondamentale ai fini di una corretta<br />

pianificazione territoriale. Questo perché risulta più facile prevedere il comportamento delle<br />

valanghe che abitualmente caratterizzano i siti in studio e di conseguenza è possibile anche<br />

una miglior individuazione delle aree a differente grado di pericolosità.<br />

5


2. LE VALANGHE DI NEVE<br />

2.1 LA NEVE E I SUOI METAMORFISMI<br />

Le nuvole sono costituite da un insieme di minuscole gocce d’acqua in sospensione nell’aria.<br />

Queste, caratterizzate da una dimensione attorno ai 20 μ, derivano dalla condensazione del<br />

vapor acqueo grazie al raffreddamento della massa di aria. La concentrazione di vapore<br />

acqueo, necessaria per la formazione delle nuvole, deve essere piuttosto elevata, inoltre è<br />

necessaria la presenza di pulviscolo (con diametro tra gli 0,2 e i 10 μ) che andrà a formare dei<br />

nuclei di condensazione. Queste polveri sono formate da particelle di diversa origine: sali<br />

derivati dall’evaporazione dell’acqua dei mari, particelle minerali di origine vulcanica o<br />

residui industriali.<br />

Fig. 2.1: Formazione di un cristallo di neve<br />

nell’atmosfera per sublimazione inversa.<br />

Anche il congelamento delle gocce d’acqua in germi di ghiaccio richiede la presenza di nuclei<br />

di congelamento, che cominciano ad essere attivi a partire dai – 12°C. Questi nuclei,<br />

principalmente composti da polvere, sono fondamentali perché senza di essi una goccia di<br />

acqua pura non potrebbe congelare prima dei – 41°C. Le gocce che entrano in contatto con i<br />

nuclei di congelamento danno quindi origine a dei germi di ghiaccio, cioè a delle minuscole<br />

particelle di ghiaccio con struttura cristallina esagonale.<br />

Dalla loro formazione i germi di ghiaccio si accrescono molto velocemente (alcuni millimetri<br />

in trenta minuti) tramite sublimazione diretta del vapore in eccesso presente nelle nubi, che si<br />

deposita direttamente sottoforma di ghiaccio sul germe. Questo accrescimento darà quindi<br />

vita al cristallo di neve per sublimazione inversa (fig. 2.1).<br />

6


A seconda della temperatura e del grado di umidità dell’aria il cristallo di neve acquisirà<br />

forme diverse. In particolare con una temperatura compresa tra i – 6° e i – 10° C la crescita<br />

avverrà prevalentemente sulle superfici, tra i – 10° e i – 12° C la crescita avverrà sui lati,<br />

infine tra i – 12° e i – 18° C la crescita avverrà prevalentemente in direzione radiale.<br />

La temperatura è estremamente importante anche perché determina la tipologia di manto<br />

nevoso che si creerà durante la precipitazione.<br />

In assenza di vento e con temperature basse fino al suolo, i cristalli cadono isolatamente e in<br />

fiocchi leggeri, depositandosi sottoforma di neve leggera (da 50 a 100 kg/m 3 ) contenente<br />

molta aria. D’altra parte, con temperature più miti, si formeranno dei fiocchi più grossi e<br />

pesanti formando al suolo un manto nevoso più denso e umido (da 100 a 200 kg/m 3 ).<br />

Importante è anche l’azione del vento che, aumentando gli urti tra i vari fiocchi di neve,<br />

finisce per spezzettarli. Al suolo si osserveranno quindi dei cristalli frammentati, a volte<br />

ridotti allo stato di piccoli grani compattati gli uni agli altri dal vento.<br />

Il manto nevoso che si crea al suolo durante una nevicata non è un’entità immobile ma bensì è<br />

caratterizzato da metamorfismi interni, che iniziano immediatamente dopo la deposizione.<br />

Si possono distinguere due categorie di metamorfismi: la prima è tipica della neve asciutta<br />

mentre la seconda è tipica della neve più umida.<br />

Fig.2.2: Esempio di evoluzione dei cristalli di neve da forme dendritiche (a sinistra) a forme più arrotondate<br />

(a destra).<br />

In una neve asciutta, caratterizzata dall’assenza di acqua allo stato liquido al suo interno, il<br />

primo metamorfismo che ha luogo si produce quando il gradiente di temperatura nel manto<br />

nevoso è debole (minore di 0.05°C/cm). Le zone più sporgenti si smussano trasformandosi in<br />

vapore che va poi a congelarsi nelle parti concave. Si ottengono, quindi, dei grani arrotondati<br />

(0.5 mm di diametro) che si saldano tra loro attraverso dei ponti di ghiaccio. Questo<br />

7


metamorfismo è molto importante perché determina assestamento e coesione della neve con<br />

conseguente stabilizzazione.<br />

Fig. 2.3: Metamorfismo di gradiente<br />

medio. Nell’immagine sono visibili dei<br />

cristalli sfaccettati<br />

Il secondo tipo di metamorfismo si osserva sui grani arrotondati o sui cristalli di neve recente<br />

quando il gradiente di temperatura nel manto nevoso varia tra 0.05 e 0.2°C/cm (fig. 2.3).<br />

I grani posti inferiormente hanno una temperatura maggiore, di conseguenza la parte superiore<br />

sublima e il vapore prodotto rigela nella parte inferiore dei grani che sono al di sopra. Durante<br />

questo processo i grani, definiti grani sfaccettati diventano angolosi e presentano delle facce<br />

piane. Questa tipologia di grano è generalmente instabile visto che la formazione di facce<br />

piane determina la perdita della coesione originaria del manto.<br />

Fig. 2.4: Metamorfismo da gradiente elevato. Nell’immagine a sinistra sono ben visibili i cristalli a<br />

calice. A destra un esempio di brina di profondità formatasi in corrispondenza di cavità.<br />

8


La trasformazione non è però irreversibile, visto che nel caso di un cambiamento di<br />

temperatura, i grani possono tornare ad essere arrotondati con conseguente ristabilizzazione.<br />

Quando poi la variazione di temperatura nel manto nevoso è continua per più giorni i grani e<br />

le facce piane continueranno a formarsi. I grani si trasformeranno ulteriormente andando a<br />

formare quella che viene chiamata brina di profondità o cristalli a calice (fig. 2.4).<br />

I cristalli a calice, non avendo nessuna coesione, possono determinare una instabilità del<br />

manto nevoso. Questo tipo di trasformazione è irreversibile visto che la brina scompare<br />

solamente allo scioglimento delle nevi o in seguito ad un riscaldamento significativo.<br />

Fig.2.5: Esempio di metamorfismo di<br />

neve umida: cristalli a grappolo.<br />

Nell’immagine sono ben visibili i<br />

legami che intercorrono tra un grano<br />

e l’altro.<br />

La neve umida è invece caratteristica della stagione primaverile ed è caratterizzata dalla<br />

presenza di acqua allo stato liquido. In questo tipo di neve le parti convesse fondono per<br />

prime e l’acqua rigela nelle parti concave, determinando la formazione di grani con diametri<br />

superiori al millimetro (fig. 2.5)<br />

Fig. 2.6: Nell’immagine sono visibili<br />

dei bellissimi cristalli di brina di<br />

superficie.<br />

Esiste un ulteriore tipo di cristallo che è importante menzionare. Nelle notti fredde e stellate il<br />

manto nevoso è interessato dalla formazione della brina di superficie, formata da una serie di<br />

cristalli aghiformi (fig. 2.6). La brina si forma grazie alla sublimazione del vapore acqueo<br />

contenuto nell’aria al contatto con la superficie della neve che è più fredda dell’aria.<br />

9


La brina di superficie è estremamente pericolosa perché, nel caso in cui venga ricoperta da<br />

una nevicata, potrebbe costituire uno strato debole aumentando l’instabilità del manto nevoso.<br />

10


2.2 FORMAZIONE E TIPOLOGIA DELLE VALANGHE DI NEVE<br />

Il manto nevoso che si deposita al suolo non è da considerarsi un corpo rigido, possiede infatti<br />

un comportamento simile a quello di un fluido viscoso.<br />

Il concetto di stabilità del manto nevoso è legato alle proprietà meccaniche della neve, in<br />

particolare alla resistenza alle sollecitazioni di tipo compressivo, trattivo e di taglio a cui può<br />

essere soggetto. La capacità di reazione del manto nevoso risulta molto diversa: è<br />

relativamente buona per la compressione, ma piuttosto scarsa o pessima, a seconda del tipo di<br />

neve e della velocità di sollecitazione, rispettivamente per trazione e taglio.<br />

La velocità con cui vengono applicate le sollecitazioni sopra descritte è un fattore di grande<br />

importanza. Se queste sono applicate lentamente le deformazioni saranno di tipo viscoso,<br />

visto che il manto avrà la possibilità di assorbire le sollecitazioni stesse, mentre con<br />

un’applicazione veloce la deformazione sarà di tipo fragile, con creazione di fratture elastiche<br />

e possibile propagazione delle stesse.<br />

Naturalmente la presenza di condizioni predisponenti potrà favorire o meno il fenomeno in<br />

questione. Sono ritenuti fattori instabilizzanti del manto nevoso elementi come:<br />

- la particolare configurazione dei rilievi (creste, canaloni, versanti aperti…);<br />

- la pendenza, sfavorevole se compresa tra i 25 e i 50°;<br />

- l’esposizione, i pendii all’ombra infatti, localizzati sui versanti nord e in fondo alle<br />

valli, ricevono una piccola quantità di raggi solari diretti. Di conseguenza il manto<br />

nevoso rimane più freddo in inverno, quindi si stabilizza lentamente e tende a creare<br />

strati deboli di cristalli sfaccettati e brina di profondità. La stabilità di un manto<br />

nevoso di questo tipo cresce lentamente con l’aumento della temperatura in<br />

primavera. Un pendio soleggiato, invece, ha generalmente una stabilità superiore ad<br />

uno ombreggiato nel periodo invernale, mentre all’inizio della primavera diviene<br />

rapidamente più instabile.<br />

- la vegetazione, la mancanza determina uno scarso ancoraggio del manto al suolo. Un<br />

bosco che cresce su un pendio ripido impedisce la formazione di grosse valanghe, in<br />

quanto interrompe ed evita il depositarsi di accumuli di neve trasportata dal vento. Le<br />

chiome degli alberi, inoltre, intercettano la caduta di neve limitandone la quantità che<br />

raggiunge il terreno. Al contrario le piante irregolarmente sparpagliate su un pendio<br />

non assicurano alcuna protezione contro le valanghe.<br />

Infine è importante sottolineare che il bosco, se da una parte contribuisce a prevenire<br />

la formazione delle valanghe, dall’altra non influisce quasi per nulla sulle valanghe in<br />

movimento.<br />

11


- la presenza di neve fresca al suolo, che determina un sovraccarico soprattutto in<br />

seguito a precipitazioni intense;<br />

- il trasporto ad opera del vento, con formazione di accumuli instabili. In presenza di<br />

pendenze elevate, i pendii con maggiore accumulo eolico sono quelli che con<br />

maggiore probabilità possono dar luogo a valanghe;<br />

- il riscaldamento del manto, che determina variazioni del comportamento meccanico<br />

della neve, diminuendone la resistenza.<br />

- la morfologia del terreno, una morfologia di tipo irregolare ha l’effetto di ancorare il<br />

manto nevoso (fino a che questo non è abbastanza spesso da formare una superficie<br />

relativamente liscia). I massi, come gli alberi, possono però contribuire a concentrare<br />

le sollecitazioni. Infatti le valanghe innescate spontaneamente dallo slittamento della<br />

neve si verificano con più facilità su rocce lisce o su prati adibiti a pascolo.<br />

Nella letteratura sono numerosi, a partire dagli antichi Greci, i riferimenti alle valanghe. In<br />

particolare i primi sono da attribuirsi al geografo greco Strabone (63-23 a.C.) e allo<br />

storiografo romano Tito Livio (59 a.C. – 23 d.C.). Fu soltanto nel 1574 che con il “De<br />

Alpibus Commentarius” di Josia Simler venne scritto un primo documento relativo alla<br />

classificazione delle valanghe.<br />

Nel corso dei secoli i tentativi di descrivere il fenomeno furono molteplici, ma, data la sua<br />

complessità, il lavoro non fu sempre facile. Nel 1981 l’<strong>UN</strong>ESCO (United Educational<br />

Scientific and Cultural Organization) affrontò la questione applicando un metodo di studio<br />

basato sulla distinzione tra caratteri morfologici e fattori genetici. Nella classificazione<br />

proposta la valanga viene analizzata nelle sue tre sezioni caratteristiche: una zona di distacco,<br />

dove il fenomeno ha origine, una zona di scorrimento, che è l’area compresa tra il distacco e<br />

l’arresto e una zona di deposito, che è il luogo dove la massa nevosa rallenta<br />

progressivamente fino a fermarsi.<br />

Per ognuna delle tre zone vengono presi in considerazione alcuni parametri diagnostici che<br />

permettono di descrivere in modo chiaro e completo qualsiasi evento valanghivo.<br />

Come si può vedere nella tabella 2.7 i criteri di classificazione sono riassumibili in una serie<br />

di punti. Prima di tutto viene analizzata la tipologia di distacco, lineare o puntiforme, in<br />

secondo luogo la posizione della superficie di slittamento, che determina una valanga<br />

superficiale o di fondo, l’umidità della neve, la forma del percorso, il tipo di movimento, e le<br />

caratteristiche del deposito.<br />

12


Tab. 2.7: Tabella contenente la classificazione sancita dall’<strong>UN</strong>ESCO nel 1981. La classificazione presenta<br />

tre sezioni riguardanti la zona di distacco, di scorrimento e di arresto della valanga, e permette una<br />

descrizione chiara e completa di qualsiasi evento.<br />

In caso di distacco puntiforme si avrà una valanga a debole coesione dove il movimento si<br />

origina a partire da una o alcune particelle di neve incoerente e durante la caduta si propaga ad<br />

altra neve, creando una traiettoria sempre più larga (fig. 2.8). Per dar luogo a questa tipologia<br />

di moto sono generalmente necessari versanti con una pendenza compresa tra i 40 e i 60°.<br />

13


Questo tipo di valanga, caratterizzato da neve con densità inferiore ai 100 kg/m 3 si forma<br />

prevalentemente in inverno, con temperature dell’aria basse e dopo abbondanti nevicate.<br />

Esistono anche valanghe di questo tipo caratterizzate però da neve umida, quindi con densità<br />

di 300-500 kg/m 3 . Queste, tipiche dei periodi primaverili sono molto lente (30-50 km/h), e si<br />

innescano su pendii anche inferiori a 30°. Avendo una densità elevata queste valanghe<br />

travolgono e spingono a valle tutto ciò che incontrano.<br />

Fig. 2.8: Esempio di valanga<br />

classificabile come a debole<br />

coesione, di fondo e di neve<br />

bagnata secondo la ICS (1981).<br />

In caso invece di distacco lineare si avrà una valanga a lastroni (fig. 2.9). Questo tipo di<br />

valanga è dovuta al distacco improvviso di un lastrone di neve coerente a partire da un fronte<br />

più o meno esteso: la neve si stacca a lastre che durante il movimento si spezzano in<br />

frammenti di dimensioni minori<br />

Fig. 2.9: Valanga a lastroni.<br />

Nell’immagine in piccolo l’area<br />

di distacco.<br />

14


Perché si formi una valanga di questo tipo è necessario avere alti valori di coesione nel manto,<br />

in modo da consentire la trasmissione delle sollecitazioni a grande distanza. Queste valanghe<br />

possono essere sia superficiali che interessare tutto il manto nevoso al suolo. Generalmente le<br />

prime sono le più comuni: in esse uno strato fragile funge da piano di slittamento e su di esso<br />

si muove uno strato più o meno spesso di neve asciutta.<br />

Fig. 2.10: La valanga<br />

della Brenva, Val Veny<br />

(AO) del 1995. La<br />

valanga è un ottimo<br />

esempio di nubiforme.<br />

Nelle quattro immagini<br />

sono ben visibili gli<br />

istanti successivi della<br />

risalita della nuvola sul<br />

versante opposto.<br />

Una particolarità interessante è caratterizzata dalle valanghe nubiformi, che al contrario delle<br />

radenti non scorrono a contatto con il pendio. Queste valanghe si formano lungo versanti<br />

molto acclivi, dove la neve si mescola all’aria e forma una nube, un aerosol di piccole<br />

particelle di neve fredda e asciutta che si muove a velocità molto elevate (fino a 300 km/h).<br />

La formazione di questo tipo di valanga è legata al distacco di un lastrone di neve asciutta<br />

che, scorrendo su un pendio ripido e irregolare, si spezza in blocchi e frammenti più piccoli<br />

inglobando grandi quantità di aria. Se la velocità supera i 100 km/h le particelle di neve<br />

asciutta si disperdono in una nube che scorre ad alta velocità con altezze di scorrimento di<br />

alcune decine di metri. La nube non segue direzioni preferenziali ma scorre dritta lungo il<br />

versante superando qualsiasi ostacolo morfologico o strutturale (fig. 2.10). Queste valanghe<br />

sono caratterizzate dallo sviluppo di un’onda di pressione d’aria che precede il fronte visibile<br />

della valanga ed ha un enorme potere distruttivo.<br />

15


2.3 LA CARTOGRAFIA VALANGHIVA E LE CLASSI DI RISCHIO<br />

Negli studi tecnici finalizzati alla perimetrazione delle zone soggette a valanga andranno<br />

distinti tre differenti gradi di esposizione al pericolo (elevato, moderato, basso), rappresentati<br />

con diversi colori: rosso, blu e giallo, in ordine decrescente di pericolo (Linee guida<br />

metodologiche per la perimetrazione delle aree esposte al pericolo di valanghe, A<strong>IN</strong>EVA).<br />

La frequenza e l'intensità degli eventi valanghivi attesi verranno utilizzate per definire il grado<br />

di esposizione al pericolo di valanghe di una determinata porzione di territorio. In particolare<br />

dovranno essere presi in considerazione:<br />

- il tempo di ritorno della valanga, ovvero il numero di anni che intercorre, mediamente, tra<br />

due eventi valanghivi in grado di interessare la porzione di territorio in oggetto;<br />

- la pressione della valanga, ovvero la forza per unità di superficie esercitata dalla valanga su<br />

di un ostacolo piatto, di grandi dimensioni disposto perpendicolarmente rispetto alla traiettoria<br />

di avanzamento della massa nevosa. La pressione andrà determinata con riferimento alle<br />

componenti di sollecitazione sia dinamiche che statiche.<br />

Di seguito sono descritti i caratteri delle aree con differente grado di esposizione al pericolo di<br />

valanga (zone rosse, blu e gialle), e indicati i valori critici del tempo di ritorno e della<br />

pressione da utilizzare nella delimitazione di tali aree. I valori proposti fanno riferimento ad<br />

usi del suolo di tipo urbano.<br />

Zona rossa (zona ad elevata pericolosità)<br />

Sono classificate come zone rosse (zone ad elevata pericolosità) le porzioni di territorio che<br />

possono essere interessate con una certa frequenza da valanghe con modesto potenziale<br />

distruttivo, o più raramente da valanghe altamente distruttive. In particolare, una porzione di<br />

territorio è attribuita alla zona rossa quando esiste la possibilità che in essa si producano:<br />

- valanghe "frequenti" (per le quali si assume convenzionalmente un tempo di ritorno di<br />

riferimento pari a 30 anni) che esercitano una pressione uguale o superiore a 3 kPa;<br />

- valanghe "rare" ( per le quali si assume convenzionalmente un tempo di ritorno di<br />

riferimento pari a 100 anni) che esercitano una pressione uguale o superiore a 15 kPa.<br />

Una sola di queste due condizioni è di per sé sufficiente per attribuire la porzione di territorio<br />

in esame alla zona rossa.<br />

A causa dell'elevato grado di pericolo di valanghe caratteristico di tali aree, le zone rosse<br />

andranno considerate inedificabili.<br />

16


Zona blu (zona a moderata pericolosità)<br />

Sono classificate come zone blu (zone a moderata pericolosità) le porzioni di territorio che<br />

possono essere interessate con una certa frequenza dagli effetti residuali di valanghe, o più<br />

raramente da valanghe moderatamente distruttive. In particolare, una porzione di territorio è<br />

attribuita alla zona blu quando esiste la possibilità che in essa si verifichino:<br />

- valanghe "frequenti" (per le quali si assume convenzionalmente un tempo di ritorno di<br />

riferimento pari a 30 anni) che esercitano una pressione inferiore a 3 kPa;<br />

- valanghe "rare" (per le quali si assume convenzionalmente un tempo di ritorno di<br />

riferimento pari a 100 anni) che esercitano una pressione compresa tra 3 e 15 kPa.<br />

Una sola di queste due condizioni è di per sé sufficiente per attribuire la porzione di territorio<br />

in esame alla zona blu.<br />

In considerazione del moderato grado di pericolo di valanghe caratteristico di tali aree,<br />

l’utilizzo a fini urbanistici delle zone blu andrà fortemente limitato.<br />

Zona gialla (zona a bassa pericolosità)<br />

Sono classificate come zone gialle (zone a bassa pericolosità) le porzioni di territorio che<br />

possono essere interessate dagli effetti residuali di valanghe piuttosto rare. In particolare una<br />

porzione di territorio è attribuita alla zona gialla quando esiste la possibilità che in essa si<br />

verifichino valanghe "rare" (per le quali si assume convenzionalmente un tempo di ritorno di<br />

riferimento pari a 100 anni) che esercitino una pressione inferiore a 3 kPa.<br />

Andranno altresì delimitate in giallo le porzioni di territorio interessate dall'arresto di eventi<br />

valanghivi di accadimento "eccezionale" (per i quali si può assumere indicativamente un<br />

tempo di ritorno di riferimento pari a 300 anni).<br />

In considerazione del basso grado di pericolo valanghe caratteristico di tali aree, le zone gialle<br />

possono essere considerate edificabili con riserva.<br />

In linea generale, la zona rossa è contenuta nella zona blu, e la zona blu è contenuta in quella<br />

gialla. Esternamente alla zona gialla si ha la zona bianca, dove si ritiene che il pericolo sia<br />

così esiguo da non richiedere nessun tipo di misura precauzionale.<br />

Le perimetrazioni delle aree soggette a valanga hanno carattere temporaneo: in base<br />

all'aumento delle informazioni disponibili andranno previste verifiche ed eventuali<br />

aggiornamenti periodici (o "riperimetrazioni").<br />

17


2.4 I BOLLETT<strong>IN</strong>I NIVOMETEOROLOGICI<br />

Il bollettino è lo strumento che fornisce un quadro sintetico dell’innevamento, dello stato del<br />

manto nevoso e indica il pericolo di valanghe in un determinato territorio, al momento<br />

dell’emissione. Inoltre, sulla base delle previsioni meteorologiche e della possibile evoluzione<br />

del manto nevoso, indica il grado di pericolo atteso per l’immediato futuro, al fine di evitare<br />

eventuali incidenti causati dal distacco di valanghe.<br />

Su tutti i bollettini vengono fornite le seguenti informazioni:<br />

- informazioni sulla copertura nevosa, quali altezza neve a determinate quote,<br />

distribuzione della neve nei vari versanti, quantità di neve fresca ecc.;<br />

- parte nivologica, con indicazioni più o meno approfondite sulle caratteristiche<br />

strutturali del manto nevoso, quali consistenza, tendenza evolutiva e segnalazioni sulla<br />

presenza di eventuali elementi che possono determinare situazioni valanghive<br />

(accumuli, neve fresca, strati deboli all’interno del manto nevoso);<br />

- indicazione sul grado di pericolo attuale, cioè il grado di pericolo al momento<br />

dell’emissione del bollettino secondo la scala europea suddivisa in cinque gradi;<br />

- parte meteorologica, dove vengono indicate in dettaglio le previsioni del tempo in<br />

termini di nuvolosità e di eventi meteorici, per un periodo di validità che va dalle 24-<br />

48 ore fino alle 72 ore nel caso del bollettino del venerdì valevole per tutto il fine<br />

settimana. Inoltre vengono forniti i principali dati meteorologici e loro andamento<br />

tendenziale (quota dello zero termico, temperature, venti prevalenti, quantità e<br />

intensità delle precipitazioni);<br />

- pericolo di valanghe previsto, in cui vengono definiti il grado di pericolo, il tipo di<br />

valanghe previste e la localizzazione orografica generale in cui presumibilmente si<br />

possono verificare i fenomeni.<br />

La scala si compone di 5 gradi di pericolo crescente, individuati con indici numerici da 1 a 5:<br />

debole, moderato, marcato, forte, molto forte. Il termine "estremo" può essere utilizzato nei<br />

bollettini per indicare situazioni valanghive eccezionali. E’ da sottolineare che la scala non è<br />

lineare, in quanto il grado mediano ( 3, marcato ) non rappresenta un pericolo medio, bensì<br />

una situazione già critica. Nel bollettino è indicato anche il grado di stabilità del manto<br />

nevoso. Dal punto di vista fisico non è corretto utilizzare una scala della stabilità, in quanto<br />

non è possibile individuare situazioni intermedie tra un pendio nevoso stabile e uno instabile.<br />

Nella scala di pericolo unificata viene pertanto utilizzata una scala del consolidamento del<br />

manto nevoso, con le seguenti definizioni: ben consolidato, moderatamente consolidato, da<br />

18


moderatamente a debolmente consolidato, debolmente consolidato. Solamente per i gradi di<br />

pericolo 1 e 5 vengono utilizzate rispettivamente le definizioni "manto nevoso stabile" e<br />

"manto nevoso instabile".<br />

Fig. 2.11: Esempio di bollettino nivometeorologico locale del nord dei Grigioni (9<br />

marzo 2006)<br />

19


2.5 PROGETTI DI RICERCA EUROPEI<br />

A partire dai primi anni ’90, la ricerca europea sulle valanghe di neve ha avuto un notevole<br />

sviluppo ed ha attraversato quattro differenti fasi.<br />

Le prime collaborazioni tra gli scienziati hanno avuto luogo a partire da un progetto<br />

sviluppato nell’ambito del programma “Capital Humain et Mobilité”. Questo progetto ha<br />

permesso di stabilire i primi contatti tra i ricercatori europei. La cooperazione così ottenuta fu<br />

proseguita all’interno del progetto SAME (Snow Avalanche Modelling and Mapping in<br />

Europe) che si è focalizzato prevalentemente sulla cartografia, sulla modellizzazione, e sulle<br />

tecniche di rilascio artificiale delle valanghe. La ricerca si è poi intensificata all’interno del<br />

progetto CADZIE (Catastrophic Avalanches, Defense Structures and Zoning in Europe) che<br />

ha visto lo svilupparsi di strumenti utili alla zonazione e all’utilizzo di strutture per la<br />

protezione degli abitati. Infine i lavori si sono ulteriormente approfonditi all’interno di un<br />

altro progetto denominato SATSIE (Snow Avalanche Test Sites in Europe) dedicato<br />

prevalentemente alla comprensione della dinamica delle valanghe per migliorare le<br />

modellazioni esistenti.<br />

Per ultimo a partire dal 2003, è stato sviluppato un progetto, inserito nell’ambito del progetto<br />

SATSIE finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero, che ha avuto come obiettivo quello di<br />

approfondire con analisi di campo molte delle nuove scoperte e considerazioni effettuate.<br />

I risultati del progetto europeo SAME (1995-1998)<br />

L’obiettivo primario del progetto è stato quello di creare una rete di collaborazioni tra i vari<br />

istituti europei (11 partner europei, incluse la Norvegia, la Svizzera e l’Islanda) per ottenere<br />

una collaborazione internazionale e interdisciplinare su tematiche riguardanti le valanghe di<br />

neve: i sistemi d’informazione e di allerta in caso di pericolo, la modellizazione e i siti<br />

sperimentali.<br />

Una principale fase del progetto è stata la raccolta delle numerose informazioni presenti<br />

sull’argomento: carte dei siti valanghivi, registri degli eventi, procedure, etc.<br />

La creazione di un dizionario multilingue dei termini tecnici, utilizzati per descrivere le<br />

valanghe, ha ovviato al problema della terminologia.<br />

Nell’ambito del progetto è stato anche possibile riunire tutti i principali modelli esistenti<br />

sull’argomento (circa una cinquantina), creando un inventario con le caratteristiche e le<br />

condizioni di applicazione di ognuno (Harbitz, 1997; Harbitz et al., 1998). Infine i ricercatori<br />

hanno costruito un’unica piattaforma informatica, sulla quale è stato possibile utilizzare una<br />

serie di modelli al fine di studiare il rischio valanghivo (Barbolini et al., 1998).<br />

20


I risultati del progetto europeo CADZIE (1999-2002)<br />

Gli obiettivi del progetto sono stati duplici: da una parte migliorare il metodo di zonazione<br />

delle valanghe catastrofiche, dall’altra la determinazione delle leggi macroscopiche che<br />

descrivono le riduzioni in termini di distanza di arresto, volumi e energia causati dalla<br />

presenza di una struttura di protezione passiva sul percorso della valanga.<br />

Per quanto riguarda il primo problema, i ricercatori hanno descritto la probabilità di<br />

occorrenza di un certo evento in un determinato punto, al fine di definire, in termini di<br />

frequenza e intensità, il valore di riferimento di pericolosità necessario per effettuare una<br />

corretta zonazione (Applicazione di metodi Monte Carlo per quantificare l’incertezza della<br />

zonazione, Barbolini, 1999).<br />

Tramite opportune simulazioni fisiche e numeriche è stato possibile valutare il<br />

comportamento delle due parti della valanga, densa e polverosa, in presenza di una diga di<br />

protezione. Le simulazioni hanno portato alla determinazione di alcuni coefficienti che,<br />

inseriti in un modello di tipo Saint Venant, permettono di valutare l’interazione del flusso<br />

valanghivo con la struttura stessa.<br />

I risultati del progetto SATSIE (2002-2006)<br />

Il progetto SATSIE, appena concluso, ha apportato delle migliorie in una serie di aspetti dello<br />

studio delle valanghe di neve. Prima di tutto ha visto l’utilizzo e la sperimentazione di nuove e<br />

migliori tecniche per l’acquisizione dei dati nei siti sperimentali come: celle di carico 3D,<br />

radar Doppler e FMCW (Frequency Modulated Continuous Wave radar), sensori<br />

optoelettronici, osservazioni video e analisi di segnali sismici mediante l’uso di geofoni.<br />

Un’altra parte del progetto è stata incentrata sugli esperimenti in laboratorio riguardo alla<br />

reologia, ai regimi di flusso e alla ripresa di neve (cioè la quantità di neve erosa dal passaggio<br />

della valanga). Gli esperimenti sulla reologia sono estremamente importanti, visto che si<br />

pongono l’interrogativo di come poter adattare le misure e i parametri trovati in laboratorio a<br />

casi reali. Gli esperimenti sono stati effettuati nel laboratorio dell’ETNA a Col du Lac Blanc<br />

(Francia) e al Dipartimento di Ingegneria Idraulica dell’Università di Pavia. I risultati degli<br />

esperimenti francesi sono stati utilizzati per lo sviluppo e la calibrazione del modello MN2L<br />

(Naimm, 2002) sviluppato dal Cemagref e basato sulle equazioni di Saint Venant. Il modello,<br />

risulta innovativo rispetto ai precedenti perché calcola lo sviluppo temporale di 3 strati<br />

diversi: manto nevoso erodibile, nucleo denso e strato di sospensione (valanga polverosa). Il<br />

cosiddetto strato di saltazione non viene simulato esplicitamente ma fornisce le condizioni<br />

all’interfaccia tra nucleo denso e strato in sospensione. Oltre a questo modello il progetto ha<br />

21


visto l’introduzione di altre applicazioni a due dimensioni come il norvegese D2FRAM<br />

(Dynamical 2 Flow Regime Avalanche Model, Issler et al., 2007) che prevede la possibilità<br />

che parti della valanga varino il proprio regime di flusso, in particolare dal regime denso a<br />

quello fluidizzato e viceversa.<br />

Infine SATSIE ha ripreso la principale tematica trattata nel progetto CADZIE, cioè<br />

l’interazione della valanga con gli ostacoli. Le analisi e gli esperimenti effettuati hanno<br />

portato alla creazione di un decalogo utile per la progettazione delle opere di difesa passive.<br />

Il progetto SNF (Swiss National Science Foundation, 2003-2006)<br />

Questo progetto dal titolo: “Avalanche Dynamics: On-site studies, Modeling and Practical<br />

Applications” è, in ordine di tempo, uno dei più recenti sviluppati sull’argomento.<br />

Di durata triennale, è stato finanziato e sostenuto dal Fondo Nazionale Svizzero, in stretta<br />

connessione con il progetto di ricerca europeo SATSIE di cui si è precedentemente parlato.<br />

Il principale obiettivo che il progetto SNF si è preposto è stato quello di migliorare la<br />

comprensione delle complesse dinamiche delle valanghe di neve e di contribuire allo sviluppo<br />

di alcuni aspetti dei modelli numerici volti a migliorare la cartografia di pericolosità vigente.<br />

La particolarità del progetto è stato l’utilizzo di metodi scientifici piuttosto semplici. Il<br />

progetto infatti non implicava l’utilizzo di canalette o siti sperimentali, ma un semplice lavoro<br />

di campo, al fine di poter analizzare diversi tipi di evento dal vivo.<br />

Le problematiche prese in considerazione sono state:<br />

- differenze di comportamento tra le valanghe di grossa e piccola taglia;<br />

- informazioni indirette sui meccanismi di ripresa di neve da parte della valanga in moto;<br />

- informazioni indirette sui meccanismi di formazione di una componente polverosa del<br />

flusso;<br />

- differenze tra le valanghe canalizzate e quelle formate su pendio aperto;<br />

- perdite di massa e di energia lungo il tracciato<br />

- effetti della presenza di dighe paravalanghe o altri ostacoli sulle componenti del flusso<br />

(densa e fluidizzata, caratterizzata da una densità minore).<br />

Il progetto è composto da due parti che interagiscono tra di loro, ma che sono distinte per i<br />

loro metodi ed obiettivi. L’obiettivo fondamentale della prima fase del progetto è stato quello<br />

di studiare un numero sostanziale di eventi sia naturali che artificiali caratterizzati da un<br />

ampio spettro di dimensioni, condizioni della neve, topografia e altre proprietà<br />

geomorfologiche. Le analisi di campo avevano come scopi la determinazione dei regimi di<br />

22


flusso, i bilanci di massa e altre caratteristiche della dinamica degli eventi. Allo stesso tempo,<br />

i partecipanti al progetto hanno cercato di dare delle risposte ad una serie di problemi e<br />

osservazioni non ancora prese in considerazione dai vigenti modelli e metodi di analisi.<br />

I dati raccolti sono stati poi usati durante la seconda parte del progetto per sostenere lo<br />

sviluppo di nuovi modelli, presentati in SATSIE, che potessero meglio descrivere la varietà<br />

dei regimi di flusso, che caratterizzano le valanghe sotto diverse condizioni, e dei fenomeni di<br />

ripresa e deposizione di neve lungo il percorso.<br />

23


2.6 NUOVE OSSERVAZIONI: Ripresa di Neve e Strato Fluidizzato<br />

Già negli anni precedenti al progetto SATSIE numerose osservazioni, effettuate sia sul campo<br />

che in laboratorio, avevano suggerito importanti considerazioni sulla dinamica interna di una<br />

valanga.<br />

Già nel 1970, in America, McClung osservò la presenza di tre componenti a densità diversa<br />

all’interno di una valanga di neve.<br />

Altre osservazioni furono effettuate nel 1995 in Svizzera, dove, in occasione di tre eventi di<br />

notevole dimensione, vennero osservati sia grandi volumi di neve erosa, che la presenza di<br />

uno strato a densità intermedia tra la componente più densa e la nuvola polverosa (fig. 2.12)<br />

Fig. 2.12: La valanga di<br />

Albristhorn, Oberland Bernese,<br />

CH. (1995). Nell’immagine<br />

sono chiaramente visibile le due<br />

componenti della valanga<br />

(densa in rosso e fluidizzata in<br />

arancione). Come si può notare<br />

dall’immagine le due<br />

componenti hanno preso due<br />

percorsi completamente diversi.<br />

Nel 1999, in occasione della catastrofica valanga di Galtur (Austria), che costò la vita a 31<br />

persone, gli specialisti dell’Istituto per lo Studio della Neve e delle Valanghe di Davos fecero<br />

le medesime osservazioni. La valanga, di dimensioni eccezionali, fu causata sia delle<br />

condizioni atmosferiche avverse (grandi nevicate e scarsa consolidazione del manto) sia<br />

dall’ingente quantità di neve, appartenente all’originario manto al suolo, che il corpo<br />

valanghivo, una volta in moto, riuscì ad inglobare.<br />

Le osservazioni effettuate influenzarono il progetto del sito sperimentale di Vallée de la<br />

Sionne (1999). Nonostante questo fu solamente dopo gli esperimenti e i bilanci di massa<br />

effettuati in Italia nel sito sperimentale di Mount Pizzac (Sovilla e Sommavilla, 2001) che il<br />

fattore della “ripresa di neve” fu preso seriamente in considerazione.<br />

Come è facilmente comprensibile una valanga che riesce ad incrementare la sua massa ad<br />

esempio del 250% (ma si può arrivare anche al 1000%) aumenta pericolosamente la sua forza<br />

24


distruttiva. La ripresa di neve risulta essere, oltre che interessante per apprendere meglio le<br />

dinamiche interne della massa in moto, anche estremamente importante ai fini della zonazione<br />

della pericolosità.<br />

Nelle analisi di terreno, la valutazione dell’entità della ripresa di neve è un dato riscontrabile<br />

mettendo in relazione le altezze del manto nevoso indisturbato rilevate al di sotto del deposito<br />

valanghivo e quelle registrate in un’area vicina e simile ma non interessata da esso. La<br />

differenza tra le due altezze rilevate rappresenta la neve ripresa durante il moto. Generalmente<br />

la capacità di una valanga di erodere il manto nevoso indisturbato diminuisce con la durezza<br />

del manto stesso. E’ facilmente comprensibile che una valanga caduta successivamente ad una<br />

nevicata sarà in grado di erodere e inglobare tutta la neve fresca al suolo, caratterizzata da una<br />

leggerezza notevole. Inoltre, nel caso in cui la valanga abbia delle dimensioni e forza<br />

maggiori sarà in grado di erodere anche parti più consolidate del vecchio manto nevoso.<br />

Neve Ripresa<br />

Fig. 2.13: Nell’immagine è schematizzato il concetto della ripresa di neve. A sinistra è visibile la colonnina<br />

stratigrafica relativa al manto nevoso indisturbato. A destra, invece,la colonnina stratigrafica dopo il<br />

passaggio della valanga (azzurro). La neve ripresa è quindi lo spessore mancante al manto nevoso<br />

indisturbato dopo il passaggio della valanga. Nell’immagine con le sferette grigie sono indicati gli strati<br />

composti da grani arrotondati, con i riquadri gli strati composti da grani sfaccettati, con le barre inclinate<br />

gli strati composti da particelle di precipitazione decomposte e frammentate, con le crocette lo strato<br />

composto da neve fresca. (La stratigrafia riprodotta in immagine è di fantasia)<br />

25


A partire dal 1999, negli esperimenti dell’Istituto per lo Studio della Neve e delle Valanghe di<br />

Davos nel sito sperimentale di Vallée de la Sionne (CH), l’attenzione fu posta oltre che sui<br />

bilanci di massa per valutare la ripresa di neve, anche sulla presenza della terza componente a<br />

densità intermedia.<br />

3.9 m<br />

7.0 m<br />

3.0 m<br />

I dati degni di nota riguardavano infatti sia le celle di carico poste sul pilone strumentale<br />

installato lungo il tracciato della valanga che i radar FMCW (Frequency – Modulated<br />

Countinuous – Wave) installati al suolo.<br />

~ 10 sec<br />

> 300 m<br />

Suspension layer<br />

Fluidized layer<br />

Dense layer<br />

Fig. 2.14: Grafici rappresentanti i risultati<br />

delle misure sulle celle di carico poste sul<br />

pilone strumentale di Vallée de la Sionne<br />

(1999). Nel primo grafico si può vedere con<br />

la linea più marcata i valori di pressione<br />

corrispondenti con il nucleo a maggior<br />

densità della valanga, mentre con le<br />

oscillazioni del grafico sono rappresentati i<br />

singoli impatti delle singole palle di neve.<br />

Come è ben visibile nel secondo grafico,<br />

all’aumentare dell’altezza del sensore gli<br />

impatti andranno a diminuire. In blu sono<br />

indicate le varie altezze di flusso.<br />

Fig. 2.15: Diagramma altezza di<br />

scorrimento – tempo di un radar<br />

FMCW (Valleé de la Sionne, 1999).<br />

L’interazione tra il manto nevoso<br />

indisturbato e la valanga è visibile<br />

in basso a sinistra. Nell’immagine<br />

sono state evidenziate le tre<br />

componenti della valanga.<br />

26


Per quanto riguarda i dati registrati mediante le celle di carico (fig. 2.14), questi mostrano<br />

chiaramente, a circa 3 m di altezza, il flusso principale più denso della valanga caratterizzato<br />

da una pressione fino ai 400 KPa. Oltre al flusso principale nei grafici sono ben visibili delle<br />

oscillazioni con picchi fino ai 1200 KPa a 4 m di altezza rappresentanti i singoli impatti delle<br />

singole palle di neve. Ovviamente le pressioni d’impatto tenderanno a diminuire con l’altezza<br />

di flusso, nel secondo grafico infatti si può vedere come, a circa 7 m di altezza, le pressioni<br />

superino di poco i 70 KPa.<br />

I diagrammi relativi alle celle di carico sono generalmente analizzati insieme al diagramma<br />

altezza di scorrimento - tempo (fig. 2.15) del radar FMCW. Il diagramma, oltre ad evidenziare<br />

l’interazione tra il manto nevoso indisturbato e la valanga, sottolinea chiaramente la presenza<br />

delle tre componenti della valanga. In particolare, come è visibile in figura, la parte più densa<br />

del flusso è quella caratterizzata dai colori più scuri e posta più internamente alla valanga. La<br />

componente polverosa sarà invece quella caratterizzata dai colori più tenui e posta nella parte<br />

più alta del flusso. Infine, la parte detta “fluidizzata” caratterizzata da una densità intermedia<br />

tra le due componenti descritte, è posta al fronte della valanga. Importante è notare che, la<br />

parte fluidizzata precede di molto la parte più densa, ad esempio nel caso della valanga<br />

dell’esempio del 1999 a Vallée de la Sionne questa precedeva la componente più densa di 10<br />

secondi e soprattutto di 300 m!<br />

Se volessimo dare un ordine di grandezza alla densità delle tre componenti della valanga<br />

potremmo dire che la parte densa risulta avere una densità di 100-500 kg/m 3 , la nuvola<br />

polverosa di 1-10 kg/m 3 , mentre la parte fluidizzata di 10-100 kg/m 3 .<br />

Le linee guida per la perimetrazione del pericolo valanghivo, sono state redatte, come già<br />

spiegato, sulla base delle differenti pressioni d’impatto calcolate sulle densità del nucleo del<br />

corpo valanghivo; risulta quindi piuttosto chiaro come la presenza di una componente frontale<br />

della valanga, caratterizzata da una densità minore, possa portare alla modificazione dei<br />

modelli vigenti, con lo scopo di eseguire una perimetrazione più precisa dell’attuale. Queste<br />

osservazioni potrebbero portare in futuro ad una riduzione della zona rossa e ad un aumento<br />

della zona blu, al fine di accontentare le innumerevoli richieste di ampliamento urbano da<br />

parte dei sindaci dei comuni montani.<br />

27


0<br />

1<br />

q4,3<br />

q0,1<br />

q3,2<br />

q1,0<br />

3<br />

q2,3<br />

q2,0<br />

Sebbene non sia ancora del tutto chiara la dinamica di formazione della componente<br />

fluidizzata, in molte valanghe (ma non in tutte) ne è stata accertata la presenza. Purtroppo<br />

però le motivazioni per cui lo strato fluidizzato non si formi in ogni valanga rimangono<br />

ancora oscure come le dinamiche della sua formazione.<br />

2<br />

4<br />

q0,2<br />

Fig. 2.16: In figura è rappresentata la struttura di una valanga di neve. Con “0” è indicato il manto nevoso<br />

indisturbato, con “1” la componente densa, con “2”la componente fluidizzata, con “3” la parte polverosa,<br />

con “4”è rappresentata l’aria che circonda la massa in moto. Inoltre con “qij” sono rappresentati gli<br />

scambi di massa tra le varie componenti.<br />

Deposito fluidizzato<br />

Deposito denso<br />

Fig. 2.17: La valanga del<br />

Gotschnawang di fine<br />

gennaio 200<strong>6.</strong> Nell’immagine<br />

sono ben visibili le differenze<br />

tra le due tipologie di<br />

deposito.<br />

28


Le testimonianze della presenza di una componente fluidizzata sono facilmente osservabili.<br />

Prima di tutto è necessario dire che il deposito della componente fluidizzata, essendo<br />

caratterizzato da una maggiore capacità di scorrimento, viene rinvenuto sempre intorno o alla<br />

fronte del deposito denso. Il deposito denso infatti si ferma prima!<br />

Oltre a quanto detto, i due depositi sono estremamente differenti (fig. 2.17): il deposito denso<br />

è caratterizzato dalla presenza di palle di neve subarrotondate che sono ben rilevabili sia<br />

visivamente che in trincea. Il fluidizzato, invece, oltre ad essere caratterizzato da uno spessore<br />

minore, ha una superficie molto più liscia e compatta del precedente. Il passaggio della<br />

componente fluidizzata è anche in grado di determinare una erosione ed una forte<br />

compattazione del manto nevoso indisturbato.<br />

29


3. IL LAVORO DI TESI<br />

3.1 OBIETTIVI E DESCRIZIONE DEL LAVORO<br />

Questo lavoro di tesi è stato sviluppato in un più ampio progetto di ricerca, promosso dagli<br />

studi professionali NaDesCor di Altendorf (CH) e Tur di Davos (CH).<br />

Il progetto, dal titolo “Avalanche Dynamics: On-site studies, Modeling and Practical<br />

Applications”, è stato accettato e finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero (SNF) a partire dal<br />

2003 con il Dott. Dieter Issler come responsabile scientifico.<br />

Il principale obiettivo comune è la volontà di migliorare la comprensione delle complesse<br />

dinamiche delle valanghe di neve e di contribuire allo sviluppo di alcuni aspetti dei modelli<br />

numerici volti a migliorare la cartografia di pericolosità vigente. Inoltre la particolarità del<br />

progetto è stata l’utilizzo di metodi scientifici piuttosto semplici. Il progetto infatti non<br />

implicava l’utilizzo di canalette o siti sperimentali, ma un semplice lavoro di campo, al fine di<br />

poter analizzare diversi tipi di evento.<br />

L’attività di tesi è composta da tre fasi principali.<br />

La prima è incentrata prevalentemente su di una attenta e continuativa attività di terreno,<br />

svolta nella stagione invernale 2005/2006, più precisamente tra la metà di gennaio e la metà di<br />

aprile 200<strong>6.</strong><br />

L’area scelta per il lavoro è stata il comune di Davos, posto a 1543 m s.l.m. nel Cantone dei<br />

Grigioni, Svizzera. I comprensori sciistici presenti sono, infatti, regolarmente caratterizzati da<br />

numerosi eventi valanghivi sia spontanei che artificiali, facilmente raggiungibili tramite le<br />

piste da sci.<br />

Le osservazioni comprendono anche valli laterali della zona di Davos, la Val Sertig e la Val<br />

Dischma, che sono state interessate da eventi talmente significativi, soprattutto da un punto di<br />

vista dimensionale, da non poter essere trascurati.<br />

Davos, caratterizzata dalla presenza dell’Istituto Federale per lo Studio della Neve e delle<br />

Valanghe (SLF), rappresenta anche un’ottima occasione per collaborare con i principali<br />

esperti del settore.<br />

L’obiettivo fondamentale del lavoro di terreno è la raccolta del maggior numero di dati<br />

possibile sugli eventi valanghivi avvenuti durante la stagione invernale. Il lavoro comprende<br />

una raccolta dettagliata dei principali parametri geografici, geometrici e tipologici degli eventi<br />

osservati, correlata da analisi approfondite effettuate in corrispondenza dei depositi.<br />

30


L’attenzione viene principalmente concentrata sulla raccolta di dati relativi alle valanghe<br />

caratterizzate dalla presenza di uno strato fluidizzato e da evidenze di ripresa di neve. Questi<br />

due elementi, messi in evidenza dagli esperimenti nei siti sperimentali, sono importanti<br />

descrittori della dinamica interna della valanga, e presentano conseguenze importanti anche<br />

dal punto di vista della pianificazione territoriale.<br />

La seconda fase del lavoro è dedicata prima di tutto alla creazione di un dettagliato database,<br />

sia in excel che in ambiente GIS per ordinare i dati raccolti in maniera sistematica.<br />

Il database costituisce un supporto fondamentale per effettuare un’analisi statistica sui dati.<br />

Questo tipo di studio è molto importante al fine di evidenziare eventuali ricorrenze e<br />

correlazioni statistiche tra i dati raccolti sul terreno. In particolare lo scopo principale è<br />

valutare se la presenza di uno stato fluidizzato o la presenza di una considerevole ripresa di<br />

neve possano essere in qualche modo legati o meno agli altri parametri tipici della valanga.<br />

Successivamente all’impiego dei dati per le analisi statistiche, gli stessi sono analizzati con<br />

l’utilizzo di un modello numerico creato per descrivere il moto valanghivo.<br />

Il modello, chiamato RAMMS, è un applicativo monofase a due dimensioni sviluppato<br />

dall’Istituto per lo Studio della Neve e delle Valanghe di Davos (CH).<br />

La calibrazione di Ramms, effettuata dall’ente stesso, è stata basata principalmente sui dati<br />

relativi agli eventi catastrofici dell’inverno 1999 e sui dati del sito sperimentale di Vallée de la<br />

Sionne (CH). Questi dati sono quindi relativi ad eventi estremi e di grandi dimensioni.<br />

I dati raccolti sul campo per questa tesi sono quindi un’ottima occasione per valutare le<br />

potenzialità del modello di rappresentare anche valanghe di dimensioni minori, peraltro più<br />

comuni. Per far ciò sono selezionate quattro valanghe osservate nell’inverno 2005/2006 e<br />

sulle quali è stata fatta una raccolta dati più approfondita.<br />

L’obiettivo di questa fase del lavoro è quindi verificare se il modello sia in grado di ben<br />

riprodurre le valanghe osservate, indipendentemente dalla loro dimensione, dal punto di vista<br />

di forme e spessori dei depositi e velocità di scorrimento.<br />

31


3.2 L’AREA <strong>IN</strong> ESAME<br />

Fig. 3.1: Nello schema la posizione della cittadina di Davos nella parte orientale della Svizzera. La foto a<br />

destra è una panoramica dell’abitato ripresa dalla zona del Rinerhorn.<br />

Davos è una cittadina situata nella parte orientale della Svizzera, nel cantone dei Grigioni.<br />

Abitata da 11.000 persone circa, copre un’area di 255 km 2 . Davos è composta da 14 differenti<br />

frazioni: Davos Dorf, Davos Platz, Clavadel, Monstein, Wolfgang, Dischma, Dürrboden,<br />

Frauenkirch, Glaris, Laret, Shatzalp, Sertig Dörfli, Teufli, e Tschuggen.<br />

Il comune comprende anche 3 valli laterali: la Val Dishma, la Val Sertig e la Val Fluela.<br />

La zona è da sempre molto conosciuta per la possibilità di praticare sport invernali: esiste un<br />

articolo di Arthur Conan Doyle del 1899 riguardo alle quattro diverse aree sciistiche presenti,<br />

ora diventate comprensori attrezzati (Parsenn, Jakobshorn, Pischa, Rinerhorn).<br />

32


3.2.1 Inquadramento Geologico e Geomorfologico<br />

Le Alpi sono il risultato della collisione tra il continente Europeo e la microplacca Adriatica.<br />

Questa collisione ha determinato la formazione di una catena con una struttura crostale a<br />

doppia vergenza, cioè costituita da due catene a falde che si sono sviluppate in senso opposto.<br />

In particolare vengono distinte una catena a vergenza europea ed una catena a vergenza<br />

africana.<br />

La catena Africa vergente, o Sudalpino, è delimitata dal lineamento Periadriatico, e le sue<br />

unità si estendono sino al sottosuolo della pianura padana.<br />

La catena Europa vergente è suddivisa in una serie di elementi strutturali maggiori in cui sono<br />

riunite gruppi di falde caratterizzate da un’analoga storia cinematica. In particolare si possono<br />

distinguere: i sistemi Austroalpini delle Alpi occidentali ed orientali, originati dallo stretching<br />

e dall’assottigliamento del margine continentale della placca Adriatica; i sistemi tettonici della<br />

Zona Pennidica, dominanti nelle Alpi centro-occidentali, a cui si associano, a vari livelli<br />

strutturali, alcune unità ofiolitiche mesozoiche di origine oceanica; infine, il sistema Elvetico,<br />

esteso nel settore esterno delle Alpi centro-occidentali, e che rappresenta il margine del<br />

continente europeo.<br />

L’area di studio di questo lavoro è situata nelle Alpi Centrali, nella parte orientale nella<br />

Svizzera. La zona è caratterizzata dalla presenza di una serie di falde tettoniche che<br />

comprendono (fig. 3.2):<br />

- il basamento Austroalpino della falda Silvretta, composta prevalentemente da<br />

ortogneiss, paragneiss e anfiboliti;<br />

Fig. 3.2: Nell’immagine è visibile un<br />

estratto della carta strutturale della<br />

Svizzera a scala 1:500.000. Davos è<br />

evidenziato con il cerchio rosso. In<br />

rosa chiaro è indicata la falda<br />

Silvretta, in azzurro la falda Ela, in<br />

verde la Zona a Scaglie di Arosa, e<br />

in viola le falde di Sulzfluh e di<br />

Falknis.<br />

- la falda Austroalpina Ela, che affiora in quest’area sottoforma di dolomiti triassiche;<br />

33


- la Zona a Scaglie di Arosa, Pennidico inferiore, è una unità eterogenea composta da<br />

rocce di origine continentale e oceanica. Questa unità, considerata la sutura tra<br />

Pennidico e Austroalpino, contiene sia rocce ofiolitiche che sedimentarie (rocce<br />

dolomitiche del Trias, calcari del Lias e del Malm, calcari e marne del Cretaceo) e<br />

blocchi di origine Austroalpina;<br />

- la falda di Sulzfluh e la falda di Falknis, Pennidico, composte prevalentemente da<br />

calcari, marne e flysch.<br />

Tutta la zona è inoltre caratterizzata da una morfologia prettamente glaciale, con valli ampie,<br />

riempite da sedimenti fluviali e versanti piuttosto ripidi. Il comprensorio stesso di Parsenn–<br />

Klosters si articola lungo i blandi fondovalle di una serie di piccole valli a U, delimitate le une<br />

dalle altre da creste formate da ofioliti della Zona a Scaglie di Arosa. Le morfologie hanno<br />

influenzato molti dei siti valanghivi analizzati in questo lavoro: questi, infatti, posti<br />

lateralmente alle piste del comprensorio, hanno un profilo caratterizzato da elevate pendenze<br />

della zona di distacco e di scorrimento con un brusco cambio di pendenza alla base, poi<br />

addolcito dalla presenza di numerosi coni detritici.<br />

Fig. 3.3: Nell’immagine è visibile un<br />

estratto della carta geologica della<br />

Svizzera in scala 1:500.000. Davos<br />

è evidenziato con il cerchio rosso.<br />

In rosa chiaro e violetto sono<br />

indicati gli gneiss e i paragneiss<br />

Austroalpini, in marrone chiaro le<br />

anfiboliti sempre Austroalpine, in<br />

verde le ofioliti Pennidiche e in<br />

arancione le dolomie Triassiche<br />

della falda Ela..<br />

Il paragrafo che segue è un estratto della relazione sul clima della stagione invernale<br />

2005/2006 redatta dall’ Istituto per lo Studio della Neve e delle Valanghe di Davos.<br />

34


3.2.2 Il Clima della Stagione Invernale 2005/2006<br />

Novembre 2005<br />

Un autunno generalmente mite si è prolungato fino all’ultima decade di dicembre,<br />

determinando un avvento tardivo delle precipitazioni nevose. A partire dalla metà del mese<br />

tutta la Svizzera è stata interessata da un raffreddamento generalizzato che ha determinato<br />

nevicate ripetute, anche se di lieve entità. Il manto nevoso così formatosi era quindi<br />

caratterizzato da spessori limitati anche alle alte quote.<br />

La prima settimana del mese è stata caratterizzata dall’avvento di una zona di bassa pressione<br />

che dall’Atlantico si è diretta verso la Scandinavia, passando per l’Inghilterra. Parallelamente<br />

si è formata una zona di bassa pressione che ha determinato delle precipitazioni nevose sulle<br />

Alpi svizzere, a partire dal settore sud orientale. Il limite delle nevicate osservato è stato<br />

registrato intorno ai 1600 m nei settori più a nord mentre attorno ai 2000 m nei settori più<br />

meridionali.<br />

Nel periodo compreso tra il 7 e il 15 novembre, l’influenza di una zona di alta pressione ha<br />

reso le temperature ancora una volta più miti determinando lo scioglimento della neve nelle<br />

zone esposte direttamente al sole e un metamorfismo nelle zone in ombra.<br />

A causa di un fronte freddo polare, il 16 novembre le temperature hanno subito un forte calo<br />

(10° nell’arco delle 24h) e tutta la regione è stata interessata da una lieve nevicata fino ai 1000<br />

m di quota.<br />

Il tempo si è poi mantenuto generalmente soleggiato fino al 21 del mese, dove le regioni del<br />

settore orientale della Svizzera (tra cui ovviamente l’area di Davos) sono state interessate da<br />

un’abbondante nevicata (fino a 20 cm).<br />

Fino alla fine del mese i Grigioni sono stati interessati da ulteriori piccole nevicate fino ad<br />

arrivare a 30 cm di spessore sommando tutte le precipitazioni avvenute nel periodo.<br />

Nonostante le perturbazioni alla fine del mese la neve caduta era inferiore ai valori medi<br />

registrati nella maggior parte delle stazioni negli ultimi anni.<br />

A causa dei piccoli spessori di neve, delle basse temperature dell’aria, del raffreddamento del<br />

manto nevoso durante le notti più limpide e del raffreddamento del manto nei settori più in<br />

ombra durante la giornata, il gradiente di temperatura all’interno della copertura nevosa è<br />

stato estremamente elevato, determinando l’instaurarsi di un metamorfismo costruttivo.<br />

La neve fresca caduta si è rapidamente trasformata in cristalli angolari, mentre la neve più<br />

vecchia è stata metamorfosata a formare cristalli a calice o in alcuni casi vere e proprie croste<br />

di rigelo.<br />

35


Fig. 3.4: Profilo del manto nevoso effettuato il 28/11/05 in prossimità del Weissflujoch (Davos) a circa<br />

2800 m di quota su un versante esposto a nord-est. In rosso sono evidenziate le temperature all’interno<br />

del manto nevoso e dell’aria, mentre in blu la durezza della neve (resistenza alla penetrazione tramite<br />

test della sonda battage in Newton). In grigio i risultati del test della mano per valutare la durezza<br />

1 - 15 Dicembre 2005<br />

La prima parte del mese è stata caratterizzata da precipitazioni nevose sulla maggior parte del<br />

territorio che, poggiandosi al di sopra di un manto nevoso metamorfosato e compattato, hanno<br />

determinato una situazione piuttosto pericolosa e un innalzamento del rischio valanghivo.<br />

In particolare il passaggio di correnti fredde tra il 3 e il 5 dicembre ha determinato la caduta di<br />

10-30 cm di neve nel nord e nel centro dei Grigioni.<br />

Davos<br />

Fig. 3.5: Sommatoria della<br />

neve caduta tra il 2 e il 5<br />

dicembre. A causa del vento<br />

diretto verso sud, si ha la<br />

prevalenza di neve<br />

soprattutto nei settori<br />

meridionali e occidentali.<br />

36


La caduta di neve è stata accompagnata da un vento moderato che ha determinato un’erosione<br />

del manto nevoso esistente e un trasporto della neve fresca dalle zone più esposte a quelle più<br />

riparate, come canali e depressioni.<br />

Gli accumuli di neve soffiata che si sono generati, hanno ricoperto un manto nevoso<br />

tendenzialmente fragile, determinando una situazione rischiosa con conseguente distacco di<br />

lastroni sia accidentale che spontaneo.<br />

Dal 6 al 9 dicembre nuove precipitazioni nevose hanno interessato soprattutto i settori<br />

occidentali delle Alpi, determinando però anche nel nord dei Grigioni cadute di neve attorno<br />

ai 10-30 cm.<br />

Fig. 3.6: Sommatoria<br />

della neve caduta tra il 5<br />

e il 10 dicembre.<br />

Tra il 10 e il 15 dicembre il tempo è stato generalmente soleggiato e moderatamente ventilato<br />

con una conseguente diminuzione del pericolo di valanghe. Una conseguenza delle notti<br />

fredde e limpide di questi giorni è stata la formazione di uno strato di brina di superficie,<br />

soprattutto nelle valli e sui versanti compresi tra i 1000 e i 2000 m.<br />

16 - 22 Dicembre 2005<br />

Nel corso della notte tra giovedì e venerdì 16 dicembre, una situazione di intenso sbarramento<br />

meteorologico ha raggiunto la Svizzera e si è prolungata fino alla serata di sabato. Il centro<br />

delle precipitazioni era situato nella parte orientale della regione dove sono stati registrati<br />

localmente anche fino a 150 cm di neve fresca.<br />

In particolare nell’area di Davos sono stati registrati valori di neve fresca dai 60 ai 100 cm.<br />

37


Le forti nevicate sono state anche accompagnate da venti tempestosi fino a 160 km/h, che<br />

hanno determinato la formazione di spessi depositi di neve ventata. La neve fresca e la neve<br />

ventata si sono depositate al di sopra di un manto nevoso debole e ormai vecchio,<br />

principalmente composto da cristalli angolari e ricoperto da brina di superficie formatasi<br />

durante le limpide notti che hanno preceduto la perturbazione. Il manto nevoso instabile così<br />

creatosi ha determinato un’attività valanghiva notevole in tutte le aree soggette alle forti<br />

precipitazioni. Purtroppo non è stato possibile datare esattamente gli eventi valanghivi di<br />

questi pochi giorni a causa della pessima visibilità che non ha reso possibile l’osservazione in<br />

tempo reale dei distacchi.<br />

Fig. 3.7: Attività<br />

valanghiva nel<br />

comprensorio<br />

sciistico di<br />

Parsenn (Davos)<br />

tra il 17 e il 19<br />

dicembre 2005.<br />

A Davos nell’area di Parsenn sono state registrate circa 6 grandi valanghe, 31 valanghe di<br />

medie dimensioni e 70 di piccole dimensioni (vedi fig. 3.7).<br />

Un numero eccezionale di valanghe ha interessato anche le basse altitudini, soprattutto in<br />

corrispondenza dei lati delle strade carrozzabili.<br />

A partire dal 18 dicembre sia le precipitazioni che il vento sono progressivamente diminuiti.<br />

Anche le temperature sono passate dai -12°C a quota 2000 m ai -2°C in pochi giorni.<br />

38


L’osservazione di valanghe spontanee è andata a diminuire in relazione con il progressivo<br />

assestamento del manto nevoso.<br />

Fig. 3.8: Bollettino nivometeo<br />

del nord dei Grigioni del 17<br />

dicembre 2005. Come si vede<br />

da immagine l’area di Davos<br />

è stata interessata da un<br />

pericolo valanghivo pari a 4.<br />

23 - 29 Dicembre 2005<br />

Il periodo tra il 23-29 dicembre è stato relativamente tranquillo, caratterizzato da condizioni<br />

favorevoli sulla gran parte del territorio Svizzero, con una ulteriore diminuzione del pericolo<br />

valanghivo.<br />

Il vento che ha soffiato nei giorni precedenti ha determinato una ripartizione della neve<br />

piuttosto irregolare. Le creste e le zone rialzate sono state infatti erose mentre nelle<br />

depressioni sono state rinvenute grandi quantità di neve fresca ventata.<br />

Le temperature e il tempo terso, che hanno caratterizzato questo breve periodo, hanno<br />

determinato la formazione di uno strato di brina di superficie, spesso fino a 2 cm.<br />

Fig. 3.9: Nel periodo<br />

Natalizio un importante<br />

strato di brina di superficie si<br />

è formato nella maggior<br />

parte dei versanti delle Alpi<br />

svizzere.<br />

39


Fig. 3.10: Neve al suolo il<br />

12 gennaio 200<strong>6.</strong> Come<br />

visibile da figura a Davos<br />

la neve al suolo era<br />

compresa tra i 50 e gli 80<br />

cm.<br />

Questa fase è stata caratterizzata da colate di neve asciutta e valanghe formatesi per la<br />

presenza di cristalli a calice.<br />

Tra il 27 e il 29 dicembre una depressione posta al di sopra della Germania e della Polonia ha<br />

determinato degli apporti di aria fredda e umida su tutta la Svizzera. La temperatura dell’aria<br />

a 2000 m ha oscillato tra i -15 e i -17°C. A partire da martedì 27 la regione è stata interessata<br />

da deboli nevicate che hanno apportato fino a 25-50 cm nella Svizzera centrale ma solo pochi<br />

centimetri nel nord-centro Grigioni. La neve fresca è stata facilmente trasportata dal vento e<br />

ciò ha determinato dei depositi al di sopra della brina di superficie formatasi. Il fenomeno,<br />

nelle zone caratterizzate dalle maggiori precipitazioni, ha determinato un innalzamento del<br />

pericolo di valanghe.<br />

30 Dicembre 2005 – 5 Gennaio 2006<br />

Il periodo analizzato è stato caratterizzato dall’avvento di un fronte freddo che ha determinato<br />

ulteriori apporti nevosi e un notevole vento.<br />

Nel corso della notte tra giovedì e venerdì 30 dicembre il cielo è stato piuttosto limpido con<br />

temperature a dir poco glaciali. Queste, sulle cime, sono arrivate addirittura a -35°C. Durante<br />

la giornata, invece, il tempo è stato soleggiato e molto freddo.<br />

L’avvento di un successivo fronte caldo ha determinato un innalzamento delle temperature<br />

fino a 15°C e una nevicata abbondante nei settori sud occidentali, mentre di “soli” 10-20 cm<br />

circa nel centro e nord dei Grigioni.<br />

I primi giorni dell’anno sono stati caratterizzati da tempo soleggiato e da una lenta<br />

diminuzione del pericolo valanghe.<br />

40


6-12 Gennaio 2006<br />

Nel corso delle notti tra il 4 e il 6 gennaio tutta la Svizzera è stata interessata da un forte vento<br />

che ha eroso e trasportato la neve caduta nel precedente periodo valanghivo.<br />

I valori di neve al suolo registrati in questo periodo sono minori ai valori medi in varie zone<br />

della Svizzera: nell’Alto Vallese, nella regione del Gottardo, nel Ticino, nel centro e nel sud<br />

dei Grigioni. La copertura nevosa risulta essere però piuttosto irregolare, per i forti venti che<br />

hanno soffiato durante le perturbazioni, poco consolidata e caratterizzata da strati deboli.<br />

Nel nord dei Grigioni il forte vento ha determinato una forte erosione in corrispondenza delle<br />

creste e delle zone esposte.<br />

13-19 Gennaio 2006<br />

Fino al 16 gennaio il tempo è stato limpido e con un’ottima visibilità in montagna. Il vento è<br />

stato piuttosto moderato sia nei settori centrali che in quelli orientali delle Alpi. Nonostante la<br />

sua entità, il vento non ha determinato un trasporto nevoso abbondante, ma solamente di<br />

piccole quantità di neve.<br />

Fig. 3.11: Grossi cristalli<br />

di brina di superficie<br />

(anche fino ai 15 cm) sono<br />

stati osservati nelle valli.<br />

Dal 16 gennaio la temperatura della superficie nevosa è diminuita ulteriormente arrivando a<br />

valori di -20/-30°C nel corso della notte mentre di -10°/-20°C nel corso della giornata. L’aria<br />

in montagna è stata molto secca e, su una grande parte del territorio, l’umidità ha raggiunto<br />

valori compresi tra il 10 e il 20%. Con queste condizioni la formazione di brina di superficie è<br />

stata impedita alle alte quote, mentre a quote inferiori, la presenza di alberi e foreste ne ha<br />

facilitato la formazione.<br />

41


Sotto l’effetto dell’irraggiamento solare il manto nevoso si è ulteriormente consolidato, in<br />

particolare sui pendii ripidi esposti a sud. Sui pendii esposti a ovest, a nord e a est il manto<br />

nevoso è divenuto più friabile a causa del metamorfismo costruttivo e delle tensioni del manto<br />

che sono progressivamente diminuite.<br />

Fig. 3.12: Sommatoria<br />

della neve al suolo nei<br />

3 giorni dopo la<br />

perturbazione del 17-<br />

19 gennaio.<br />

A partire del 17 gennaio una nuova perturbazione ha interessato tutta la regione Svizzera. Nel<br />

nord dei Grigioni e nell’Oberland bernese la perturbazione ha apportato 40-60 cm di neve<br />

fresca.<br />

Fig. 3.13: Bollettino nivometeo<br />

del nord dei Grigioni del 19<br />

gennaio 200<strong>6.</strong> L’area di Davos,<br />

dopo un’abbondante nevicata<br />

di 40 cm, presentava un<br />

pericolo valanghe pari a 3.<br />

20-26 Gennaio 2006<br />

Nei giorni 19 e 20 gennaio il tempo in montagna è stato piuttosto soleggiato e dolce per la<br />

stagione. Le temperature sui 2000 m si sono mantenute intorno ai 2-4°C durante la giornata.<br />

42


A causa delle nevicate dei giorni precedenti il pericolo valanghivo si è mantenuto piuttosto<br />

elevato.<br />

Il manto nevoso al suolo infatti era estremamente debole, tanto che il risultato delle operazioni<br />

di messa in sicurezza delle piste è stato molto più ingente dei distacchi spontanei.<br />

Tra il 21 e il 26 gennaio si è osservato un netto raffreddamento con consolidamento<br />

progressivo del manto nevoso alle altitudini inferiori ai 1800 m soprattutto sui pendii orientati<br />

a sud.<br />

Le valanghe cadute sono state prevalentemente a lastroni, distaccatesi in corrispondenza di<br />

uno strato debole costituito da brina di superficie. (vedi fig. 3.14)<br />

Fig. 3.14: Profilo effettuato in<br />

corrispondenza di un distacco<br />

avvenuto nella zona del<br />

Gmeinboden nel comprensorio<br />

sciistico di Parsenn. In blu la<br />

resistenza alla prova della sonda<br />

battage, la linea rossa indica la<br />

temperatura della neve e dell’aria.<br />

Il distacco è avvenuto al di sopra<br />

della neve più vecchia.<br />

27 – 2 Gennaio/Febbraio 2006<br />

Il periodo è stato caratterizzato da abbondanti nevicate nel sud della Svizzera, soprattutto nel<br />

Canton Ticino, dove sono stati registrati fino a 60 cm di neve e notevoli eventi valanghivi<br />

spontanei o accidentali. Nel centro-nord Grigioni la perturbazione ha apportato solamente<br />

pochi centimetri di neve che non hanno modificato le condizioni locali di pericolo valanghe.<br />

43


3 – 9 Febbraio 2006<br />

Da venerdì 3 a domenica 5 febbraio l’anticiclone ha insistito su tutta la regione regalando<br />

tempo soleggiato in montagna. Il bel tempo ha portato notti chiare e fredde che hanno<br />

determinato una consolidazione progressiva del manto nevoso. Questa situazione ha<br />

interessato prevalentemente le regioni meridionali della Svizzera dove ha nevicato<br />

abbondantemente tra il 26 e il 29 gennaio.<br />

Generalmente le alte quote sono state giornalmente interessate da piccole precipitazioni<br />

nevose. Il manto nevoso, piuttosto irregolare, è stato anche soggetto alla forte azione erosiva e<br />

di trasporto ad opera del vento. Sulle creste e le zone in rilievo la neve è stata fortemente<br />

erosa o compattata dal vento stesso. Nelle regioni del nord, sui pendii in ombra si è avuta la<br />

formazione di una crosta di neve ventata mentre nei pendii esposti a sud c’è stata la<br />

formazione di una crosta di fusione rigelo caratterizzata per la grande maggioranza dei casi da<br />

una buona portanza. Tutte queste condizioni hanno determinato la costituzione di un manto<br />

nevoso estremamente irregolare e poco affidabile.<br />

Da lunedì 6 a giovedì 9 il tempo si è mantenuto variabile nelle regioni a nord con nevicate<br />

relativamente abbondanti. Nel nord e nel centro dei Grigioni la quantità di neve caduta è<br />

variata tra i 5 e i 15 cm. Queste piccole quantità di neve fresca sono state piuttosto negative<br />

per la situazione valanghiva del periodo visto che hanno generato ulteriori instabilità del<br />

manto nevoso.<br />

Fig. 3.15: Neve fresca al<br />

suolo il 9 febbraio 200<strong>6.</strong><br />

Come è ben visibile in<br />

figura la zona di Davos è<br />

stata interessata da<br />

cadute di neve fino a 30<br />

cm di spessore.<br />

A partire da mercoledì 8 febbraio una condizione di bassa pressione ha apportato ulteriori<br />

nevicate soprattutto nelle regioni centrali della Svizzera. Nel nord e centro regioni la neve<br />

fresca caduta ha raggiunto anche i 30 cm.<br />

44


Le nuove precipitazioni hanno fatto aumentare il grado di pericolo valanghivo nei Grigioni<br />

fino al livello 3. Questo aumento è imputabile alla presenza di un manto nevoso vecchio<br />

ancora debolmente consolidato ricoperto sia da neve fresca che da neve ventata.<br />

10 – 16 Febbraio 2006<br />

L’intenso periodo di precipitazioni (fino a 40 cm nel nord centro Grigioni) è terminato<br />

venerdì 10 febbraio. Il tempo dall’11 al 14 febbraio è stato quindi prevalentemente soleggiato.<br />

Sui pendii orientati a sud una crosta superficiale di rigelo si è formata a partire dai 2400 m<br />

d'altitudine. Generalmente il pericolo valanghe ha cominciato a diminuire in tutta la Svizzera,<br />

tranne che in alcune regioni più critiche come quella di Davos. In queste regioni, è stata<br />

registrata una quantità media di neve fresca (da 20 a 40 cm) che ha ricoperto nella grande<br />

maggioranza dei casi un manto nevoso vecchio che aveva subito un metamorfismo<br />

sfavorevole. Soprattutto in queste zone non era quindi possibile escludere un eventuale<br />

distacco a causa del carico di una singola persona, cosa che è avvenuta nel caso della valanga<br />

del Drusatcha (vedi capitolo Analisi di Terreno)<br />

Fig. 3.16: La valanga del<br />

Drusatscha ripresa dagli<br />

esperti dall’SLF di Davos.<br />

45


17 – 23 Febbraio 2006<br />

Il periodo è stato caratterizzato da grandi nevicate soprattutto nel Vallese, dove dal 15 al 19<br />

febbraio sono stati registrati più di 200 cm di neve fresca, mentre nel nord centro Grigioni<br />

“solamente” 30-60 cm.<br />

Il 19 febbraio è stato caratterizzato da venti di fohn diretti verso sud – ovest, diventati poi<br />

tempestosi in quota fino a 190 km/h. Il vento è stato in grado di trasportare grandissime<br />

quantità di neve, dando luogo alla formazione di nuovi accumuli di neve soffiata.<br />

Fig. 3.17: Venti di<br />

Fohn nella regione del<br />

Diablerets, VD. Ben<br />

evidente è il trasporto<br />

di neve.<br />

Nei giorni 19 e 20 febbraio una breve situazione di sbarramento meteorologico ha determinato<br />

una grande quantità di neve fresca soprattutto nei settori meridionali della Svizzera. Nella<br />

regione di Davos questa perturbazione ha apportato fino a 30 cm di neve fresca.<br />

Le grandi quantità di neve fresca caduta e di neve ventata si sono legate in modo piuttosto<br />

debole al manto nevoso sottostante. Più in particolare nelle regioni situate lungo la cresta<br />

principale delle Alpi e nei Grigioni la neve fresca si è deposta al disopra di un manto nevoso<br />

estremamente debole e poco consolidato. Questa situazione ha determinato un'attività<br />

valanghiva piuttosto importante in tutto il periodo.<br />

A causa di un generale sollevamento delle temperature le valanghe sono state<br />

prevalentemente di neve umida, mentre le valanghe a lastroni sono state più rare in questo<br />

periodo.<br />

46


24 Febbraio – 2 Marzo 2006<br />

L’importante attività valanghiva precedentemente descritta ha determinato numerosi<br />

coinvolgimenti di persone. In particolare sono stati registrati, nell’arco di una sola settimana<br />

(18-25 febbraio), 7 valanghe con perdite materiali o economiche, 30 valanghe con danni a<br />

persone, 40 persone coinvolte di cui 16 persone interamente sepolte, 14 parzialmente e 10 non<br />

sepolte, 10 persone ferite e 9 morti.<br />

Le valanghe si sono generate a partire da un manto nevoso estremamente instabile.<br />

Dal 27 febbraio al 2 marzo ha nevicato prevalentemente nelle aree centrali della Svizzera,<br />

mentre nell’area di Davos sono stati registrati solamente una decina di cm di neve.<br />

3 – 9 Marzo 2006<br />

Fig. 3.18: Bollettino nivometeo<br />

del nord dei Grigioni del 9<br />

marzo 200<strong>6.</strong> L’area di Davos<br />

era caratterizzata da un<br />

pericolo valanghivo pari a 3.<br />

Anche questo periodo è stato caratterizzato da una situazione di bassa pressione che ha<br />

portato grandi quantità di neve. In particolare si sono avuti fino a 150 – 200 cm nell’area di<br />

Sion e 60 – 100 cm di neve nell’area di Davos. La bassa pressione ha anche determinato un<br />

ulteriore raffreddamento della temperatura dell’aria con abbassamento del limite delle<br />

nevicate a 1200 m. Durante questo periodo di forti nevicate il vento è stato da moderato a<br />

forte, determinando un elevato trasporto della neve fresca. Di conseguenza nei Grigioni<br />

permaneva una situazione caratterizzata da un manto nevoso vecchio con una cattiva<br />

connessione con la neve fresca sovrastante. Le valanghe di questo periodo si sono distaccate<br />

all’interfaccia tra i due mezzi descritti.<br />

47


Fig. 3.19: Diagramma<br />

rappresentante tutti gli<br />

eventi valanghivi<br />

spontanei avvenuti il 9<br />

marzo 200<strong>6.</strong> Come si<br />

vede dall’immagine le<br />

valanghe sono state in<br />

prevalenza umide (in<br />

rosso e giallo)<br />

10 – 16 Marzo 2006<br />

Dopo una giornata dall’attività valanghiva eccezionale (il 9 marzo) la situazione si è<br />

nettamente assestata, anche se anche il 10 marzo ci sono stati ancora dei distacchi spontanei.<br />

Nella notte del 10 marzo una nuova situazione di sbarramento meteorologico ha determinato<br />

nuove nevicate sull’arco alpino. Le temperature a 2000 m sono ulteriormente diminuite fino a<br />

– 7°C. La perturbazione ha apportato altri 10-25 cm di neve nel nord centro Grigioni.<br />

Sotto l’effetto del raffreddamento, la neve umida presente al suolo si è stabilizzata e il<br />

pericolo valanghe relativo alle valanghe di neve umida è andato ancora a diminuire nei giorni<br />

11-12 marzo. Il pericolo valanghe relativo alle valanghe di neve asciutta si è comunque<br />

mantenuto a causa dei nuovi apporti di neve fresca.<br />

Fig. 3.20: La valanga della<br />

Val Dischma del 10/3/0<strong>6.</strong><br />

La valanga è stata<br />

provocata da alcuni<br />

sciatori ed è stata la più<br />

grande caduta nell’area di<br />

Davos nella stagione<br />

invernale in esame.<br />

48


Nei Grigioni la parte debole del manto nevoso al suolo si trovava all’interno del manto stesso,<br />

in particolare nella parte più vecchia di esso. In questa regione le valanghe sono state<br />

prevalentemente di fondo.<br />

L’innevamento di metà marzo 2006 è stato superiore ai valori medi su una gran parte del<br />

territorio. Gli spessori della neve sono stati inferiori alla media solamente sulle Alpi bernesi e<br />

in alcune regioni del centro dei Grigioni.<br />

17 – 23 Marzo 2006<br />

Dal 17 a 23 marzo il tempo si è mantenuto piuttosto soleggiato e caldo determinando il primo<br />

periodo della stagione caratterizzato da valanghe di neve umida. In questo periodo il vento si<br />

è mantenuto moderato e non ha dato luogo a grandi trasporti di neve.<br />

A partire dal 16 marzo le temperature sono aumentate progressivamente fino a valori di circa<br />

0°C a 2000 m. Questo aumento lento e progressivo della temperatura è stato piuttosto positivo<br />

per il manto nevoso. Tra venerdì 17 e domenica 19 ci sono state ancora segnalazioni di<br />

valanghe di neve asciutta che sono state generalmente distaccate da persone su pendii esposti<br />

a nord. Nonostante ciò il numero di valanghe di neve asciutta ha cominciato a diminuire<br />

progressivamente. Ciò è dovuto alla progressiva consolidazione e all’alternanza di giornate<br />

soleggiate e notti fredde che hanno avuto l’effetto di diminuire le tensioni all’interno del<br />

manto nevoso.<br />

A partire dal 18 marzo sono state segnalate le prime valanghe di neve umida soprattutto sui<br />

pendii esposti a sud e quindi maggiormente soleggiati durante la giornata.<br />

L’azione del sole è estremamente importante perché il calore, penetrando all’interno del<br />

manto nevoso, finisce per alternarne i legami, dando così origine a colate spontanee.<br />

L’aumento del pericolo relativo alle valanghe di neve umida è stato segnalato anche dai<br />

bollettini emessi giornalmente. In essi infatti è possibile osservare una indicazione di pericolo<br />

relativo alle valanghe di neve asciutta per le ore del mattino e una indicazione di pericolo per<br />

le valanghe di neve umida per le ore pomeridiane.<br />

24 – 30 Marzo 2006<br />

A fine mese la predominanza di aria polare è stata rimpiazzata da una corrente atlantica dalle<br />

temperature decisamente più dolci, che ha portato l’isoterma 0°C fino a 3200 m di quota. La<br />

situazione meteorologica è stata caratterizzata principalmente dalla variabilità con<br />

predominanze di velature nuvolose soprattutto sul versante nord delle Alpi. Al contrario le<br />

regioni intra alpine e il versante sud delle Alpi sono state caratterizzate da un tempo più<br />

49


soleggiato. Tra il 24 e il 26 del mese ci sono state anche delle piccole precipitazioni nevose,<br />

ma soprattutto nella parte più occidentale della Svizzera.<br />

Il manto nevoso più vecchio risultava umido fino ai 2000 m di quota nei pendii esposti a nord<br />

mentre fino ai 2800 m di quota nei pendii esposti a sud.. La maggior parte delle valanghe di<br />

questo periodo si sono distaccate su pendii ripidi con esposizioni comprese da est a ovest,<br />

passando per il sud, al di sopra dei 2400 m di altitudine. Sono state in ogni caso osservati dei<br />

distacchi anche al di sopra di pendii esposti a nord: addirittura al di sopra dei 3000 m si sono<br />

potute ancora osservare delle valanghe di neve asciutta.<br />

Fig. 3.21: Distacco di valanga di neve<br />

umida alle 16:00 del pomeriggio. Val<br />

Ferret (VS). Sotto l’influenza dei venti<br />

di fohn le temperature si sono alzate di<br />

14 gradi a 1600 m di altitudine.<br />

Questa valanga in particolare si è<br />

distaccata a 2200 m di quota su un<br />

pendio esposto a sud-est. Nella foto è<br />

ben visibile la tipica colata<br />

caratteristica delle valanghe di neve<br />

umida.<br />

Martedì 28 marzo un fronte freddo ha attraversato la Svizzera portando una quantità<br />

importante di neve soprattutto nelle Alpi Svizzere mentre nei Grigioni solamente 5 – 15 cm.<br />

Sotto l’influenza dell’aria fredda, le temperature sono diminuite determinando<br />

conseguentemente una diminuzione anche delle valanghe di neve umida, portando invece un<br />

aumento del pericolo di valanghe di neve asciutta.<br />

50


31 Marzo – 6 Aprile 2006<br />

Nel weekend del 1-2 aprile il tempo si è mantenuto generalmente soleggiato su tutta la<br />

regione, il manto nevoso è stato caratterizzato da una crosta con buona portanza formatasi<br />

durante la notte.<br />

A partire dal 3 aprile il tempo ha cominciato a peggiorare fino a portare, nei giorni 4 e 6,<br />

ulteriori precipitazioni. Sono, infatti, caduti fino a 30 – 50 cm nelle regioni più a ovest mente<br />

“solo” 10 – 20 cm nei Grigioni. Queste nuove nevicate hanno determinato un forte aumento<br />

del pericolo valanghe a causa della pessima connessione creatasi tra la neve al suolo umida e<br />

le nuove precipitazioni.<br />

7 – 13 Aprile 2006<br />

I giorni 7 e 8 aprile sono stati caratterizzati da una situazione d'alta pressione, le temperature a<br />

metà giornata si sono mantenute attorno allo zero e il vento proveniente da ovest è rimasto<br />

moderato. La neve fresca del periodo precedente si è generalmente ben amalgamata con il<br />

manto nevoso antico presente al suolo. Alle altitudini relativamente elevate, la superficie del<br />

manto nevoso più vecchio è stata ancora ricoperta da neve fresca polverosa.<br />

Il 9 e 10 aprile tutta la Svizzera è stata interessata da nuove precipitazioni, ma questa volta a<br />

carattere piovoso, il limite delle nevicate infatti è salito in questi due giorni ai 2000 m di<br />

quota. Il manto nevoso è stato molto inumidito dalla pioggia, determinando un aumento<br />

notevole delle valanghe di neve umida .<br />

Dall’ 11 al 13 aprile un nuovo raffreddamento delle temperature ha portato ancora la neve alle<br />

basse quote, in particolare fino a 25 cm nella zona di Davos. Di conseguenza il pericolo<br />

valanghivo si è assestato sul grado marcato fino al 13 aprile. Il pericolo principale proveniva<br />

dalla neve fresca ventata.<br />

51


4. RACCOLTA <strong>DEI</strong> <strong>DATI</strong> DI TERRENO<br />

La raccolta dei dati di terreno è stata effettuata nella stagione invernale 2005/2006, più<br />

precisamente tra la metà di gennaio e la metà di aprile 200<strong>6.</strong><br />

I dati sono stati raccolti considerando sia i semplici parametri geometrici delle valanghe sia i<br />

risultati di analisi approfondite effettuate prevalentemente all’interno dei depositi, ma anche<br />

lungo la zona di scorrimento e in alcuni casi nella zona di distacco.<br />

I dati sono stati raccolti soprattutto nell’area di Parsenn posta all’interno del comprensorio<br />

sciistico di Davos Klosters. Sono stati analizzati anche alcuni eventi valanghivi che hanno<br />

interessato le valli in prossimità di Davos, in particolare la Val Dischma e la Val Sertig.<br />

( carta in Allegato)<br />

Il lavoro di campo è stato giornaliero e continuativo, con l’eccezione dei periodi caratterizzati<br />

da precipitazioni nevose o da elevato rischio valanghivo. La questione sicurezza è sempre<br />

stata messa al primo posto dal gruppo di lavoro: ogni giorno, infatti, veniva effettuata una<br />

valutazione preliminare della stabilità del sito nell’area circostante la valanga che si voleva<br />

analizzare e una successiva valutazione della possibilità di operare in sicurezza nell’area<br />

(scelta di punti di osservazione sicuri, scelta preliminare delle migliori zone dove eseguire<br />

trincee di neve ed analisi di dettaglio, valutazione dei percorsi migliori di ingresso/uscita<br />

nella/dalla valanga).<br />

Nel comprensorio di Parsenn le aree soggette a valanghe, che generalmente si trovavano in<br />

prossimità delle piste battute del comprensorio, sono state facilmente raggiunte con gli sci. Le<br />

valanghe analizzate al di fuori del comprensorio sono state invece raggiunte con l’aiuto di sci<br />

d’alpinismo, racchette da neve e sci da fondo o, nei casi più fortunati, direttamente a piedi o in<br />

macchina, quando il deposito valanghivo si trovava in prossimità di una strada carrozzabile.<br />

Bisogna sottolineare che per la maggior parte di queste valanghe è stato fondamentale lo<br />

scambio di informazioni con l’ufficio valanghe dell’ Istituto Federale per lo Studio della Neve<br />

e delle Valanghe di Davos, che ci avvertiva in caso di eventi interessanti.<br />

52


4.1 CARTOGRAFIA UTILIZZATA<br />

La base cartografica usata è composta dai fogli 1:25.000 ufficiali dell’Ufficio Federale di<br />

Topografia (Swisstopo), in particolare dai fogli n°1197 Davos, n°1177 Serneus e n°1217<br />

Scalettapass.<br />

Per il rilevamento sul terreno le carte di riferimento sono state le stesse topografie stampate in<br />

bianco e nero in scala 1:10.000.<br />

Le carte sono state utilizzate anche in format TIFF come base topografica del database creato<br />

in ambiente GIS.<br />

4.2 METODO DI LAVORO E STRUMENTAZIONE<br />

Il lavoro di campo è stato suddiviso in due fasi.<br />

Dopo il passaggio di una perturbazione a carattere nevoso veniva effettuato un primo<br />

monitoraggio di tutto il comprensorio sciistico di Parsenn, questo era possibile percorrendo in<br />

sicurezza tutte le piste del comprensorio.<br />

Come primo passo veniva raccolto del materiale fotografico da punti di osservazione<br />

panoramici per l’individuazione degli aspetti topografici principali dei vari eventi (geometria<br />

del coronamento, tipologia del distacco, caratteristiche della zona di scorrimento e arresto,<br />

salti morfologici, curvature) e per determinare i siti più adatti per analisi successive.<br />

Le valanghe così individuate venivano poi registrate direttamente sul posto su di una base<br />

cartografica in scala 1:10.000. Dove le condizioni lo rendevano possibile le aree soggette<br />

all’evento venivano perimetrate con l’utilizzo di un dispositivo GPS in modo da ottenere dati<br />

più precisi. In particolare, l’attenzione è stata posta soprattutto sul rilevamento delle massime<br />

espansioni frontali delle valanghe e ai coronamenti delle stesse.<br />

Purtroppo date le difficili condizioni operative questo tipo di raccolta è stato spesso parziale.<br />

I principali problemi riscontrati erano imputabili a:<br />

- posizione topografica (quota, esposizione, lontananza dagli impianti, area difficilmente<br />

accessibile)<br />

- caratteristiche geomorfologiche del sito (dislivello, canalizzazione o pendio aperto, bruschi<br />

salti morfologici)<br />

- condizioni climatico-ambientali (temperatura, precipitazioni, vento)<br />

- condizioni del manto nevoso (stabilità del manto nevoso, innevamento, possibili distacchi<br />

spontanei nelle zone limitrofe)<br />

53


Pertanto, alla luce di questo tipo di problematiche logistico-operative, in molti casi non è stato<br />

possibile svolgere una perimetrazione totale della valanga ma si è dovuto limitare la raccolta<br />

di punti alle sole zone di arresto e scorrimento. Particolarmente difficile nonché pericoloso<br />

sarebbe stato, infatti, raggiungere le aree di distacco nella maggioranza dei casi studiati. Per<br />

queste ultime si è dovuto optare per una quantificazione dei parametri di interesse attraverso<br />

l’osservazione visiva a distanza e un analisi dettagliata del materiale fotografico.<br />

Lo strumento utilizzato, per la raccolta delle coordinate GPS, è stato un Garmin E-Trek Vista<br />

C, che ha permesso un campionamento di dettaglio con range di campionamento di un punto<br />

ogni 5 secondi.<br />

Nelle zone di arresto delle valanghe in molti casi è stato possibile quindi ripercorrere il bordo<br />

del deposito e, ove ciò fosse presente e distinguibile, delimitare la zona di massima<br />

espansione, corrispondente al livello fluidizzato e la porzione più densa, posta in posizione<br />

arretrata (fig. 4.1).<br />

100 m<br />

Fig. 4.1: Nell’immagine sono<br />

indicati con il tratteggio rosso<br />

il bordo del deposito denso<br />

mentre con il tratteggio<br />

arancione quello del deposito<br />

fluidizzato. Entrambi i limiti<br />

sono stati campionati tramite<br />

un dispositivo GPS.<br />

Per quanto riguarda le zone di scorrimento invece, trattandosi di pendii aperti (nella maggior<br />

parte dei casi) o di canali con pendenze elevate e difficilmente accessibili, si è cercato di<br />

seguire con lo strumento la direttrice di scorrimento principale, evidenziandone i bruschi<br />

cambi di pendenza o le sinuosità del tracciato.<br />

54


Fig. 4.2: Nella foto il tentativo di<br />

raggiungimento a piedi della zona di<br />

distacco della valanga del Ruchitobel.<br />

Come si può vedere dalla foto le<br />

condizioni in zona di distacco sono<br />

state quasi sempre difficoltose se non<br />

addirittura pericolose (in particolare<br />

lungo il tracciato era presente uno<br />

strato ghiacciato che rendeva<br />

difficoltosa la progressione)<br />

La zona di distacco invece è risultata sempre difficilmente raggiungibile sia lungo la traccia<br />

dello scorrimento che seguendo percorsi alternativi al di fuori della zona valanghiva. In un<br />

solo caso (Drusatscha) si è potuto raccogliere preziose misure in maniera diretta lungo tutto il<br />

coronamento: altezza al distacco lungo tutta la frattura, analisi nivostratigrafica del manto<br />

nevoso indisturbato, informazioni riguardo alla superficie di scorrimento, documentazione<br />

fotografica dettagliata)<br />

Dato che l’inverno 2005/2006 è stato molto più valanghivo della media non è stato possibile<br />

analizzare approfonditamente tutti gli eventi: ad esempio a causa delle intense precipitazioni<br />

nevose di metà dicembre 2005 o di metà gennaio 2006 nel solo comprensorio di Parsenn<br />

erano chiaramente visibili almeno una trentina di valanghe, sia di piccolissime dimensioni<br />

(circa 1000 m 2 ) che di dimensioni più significative (fino 23 ha). Inoltre in molti casi i depositi<br />

venivano rapidamente obliterati o da ulteriori precipitazioni nevose, anche di limitata entità, o<br />

dalla neve trasportata dal vento.<br />

Di conseguenza è stata presa la decisione di analizzare più approfonditamente solo un<br />

campione di eventi scelti sia in base alla posizione (sicurezza, raggiungibilità…) sia in base<br />

alle loro caratteristiche rispondenti agli obiettivi prefissati del lavoro.<br />

Uno dei principali obiettivi del lavoro di terreno è stato quello di analizzare da vicino eventi<br />

con presenza di strato fluidizzato e evidenze di ripresa di neve, argomenti come già detto<br />

recentemente messi in evidenza da analisi in siti sperimentali; valanghe con queste<br />

caratteristiche rappresentavano ovviamente una prima scelta.<br />

Bisogna comunque puntualizzare che tutte queste analisi di dettaglio sono state effettuate sia<br />

avendo degli obiettivi precisi sui dati da raccogliere, ma anche lasciando a noi stessi tempo e<br />

libertà per ulteriori osservazioni cosa che ci ha portato a scoprire elementi interessanti dei<br />

55


depositi strettamente connessi con la dinamica valanghiva, elementi che saranno illustrati nei<br />

report corrispondenti alle valanghe di maggiore importanza.<br />

Fig. 4.3: Nella fotografia a sinistra è chiaramente visibile l’area di distacco della valanga evidenziata<br />

in rosso e la zona di deposito all’interno della quale è stata eseguita la trincea in primo piano. Sulla<br />

parete della trincea si può notare il tentativo di localizzazione delle palle di neve che fanno parte del<br />

deposito valanghivo. Nella foto a destra il lavoro di individuazione delle palle di neve del deposito<br />

valanghivo.<br />

Una volta scelta la valanga da studiare venivano individuati i punti esatti dove realizzare le<br />

trincee, anche con l’aiuto di una sonda da valanga lunga 240 cm per mezzo della quale si<br />

poteva analizzare l’area cercando di evitare zone caratterizzate da buche o canali.<br />

Le trincee, all’inizio dell’inverno, venivano scavate fino ad incontrare il substrato erboso<br />

sottostante mentre con l’aumento del manto nevoso (anche fino a 5 m in alcuni punti soggetti<br />

a notevole deposito da vento) fino ad arrivare alla base del deposito.<br />

La posizione e il numero delle trincee è dipesa principalmente dalle condizioni intrinseche del<br />

sito ossia valutando aspetti quali la sicurezza operativa e la facilità di accesso. Date queste<br />

premesse, le trincee sono state posizionate in modo tale da poter descrivere in maniera<br />

esaustiva tutte le caratteristiche peculiari dell’evento valanghivo in questione.<br />

Effettuato lo scavo, con l’aiuto di pale metalliche da ricerca in valanga, veniva scelta la parete<br />

della trincea, generalmente quella rivolta a monte, dove sarebbe stata effettuata l’analisi più<br />

approfondita. La parete veniva prima di tutto ripulita e resa omogenea, in secondo luogo<br />

veniva effettuata una caratterizzazione speditiva del deposito, costituito da palle di neve<br />

56


compattate di varie dimensioni, finalizzata all’individuazione della discontinuità valanga -<br />

manto nevoso indisturbato e dei vari spessori in corrispondenza delle suddette transizioni.<br />

Successivamente per quantificare la ripresa della valanga durante il suo scorrimento veniva<br />

effettuata una stratigrafia del manto nevoso indisturbato.<br />

Purtroppo l’analisi dei depositi non è sempre stata semplice: eccessiva acqua all’interno del<br />

deposito o carichi successivi potevano obliterarne molte caratteristiche. Per questo motivo<br />

nello studio nivostratigrafico all’interno delle trincee nella zona di deposito e nel manto<br />

nevoso indisturbato, ci siamo avvalsi dell’impiego di una particolare soluzione di inchiostro e<br />

alcool. Per mezzo di questa tecnica il riconoscimento e la descrizione della stratigrafia del<br />

manto nevoso, e quindi il limite con il deposito valanghivo sono state ampiamente facilitati.<br />

La soluzione utilizzata è costituita da alcool etilico e inchiostro per scrittura. Questa soluzione<br />

veniva vaporizzata sulle pareti della trincea, rese perfettamente lisce, attraverso un comune<br />

spruzzatore da giardino a pompa. L’inchiostro veniva applicato in modo omogeneo sulla<br />

parete dello scavo, impregnando la superficie e penetrandovi in maniera diversa in funzione<br />

della durezza degli strati (parametro funzione della porosità).<br />

Per quanto riguardo invece la presenza dell’alcool, la sua funzione è quella di impedire alla<br />

soluzione e quindi alle particelle vaporizzate di congelare rendendo difficile la penetrazione<br />

nei pori.<br />

Fig. 4.4: Nell’immagine a sinistra è visibile il metodo di applicazione dell’inchiostro blu utile per evidenziare<br />

le strutture del manto nevoso. A destra è ben visibile il risultato dell’applicazione dell’inchiostro. La struttura<br />

ordinata del manto nevoso originario è ben visibile al di sotto della linea rossa mentre al di sopra si può<br />

notare la parte terminale del deposito valanghivo più caotica della parte precedente.<br />

57


Una volta applicata la soluzione è necessario aspettare qualche minuto, in modo tale da<br />

permettere un completo assorbimento e distribuzione della soluzione e rendere più chiara la<br />

“lettura” della stratificazione.<br />

Talvolta le situazioni di freddo intenso in cui si è stati costretti ad operare hanno reso<br />

necessario scaldare per mezzo di un bruciatore la parete in seguito all’applicazione<br />

dell’inchiostro, in modo da facilitare l’assorbimento e ridurre i tempi di attesa.<br />

E’ bene ricordare che in presenza di superfici compatte la miscela di inchiostro penetra con<br />

maggiore difficoltà rispetto a una situazione di manto nevoso indisturbato in cui la porosità è<br />

maggiore. Per questo motivo si può capire facilmente come in presenza di un deposito di<br />

valanga (costituito da neve rimaneggiata spesso in forma di palle e blocchi compatti)<br />

l’assorbimento sarà minore. In questi casi, l’utilizzo dell’inchiostro ha permesso talvolta di<br />

evidenziare i limiti tra i vari blocchi formatisi durante la valanga.<br />

E’ stato inoltre osservato un assorbimento omogeneo in tutte le porzioni basali del manto<br />

nevoso, anche in presenza di brina di fondo.<br />

Completata l’analisi di dettaglio della trincea venivano attentamente raccolti i valori di densità<br />

del manto nevoso corrispondenti sia alle varie parti del deposito (neve indisturbata, palle di<br />

neve) che corrispondenti ai vari livelli individuati durante l’analisi stratigrafica del manto<br />

indisturbato. I valori di densità risultano estremamente importanti perché permettono sia di<br />

capire l’intensità e le caratteristiche intrinseche dell’evento che eventualmente di effettuare<br />

dei bilanci di massa del materiale mobilitato.<br />

Generalmente la densità della neve, relativa al contenuto d’acqua, è definita come il rapporto<br />

fra il volume dell’acqua di fusione che deriva da un campione di neve e il volume originale<br />

del campione. Per la neve alpina questo valore può variare da 0,03 (neve fresca estremamente<br />

leggera) fino a 0,55 (neve bagnata da fusione). Durante l’eventuale trasformazione in<br />

ghiaccio, la densità relativa cresce fino a un valore massimo di 0,91 per il ghiaccio.<br />

L’unità di misura convenzionalmente utilizzata per la densità della neve è il kg/m 3 . Una<br />

densità relativa di 0,03 dunque corrisponde a 30 kg/m 3 , ecc.<br />

La densità della neve influisce sulle proprietà meccaniche della neve e determina la modalità<br />

di distacco delle valanghe (a debole coesione o a lastroni)<br />

58


Fig. 4.5: Metodo di misura della densità<br />

mediante carotaggio. In particolare<br />

nell’immagine è visibile la fase della pesatura,<br />

mediante dinamometro a molla, del campione di<br />

neve prelevato.<br />

I metodi per la misura della densità possono essere automatici o manuali. Questi ultimi si<br />

basano essenzialmente sulla raccolta di campioni di dimensioni note (carotaggio) che vengono<br />

successivamente pesati (fig. 4.5).<br />

Poiché nelle nostre analisi era necessario cogliere le differenze fra i vari strati che<br />

compongono il manto nevoso è stato impiegato il carotaggio orizzontale.<br />

Il carotaggio orizzontale permette di calcolare la densità della neve ad un certo livello lungo<br />

un profilo verticale consentendo, con una serie di misure, di definire un andamento delle<br />

densità lungo il profilo stesso.<br />

Generalmente le misure vengono eseguite per strato, supponendo che esso sia omogeneo (ciò<br />

per quanto riguarda i profili eseguiti nel manto nevoso indisturbato). Le misure talvolta sono<br />

state eseguite ad intervalli costanti (es: 10 cm) all’interno dei depositi valanghivi al fine di<br />

ottenere un andamento più preciso delle densità degli stessi.<br />

Procedura:<br />

- dopo aver liberato un profilo verticale di neve di dimensioni adeguate, un carotiere<br />

metallico di forma cilindrica e di volume noto (nel nostro caso 0,5 dm 3 ) viene inserito<br />

orizzontalmente nella neve con leggero movimento rotatorio;<br />

- aiutandosi con una tavoletta cristallografica si libera il carotiere dal manto nevoso<br />

circostante assicurandosi che sia completamente riempito di neve;<br />

- il carotiere viene inserito in un supporto che permette la sospensione al di sotto di un<br />

dinamometro a molla da 500g.<br />

59


La densità della neve è data dal seguente rapporto:<br />

m<br />

ρ =<br />

v<br />

dove:<br />

ρ: densità della neve in kg/m 3<br />

m: massa del campione in kg<br />

υ: volume del carotiere in m 3<br />

60


4.3 MONITORAGGI GIORNALIERI<br />

I monitoraggi giornalieri sono stati effettuati con moderata regolarità in tutto il periodo di<br />

raccolta dati. Durante tutta la stagione invernale sono state perimetrate 56 valanghe mentre di<br />

altre 11 è stata registrata solo la posizione del coronamento per via di difficoltà logistiche nel<br />

raggiungere la zona di deposito.<br />

A partire dai dati e dalle osservazioni di questi monitoraggi sono stati redatti due report<br />

corrispondenti a due dei maggiori periodi valanghivi della stagione invernale. In particolare<br />

questi report riguardano il periodo valanghivo successivo alla perturbazione della metà di<br />

dicembre 2005 e della metà di gennaio 200<strong>6.</strong><br />

Per la posizione delle valanghe si rimanda alla carta in allegato.<br />

61


4.3.1 Monitoraggio del 19 Dicembre 2005<br />

Situazione meteorologica generale<br />

Le prime nevicate della stagione invernale 2005-2006 si sono verificate nell’area di Parsenn<br />

nel mese di novembre e sono state seguite da un lungo periodo freddo e senza precipitazioni<br />

caratterizzato da notti rigide e limpide. Di conseguenza dalla metà di novembre alla metà di<br />

dicembre c’è stata la formazione, all’interno dei 30-50 cm di neve caduti, di brina di<br />

profondità in tutta la zona. Tra il 17 e il 18 dicembre una nuova nevicata ha coperto questo<br />

substrato piuttosto instabile con un metro di neve fresca; le temperature sono rimaste<br />

significativamente sotto gli 0°C sia durante che successivamente la nevicata, caratterizzata<br />

peraltro da venti tempestosi. Inoltre la neve depositata su molti pendii sopravento (esposti a N<br />

e a W) è stata erosa mentre i pendii sottovento sono stati estremamente caricati di neve.<br />

Il servizio di sicurezza del comprensorio sciistico di Parsenn è stato quindi costretto, nelle<br />

mattine del 18 e 19 dicembre, a rilasciare artificialmente un notevole numero di pendii posti al<br />

di sopra delle piste da sci. Un gran numero di questi distacchi hanno avuto successo<br />

interessando la maggior parte delle possibili aree di distacco.<br />

A causa dell’elevato pericolo valanghe (pari a 4 su una scala di 5) è stato possibile effettuare<br />

solamente un veloce monitoraggio dell’area dalle piste da sci aperte e messe in sicurezza.<br />

Nonostante ciò, dal 12 al 17 gennaio 2006, è stato possibile analizzare ulteriormente l’area,<br />

ma l’elevato trasporto di neve ventata, la nevicate di 10-20 cm nei primi giorni di gennaio e<br />

l’azione degli sciatori fuori pista hanno reso decisamente difficoltosa l’analisi.<br />

Dorfbachtobel<br />

100 m<br />

Fig. 4.6: La valanga del<br />

Chleinshiahorn. In rosso<br />

sono indicati i coronamenti<br />

delle tre aree di distacco.<br />

Scala 1:5000<br />

62


Nell’area del Dorfbachtobel una valanga di dimensioni significative (fig. 4.6) si è distaccata<br />

dal pendio posto al di sotto dell’argine di contenimento che protegge Davos dalla valanga<br />

dello Schafläger. La valanga (# 13) era abbastanza ampia e a partire dalle fotografie è stato<br />

possibile evidenziare che l’area di distacco era composta da tre zone distinte (ampie<br />

rispettivamente 92, 25 e 20 m). La valanga è scesa a valle in due bracci separati che hanno<br />

entrambi attraversato sia la pista da sci che il torrente Dorfbach. Il braccio sinistro ha poi<br />

continuato la sua corsa anche al di sotto della pista da sci fino a confluire all’interno del<br />

canale sottostante. I margini di questa parte della valanga non erano molto ben definiti: questo<br />

potrebbe stare ad indicare la presenza di una parte fluidizzata, peraltro testimoniata anche<br />

dalla neve compattata rinvenuta sovraflusso al tronco di alcuni alberi fino ad 1-2 m di altezza,<br />

nella parte finale del percorso.<br />

Dorftälli<br />

Fig. 4.7: In figura è stato evidenziato il<br />

coronamento della valanga che ha<br />

interessato il versante SE della zona del<br />

Dorftälli.<br />

Sulla sinistra idrografica (fig. 4.7) è stato registrato un distacco piuttosto ampio lungo il cui<br />

tracciato erano ben evidenti grandi pezzi del lastrone originario. Purtroppo non è stato<br />

possibile determinare il punto di arresto della valanga visto che la parte finale del deposito era<br />

nascosta alla vista da una piccola morena. La linea di frattura di questa valanga (# 8) era<br />

molto netta e posta circa 30 m al di sotto della cresta (quota 2500 m slm) a indicare una<br />

particolare curvatura del terreno che probabilmente ha determinato la formazione della linea<br />

di debolezza.<br />

63


Sulla destra idrografica sono stati osservati cinque diversi distacchi. Nonostante questi<br />

sembrino originati sotto condizioni topografiche e nivologiche piuttosto simili in realtà<br />

mostrano uno spettro piuttosto ampio di caratteristiche.<br />

Il distacco (# 6) avvenuto in corrispondenza del sito caratterizzato da un vecchio tripode<br />

utilizzato in passato per alcune misure di pressione ha avuto probabilmente un’altezza al<br />

distacco di circa 1 m, altezza dovuta all’azione dello snowdrift piuttosto attivo lungo la cresta<br />

in oggetto. Anche il sito posto immediatamente a monte ha rilasciato una valanga con<br />

caratteristiche piuttosto simili ma con massa decisamente minore. Osservando dalla pista di<br />

sci adiacente è stato possibile notare che il deposito scarseggiava di blocchi di grande<br />

dimensione ma era invece piuttosto omogeneo, non troppo profondo, con margini netti e<br />

senza indicazione di una parte fluidizzata.<br />

100 m<br />

Fig. 4.8: Nell’immagine è ben visibile il<br />

deposito del distacco che ha interessato il<br />

versante W della zona del Dorftälli<br />

Fig. 4.9: Nell’immagine è<br />

indicata dalla freccia blu<br />

la valanga caduta<br />

nell’area del Dorftalli e<br />

caratterizzata da un<br />

tracciato con una curva<br />

di 45° circa.<br />

64


Più a valle ma sempre sullo stesso versante è stata registrata un’altra valanga (fig. 4.9). Il<br />

distacco (# 11) è avvenuto in corrispondenza di un sito caratterizzato da una zona di distacco<br />

piuttosto lunga e regolare. Nella parte alta il tracciato è chiaramente canalizzato e<br />

caratterizzato da una netta curva di circa 45°. In molti punti lungo tutto il tracciato erano<br />

inoltre chiaramente visibili altri distacchi secondari. Nella zona di deposito la valanga si è<br />

ampliata di un fattore stimabile pari a 3, probabilmente a causa della forma del conoide<br />

detritico che costituisce la zona di arresto.<br />

Weissfluh<br />

Fig. 4.10: Nella figura è stata evidenziata la<br />

nicchia di distacco che ha interessato la zona<br />

del Weissflu.<br />

Anche il versante sud del Weissfluh, in prossimità della stazione sommitale della funivia, è<br />

stato interessato da un piccolo distacco (#10, fig. 4.10) tra l’altro ancora ben visibile<br />

nonostante fosse stato coperto da neve fresca e da neve ventata. Al di sopra della pista Derby<br />

era ben visibile un altra valanga caratterizzata da un tracciato piuttosto curvilineo a causa dei<br />

numerosi affioramenti rocciosi presenti nella zona. In questa valanga la deposizione è<br />

probabilmente iniziata subito dopo il distacco visto che, lungo tutto il tracciato, erano ben<br />

visibili grossi parti del lastrone originario.<br />

Schwarzhorn<br />

Il versante nord-ovest del Totalphorn non è stato interessato da distacchi, mentre nel versante<br />

opposto sono state registrate due valanghe (# 12-9) con dimensioni e caratteristiche diverse<br />

rilasciate a partire dalla cresta dello Schwarzhorn (fig. 4.11). Un’osservazione interessante è<br />

stata registrata in prossimità della stessa area, dove, in un ulteriore distacco dai contorni<br />

65


piuttosto ben definiti, era ben visibile la differenza tra lo spesso deposito prossimale e il più<br />

fine deposito distale.<br />

Purtroppo non è stato possibile approfondire lo studio di questa valanga, di conseguenza<br />

potrebbero essere date molteplici interpretazioni, ma tra tutte la più interessante è sicuramente<br />

quella che considera il deposito più fine la parte fluidizzata della valanga che in questo caso<br />

aveva già iniziato a formarsi dopo solo 150 m di percorso. La cosa è molto particolare visto<br />

che generalmente sono sempre state osservate fluidizzazioni formatesi dopo un certo<br />

dislivello percorso.<br />

Parsennfurgga<br />

100 m 100 m<br />

Fig. 4.11: Nelle immagini sono rappresentate le due valanghe dello Schwarzhorn. Con la linea rossa<br />

sono indicati i coronamenti, mentre con il colore blu l’area interessata dal deposito fluidizzato.<br />

Fig. 4.12: Nelle due figure sono evidenziate le nicchie di distacco delle due valanghe che hanno interessato la<br />

zona del Parsennfurgga.<br />

66


Nella zona della Parsennfurgga (fig. 4.12) sono state registrate quattro valanghe sulla sinistra<br />

idrografica tra le creste della Parsennfurgga e dello Seetälli (# 5). Questi distacchi sono stati<br />

cartografati sulla base delle foto prese sul posto, ma purtroppo non è stato possibile analizzare<br />

le valanghe più in dettaglio sempre a causa delle scarse condizioni di sicurezza. Una quinta<br />

valanga è stata registrata sulla sinistra idrografica (# 4); questa era piuttosto piccola e<br />

caratterizzata da notevoli frammenti del lastrone originario che sono stati depositati lungo<br />

tutto il percorso.<br />

Casanna<br />

Il versante sud-ovest del Grüenhorn è stato messo in sicurezza grazie a due dispositivi per il<br />

distacco artificiale installati sulla cresta. I rilasci artificiali hanno però causato solo una<br />

piccola valanga che non ha raggiunto la pista sottostante ma si è fermata a metà del versante.<br />

Purtroppo non è stato possibile testimoniare l’evento con delle fotografie a causa delle<br />

condizioni meteorologiche avverse.<br />

67


4.3.2 Monitoraggio del 20 Gennaio 2006<br />

Situazione meteorologica generale<br />

La nevicata della metà di gennaio è stata la seconda della stagione dopo quella avvenuta la<br />

metà di dicembre. Circa 30 cm di neve fresca hanno coperto il vecchio manto nevoso che era<br />

stato reso instabile dal metamorfismo costruttivo e dall’azione del sole e del vento.<br />

L’interfaccia tra le due nevicate era quindi estremamente debole e rendeva i pendii molto<br />

pericolosi, ciò ha quindi determinato una intensa attività valanghiva in particolare nei giorni<br />

19 e 20 gennaio. Le valanghe registrate sono state sia distacchi spontanei che distacchi<br />

artificiali al fine di mettere in sicurezza le piste del comprensorio di Parsenn.<br />

A causa del rischio valanghe piuttosto alto (pari a 4 in una scala di cinque valori) è stato<br />

possibile effettuare solo un veloce monitoraggio dalle piste aperte e messe in sicurezza.<br />

Inoltre un’ulteriore nevicata in data 21 gennaio ha coperto tutte le valanghe cadute nei giorni<br />

precedenti, non permettendo quindi analisi più approfondite.<br />

Schwarzhorn<br />

Fig. 4.13: In figura sono state evidenziate<br />

le due nicchie di distacco delle enormi<br />

valanghe che hanno interessato lo<br />

Schwarzhorn. Per avere un’idea della<br />

dimensione dei due eventi notare uno dei<br />

piloni della funivia presenti nella parte<br />

bassa della fotografia.<br />

Lo Schwarzhorn (fig. 4.13) è stato interessato da due distacchi piuttosto grandi che hanno<br />

coinvolto l’intero versante sud coprendo un’area di 12 ettari, per una lunghezza di 900 metri<br />

(# 16-20).<br />

Il sito è caratterizzato da una topografia piuttosto irregolare ed è parzialmente canalizzato. La<br />

valanga si è poi separata in due bracci distinti che si sono ricongiunti vicino alla pista da sci<br />

che passa immediatamente al di sotto.<br />

68


Weissfluhjoch<br />

Il versante nord del Mittelgrat (fig. 4.14) è stato messo in sicurezza tramite un distacco<br />

artificiale.<br />

La valanga (# 25), che ha interessato un pendio aperto, ha parzialmente raggiunto la pista da<br />

sci sottostante coprendo un area di circa 8 ettari, con 330 m di lunghezza e 170 m di<br />

dislivello. Dalla funivia che passa sopra alla zona interessata dalla valanga è stata stimata<br />

un’altezza al distacco di circa 30 cm.<br />

Totalphorn<br />

Fig. 4.14: Nell’immagine l’ampia<br />

valanga che ha interessato la parete<br />

W del Weissflujoch. La valanga è stata<br />

rilasciata artificialmente per mezzo<br />

dei dispositivi per il distacco artificiali<br />

presenti in cresta.<br />

Fig. 4.15: Nell’immagine è<br />

visibile la zona di distacco<br />

dell’evento che ha interessato la<br />

parete nord del Totalphorn.<br />

Il versante nord del Totalphorn (fig. 4.15) è stato interessato da una piccola valanga che non<br />

ha raggiunto la pista da sci sottostante. La valanga (# 35) ha coperto un’area di circa un ettaro<br />

con 170 m di lunghezza e un dislivello di 100 m.<br />

69


Casanna<br />

La parete sud-ovest del Grüenhorn (fig 4.16) è stata interessata da tre differenti valanghe (#<br />

17-18-22) mentre la parete sud-est solo da una. Queste sono state rilasciate artificialmente per<br />

mettere in sicurezza la sottostante pista da sci. Sfortunatamente non è stato possibile rilevare<br />

l’esatto perimetro delle valanghe ma i loro coronamenti sono stati inseriti nel GIS in modo da<br />

preservare le informazioni su questi tre eventi.<br />

Gaudergrat<br />

Il versante est del Gaudergrat (fig. 4.17) è stato interessato da due valanghe di media<br />

grandezza che si sono fermate in corrispondenza del cambio di pendenza dopo aver percorso<br />

200 m e un dislivello di 130 m.<br />

Gotschnawang<br />

Per i dettagli si rimanda al paragrafo 4.4.2<br />

Fig. 4.16: Le tre valanghe che hanno<br />

interessato la parete SW del Grüenhorn. Le<br />

valanghe sono state rilasciate artificialmente<br />

per mettere in sicurezza le piste del<br />

comprensorio sciistico che passano subito al di<br />

sotto dei versanti della cima.<br />

Fig. 4.17: Nella foto le due valanghe<br />

del Gaudergrat che si sono fermate in<br />

corrispondenza del cambio di<br />

pendenza senza arrecare danni alle<br />

piste del comprensorio sciistico.<br />

70


4.4 ANALISI <strong>DEI</strong> S<strong>IN</strong>GOLI EVENTI<br />

Delle 56 valanghe registrate nel corso dell’inverno, 12 sono state analizzate in maniera<br />

approfondita. Di questi 12 eventi si hanno dati relativi alle osservazioni effettuate nelle trincee<br />

scavate. Le valanghe cadute in Val Sertig, nel Ruchitobel, nel Drusatschaberg, nella zona<br />

della Parsennfurgga e nel Gotschnawang sono state prese in particolare considerazione sia<br />

perché di notevole entità rispetto alle altre sia per i loro caratteri rilevanti. Alcune di queste<br />

valanghe infatti sono state studiate anche per più giorni data l’abbondanza di elementi<br />

interessanti. A partire dal loro studio sono stati redatti dei report contenenti tutte le particolari<br />

analisi effettuate.<br />

Per la posizione geografica dei singoli eventi si rimanda alla cartina in Allegato<br />

71


4.4.1 La Valanga del Rüchitobel (18 gennaio 2006)<br />

Fig. 4.18: Panoramica del canale del<br />

Rüchitobel dalla strada sul fondovalle<br />

della Val Dischma.<br />

Il giorno 18 Gennaio 2006 si è verificato un evento valanghivo (classificabile come valanga di<br />

neve asciutta) lungo il canale del Rüchitobel, posto trasversalmente alla Valle di Dischma.<br />

La valanga (# 14) ha interessato un’area complessiva di 10 ettari, con una lunghezza di 1167<br />

m, un dislivello di 630 m e un angolo di scorrimento approssimativo di 29°.<br />

La zona di rilascio ha avuto una larghezza variabile tra 195 e 290 m con un’altezza della neve<br />

al distacco di circa 90 cm.<br />

Il flusso si è sviluppato lungo un canale con andamento curvilineo lungo 650 m.<br />

Lungo il percorso è stato possibile osservare la presenza di un livello fluidizzato (fig. 4.29)<br />

che ha raggiunto un’altezza di 10 m sulle sponde del canale fino ad arrivare a 15 m lungo i<br />

tratti con una curvatura più pronunciata.<br />

Fig. 4.19: L’area interessata<br />

dalla valanga.. Con la linea<br />

rossa è rappresentato il<br />

coronamento, mentre è stata<br />

evidenziata con un puntinato blu<br />

la zona interessata dalla<br />

componente fluidizzata.<br />

72


T5<br />

T4<br />

T3<br />

Fig. 4.20 A sinistra, piani di<br />

frattura normali rinvenuti nel<br />

deposito. Nello schema sottostante<br />

si può osservare la zona di deposito<br />

e l’ubicazione delle relative trincee,<br />

eseguite in ordine cronologico da T1<br />

a T5 con orientazione NW-SE.<br />

Fig. 4.21-4.22: Zona di deposito: tracce del flusso in sospensione lungo il lato a monte degli alberi.<br />

T2b<br />

50 m<br />

T2a<br />

73<br />

T1


La zona di deposito è stata interessata sul lato sinistro e (in modo meno evidente) lungo la<br />

parte frontale da deposizione fluidizzata (fig. 4.21-4.22).<br />

All’interno di questa zona sono stati evidenziati due aspetti importanti: prima di tutto la<br />

presenza di alberi ha determinato la formazione di grosse palle di neve con superfici angolari,<br />

fratture allungate nella direzione di flusso, depositi a valle degli ostacoli. In secondo luogo la<br />

topografia non omogenea del substrato, è stata responsabile di una deposizione irregolare e<br />

della formazione di piani di scivolamento normali.<br />

Sono state anche notate tracce residuali di neve poste sul fianco rivolto a monte dei tronchi<br />

d’albero fino ad un’altezza di 150 cm, dovute con tutta probabilità a un flusso in sospensione<br />

(fig. 4.21-4.22).<br />

Il lavoro di terreno è stato portato a termine nell’arco di differenti giorni di sopralluoghi<br />

nonché strutturato in diverse fasi di analisi e raccolta dati.<br />

Fase 1<br />

Inizialmente il perimetro dell’area di deposito è stato registrato tramite uno strumento G.P.S.<br />

(con passo di 5 m) ponendo attenzione a discretizzare il deposito della componente densa da<br />

quello della componente fluidizzata. Successivamente, a partire dal fronte valanghivo sono<br />

state eseguite alcune trincee (una anche al di fuori dell’area di deposito) risalendo fino allo<br />

sbocco del canale sul conoide, (fig. 4.21-4.22) al fine di valutare l’entità della deposizione<br />

durante l’evento.<br />

ρ = 158 kg/m 3<br />

ρ = 179 kg/m 3<br />

ρ = 215 kg/m 3<br />

Fig. 4.23: Rispettivamente la trincea 1 e 2a nella parte frontale della valanga. Sono riportate le misure di densità<br />

eseguite nel deposito della valanga (in rosso) e nel manto nevoso indisturbato (in verde). La stratificazione<br />

originale suborizzontale è ben evidente in entrambi i casi.<br />

74


Nella prima e nella seconda trincea sono stati rinvenuti rispettivamente spessori di accumulo<br />

di 87 e 77 cm: la porzione superficiale, con profondità variabile da 15 a 25 cm, era<br />

caratterizzata da soffici palle di neve e ricopriva una porzione di manto nevoso indisturbato (è<br />

infatti visibile la stratificazione originale).<br />

Nella terza trincea (approssimativamente nella posizione intermedia della zona di deposito) è<br />

stato misurato un manto nevoso di 90 cm di spessore, di cui 67 cm costituiti da materiale<br />

depositato e rimaneggiato dalla valanga.<br />

L’individuazione di un livello sottile (10-15 cm di spessore) è stata particolarmente<br />

interessante in quanto questo strato ricopriva un manto nevoso stratificato e indisturbato ed<br />

era caratterizzato da una densità e durezza maggiori rispetto sia allo strato soprastante che<br />

sottostante.<br />

Fig. 4.24: 3° trincea: con la linea verde<br />

tratteggiata è rappresentato il contatto tra il<br />

manto indisturbato e il deposito della valanga.<br />

Con la linea rossa punteggiata è delimitato<br />

superiormente un livello compatto alla base del<br />

deposito.<br />

Questo tipo di struttura deposizionale verrà riscontrata anche in altri eventi valanghivi<br />

verificatesi al Kreuzweg e al Gotschnawang. Due le possibili spiegazioni: un manto nevoso<br />

originale con un livello indurito e compattato a seguito di precipitazioni nevose (quindi<br />

dovuto sia al peso che al metamorfismo interno della neve) oppure un livello originato<br />

durante il flusso valanghivo per dinamiche ancora poco chiare.<br />

Lungo il margine sinistro del deposito in corrispondenza di un braccio laterale della valanga è<br />

stata eseguita un’ulteriore trincea lunga 5 m, con sviluppo longitudinale rispetto alla direzione<br />

di flusso. Lungo le pareti di questo scavo sono emersi i differenti aspetti di una deposizione di<br />

tipo fluidizzato: spessori modesti (15-20 cm), palle di neve di piccole dimensioni (diametri<br />

centimetrici) e bassa densità (circa 50 kg/m 3 ) nella porzione sommitale, forme smussate e<br />

subarrotondate (fig. 4.25).<br />

75


Fig. 4.25: 4° trincea: a partire dall’interno del<br />

deposito verso le zona esterna alla valanga,<br />

intersecando il livello fluidizzato laterale.<br />

In prossimità della superficie del deposito sono state ritrovate palle di neve e blocchi di<br />

dimensioni variabili, con superfici angolari caratterizzate da elevata durezza; il diametro<br />

medio era di pochi decimetri, con alcune eccezioni costituite da grossi blocchi fino a 90 cm<br />

di diametro. Uno di questi (fig. 4.26) è stato sezionato e per mezzo della tecnica<br />

dell’inchiostro è stato possibile metterne in luce il nucleo interno racchiuso da una crosta di<br />

neve compattasi durante il moto. Questo grosso blocco con tutta probabilità è stato smussato<br />

durante un trasporto di tipo turbolento che ha poi fatto si che palle di neve circostanti di<br />

dimensioni minori si aggregassero sulla sua superficie.<br />

Fig. 4.26: Grossi blocchi di neve rinvenuti sulla<br />

superficie del deposito. Sotto sezione di un grosso<br />

blocco di neve e la successiva evidenziazione<br />

delle strutture interne per mezzo della tecnica<br />

dell’inchiostro.<br />

76


Fase 2: Distinzione tra i 2 eventi valanghivi asincroni individuati<br />

In seguito al primo sopralluogo è stato individuato un precedente evento valanghivo<br />

verificatosi nel mese di dicembre ma di dimensioni minori. Ciò ha reso pertanto necessario<br />

focalizzare le successive fasi operative nella distinzione dei due differenti depositi al fine di<br />

calcolare il più correttamente possibile i rispettivi bilanci di massa.<br />

A questo proposito si è deciso di eseguire una quinta trincea all’interno della zona di<br />

scorrimento trasversalmente al flusso, in una posizione che offrisse la certezza del passaggio<br />

di entrambe le valanghe, per poter mettere a confronto i due episodi in questione.<br />

In questo caso è stato possibile determinare uno spessore di 30 cm per il primo evento<br />

valanghivo (19 Dicembre) e un deposito di 50 cm per l’episodio successivo (19 Gennaio).<br />

La prima valanga ha rivelato alla sua sommità uno strato di 25 cm di profondità costituito da<br />

palle di neve compatte e di forma angolare, nel complesso omogeneo e senza alcuna<br />

stratificazione evidente (in alcuni casi è stato possibile isolare le singole palle di neve<br />

all’interno del deposito attraverso il passaggio ripetuto della mano lungo l’affioramento).<br />

ρ 2 = 394 kg/m 3<br />

ρ 1 =320 kg/m 3<br />

ρ 1 = 362 kg/m 3<br />

ρ = 362 kg/m 3<br />

ρ 2 = 352 kg/m 3<br />

ρ 1 = 331 kg/m 3<br />

ρ 1 = 331 kg/m 3<br />

ρ = 352 kg/m 3<br />

Fig. 4.27: 5 trincea: trasversalmente alla direzione di flusso, all’interno della zona canalizzata. Sono<br />

raffigurate le misure di densità dei depositi del primo e del secondo evento (rispettivamente indicati con gli<br />

apici 1 e 2) Le due ultime misure corrispondono al manto nevoso indisturbato.<br />

Inoltre per completezza sono state raccolte numerose misure di densità riferite ai due eventi<br />

per effettuare i rispettivi bilanci di massa (fig. 4.27).<br />

77


Fig. 4.28: In corrispondenza della 6°<br />

trincea. Con il retino giallo è evidenziata<br />

la zona di flusso fluidizzato.<br />

Nell’immagine è chiaramente visibile il<br />

contatto tra il flusso principale<br />

all’interno del canale più denso e il<br />

livello laterale fluidizzato.<br />

Fase 3: Profili longitudinali e trasversali nella zona di deposito<br />

Tramite una sonda normalmente impiegata per le operazioni di primo soccorso in caso di<br />

travolti da valanga è stato eseguito un profilo longitudinale lungo la zona di deposito.<br />

Va precisato che questo ulteriore lavoro ha permesso di calibrare le varie indagini, analisi e<br />

considerazioni eseguite fin qui lungo il percorso interessato dalla valanga.<br />

Fig. 4.29: All’interno del canale, con i retini viene messa in risalto la porzione interessata da flusso<br />

fluidizzato. Nelle due immagini vengono rispettivamente riportate uno scorcio della zona di scorrimento al<br />

di sopra della 5° trincea e in corrispondenza della stessa.<br />

A partire dalla zona frontale tutta l’area di deposito è stata sondata in direzione dello sbocco<br />

del canale sul conoide, in maniera tale da incrociare le precedenti trincee ma in ultima analisi<br />

per disporre di un controllo incrociato tra le due differenti tipologie di indagine. Il<br />

78


campionamento è stato eseguito saggiando il deposito ogni 30 m e si è basato sulla sensibilità<br />

dell’operatore di percepire le differenze di durezza dei due depositi.<br />

E’ stato poi eseguito un profilo trasversale in corrispondenza della terza trincea e in questo<br />

caso il passo di campionamento è stato di 10 m (data la larghezza minore del deposito rispetto<br />

al suo sviluppo longitudinale) e si è riusciti ad intersecare le porzioni laterali interessate da<br />

flusso fluidizzato (fig. 4.33).<br />

Fase 4: Profilo longitudinale lungo la zona di scorrimento<br />

Per meglio definire i due depositi si è deciso di risalire l’intero canale sondando ogni 10 m<br />

fino ad arrivare in corrispondenza della quinta trincea posizionata a quota 1739 m s.l.m.<br />

Fig. 4.30: 6° trincea: sono distinti i due<br />

depositi separati da uno strato più compatto.<br />

Con i retini sono indicate le palle di neve<br />

individuate e appartenenti alla prima (gialli)<br />

e seconda (viola) valanga.<br />

La raccolta delle misure di altezza del deposito è stata portata avanti per i successivi 240 m<br />

con un passo di campionatura di 15 m, fino ad arrivare a 30 m negli ultimi 300 m che<br />

raggiungevano l’inizio del canale ad una quota di 2037 m s.l.m.<br />

A questa quota è stata scavata un’ulteriore trincea in cui sono stati ritrovati nuovamente i<br />

depositi caratteristici delle due valanghe descritte, separati da uno strato compatto e resistente<br />

(probabilmente dovuto ad azione eolica).<br />

L’intera copertura nevosa era di 80 cm di profondità e, a partire dalla superficie, sono stati<br />

osservati: 5 cm di crosta da vento, uno strato spesso 25 cm costituito da grosse palle di neve<br />

(secondo deposito in ordine cronologico), 5-10 cm di strato duro al di sopra di 45 cm di<br />

deposito formato da palle di neve immerse in una matrice costituita da brina di fondo (primo<br />

deposito).<br />

Ripercorrere il canale in tutta la sua lunghezza ha così permesso di seguire e comprendere il<br />

comportamento della valanga lungo l’intero suo percorso.<br />

79


E’ stato possibile osservare come il flusso fluidizzato è stato in grado di risalire le pareti del<br />

canale e il suo comportamento in corrispondenza di curvature lungo il tracciato.<br />

E’ stato anche possibile stimare come il canale si restringesse progressivamente risalendo di<br />

quota, passando da una larghezza di 15 m a soli 3 m in corrispondenza di stretti passaggi con<br />

pareti ripide e pendenza marcata. Questo poteva determinare un aumento della velocità del<br />

flusso valanghivo, a causa del passaggio in uno spazio limitato.<br />

Fig. 4.31: Scorcio della parte superiore della zona di scorrimento. Salendo ancora (a destra) il canale si<br />

restringe ulteriormente. Con le due frecce sono evidenziate le possibili direzioni seguite dalla valanga.<br />

L’analisi della zona di scorrimento ha permesso di ottenere una miglior prospettiva<br />

nell’osservazione della zona di distacco, che è rimasta comunque difficilmente accessibile<br />

dato l’abbondante innevamento e la posizione esposta.<br />

Come ultima considerazione riguardo ai percorsi delle due valanghe si può dire che queste,<br />

probabilmente, hanno seguito direzioni differenti soprattutto per quanto riguarda la porzione<br />

superiore della zona di scorrimento per ricongiungersi in un secondo momento a quote<br />

inferiori. Questa considerazione va fatta anche alla luce della complessità della zona di<br />

distacco: nulla vieta che i due eventi valanghivi si siano generati da due bacini differenti per<br />

poi incanalarsi successivamente lungo la medesima zona di scorrimento.<br />

Fig. 4.32: Visione panoramica dal punto più alto raggiunto durante il sopraluogo della zona di distacco.<br />

A destra e a sinistra dell’immagine si riescono ad intuire i due possibili canali interessati dalla valanga.<br />

80


450<br />

100 m<br />

T5<br />

400<br />

350<br />

F<strong>IN</strong>E CANALE<br />

300<br />

z (cm)<br />

0<br />

20<br />

40<br />

60<br />

80<br />

100<br />

120<br />

140<br />

250<br />

x (m)<br />

200<br />

x (m)<br />

150<br />

100<br />

0 10 20 30 40 50 60 70<br />

T4<br />

T5<br />

50<br />

0<br />

0<br />

H Tot. Snow Centro<br />

50<br />

100<br />

150<br />

200<br />

250<br />

300<br />

H 1° avalanche (average)<br />

H 2° avalanche (average)<br />

z (cm)<br />

H Tot. Snow Centro<br />

H 1° avalanche (average)<br />

H 2° avalanche (average)<br />

Fig. 4.33 .Rappresentazione dell’intero profilo longitudinale in cui sono rappresentate le oscillazioni delle<br />

altezze dei depositi dei due eventi valanghivi verificatisi in due momenti diversi ma lungo la medesima traccia. Il<br />

profilo parte dalla zona di deposito e prosegue lungo la zona di scorrimento fino a quota 2050 m. E’ inoltre<br />

rappresentato il transetto in posizione perpendicolare al flusso eseguito nella zona di deposito in<br />

corrispondenza della trincea 3.<br />

T4<br />

T3<br />

T3<br />

T2<br />

T2<br />

T1<br />

T1<br />

81


4.4.2 La Valanga del Gotschnawang (20 gennaio 2006)<br />

100 m<br />

Fig. 4.35: La stazione intermedia della<br />

funivia, la cui posizione è indicata,<br />

nell’immagine precedente, da un<br />

cerchio rosso. Con il tratteggio rosso<br />

è indicato il limite inferiore del<br />

deposito della valanga che si è<br />

fermata a pochi metri dalla stazione.<br />

Fig. 4.34: La valanga del<br />

Gotschnawang . La parte<br />

densa è indicata in verde<br />

mentre la fluidizzata in<br />

blu. In giallo sono<br />

indicate le tre trincee<br />

scavate.<br />

Il 20 gennaio 2006 la parete del Gotschnawang, situata all’interno del comprensorio sciistico<br />

di Parsenn (Klosters) è stata interessata da una valanga di neve asciutta di notevoli<br />

dimensioni.<br />

La valanga (# 15) è stata rilasciata artificialmente per proteggere la stazione intermedia della<br />

funivia che, partendo dal paese di Klosters (1200 m), porta sciatori e turisti fino a quota 2200<br />

m.<br />

82


Il pendio del Gotschnawang è generalmente interessato, durante la medesima stagione<br />

invernale, da più di un evento valanghivo. In particolare il servizio di sicurezza piste del<br />

comprensorio, durante le perturbazioni atmosferiche maggiori, è tenuto a far esplodere le<br />

cariche poste al di sopra del pendio ogni 20-40 cm di neve caduta. Questa precauzione risulta<br />

fondamentale per mantenere il pendio in sicurezza e naturalmente per salvaguardare<br />

l’integrità della stazione intermedia costruita alla base di un pendio estremamente pericoloso.<br />

La valanga di gennaio ha interessato un’area di circa 23 ettari, con una lunghezza di 750 m e<br />

un dislivello percorso di 460 m. Questi parametri geometrici corrispondono ad un angolo di<br />

runout (α) pari a 31.5° che è un valore piuttosto alto per una valanga di neve asciutta di queste<br />

dimensioni.<br />

L’area di distacco ha avuto un’ampiezza di circa 400 m e un’altezza di neve al distacco di 40<br />

cm circa. Come è chiaramente visibile in fig. 4.36 il sito è un pendio aperto ed è caratterizzato<br />

da una topografia estremamente irregolare che contribuisce a creare turbolenza all’interno<br />

della massa nevosa in movimento.<br />

La valanga ha sviluppato una parte fluidizzata che ha superato la componente più densa del<br />

flusso: il deposito fluidizzato è stato individuato fino a 50 m dal fronte del deposito denso e<br />

alla destra dello stesso, in corrispondenza del rilievo morfologico al di sopra del quale è stata<br />

costruita la stazione intermedia della funivia.<br />

Fig. 4.36: L’area di distacco della valanga di gennaio. Nella parte centrale della foto è presente il pilone<br />

intermedio della funivia che funge da utile fattore scala.<br />

Il lavoro di campo su questa valanga è stato effettuato in un’unica giornata, cercando di<br />

individuare prevalentemente i caratteri del deposito denso e del fluidizzato.<br />

A tal fine sono state scavate tre trincee (fig. 4.34): la prima in posizione laterale in prossimità<br />

della stazione della funivia; la seconda al fronte del deposito in corrispondenza del limite<br />

83


inferiore della parte densa e la terza sempre al fronte ma in corrispondenza del limite del<br />

deposito fluidizzato.<br />

Nella prima trincea sono stati rinvenuti 125 cm di manto nevoso con 45 cm di deposito<br />

costituito da palle di neve estremamente compatte e difficili da identificare. Al di sotto dello<br />

strato descritto è stato ritrovato il manto originario indisturbato costituito da cristalli angolari.<br />

Nella seconda trincea sono stati rinvenuti 175 cm di manto nevoso divisibili in 45 cm di<br />

deposito al di sopra del manto indisturbato. Infine nella terza è stato trovato solo un metro di<br />

copertura nevosa con 15 cm di palle di neve poste al di sopra della neve indisturbata (fig.<br />

4.37). Questa differenza nello spessore del manto nevoso indisturbato è dovuta probabilmente<br />

alla maggior compattazione dovuta al notevole peso della neve in corrispondenza del deposito<br />

denso, e alla minor compattazione in corrispondenza del deposito fluidizzato, molto più<br />

leggero e caratterizzato da uno spessore di soli 15 cm.<br />

F<br />

D<br />

Fig. 4.37: In questa immagine la parte densa e la parte fluidizzata sono chiaramente visibili. Le frecce indicano<br />

la posizione delle trincee. Nelle immagini nei riquadri le linee punteggiate indicano la base del deposito.<br />

84


Al di sopra della maggior parte del deposito sono stati trovati anche numerosi blocchi di neve<br />

angolari, corrispondenti a pezzi del lastrone originario che non sono entrati a fare parte della<br />

massa in moto ma che sono semplicemente stati trasportati in superficie. Questi blocchi non<br />

hanno subito un gran numero di impatti visto che risultano ancora caratterizzati da bordi<br />

regolari non arrotondati e di notevoli dimensioni (fino al metro). Di conseguenza, molto<br />

probabilmente, la deposizione è avvenuta non molto lontano dal punto in cui stati presi in<br />

carico.<br />

All’interno del deposito valanghivo sono state anche osservate strutture particolari: delle<br />

fratture, delle “faglie normali” e due cordoni simmetrici probabilmente dovuti alle forze<br />

compressive presenti durante la fase finale del movimento (fig. 4.38). I due cordoni<br />

presentavano anche chiare evidenze di una struttura embricata dovuta al regime compressivo.<br />

Queste strutture risultavano piuttosto interessanti: i limiti erano ben definiti e rettilinei,<br />

geometricamente più sviluppate in lunghezza che non in altezza o ampiezza, infine la<br />

superficie era curva e caratterizzata da lati estremamente ripidi verso la base.<br />

Fig. 4.38: Panoramica e dettagli dell’area caratterizzata dai cordoni longitudinali. Questi risultano essere<br />

simmetrici, paralleli e curvati l’uno verso l’altro nella parte finale.<br />

Il meccanismo di formazione dei due cordoni è stato un argomento di discussione nelle<br />

riflessioni post lavoro di terreno. Purtroppo l’azione del vento e una ulteriore nevicata di<br />

debole entità hanno coperto velocemente il deposito e non hanno reso possibile una seconda<br />

visita per uno studio più approfondito. La prima teoria che è stata formulata, per spiegare la<br />

loro formazione, si basava sull’ipotesi che le due strutture potessero rappresentare due flussi<br />

secondari, indipendenti dalla valanga principale, che hanno cominciato a rallentare in<br />

corrispondenza dell’accentuato cambio di pendenza presente alla base del pendio (fig. 4.38).<br />

85


Secondo questa teoria il fronte si sarebbe ad un certo punto arrestato e il resto del flusso<br />

avrebbe cominciato a rallentare e a sovrapporsi alla neve già depositata creando delle strutture<br />

embricate (fig. 4.39).<br />

Una teoria alternativa considerava invece un singolo flusso piuttosto ampio che avrebbe<br />

formato due argini laterali per poi continuare a fluire svuotando il canale centrale così<br />

formatosi.<br />

Queste strutture sono state osservate successivamente in condizioni simili anche nelle<br />

valanghe del Drusatscha (13/2/06) e della Val Sertig (20/2/06) e in particolare è stato notato<br />

che in questi due casi i cordoni non erano simmetrici come nel Gotschnawang, ma singoli e<br />

completamente indipendenti gli uni dagli altri.<br />

Queste osservazioni successive fanno escludere la seconda teoria per supportare invece la<br />

prima. Tuttavia, il meccanismo che ha formato delle strutture così rettilinee, favorendo la<br />

progressiva sovrapposizione delle masse e che ha creato delle pareti laterali così ripide,<br />

rimane ancora enigmatico. Probabilmente delle utili informazioni potrebbero essere raccolte<br />

mediante un’analisi di terreno del sito in condizioni estive che potrebbe portare alla luce<br />

elementi interessanti circa la topografia del sito che era nascosta dall’ingente quantità di neve<br />

presente.<br />

Fig. 4.39: Nel disegno è rappresentata schematicamente la struttura dei cordoni rinvenuti nel deposito della<br />

valanga del Gotschnawang. A sinistra è visibile la sezione longitudinale del cordone con i piani di<br />

scorrimento inverso, le cui direzioni di spostamento sono indicate dalle linee rosse. A destra la visione in<br />

pianta. Con le frecce azzurre è indicata la direzione di flusso.<br />

86


4.4.3 La Valanga della Parsennfurgga (22 gennaio 2006)<br />

Fig. 4.40: La valanga<br />

della Parsennfurgga del<br />

22 gennaio 2006 (la più<br />

grande delle due in<br />

carta). La parte densa è<br />

indicata in verde, mentre<br />

la fluidizzata in blu. Le<br />

trincee effettuate sono<br />

indicate dai punti gialli.<br />

Fig. 4.41: A sinistra l’area di deposito è chiaramente visibile e nella parte destra dell’immagine in essa<br />

sono distinguibili le faglie normali. Il deposito creato dalla parte fluidizzata della valanga è stato colorato<br />

in arancione. A destra è stata evidenziata con il tratteggio rosso la nicchia di distacco.<br />

Il 22 gennaio 2006 la parete ovest della Parsennfurgga, all’interno del comprensorio sciistico<br />

di Parsenn (Davos) è stata interessata da una valanga di neve asciutta di medie dimensioni. La<br />

valanga (# 21) ha coperto un’area di circa 0.9 ettari, con una lunghezza di 240 m e un<br />

87


dislivello di 130 m. Il sito valanghivo in esame è caratterizzato da una morfologia piuttosto<br />

irregolare, infatti risulta essere parzialmente canalizzato con un tracciato curvilineo.<br />

L’ampiezza della nicchia di distacco è stata di circa 53 m con un altezza di neve pari a circa<br />

60 cm. La valanga ha sviluppato una parte fluidizzata che si è estesa da ambo i lati del corpo<br />

più denso percorrendo un percorso più rettilineo arrivando persino a risalire un cresta alta una<br />

decina di metri (fig. 4.41).<br />

Questa valanga è caduta in seguito ad una leggera nevicata che ha depositato nell’area di<br />

Parsenn una decina di centimetri di neve fresca che si sono poggiati al di sopra di un substrato<br />

contenente strati deboli. Di conseguenza la valanga ha finito per coinvolgere non solo la neve<br />

fresca ma anche una parte della neve più vecchia caduta durante le nevicate del 18-19 gennaio<br />

200<strong>6.</strong><br />

Fig. 4.43: L’intero profilo del<br />

deposito (2,2 m di spessore)<br />

visibile all’interno della trincea.<br />

D<br />

Fig. 4.42: La trincea trattata con la soluzione di<br />

inchiostro e alcool etilico. La base del deposito è<br />

indicata dalla linea rossa. D: deposito componente<br />

densa; F: deposito componente fluidizzata; S:<br />

stratificazione presente nel manto indisturbato.<br />

Fig. 4.44: Faglie normali con direzione di 85°. I piani<br />

di faglia individuati sono evidenziati in giallo<br />

F<br />

S<br />

88


Il lavoro di campo è stato effettuato nell’arco di un’unica giornata.<br />

L’attenzione durante l’analisi del corpo valanghivo è stata rivolta prevalentemente a due<br />

aspetti. Prima di tutto è stata scavata una trincea al contatto tra il corpo denso e quello<br />

fluidizzato con lo scopo di evidenziare le differenze tra i due diversi depositi (in fig. 4.40 è<br />

visibile la posizione della trincea). Tutte le osservazioni sono state effettuate con l’ausilio<br />

della soluzione a base di alcool etilico ed inchiostro per scrittura, che ha evidenziato<br />

chiaramente le varie caratteristiche del deposito ed ha individuato il manto nevoso<br />

indisturbato sottostante.<br />

L’analisi effettuata nella trincea ha sottolineato la presenza di 198 cm di manto nevoso<br />

indisturbato ricoperto da 35 cm circa di deposito fluidizzato o 50 cm di deposito denso. Al di<br />

sotto dei due depositi è chiaramente visibile la stratificazione originaria caratterizzata però da<br />

due spessori diversi: 25 cm al di sotto del deposito fluidizzato e 20 cm al di sotto del deposito<br />

denso. Ciò è chiaramente motivato dal fatto che il deposito denso ha un peso ed uno spessore<br />

generalmente maggiori del fluidizzato e di conseguenza finisce per compattare maggiormente<br />

il manto nevoso sottostante, cosa peraltro già evidenziata nelle analisi di terreno della valanga<br />

del Gotschnawang.<br />

Nella seconda parte del lavoro è stato effettuato un tentativo di studio delle strutture del<br />

deposito valanghivo. Questa valanga è stata scelta per questo tipo di lavoro perché<br />

caratterizzata da numerosi set diversi di strutture e soprattutto perché caratterizzata da<br />

dimensioni contenute che rendevano più semplice l’analisi di dettaglio.<br />

Sono stati individuati 5 set differenti di discontinuità che interrompono la continuità del<br />

materiale nevoso come vere e proprie faglie e fratture. I set erano caratterizzati da 5 diverse<br />

orientazioni come visibile in fig. 4.45: 260°, 220°, 265°, 190° e 200°.<br />

Dall’osservazione sul campo è stato notato che la forma delle discontinuità rinvenute ricorda<br />

le faglie normali tipiche in contesto geologico. Nella parte laterale del deposito sono state<br />

rinvenute delle “faglie normali” caratterizzate da un plunge compreso tra 40 e 50 gradi e un<br />

set centrale al deposito con un plunge di circa 90°. I dati raccolti sono stati rappresentati in<br />

stereoplot comuni nelle analisi strutturali per renderne la lettura più intuitiva.<br />

89


Legend:<br />

Pink 260°<br />

Dark blue 265°<br />

Orange 190°<br />

Green 220°<br />

Violet 200°<br />

30 m<br />

Fig. 4.45: Rappresentazione planimetrica della valanga. I differenti set di discontinuità sono rappresentati<br />

con lo stesso colore sia sulla carta che nei rispettivi stereoplot. I valori di direzione di ciascun set è<br />

specificato in legenda.<br />

90


Le osservazioni relative alle somiglianze delle strutture ritrovate con quelle presenti in ambito<br />

geologico ci ha portato a effettuare considerazioni e correlazioni con i differenti meccanismi<br />

di formazione nei materiali roccia e neve. Sicuramente delle considerazioni di questo tipo<br />

potrebbero essere estremamente utili per una maggior comprensione del movimento di una<br />

valanga e delle proprietà stesse del materiale in moto. Per esempio, la presenza di sistemi di<br />

faglie in un deposito granulare starebbe ad indicare che nella parte finale del movimento della<br />

valanga, quando la rottura del corpo originario in parti infinitesime ha ormai avuto luogo,<br />

sono comunque presenti delle forze di coesione notevoli, che permettono la formazione di<br />

strutture tipiche di un corpo rigido.<br />

La presenza di tutte queste superfici di faglia porterebbe a pensare che le valanghe, almeno<br />

nella parte conclusiva del loro movimento, avrebbero un comportamento tipicamente fragile.<br />

La posizione delle faglie normali trovate è in accordo con la topografia del tracciato della<br />

valanga: durante il moto, il corpo valanghivo si è come adattato al tracciato stesso. Ad<br />

esempio il set di faglie arancio (fig. 4.45) potrebbe essere composto da una serie di fratture di<br />

tensione dovute all’inizio del movimento lungo un pendio aperto. I set di faglie blu scuro e<br />

verde sono presenti nel deposito rispettivamente a monte e a valle della prima curva del<br />

tracciato verso sinistra; probabilmente questi set sono dovuti alla perdita di sostegno al piede<br />

quando la parte centrale della valanga passa nella parte più stretta del tracciato e continua il<br />

suo corso verso la zona di deposito. L’ultimo set trovato, rappresentato in viola, sembra<br />

essersi formato per l’espansione laterale del flusso una volta superata la parte canalizzata del<br />

tracciato.<br />

Probabilmente i set di faglie normali rilevati potrebbero presentano anche una componente<br />

trascorrente, nel senso della direzione del moto del corpo valanghivo.<br />

91


4.4.4 La Valanga della Drusatscha (14 Febbraio 2006)<br />

100 m<br />

Fig. 4.46: La valanga<br />

della Drusatscha del 14<br />

febbraio 200<strong>6.</strong> In rosso<br />

sono indicati i punti in<br />

cui sono state effettuate<br />

le trincee.<br />

Il 14 Febbraio 2006 si è verificata una valanga di neve asciutta (# 33) sul versante Nord-Ovest<br />

del Monte Hureli al di sopra dell’alpeggio della Drusatscha.<br />

La zona di distacco si trovava ad un’altitudine di 2238 m mentre la zona di massimo deposito<br />

ha raggiunto quota 1758 m (misurazioni eseguite per mezzo di strumentazione G.P.S.) in<br />

corrispondenza della piana della Drusatscha.<br />

Si presume che la valanga sia stata innescata dal passaggio attraverso il pendio di uno sciatore<br />

(dal momento che alcune tracce erano visibili sul margine superiore del coronamento).<br />

92


Parte A: La zona di distacco<br />

La prima fase del lavoro di campo è stata dedicata ad una attenta analisi della zona di rilascio<br />

attraverso la caratterizzazione del coronamento delle valanga (altezza del distacco e<br />

geometria).<br />

Il coronamento mostrava una forma semicircolare, con un diametro di 13 m.<br />

Al di sopra del coronamento, in corrispondenza del manto nevoso indisturbato, sono state<br />

notate numerose fratture dovute probabilmente alle forze estensionali presenti al momento<br />

della rottura.<br />

Hs (cm) ρ (kg\m 3 )<br />

10 157 ±10<br />

20 300 ±10<br />

30 231 ±10<br />

40 241 ±10<br />

50 268 ±10<br />

60 315 ±10<br />

70 257 ±10<br />

80 304 ±10<br />

90 325 ±10<br />

100 367±10<br />

110 362±10<br />

Hard layer<br />

Fig. 4.47: Il coronamento della valanga (a sinistra) e il profilo nivostratigrafico (a destra) eseguito nel<br />

manto nevoso non interessato dalla valanga. A circa 30 cm dal substrato è ben visibile nel profilo lo strato<br />

duro al di sopra del quel è avvenuto il distacco.<br />

93


Al fine di valutare il bilancio di massa del corpo valanghivo sono state raccolte una serie di<br />

misure dell’altezza della neve (fig. 4.48) lungo la linea di frattura (con passo a 2 m) e sono<br />

state prese delle misure di densità ogni 10 cm lungo un profilo scelto sulla superficie di<br />

frattura .<br />

La massima altezza al distacco è stata osservata nella porzione centrale del coronamento (87<br />

cm) mentre tendeva a diminuire progressivamente lungo entrambi i lati del coronamento (40-<br />

50 cm).<br />

Altitude<br />

2370<br />

2360<br />

2350<br />

2340<br />

2330<br />

2320<br />

2310<br />

2300<br />

2290<br />

2280<br />

2270<br />

2260<br />

2250<br />

2240<br />

2230<br />

2220<br />

2210<br />

2200<br />

2190<br />

2180<br />

2170<br />

2160<br />

2150<br />

2140<br />

2130<br />

2120<br />

2110<br />

Crown heights<br />

114<br />

101<br />

87<br />

70<br />

5050505050 60<br />

48485050 30<br />

30<br />

4449 43<br />

35 43<br />

35<br />

20 25<br />

1517<br />

16<br />

Sx orograpic<br />

Dx orographic<br />

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27<br />

GPS point<br />

Snow depth (cm)<br />

Altitude<br />

Fig. 4.48: Profilo dell’altezze raccolte lungo il coronamento (a sinistra). Nell’immagine a fianco è stata messa<br />

in evidenza (linea puntinata rosa) il perimetro della linea di frattura..<br />

Nella zona di distacco erano presenti inoltre alcune grosse porzioni del lastrone originario<br />

che, dopo un breve scivolamento iniziale, essenzialmente di tipo traslativo, si sono arrestate a<br />

pochi metri a valle della zona di rottura (fig. 4.49).<br />

Fig. 4.49: La zona di distacco. E’<br />

chiaramente visibile il piano di scivolamento.<br />

94


Parte B: La zona di scorrimento<br />

Fig. 4.50: Il percorso seguito dalla valanga<br />

(in arancione) e la zona di arresto (in verde).<br />

In trasparenza il margine sinistro interessato<br />

da flusso fluidizzato.<br />

La valanga è stata caratterizzata da una zona di scorrimento lunga 300 m, piuttosto rettilinea e<br />

non-canalizzata (fig. 4.50).<br />

Percorrendo questa zona sono stati ritrovati dei depositi dovuti alla componente fluidizzata del<br />

flusso lungo entrambi i lati. I margini infatti erano abbastanza netti ed è quindi stato possibile<br />

riportarli con precisione sulla carta topografica.<br />

Lungo questa zona sono stati osservati gli aspetti caratteristici di un deposito dovuto a flusso<br />

fluidizzato: soffici palle di neve immerse in una matrice leggera con una tessitura orientata e<br />

imputabile verosimilmente ad una nube polverosa generatasi nelle porzioni superiori della<br />

valanga.<br />

Nella zona centrale del flusso, dove la velocità e pertanto l’energia erano maggiori, la valanga<br />

è riuscita a erodere l’intero manto nevoso mettendo a nudo la superficie del suolo. Lungo i<br />

margini invece, poiché l’energia era inferiore, è avvenuta solo la deposizione di materiale.<br />

In molti punti lungo il percorso, scendendo verso valle, è stato possibile constatare come la<br />

pendenza variava bruscamente. In corrispondenza delle zone meno pendenti la valanga<br />

diminuiva la propria velocità di scorrimento e di conseguenza aumentava anche la percentuale<br />

di materiale deposto (proprio in corrispondenza di questi tratti infatti si sono ritrovati grossi<br />

agglomerati di neve), mentre dove la pendenza diventava maggiore anche la velocità<br />

aumentava permettendo alla valanga di erodere fino alla base del manto.<br />

Questo tipo di comportamento è stato osservato sistematicamente lungo l’intera zona di<br />

scorrimento.<br />

95


Ad una quota di 1980 m, il flusso ha incontrato un brusco “salto” morfologico di circa 40 m<br />

di dislivello, per poi proseguire il suo percorso lungo un pendio meno acclive per 150 m di<br />

dislivello.<br />

Al di sotto del salto morfologico è stata eseguita una trincea di 10 m di lunghezza, posta<br />

trasversalmente alla direzione di flusso al fine di stimarne la ripresa di neve.<br />

Fig. 4.51: La zona di scorrimento. In queste immagini è<br />

evidenziata la deposizione dovuta a un flusso fluidizzato lungo<br />

il margine destro (sopra) e sinistro (a lato) dello scorrimento.<br />

È inoltre visibile la superficie di scivolamento indurita lasciata<br />

dopo il passaggio della valanga.<br />

La parte iniziale dello scavo è stata posizionata all’interno del manto nevoso indisturbato in<br />

corrispondenza del margine sinistro (per evidenziare l’eventuale ripresa o deposito a seguito<br />

dell’evento), per poi proseguire verso la zona mediana dello scorrimento, perpendicolarmente<br />

alla direzione di flusso.<br />

All’esterno della zona non interessata dalla valanga è stato rinvenuto uno spessore di 1 m di<br />

manto nevoso: la struttura osservata era pertanto costituita da 50 cm di brina di fondo con uno<br />

strato duro e resistente alla sommità (molto probabilmente lo stesso strato ritrovato nella zona<br />

di rilascio) e una porzione soprastante di manto con evidente stratificazione (questa tessitura è<br />

stata messa in evidenza per mezzo della tecnica ad inchiostro).<br />

(Colonnina nivostratigrafica 1)<br />

96


La trincea è stata scavata in modo da intersecare anche la porzione fluidizzata (10 cm di<br />

spessore in superficie) al di sopra di una parte di manto nevoso indisturbato di 20 cm di<br />

spessore compatto e di durezza non omogenea. Questa compattazione probabilmente è da<br />

imputarsi ad una parte del flusso della valanga che ha sovrascorso il manto nevoso,<br />

modificandone la struttura. (Colonnina nivostratigrafica n°2)<br />

Spostandosi verso le porzioni mediane è stato nuovamente osservato un primo livello basale<br />

costituito da brina di fondo, ma ben più interessante è stato osservare la presenza di uno strato<br />

abbastanza spesso costituito da palle di neve compatte, a sua volta ricoperto da palle di neve<br />

soffici e leggere. (Colonnina nivostratigrafica n°3)<br />

5<br />

16m<br />

4<br />

10m<br />

3<br />

8m<br />

Fig. 4.52: 1° trincea: eseguita nella zona di scorrimento, trasversalmente al flusso, a partire dal margine<br />

sinistro (all’interno del manto nevoso indisturbato) e proseguendo verso la parte centrale della valanga. La<br />

trincea presenta tratti analizzati con tecnica ad inchiostro. Nelle colonnine, la parte inferiore corrisponde alla<br />

brina di fondo, le linee verticali agli strati duri (n°1 e 2), le linee orizzontali alla stratificazione, la maschera a<br />

maglia fitta al deposito denso (n°5, 4 e 3) e le parti chiare più sommatali (n°2 e 3) al fluidizzato.<br />

2<br />

6m<br />

1<br />

4m<br />

2m<br />

97


Tutte le osservazioni effettuate sono state verificate per mezzo di un controllo incrociato con<br />

la misurazione della densità.<br />

Poiché in questo punto la zona era caratterizzata da una blanda pendenza la valanga non<br />

disponeva di sufficientemente energia per prendere in carico l’intero manto nevoso ma<br />

solamente la porzione più superficiale di quest ultimo.<br />

A questo proposito è stata osservata una superficie molto resistente lasciata in seguito al<br />

passaggio della valanga con piccole palle di neve che sembravano come sinterizzate sulla<br />

superficie. La direzione delle palle di neve evidenziava perfettamente la direzione di flusso.<br />

Parte C: La zona di deposito<br />

60m<br />

Fig. 4.53: Brusco salto morfologico prima di entrare nella zona di deposito (a sinistra). A fianco<br />

invece una immagine che mostra l’intera area di arresto scattata dalla sommità del precedente<br />

pendio.<br />

Prima che la valanga raggiungesse la zona di deposito, il flusso, che in questa zona ha<br />

raggiunto 80 m di ampiezza, ha dovuto superare nuovamente un gradino morfologico con<br />

pendenza elevata caratterizzato da una superficie irregolare dovuta a piccoli affioramenti<br />

rocciosi, arbusti e alberelli (fig. 4.53).<br />

Il flusso valanghivo principale si è adattato alla topografia incanalandosi all’interno di due<br />

canali posti su entrambi i lati del pendio.<br />

Alla superficie del deposito è stato ritrovato del materiale “alloctono” (rami, corteccia e pezzi<br />

di tronchi) trasportato all’interno del flusso e con tutta probabilità proveniente dal pendio<br />

sovrastante.<br />

Lungo il margine destro del flusso è stata scavata l’ultima trincea posta trasversalmente a una<br />

lingua secondaria di flusso più rilevata rispetto al deposito circostante per meglio<br />

comprendere le sue caratteristiche peculiari.<br />

98


Fig. 4.54: 2° trincea, all’interno della zona di deposito. Sezione di un lobo longitudinale in corrispondenza del<br />

brusco cambio di pendenza e messo in evidenza lo strato lenticolare molto resistente ritrovato alla superficie<br />

In questa situazione si sono osservati una strato basale di brina di fondo, sovrascorso da un<br />

deposito di forma lenticolare, molto duro e compatto (fig. 4.54).<br />

Fig. 4.55: Serie di fratture longitudinali<br />

parallele al flusso lungo il margine destro<br />

della zona di deposito<br />

Lungo il lato destro della valanga sono stati individuati numerosi set di fratture longitudinali<br />

e parallele alla direzione di flusso (fig. 4.55).<br />

La teoria elaborata al fine di spiegare la loro formazione consiste nel fatto che alla<br />

diminuzione di velocità, a seguito di un brusca diminuzione di pendenza, le collisioni<br />

diventano meno frequenti e le palle di neve possono così attaccarsi tra di loro. In questo<br />

momento il comportamento della neve cambia: la valanga si trova ad essere più simile a un<br />

corpo rigido rispetto a un fluido e questa è la ragione per cui la massa nevosa inizia a<br />

fratturarsi. Il flusso a bassa velocità comincia a collassare progressivamente su se stesso<br />

formando strutture simili a faglie normali parallele alla direzione di scorrimento.<br />

In prossimità del cambio di pendenza sono stati individuati anche due rilievi simmetrici, con<br />

forma a goccia (la coda meno larga della parte frontale). Questi rilievi mostravano una<br />

99


sequenza di faglie inverse orientate NW-SE (gli stessi aspetti riscontrati nell’episodio<br />

valanghivo del Gotschnawang), probabilmente causate da un brusca diminuzione dell’angolo<br />

di pendenza che determina un rallentamento del flusso con conseguente accavallamento delle<br />

masse che stanno sopraggiungendo a tergo.<br />

70 cm<br />

Fig. 4.56: Grossi blocchi di neve all’interno<br />

del deposito fluidizzato nella porzione<br />

frontale della valanga<br />

100


4.4.5 La Valanga della Val Sertig (21 Febbraio 2006)<br />

100 m<br />

Il 21 Febbraio 2006 una valanga di neve asciutta ha interessato la destra orografica della Valle<br />

di Sertig, arrestandosi a poca distanza dal piccolo abitato situato a margine della strada<br />

carrozzabile lungo il fondovalle e a pochi metri da quest’ultima.<br />

Questo evento (# 34) è stato innescato non intenzionalmente da un gruppo di sciatori alla<br />

sommità del pendio. Uno di essi è rimasto parzialmente travolto dal flusso ma<br />

immediatamente recuperato dalle squadre di soccorso.<br />

Nello stesso periodo lungo la suddetta valle si sono verificate svariate valanghe che<br />

purtroppo, a causa dei tempi richiesti per i sopralluoghi nonché le rispettive analisi, non è<br />

stato possibile investigare con la dovuta attenzione.<br />

Fig. 4.58: Vista panoramica della valanga di Sertig dall’abitato di Dorfli<br />

Fig. 4.57: La valanga<br />

della Val Sertig. In<br />

giallo sono evidenziate<br />

le trincee effettuate<br />

mentre con la linea<br />

rossa il coronamento<br />

della valanga.<br />

101


La valanga ha ricoperto una superficie complessiva di quasi 23 ettari, con una lunghezza di<br />

800 m (lunghezza proiettata) e un dislivello percorso di 470 m, che si traduce in un angolo di<br />

scorrimento medio di 30° (fig. 4.58).<br />

La valanga si è sviluppata lungo un pendio aperto, pertanto lo scorrimento è stato rettilineo e<br />

non confinato da morfologie particolari. La zona di distacco ha interessato un’area di circa<br />

400 m 2 con un’altezza di distacco approssimativa di 80 cm (fig. 4.59).<br />

Per quanto riguarda questi ultimi dati va precisato che sono stime approssimative, data<br />

l’impossibilità di raggiungere direttamente il coronamento; si tratta quindi di valutazioni<br />

soggettive eseguite sul campo o in seguito ad un’attenta analisi del materiale fotografico,<br />

nonché attraverso la raccolta delle informazioni registrate dai tecnici del centro valanghe di<br />

Davos.<br />

Fig. 4.59: La zona di distacco ripresa dal versante opposto.<br />

102


La raccolta dati sul campo è stata effettuata in più giorni e strutturata come segue:<br />

1° Giorno:<br />

- perimetrazione per mezzo di un GPS dell’intera zona di deposito (fig. 4.60);<br />

- stima del deposito valanghivo attraverso l’esecuzione di trincee nella zona frontale;<br />

- raffronto tra il deposito valanghivo e il manto nevoso indisturbato;<br />

- osservazione e studio delle particolari strutture all’interno della zona di deposito;<br />

- misurazione dell’altezza del distacco lungo una zona di rilascio secondaria situata a<br />

quota inferiore;<br />

- ricerca della sorgente del detrito presente all’interno di una lobo laterale della<br />

valanga.<br />

Fig. 4.60: Con la linea verde tratteggiata è rappresentata la zona di deposito. Sullo sfondo è visibile il<br />

villaggio di Dorfli.<br />

2° Giorno:<br />

- osservazione e valutazione diretta della presa in carico di detrito all’interno di un<br />

ramo valanghivo secondario, attraverso l’esecuzione sistematica di trincee trasversali<br />

al flusso.<br />

3° Giorno:<br />

- stima del quantitativo del deposito attraverso analisi di laboratorio.<br />

103


1° Giorno<br />

� Stima del deposito valanghivo attraverso l’esecuzione di trincee nella zona frontale<br />

All’interno della porzione frontale della valanga è stata eseguita una trincea longitudinale, in<br />

modo tale da intersecare sia il deposito denso che quello fluidizzato.<br />

40 cm<br />

75 cm<br />

Fig. 4.61: Trincea 1, nella zona di deposito.<br />

Al di sopra della linea tratteggiata arancione<br />

sono visibili 40 cm di deposito valanghivo.<br />

Misure di densità nel manto nevoso al di sotto del<br />

deposito valanghivo<br />

Snow height (cm) Snow density (kg\m 3 ) Snow height (cm) Snow density (kg\m 3 )<br />

75 430 75 236<br />

65 65 262<br />

50 283 50 241<br />

30 262<br />

È stato così possibile riconoscere nel manto nevoso ricoperto dalla valanga un aumento<br />

prevedibile di densità a partire dagli strati sommitali fino alla zona basale. Questo trend non è<br />

stato ritrovato nel manto non interessato dall’evento.<br />

Ciò è imputabile al peso-pressione esercitata dalla valanga, che ha compattato il manto<br />

nevoso sottostante fino a una profondità di circa 50 cm.<br />

15cm<br />

80cm<br />

10cm<br />

Fig. 4.62: Trincea 1, lo spessore del deposito:<br />

denso (linea verde) fluidizzato (puntinato<br />

giallo)<br />

Misure di densità nel manto nevoso<br />

indisturbato<br />

104


Per questa valanga purtroppo non è stato immediatamente chiaro se si fosse sviluppato un<br />

livello fluidizzato o meno.<br />

La parte densa era infatti ben definita mentre numerose palle di neve di piccole dimensioni e<br />

molto leggere si sono spinte per oltre 20-30 m dalla zona di arresto del fronte (fig. 4.63).<br />

Questo deposito è visibile distintamente lungo il lato destro e nelle zone più frontali, ciò lascia<br />

pensare che la sua origine sia connessa a un “soffio” polveroso e non quindi a un flusso<br />

propriamente fluidizzato.<br />

Questo aspetto riveste un certo interesse se si volesse stimare approssimativamente le velocità<br />

e le pressioni d’impatto delle palle di neve in sospensione all’interno della nuvola.<br />

Le palle di neve sono state con tutta probabilità trasportate all’interno di un flusso turbolento<br />

al di sopra del nucleo denso e quando questo si è arrestato in prossimità del cambio di<br />

pendenza sopraggiungendo nella zona di deposito, sono state gettate in avanti per alcune<br />

decine di metri senza nessuna interazione con la superficie (come si può ben osservare<br />

dall’assenza di tracce di rotolamento).<br />

� Raffronto tra il deposito valanghivo e il manto nevoso indisturbato<br />

∼30m<br />

Fig. 4.63: Trincea 1, soffici palle di neve al di sopra della superficie del manto nevoso (a sinistra) e la<br />

massima distanza raggiunta a partire dal fronte (a destra).<br />

Al fine di valutare la ripresa lungo la zona di scorrimento, sono state eseguite due trincee<br />

all’interno del manto nevoso indisturbato.<br />

La prima ha mostrato uno strato compatto (crosta da vento) di 10 cm di spessore al di sotto di<br />

un livello centimetrico superficiale. Questo strato molto resistente era discontinuo e non è<br />

stato ritrovato niente di simile in prossimità del fronte della valanga.<br />

La seconda trincea era volta soprattutto a stimare l’altezza della neve al suolo e al<br />

riconoscimento di strutture interne (presenza di eventuali strati duri) anche in condizioni di<br />

pendenze elevate.<br />

105


Ciò ha permesso di mettere a confronto la ripresa della valanga lungo la zona di scorrimento.<br />

In questo caso si è ritrovata nuovamente una crosta da vento in prossimità della superficie<br />

mentre la restante parte del profilo nivostratigrafico era costituita da brina di fondo non<br />

consolidata. Ciò suggerirebbe che il flusso della valanga avrebbe potuto erodere facilmente<br />

l’intero manto nevoso una volta superata la resistenza della crosta da vento. Tuttavia questa<br />

idea è stata smentita nel corso delle osservazioni successive.<br />

Nella zona di transizione, lungo un pendio con la medesima inclinazione, è stata infatti<br />

osservata una superficie molto resistente compattata in seguito al passaggio della valanga,<br />

caratterizzata da palle di neve sinterizzate alla superficie; la loro orientazione è in accordo con<br />

la direzione di flusso. Poiché quindi non è stata riscontrata una crosta all’interno del manto<br />

nevoso ad una profondità simile, una spiegazione plausibile sarebbe quella di pensare che<br />

questa superficie si sia creata simultaneamente al flusso e quindi a causa del flusso stesso.<br />

Ground surface<br />

Fig. 4.65: Visione<br />

complessiva delle trincee<br />

eseguite. La trincea n°1 è<br />

su un pendio indisturbato<br />

mentre la n°2 è in una zona<br />

di transito della valanga.<br />

Nella prima trincea si<br />

ritrovano dal tetto: una<br />

crosta da vento e brina di<br />

fondo riscontrabile in ogni<br />

profilo. Nella trincea n°3<br />

sono anche visibili due<br />

strati di neve dura segnati<br />

con le linee orizzontali,<br />

intervallati da uno di neve<br />

più soffice.<br />

Compact layer<br />

3<br />

Fig. 4.64: Sullo stesso pendio due situazioni<br />

di erosione differente in seguito al passaggio<br />

della valanga.<br />

1<br />

2<br />

?<br />

106


Un’ulteriore considerazione sarebbe quella di eseguire nel periodo estivo sopralluoghi per<br />

verificare i fattori di controllo morfologico che governano i tassi di erosione e ripresa di una<br />

valanga. Infatti, lungo il medesimo versante e sulle medesimi inclinazioni vi sono differenze<br />

significative per quanto riguarda questi ultimi aspetti. Come mostrato in figura 4.64, si notano<br />

aree in cui è messo a nudo il substrato mentre altre zone in cui permane una copertura nevosa.<br />

� Misurazione dell’altezza del distacco lungo una zona di rilascio secondaria situata a<br />

quota inferiore<br />

È stato raggiunto e misurato un coronamento secondario a quota inferiore rispetto alla zona di<br />

distacco principale, che può essersi innescato successivamente alla prima rottura a seguito<br />

della trazione del flusso e della asportazione di materiale a monte.<br />

Fig. 4.66: Altezza del distacco in corrispondenza del<br />

coronamento secondario a quota inferiore. È visibile come<br />

la superficie di rottura si presenti frastagliata e irregolare<br />

Le misurazioni (altezza del distacco e misure di densità) raccolte lungo la superficie di<br />

frattura saranno utili per effettuare eventuali calcoli del bilancio di massa.<br />

� Ricerca della sorgente del detrito presente all’interno di una lobo laterale della valanga<br />

Alla stessa quota del coronamento secondario e quindi in una posizione rialzata è stato<br />

possibile delineare con maggior precisione un ramo della valanga particolarmente ricco in<br />

detrito.<br />

Fondamentale è stato quindi ricercare, lungo il versante, la sorgente di questo materiale al fine<br />

di trarre conclusioni riguardo al meccanismo erosionale e alle modalità di trasporto di detrito<br />

all’interno della valanga. Il detrito, considerato come tracciante, è risultato utile anche per<br />

studiare le modalità di espansione laterale nella zona di deposito del corpo valanghivo.<br />

107


Una volta individuata la sorgente del materiale ne sono stati descritti alcuni aspetti:<br />

- geometria: la sorgente è puntuale, in quanto costituita da una piccola zona da cui la<br />

valanga ha potuto continuamente alimentarsi di materiale durante lo scorrimento;<br />

- presenza di acqua liquida: questo aspetto riveste una certa importanza e purtroppo non si<br />

è pienamente compreso se l’acqua nel deposito fosse presente al momento della presa in<br />

carico del detrito o se si fosse formata solo in un secondo momento;<br />

- tipologia di detrito: il materiale era essenzialmente costituito da terriccio di dimensione<br />

fine, rami e pezzi di arbusti.<br />

Analizzando le fotografie riprese nella parte alta del versante si è potuto osservare che il<br />

materiale si è distribuito seguendo un flusso rettilineo, mantenendo una concentrazione<br />

maggiore alla base del pendio, esattamente in corrispondenza del brusco cambio di pendenza.<br />

Fig. 4.67: A destra, il flusso valanghivo ricco in detrito fotografato a livello della sorgente di materiale<br />

posta a quota superiore (a sinistra)<br />

108


2° Giorno<br />

� Osservazione e valutazione diretta della dinamica di deposizione del detrito in un<br />

ramo valanghivo, attraverso l’esecuzione sistematica di trincee trasversali al flusso<br />

medesimo<br />

Il secondo giorno di sopralluogo è stato interamente dedicato allo studio del detrito all’interno<br />

della valanga per approfondire i meccanismi di erosione – trasporto - deposizione della neve.<br />

La considerevole presenza di acqua coinvolta nel flusso ha reso necessario l’impiego di una<br />

motosega per l’esecuzione delle trincee di neve necessarie all’analisi. È pertanto stata la<br />

presenza di acqua il motivo principale di un deposito molto più coeso rispetto alle aree<br />

circostanti (in cui i profili sono stati eseguiti per mezzo di una semplice pala da scialpinismo).<br />

L’obiettivo principale era quello di mettere in luce la dispersione del detrito sia<br />

longitudinalmente che trasversalmente all’interno del flusso considerato; per fare questo sono<br />

state eseguite tre trincee (nella foto T1, T2, T3) perpendicolarmente alla direzione di flusso.<br />

La prima trincea è situata in prossimità della base del pendio e le altre due rispettivamente a<br />

20 m e 40 m di distanza.<br />

T3<br />

Fig. 4.68: Posizione delle trincee all’interno del flusso detritico<br />

valanghivo. Dall’immagine si può chiaramente vedere come il<br />

materiale diminuisce in concentrazione allontanandosi dal punto<br />

in cui è stato preso in carico.<br />

T2<br />

T1<br />

109


Nella prima trincea, il deposito era mescolato omogeneamente con il detrito. Il materiale era<br />

essenzialmente costituito da particelle di terreno, pezzi di suolo, ciottoli di varie dimensioni,<br />

rami e pezzi di albero. Ciò significa che durante il flusso si è verificata una turbolenza molto<br />

intensa che sarebbe stata in grado di mescolare neve e detriti.<br />

Nel deposito sono stati rinvenuti numerosi blocchi di neve che mostravano una forma<br />

angolare e che erano chiaramente distinguibili all’interno della trincea, inoltre si sono ritrovati<br />

pezzi di ghiaccio che testimoniano la presenza di acqua fusa.<br />

Fig. 4.69: Una fase delle operazioni<br />

di scavo delle trincea. L’estrema<br />

durezza del deposito in questo caso<br />

ha reso necessario l’uso di una<br />

motosega.<br />

Fig. 4.70: 1° trincea:in<br />

posizione trasversale al<br />

flusso (a sinistra) e un<br />

particolare della sezione (a<br />

destra).<br />

Nella seconda trincea, il detrito era nuovamente presente in grande quantità, tuttavia non ha<br />

raggiunto la superficie del suolo (sono stati trovati circa 30 cm di brina di fondo) in quanto il<br />

deposito era separato da quest’ultimo da un livello piuttosto compatto di neve pulita e senza<br />

detrito.<br />

110


100cm 30cm<br />

Fig. 4.71: 2° trincea: un blocco di neve ben definito racchiuso in una matrice di neve sporca (sopra) e una<br />

grossa zolla di terreno affiora sulla superficie della trincea (a destra)<br />

Sebbene in questa posizione sia stato osservato un numero maggiore di blocchi di neve<br />

immersi in una matrice di colore marrone e più soffice rispetto alla trincea precedente, è stato<br />

possibile percepire un assottigliamento del flusso avvicinandosi al fronte del deposito.<br />

Sono state anche ritrovate, diversamente dal caso precedente, grosse zolle di terreno.<br />

Nella terza e più distale trincea, la percentuale di detrito presente era nettamente inferiore ai<br />

casi visti in precedenza. Anche il colore della neve è diventato progressivamente più bianco a<br />

indicare un deposito più “pulito”, nonostante vi fossero ancora numerosi piccoli resti di alberi,<br />

arbusti e agglomerati di suolo.<br />

50cm<br />

Fig. 4.72: 3° trincea: la percentuale di detrito diminuisce<br />

progressivamente spostandosi verso il fronte del flusso.<br />

111


3° Giorno:<br />

� Stima del quantitativo del deposito attraverso analisi di laboratorio<br />

Nel deposito della valanga sono stati raccolti quattro blocchi di neve con lo scopo di valutare<br />

la quantità di detrito coinvolto nel processo valanghivo. Questo tipo di analisi è stata<br />

effettuata sia per uno scopo puramente conoscitivo sia per avere un’indicazione della quantità<br />

di materiale necessaria per avere una colorazione uniforme in tutto il deposito di una valanga.<br />

Il dato potrebbe essere molto importante in previsione di un esperimento per lo studio della<br />

dinamica valanghiva con l’uso di traccianti: in questo modo si potrebbe avere un’idea delle<br />

quantità di materiale necessario per avere dei riscontri visivi nel deposito.<br />

Fig. 4.73: A destra è ancora visibile uno dei<br />

blocchi di neve raccolti prima dello<br />

scioglimento mentre a sinistra il blocco di<br />

neve a scioglimento effettuato.<br />

I quattro blocchi sono stati raccolti in differenti posizioni: i primi due blocchi nella trincea<br />

scavata nella parte alta del deposito mentre gli altri due nella trincea più distale. Per ciascuna<br />

trincea un blocco è stato prelevato superiormente mentre il secondo inferiormente quindi alla<br />

base del deposito valanghivo.<br />

I blocchi sono stati prima di tutto sciolti in un laboratorio apposito presso l’Istituto per lo<br />

Studio della Neve e delle Valanghe a Davos (CH)<br />

Il prodotto dello scioglimento è stato successivamente filtrato tramite dei filtri per caffè che si<br />

sono rivelati comodi perché disponibili in grande quantità e caratterizzati da una maglia con<br />

una ritenuta ottimale per i nostri scopi, ma nello stesso tempo inadatti per via della delicata<br />

cucitura che tendeva a rompersi con il passaggio dell’acqua carica di sedimenti fini.<br />

Nonostante questi inconvenienti è stato possibile portare avanti il lavoro con una buona<br />

precisione e solo con una perdita di materiale per il campione n° 4 stimata attorno al mezzo<br />

grammo.<br />

112


Tramite una bilancia di precisione al centesimo di grammo il contenuto dei vari filtri è stato<br />

pesato e sommato in modo da ottenere la quantità di detrito per ogni blocco. I risultati sono<br />

visibili in Tab. 4.74.<br />

Tab. 4.74: Risultati del test<br />

ID Position Block Weight (g) Debris Weight (g) %<br />

1 high trench-lower block 8420 161,25 1,9<br />

2 low trench-upper block 8050 273,84 3,4<br />

3 low trench-lower block 8500 103,07 1,2<br />

4 high trench- upper block 7280 71,43 1<br />

Fig. 4.75: Nella foto a sinistra è visibile il detrito raccolto dopo lo scioglimento di un blocco di neve, all’interno<br />

dei filtri da caffè. Nella foto a sinistra la fase di pesa del materiale tramite bilancia di precisione.<br />

Nel primo blocco sono stati ritrovati vari tipi di detrito come argilla, zolle di terra con erba,<br />

ciottoli del diametro massimo di 3 cm (per un peso totale di 44 g), aghi di pino, erba e ghiaia.<br />

Nel secondo blocco materiale argilloso, un rametto di 10 cm di lunghezza (<strong>6.</strong>01 g), erba, un<br />

ciottolo di 7.5 g e zolle di terra per un peso complessivo di 163 g.<br />

Nel terzo blocco materiale argilloso, erba e piccoli rametti; infine nell’ultimo blocco materiale<br />

argilloso, sabbia, erba piccoli rametti e ghiaia.<br />

La presenza di materiali piuttosto pesanti in particolari blocchi, come ad esempio le zolle di<br />

terra nel primo campione, ha influito sul peso totale finale del detrito del singolo blocco ed è<br />

per questo motivo che si può a volte notare una grande diversità tra i valori.<br />

A partire da queste considerazioni si è potuto concludere che il detrito risulta essere<br />

mediamente il 2% del peso totale dei singoli blocchi.<br />

Un’altra considerazione interessante a partire dall’analisi è quella che la valanga può<br />

coinvolgere nel suo movimento un ampio spettro di materiali, dalla granulometria delle argille<br />

fino a ciottoli e rami e ovviamente anche fino a veri e propri alberi.<br />

113


5. CATALOGAZIONE ED ELABORAZIONE <strong>DEI</strong> <strong>DATI</strong><br />

In tutta la stagione invernale 2005/2006 sono stati raccolti e catalogati i dati relativi a 56<br />

eventi valanghivi, 12 dei quali sono stati analizzati in maniera approfondita. Di altri 11 eventi<br />

è stata registrata solo la posizione del coronamento per via di difficoltà logistiche nel<br />

raggiungere la zona di deposito. Questi ultimi non sono stati considerati ai fini dell’analisi in<br />

quanto presentavano solamente delle informazioni parziali.<br />

I dati raccolti sono stati inseriti in due database: uno, tabellare, creato in ambiente Excel,<br />

l’altro creato in ambiente GIS (Geographical Information System). Le valanghe sono<br />

identificate con un numero progressivo identico in entrambi i database in modo da rendere più<br />

veloce ed intuitiva un’eventuale ricerca di informazioni.<br />

5.1 IL DATABASE <strong>IN</strong> EXCEL<br />

La creazione di un database in Excel è stata una scelta obbligata a causa delle grande quantità<br />

di dati raccolti in tutta la stagione invernale che necessitavano di una riorganizzazione.<br />

Il database creato è composto da 56 schede contenenti le informazioni di ciascuna valanga<br />

(fig. 5.1) e da due schede riassuntive che sono state utilizzate per rendere più semplici le<br />

considerazioni e le correlazioni finali. La prima scheda riassuntiva raccoglie i dati relativi alle<br />

trincee realizzate per ogni valanga, quello che si è voluto fare è stato il creare la descrizione di<br />

una sezione stratigrafica del deposito e del manto nevoso di facile consultazione.<br />

Tra i dati riportati si ritrovano prima di tutto le coordinate GPS che registrano la posizione<br />

della trincea e la sua altitudine. Ad ogni riga della tabella è stato poi associato uno strato ben<br />

definito con informazioni sul suo spessore, la sua tipologia (deposito, strato duro, brina di<br />

fondo…), la densità, la durezza ed eventuali ulteriori osservazioni.<br />

La seconda raccoglie tutti parametri fondamentali di ciascuna valanga, utili per le successive<br />

analisi statistiche e considerazioni (scheda generale in Allegato).<br />

Nei fogli singoli creati per ogni valanga (fig. 5.1) sono stati inseriti:<br />

- una carta in scala dove è ben visibile l’area interessata dall’evento, il coronamento e la<br />

posizione di eventuali trincee;<br />

- un toponimo, utile per indicare la posizione geografica;<br />

- la data presunta di rilascio e la data di registrazione dei dati, le due date infatti non<br />

coincidono soprattutto per le valanghe asciutte;<br />

114


Molto spesso infatti questo tipo di valanghe cadeva ad esempio durante le nevicate, di<br />

conseguenza la registrazione dei dati poteva avvenire qualche giorno dopo in caso di<br />

condizioni pericolose in cui non era possibile effettuare i sopralluoghi.<br />

Per le valanghe di neve umida, invece, il problema era quasi opposto, a volte per<br />

discriminare tra una valanga ed un'altra si sarebbe dovuto far riferimento alle ore e non<br />

alla data: nei periodi della giornata particolarmente caldi le valanghe cadevano a<br />

decine in aree ristrette;<br />

Fig. 5.1: Nell’immagine è visibile un estratto del database tabellare. In particolare in figura è visibile un<br />

esempio delle schede create per ognuna delle 75 valanghe analizzate. Sulla sinistra della scheda è visibile<br />

un’immagine in scala dell’evento analizzato, mentre a sinistra si trova la tabella contenente i dati della<br />

valanga.<br />

- l’esposizione, che dà un’utile indicazione sul possibile grado di consolidazione del<br />

manto nevoso e quindi sulla tendenza dei versanti a creare condizioni più o meno<br />

favorevoli per le valanghe;<br />

- l’area e il perimetro;<br />

- la lunghezza e il dislivello percorso;<br />

- le pendenze dell’area di distacco, del tracciato e della zona di deposito; dati utili<br />

perché danno una prima indicazione sulla morfologia del tracciato e sulle possibili<br />

distanze di arresto e dislivelli percorsi;<br />

115


- gli angoli α e β (fig. 5.2), il primo consiste nell’angolo formato dalla linea tra il punto<br />

più elevato dell’area di distacco e il punto estremo della zona di deposito, mentre il<br />

secondo rappresenta l’angolo formato tra il punto più elevato dell’area di distacco e il<br />

punto dove l’inclinazione del pendio inizia ad essere minore o uguale a 10°. Questi<br />

due angoli sono importanti descrittori delle valanghe in quanto riassumono una<br />

informazione legata alla topografia: α, ad esempio, viene ricavato dal rapporto tra<br />

dislivello percorso e lunghezza massima della valanga;<br />

Fig. 5.2: Schema rappresentante<br />

il significato dei due parametri<br />

topografici alfa e beta.<br />

- il grado di canalizzazione del tracciato che può variare da pendio aperto a<br />

completamente canalizzato, includendo un grado intermedio denominato parzialmente<br />

canalizzato (solo una parte del tracciato non è situata su di un pendio aperto);<br />

- la forma del profilo, questo dato è stato inserito nel caso in cui sia stato creato per la<br />

valanga in esame un profilo topografico. Il dato è un’indicazione su quanto questo<br />

profilo sia regolare, quindi mediamente rettilineo, o irregolare, costituito cioè da salti e<br />

disomogeneità;<br />

- la forma del tracciato, consiste in un’indicazione di quanto il tracciato della valanga si<br />

discosti dall’essere completamente rettilineo. Infatti, soprattutto nel caso in cui la<br />

valanga sia incanalata, il tracciato può essere composto da una serie di curve in<br />

successione;<br />

- l’altezza al distacco, questo dato purtroppo non è sempre stato di facile raccolta.<br />

Molte volte, infatti, i coronamenti si trovavano in zone difficilmente raggiungibili in<br />

sicurezza, quindi sono stati raccolti i dati precisi solamente di 7 valanghe. Per tutte le<br />

altre si è potuta fare una stima relativa, sempre sul terreno ma osservando il<br />

coronamento dal basso. Una ottima base per la stima è stato il riferimento alla neve<br />

116


fresca appena caduta: questa generalmente rappresenta lo spessore minimo della<br />

valanga;<br />

- la tipologia, come spiegato nella parte introduttiva le valanghe possono essere divise<br />

in asciutte e di neve umida, caratteristiche del periodo primaverile. In particolare sono<br />

state registrate valanghe di neve asciutta dall’inizio della stagione invernale in<br />

dicembre fino alla metà di marzo. Dalla metà di marzo fino al 15 di aprile (giorno di<br />

chiusura degli impianti del comprensorio e di fine dell’attività di terreno) le valanghe<br />

sono state di neve umida;<br />

- la presenza di uno strato fluidizzato e la sua lunghezza in metri;<br />

- la presenza di ripresa di neve, che può determinare un incremento della massa della<br />

valanga con conseguenze sulla sua dinamica, e lo spessore della neve ripresa. Questo<br />

dato è stato sia stimato che valutato in maniera precisa con le analisi di dettaglio<br />

all’interno delle trincee;<br />

- la presenza di uno strato duro (hard layer) basale, dato molto importante perché la sua<br />

presenza determina dei risvolti particolarmente interessanti dal punto di vista<br />

dinamico. L’eventuale presenza di questo livello duro è stata verificata nelle analisi di<br />

dettaglio effettuate in trincea. Per le valanghe dove non è stata fatta un’analisi<br />

approfondita, la presenza di questo strato è stata ipotizzata sulla base delle<br />

caratteristiche intrinseche presenti, assimilabili alle valanghe studiate con maggior<br />

attenzione. Nei casi più incerti la presenza di questo elemento come dello strato<br />

fluidizzato e della ripresa è stata indicata nel database con la parola “maybe”.<br />

117


5.2 IL DATABASE <strong>IN</strong> AMBIENTE GIS<br />

Tutti i dati raccolti sul terreno sono stati inseriti in un database in ambiente GIS (fig. 5.3).<br />

Questo, infatti, è un ottimo strumento per la raccolta e la navigazione efficace dei dati, inoltre,<br />

in questo caso, è risultato molto utile anche per avere un’indicazione aggiornata della<br />

situazione valanghiva dell’area in esame.<br />

Fig. 5.3: Nell’immagine è visibile una parte del comprensorio sciistico di Parsenn. In verde e azzurro sono<br />

indicate le valanghe osservate mentre in rosso sono indicati i coronamenti. Con i triangoli gialli sono indicate le<br />

trincee scavate. Infine nella tabella in basso a destra sono presenti le informazioni relative a ciascuna valanga.<br />

All’interno del database ogni valanga è stata rappresentata come un poligono comprendente<br />

l’area di distacco, di scorrimento e di deposito. In particolare si è deciso di comprendere solo<br />

il deposito di tipo denso in modo da poter aggiungere l’eventuale presenza di un deposito<br />

fluidizzato.<br />

Sono anche stati inseriti i coronamenti di tutte le valanghe osservate, in particolare si è deciso<br />

di inserire nel database anche i dati relativi alle valanghe per le quali non è stato possibile<br />

raccogliere informazioni più dettagliate a causa della mancanza di condizioni di sicurezza.<br />

118


La decisione di mantenere questo dato è stata utile sia dal punto di vista della completezza del<br />

database stesso sia per l’individuazione dei siti che hanno dato luogo a più eventi nell’arco<br />

della stagione invernale.<br />

Per le valanghe che sono state studiate più approfonditamente sono state indicate anche le<br />

posizioni esatte delle trincee eseguite. Tutti gli elementi descritti sono collegati ad una serie di<br />

tabelle contenenti i medesimi dati del database in Excel.<br />

119


5.3 ANALISI DI STATISTICA BIVARIATA<br />

La mole di dati raccolta è stata analizzata tramite il programma statistico SPSS con il fine di<br />

trovare eventuali correlazioni bivariate interessanti e significative.<br />

La correlazione bivariata utilizzata è stata quella di Pearson, che è la correlazione standard per<br />

lavori di questo tipo.<br />

I dati inseriti nel programma sono stati quelli relativi, prima di tutto, ai parametri geometrici<br />

delle valanghe e in secondo luogo quelli morfologici dei singoli siti valanghivi: l’area, il<br />

perimetro, la lunghezza, il dislivello percorso, le pendenze delle zone di distacco, scorrimento<br />

ed arresto, e il valore dell’angolo α.<br />

Si è deciso di considerare anche i dati relativi alle caratteristiche del percorso seguito come il<br />

grado di canalizzazione e la forma del tracciato. Questi ultimi due parametri sono stati<br />

trasformati in valori numerici in modo da renderli leggibili dal programma: in particolare è<br />

stato attribuito il valore di 0 per i pendii aperti e i tracciati molto differenti dalla forma<br />

rettilinea, 1 per i tracciati canalizzati e di forma rettilinea e 0.5 per le classi intermedie.<br />

Nell’analisi sono stati considerati anche i valori dell’altezza di neve al distacco e del range<br />

relativo di errore nel caso in cui il valore di altezza al distacco sia stato ipotizzato e non<br />

misurato.<br />

Per quanto riguarda invece la tipologia della valanga, è stato assegnato il valore 1 in caso di<br />

valanghe di neve asciutta e 2 per le valanghe di neve bagnata.<br />

Infine sono stati inseriti i dati relativi alla presenza di strato duro alla base del deposito, dello<br />

strato fluidizzato e della ripresa. Per lo strato duro è stato attribuito il valore 0 in caso di<br />

assenza, 1 in caso di presenza e 0.5 nei casi incerti. Per la ripresa il dato era già numerico<br />

(centimetri di neve) ed è stato affiancato da un range di errore. Per la presenza dello strato<br />

fluidizzato è stato attribuito il valore 0 in caso di assenza, 1 in caso di presenza e 0.5 in caso<br />

di incertezza.<br />

I risultati ottenuti dall’utilizzo del programma statistico sono stati suddivisi, per facilitare le<br />

considerazioni successive, in base ai due diversi tipi di valanghe presenti: di neve asciutta e di<br />

neve umida.<br />

Le correlazioni bivariate ottenute possono essere valide: sia per le valanghe di neve asciutta<br />

che di neve umida, solo per le valanghe di neve umida o solo per le valanghe di neve asciutta.<br />

120


Correlazioni valide per valanghe di neve asciutta e valanghe di neve umida<br />

Variabile Tipo Entità<br />

Perimeter area + xx<br />

Length area + xx<br />

perimeter + xx<br />

Drop area + xx<br />

perimeter + xx<br />

length + xx<br />

Alfa sl_run + xx<br />

sl_dep + xx<br />

I risultati validi per entrambe le tipologie di valanga riguardano principalmente la morfologia<br />

dei vari siti valanghivi. Prima di tutto, e cosa piuttosto intuitiva, è stata individuata una buona<br />

correlazione positiva tra area e perimetro (perimeter), seguita da una buona correlazione della<br />

lunghezza della valanga (length) sia con l’area che con il perimetro.<br />

1000<br />

800<br />

600<br />

400<br />

200<br />

800<br />

700<br />

600<br />

500<br />

400<br />

300<br />

200<br />

100<br />

0<br />

Wet<br />

R 2 = 0,9842<br />

0<br />

0 500 1000 1500 2000<br />

Dry<br />

Lengt h<br />

R 2 = 0,958<br />

0 200 400 600 800 1000 1200 1400<br />

Lengt h<br />

Tab. 5.4: Tabella riassuntiva<br />

delle correlazioni trovate per le<br />

valanghe sia bagnate che asciutte.<br />

Con “Tipo” è indicato se la<br />

correlazione trovata è negativa o<br />

positiva. Mentre in “Entità”sono<br />

riportate con “xx” le variabili con<br />

correlazione significativa al 99%<br />

mentre con “x” le variabili<br />

significative al 95%.<br />

Fig: 5.5: I grafici a fianco<br />

rappresentano la relazione<br />

esistente tra la lunghezza delle<br />

valanghe e il dislivello percorso<br />

per gli eventi di neve umida e di<br />

neve asciutta.<br />

121


L’angolo α risulta essere ben correlato sia con la pendenza della zona di scorrimento (sl_run)<br />

che con la pendenza della zona di deposito (sl_dep).<br />

Il dislivello percorso (drop) risulta avere una buona correlazione con area, perimetro e con la<br />

lunghezza della valanga. Quest’ultima osservazione è piuttosto importante perché dà<br />

un’indicazione sulla distribuzione dei valori dell’angolo α: la pendenza della linea di tendenza<br />

è infatti pari alla tangente di α. Nei grafici in figura 5.5 è possibile notare come la<br />

correlazione tra i due parametri è molto buona (R 2 oltre 0.9). Questo potrebbe far pensare che<br />

esista un unico valore di α in grado di rappresentare nel migliore dei modi la realtà. Però il<br />

valore di R 2 non rappresenta da solo una verifica della bontà della correlazione: sarebbe infatti<br />

necessario eseguire un “goodness of fit test” per valutare se l’ipotesi di correlazione lineare<br />

sia effettivamente valida.<br />

Alfa<br />

Alfa<br />

45,0<br />

40,0<br />

35,0<br />

30,0<br />

25,0<br />

Dry<br />

R 2 = 0,0233<br />

20,0<br />

0 500 1000 1500<br />

Length<br />

Wet<br />

R2 43,0<br />

41,0<br />

39,0<br />

37,0<br />

35,0<br />

33,0<br />

31,0<br />

29,0<br />

27,0<br />

25,0<br />

= 0,0541<br />

60 560 1060 1560<br />

Length<br />

Fig. 5.6: I grafici a fianco<br />

rappresentano la relazione<br />

esistente tra la lunghezza<br />

delle valanghe e il parametro<br />

alfa per gli eventi di neve<br />

umida e di neve asciutta.<br />

E’ bastato però rappresentare la relazione α (length) per vedere che in realtà la correlazione<br />

lineare tra length e drop ottenuta non è ottimale (fig. 5.6). Il motivo va probabilmente<br />

122


icercato nella scarsità di dati presenti. Di conseguenza sarebbe sicuramente interessante<br />

svolgere un’analisi statistica dettagliata con un numero maggiore di dati, raccolti sempre nella<br />

stessa area ma su inverni diversi.<br />

Correlazioni valide solo per le valanghe di neve umida<br />

Variabile Tipo Entità<br />

Sl_run area - xx<br />

perimeter - xx<br />

length - x<br />

sl_rel + x<br />

Sl_dep area - x<br />

sl_run + x<br />

Alfa area - xx<br />

perimeter - xx<br />

length - x<br />

Hard h_rel + xx<br />

Tab. 5.7 Tabella riassuntiva delle<br />

correlazioni trovate solo per le<br />

valanghe di neve umida. Con<br />

“Tipo”è indicato se la correlazione<br />

trovata sia negativa o positiva.<br />

Mentre in “Entità” sono riportate<br />

con “xx” le variabili con<br />

correlazione significativa al 99%<br />

mentre con “x” le variabili<br />

significative al 95%.<br />

Da un punto di vista dinamico per questa tipologia di valanghe è stata individuata una<br />

correlazione negativa piuttosto marcata tra la pendenza della zona di scorrimento (sl_run) e,<br />

rispettivamente, area, perimetro e lunghezza della valanga (length).<br />

Da un punto di vista morfologico la pendenza della zona di scorrimento è risultata correlata,<br />

anche se non in maniera marcata, con la pendenza della zona di distacco (sl_rel), questo<br />

potrebbe essere dovuto al fatto che le due pendenze difficilmente sono completamente<br />

discordanti, anzi risulterebbero avere valori piuttosto simili.<br />

La pendenza della zona di deposito (sl_dep) risulta essere negativamente correlata con l’area<br />

della valanga.<br />

L’angolo α risulta negativamente correlato con area, perimetro e lunghezza della valanga,<br />

quindi le valanghe più grosse sono state caratterizzate da valori piuttosto bassi dell’angolo α .<br />

Nelle analisi è stato evidenziato anche che la pendenza della zona di deposito risulta essere<br />

debolmente correlata con la pendenza della zona di scorrimento. La correlazione è piuttosto<br />

semplice da comprendere in un’area caratterizzata dalla presenza di piccoli coni detritici alla<br />

base dei versanti. In questo caso infatti ci si aspetta che le due pendenze siano simili, inoltre le<br />

123


valanghe piccole che sono state analizzate generalmente si sono fermate sul pendio stesso,<br />

quindi senza una zona di deposito vera e propria caratterizzata da basse pendenze.<br />

La presenza di uno strato duro (hard) per le valanghe di neve umida è strettamente correlata<br />

con l’altezza di neve al distacco (h_rel). Questa è una relazione piuttosto intuitiva visto che,<br />

generalmente, maggiore è la massa di neve presente nel sistema maggiore sarà la probabilità<br />

di avere fusione all’interfaccia manto nevoso – neve in moto. Infatti, con un’altezza di<br />

scorrimento notevole anche gli sforzi di taglio saranno elevati, si avrà quindi una maggior<br />

dispersione di energia con conseguente riscaldamento della neve. Si avrà quindi un fenomeno<br />

di fusione e successivo rigelo dopo il passaggio della valanga. Purtroppo questa relazione nel<br />

nostro caso non è comprovata nel modo migliore dai dati di terreno: i dati raccolti risultano<br />

estremamente incerti per questo aspetto. Certo è però che in inverni precedenti a quello<br />

2005/2006 lo strato duro basale è stato riscontrato anche in grandi valanghe umide,<br />

caratterizzate da una notevole altezza di neve al distacco.<br />

Correlazioni valide solo per le valanghe di neve asciutta<br />

Variabile Tipo Entità<br />

H_rel area + x<br />

perimeter + xx<br />

length + xx<br />

drop + xx<br />

entr_d + xx<br />

Alfa sl_rel + x<br />

Hard area + x<br />

perimeter + xx<br />

length + xx<br />

drop + xx<br />

Entr_d area + x<br />

perimeter + x<br />

h_rel + xx<br />

Fl.Layer drop + x<br />

hard + xx<br />

length + x<br />

Tab. 5.8 Tabella riassuntiva<br />

delle correlazioni trovate solo<br />

per le valanghe asciutte. Con<br />

“Tipo” è indicato se la<br />

correlazione trovata sia negativa<br />

o positiva. Mentre in<br />

“Entità”sono riportate con “xx”<br />

le variabili con correlazione<br />

significativa al 99% mentre con<br />

“x” le variabili significative al<br />

95%<br />

124


Per questa tipologia di valanghe è stata individuata una marcata correlazione tra l’altezza di<br />

neve al distacco (h_rel) e parametri come l’area, il perimetro, la lunghezza della valanga, il<br />

dislivello percorso e la quantità di neve ripresa (entr_d). La correlazione tra “h_rel” e<br />

“entr_d” può essere in parte spiegata dal fatto che un’altezza di neve al distacco notevole di<br />

solito richiede una grande quantità di neve fresca. Essendoci molta neve erodibile si potranno<br />

avere anche grandi quantità di neve ripresa.<br />

L’angolo α risulta essere debolmente correlato con la pendenza della zona di distacco (sl_rel),<br />

mentre non vengono indicate delle correlazioni con la pendenza della zona di scorrimento<br />

(sl_run).<br />

La presenza di uno strato duro (hard) per le valanghe di neve asciutta risulta correlata con<br />

l’area, il perimetro, la lunghezza del corpo valanghivo e il dislivello percorso. Queste<br />

relazioni testimoniano il fatto che la formazione di uno strato duro necessita una grande<br />

dissipazione di energia, che solo un corpo valanghivo di grandi dimensioni può dare.<br />

Anche il valore dell’altezza al distacco sarebbe in teoria significativo anche se, essendo al<br />

limite dell’intervallo di validità standard del metodo, non viene segnalato.<br />

Lo spessore di neve ripresa (entr_d) risulta in debole correlazione con area e perimetro, anche<br />

se intuitivamente si potrebbe pensare ad una relazione molto più stretta nella realtà. Questo<br />

perché certi eventi con caratteristiche al limite di validità tendono ad abbassarne la<br />

probabilità. Lo spessore di neve ripreso risulta anche molto correlato con la quantità di neve<br />

presente al distacco, come precedentemente analizzato.<br />

La presenza dello strato fluidizzato (fl.layer), tipico delle valanghe di neve asciutta, risulta<br />

essere connesso con la presenza di uno strato duro, anche se i due aspetti non è detto siano in<br />

rapporto di causa-effetto diretto. Il significato di questo risultato sta nel fatto che molte delle<br />

valanghe in cui è stato riscontrato uno strato fluidizzato presentavano anche uno strato duro. Il<br />

campione risulta però essere limitato per fare simili conclusioni.<br />

Dai risultati delle analisi statistiche anche il dislivello percorso e la lunghezza del corpo<br />

valanghivo sembrano leggermente correlati con la presenza dello strato fluidizzato.<br />

125


5.4 CONCLUSIONI DELL’ANALISI STATISTICA SULLA BASE DELLE<br />

OSSERVAZIONI SUL CAMPO<br />

Durante la stagione invernale 2005/2006 è stato osservato un numero notevole di eventi<br />

valanghivi, concentrati prevalentemente nell’area di Parsenn. Generalmente le valanghe sono<br />

state medio piccole, con alcuni casi più rilevanti (Rüchitobel, Dischma, Drusatscha,<br />

Gotschnawang, Sertig).<br />

L’obiettivo fondamentale del lavoro di terreno è stata la raccolta del maggior numero di dati<br />

possibile sugli eventi valanghivi avvenuti durante la stagione invernale. Il lavoro è stato<br />

svolto effettuando una raccolta dettagliata dei principali parametri geografici, geometrici e<br />

tipologici degli eventi osservati, correlata da analisi approfondite effettuate in corrispondenza<br />

dei depositi.<br />

L’attenzione è stata principalmente concentrata sulla raccolta di dati dettagliati relativi alle<br />

valanghe caratterizzate dalla presenza di uno strato fluidizzato e da evidenze di ripresa di<br />

neve. Questi due elementi, messi in evidenza dagli esperimenti nei siti sperimentali, sono<br />

importanti descrittori della dinamica interna della valanga, e presentano conseguenze<br />

importanti anche dal punto di vista della pianificazione territoriale.<br />

La ripresa di neve è stata osservata praticamente in tutti gli eventi, anche se in alcuni casi non<br />

è stato possibile controllare mediante un’analisi di maggior dettaglio. Generalmente l’entità<br />

della ripresa ha interessato un range compreso tra una decina di centimetri ed il metro per i<br />

casi più notevoli (Dischma e Sertig).<br />

Per quanto riguarda invece lo strato fluidizzato, questo è stato individuato con sicurezza in 12<br />

valanghe, 10 delle quali analizzate con maggior dettaglio. In alcuni casi, dove erano<br />

disponibili delle misure della densità del deposito, è stato possibile stimare le masse della<br />

componente densa e di quella fluidizzata, con lo scopo di valutare la percentuale di<br />

quest’ultima rispetto alla massa totale.<br />

- Parsennhütte (# 5): in questa valanga del 19 dicembre 2005 lo strato fluidizzato è stato<br />

individuato in zona frontale. La fronte del deposito denso risulta essere molto netta e la<br />

parte fluidizzata è molto più lunga e stretta del resto del deposito della valanga. Il<br />

deposito fluidizzato, che ha registrato spessori pari ad una ventina di centimetri, è stato<br />

stimato circa di 150 m 3 di neve, mentre il deposito denso, di 50 cm di spessore, ha avuto<br />

un volume di circa 1200 m 3 di neve (fig. 5.9)<br />

La parte fluidizzata risulta essere stata quindi il 5-10% del totale.<br />

126


Fig. 5.9 La valanga del 19<br />

dicembre della Parsennhütte.<br />

Nell’immagine sono presenti<br />

i limiti del deposito denso (in<br />

rosso) e del fluidizzato (in<br />

arancione).<br />

- Schwarzhorn (# 12): questa valanga del 19 dicembre 2005 ha interessato un sito<br />

caratterizzato dalla stessa esposizione del sito precedente. Il deposito dello strato<br />

fluidizzato risulta essere poco spesso e con palle di neve di circa una decina di centimetri<br />

di diametro.<br />

- Chleinschiahorn (# 13): la quantità di neve che ha formato questa valanga del 19<br />

dicembre 2005 non è stata tale da formare un deposito fluidizzato vero e proprio ma ha<br />

lasciato evidenti segni della presenza di una nuvola polverosa che ha depositato materiale<br />

anche sui tronchi degli alberi.<br />

Fig. 5.10: La valanga del<br />

Salezerhorn del 16 gennaio<br />

200<strong>6.</strong> Nell’immagine sono<br />

evidenziati i limiti del<br />

deposito denso (rosso) e di<br />

quello fluidizzato<br />

(arancione). In basso a<br />

destra è inoltre ben evidente<br />

il ridge che ha bloccato il<br />

moto della valanga<br />

127


- Salezerhorn (# 3): lo strato fluidizzato di questa valanga del 16 gennaio è stato piuttosto<br />

contenuto. Il moto della massa nevosa è stato interrotto da un piccolo rilievo che si trova<br />

subito alla base del pendio, di conseguenza lo strato fluidizzato non ha potuto espandersi<br />

eccessivamente (fig. 5.10).<br />

- Rüchitobel (# 14): in questa valanga, datata 18 gennaio, il deposito dello strato<br />

fluidizzato è stato rinvenuto sia lateralmente al canale, dove peraltro la ripresa di neve è<br />

stata piuttosto accentuata, sia nella parte frontale. Lo strato fluidizzato aveva una velocità<br />

notevole per determinare le compattazioni della neve posta sul lato del canale (fig. 5.11),<br />

inoltre l’erosione è chiaramente visibile fino a 10 m al di sopra del margine del canalone.<br />

Il deposito denso è stato stimato di circa 4000 tonnellate mentre quello fluidizzato di sole<br />

44 tonnellate. Quest ultimo ha costituito quindi circa l’1% del totale.<br />

Un’ulteriore analisi è stato il calcolo delle velocità della componente densa e di quella<br />

fluidizzata. Visto che il tracciato del sito valanghivo è marcatamente curvilineo, è stato<br />

possibile valutarne il raggio di curvatura. In particolare è stato proposto un valore pari a<br />

400 m.<br />

Deposito fluidizzato<br />

Deposito denso<br />

Fig. 5.11: La valanga del<br />

Ruchitobel del 18 gennaio<br />

200<strong>6.</strong> Nell’immagine sono<br />

indicate le due tipologie di<br />

deposito.<br />

128


La velocità delle due parti è stata stimata tramite la formula:<br />

v =<br />

Δh<br />

r ⋅ g ⋅ tg(<br />

)<br />

b<br />

dove:<br />

r = raggio di curvatura del tracciato;<br />

g = accelerazione di gravità;<br />

Δh = differenza di altezza tra la traccia del flusso all’interno e all’esterno della curva<br />

del tracciato;<br />

b = larghezza canale;<br />

La velocità della componente fluidizzata è stata stimata tra 28-38 m/s, mentre quella della<br />

densa pari a circa 14 m/s.<br />

- Gotschnawang (# 15): nella valanga di fine gennaio 2006 è stato individuato uno strato<br />

fluidizzato di 25 m posizionato però non omogeneamente al fronte ma concentrato in due<br />

parti distinte. Il deposito denso è stato stimato pari a circa 3000 tonnellate contro le 100 di<br />

quello fluidizzato. Quest’ultimo ha costituito solamente il 3-5% della massa totale (fig.<br />

5.12).<br />

Deposito fluidizzato<br />

Deposito denso<br />

Fig. 5.12: La valanga del<br />

Gotschnawang di fine<br />

gennaio 200<strong>6.</strong> Nell’immagine<br />

sono indicate le due tipologie<br />

di deposito.<br />

129


- Parsennfurgga (# 21): il sito di questa valanga del 22 gennaio è caratterizzato dalla<br />

presenza di un dosso di circa 5 m di altezza. La presenza di questo ostacolo ha<br />

determinato la divisione del flusso in due parti: la componente densa, infatti, non avendo<br />

una notevole velocità, non è riuscita a scavalcarlo, aggirandolo quindi alla base; la<br />

componente fluidizzata invece, avendo una velocità maggiore lo ha oltrepassato lasciando<br />

tracce evidenti (fig. 5.13).<br />

Anche in questo caso, è stato sfruttato il tracciato curvilineo del sito (raggio di curvatura<br />

di circa 90 m), per calcolare la velocità della parte fluidizzata. Con la formula<br />

precedentemente utilizzata per la valanga del Rüchitobel è stata stimata una velocità di 17<br />

m/s per la parte fluidizzata. La densa, non essendo riuscita ad oltrepassare l’ostacolo,<br />

sicuramente era caratterizzata da una velocità minore.<br />

Fig. 5.13: La valanga del Parsennfurgga<br />

del 22 gennaio. Il deposito denso è<br />

evidenziato con il tratteggio rosso mentre<br />

il fluidizzato con il tratteggio arancione.<br />

- Drusatscha (# 33): in questa valanga del 14 febbraio, a quota 1850 m, la parte fluidizzata<br />

si è sviluppata per 10 m lateralmente al deposito denso. Il deposito fluidizzato, infatti, ha<br />

interessato un’area maggiore rispetto a quello denso; ciò è ben visibile anche nella zona<br />

finale di arresto (fig. 5.14). La parte densa del deposito della valanga è stata stimata di<br />

circa 7500 m 3 , con una densità media di 390 kg/m 3 , per un totale di 2500-3000 tonnellate<br />

circa. La parte fluidizzata della valanga è stata stimata di circa 2000-3000 m 3 , con una<br />

130


densità di 350 kg/m 3 , per un totale di circa 600-1000 tonnellate. Il deposito fluidizzato<br />

costituiva quindi il 30% circa del totale delle masse in gioco.<br />

Fig. 5.14: La valanga<br />

del Drusatscha del 14<br />

febbraio. Nell’immagine<br />

sono evidenziati i due<br />

depositi. Rosso (denso) e<br />

fluidizzato (arancione).<br />

- Val Sertig (# 34): nella valanga della Val Sertig (21/2) la componente fluidizzata non era<br />

ben visibile come in molti casi precedenti. Infatti, non c’è stato un vero e proprio deposito,<br />

ma solamente delle piccole palle di neve che, scagliate in avanti dal flusso, sono state<br />

rinvenute fino a 30 m oltre il limite del deposito denso (fig. 5.15). Le due componenti<br />

della valanga sono, in questo caso, rappresentate in maniera estremamente differente:<br />

mentre il deposito fluidizzato ha coperto un’area piuttosto ristretta, il deposito denso ha<br />

interessato una zona di più di 130 m 2 . Di conseguenza, il deposito fluidizzato ha costituito<br />

solamente l’1% della massa totale.<br />

Fig. 5.15: Nella foto è visibile la<br />

componente fluidizzata della<br />

valanga della Val Sertig. In questo<br />

caso questa parte della valanga si<br />

riduce solamente a delle piccole<br />

palle di neve scagliate in avanti<br />

dal flusso fino ad una distanza di<br />

30 m dalla fronte del deposito<br />

denso.<br />

131


- Val Dischma (# 42): nella valanga che il 10 marzo 2006 ha interessato la Val Dischma la<br />

componente fluidizzata ha interessato solo alcune parti dell’ampio fronte (1,5 km).<br />

Nonostante non fosse presente su tutto il fronte, la componente fluidizzata è stata piuttosto<br />

rilevante: ci sono state testimonianze della risalita della stessa lungo il versante opposto<br />

con deposizione fino a 50 cm di neve. Inoltre, gli impatti di questa parte della valanga<br />

hanno determinato, oltre che un deposito di neve sulla parte sovraflusso dei tronchi<br />

d’albero, anche uno scortecciamento di molti di questi. Infine, in corrispondenza di alcune<br />

abitazioni del fondovalle sono stati registrati sollevamenti di pneumatici per jeep e di<br />

intere balle di fieno. Per poter fare questi danni, la velocità della componente fluidizzata<br />

probabilmente si aggirava intorno ai 20-25 m/s, di conseguenza le pressioni di impatto<br />

dinamiche che si sarebbero potute registrare sarebbero state nell’ordine di circa 6 kPa,<br />

mentre le pressioni di impatto delle singole palle di neve raggiungevano probabilmente<br />

qualche centinaio di kPa (fig. 5.16).<br />

Un bilancio delle masse in gioco in questa valanga non è stato purtroppo fattibile: le aree<br />

interessate da deposizione densa e da deposizione fluidizzata non apparivano ben chiare.<br />

Se si volesse dare una stima estremamente soggettiva, si potrebbe dire che, data la grande<br />

quantità di neve che ha costituito il deposito denso, il deposito fluidizzato probabilmente<br />

ha rappresentato solamente un 5% massimo del totale.<br />

Fig. 5.16: La valanga della Val Dischma del<br />

10 marzo. A sinistra è ben visibile la<br />

componente polverosa della valanga, mentre<br />

sotto il deposito denso è evidenziato con la<br />

linea tratteggiata rossa. (Foto: B. Teufen)<br />

132


Il lavoro di terreno è stato pianificato in modo da avere anche la possibilità di analizzare<br />

liberamente i depositi alla ricerca di elementi interessanti non ancora noti.<br />

Così facendo, fin dalle prima valanghe è stata osservata la presenza di uno strato particolare<br />

alla base dei depositi valanghivi, fenomeno che è stato poi ricercato in ogni valanga analizzata<br />

più approfonditamente. Questo strato, chiamato “strato duro” o hard layer, è caratterizzato da<br />

uno spessore che va da 1 a 10 centimetri circa e da una durezza maggiore rispetto al resto del<br />

deposito (a volte era possibile scalfirlo solamente con una matita appuntita o una lama<br />

d’acciaio).<br />

Durante l’inverno, è stato riscontrato con sicurezza in 7 valanghe :<br />

- Rüchitobel (# 14): lo strato duro in questa valanga del 19 gennaio è stato individuato un<br />

po’ ovunque fino alla parte alta del canalone, anche al di sotto del deposito fluidizzato. Lo<br />

spessore dello strato è risultato più elevato intorno a quota 2030 m dove faceva segnare i<br />

10-15 cm di spessore (fig. 5.17). Verso il deposito della valanga, lo strato duro diventava<br />

molto più sottile con la tendenza a scomparire, ma era ancora chiaramente visibile nelle<br />

trincee scavate in corrispondenza del bosco.<br />

Fig. 5.17: Nell’immagine è<br />

ben visibile lo strato duro<br />

(evidenziato dal retino<br />

arancione) presente tra<br />

due depositi valanghivi. Lo<br />

strato, spesso tra i 10 e i 15<br />

cm si trova alla base del<br />

deposito della valanga del<br />

19 gennaio. Sotto lo strato<br />

in arancione si trova il<br />

deposito di un evento<br />

precedente.<br />

- Gotschnawang (# 15-41): il sito è stato interessato da due principali eventi valanghivi: il<br />

primo il 20 gennaio e il secondo il 15 marzo. Nella valanga di gennaio, lateralmente e alla<br />

fronte del deposito, sono stati rinvenuti 10 cm di strato duro, con densità che<br />

raggiungevano i 400 kg/m 3 . La presenza dello strato duro nella parte laterale del deposito<br />

è un’eccezione attribuita alla forte compressione esercitata dalla massa nevosa sulla zona<br />

133


morfologicamente sopraelevata sulla quale è stata costruita la stazione intermedia della<br />

funivia.<br />

Durante le analisi della valanga di marzo sono stati rinvenuti, in una trincea al fronte, fino<br />

a tre depositi intervallati da due strati duri, di spessore leggermente minore rispetto alla<br />

valanga di gennaio (fig. 5.18)<br />

Fig. 5.18: Trincea scavata nel<br />

deposito della valanga del<br />

Gotschnawang del 15 marzo. Con<br />

i retini sono evidenziati i due hard<br />

layer presenti che separano 3<br />

depositi di altrettante valanghe<br />

che hanno interessato il sito.<br />

Fig. 5.19: Trincea scavata nel<br />

deposito della valanga della<br />

Parsennfurgga del 22 gennaio.<br />

Lo strato duro è evidenziato<br />

con il retino arancione.<br />

134


- Parsennfurgga (# 21): lo strato duro di 3 cm di spessore (fig. 5.19), di questa valanga del<br />

22 gennaio, è stato rinvenuto al di sotto di 35 cm di deposito. Probabilmente questo strato<br />

duro si è formato poco al di sotto della zona di distacco, ma a causa delle condizioni di<br />

sicurezza non favorevoli non è stato possibile controllare.<br />

- Drusatscha (# 33): nella trincea ampia 11 m, scavata in questa valanga del 13 febbraio, è<br />

stato trovato uno strato duro di qualche centimetro (fig. 5.20). Nelle altre trincee lo strato<br />

duro non è stato più individuato perché scavate nella zona di deposito caratterizzata da una<br />

maggior compattazione che ha obliterato completamente la struttura.<br />

Fig. 5.20: Trincea scavata<br />

nel deposito della valanga<br />

del Drusatscha del 13<br />

febbraio. Lo strato duro è<br />

evidenziato con il retino<br />

arancione.<br />

- Val Sertig (# 34): lo strato duro creatosi nella valanga del Sertig del 20 febbraio era<br />

talmente resistente da poter sorreggere il peso di un uomo in piedi (fig. 5.21). In certi punti<br />

lo strato duro era chiaramente visibile, mentre in altri la forza della massa nevosa l’ha<br />

completamente eroso e cancellato. Lo strato duro termina una trentina di metri prima della<br />

fine del deposito.<br />

- Val Dischma (# 42): nella gigantesca valanga della Val Dischma, caduta il 10 marzo, lo<br />

strato duro rinvenuto ammonta solamente a 2-3 cm di spessore (fig. 5.22). Nonostante le<br />

dimensioni della valanga siano considerevoli rispetto ad esempio alla valanga precedente,<br />

non c’è stata la formazione di un potente strato duro. Probabilmente questo è dovuto al<br />

fatto che la neve della valanga della Val Sertig era molto meno fredda, trovandosi su di un<br />

versante esposto ad ovest.<br />

135


Fig. 5.21: Nell’immagine è<br />

evidente l’hard layer creatosi<br />

durante la valanga della Val<br />

Sertig.<br />

Fig. 5.22: Evidenze dello strato<br />

duro formatosi durante la valanga<br />

della Val Dischma del 10 marzo.<br />

Per concludere dall’osservazione dei casi sopra descritti si può affermare che, in generale,<br />

quando la valanga è stata in grado di esercitare una forza notevole lo strato duro è stato<br />

effettivamente rinvenuto.<br />

Le correlazioni ottenute con l’analisi statistica, che legavano la presenza di uno strato duro<br />

alle dimensioni e all’altezza di neve al distacco, sono sostenute dalle osservazioni effettuate<br />

sul campo.<br />

L’unica valanga che non risulta completamente simile alle caratteristiche indicate è quella<br />

della Parsennfurgga, di dimensioni decisamente minori delle altre. Probabilmente però non<br />

sono solo le dimensioni a determinare la creazione di uno strato duro, visto che una struttura<br />

di questo tipo è stata osservata anche negli esperimenti a piccola scala effettuati sulle<br />

canalette sperimentali (fig. 5.23) che generano valanghe corte, strette e con poco dislivello<br />

(Tiefenbacher, Kern, 2003).<br />

136


Fig. 5.23: Vista laterale dello<br />

chute del Weissflujoch<br />

(Davos). La canaletta è qui<br />

inclinata di 45°.<br />

La formazione dello strato duro potrebbe, quindi, essere strettamente connessa agli sforzi in<br />

gioco nelle zone di taglio in caso di attrito elevato. Infatti nelle canalette lo strato duro è stato<br />

osservato negli esperimenti in cui era stata posta una base di neve compattata al di sopra del<br />

quale doveva fluire la “valanga”.<br />

Nella zona di taglio infatti si determina una dissipazione elevata con conseguente generazione<br />

di calore. Dopo il passaggio della valanga lo strato fuso rigela e forma quindi lo strato duro.<br />

Probabilmente sono anche la temperatura della valanga e del manto nevoso indisturbato ad<br />

entrare in gioco nel sistema.<br />

Lo strato duro così creatosi è più probabilmente composto da neve che fa parte del manto<br />

nevoso al di sopra del quale la valanga sta scorrendo. Nonostante questo, nella zona di taglio<br />

creatasi, sicuramente a sciogliersi saranno sia il fondo della valanga che la superficie del<br />

manto nevoso indisturbato.<br />

Interessante sarebbe verificare se l’eventuale presenza di acqua di fusione all’interfaccia<br />

valanga - manto possa creare un effetto tipo aquaplaning. Ciò che crea attrito e che dà l’input<br />

alla formazione dello strato duro è la fronte della valanga, di conseguenza le parti che<br />

eventualmente potrebbero subire un’accelerazione sono la coda o le eventuali ondate<br />

secondarie.<br />

Oltre ai risultati ottenuti con SPSS e precedentemente descritti, sono state fatte altre<br />

osservazioni interessanti.<br />

137


Nel grafico in fig. 5.24 sono stati rappresentati i dati relativi sia alle valanghe di neve umida<br />

che alle valanghe asciutte. Sull’asse delle ordinate sono presenti tre valori: lo zero corrisponde<br />

all’assenza di strato duro, l’uno alla presenza probabile di strato duro, mentre il due alla<br />

presenza certa. Nonostante la dispersione dei dati, si può notare una tendenza che indica<br />

l’aumentare della probabilità di avere uno strato duro nel caso di grandi valanghe asciutte. Per<br />

quanto riguarda le valanghe di neve umida, nella stagione invernale 2005/2006 non è stata<br />

osservata direttamente la presenza di questa struttura. Probabilmente solo nel caso della<br />

valanga del Breitzug del 16 marzo lo strato era presente. A causa dei problemi legati alla<br />

logistica e alla sicurezza del sito non è stato possibile investigare il deposito con attenzione.<br />

Infatti questa valanga, che ricorre anche più volte all’interno della stessa stagione invernale,<br />

era già stata caratterizzata dalla presenza di strati duri nelle passate stagioni invernali.<br />

Hard Layer<br />

2<br />

1<br />

Wet & Dry<br />

0<br />

0 200 400 600 800<br />

Length<br />

1000 1200 1400 1600<br />

Fig. 5.24: Grafico rappresentante la relazione esistente tra la presenza dello strato duro e la lunghezza<br />

della valanga. In verde sono rappresentati i dati relativi alle valanghe umide mentre in blu quelli relativi<br />

alle valanghe di neve asciutta.<br />

Nel grafico in fig. 5.25 è stata rappresentata la relazione tra l’entità dello strato fluidizzato,<br />

presente nelle valanghe di neve asciutta, e l’altezza di neve al distacco. In ordinata sono<br />

presenti quattro valori: con zero sono indicati gli eventi che non hanno originato uno strato<br />

fluidizzato, con uno gli eventi caratterizzati da una probabile presenza (difficile da distinguere<br />

con il deposito denso e caratterizzato da piccole lunghezze), con due gli eventi con uno strato<br />

fluidizzato di lunghezze ridotte (da 10 a 25 m), con tre di lunghezza media (da 25 a 50 m di<br />

lunghezza) e con quattro di lunghezza notevole (fino ad 80 m di lunghezza).<br />

Sebbene i dati non siano molto concentrati (seppur numerosi, il totale dei dati risulta appena<br />

accettabile per delle analisi di questo tipo), la tendenza generale risulta piuttosto chiara: con<br />

una altezza di neve al distacco rilevante le dimensioni della valanga saranno maggiori, e<br />

maggiore sarà anche lo strato fluidizzato.<br />

Dry<br />

Wet<br />

138


Quello che però rimane ancora piuttosto oscuro è cosa determini la formazione di strati<br />

fluidizzati molto diversi in valanghe caratterizzate dalle stesse dimensioni, e quindi cosa<br />

determini la formazione di strati fluidizzati di grandi o piccole dimensioni. Durante le analisi<br />

di terreno, su valanghe di dimensioni importanti, sono stati osservati sia strati fluidizzati<br />

molto limitati (valanga della Val Sertig) che di dimensioni notevoli (nella valanga della Val<br />

Dischma con una lunghezza di 80 m).<br />

Fluidized Layer<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

Dry<br />

0<br />

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00 1,20<br />

H Release<br />

dry<br />

Lineare (dry)<br />

Fig. 5.25: Grafico rappresentante la correlazione tra le dimensioni dello strato fluidizzato e l’altezza di<br />

neve al distacco per le valanghe di neve asciutta. In rosso è presente la retta di interpolazione lineare.In<br />

ordinata con “0” è indicata l’assenza di strato fluidizzato, con “1”gli eventi con una probabile presenza,<br />

con “2” gli eventi con uno strato fluidizzato di lunghezze ridotte (da 10 a 25 m), con “3” di lunghezza<br />

media (da 25 a 50 m di lunghezza) e con “4”di lunghezza notevole (fino ad 80 m di lunghezza).<br />

Nel grafico di fig. 5.26 è visibile la relazione tra la tipologia di valanga analizzata e l’angolo α<br />

correlato. In particolare le valanghe di neve asciutta sono indicate con il numero uno, mentre<br />

quelle di neve umida con il numero due. Come si può facilmente leggere dal grafico, le<br />

valanghe di neve asciutta coprono un range di valori di α compreso tra i 21,8° e i 40° mentre<br />

le valanghe di neve umida tra i 26,6° e i 40,6°. Le medie corrispondono per la prima tipologia<br />

di valanghe a 29,8° mentre per la seconda a 34,7°. Ci sono quindi ben 5° di differenza tra le<br />

due. Questo tipo di osservazione risulta piuttosto importante nella pratica: data una valanga di<br />

ridotte dimensioni della quale si hanno pochissime informazioni, si potrà dire, con un’analisi<br />

di questo tipo, che al 90% non avrà una distanza di arresto superiore a quella relativa<br />

all’angolo alfa corrispondente. Queste conclusioni possono però essere fatte solo nel caso in<br />

cui il campione sia composto da eventi estremi, mentre il nostro campione è composto da<br />

valanghe di cui non si conoscono i tempi di ritorno. Sarebbe quindi interessante protrarre uno<br />

studio di questo tipo su un numero maggiore di anni.<br />

139


Nei grafici in fig. 5.27 sono stati creati degli istogrammi di frequenza relativi ai valori di α,<br />

creando 10 classi diverse. Gli istogrammi confermano la tendenza visibile nel grafico<br />

precedente (fig. 5.26): le valanghe di neve asciutta sono caratterizzate dall’avere dei valori di<br />

alfa più bassi rispetto a quelle di neve umida. In particolare la classe di valori meglio<br />

rappresentata per questo tipo di valanghe è quella compresa tra i 29 e i 31°.<br />

f<br />

f<br />

12<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

45,0<br />

40,0<br />

35,0<br />

30,0<br />

25,0<br />

20,0<br />

15,0<br />

10 ,0<br />

5,0<br />

Wet & Dry<br />

0,0<br />

0 1 2<br />

Type<br />

Dry<br />

21-23 23-25 25-27 27-29 29-31 31-33 33-35 35-37 37-39 39-41<br />

classi<br />

Wet<br />

21-23 23-25 25-27 27-29 29-31 31-33 33-35 35-37 37-39 39-41<br />

classi<br />

Fig. 5.26: Grafico rappresentante la<br />

distribuzione dei valori dell’angolo alfa in<br />

relazione con la tipologia della valanga.<br />

Con 1 sono indicate le valanghe di neve<br />

asciutta mentre con 2 quelle di neve<br />

umida. In rossa è evidenziato il valor<br />

medio.<br />

Fig. 5.27: Grafici della<br />

frequenza delle diverse<br />

classi dell’angolo alfa.<br />

140


Al contrario, le valanghe di neve umida risultano avere, come meglio rappresentata, la classe<br />

di valori di alfa compresa tra 35 e 37 gradi.<br />

Nel grafico in fig. 5.28 è stata rappresentata la relazione tra l’angolo α e l’altezza di neve al<br />

distacco. Nel diagramma sono rappresentati in verde i dati relativi alle valanghe di neve<br />

umida mentre in blu i dati relativi alle valanghe di neve asciutta. Ciascun dato è caratterizzato<br />

da due barre nere che corrispondono all’incertezza relativa alle altezze al distacco che, come<br />

già detto, sono state per la grande maggioranza dei casi, stimate. Infine in arancione è<br />

rappresentata la retta di interpolazione lineare relativa ai dati delle valanghe di neve umida,<br />

mentre in rosso quella relativa alle valanghe di neve asciutta.<br />

alfa<br />

45,0<br />

40,0<br />

35,0<br />

30,0<br />

25,0<br />

Wet & Dry<br />

y = -8,7624x + 38,578<br />

R 2 = 0,0611<br />

y = -7,2456x + 33,815<br />

R 2 = 0,1195<br />

20,0<br />

0,00 0,20 0,40 0,60<br />

H Release<br />

0,80 1,00 1,20<br />

Dry<br />

Wet<br />

Lineare (Wet)<br />

Lineare (Dry)<br />

Fig. 5.28: Grafico<br />

rappresentante la relazione<br />

esistente tra l’angolo alfa e<br />

l’altezza di neve al distacco. In<br />

verde sono rappresentati i dati<br />

relativi alle valanghe di neve<br />

umida con la corrispondente<br />

linea di tendenza in arancione.<br />

In blu i dati relativi alle<br />

valanghe di neve asciutta con la<br />

corrispondente linea di<br />

tendenza in rosso. Infine, nei<br />

riquadri gialli sono evidenziate<br />

le rette delle equazioni e i<br />

valori di R 2 .<br />

Come si può vedere dal grafico, in corrispondenza dei valori di R 2 e delle equazioni delle<br />

rette, i dati del campione sono caratterizzati da un problema di fondo. In generale si può<br />

osservare una conferma a quello che è comunemente ritenuto cioè che maggiore sarà la<br />

quantità di neve al distacco minore sarà l’angolo α, cioè la valanga andrà più lontano. Il<br />

141


problema del nostro campione è che le misure delle altezze sono estremamente imprecise, di<br />

conseguenza i valori di R 2 risultano estremamente bassi. Per effettuare eventuali analisi ed<br />

osservazioni future non bisognerà quindi sottovalutare l’importanza di avere dei dati il più<br />

precisi possibile riguardo alle altezze di neve al distacco.<br />

142


<strong>6.</strong> <strong>UTILIZZO</strong> <strong>DEI</strong> <strong>DATI</strong> <strong>IN</strong> <strong>UN</strong> <strong>MODELLO</strong> <strong>2D</strong>: Ramms<br />

<strong>6.</strong>1 LA MODELLISTICA APPLICATA ALLE VALANGHE DI NEVE<br />

Le valanghe sono un fenomeno piuttosto complesso da analizzare a causa di tutti i processi<br />

che le caratterizzano. Nonostante questo la ricerca in questo campo è sempre stata piuttosto<br />

attiva ed ha prodotto un grande numero di modelli per i diversi tipi di regimi presenti.<br />

Esistono due principali tipi di approcci al calcolo delle valanghe: i modelli di tipo empirico e i<br />

modelli di dinamica (o fisico-matematici).<br />

I modelli empirici si basano prevalentemente su elaborazioni statistiche di dati relativi ad<br />

eventi valanghivi storici e non riguardano la fisica del fenomeno. Questo tipo di approccio<br />

consente esclusivamente la stima della distanza di arresto di una valanga.<br />

I modelli di dinamica descrivono i processi fisici in una valanga durante il suo movimento,<br />

grazie a dei sistemi di equazioni è possibile descrivere la dinamica del fenomeno dal distacco<br />

all’arresto e di avere una caratterizzazione più completa delle proprietà del fenomeno.<br />

I modelli di dinamica sono principalmente di due tipi, a seconda del tipo di valanga da<br />

analizzare. Per le valanghe di neve densa si hanno due classi principali: un approccio puntuale<br />

che schematizza il moto di una valanga con il moto del suo centro di massa e un approccio<br />

continuo che simula la valanga utilizzando le equazioni che governano il moto dei fluidi<br />

incomprimibili.<br />

Per le valanghe polverose si utilizzano degli approcci differenti rispetto a quelli per le<br />

valanghe dense. In letteratura esistono sia modelli monofase che modelli bifase, ma un<br />

approccio intermedio è quello di considerare due bilanci di massa separati per la parte<br />

aeriforme e per la parte polverosa, ma un solo bilancio della quantità di moto per il miscuglio.<br />

<strong>6.</strong>1.1 Modelli a centro di massa<br />

I modelli a centro di massa sono basati sull’ipotesi di poter analizzare la dinamica di una<br />

valanga attraverso lo studio del moto del suo baricentro, lungo una traiettoria ben definita<br />

rappresentata dal profilo longitudinale del pendio.<br />

L’equazione a cui fanno riferimento questi modelli è la legge della conservazione della<br />

quantità di moto:<br />

143


dove:<br />

M(t) è la massa complessiva della valanga in ogni istante;<br />

V(t) è la velocità istantanea del baricentro della massa nevosa;<br />

Fext(t) è la risultante delle forze esterne agenti sulla valanga.<br />

Tra i modelli a centro di massa si trovano il modello PCM (Perla et al. 1980) ed il modello di<br />

Voellmy e Salm (1955, 1966, 1968, 1993).<br />

Il modello PCM può essere utilizzato per calcolare la velocità della valanga lungo il profilo<br />

longitudinale del pendio e la distanza di arresto ed è basato sull’equazione di conservazione<br />

della quantità di moto.<br />

Il modello di Voellmy e Salm parte invece dal presupposto che il moto della valanga sia<br />

riconducibile al moto turbolento stazionario delle correnti idrauliche nei canali a pelo libero.<br />

La valanga è quindi paragonata nella zona di scorrimento ad un fluido incomprimibile in<br />

condizioni stazionarie. La geometria reale del pendio viene molto semplificata, con il<br />

tracciamento di due tratti, a pendenza costante, rappresentativi della zona di scorrimento e di<br />

arresto. Così facendo, nel primo tratto verrà utilizzato un approccio di tipo fluidodinamico al<br />

fine di valutare la massima velocità raggiunta dalla valanga, mentre nella zona di arresto viene<br />

determinato il punto di arresto ritenendo il suo moto simile a quello di un corpo rigido.<br />

Nella zona di scorrimento viene infatti ipotizzato che la valanga raggiunga una condizione di<br />

moto a regime caratterizzata da una velocità limite.<br />

La velocità massima è espressa dalla formula:<br />

dove:<br />

ξ è il coefficiente di attrito turbolento;<br />

hs è l’altezza di scorrimento;<br />

θs è l’inclinazione del pendio nella zona di scorrimento;<br />

μ è il coefficiente di attrito coulombiano.<br />

L’analisi dell’arresto della valanga è effettuata con riferimento al moto decelerato di un corpo<br />

rigido su di un tratto a pendenza costante, corrispondente a quella scelta per descrivere la zona<br />

di arresto del pendio. La valutazione della distanza di arresto è quindi fatta con un bilancio<br />

energetico dove il lavoro delle forze interne resistive (attrito turbolento e coulombiano) dovrà<br />

uguagliare la diminuzione di energia cinetica e potenziale.<br />

La distanza di arresto risulterà quindi uguale a:<br />

144


dove:<br />

Vs è la velocità precedentemente calcolata;<br />

ξ è il coefficiente di attrito turbolento;<br />

μ è il coefficiente di attrito coulombiano;<br />

θa è l’inclinazione del pendio nella zona di arresto;<br />

hm è l’altezza media dei depositi.<br />

Come si può notare dalle formule sopra scritte il modello di Voellmy Salm è basato su due<br />

parametri di attrito: il parametro di attrito turbolento (ξ) e il parametro di attrito coulombiano<br />

(μ). Questi sono detti parametri di taratura e vincolano i risultati del calcolo. Originariamente<br />

si è tentato di dare un significato fisico ai due parametri, in particolare ξ dovrebbe<br />

rappresentare l’attrito generato dai vortici turbolenti provocati dalle asperità del terreno<br />

mentre μ dovrebbe rappresentare il coefficiente di proporzionalità tra la forza normale e la<br />

forza di taglio generate dalla valanga sulla superficie di scorrimento.<br />

Questi parametri vengono determinati mediante la calibratura del modello che consiste nel<br />

simulare valanghe storiche ben documentate per ciascuna delle quali viene definita la<br />

combinazione di parametri che meglio riproducono la distanza di arresto osservata. La<br />

simulazione permette quindi di associare a certe tipologie di valanghe una specifica<br />

combinazione di parametri. In questo modo è però chiaro che i due parametri perdono il loro<br />

significato originario dato da Voellmy: risultano quindi essere solamente due numeri che<br />

includono un po’ tutti i fenomeni fisici agenti nella valanga.<br />

Il modello di Voellmy presenta tuttavia una serie di limiti di utilizzo. Prima di tutto il modello<br />

non è in grado di fornire la velocità istantanea della valanga lungo il percorso inoltre i due<br />

parametri utilizzati nel modello (ξ e μ) non sono dei parametri fisici misurabili<br />

sperimentalmente, ma sono solamente dei parametri di calibratura. Ulteriore limite è la<br />

topografia del terreno che risulta fortemente semplificata.<br />

Nonostante questi limiti il modello risulta piuttosto utile visto che permette di ottenere<br />

accurate distanze di arresto senza necessariamente avere a disposizione molti dati di tipo<br />

dinamico. Inoltre i parametri di taratura sono stati verificati per moltissimi eventi ed il loro<br />

utilizzo è assolutamente affidabile.<br />

145


<strong>6.</strong>1.2 Modelli continui<br />

I modelli continui, che affiancano quelli a centro di massa, si basano invece sull’ipotesi di<br />

considerare una valanga un mezzo continuo monofase e ne descrivono il moto mediante le<br />

classiche equazioni differenziali di conservazione della massa e della quantità di moto. Questi<br />

modelli consentono quindi di valutare l’evoluzione spazio-tempo del fenomeno, fornendo una<br />

descrizione più realistica e completa della dinamica della valanga. Da un punto di vista<br />

matematico risulta quindi necessario definire un sistema di equazioni a cui fare riferimento e<br />

delle leggi costitutive da utilizzare per la descrizione del comportamento meccanico<br />

dell’ammasso nevoso in movimento.<br />

Possono essere così individuate due grosse tipologie di modelli: i primi sono quelli basati<br />

sulle equazioni di Navier - Stokes, mentre i secondi sono i modelli di tipo idraulico.<br />

Questi ultimi, basati sulle equazioni di Saint - Venant sono suddivisibili in base alla forma<br />

reologica utilizzata. In particolare sono state fatte formulazioni in cui accanto al termine di<br />

attrito coulombiano è stato introdotto un termine di resistenza dipendente dal quadrato della<br />

velocità e formulazioni più complesse facenti riferimento a modelli reologici di tipo viscoplastico.<br />

Il modello originario di Voellmy è stato implementato nel 1999 in un modello continuo di<br />

tipo idraulico chiamato AVAL-1D (Christen et al.). Questa tipologia di modello è<br />

estremamente utile per effettuare un’analisi dettagliata della dinamica della valanga lungo<br />

tutto il suo percorso, determinando non solo la distanza di arresto ma anche i valori delle<br />

velocità in diversi punti lungo il percorso. Il modello include due moduli di calcolo<br />

indipendenti l’uno dall’altro: FL-1D per valanghe dense e SL-1D per valanghe polverose.<br />

Entrambi i moduli risolvono con il metodo delle differenze finite le equazioni di<br />

conservazione della massa, dell’energia e della quantità di moto.<br />

146


<strong>6.</strong>2 RAMMS<br />

L’Istituto per lo Studio della Neve e delle Valanghe di Davos ha recentemente sviluppato un<br />

nuovo modello per l’analisi dei principali rischi naturali.<br />

Il modello, chiamato RAMMS (RApid Mass MovementS), è composto da 3 moduli differenti:<br />

uno per le valanghe di neve densa, uno per i debris flow, uno per i crolli in roccia.<br />

Il modulo relativo alle valanghe di neve è basato su di un modello monofase a due dimensioni<br />

che risolve le equazioni di conservazione della massa e delle quantità di moto usando uno<br />

schema TVD (Total Variation Diminishing) applicato a un grid triangolare (Sartoris and<br />

Bartelt, 2000) generato a partire dal modello digitale del terreno.<br />

Ramms, che è ancora in evoluzione, nell’immediato futuro conterrà due importanti migliorie<br />

ai precedenti modelli utilizzati nel campo delle valanghe di neve. Generalmente i modelli<br />

erano basati sul modello di Voellmy (Salm, 1993) che divide la frizione dovuta al flusso in<br />

due componenti, una coulombiana e una resistenza viscosa. Questo tipo di modelli non<br />

includevano gli stress interni o le deformazioni del corpo della valanga e concentravano le<br />

deformazioni di taglio all’interfaccia basale di scorrimento. Il modello di flusso in Ramms<br />

include invece sia le deformazioni di taglio viscose che la dissipazione di energia dovuta alle<br />

collisioni tra le particelle. Questo modello costitutivo è basato su concetti termodinamici<br />

come la produzione di entropia positiva, e la produzione di minima entropia nello stato<br />

stazionario, che limita le interazioni viscose e collisionali come le dissipazioni di energia.<br />

In secondo luogo Ramms includerà un innovativo modulo di ripresa (Sovilla et al. 2004 e<br />

2006). Il modello, basato su un’interfaccia GIS, permetterà la specificazione di un manto<br />

nevoso a più strati che può essere ripreso dalla valanga in moto. In particolare potranno in<br />

futuro essere descritti tre diversi meccanismi di ripresa: una erosione frontale, una erosione<br />

basale e uno step entrainment (Sovilla et al. 2005). I tassi di ripresa sono basati su parametri<br />

fisici come la velocità della valanga e la durezza del manto nevoso. Attualmente è invece<br />

possibile inserire uno ed uno solo strato di neve che potrà essere eroso dal passaggio della<br />

valanga.<br />

Il modello è stato calibrato utilizzando i dati di valanghe estreme del catastrofico inverno<br />

1999 e i dati provenienti dal sito sperimentale di Vallée de la Sionne.<br />

Il modello sarà a breve caratterizzato anche da un modulo di pressione che valuterà le<br />

pressioni di impatto su ostacoli di diverse forme e dimensioni, cosa che risulterà<br />

estremamente utile per il dimensionamento delle opere di protezione passiva.<br />

147


<strong>6.</strong>3 OBIETTIVI DEL LAVORO<br />

La calibrazione di Ramms, effettuata dall’Istituto per lo Studio della Neve e delle Valanghe di<br />

Davos, è stata basata principalmente sui dati relativi agli eventi catastrofici dell’inverno 1999<br />

e sui dati del sito sperimentale di Vallée de la Sionne. Questi dati sono quindi quelli di eventi<br />

estremi e di grandi dimensioni ( anche 150.000 m 3 al deposito).<br />

I dati raccolti sul campo per questa tesi possono quindi essere un’ottima occasione per<br />

valutare le potenzialità del modello di rappresentare valanghe osservate sul terreno e di<br />

dimensioni minori.<br />

Per far ciò sono state selezionate dal database creato 4 valanghe osservate nell’inverno<br />

2005/2006 e sulle quali è stata fatta una raccolta dati più approfondita.<br />

Queste valanghe sono tutte caratterizzate dalla presenza di uno strato fluidizzato. Essendo<br />

Ramms un modello monofase nei test si cercherà di simulare ciascun evento in modo da<br />

ottenere aree di deposizione, comprendenti o meno la componente fluidizzata, il più simili<br />

possibile a quanto osservato sul campo. Importante sarà valutare quali saranno i valori<br />

calibrati dei parametri di attrito turbolento (ξ) e coulombiano (μ) e, successivamente, valutare<br />

se questi si discostano dai valori suggeriti in letteratura (Christen et al., 2002, fig. <strong>6.</strong>1).<br />

Interessante sarà quindi verificare se il modello sarà in grado di ben riprodurre le valanghe<br />

osservate, indipendentemente dalla loro dimensione, dal punto di vista di forme e spessori dei<br />

depositi e di velocità di scorrimento.<br />

148


<strong>6.</strong>4 <strong>DATI</strong> DI <strong>IN</strong>PUT<br />

Tra gli eventi osservati nell’inverno 2005/2006 sono state selezionate 4 valanghe. Queste sono<br />

state quelle analizzate con maggiore attenzione e precisione anche nei capitoli precedenti.<br />

Gli eventi scelti sono stati:<br />

- la valanga del Gotschnawang (# 15) del 20 gennaio;<br />

- la valanga della Parsennfurgga (# 21) del 22 gennaio;<br />

- la valanga della Drusatscha (# 33) del 14 febbraio;<br />

- la valanga del Gotschanwang (# 41) del 15 marzo;<br />

Il modello richiede una serie di dati di input. Prima di tutto per ogni evento è stato necessario<br />

preparare degli estratti del DTM, di dimensioni ridotte rispetto all’originale, per facilitare i<br />

calcoli. Successivamente sono stati creati una serie di shapefile in Arcview relativi alle aree di<br />

distacco di ciascuna valanga.<br />

Per ogni valanga sono stati utilizzati i dati relativi all’altezza di neve al distacco (ipotizzata o<br />

misurata), alla neve ripresa, misurata nelle analisi dei depositi, e l’altezza di neve al suolo<br />

disponibile per essere ripresa. Questo ultimo valore non corrisponde alla neve effettivamente<br />

ripresa, ma semplicemente alla neve che per varie ragioni (strato debole, neve fresca,…)<br />

poteva essere facilmente erodibile al passaggio della valanga.<br />

Infine ogni valanga è stata analizzata dal punto di vista delle sue dimensioni: sono state<br />

utilizzate tre classi diverse, secondo la tabella di correlazioni (fig. <strong>6.</strong>1) impiegata per il<br />

modello AVAL-1D ( Christen et al., 2002):<br />

- valanghe piccole: minori di 25.000 m 3 ;<br />

- valanghe medie: maggiori di 25.000 m 3 ma minori di 60.000 m 3 ;<br />

- valanghe grandi: maggiori di 60.000 m 3 .<br />

Fatte queste considerazioni è stato possibile attribuire a ciascuna valanga dei valori di<br />

riferimento dei coefficienti di attrito ξ e μ. Questi valori sono fondamentali per cominciare le<br />

simulazioni, e verranno confrontati con quelli che daranno risultati più corretti da un punto di<br />

vista di altezze e forme dei depositi e velocità.<br />

149


Fig. <strong>6.</strong>1: Valori dei parametri<br />

di attrito turbolento e<br />

coulombiano utilizzato in Aval<br />

1D. (Christen et al. 2002)<br />

150


<strong>6.</strong>5 DESCRIZIONE E RISULTATI DELLE PROVE EFFETTUATE<br />

Per ognuna delle quattro valanghe selezionate il lavoro è stato diviso in due fasi.<br />

Come già detto in precedenza, ciascuna delle quattro valanghe presentava uno strato<br />

fluidizzato notevole, di conseguenza è stato ritenuto importante simulare ogni valanga sia<br />

considerandola solo per la sua componente densa che comprendendo anche i depositi della<br />

componente fluidizzata. Così facendo è stato possibile ottenere due coppie di parametri di<br />

attrito (ξ e μ) per ogni valanga che sono poi stati confrontati con i valori proposti in fig. <strong>6.</strong>1.<br />

Ramms è anche in grado di valutare il comportamento della valanga in presenza di ripresa di<br />

neve. Inserendo nei dati di input il valore dello spessore della neve disponibile al suolo il<br />

software è in grado di calcolare la posizione e l’entità dell’erosione del manto nevoso<br />

originario da parte della valanga in moto. Per ottenere questo risultato è importante fornire al<br />

modello un terzo parametro (τ) corrispondente alla resistenza del manto nevoso.<br />

Al termine delle simulazioni si avranno 4 coppie di parametri di attrito, validi per la<br />

componente densa o fluidizzata, con o senza ripresa.<br />

Vengono di seguito riportati, per ognuna delle quattro valanghe, le considerazioni e i risultati<br />

ottenuti durante le simulazioni con il modello.<br />

151


<strong>6.</strong>5.1 Drusatscha (# 33)<br />

La prima parte del lavoro consisteva nel valutare i migliori coefficienti d’attrito per simulare il<br />

deposito denso e il deposito fluidizzato in assenza di ripresa.<br />

L’altezza di neve e l’area di distacco sono state tenute costanti e fissate rispettivamente pari a<br />

87 cm e 1462 m 2 .<br />

Mediante le simulazioni effettuate è stato possibile calcolare che la migliore combinazione di<br />

parametri che descrivono la valanga in assenza di ripresa sono: non considerando la<br />

componente fluidizzata 0.42 per μ e 500 m/s 2 per ξ; considerando la componente fluidizzata<br />

0.35 per μ e 800 m/s 2 per ξ.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>2: Nell’immagine i due<br />

migliori risultati delle simulazioni<br />

senza considerare (Test nH, verde) e<br />

considerando (Test nC, azzurro) lo<br />

strato fluidizzato.<br />

Come si può vedere in figura <strong>6.</strong>2 i limiti dei depositi non sono molto simili a quanto osservato<br />

nella realtà. Nonostante ciò le due simulazioni risultano comunque accettabili.<br />

Nel caso delle simulazioni con la ripresa di neve, i test sono stati piuttosto numerosi. Il<br />

modello dava dei problemi nel calibrare i tre parametri τ, μ e ξ: inserendo valori di τ sensati<br />

per una valanga di queste dimensioni dovevano essere inseriti dei valori estremi per i due<br />

parametri di attrito, mentre con valori di τ molto bassi e assolutamente non realistici i valori di<br />

μ e ξ rientravano nella norma. Si è quindi deciso di rappresentare i risultati delle cinque<br />

simulazioni più significative e caratterizzate da un valore realistico del parametro τ.<br />

Come si può vedere in fig. <strong>6.</strong>3 i valori del parametro τ variano da 30000 Pa a 20000 Pa; il<br />

valore di 25000 Pa è stato individuato come il più realistico sia nel caso con la componente<br />

fluidizzata che senza.<br />

152


ID μ ξ H disp (m) Rho (Kg/m3) Tau (Pa) Volume Eroso (m3)<br />

I 0,45 2000 0,6 200 30000 2114<br />

L 0,45 2000 0,6 200 20000 16079<br />

M 0,45 2000 0,6 200 25000 7579<br />

N 0,45 1500 0,6 200 25000 2094<br />

O 0,45 1250 0,6 200 25000 1881<br />

Fig. <strong>6.</strong>3: Risultati relativi alle 5 simulazioni. In rosso è indicato il perimetro del deposito denso mentre in<br />

giallo quello del deposito fluidizzato. In nero sono indicate le posizioni delle trincee scavate. In tabella sono<br />

riportati i differenti valori dei parametri utilizzati nella simulazione.<br />

100 m<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>4: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “L”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

Il deposito ottenuto con la prima simulazione (# L) è molto più ampio di quello osservato sul<br />

terreno e la valanga si ferma appena dopo il limite del deposito fluidizzato.<br />

153


Come è chiaramente visibile in figura <strong>6.</strong>4 il parametro τ impostato sul valore 20000 Pa<br />

determina un’erosione notevole del manto nevoso. Di conseguenza verrà coinvolta una<br />

maggior quantità di neve, con maggiori distanze di run out e maggiori spessori nella zona di<br />

deposito.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>5: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “I”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

Nella seconda simulazione (# I) aumentando τ fino a 30000 Pa si ottiene un deposito con run<br />

out molto minore del precedente (infatti si la valanga si ferma tra denso e fluidizzato) e un<br />

deposito meno ampio. I depositi, in questo caso, raggiungono anche i 60 cm di spessore.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>6: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “M”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal passaggio<br />

della valanga.<br />

154


Come si vede nell’immagine <strong>6.</strong>6, inserendo un valore di τ più alto, l’area soggetta a completa<br />

erosione è decisamente minore rispetto al caso precedente.<br />

Nella terza simulazione (# M) il valore di τ è stato impostato uguale a 25000 Pa.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>7: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “N”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal passaggio<br />

della valanga.<br />

Questa simulazione, che ha risultati intermedi rispetto alle due precedenti, è quella che meglio<br />

rappresenta il runout corrispondente allo strato fluidizzato (fig. <strong>6.</strong>6).<br />

Quello che invece non è stato osservato sul terreno è l’espandimento laterale del flusso<br />

valanghivo. In questa simulazione il deposito raggiunge spessori fino al metro di altezza.<br />

Nella quarta simulazione (# N) si è provato a far variare il parametro ξ per cercare di meglio<br />

riprodurre la larghezza della valanga osservata sul campo. Per fare ciò è stato mantenuto<br />

costante il valore di τ pari a 25000 Pa, mentre è stato fatto variare il parametro ξ fino a 1500<br />

m/s 2 .<br />

Così facendo è stata osservata una ulteriore riduzione dell’espansione laterale della valanga<br />

(fig. <strong>6.</strong>7). I depositi in questo caso raggiungono spessori pari a 60 cm.<br />

Nell’ultima simulazione (# O) il valore di ξ è stato ulteriormente ridotto (1250 m/s 2 ). In<br />

questo modo è stato possibile riprodurre la medesima lunghezza di runout della parte densa<br />

mentre l’espansione laterale risulta ancora eccessiva (fig. <strong>6.</strong>8).<br />

I depositi in questo caso arrivano al mezzo metro massimo di spessore.<br />

155


100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>8: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “O”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal passaggio<br />

della valanga.<br />

I valori dei parametri di attrito ottenuti dalle simulazioni sono estremamente differenti da<br />

quelli consigliati in letteratura, sia senza che considerando la ripresa. Infatti, viene<br />

generalmente indicato un valore di μ pari a 0.31 e un valori di ξ pari a 1200 m/s 2 . Il<br />

Drusatscha sembrerebbe essere una valanga piuttosto critica per il modello, ma il motivo non<br />

è veramente del tutto compreso. Questa valanga è caratterizzata da un’area ed un volume al<br />

distacco piuttosto piccoli rispetto ai volumi ripresi durante il percorso. Questo potrebbe<br />

portare ad una non ottimale rappresentazione della valanga con i parametri convenzionali.<br />

Questo indica che con i valori standard dei parametri μ e ξ per questa valanga non esiste<br />

soluzione.<br />

Tab. <strong>6.</strong>9: In tabella sono riassunti i dati relativi agli spessori dei depositi per ognuno dei 5 test più<br />

significativi effettuati con Ramms. In giallo sono evidenziati i valori misurati sul terreno nelle trincee<br />

eseguite (F sta per deposito fluidizzato mentre D sta per deposito denso). In azzurro è evidenziato il<br />

test, con i relativi spessori nelle trincee, che più si avvicina ai comportamenti della parte fluidizzata.<br />

In verde è evidenziato il test che più si avvicina al comportamento della parte densa.<br />

ID T1 (cm) (1890 m slm) T2 (cm) (1840 m slm) T3 (cm) (1760 m slm)<br />

Terreno 15 D, 20 F 10 F 20 F<br />

I 0 10 11<br />

L 0 10 11<br />

M 0 10 13<br />

N 0 9 0<br />

O 0 9 0<br />

Per quanto riguarda gli spessori del deposito, nella valanga della Drusatscha sono state<br />

scavate tre diverse trincee. La prima (T1) a 1890 m in corrispondenza sia del deposito denso<br />

156


che di quello fluidizzato, la seconda (T2) a 1840 m, lateralmente alla valanga, in<br />

corrispondenza del deposito fluidizzato, la terza (T3) nel deposito fluidizzato a quota 1760 m)<br />

Nella prima trincea sono stati rinvenuti 15 cm di deposito denso e 20 cm circa di deposito<br />

fluidizzato. Nella seconda trincea sono stati rinvenuti 10 cm circa di deposito fluidizzato.<br />

Infine, nella terza trincea sono stati rinvenuti 20 cm di deposito.<br />

Nella trincea a quota più bassa (T3) il test “M”, che meglio descrive il comportamento della<br />

valanga con componente fluidizzata, fornisce degli spessori sottostimati rispetto a quelli<br />

misurati sul campo. Nella trincea a quota intermedia (T2) il test “M” è invece coincidente con<br />

i valori misurati sul campo, mentre il test “O”, considerato ottimo descrittore per la valanga<br />

senza la parte fluidizzata, non coincide con la realtà osservata. In questa trincea infatti,<br />

eseguita al limite dell’area interessata dalla valanga, il deposito rinvenuto era solamente della<br />

componente fluidizzata, mentre il deposito denso è stato rinvenuto a poca distanza.<br />

Una prima incongruenza nello studio degli spessori è ben visibile in corrispondenza della<br />

trincea scavata a quota più elevata (T1). In questa trincea sono stati rinvenuti fino a 15 cm di<br />

deposito denso e fino a 20 cm di deposito fluidizzato. In tutte le simulazioni effettuate, più o<br />

meno significative, la valanga non ha mai depositato del materiale in corrispondenza del punto<br />

dove è stata scavata la trincea. Anzi, come si può vedere dalle carte sopra riportate (fig. <strong>6.</strong>3-<br />

<strong>6.</strong>8) la valanga ha sempre raggiunto la zona di deposito ampliandosi molto di più della realtà.<br />

Probabilmente può essere stata proprio la mancanza di deposizione nella zona della trincea T1<br />

a determinare un eccesso di materiale che ha poi avuto come conseguenza un eccessivo<br />

espandimento della valanga nella zona di deposito. Nonostante questa considerazione è però<br />

visibile in fig. <strong>6.</strong>10 e <strong>6.</strong>11 come la valanga sia molto più ampia in tutto il suo percorso e non<br />

solo nella parte terminale.<br />

Per quanto riguarda le velocità, per la valanga della Drusatscha non sono state fatte<br />

considerazioni in situ, ma vengono comunque riportati gli schemi rappresentanti le<br />

distribuzioni delle massime velocità, lungo il percorso della valanga, sia per il test “M” che<br />

per il test “O”.<br />

Come si può vedere dall’immagine (fig. <strong>6.</strong>10) la valanga, se considerata con la componente<br />

fluidizzata, presenta, come già detto, un’ampiezza decisamente maggiore rispetto a quella<br />

vista nella realtà. Le velocità della valanga lungo il percorso (fig. <strong>6.</strong>10) arrivano fino ad un<br />

massimo di 16 m/s circa. In particolare nell’immagine è chiaramente visibile come la valanga<br />

ha mantenuto velocità fino ai 2.4 m/s circa per il 15% del percorso, fino ai 5.8 m/s per il 10%,<br />

fino agli 8 m/s per il 25%, fino agli 11 m/s per il 44% e fino ai 16 m/s per il 4% circa del<br />

157


percorso. In particolare è ben visibile come le velocità maggiori si trovino in corrispondenza<br />

dei salti morfologici oltre che nella parte centrale della zona di scorrimento.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>10: Test “M”. Nell’immagine<br />

sono visibili le velocità massime<br />

della valanga nelle varie parti del<br />

percorso seguito.<br />

Considerando la valanga solo per la sua parte densa (test O) si può vedere come le velocità<br />

massime siano minori del caso precedente, toccando infatti solo i 12 m/s.<br />

La valanga in questo caso ha mantenuto una velocità fino agli 1.5 m/s solamente per lo 0.5%<br />

del suo percorso, fino ai 4 m/s per il 20%, fino ai <strong>6.</strong>2 m/s per il 19%, fino agli 8 m/s per il<br />

22% e fino ai 12 m/s per il restante 37% del percorso. Anche in questo caso è possibile notare<br />

(fig. <strong>6.</strong>11) che la valanga ha mantenuto le sue massime velocità per la maggior parte della<br />

zona di scorrimento.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>11: Test “O”. Nell’immagine<br />

sono visibili le velocità massime<br />

della valanga nelle varie parti del<br />

percorso seguito.<br />

158


Le velocità indicate dal modello risultano essere piuttosto sottostimate rispetto a quanto ci si<br />

aspetterebbe per una valanga di queste dimensioni. Un valore più realistico dovrebbe essere<br />

infatti pari a 30 m/s! I motivi per cui il modello non rappresenta i vari aspetti della valanga del<br />

Drusatscha in modo chiaro, non sono del tutto compresi.<br />

159


<strong>6.</strong>5.2 Parsennfurgga (# 21)<br />

Per quanto riguarda il caso della Parsennfurgga la combinazione di parametri che meglio<br />

rappresenta la valanga senza ripresa e senza considerare la parte fluidizzata implica un valore<br />

di μ pari a 0.33 e una ξ di 800 m/s 2 (altezza al distacco costante per tutti i test pari a 60 cm).<br />

La combinazione ideale considerando anche la parte fluidizzata si ottiene con una μ di 0.32 e<br />

una ξ sempre di 800 m/s 2 .<br />

Bisogna sottolineare che la forma dei depositi, ottenuta con le simulazioni, non è molto<br />

coincidente con quella vista sul campo. Questo è probabilmente dovuto al fatto che, in quella<br />

zona, la topografia è molto irregolare, e il DTM su cui si basano i calcoli del modello ha una<br />

maglia “solo” 10x10 m che in questo caso risulta troppo grossolana.<br />

Di conseguenza è stato considerato soprattutto il raggiungimento della medesima distanza di<br />

runout piuttosto che la forma stessa del deposito.<br />

50 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>12: Nell’immagine sono<br />

rappresentati i migliori risultati<br />

ottenuti per le simulazioni senza<br />

ripresa considerando (Test H) o<br />

meno (Test I) lo strato fluidizzato. In<br />

rosso e giallo sono indicate le aree<br />

interessate dal passaggio e<br />

deposizione rispettivamente della<br />

componente densa e fluidizzata.<br />

I test caratterizzati dall’aggiunta della ripresa non sono nettamente diversi tra di loro, dal<br />

punto di vista del runout, come nel caso del Drusatscha, la differenza a volte è solo di pochi<br />

metri tra l’uno e l’altro. Tra tutti i test effettuati si è scelto di rappresentare solo i quattro<br />

maggiormente significativi.<br />

160


ID μ Xi H disp (m) Rho (kg/m3) Tau (Pa) Volume Eroso (m3)<br />

P3 0,32 800 0,3 200 10000 2223<br />

R 0,37 800 0,3 200 10000 2091<br />

S 0,38 800 0,3 200 10000 1956<br />

O 0,32 800 0,3 200 25000 90<br />

Fig. <strong>6.</strong>13: Risultati relativi alle 4 simulazioni più significative della valanga della Parsennfurgga.. In rosso<br />

è indicato il perimetro del deposito denso mentre in giallo quello del deposito fluidizzato. In nero è indicata<br />

la posizione della trincea scavata. In tabella sono riportati i differenti valori dei parametri utilizzati nella<br />

simulazione.<br />

La valanga della Parsennfurgga, essendo di dimensioni limitate (2107 m 2 al distacco) non è<br />

stata caratterizzata da valori di τ molto alti: per questo motivo questo parametro è stato fissato<br />

intorno ai 10000 Pa. Si è provato comunque a farlo variare ma la quantità di neve erosa si<br />

riduceva o aumentava eccessivamente rispetto alla quantità osservata in situ.<br />

50 m<br />

50 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>14: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “O”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

161


Nel primo test effettuato (# O), partendo con un valore di τ di 25000 Pa, sono stati ottenuti<br />

solamente 90 m 3 di neve erosa, valore troppo basso per quanto osservato (fig. <strong>6.</strong>14). Con i<br />

parametri utilizzati per questo test è stata inoltre ottenuta una distanza di runout che supera<br />

solamente di una decina di metri il limite della valanga comprendente la componente<br />

fluidizzata. Lo spessore massimo di deposito ottenuto si aggira intorno al mezzo metro.<br />

50 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>15: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “R”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

Nel test “R” il parametro τ è stato ridotto a 10000 Pa e i valori di μ e ξ sono stati regolati in<br />

modo da avere un’area in erosione il più possibile simile a quella osservata nella realtà.<br />

In questo modo sono stati ottenuti poco più di 2000 m 3 di neve erosa. Lo spessore massimo di<br />

deposito ottenuto arriva quasi al metro.<br />

50 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>16: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “S”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

162


Nel test “S” (fig. <strong>6.</strong>16), mantenendo costante il valore del parametro τ si è cercato di<br />

accordare i due parametri di attrito μ e ξ in modo da avere un’ottima distanza di runout<br />

mantenendo però invariata o quasi la quantità di neve erosa. Il risultato di questo test è quello<br />

che più si avvicina al comportamento della valanga, senza considerare la componente<br />

fluidizzata, che è stato osservato sul campo. In questo test lo spessore massimo di deposito si<br />

aggira intorno ai 90 cm.<br />

50 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>17: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “P3”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

Infine, nel test “P3” (fig. <strong>6.</strong>17) è stata ottenuta la migliore combinazione dei parametri di<br />

attrito μ e ξ e del parametro τ al fine di ottenere l’ottimale distanza di runout adatta a<br />

descrivere la valanga considerata con la sua componente fluidizzata. In questo test lo spessore<br />

massimo di deposito ottenuto arrivava ai 90 cm circa.<br />

ID T1 (cm)<br />

Terreno 50 D, 20 F<br />

P3 21<br />

R 26<br />

S 27<br />

O 0<br />

Tab. <strong>6.</strong>18: In tabella sono riassunti i dati relativi agli spessori<br />

dei depositi per ognuno dei 4 test più significativi. In giallo<br />

sono evidenziati i valori misurati sul terreno nelle trincee<br />

eseguite (F sta per deposito fluidizzato mentre D sta per<br />

deposito denso). In azzurro è evidenziato il test ideale per la<br />

parte fluidizzata. In verde il test ideale per la parte densa.<br />

Per quanto riguarda lo spessore dei depositi, nella valanga della Parsennfurgga è stata scavata<br />

un’unica trincea in una zona marginale del flusso, dove sono stati rinvenuti 50 cm circa di<br />

deposito denso e 20 cm circa di deposito fluidizzato. I due test più vicini al comportamento<br />

della valanga con o senza parte fluidizzata sottostimano (nel caso della densa) e confermare<br />

(nel caso della fluidizzata) gli spessori trovati sul campo. Le differenze sono comunque da<br />

163


itenersi accettabili a causa del problema della base topografica non troppo precisa che<br />

sicuramente ha influito sull’accumulo finale della neve in movimento.<br />

Per la valanga della Parsennfurgga sono state fatte delle stime sulle velocità della componente<br />

densa e della componente fluidizzata (vedi capitolo Elaborazione dei Dati). In particolare è<br />

stata stimata una velocità intorno ai 17 m/s per la componente fluidizzata che è stata in grado<br />

di superare la piccola cresta presente a lato del sito valanghivo. La parte densa, essendo<br />

rimasta alla base del canale, era invece caratterizzata da una velocità minore.<br />

50 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>19: Test “S”. Nell’immagine<br />

sono visibili le velocità massime della<br />

valanga nelle varie parti del percorso<br />

seguito.<br />

Nel test “S”, rappresentativo per la valanga considerando solo la sua parte densa, le velocità<br />

massime raggiunte sono state di circa 10 m/s. In particolare la valanga ha mantenuto velocità<br />

fino agli 1.3 m/s per il 16% del percorso, fino a 3.3 m/s per il 13%, fino ai 5.2 m/s per il 12%,<br />

fino ai 7.5 m/s per il 40% e fino a circa 10 m/s per il 16% del percorso.<br />

50 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>20: Test “P3”. Nell’immagine<br />

sono visibili le velocità massime della<br />

valanga nelle varie parti del percorso<br />

seguito.<br />

164


Nel test “P3”, rappresentativo per la valanga considerando anche la sua parte fluidizzata, le<br />

velocità massime raggiunte sono state di poco più di 10 m/s. In particolare la valanga ha<br />

mantenuto velocità fino a 2.2 m/s per il 22% del percorso, fino a 4.4 m/s per il 7%, fino a <strong>6.</strong>2<br />

m/s per il 39%, fino a 7.9 m/s per il 12% e fino a 10.2 m/s per il 14% del percorso.<br />

Come si vede dalle immagini <strong>6.</strong>19 e <strong>6.</strong>20 la valanga ha mantenuto le velocità massime nella<br />

parte centrale della zona di scorrimento per poi diminuire di velocità nella zona di deposito.<br />

Rispetto alle velocità ipotizzate quelle trovate con il modello risultano sottostimate,<br />

soprattutto per quanto riguarda la componente fluidizzata.<br />

Rispetto ai valori consigliati nella letteratura per questa tipologia di valanga (μ: 0.33 e ξ: 1000<br />

m/s 2 ) in questo caso sono stati utilizzati valori di μ leggermente superiori e valori di ξ<br />

leggermente inferiori. La valanga della Parsennfurgga risulta quindi facilmente descrivibile<br />

dal punto di vista delle forme dei depositi ma non del tutto per gli spessori del deposito.<br />

L’unico parametro che non sembra in accordo con quelli ipotizzati sul campo risultano essere<br />

le velocità delle due componenti.<br />

165


<strong>6.</strong>5.3 Gotschnawang (# 15) , 18 gennaio<br />

Per quanto riguarda il sito valanghivo del Gotschnawang sono stati inseriti nel modello i dati<br />

relativi a due diversi eventi registrati nella stagione invernale 2005/200<strong>6.</strong><br />

Il primo, avvenuto a gennaio, è stato caratterizzato da una grandezza maggiore rispetto a<br />

quello di marzo. In particolare con un’altezza di neve al distacco stimata intorno ai 40 cm (e<br />

mantenuta costante in tutti i test) è stato stimato un volume iniziale di neve pari a 14500 m 3<br />

circa.<br />

Per quanto riguarda la prima fase dell’analisi, comprendente i test senza considerare la ripresa<br />

di neve, sono stati ottenuti i seguenti risultati: considerando la valanga solo per la sua parte<br />

densa, sono stati trovati valori dei parametri di attrito pari a 0.25 per μ e 1600 m/s 2 per ξ,<br />

mentre, considerando anche la componente fluidizzata, un valore di μ pari a 0.21 e ξ pari a<br />

2000 m/s 2 (fig. <strong>6.</strong>21).<br />

E’ necessario sottolineare il fatto che in questa valanga la parte fluidizzata non si è sviluppata<br />

omogeneamente su tutto il fronte, di conseguenza non è stato possibile ottenere un runout<br />

identico rispetto a quello effettivamente osservato nella realtà.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>21: Nell’immagine sono<br />

rappresentati i migliori risultati ottenuti<br />

per le simulazioni senza ripresa<br />

considerando (Test D, rosa) o meno<br />

(Test B, verde) lo strato fluidizzato. In<br />

rosso e giallo sono indicate le aree<br />

interessate dal passaggio e deposizione<br />

rispettivamente della componente densa<br />

e fluidizzata secondo le osservazioni.<br />

Tra tutti i test effettuati considerando la ripresa di neve si è scelto di rappresentare i quattro<br />

maggiormente significativi.<br />

166


ID μ ξ H disp (m) Rho (kg/m3) Tau (Pa) Volume Eroso (m3)<br />

N 0,34 700 0,3 200 30000 7258<br />

T 0,29 800 0,3 200 35000 10760<br />

L 0,29 1200 0,3 200 30000 36956<br />

H 0,25 1600 0,3 200 40000 36397<br />

Fig. <strong>6.</strong>22: Risultati relativi alle 4 simulazioni più significative della valanga del Gotschnawang di<br />

gennaio. In rosso è indicato il perimetro osservato del deposito denso mentre in giallo quello del deposito<br />

fluidizzato. In nero è indicata la posizione delle trincee scavate. In tabella sono riportati i differenti valori<br />

dei parametri utilizzati nella simulazione.<br />

Per questa valanga del Gotschnawang i valori del parametro τ non erano altrettanto<br />

prevedibili come nel caso precedente, di conseguenza si è deciso di farli variare per trovare il<br />

valore ottimale.<br />

100 m<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>23: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “H”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

167


Nel primo test (# H) è stato impostato un valore di τ pari a 40000 Pa. La combinazione di<br />

questo valore con i due parametri di attrito ha determinato grandi quantità di neve erosa (più<br />

di 36000 m 3 ) praticamente quasi tutta la neve disponibile sul tracciato. Questo valore non è da<br />

ritenersi eccessivo visto che, sul terreno, è stato osservato che la maggior parte dell’area<br />

interessata dalla valanga è stata interessata da un’erosione media pari ad una trentina di<br />

centimetri. Con dei valori di μ e ξ pari rispettivamente a 0.25 e 1600 m/s 2 la valanga si arresta<br />

ben oltre il limite del deposito fluidizzato visto sul campo. Il deposito, così creatosi,<br />

raggiunge quasi i 3 metri di spessore, esattamente in corrispondenza del brusco cambio di<br />

pendenza posto alla base del versante.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>24: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “T”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

Al fine di arretrare il deposito è stato diminuito il valore di τ fino a 35000 Pa e sono stati<br />

impostati i parametri μ e ξ rispettivamente pari a 0.29 e 800 m/s 2 . Con questi valori il test (#<br />

T) ha dato solamente poco più di 10000 m 3 di neve erosa, valore decisamente sottostimato<br />

rispetto a quanto osservato sul campo. Indipendentemente dalla sottostima della neve erosa la<br />

distanza di runout ottenuta con questa simulazione è in una posizione intermedia tra il<br />

deposito denso e quello fluidizzato. Nonostante questo, la simulazione è risultata essere la<br />

migliore rappresentazione della valanga senza considerare la sua parte fluidizzata. Infatti,<br />

variando i parametri, cercando di far riprendere una maggiore quantità di neve alla valanga, si<br />

ottiene una maggior distanza di runout, non coincidente con il limite estremo del deposito<br />

denso oppure addirittura un deposito troppo piccolo e una distanza breve. Lo spessore<br />

massimo del deposito, ottenuto con questa combinazione di parametri, supera di poco i due<br />

168


metri. Come si può vedere in figura <strong>6.</strong>24 lo spessore massimo, ancora una volta, si trova in<br />

corrispondenza del brusco cambio di pendenza posto alla base del versante.<br />

Nel terzo test (# N) τ è stata ulteriormente modificata per cercare di ottenere una maggior<br />

erosione. In particolare il valore è stato inserito pari a 30000 Pa. М e ξ sono stati posti pari<br />

rispettivamente a 0.34 e 700 m/s 2 , valore molto basso per una valanga di queste dimensioni.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>25: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “N”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

Come visibile in figura <strong>6.</strong>25, nonostante i tentativi, la miglior combinazione per rappresentare<br />

la valanga, senza la sua parte fluidizzata, rimane sempre il test precedente (# M). In questo<br />

caso infatti la valanga si ferma ancora prima del limite del deposito denso e gli spessori<br />

massimi segnalati sono assolutamente sovrastimati, arrivando fino ai sei metri!<br />

L’ultimo test corrisponde alla miglior combinazione di parametri per la valanga considerando<br />

anche la sua parte fluidizzata. In questo caso infatti (test L) è stato utilizzato un valore di τ<br />

pari a 30000 Pa e dei valori di μ e ξ rispettivamente pari a 0.29 e 1200 m/s 2 . Con questa<br />

combinazione di valori il massimo spessore del deposito ottenuto si aggira intorno ai tre<br />

metri.<br />

Una cosa che va sottolineata, valida per tutti i test effettuati, è che il modello ha rappresentato<br />

abbastanza bene il deposito in corrispondenza della stazione intermedia della funivia Parsenn<br />

– Klosters, ma ha avuto dei problemi nella parte centrale del fronte della valanga.<br />

Generalmente, infatti, il deposito è stato estremamente sottostimato in questo punto. Un’altra<br />

differenza con quanto osservato sul campo è il fatto che tutte le simulazioni danno come<br />

risultato un deposito esageratamente allargato nella parte destra del versante. Questa<br />

espansione della valanga risulta peraltro abbastanza importante, come si può vedere nelle<br />

169


varie immagini e nei valori degli spessori presenti. Come nel caso della valanga del<br />

Drusatscha il modello tende ad ampliare i depositi appena la topografia lo permette. Il motivo<br />

per cui il modello da questo tipo di risultato, come già detto, risulta piuttosto oscuro.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>26: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “L”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal passaggio<br />

della valanga.<br />

Per quanto riguarda lo spessore dei depositi, nella valanga del Gotschnawang sono state<br />

scavate tre diverse trincee. La prima in prossimità della stazione intermedia della funivia (T1),<br />

la seconda al limite tra il deposito denso e quello fluidizzato (T2) e la terza al limite più<br />

estremo del deposito fluidizzato (T3).<br />

Tab. <strong>6.</strong>27: In tabella sono riassunti i dati relativi agli spessori dei depositi per ognuno dei 4 test più<br />

significativi. In giallo sono evidenziati i valori misurati sul terreno nelle trincee eseguite (F sta per<br />

deposito fluidizzato mentre D sta per deposito denso). In azzurro è evidenziato il test ideale per la parte<br />

fluidizzata. In verde il test ideale per la parte densa.<br />

ID T1 (cm) Staz. Funivia T2 (cm) limite D-F T3 (cm) estremo F<br />

Terreno 45 D 45 D 15 F<br />

L 18 53 14<br />

T 9 26 0<br />

H 30 195 166<br />

N 0 5 0<br />

Come si può ben osservare in tabella <strong>6.</strong>27 a parte i test “H” e “N” che rispettivamente<br />

sovrastimano e sottostimano le altezze dei depositi, i risultati ottenuti con gli altri due test<br />

sono molto sottostimati in corrispondenza della trincea “T1”, abbastanza corrispondenti per la<br />

trincea “T2” e coincidenti per la trincea “T3”. In particolare, il test che meglio simula il<br />

170


comportamento della valanga senza considerare la sua parte fluidizzata (test “T”) ha fatto<br />

registrare uno spessore del deposito di soli 9 cm in corrispondenza della prima trincea, mentre<br />

un deposito di 26 cm in corrispondenza della seconda. Rispetto ai valori misurati in situ,<br />

quelli trovati sono leggermente sottostimati.<br />

Per quanto riguarda il test “L”, miglior simulazione della valanga considerando la sua<br />

componente fluidizzata, gli spessori calcolati sono, nel caso della prima trincea sottostimati,<br />

nella seconda trincea leggermente sovrastimati, e nella terza trincea coincidenti.<br />

Per quanto riguarda le velocità, per questa valanga non è stato possibile fare delle stime sul<br />

campo, inoltre, essendo stata distaccata durante la notte, nemmeno i responsabili del servizio<br />

di sicurezza del comprensorio Parsenn–Klosters sono stati in grado di fornire delle<br />

informazioni utili.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>28: Test “L”. Nell’immagine<br />

sono visibili le velocità massime della<br />

valanga nelle varie parti del percorso<br />

seguito.<br />

Nel test “L” (valanga con componente fluidizzata) le velocità massime hanno raggiunto i 21<br />

m/s circa. In particolare la valanga ha mantenuto velocità fino ai 7 m/s per l’11% del<br />

percorso, fino a 11 m/s circa per il 45%, fino a13 m/s per il 18%, fino a 15 m/s per il 18% e<br />

fino a 21 m/s circa per il 7% del percorso. La valanga ha fatto registrare le massime velocità<br />

in corrispondenza della zona di massima accelerazione nell’area di distacco e in<br />

corrispondenza di un canale piuttosto inciso posto sulla destra del versante (fig. <strong>6.</strong>28 a destra).<br />

Per quanto riguarda il test “T” (valanga senza componente fluidizzata) le velocità massime<br />

hanno raggiunto 17 m/s. In particolare la valanga ha mantenuto velocità fino ai 3.5 m/s per<br />

l’8% del percorso, fino ai 7.22 m/s per il 19%, fino ai 9.5 m/s per il 28%, fino ai 12.4 m/s per<br />

il 44% e fino ai 17 m/s circa per il 5 del percorso. Come nel caso precedente, anche qui le<br />

171


velocità massime sono state raggiunte soprattutto in corrispondenza dell’inciso canale posto<br />

sulla destra del versante.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>29: Test “T”. Nell’immagine<br />

sono visibili le velocità massime<br />

della valanga nelle varie parti del<br />

percorso seguito.<br />

I valori dei parametri μ e ξ che sono stati utilizzati nei due test migliori sono abbastanza<br />

diversi da quelli consigliati in letteratura. Per valanghe di questo tipo generalmente vengono<br />

usati valori di μ e ξ rispettivamente pari a 0.21 e 1750 m/s 2 , per il test con componente<br />

fluidizzata μ e ξ sono stati posti pari a 0.29 e 1200 m/s 2 e senza componente fluidizzata pari a<br />

0.29 e 800 m/s 2 . In entrambi i casi quindi il valore usato di μ è molto più alto di quello<br />

generalmente consigliato mentre i valori di ξ sono nettamente più bassi. Con i valori<br />

consigliati in letteratura la valanga erode troppo e va molto oltre la distanza massima di<br />

runout osservata. Se non si considerasse la ripresa, come nella prima fase dell’analisi, si<br />

potrebbe invece osservare che i valori trovati sia con che senza fluidizzazione sono molto più<br />

vicini ai valori effettivamente consigliati.<br />

172


<strong>6.</strong>5.4 Gotschnawang (# 41), 15 marzo<br />

Il secondo evento che ha interessato il sito valanghivo del Gotschnawang ha avuto luogo il 15<br />

marzo 200<strong>6.</strong> Con un’altezza al distacco maggiore che nel caso precedente, una cinquantina di<br />

centimetri, ha interessato, al distacco, 2281 m 3 totali di neve.<br />

Nella prima fase delle simulazioni, si è tralasciato, come al solito, il fattore della ripresa di<br />

neve. Purtroppo per questa valanga si è verificato un problema con le soglie di calcolo del<br />

modello. Infatti, se la massa in movimento è minore del 1% della massa totale il modello si<br />

blocca e il calcolo non è più possibile. Essendo le dimensioni della valanga del<br />

Gotschanwang, senza la ripresa di neve, piuttosto limitate non è stato possibile effettuare la<br />

prima fase dell’analisi, visto che, con qualsiasi parametro, la valanga si bloccava a metà del<br />

versante. La valanga della Drusatscha, di dimensioni similari, probabilmente evita per poco<br />

questo problema, dando comunque un risultato anche nel caso senza la ripresa. Di<br />

conseguenza i test svolti sono stati effettuati solamente considerando la ripresa di neve.<br />

100 m<br />

ID Mu Xi H disp (m) Rho (kg/m3) Tau (Pa) Volume Eroso (m3)<br />

E 0,31 1200 0,3 200 25000 5583<br />

L 0,31 1200 0,3 200 20000 9746<br />

I 0,33 1200 0,3 200 25000 4281<br />

G 0,29 1200 0,3 200 25000 7114<br />

Fig. <strong>6.</strong>30: Risultati relativi alle 4 simulazioni più significative della valanga del Gotschnawang di marzo.<br />

In rosso è indicato il perimetro del deposito denso mentre in giallo quello del deposito fluidizzato. In<br />

tabella sono riportati i differenti valori dei parametri utilizzati nella simulazione.<br />

Di seguito saranno riportati i quattro test più significativi. Anche in questo caso i valori di τ<br />

sono stati fatti variare ma è apparso chiaramente che il valore più significativo del parametro<br />

173


era pari a 25000 Pa. I test sono stati effettuati imponendo una quantità di neve disponibile per<br />

essere ripresa pari a 30 cm circa e dalla densità di 200 kg/m 3 .<br />

Nel primo test (# G) è stato impostato un valore di τ pari a 25000 Pa e dei valori dei parametri<br />

di attrito μ e ξ rispettivamente pari a 0.29 e 1200 m/s 2 . Con questi valori è stato ottenuto un<br />

volume di neve eroso pari a 7114 m 3 .<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>31: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “G”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

La distanza di runout ottenuta è eccessiva rispetto al limite del deposito denso registrato. Un<br />

aspetto da sottolineare, riscontrato anche negli altri test, è che la valanga, nella parte destra<br />

non rappresenta esattamente quanto osservato sul campo.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>32: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “L”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

174


Il modello infatti determina un espandimento eccessivo da quel lato e un accumulo di neve<br />

dove in realtà non è stato osservato. Lo spessore massimo raggiunto è stato circa pari a 150<br />

cm.<br />

Nel secondo test (# L) il valore di τ è stato posto a 20000 Pa. I valori di μ e ξ sono stati posti<br />

rispettivamente pari a 0.31 e 1200 m/s 2 . Con questa combinazione dei tre parametri sono stati<br />

ottenuti più di 9000 m 3 di neve erosa, quantità decisamente superiore a quando osservato nella<br />

realtà (poco più di 5000 m 3 ). Come si può vedere dalle figure <strong>6.</strong>30 e <strong>6.</strong>32 questo è il test in cui<br />

sono stati ottenute anche la maggiori distanze di runout e i maggiori espandimenti laterali del<br />

deposito in corrispondenza del brusco cambio di pendenza alla base del versante. Lo spessore<br />

massimo di deposito ottenuto è stato circa pari a 170 cm.<br />

Porre il parametro τ pari a 20000 Pa determina una esagerazione dell’erosione del substrato da<br />

parte della valanga in moto. E’ risultato quindi subito piuttosto chiaro che il miglior valore<br />

che rappresenta l’erosione effettivamente avvenuta è quello di 25000 Pa.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>33: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “I”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal<br />

passaggio della valanga.<br />

Nel terzo test (# I) i parametri di attrito μ e ξ sono stati rispettivamente posti uguali a 0.33 e<br />

1200 m/s 2 . Con questi valori sono stati ottenuti 4280 m 3 di neve erosa. Il valore è da ritenersi<br />

leggermente sottostimato rispetto a quanto osservato nella realtà. In particolare, osservando le<br />

zone che secondo il modello sono state soggette a erosione (fig. <strong>6.</strong>33) sono molto limitate<br />

rispetto alla zona effettivamente soggetta al passaggio della valanga (per confronto vedere fig.<br />

<strong>6.</strong>32). Il valore massimo di altezza dei depositi che è stato ottenuto è stato pari a poco più di<br />

un metro.<br />

175


Nell’ultimo test (# E) insieme ad un valore di τ pari a 25000 Pa sono stati inseriti valori di μ e<br />

ξ rispettivamente pari a 0.31 e 1200 m/s 2 . Con questa combinazione è stato ottenuto il<br />

migliore risultato per rappresentare la valanga senza considerare la sua componente<br />

fluidizzata. Quest’ultima infatti è caratterizzata da una forma piuttosto irregolare.<br />

Probabilmente questa componente della valanga rappresenta un’ondata secondaria, o<br />

comunque non ha interessato tutto il fronte denso. Di conseguenza la sua modellizzazione non<br />

è possibile.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>34: Nell’immagine a sinistra è visibile il risultato del test “E”. In legenda sono indicati i colori<br />

corrispondenti ai diversi spessori del deposito. Nell’immagine a destra è visibile la neve erosa dal passaggio<br />

della valanga.<br />

Questa combinazione di parametri ha determinato un volume di neve erosa pari a 5500 m 3 ,<br />

che rappresenta la quantità più realistica tra quelle ottenute.<br />

Lo spessore massimo di deposito ottenuto è stato pari a 120 cm circa.<br />

Tab. <strong>6.</strong>35: In tabella sono riassunti i dati relativi agli spessori dei depositi per ognuno dei 4 test più<br />

significativi. In giallo sono evidenziati i valori misurati sul terreno nelle trincee eseguite (F sta per deposito<br />

fluidizzato mentre D sta per deposito denso). In azzurro è evidenziato il test ideale per la parte fluidizzata. In<br />

verde il test ideale per la parte densa.<br />

ID T1 (cm) Staz. Funivia T2 (cm) (1768 m slm)<br />

Terreno 25 D 15 F 60 D<br />

E 10 53<br />

L 3 136<br />

I 0 43<br />

G 8 58<br />

Per quanto riguarda lo spessore dei depositi in questa valanga sono state scavate due trincee:<br />

la prima (T1) nelle vicinanze della stazione della funivia del comprensorio sciistico, mentre la<br />

176


seconda (T2) nel deposito denso in corrispondenza del brusco cambio di pendenza alla base<br />

del versante. Nella prima trincea sono stati rinvenuti 25 cm di deposito denso e 15 cm di<br />

deposito fluidizzato mentre nella seconda trincea sono stati ricevuti solamente 60 cm di<br />

deposito denso. Come già detto, per questa valanga non è stato possibile valutare il<br />

comportamento della componente fluidizzata, di conseguenza verrà tralasciata nelle<br />

successive considerazioni. Come visibile in tabella <strong>6.</strong>35, la miglior simulazione della valanga<br />

sottostima lo spessore del deposito in corrispondenza della trincea T1, mentre in<br />

corrispondenza della trincea T2 le quantità trovate sono confrontabili con quelle calcolate. In<br />

tabella è visibile anche il fatto che, per quanto riguarda le altre simulazioni, solamente il test<br />

G è abbastanza coincidente con quanto verificato nella realtà, mentre gli altri due<br />

sottostimano o sovrastimano troppo lo spessore d depositi.<br />

Per quanto riguarda le velocità, per questa valanga non è stato possibile fare delle stime<br />

accurate. Come è ben visibile in figura <strong>6.</strong>36 la massima velocità raggiunta dalla valanga è<br />

stata di poco più di 15 m/s secondo le simulazioni, registrata in una parte della zona di<br />

scorrimento.<br />

100 m<br />

Fig. <strong>6.</strong>36: Test “L”. Nell’immagine<br />

sono visibili le velocità massime<br />

della valanga nelle varie parti del<br />

percorso seguito.<br />

In particolare la valanga ha mantenuto velocità fino ai 2.8 m/s per il 5% del suo percorso, fino<br />

a 5.8 m/s per l’11%, fino a 8.1 m/s per il 22%, fino all’11.2% per il 51%, fino a 15 m/s per il<br />

9% del suo percorso.<br />

Ancora una volta le velocità sono sottostimate rispetto a quanto si potrebbe pensare per una<br />

valanga di queste dimensioni. Delle velocità molto più coerenti dovrebbero infatti aggirarsi<br />

intorno ai 30 m/s.<br />

177


I valori dei due parametri d’attrito, utilizzati per avere la miglior rappresentazione della<br />

valanga senza considerare la componente fluidizzata, risultano simili a quelli consigliati dalla<br />

letteratura (fig. <strong>6.</strong>1).<br />

Infatti quelli che andrebbero usati sono dei valori di μ e ξ rispettivamente uguali a 0.31 e 1200<br />

m/s 2 , proprio come nel caso del test E. Con questi parametri si è potuta ottenere una discreta<br />

rappresentazione delle forme e ma non perfetta degli spessori dei depositi. I problemi<br />

maggiori riguardano però sempre le velocità che sono anche in questo caso sottostimate.<br />

178


<strong>6.</strong>5.5 Analisi Parametrica<br />

Per meglio comprendere la sensibilità del modello alle variazioni dei parametri di attrito τ, μ e<br />

ξ è stata fatta un’analisi approfondita su due delle valanghe del campione.<br />

Sulla valanga della Parsennfurgga e su quella del Gotschnawang del mese di marzo sono state<br />

effettuate una serie di simulazioni variando gradualmente i tre parametri del modello. In<br />

particolare, a partire dai valori utilizzati nei due test ritenuti più rappresentativi sono stati posti<br />

costanti a turno due parametri ed è stato fatto variare il terzo. I parametri sono stati fatti<br />

variare del 10, 20, 30, 50% dalla media, sia in positivo che in negativo. In questo modo, per<br />

ognuna delle due valanghe è stato possibile ottenere tre grafici con le quantità di neve erosa<br />

dal passaggio della valanga in funzione delle variazioni di τ, μ e ξ.<br />

Per la valanga della Parsennfurgga la migliore rappresentazione della valanga è stata ottenuta<br />

ponendo τ pari a 10000 Pa, μ pari a 0.38 e ξ pari a 800 m/s 2 . Inoltre tra le costanti figuravano<br />

anche l’altezza di neve al distacco pari a 60 cm e l’altezza di neve al suolo disponibile per<br />

essere ripresa pari a 30 cm. Facendo variare gradualmente i tre parametri sono state effettuate<br />

24 simulazioni.<br />

Volume eroso (m3)<br />

3000<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

300 500 700 900 1100 1300<br />

Xi<br />

Fig. <strong>6.</strong>37: Variazione della quantità di<br />

neve erosa in base alla variazione del<br />

parametro ξ , tenendo costanti μ (0.38)<br />

e τ (10000).<br />

Nelle prime otto simulazioni i valori di τ e μ sono stati mantenuti costanti sui valori di 10000<br />

Pa e 0.38. Facendo variare solamente ξ è stato possibile ottenere, come visibile nel grafico<br />

<strong>6.</strong>37, una funzione caratterizzata da un andamento lineare fino a ξ pari a 800, per valori più<br />

alti si ha sempre una crescita ma non lineare. In generale, il grafico mostra chiaramente che<br />

un incremento del parametro di attrito turbolento determina un aumento della quantità di neve<br />

erosa. Questo è dovuto al fatto che un aumento del parametro ξ riduce l’attrito turbolento<br />

nella valanga, facendo aumentare la velocità e le pressioni dinamiche. Come conseguenza di<br />

quanto detto la soglia di ripresa è superata in molti più punti.<br />

179


Volume Eroso (m3)<br />

4000<br />

3500<br />

3000<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

0,15 0,25 0,35 0,45 0,55 0,65<br />

Mu<br />

Nelle successive otto simulazioni i valori di τ e ξ sono stati mantenuti costanti sui valori di<br />

10000 Pa e 800 m/s 2 . Facendo variare solamente μ è stato possibile ottenere un grafico<br />

dall’andamento molto diverso dal precedente. Il parametro di attrito coulombiano ha una<br />

correlazione negativa con il volume di neve erosa: aumentando μ il volume eroso diminuisce<br />

in maniera molto netta (fig. <strong>6.</strong>38)<br />

Volume eroso (m3)<br />

3500<br />

3000<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

0 5000 10000<br />

tau<br />

15000 20000<br />

Fig. <strong>6.</strong>38: Variazione della quantità di<br />

neve erosa in base alla variazione del<br />

parametro μ, tenendo costanti ξ (800)<br />

e τ (10000).<br />

Fig. <strong>6.</strong>39: Variazione della quantità di<br />

neve erosa in base alla variazione del<br />

parametro τ, tenendo costanti ξ (800) e<br />

μ (0.38).<br />

Nelle ultime otto simulazioni i valori di ξ e μ sono stati mantenuti costanti sui valori di 800<br />

m/s 2 e 0.38. Facendo variare solamente τ è stato possibile ottenere ancora una volta un grafico<br />

con un andamento piuttosto ripido. Come nel caso precedente all’aumentare del valore della<br />

resistenza del manto nevoso il volume di neve che la valanga riesce ad erodere diminuirà<br />

progressivamente.<br />

I risultati delle 24 simulazioni con la variazione dei tre parametri possono essere rappresentati<br />

in un unico grafico cartesiano. In questo modo è possibile osservare quali sono i parametri che<br />

con la loro variazione hanno un maggior peso sui risultati del modello.<br />

Per la valanga della Parsennfurgga si può vedere come le rette relative ai parametri τ e μ siano<br />

leggermente più ripide rispetto a quella di ξ.<br />

180


Volume eroso (m3)<br />

4000<br />

3500<br />

3000<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

-60% -40% -20%<br />

0<br />

0% 20% 40% 60%<br />

Variazione percentuale dal valor medio<br />

Solamente la crescita della massa erosa con un aumento del 50% di ξ è nettamente minore<br />

della crescita dovuta alla diminuzione di μ o τ del 50%.<br />

In generale si può pero dire che una variazione dei parametri τ e μ ha un maggior peso sul<br />

modello rispetto ad una variazione di ξ.<br />

Per la valanga del Gotschnawang è stato fatto il medesimo lavoro. La miglior<br />

rappresentazione di questa valanga è stata ottenuta ponendo τ pari a 35000 Pa, μ pari a 0.29 e<br />

ξ pari a 800 m/s 2 . Inoltre anche qui tra le costanti figuravano anche l’altezza di neve al<br />

distacco pari a 40 cm e l’altezza di neve disponibile per essere ripresa pari a 30 cm. Facendo<br />

variare gradualmente i tre parametri sono state effettuate 24 simulazioni.<br />

Volume Eroso (m3)<br />

Fig. <strong>6.</strong>40: Grafico rappresentante il volume di neve eroso in funzione della variazione dalla media dei tre<br />

parametri ξ, μ e τ.<br />

35000<br />

30000<br />

25000<br />

20000<br />

15000<br />

10000<br />

5000<br />

0<br />

300<br />

-5000<br />

500 700 900 1100 1300<br />

Xi<br />

Nelle prime otto simulazioni i valori di τ e μ sono stati mantenuti costanti sui valori di 35000<br />

Pa e 0.29. Facendo variare solamente ξ è stato possibile ottenere, come visibile nel grafico<br />

Xi<br />

Mu<br />

tau<br />

Fig. <strong>6.</strong>41: Variazione della quantità di<br />

neve erosa in base alla variazione del<br />

parametro ξ , tenendo costanti μ e τ.<br />

181


<strong>6.</strong>41, una funzione caratterizzata da un asintoto orizzontale nella parte inferiore ed un<br />

andamento crescente verso alti valori di ξ. Anche in questa valanga il grafico mostra<br />

chiaramente che un incremento del parametro di attrito turbolento determina un aumento della<br />

quantità di neve erosa.<br />

Volume Eroso (m3)<br />

35000<br />

30000<br />

25000<br />

20000<br />

15000<br />

10000<br />

5000<br />

0<br />

0,10 0,20 0,30<br />

Mu<br />

0,40 0,50<br />

Nelle successive otto simulazioni i valori di τ e ξ sono stati mantenuti costanti sui valori di<br />

35000 Pa e 800 m/s 2 . Facendo variare solamente μ è stato possibile ottenere un grafico<br />

dall’andamento opposto rispetto al precedente. Il parametro di attrito coulombiano ha una<br />

correlazione negativa con il volume di neve erosa: aumentando μ il volume eroso diminuisce,<br />

infatti, in maniera molto netta (fig. <strong>6.</strong>42)<br />

50000<br />

45000<br />

40000<br />

35000<br />

30000<br />

25000<br />

20000<br />

1500 0<br />

10 0 0 0<br />

5000<br />

0<br />

10000 20000 30000 40000 50000 60000<br />

tau<br />

Fig. <strong>6.</strong>42: Variazione della quantità di<br />

neve erosa in base alla variazione del<br />

parametro μ, tenendo costanti ξ e τ.<br />

Fig. <strong>6.</strong>43: Variazione della quantità di<br />

neve erosa in base alla variazione del<br />

parametro τ, tenendo costanti ξ e μ.<br />

Nelle ultime otto simulazioni i valori di ξ e μ sono stati mantenuti costanti sui valori di 800<br />

m/s 2 e 0.29. Facendo variare solamente τ è stato possibile ottenere ancora una volta un grafico<br />

con un andamento piuttosto ripido che tende poi ad un asintoto orizzontale. Come nel caso<br />

precedente all’aumentare del valore della resistenza del manto nevoso il volume di neve che<br />

la valanga riesce ad erodere diminuirà progressivamente.<br />

182


I tre grafici precedenti sono stati, anche in questo caso, raggruppati in un unico diagramma<br />

cartesiano. I due grafici riassuntivi (fig. <strong>6.</strong>40 e <strong>6.</strong>44) sono piuttosto diversi.<br />

Volume Eroso (m3)<br />

50000<br />

45000<br />

40000<br />

35000<br />

30000<br />

25000<br />

20000<br />

15000<br />

10000<br />

5000<br />

-60% -40% -20%<br />

0<br />

-5000<br />

0% 20% 40% 60%<br />

Variazione percentuale dalla media<br />

Fig. <strong>6.</strong>44: Grafico rappresentante il volume di neve eroso in funzione della variazione dalla media dei tre<br />

parametri ξ, μ e τ.<br />

Anche in questo caso non c’è una grande differenza tra le pendenze dei grafici. Tra i tre<br />

parametri quello che sembra avere un andamento leggermente più ripido degli altri è il<br />

parametro τ.<br />

I grafici riassuntivi delle due valanghe (fig. <strong>6.</strong>40 e <strong>6.</strong>44) sono estremamente diversi. Questo è<br />

spiegato dal fatto che le due valanghe stesse su cui è stato fatto il lavoro sono profondamente<br />

diverse. Bisogna infatti sottolineare che fattori come la topografia e quindi le velocità in<br />

gioco, la grandezza della valanga e la qualità della neve al suolo (espressa dal parametro τ)<br />

hanno una grande influenza sulla ripresa di neve.<br />

Anche se le simulazioni sono state limitate possono comunque essere fatte delle interessanti<br />

considerazioni. In generale tutti e tre i parametri saranno caratterizzati dall’avere due asintoti<br />

orizzontali: l’asintoto superiore consisterà nel momento in cui le resistenze date dai parametri<br />

saranno estremamente basse, mentre l’asintoto inferiore consisterà nel momento in cui la<br />

valanga, avendo delle velocità troppo basse, non sarà stata ancora in grado di erodere una<br />

grande quantità di neve.<br />

Questo concetto è ben visibile considerando i grafici relativi al parametro ξ in entrambe le<br />

valanghe: possiamo notare che, nel caso della Parsennfurgga, per alti valori la resistenza<br />

turbolenta diventa sempre più piccola, di conseguenza la curva tenderà ad appiattirsi sempre<br />

di più. Nel caso del Gotschnawang invece valori troppo piccoli del parametro non permettono<br />

Xi<br />

Mu<br />

tau<br />

183


alla valanga di arrivare a velocità tali da riprendere neve, di conseguenza la curva risulterà<br />

piuttosto piatta.<br />

Le curve risultano quindi estremamente diverse proprio per il fatto che le due valanghe sono<br />

caratterizzate da parametri di partenza diversi, strettamente connessi, come già detto a fattori<br />

come la topografia, le velocità, la grandezza e la quantità di neve erosa.<br />

Risulta quindi chiaro come la qualità del modello di ripresa inserito in questa tipologia di<br />

modelli è importante soprattutto nel caso in cui si debbano simulare valanghe sulle quali non<br />

si possiedono buone informazioni degli eventi passati. Questo perché se il modulo di ripresa<br />

non è preciso il valore del parametro τ è assolutamente imprevedibile.<br />

184


<strong>6.</strong>6 CONCLUSIONI<br />

L’obiettivo principale di questa parte del lavoro era quello di esplorare i dati con l’utilizzo di<br />

un nuovo modello di dinamica, calibrato su dati di valanghe catastrofiche.<br />

Risultava, quindi, estremamente interessante valutare se questo modello potesse essere in<br />

grado o meno di riprodurre anche valanghe caratterizzate da dimensioni minori, sia da un<br />

punto di vista delle distanze di runout, degli spessori dei depositi e delle velocità.<br />

Prima di commentare i risultati relativi ad ognuna delle quattro valanghe analizzate è<br />

necessario fare due osservazioni di carattere generale. Il modello utilizzato possiede una<br />

soglia di calcolo a causa della quale, se la massa in moto è minore dell’1% della massa totale,<br />

il calcolo viene bloccato e la valanga si arresta a metà del versante. Questa soglia di calcolo,<br />

generalmente non problematica, ha influenzato i risultati di una delle valanghe simulate<br />

(Gotschnawang, marzo) nel caso dell’analisi senza considerare il fattore della ripresa. Questa<br />

valanga, nonostante abbia un rapporto massa in moto/massa totale di poco inferiore alle altre<br />

del campione risente comunque di questo effetto. L’ente fornitore del modello, prendendo atto<br />

di questo problema, sta tuttora tentando di risolverlo, in modo da rendere più facile la<br />

rappresentazione di valanghe piuttosto piccole. In questo caso ci si è dovuti accontentare dei<br />

dati relativi ai test comprendenti la ripresa di neve.<br />

Un secondo aspetto importante riguarda il modulo di calcolo della ripresa di neve. Come già<br />

detto, inserendo tra i dati di input lo spessore della neve disponibile per essere ripresa, la sua<br />

densità e la sua resistenza (sottoforma del parametro τ) il modello dovrebbe calcolare<br />

automaticamente dove e quanto la valanga è in grado di riprendere neve. Nella realtà, il<br />

modulo di ripresa non è ancora perfettamente calibrato: quando il modello, in base al valore di<br />

τ inserito, calcola dove la valanga riprende neve, la ripresa arriva fino alla base dello spessore<br />

di neve massimo inserito. Questo determina una sovrastima delle masse effettivamente in<br />

gioco: può succedere che lo strato di neve disponibile venga completamente eroso, ma non<br />

accade sempre. Infatti, nei casi in cui è presente una grande quantità di neve erodibile, la<br />

ripresa è molto più graduale e disomogenea di quanto calcola il modello. Anche questo<br />

aspetto è in fase di valutazione e di risoluzione da parte dell’ente fornitore del software, che<br />

inserirà nell’immediato futuro un modulo di ripresa che permetterà l’inserimento di tre<br />

differenti strati a densità e resistenza diverse.<br />

Vengono di seguito riassunti velocemente i risultati ottenuti per ciascuna delle quattro<br />

valanghe del campione.<br />

185


Per quanto riguarda la valanga della Drusatscha, nella fase delle simulazioni senza<br />

considerare la ripresa di neve, i valori utilizzati per i parametri d’attrito μ e ξ risultano<br />

completamente diversi da quelli suggeriti in letteratura (μ: 0.31 e ξ: 1200 m/s 2 ). Questo è stato<br />

notato sia per le simulazioni che consideravano il solo deposito denso (μ: 0.42 e ξ: 500 m/s 2 ),<br />

che per quelle che consideravano anche la presenza del deposito fluidizzato (μ: 0.35 e ξ: 800<br />

m/s 2 ). Solamente le forme dei depositi si sono dimostrate, in questo caso, abbastanza<br />

coincidenti con la realtà. Anche nelle simulazioni con ripresa di neve i parametri di attrito<br />

sono molto diversi, per non dire estremi, rispetto a quelli consigliati. In questo caso anche le<br />

forme dei depositi sono completamente diverse da quelle osservate sul terreno. La valanga<br />

infatti si amplia eccessivamente rispetto alla realtà. Infine sia le velocità che gli spessori dei<br />

depositi sono estremamente sottostimati. Con i valori standard consigliati in letteratura per<br />

questa valanga non esiste quindi soluzione, purtroppo anche con i valori utilizzati non si è<br />

riusciti a ben rappresentare l’evento osservato.<br />

Nei test relativi alla valanga della Parsennfurgga i valori dei parametri di attrito sono simili a<br />

quanto indicato in letteratura (μ: 0.33 e ξ: 1000 m/s 2 ). I due parametri nelle simulazioni<br />

con/senza ripresa e con/senza parte fluidizzata si sono mantenuti pari a 800 m/s 2 per ξ mentre<br />

tra 0.32 e 0.38 per μ. Le differenze nelle forme del deposito sono invece da imputarsi alla base<br />

topografica non troppo precisa e che non tiene conto delle irregolarità locali presenti nel sito<br />

valanghivo. Per quanto riguarda le velocità e gli spessori calcolati, le prime sono ancora una<br />

volta sottostimate rispetto a quanto ipotizzato, mentre i secondi sono leggermente sottostimati<br />

solo nel caso del deposito denso.<br />

Nei test relativi alla valanga del Gotschnawang del mese di gennaio i valori dei parametri di<br />

attrito sono abbastanza diversi da quanto consigliato in letteratura (μ: 0.21 e ξ: 1750 m/s 2 ). Nei<br />

test che non considerano la ripresa di neve i valori sono abbastanza coincidenti, mentre nei<br />

test con ripresa di neve il parametro ξ è abbastanza sottostimato (800 m/s 2 senza la parte<br />

fluidizzata e 1200 m/s 2 con la parte fluidizzata) mentre μ è sovrastimato (0.29 in entrambi i<br />

casi). Per quanto riguarda velocità e spessori le prime sembrerebbero anche in questo caso<br />

sottostimate, mentre gli spessori non sono perfettamente coincidenti con quanto osservato in<br />

tutte le trincee scavate. Solamente nei test senza considerare la ripresa sono stati usati dei<br />

valori (senza parte fluidizzata: μ: 0.25 e ξ: 1600 m/s 2 ; con parte fluidizzata: μ: 0.21 e ξ: 2000<br />

m/s 2 ) abbastanza coincidenti con quelli impiegati in letteratura.<br />

186


Nei test relativi alla valanga del Gotschnawang del mese di marzo, come detto in precedenza, i<br />

test senza considerare la ripresa non sono stati possibili. Inoltre per questa valanga, visto che<br />

la componente fluidizzata consisteva in una ondata secondaria non uniforme sul fronte, è stato<br />

possibile studiare solamente il caso della parte densa. Considerando la ripresa i parametri<br />

utilizzati (μ: 0.31 e ξ: 1200 m/s 2 ) sono confrontabili con quelli consigliati in letteratura (μ:<br />

0.31 e ξ: 1200 m/s 2 ). Anche le forme dei depositi sono piuttosto coincidenti con quanto<br />

osservato. Invece come nei casi precedenti le velocità sembrerebbero ancora una volta<br />

sottostimate e i depositi non sono perfettamente coincidenti con quanto osservato.<br />

Riassumendo, il modello utilizzato ha avuto qualche problema nella rappresentazione delle<br />

valanghe campione caratterizzate da dimensioni minori rispetto a quelle su cui era stata fatta<br />

una prima calibrazione da parte dei fornitori del software.<br />

Prima di tutto bisogna ancora una volta sottolineare che la valanga della Drusatscha<br />

rappresenta una sorta di caso limite ancora non ben compreso visto che i parametri d’attrito<br />

ottenuti sono completamente diversi da quelli consigliati.<br />

Per quanto riguarda invece le altre tre valanghe simulate i parametri d’attrito sono stati<br />

completamente corrispondenti con quanto indicato in letteratura solo in un caso, ma<br />

comunque abbastanza accettabili. Va evidenziato che la maggior similarità con la letteratura è<br />

stata individuata nei test senza ripresa neve, mentre le maggiori differenze sono sempre state<br />

registrate nei test con ripresa di neve.<br />

In tutti e quattro le valanghe del campione è stata notata un’eccessiva tendenza all’espansione<br />

laterale nella zona di deposito, cosa molto evidente nella valanga della Drusatscha. Nella<br />

realtà in nessuna delle quattro valanghe è stato osservato un comportamento di questo tipo.<br />

Per quanto riguarda gli spessori dei depositi, i risultati ottenuti sono piuttosto vari. Nel caso<br />

della valanga della Drusatscha gli spessori del deposito sono piuttosto sottostimati, cosa che<br />

avviene anche in alcune delle trincee delle altre tre valanghe, come già descritto in dettaglio<br />

nel paragrafo precedente.<br />

Le velocità sembrerebbero in tutte e quattro le valanghe del campione sottostimate. In realtà<br />

non avendo nessuna misura di questo parametro non si può concludere che il modello non<br />

rappresenti esattamente questo aspetto. Una verifica potrebbe essere data solamente da misure<br />

effettuate sul campo.<br />

Un aspetto che deve essere sottolineato è il fatto che i valori del parametro ξ dovevano essere<br />

più alti nel caso con la ripresa che nel caso senza ripresa per poter ben modellizzare le<br />

valanghe. Questo è dovuto al fatto che la ripresa di neve ha un effetto decelerante sulla<br />

187


valanga molto simile all’attrito turbolento. Infatti la neve ripresa durante il percorso deve<br />

essere accelerata alla stessa velocità della valanga. Nei test effettuati questo non è stato<br />

effettivamente riscontrato tranne che per la valanga della Drusatscha, che come già detto ha<br />

però dato parecchi problemi. Invece nel caso della Parsennfurgga i valori di ξ risultavano<br />

simili in entrambe le serie di test, mentre nel caso del Gotschnawang i valori di ξ nel caso<br />

senza ripresa erano maggiori (1600-2000 m/s 2 ) che nel caso con la ripresa (800-1200 m/s 2 ).<br />

In conclusione Ramms, non simula perfettamente le valanghe di piccole dimensioni del nostro<br />

campione. La rappresentazione attuale, permette comunque di avere un’idea generale<br />

accettabile della valanga, ma i parametri fondamentali per ottenere una pianificazione<br />

territoriale, come le velocità (e quindi le pressioni) le forme e gli spessori dei depositi non<br />

sono ancora completamente affidabile. Essendo ancora in fase di test, l’ente fornitore del<br />

modello sta già provvedendo ad apportare delle modifiche soprattutto al modulo di ripresa, al<br />

fine di migliorare ancora di più la qualità delle rappresentazioni.<br />

Ramms è un modello monofase, mentre la realtà suggerisce che le valanghe sono costituite da<br />

due fasi differenti (densa e fluidizzata). Basare una pianificazione territoriale su un modello di<br />

questo tipo rappresenta probabilmente una scelta troppo a favore della sicurezza. Sarebbe<br />

interessante confrontare i risultati ottenuti con questo modello con un modello bifase, per<br />

vedere quelle che potrebbero essere le differenze da un punto di vista di pianificazione e di<br />

delimitazione delle aree a differente pericolosità.<br />

188


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- http://www.unifr.ch/geoscience/mineralogie/basgeol/silv_home.html<br />

190


R<strong>IN</strong>GRAZIAMENTI<br />

Il primo ringraziamento va alla mia famiglia: mamma, papà e Zazu! Grazie per essermi stati<br />

sempre vicini in questi 5 anni di università!<br />

Grazie al Dott. Dieter Issler, per avere avuto la folle idea di farmi da relatore, per la sua<br />

disponibilità e la sua ospitalità e per avermi sopportato e consigliato in ogni situazione.<br />

Besonders bedanken möchte ich mich bei Claudia, Mena und Flurin für ihre<br />

Gastfreundlichkeit und für die vielen schönen gemeinsamen Momente.<br />

Grazie al Prof. Giovanni Crosta, che per la seconda volta ha accettato di farmi da relatore e<br />

soprattutto ha accolto di buon grado la mia tesi!<br />

Grazie anche al Dott. Paolo Frattini, per non avermi mai ucciso per tutte le domande che gli<br />

ho fatto!<br />

Grazie anche a Rosanna, per avermi fatto sparire tutti i dubbi in un attimo!<br />

Grazie a Massimiliano Barbolini, perché se non mi avesse convinto a seguire l’Université<br />

Européenne d’Eté sulle valanghe nel lontano 2004 ora non sarei qui a scrivere queste righe.<br />

Grazie a Davos! Il posto più freddo e più nevoso dove potevo finire per fare la mia tesi.<br />

Grazie al mio compagno di tesi Stefano, che non mi ha lasciato morire in qualche buca in<br />

mezzo alla neve, e che mi ha fatto apprezzare la buona cucina italiana ogni sera!<br />

Grazie a tutti i colleghi di progetto e a quelli dello studio TUR di Davos: Bernhard<br />

Krummenacher, Hansueli Gubler, Bernardo Teufen, Eva e Lea che mi hanno iniziato alla<br />

pratica suicida dello slittino.<br />

Grazie all’ Istituto per lo Studio della Neve e delle Valanghe di Davos (SLF) e in particolare a<br />

Betty Sovilla, Marc Christen, Martin Kern.<br />

Grazie al mitico duo Raffaele & Ilaria e al trio Francesca, Ilaria e Manuel compagni di sciate<br />

che hanno avuto il coraggio di avventurarsi sui tornanti di montagna fino a Davos.<br />

Grazie ai miei sci e al mio Arva che mi hanno portato a casa sana e salva ogni sera.<br />

Grazie alla Caotina, fedele compagna dei momenti di sconforto.<br />

Grazie alla pasticceria Weber di Davos per avermi insegnato l’unica parola di tedesco<br />

imparata in tre mesi: konditorei.<br />

Grazie alla mia Opel Corsa fedele compagna di tornanti.<br />

Grazie a Marco per avermi sopportato e insegnato a guardare le cose con occhi diversi.<br />

Grazie alla mia fedele amica Chiara che non mi ha mai insultato (o quasi) quando le dicevo<br />

che non potevo uscire perché dovevo scrivere la tesi.<br />

Grazie a Francesca, Marta, Ilaria e Gaia per tutti i bei momenti di questa lunga avventura che<br />

abbiamo vissuto insieme, facendoci forza l’un l’altra.<br />

E naturalmente grazie anche a Michi, Albe, Davide, Roby e a tutti gli altri che mi sto<br />

dimenticando…<br />

191


Allegati:<br />

Carte delle valanghe rilevate e Database tabellare<br />

192

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