I movimenti migratori in provincia di Sondrio un panorama generale

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altro prete della Val San Giacomo scrive: “queste scuole non sono altro che una radunanza di soli paesani e terreri de nostri paesi, i quali dimorando in quelle famose Città per guadagnarsi il vivere s’impiegano in esercizij servili”. Ulteriori notizie si trovano in fonti ottocentesche (Rebuschini, Gioia). Tra le cause dell’emigrazione nella nostra provincia sono state spesso menzionate la pressione demografica, la scarsità di territorio utilizzabile per l’agricoltura, la marginalità rispetto alle grandi aree di scambio commerciale, la perifericità politica, la situazione fondiaria … tutte ragioni valide, anche se magari limitatamente a certi periodi o a certe aree, ma che forse non colgono come l’emigrazione si sia costituita nel tempo come una strategia attraverso cui i gruppi famigliari hanno cercato di reperire risorse per il miglioramento del loro status e quindi come un’opportunità in più rispetto a quelle offerte dall’economia locale, da sfruttare comunque indipendentemente dalle contingenze del momento. Una tabella può aiutarci a mettere ordine tra le principali destinazioni degli emigranti della nostra provincia tra il XV e la metà del XIX secolo. PROVENIENZA ATTIVITÀ PREVALENTI DESTINAZIONE Bormio mercanti, ciabattini Germania, Lombardia Frontale, Fumero facchini “estero” Sondalo ciabattini Italia (Vicenza, Padova, Verona) Grosio mercanti, panettieri, artigiani, facchini Venezia Grosotto muratori Germania (Palatinato) Mazzo ciabattini Italia (Verona, Vicenza) Lovero muratori Germania Ponte misuratori di grano Roma Chiuro misuratori di grano Roma Val Malenco mercanti Venezia, Trentino, Germania, Valcamonica Castione facchini Roma, Napoli, Messina, Palermo Berbenno facchini Roma, Napoli, Messina, Palermo Pedemonte facchini Roma, Napoli, Messina, Palermo Postalesio facchini Roma, Napoli, Messina, Palermo Ardenno facchini Roma, Napoli, Messina, Palermo Morbegno macellai “luganegari” Brescia, Verona, Vicenza, Padova, Venezia Val Gerola fornai Bologna, Ferrara, Mantova, Verona, mestieri vari Napoli, Sicilia, Stato Veneto Valle di Albaredo facchini Livorno Cosio facchini Genova, Alessandria, Savona, Pavia Regoledo facchini Genova, Alessandria, Savona, Pavia Delebio facchini Genova, Alessandria, Savona, Pavia Piantedo facchini Genova, Alessandria, Savona, Pavia Zona dei Cech Orzaroli, osti, droghieri, Roma Valchiavenna macellai, “luganegheri” Venezia, Palermo Gordona commercio di vino Napoli Val San Giacomo, Gordona, Samolaco, Val Codera facchini, osti, fornai, domestici, misuratori di grano Secondo Jon Mathieu “quello che contraddistingueva la mobilità in zone di montagna sembra essere stato meno la dimensione numerica quanto l’alta percentuale di emigranti da terre distanti e il grado superiore alla media della loro specializzazione professionale. Le due tendenze erano frequentemente in collegamento l’una con l’altra. In presenza di una modesta densità di popolazione, l’attività in rami produttivi e comparti 12 Roma
commerciali particolari era dipendente da aree di mercato estese. Se gli abitanti di determinate valli volevano insistere su una possibilità di lavoro una volta che l’avevano scoperta e trovata attraente – e per questo c’erano buoni motivi – essi dovevano estendere il campo della loro attività soprattutto nello spazio” 16 . Per l’Ottocento è interessante la tabella riassuntiva riguardante l’emigrazione annuale (anni 1810-1813 circa) compilata da Melchiorre Gioia per la sua Statistica del dipartimento dell’Adda, dove vengono precisati i tempi di permanenza dei migranti al di fuori della provincia, se vengono accompagnati o meno dalla famiglia, cause e osservazioni sul fenomeno 17 (vedi tabelle in appendice). Alle fonti che abbiamo citato appare però sostanzialmente sfuggire l’emigrazione stagionale limitata ad un periodo estivo, che vedeva manodopera della nostra provincia recarsi per svolgere lavori agricoli in aree vicine: è il caso, che abbiamo descritto prima per Grosio, della fienagione nei Grigioni, ma la pratica ha coinvolto anche maestranze impiegate nell’alpeggio. La raccolta delle foglie di gelso era invece prevalentemente femminile, riguardava la bassa Valtellina, il comasco e, in epoca più tarda, il bresciano. Altra tipologia di emigrazione stagionale era quella invernale, tendenzialmente più prolungata di quella estiva, per la pratica di mestieri vari: calzolai, macellai, stagnini e venditori di lavéc’, facchini; da quanto sappiamo, in alcuni casi, la permanenza poteva anche andare oltre al periodo invernale. Vi era poi un’emigrazione per periodi più lunghi, anche di diversi anni, che generalmente alternava periodi di permanenza a casa con periodi di emigrazione. Erano comunque in genere movimenti organizzati, con comunità di compaesani nel luogo di destinazione, che spesso trovavano forme associative di assistenza e sostegno. I “luganegheri” della Valchiavenna emigrati a Venezia, per esempio, esercitavano la loro arte sotto il controllo e la protezione di una specifica corporazione, controllata da loro per oltre un secolo tra il XVII e il XVIII. Nel 1771 su 190 botteghe di luganegheri, 56 erano proprietà di valchiavennaschi e 100 erano gestite dagli stessi. 18 L’emigrazione coinvolgeva soprattutto uomini adulti, ma non era rara la presenza di ragazzi. Il tipo di atti notarili più interessante per la storia dei valtellinesi a Napoli è la locatio servitorum, con la quale il padre affidava il figlio minore ad un artigiano affinché apprendesse un mestiere, di solito meno faticoso di quello del genitore. Nel caso che quest’ultimo non fosse a Napoli, compariva davanti al notaio un parente prossimo, che aveva la tutela del minore. Il periodo di apprendistato presso un maestro era tanto più lungo quanto più il ragazzo era giovane. Durante questo tempo egli si trasferiva nella casa del maestro, dalla quale non poteva allontanarsi senza il suo permesso, nemmeno per sposarsi o apprendere un altro lavoro. in caso di malattia si prolungava il periodo di servizio. 19 Per quanto riguarda l’emigrazione a Roma nel Cinquecento e nel Seicento, fondamentali sono i due volumi di Tony Corti, che tracciano un particolareggiato panorama di quell’esperienza migratoria 20 . Ecco come l’autore ricostruisce il viaggio dei nostri emigranti 21 : 16 J. Mathieu, Storia delle Alpi 1500 –1900. Ambiente, sviluppo e società, Casagrande, Bellinzona, 2000, p. 135. 17 La tabella è stata pubblicata in appendice al saggio di Guglielmo Scaramellini, L’emigrazione valtellinese e valchiavennasca. Lo stato degli studi e obiettivi per la ricerca, in Valli alpine ed emigrazione. Studi, proposte, testimonianze, a cura di B. Ciapponi Landi, Museo Etnografico Tiranese, Sondrio 1998, pp.76-77. 18 G. Scaramellini, I doni alle chiese del contado di Chiavenna, in I tesori degli emigranti. I doni degli emigranti della provincia di Sondrio alle chiese di origine nei secoli XVI-XIX, Milano, Silvana, p. 42. 19 A. Delfino, Emigranti valtellinesi e valchiavennaschi a Napoli nel Seicento e nel Settecento, in “Bollettino della Società Storica Valtellinese”, 48, Sondrio, 1996, p. 93. 20 T. Corti, I valtellinesi nella Roma del Cinquecento, Sondrio, 1994; T. Corti, I valtellinesi nella Roma del Seicento, Sondrio 2000. 21 T. Corti, I valtellinesi nella Roma del Seicento, pp. 39 - 40. 13
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