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“accattone”: un nucleo del tradurre pasoliniano - Pier Paolo Pasolini

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE<br />

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA<br />

CORSO DI LAUREA IN LETTERE<br />

TESI DI LAUREA<br />

IN<br />

LETTERATURE COMPARATE<br />

“ACCATTONE”:<br />

UN NUCLEO DEL TRADURRE PASOLINIANO<br />

Laureando Relatrice<br />

Davide Pettarini Prof.ssa Sergia Adamo<br />

1<br />

Correlatore<br />

Prof. Gianluca Guerra


Introduzione<br />

p. 3<br />

Il <strong>tradurre</strong> <strong>pasoliniano</strong><br />

p. 15<br />

INDICE<br />

Una dizione totale <strong>del</strong>la realtà<br />

p. 36<br />

La lingua dei corpi<br />

p. 46<br />

Il mondo sempre come visto dal personaggio<br />

p. 51<br />

Il principio neorealista rovesciato<br />

p. 62<br />

Le principali tecniche di contaminazione<br />

p. 82<br />

La sceneggiatura come traduttore<br />

p. 97<br />

Il testo di arrivo: analisi di alc<strong>un</strong>e sequenze esemplari<br />

p. 108<br />

Bibliografia<br />

p. 129<br />

Elenco dei film citati<br />

p. 138<br />

2


INTRODUZIONE<br />

«<strong>Pasolini</strong> cercava di <strong>tradurre</strong>, e chiedeva di essere<br />

tradotto» 1 , con questa frase Gianni Scalia fa iniziare <strong>un</strong><br />

paragrafo molto intenso <strong>del</strong> suo dialogo a distanza con<br />

l’amico e collaboratore <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, in <strong>un</strong>’opera<br />

intitolata La mania <strong>del</strong>la verità. Una mania che ebbe peso<br />

soprattutto negli intenti <strong>del</strong> <strong>Pasolini</strong> scrittore corsaro,<br />

e che Scalia ha voluto fare propria nello sforzo di “dire<br />

il vero” su <strong>Pasolini</strong> stesso. In questo mio lavoro<br />

l’intenzione è stata quella di confrontarsi con <strong>Pasolini</strong><br />

proprio attraverso <strong>un</strong>o sforzo di traduzione, nella<br />

convinzione, la stessa di Scalia, di poter scoprire certi<br />

nervi, certe articolazioni nascoste dentro l’illuminante<br />

e originale opera <strong>del</strong>l’autore di cui mi sono occupato.<br />

Più precisamente, questa tesi nasce dalla<br />

convinzione che l’originalità e la forza com<strong>un</strong>icativa di<br />

Accattone 2 , il primo film di cui <strong>Pasolini</strong> ha firmato la<br />

regia, debbano essere viste come il risultato di <strong>un</strong><br />

passaggio fruttuoso e (si vedrà in quali termini) quasi<br />

obbligato, attraverso la sensibilità e i modi <strong>del</strong><br />

<strong>Pasolini</strong> poeta e narratore. Le analisi condotte in anni<br />

recenti da Nicola Dusi e raccolte nel 2003 in <strong>un</strong> volume<br />

intitolato Il cinema come traduzione 3 mi avevano suggerito<br />

la possibilità di applicare l’ottica <strong>del</strong>le teorie <strong>del</strong>la<br />

1<br />

Gianni Scalia, La mania <strong>del</strong>la verità, Bologna, Cappelli, 1978, p.<br />

43.<br />

2<br />

Accattone, 1961; scritto e diretto da <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>;<br />

collaborazione ai dialoghi di Sergio Citti; fotografia Tonino Delli<br />

Colli; scenografia Flavio Mogherini; coordinamento musicale Carlo<br />

Rustichelli; montaggio Nino Baragli; aiuto alla regia Bernardo<br />

Bertolucci; assistente alla regia Leopoldo Savona. Produzione Arco<br />

Film (Roma) / Cino Del Duca (Roma); produttore Alfredo Bini;<br />

pellicola Ferrania P 30; formato 35 mm; sviluppo e stampa Istituto<br />

Nazionale Luce; doppiaggio e sincronizzazione Stabilimenti Titanus;<br />

distribuzione Cino Del Duca; durata 116 minuti. Riprese aprile-luglio<br />

1961, teatri di posa Incir De Paolis, Roma; esterni: Roma,<br />

Subiaco. Prima proiezione XXII mostra di Venezia, sezione<br />

"informativa", 31 agosto 1961; premi Festival di Karlovy Vary, 1962,<br />

Primo premio per la regia.<br />

3<br />

Nicola Dusi, Il cinema come traduzione, Torino, Utet, 2003.<br />

3


traduzione intersemiotica per descrivere le peculiarità<br />

<strong>del</strong>la svolta espressiva pasoliniana.<br />

Dusi ha ottenuto interessanti risultati applicando<br />

questa griglia interpretativa ad alc<strong>un</strong>i significativi<br />

casi di trasposizione creativa ma, finora, lo studioso ha<br />

affrontato solamente casi in cui l’autore <strong>del</strong> testo<br />

d’arrivo differiva da quello <strong>del</strong> testo di partenza. Io,<br />

diversamente, avrò a che fare con <strong>un</strong> ampio numero di<br />

opere letterarie <strong>del</strong>lo stesso autore, i cui temi<br />

principali e il cui stile si sono riverberati in <strong>un</strong><br />

preciso testo d’arrivo; testo che ha come autore il<br />

medesimo <strong>del</strong>le opere letterarie di partenza e, come nuovo<br />

mezzo espressivo, quello cinematografico. Un autore che<br />

ha tradotto se stesso o, per meglio dire, la propria<br />

ricerca espressiva e i contenuti a lui cari, dalla lingua<br />

scritta <strong>del</strong>la poesia e <strong>del</strong>la narrativa a quella fatta di<br />

immagini e suoni <strong>del</strong> cinema.<br />

Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che<br />

<strong>Pasolini</strong> è stato <strong>un</strong> autore a tutto tondo, che si è<br />

espresso, nel corso <strong>del</strong>la propria vita, usando quasi<br />

tutti i mezzi che ha potuto avere a disposizione. 4 Tanto<br />

che, già intorno ai primi anni sessanta <strong>del</strong>lo scorso<br />

secolo, incalzato dalla curiosità <strong>del</strong>la critica, ha<br />

dovuto spesso trovarsi a definire i motivi di questa sua<br />

instabilità creativa. Per esempio, durante <strong>un</strong>’ampia<br />

intervista, genere di indagine alla quale <strong>Pasolini</strong> si è<br />

sempre<br />

dire:<br />

sottoposto con molta fatica, ha avuto modo di<br />

[...] il mio stile è eclettico; si compone di elementi,<br />

di materiali tratti da vari settori <strong>del</strong>la cultura: prestiti dai<br />

dialetti, poesie popolari, musiche popolari o classiche,<br />

4 Così il biografo Enzo Siciliano proprio riferendosi agli anni in<br />

cui <strong>Pasolini</strong> concepisce Accattone: «<strong>Pasolini</strong> è spinto a <strong>un</strong>a<br />

sperimentazione a tappeto, finanche simultanea, di tutte le tecniche<br />

artistiche possibili, [...]» cfr. Enzo Siciliano, Vita di <strong>Pasolini</strong>,<br />

Milano, Rizzoli, 1979, p. 231.<br />

4


iferimenti all’arte pittorica, architettonica... alle scienze<br />

umane... Non ho la pretesa di creare o di imporre <strong>un</strong>o stile. A<br />

creare in me il magma stilistico è <strong>un</strong>a sorta di fervore, di<br />

passione che mi spinge a impadronirmi di qualsiasi materiale,<br />

di qualsiasi forma mi sembri necessaria all’economia di <strong>un</strong><br />

film. 5<br />

Eppure, in fondo, simili dichiarazioni aggi<strong>un</strong>gono<br />

poco a quello che le sue stesse opere sono in grado di<br />

com<strong>un</strong>icare autonomamente. Questo suo gusto per il<br />

pastiche 6 , per la contaminazione, come avrò modo di<br />

dimostrare, emerge dov<strong>un</strong>que nei suoi lavori, con <strong>un</strong>a tale<br />

evidenza da dover essere analizzato, per forza di cose,<br />

come <strong>un</strong>a marca profonda <strong>del</strong> suo stile. Mi sono pertanto<br />

scontrato con la comprensione precisa di come il<br />

“<strong>tradurre</strong>” sia stato da sempre <strong>un</strong> gesto cardine<br />

<strong>del</strong>l’operare <strong>pasoliniano</strong> in tutti i campi e sotto tutti<br />

gli aspetti. È significativo che il filologo Rienzo<br />

Pellegrini, pur in <strong>un</strong> luogo che egli stesso ritiene<br />

inappropriato a definire con chiarezza le implicazioni di<br />

questo particolare aspetto <strong>del</strong> lavoro <strong>pasoliniano</strong>, si sia<br />

espresso così:<br />

L’opera di <strong>Pasolini</strong> è investita nel suo insieme dal<br />

problema <strong>del</strong>la “traduzione”: <strong>del</strong> travaso da <strong>un</strong>a lingua<br />

all’altra, da <strong>un</strong> codice all’altro. 7<br />

Alla luce di questo dato non mi restava altro che<br />

tentare di descrivere, all’interno di <strong>un</strong> arco di tempo e<br />

di opere particolarmente significativo, le tracce di<br />

5 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Il sogno <strong>del</strong> centauro, a cura di Jean Duflot,<br />

traduzione di Martine Schruoffeneger, Roma, Editori Ri<strong>un</strong>iti, 1983, p.<br />

110.<br />

6 Con pastiche mi riferirò sempre all’accezione con la quale lo<br />

stesso <strong>Pasolini</strong> ha utilizzato questo termine, fin dalle sue prove<br />

giovanili di critico d’arte, quindi come attributo di <strong>un</strong>’opera in cui<br />

si palesi la presenza di <strong>un</strong>a significativa commistione dei materiali<br />

e dei registri stilistici.<br />

7 Rienzo Pellegrini, Prefazione, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, L’usignolo<br />

<strong>del</strong>la Chiesa Cattolica, Milano, Garzanti, 2004, pp. 5-34 [10].<br />

5


quest’azione trasformativa e, di conseguenza, cogliere il<br />

frutto stilistico sbocciato dal nutrimento di questo<br />

costante operare per contaminazioni. Le analisi di<br />

trasferimenti sul piano <strong>del</strong>l’espressione o sul piano <strong>del</strong><br />

contenuto che è possibile fare con gli strumenti critici<br />

<strong>del</strong>le semiotiche planari, non potevano aiutarmi a<br />

descrivere fino in fondo quella che in <strong>Pasolini</strong> è stata<br />

<strong>un</strong>a pratica costante di inserimento, in tutte le<br />

dimensioni testuali da lui attraversate, <strong>del</strong>la sua intima<br />

e naturale propensione all’intertestualità, intesa nella<br />

più vasta <strong>del</strong>le sue accezioni.<br />

Ho deciso di far convergere questo lavoro in<br />

direzione di Accattone per diversi motivi. Prima di tutto<br />

perché si tratta, in assoluto, <strong>del</strong> primo film al quale<br />

<strong>Pasolini</strong> abbia lavorato in veste di regista pur essendo,<br />

in quel momento, <strong>del</strong> tutto privo di bagaglio tecnico ma<br />

sorretto solamente da <strong>un</strong> ricchissimo apparato di<br />

suggestioni pittoriche, da <strong>un</strong>a buona esperienza di<br />

sceneggiatore e, soprattutto, «da <strong>un</strong>‘interna necessità,<br />

da <strong>un</strong>’urgenza vitale» 8 a far confluire le spinte narrative<br />

e stilistiche sottratte al romanzo in direzione <strong>del</strong><br />

cinema. 9<br />

Per dare <strong>un</strong>a descrizione p<strong>un</strong>tuale dei modi in cui è<br />

avvenuto questo metaforico passaggio di consegne ho<br />

sentito la necessità di collocarmi dentro <strong>un</strong> preciso<br />

orizzonte di metodo, molto vicino a quello <strong>del</strong>ineato da<br />

8 Luciano De Giusti, Introduzione, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Il cinema<br />

in forma di poesia, a cura di Luciano De Giusti, Pordenone,<br />

Cinemazero, 1979, pp. 11-13 [12].<br />

9 Così lo studioso francese Joubert-Laurencin: «Il est faux de croire<br />

que <strong>Pasolini</strong> ait pu réaliser <strong>un</strong> long métrage brutalement, sans<br />

préparation, tombé du ciel de la littérature, comme l’atteste le<br />

nombre se ses travaux spécialisés des années 1950 (vingt<br />

collaborations comme scénariste avant la réalisation de son premier<br />

film). Cependant, li est vrai qu’avant l’aventure d’Accattone, […]<br />

<strong>Pasolini</strong> est d’abord <strong>un</strong> homme de lettres, et il est vrai qu’auc<strong>un</strong><br />

court métrage ni auc<strong>un</strong> apprentissage technique ou assistanat ne<br />

précède le premiere tournage» cfr. Hervé Joubert-Laurencin, <strong>Pasolini</strong>:<br />

portrait du poète en cinéaste, Parigi, Cahiers du cinéma, 1995, p.<br />

21.<br />

6


Luciano De Giusti quando, nell’introduzione al libro Il<br />

cinema in forma di poesia, sottolinea come si tratti di<br />

«non eliminare, ma per così dire, mettere tra parentesi<br />

tutte quelle mediazioni critiche che si sono sovrapposte<br />

- e interposte – tra l’opera, il suo autore e noi». 10<br />

Mentre, per capire fino a che p<strong>un</strong>to e attraverso quali<br />

incognite, avrei potuto spingere il mio sforzo<br />

interpretativo, valgono le parole di Giuseppe Zigaina,<br />

poste a esergo di alc<strong>un</strong>i suoi app<strong>un</strong>ti sul lavoro<br />

pittorico <strong>del</strong>l’amico poeta-cineasta:<br />

Seguendo le tracce che <strong>Pasolini</strong> ha lasciato dietro<br />

di sé (alc<strong>un</strong>e bene in evidenza, altre più incerte o quasi<br />

nascoste), è facile commettere errori, anche grossolani,<br />

di interpretazione. […] Perché la materia è composita e<br />

l’autore sfuggente. D’altra parte, quando si ha la<br />

sensazione che a ogni lettura muti il significato <strong>del</strong>la<br />

sua opera, (o che ogni nuova chiarezza tenda a dilatarne<br />

il campo semantico), è fatale e necessario seguire quelle<br />

tracce; soprattutto se <strong>un</strong>o è convinto, come io sono, che<br />

la sua strategia di artista era globale e la sua opera di<br />

contaminazione onnicomprensiva. 11<br />

Di fatto, proprio la curiosità con la quale <strong>Pasolini</strong><br />

si è saputo muovere tra le più disparate discipline,<br />

interessandosi sempre anche al loro risvolto tecnicocritico,<br />

con il piglio <strong>del</strong> teorico inesausto, fa sorgere<br />

la necessità di operare ulteriori distinzioni e<br />

chiarimenti in merito ad alc<strong>un</strong>i problemi interpretativi.<br />

Per esempio, <strong>Pasolini</strong> fu tra i primi a stabilire<br />

come la sceneggiatura potesse essere letta alla stregua<br />

di <strong>un</strong> genere letterario autonomo, con <strong>del</strong>le sue precise,<br />

peculiari caratteristiche. Proprio la scoperta di<br />

10 Luciano De Giusti, Introduzione, cit., p. 11.<br />

11 Giuseppe Zigaina, <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong> e la sacralità tecnica, in<br />

Achille Bonito Oliva, Giuseppe Zigana, Disegni e pitture di <strong>Pier</strong><br />

<strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Basilea, Balance Rief, 1984, pp. 11-17 [17].<br />

7


significativi riverberi di questa particolare pratica di<br />

scrittura dentro le dinamiche interne alla sua opera di<br />

poeta e di romanziere, fonda la necessità di analizzare<br />

la sua produzione fino ad Accattone l<strong>un</strong>go <strong>un</strong>a sorta di<br />

passaggio a tre termini, dove la sceneggiatura ha <strong>un</strong>a<br />

f<strong>un</strong>zione di cerniera tra letterario e filmico, grazie<br />

alla sua naturale tensione a essere «struttura che vuol<br />

essere altra struttura» 12 , come amò definirla nel 1965 il<br />

<strong>Pasolini</strong> semiologo.<br />

Mi riferisco a <strong>un</strong>o dei suoi molti interventi di<br />

stampo teorico, in qualità di linguista, semiologo e, più<br />

in generale, teorico <strong>del</strong>la cultura, che sono stati<br />

raccolti in <strong>un</strong> volume intitolato Empirismo eretico 13 ,<br />

edito per la prima volta nel 1972. L’opera è apparsa tre<br />

anni prima <strong>del</strong>la tragica morte <strong>del</strong>l’autore che, curandone<br />

l’edizione, ha voluto inserirvi testi scritti l<strong>un</strong>go<br />

l’arco di circa dieci anni, lasciando a volte che vi<br />

siano contenute affermazioni poi superate e contraddette<br />

nel testo seguente <strong>del</strong>la raccolta. In ogni caso, tutti i<br />

testi riguardanti l’ambito cinematografico sono datati<br />

dopo il 1965, anno in cui si svolse la prima edizione<br />

<strong>del</strong>la Mostra Internazionale <strong>del</strong> Nuovo Cinema di Pesaro.<br />

Due tra i brani presenti in Empirismo eretico sono<br />

proprio le relazioni, rivedute e corrette, che <strong>Pasolini</strong><br />

presentò durante i lavori <strong>del</strong>la neonata manifestazione. A<br />

quella data <strong>Pasolini</strong> era già <strong>un</strong> regista affermato, con<br />

ben quattro l<strong>un</strong>gometraggi e tre mediometraggi all’attivo.<br />

La Ricotta 14 , che è <strong>un</strong>o di questi, fa parte di <strong>un</strong> film a<br />

12 Si intitola La sceneggiatura come «struttura che vuol essere altra<br />

struttura» <strong>un</strong> intervento di <strong>Pasolini</strong> poi inserito in: <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 2000, pp. 188-197.<br />

13 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Empirismo eretico, cit.<br />

14 La ricotta, 1963; Quarto episodio <strong>del</strong> film RoGoPaG. Gli altri<br />

episodi sono: Illibatezza di Rossellini, Il nuovo mondo di Godard, Il<br />

pollo ruspante di Gregoretti. Scritto e diretto da <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>; fotografia Tonino Delli Colli; architetto Flavio Mogherini;<br />

costumi Danilo Donati; commento e coordinamento musicale Carlo<br />

Rustichelli; montaggio Nino Baragli; aiuto alla regia Sergio Citti,<br />

Carlo di Carlo. Produzione Arco Film (Roma) / Cineriz (Roma) / Lyre<br />

8


episodi tra i quali <strong>un</strong>o porta la firma <strong>del</strong> regista<br />

principe <strong>del</strong>la nouvelle vague francese, Jean-Luc Godard.<br />

Quest‘ultimo aveva cominciato a condurre attraverso lo<br />

strumento cinematografico <strong>un</strong>’operazione, allo stesso<br />

tempo politica e teorica, tesa a mostrare come ogni forma<br />

d’arte partecipasse a <strong>un</strong> sistema di convezioni incapace<br />

di far affiorare il dispositivo <strong>del</strong>la propria estetica<br />

oltre la superficie <strong>del</strong> sistema di valori dominante. Il<br />

cinema giovane europeo scopriva, in quel momento, certe<br />

libertà stilistiche e formali che la letteratura aveva<br />

conquistato molti anni prima. Sembrava finalmente<br />

possibile poter parlare <strong>del</strong> cinema attraverso il cinema<br />

stesso, svelandone i meccanismi dall’interno, in <strong>un</strong>a<br />

pratica che era, nello stesso tempo, artistica e sociale.<br />

La manifestazione pesarese nasceva con il preciso intento<br />

di intessere anche in Italia <strong>un</strong> dibattito attorno a<br />

questi temi e di far circolare le idee francesi nella<br />

speranza, in parte realizzata, che queste potessero<br />

trovare terreno fertile anche tra le nuove leve <strong>del</strong><br />

cinema italiano. Non è <strong>un</strong> caso d<strong>un</strong>que, se <strong>Pasolini</strong><br />

comincia a interrogarsi con metodo e sistematicità sulle<br />

basi <strong>del</strong> mezzo cinematografico solo a partire dal 1965 e<br />

se le parentele <strong>del</strong> suo cinema con la nouvelle vague<br />

francese saranno sempre parziali e, in ogni caso, per<br />

nulla semplici da tracciare al momento <strong>del</strong>l’uscita <strong>del</strong><br />

suo primo l<strong>un</strong>gometraggio.<br />

Leggendo molte <strong>del</strong>le analisi che cercano di fare il<br />

p<strong>un</strong>to sull’intera opera cinematografica pasoliniana<br />

illuminandola alla luce degli scritti inseriti in<br />

Empirismo eretico, succede di trovarsi davanti a <strong>un</strong>a<br />

Film (Parigi); produttore Alfredo Bini; pellicola Ferrania P 30,<br />

Kodak Eastman Color; formato: 35 mm, b/n e colore; macchine da<br />

ripresa Arriflex; sviluppo e stampa Istituto Nazionale Luce;<br />

doppiaggio CID-CDC; sincronizzazione Titanus; distribuzione Cineriz;<br />

durata 35 minuti. Riprese ottobre-novembre 1962; teatri di posa<br />

Cinecittà; esterni periferia di Roma; premi Grolla d'oro per la<br />

regia, Saint Vincent, 4 luglio 1964.<br />

9


volontà irrefrenabile di chiudere il cerchio degli<br />

eventi, di dimostrare come quel che si può dire<br />

<strong>del</strong>l’ultimo gesto <strong>del</strong> poeta riesca a giustificare<br />

splendidamente tutto ciò che egli ha detto, a ritroso,<br />

fin dagli inizi <strong>del</strong> suo cammino. Causa di ciò, in fondo,<br />

è <strong>Pasolini</strong> stesso o, quanto meno, lo sono i suoi scritti,<br />

le sue affermazioni e la sua voglia di fare per primo<br />

chiarezza sul proprio operato. Spesso, però, affidandosi<br />

a questa furia definitoria, si finisce per ritenere<br />

superflua l’analisi <strong>del</strong>le tracce che l’autore ha lasciato<br />

nella contingenza storica <strong>del</strong> proprio operato. Si<br />

sorvola, insomma, sull’importanza dei singoli passaggi,<br />

<strong>del</strong>le singole trasformazioni che <strong>Pasolini</strong> ha inflitto al<br />

suo <strong>un</strong>iverso espressivo.<br />

Come aiuto per definire meglio i termini <strong>del</strong><br />

problema, mi sembra consono partire dal volume di Antonio<br />

Costa Immagine di <strong>un</strong>’immagine 15 che, oltre a <strong>un</strong>a<br />

pertinenza generale con i temi trattati in questa tesi, è<br />

forse il testo dove, finora, con maggior acutezza, si è<br />

cercato di fare luce attorno al complesso gioco di<br />

intrecci tra il <strong>Pasolini</strong> teorico di cinema, il <strong>Pasolini</strong><br />

cineasta, il <strong>Pasolini</strong> drammaturgo, poeta, romanziere e,<br />

aggi<strong>un</strong>gerei, sceneggiatore. Costa fornisce <strong>un</strong>a ricca<br />

carrellata su molti dei momenti nei quali l’<strong>un</strong>iverso<br />

letterario e quello cinematografico si sono trovati a<br />

intrattenere, a diverso titolo, <strong>un</strong> rapporto molto stretto<br />

e impossibile da ignorare. Dal titolo che Costa a dato al<br />

capitolo <strong>del</strong> libro dedicato a <strong>Pasolini</strong>, <strong>Pasolini</strong>: eresia<br />

semiologica e scrittura tragica, risultano immediatamente<br />

evidenti i p<strong>un</strong>ti di partenza dai quali lo studioso ha<br />

inteso muovere la sua analisi. Il lato relativo alla<br />

scrittura tragica concerne <strong>un</strong> ambito di intersezione<br />

molto particolare tra l’opera drammaturgica di <strong>Pasolini</strong>,<br />

15 Antonio Costa, Immagine di <strong>un</strong>'immagine: cinema e letteratura,<br />

Torino, UTET libreria, 1993.<br />

10


il mito e la tragedia classici e alc<strong>un</strong>i dei suoi film.<br />

L’eresia semiologica starebbe invece a definire proprio<br />

quel tentativo attuato da <strong>Pasolini</strong>, prima sulla rivista<br />

«Filmcritica», poi a Pesaro, di dar corpo attraverso<br />

affermazioni, più simili a dichiarazioni di poetica<br />

piuttosto che a <strong>un</strong>a trattazione semiotica, alla sua idea<br />

di “cinema di poesia”. Questo, appena citato, sarà il<br />

titolo sotto il quale le sue argomentazioni confluiranno,<br />

infine, in Empirismo eretico, durante la cui sistemazione<br />

l’autore si preoccupò ben poco di dare riferimenti<br />

precisi e sistematici agli autori presi come mo<strong>del</strong>lo e di<br />

elaborare <strong>un</strong>o studio completo, scientifico e sistematico.<br />

Egli, in generale, sembra essere vicino alle idee <strong>del</strong><br />

padre <strong>del</strong>la semiologia <strong>del</strong> cinema, Christian Metz, e<br />

vicinissimo al teorico <strong>del</strong> realismo ontologico, André<br />

Bazin, oltre che ispirato da <strong>un</strong> saggio di Giulio<br />

Herczeg 16 , anche se, sia lo scritto di Herczeg sia gli<br />

studi di Metz e di Bazin vengono l’<strong>un</strong>o per certi versi<br />

addirittura stravolto e gli altri trasformati dalla lente<br />

<strong>del</strong> poeta.<br />

Silvano Ceccarini, tra gli altri, ha sostenuto di<br />

vedere in ogni film di <strong>Pasolini</strong> <strong>un</strong>a «trasgressione<br />

lampante, <strong>un</strong>a violazione continua» 17 al cinema da lui<br />

codificato in sede teorica. Guido Fink, nella sua<br />

introduzione a Empirismo eretico mette in luce come<br />

<strong>Pasolini</strong> non accetti mai «che le sue costruzioni teoriche<br />

vengano scambiate per dichiarazioni personali di<br />

poetica» 18 . Antonio Costa ricorda come lo stesso <strong>Pasolini</strong>,<br />

a più riprese, abbia «negato che i suoi interventi<br />

teorici fossero finalizzati a interpretare il proprio<br />

16<br />

Giulio Herczeg, Lo stile indiretto libero in italiano, Firenze,<br />

Sansoni, 1963.<br />

17<br />

Silvano Ceccarini, L’assedio impossibile, in <strong>Pasolini</strong> nel dibattito<br />

culturale contemporaneo, atti <strong>del</strong> convegno, 16-17 febbraio 1977, a<br />

cura di A. Ferrero e G. Callegari, Provincia di Pavia-Com<strong>un</strong>e di<br />

Alessandria, Pavia-Alessandria, 1977, pp. 58-68 [62].<br />

18<br />

Guido Fink, Le parole contro la parola, introduzione in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, Empirismo eretico, Garzanti, cit. pp. I-XVII [XIII].<br />

11


cinema» 19 . Prese di posizione, queste, che mi hanno<br />

autorizzato a leggere la terza parte di Empirismo eretico<br />

come <strong>un</strong> contenitore di sp<strong>un</strong>ti interessanti e originali,<br />

con definizioni a modo loro incontestabili 20 , ma dalle<br />

quali emerge con evidenza come, oltre ai problemi posti<br />

dalla cronologia 21 , i concetti maturati in quelle pagine<br />

non possano certo essere letti come sviluppi preparatori<br />

di <strong>un</strong>a teoria successivamente applicata ai testi sui<br />

quali ho inteso concentrare i miei sforzi interpretativi,<br />

cosa sufficiente a renderli di difficile manovrabilità<br />

all’interno <strong>del</strong>l’orizzonte di metodo nel quale ho voluto<br />

collocarmi.<br />

Operate queste premesse in fatto di metodi e di<br />

cronologia, cerco di circoscrivere (brevemente poiché si<br />

tratta di opere ormai canonizzate <strong>del</strong>la letteratura e <strong>del</strong><br />

cinema italiani) il gruppo principale di testi da cui è<br />

impossibile prescindere volendo attuare <strong>un</strong> gioco di<br />

confronti come quello che mi sono deciso ad<br />

intraprendere. Imprescindibile è la coppia dei romanzi<br />

cosiddetti "romani" che, assieme alla raccolta di<br />

racconti e di sceneggiature dal titolo Alì dagli occhi<br />

azzurri, rappresentano la palestra nella quale <strong>Pasolini</strong>,<br />

ancora molto giovane, oltre a essersi formato come<br />

scrittore, ha potuto conoscere, innamorarsi e fotografare<br />

secondo la propria sensibilità quegli ambienti e quei<br />

personaggi che faranno rispettivamente da sfondi e da<br />

figure nei suoi primi intensissimi l<strong>un</strong>gometraggi. Accanto<br />

19<br />

Antonio Costa, Immagine di <strong>un</strong>'immagine : cinema e letteratura,<br />

cit., p. 129.<br />

20<br />

Mi riferisco, per esempio, alla definizione sulla quale intendo<br />

tornare, di ‘sceneggiatura quale genere autonomo’ e ad altre<br />

categorizzazioni, da più parti contestate, ma sicuramente efficaci,<br />

come quella che formula <strong>un</strong> paragone tra il “discorso indiretto<br />

libero” in letteratura e il cosiddetto “cinema di poesia”.<br />

21<br />

E proprio all’inizio di <strong>un</strong>o dei capitoli iniziali di <strong>un</strong> importante<br />

volume uscito nel 1981 come numero speciale dei «Cahiers du Cinéma»<br />

si insiste con forza sul fatto che: «Respecter la chronologie, dans<br />

l’étude des films de <strong>Pasolini</strong>, c’est respecter sa vie, la réalité».<br />

In Hervé Joubert-Laurencin, <strong>Pasolini</strong>: portrait du poète en cinéaste,<br />

Parigi, Cahiers du cinéma, 1995, p. 45.<br />

12


ai romanzi ci sono le raccolte poetiche ma, tra le cose<br />

scritte prima <strong>del</strong> 1961, due spiccano per importanza: Le<br />

ceneri di Gramsci e La religione <strong>del</strong> mio tempo. L’opera<br />

dialettale in friulano, in gran parte pubblicata a molti<br />

anni di distanza dalla stesura, interessa qui, alla<br />

stregua <strong>del</strong>la scelta <strong>del</strong> romanesco nei romanzi,<br />

soprattutto per la sua valenza di rifiuto verso<br />

l’italiano, inteso da <strong>Pasolini</strong>, negli anni <strong>del</strong> fascismo,<br />

come <strong>un</strong>a lingua innaturale e totalitaria. Operazione,<br />

questa, che ha molto in com<strong>un</strong>e, a mio avviso, con certe<br />

scelte di temi e di stile che, nei suoi film, hanno avuto<br />

la f<strong>un</strong>zione di marcare le distanze dalle produzioni di<br />

stampo commerciale. Già dal 1954 inoltre, <strong>Pasolini</strong> è<br />

coinvolto in <strong>un</strong> gran numero di progetti cinematografici<br />

(a vario titolo ne ho contati quasi trenta fino al 1961) 22<br />

il più <strong>del</strong>le volte con l’incarico di consulente per i<br />

dialoghi, vista la sua mimetica conoscenza <strong>del</strong> romanesco<br />

filtrata dall’animo <strong>del</strong> poeta. Il complesso di<br />

Cinecittà è, in pieni anni ’50, al culmine <strong>del</strong>la sua<br />

attività e <strong>Pasolini</strong> vi si reca, secondo Lino Micciché,<br />

«come i contadini che vanno in città per vendere qualcosa<br />

e comprare qualcos‘altro» 23 , ovvero senza esserne mai, né<br />

allora né poi, cittadino «veramente, mai completamente,<br />

mai fino in fondo» 24 . Ancora con Micciché è possibile<br />

sostenere che «è certamente nel dittico bologniniano La<br />

notte brava, La giornata balorda che la collaborazione<br />

cinematografica di <strong>Pasolini</strong> assume aspetti più personali<br />

e più autonomi, e anche più collegati con l’ispirazione e<br />

la poetica pasoliniane <strong>del</strong> periodo». 25 Di fatto, lo stesso<br />

22 Per <strong>un</strong> elenco dettagliato <strong>del</strong>le collaborazioni di <strong>Pasolini</strong> in veste<br />

di sceneggiatore, soggettista, addetto all’adattamento, collaboratore<br />

ai dialoghi, rimando alle pp. 3353-55 di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte<br />

le opere. Per il cinema, Tomo II, a cura di Walter Siti e Franco<br />

Zabagli, Milano, Mondadori, 2001.<br />

23 Lino Micciché, <strong>Pasolini</strong> nella città <strong>del</strong> cinema, Venezia, Marsilio,<br />

1999, p. 9.<br />

24 Ibidem.<br />

25 Ivi, p. 21.<br />

13


<strong>Pasolini</strong> considererà, anche a molti anni di distanza, la<br />

sceneggiatura <strong>del</strong>la La notte brava come <strong>un</strong>a «tra le<br />

migliori cose letterarie che egli abbia mai fatto» 26 .<br />

Da queste basi, in qualche modo a partire dall'idea<br />

di aver toccato il bordo di quel piedistallo che è per<br />

<strong>Pasolini</strong> la sua esperienza letteraria di fine anni<br />

cinquanta, egli ha spiccato il volo verso il cinema con<br />

<strong>un</strong>’istintività perfettamente naturale. Pertanto, è<br />

proprio sul solco tracciato da questo girotondo di testi<br />

e di testimonianze che ho cercato di definire in che modo<br />

ogni tassello <strong>del</strong>la sua opera precedente abbia<br />

contribuito a formare il particolarissimo e inimitato<br />

stile di Accattone, quasi a intenderlo più come il p<strong>un</strong>to<br />

di arrivo <strong>del</strong>l’opera letteraria piuttosto che l’inizio di<br />

quella cinematografica. 27<br />

26 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, <strong>Pasolini</strong> su <strong>Pasolini</strong>. Conversazioni con Jon<br />

Halliday [1968-1971], ora contenuto in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Saggi<br />

sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De<br />

Laude, Mondadori, Milano, 1999, pp. 1283-1399 [1305]. Walter Siti,<br />

nelle Notizie sui testi contenute nel secondo tomo <strong>del</strong> volume<br />

<strong>del</strong>l’opera omnia pasoliniana Per il cinema, ha riportato il testo di<br />

<strong>un</strong>a lettera inviata da <strong>Pasolini</strong> a Edoardo Br<strong>un</strong>o, il quale si era reso<br />

disponibile alla pubblicazione sulla rivista da lui diretta,<br />

«Filmcritica», di alc<strong>un</strong>i stralci dalla sceneggiatura <strong>del</strong>la Notte<br />

Brava. È interessante come vi si possa ritrovare <strong>un</strong>’osservazione<br />

polemica rispetto alle necessità inappagate di svolgere <strong>un</strong>o studio<br />

<strong>del</strong>lo stampo che in questa sede mi propongo di operare: «Il primo<br />

brano servirà di introduzione e di campione per il “filologo” (quando<br />

finalmente ci si occuperà di cinema filologicamente) che volesse<br />

operare dei confronti tra testo scritto e testo girato» cfr. <strong>Pier</strong><br />

<strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte le opere. Per il cinema, Tomo II, a cura di<br />

Walter Siti e Franco Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, pp. 3188-3189.<br />

27 Cito qui, tra le tante notazioni che vanno in questo senso, <strong>un</strong><br />

inciso di Nuccio Lodato estrapolato dagli atti di <strong>un</strong> convegno su<br />

<strong>Pasolini</strong> che si tenne ad Alessandria nel 1977, dove il critico<br />

sostiene che, se obbligato a farlo, non si sottrarrebbe «alla<br />

responsabilità di affermare, ad esempio, che non si fa torto ai pur<br />

assai stimolanti Ragazzi di vita e Una vita violenta, considerandoli<br />

avanzati momenti preparatori, rispettivamente, dei ben più maturi e<br />

risolti Accattone e Mamma Roma» cfr. Nuccio Lodato, La volontà di<br />

<strong>Pasolini</strong> “a” essere cineasta, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong> nel dibattito<br />

culturale contemporaneo, cit., pp. 69-79 [69].<br />

14


IL TRADURRE PASOLINIANO<br />

Quella <strong>del</strong> girotondo, <strong>del</strong> resto, è <strong>un</strong>a figura che fu<br />

suggestiva proprio agli occhi <strong>del</strong> grande linguista russo<br />

Jurij Lotman, dalle cui ipotesi riguardo allo stato di<br />

“poliglottismo artistico” <strong>del</strong>le arti vorrei ripartire per<br />

dare nuovo slancio alle intenzioni che muovono questo<br />

lavoro. Egli, nel 1974, pubblicò sulla rivista russa<br />

«Arte decorativa <strong>del</strong>l’Urss» <strong>un</strong> breve intervento nel cui<br />

incipit vi è il richiamo a <strong>un</strong> antico detto: le muse fanno<br />

il girotondo. 1 Se si facesse <strong>un</strong>a rapida panoramica sui<br />

modi in cui, nel corso dei secoli, si è cercato di<br />

condurre <strong>un</strong>o studio su ogni singolo aspetto <strong>del</strong>l’attività<br />

artistica umana, allo stesso modo si vedrebbe che non è<br />

mai stato possibile sottrarsi alla conduzione di analisi<br />

che tenessero conto, più in generale, di come lo “spirito<br />

<strong>del</strong>l’epoca” oppure lo “stile <strong>del</strong> tempo” si esprimessero<br />

attraverso differenti operazioni artistiche. Lotman pone<br />

la questione in questi termini:<br />

Perché <strong>un</strong>a qualsiasi com<strong>un</strong>ità non può essere soddisfatta<br />

da <strong>un</strong>’<strong>un</strong>ica arte, ma immancabilmente crea “serie” sue tipiche;<br />

perché il singolo individuo […] tende verso insiemi che<br />

forniscono combinazioni di impressioni artistiche<br />

sostanzialmente eterogenee? 2<br />

Un simile quesito, pur avendo tutte le ragioni di<br />

essere posto, descrive, di fatto, dei modi di produzione<br />

culturali talmente radicati da sembrare immodificabili.<br />

<strong>Pasolini</strong>, in quanto artista, sembra voler rispondere in<br />

proprio a quest’esigenza, facendo suo il bisogno di<br />

sfaccettare l’assimilazione <strong>del</strong>lo stesso evento, <strong>del</strong>la<br />

1 Jurij M. Lotman, L’insieme artistico come spazio quotidiano, in Id.<br />

Il girotondo <strong>del</strong>le Muse : saggi sulla semiotica <strong>del</strong>le arti e <strong>del</strong>la<br />

rappresentazione, a cura di Silvia Burini; traduzione di Silvia<br />

Burini e Alessandro Niero, Bergamo, Moretti & Vitali, 1998, pp. 23-27<br />

[23].<br />

2 Ivi, pp. 25-26.<br />

15


stessa emozione o <strong>del</strong> medesimo oggetto, attraverso arti<br />

diverse. Lotman ci informa sulla motivazione profonda di<br />

questa pratica: «la diversità dei principi di<br />

assimilazione <strong>del</strong> mondo, rende i diversi aspetti<br />

<strong>del</strong>l’arte reciprocamente indispensabili». 3<br />

Letteratura, pittura, musica, cinema, teatro, sono<br />

solo le principali sfere artistiche attraversate dal<br />

genio <strong>pasoliniano</strong> nel corso degli anni. Per questo<br />

l’intuizione di Lotman appena citata può divenire<br />

illuminante nello sforzo di darsi ragione rispetto a <strong>un</strong>a<br />

simile, quasi ossessiva, necessità di sperimentare nuovi<br />

mezzi espressivi. Letteratura e cinema, per riferirsi al<br />

caso preso in esame, non perdono di specificità<br />

all’interno <strong>del</strong>la parabola artistica pasoliniana se<br />

visti, app<strong>un</strong>to, come momenti “reciprocamente<br />

indispensabili” di <strong>un</strong> medesimo, continuamente inappagato<br />

sforzo, di “assimilazione <strong>del</strong> mondo”.<br />

Il mondo di <strong>Pasolini</strong> cambia costantemente, muta<br />

l<strong>un</strong>go il corso <strong>del</strong>la sua storia personale e sotto il peso<br />

<strong>del</strong>la storia generale <strong>del</strong>l’Italia. Quando gli attacchi di<br />

<strong>un</strong>a ben precisa classe sociale, la piccola e media<br />

borghesia italiana <strong>del</strong>l’immediato dopoguerra, costringono<br />

“il poeta di Casarsa” ad abbandonare le ancora<br />

incontaminate sponde <strong>del</strong> torrente Tagliamento per<br />

trasferirsi a ridosso di quelle ben più sudice <strong>del</strong> fiume<br />

Tevere, egli dovrà elaborare <strong>un</strong>a vera e propria<br />

“traduzione” dei significanti e <strong>del</strong>lo stile attraverso i<br />

quali produrre l‘identica ricerca di <strong>un</strong> fondo intatto,<br />

integro, e per ciò stesso poetico, di realtà. La sua<br />

autentica fame di vita, cercata nello stretto contatto<br />

con la morente classe contadina friulana, nella quale<br />

egli poteva scorgere i barbarici tratti di non<br />

sottomissione all’ordine costituito <strong>del</strong>la nascente<br />

società consumistica, cerca ora soddisfazione in <strong>un</strong> altro<br />

3 Ivi, p. 32.<br />

16


genere di barbari: i sottoproletari <strong>del</strong>le borgate romane<br />

che premono verso il centro <strong>del</strong>la città papalina con la<br />

loro presenza concreta eppure spettrale, con<br />

l’espressività dei loro gerghi e dei lori corpi,<br />

rivoluzionari per il solo fatto di esistere. 4<br />

Allo stesso modo, l’uso programmatico <strong>del</strong> dialetto<br />

friulano, inteso come lingua capace di contenere in sé i<br />

germi di <strong>un</strong> passato in cui l’irrimediabile distanza tra<br />

la cosa e il suo significante non sembrava ancora<br />

veramente incolmabile, si converte, a partire dai primi<br />

anni ’50, nell’uso a scopo letterario <strong>del</strong> dialetto<br />

romanesco e di <strong>un</strong>a lingua di koiné, nata dalla maturata<br />

coscienza che «in Italia non esiste <strong>un</strong>a vera e propria<br />

lingua italiana nazionale» 5 e che è «lo stesso borghese<br />

che usa, quando parla, la koiné, e, quando scrive, la<br />

lingua letteraria» 6 . Affronterò meglio nel capitolo Il<br />

mondo sempre come visto dal personaggio il problema <strong>del</strong><br />

modo in cui <strong>Pasolini</strong> si sia collocato nella scia <strong>del</strong><br />

canone gaddiano ma, per il rapporto di quella tradizione<br />

con l’uso <strong>del</strong> dialetto appena ricordato, valga subito<br />

l’autorevole opinione di Gianfranco Contini:<br />

4 Contini a tal proposito ha parlato di «esseri ontologicamente<br />

indigenti, di cui la tradizione non aveva ancora preso nota» cfr.<br />

Gianfranco Contini, Ultimi esercizi ed elzeviri, Torino, Einaudi,<br />

1977, p. 391. Vorrei aggi<strong>un</strong>gere che, da <strong>un</strong> certo p<strong>un</strong>to di vista,<br />

<strong>Pasolini</strong>, mentre costruisce questa Weltanschau<strong>un</strong>g sottoproletaria,<br />

elabora anche <strong>un</strong> vero e proprio “nuovo sguardo sul mondo”, avente<br />

caratteristiche per allora dirompenti. Infatti, egli, pur di<br />

estrazione borghese, decide di uscire dal circolo vizioso che<br />

rifletteva indirettamente questa posizione nel corso <strong>del</strong>l’esercizio<br />

di descrizione di <strong>un</strong>’altra classe sociale. Meccanismo che,<br />

solitamente basato su <strong>un</strong> ritratto demagogico o folcloristico,<br />

tratteggiava l’”Altro” al fine ultimo di affermare la propria<br />

esistenza; <strong>Pasolini</strong>, piuttosto, è ancora Contini a dirlo, «arriva a<br />

Roma come <strong>un</strong> reietto [...] e conosce la città dall’abiezione e<br />

derelizione <strong>del</strong>la periferia. Ubbidiente al canone <strong>del</strong> flaubertiano<br />

“sublime dal basso”» cfr. Gianfranco Contini, Ultimi esercizi ed<br />

elzeviri, cit., pp. 391-92. Sviluppando, d<strong>un</strong>que, <strong>un</strong> tipo di sguardo<br />

capace di mettere in crisi l’ottica conformista, poiché capace, prima<br />

di tutto, di trasformare dalle fondamenta la stessa visione <strong>del</strong> mondo<br />

di chi gli stava dando, in quel momento, voce e figura.<br />

5 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Nuove questioni linguistiche, ora in Id.,<br />

Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 2000, pp. 5-24 [5] (il corsivo è<br />

<strong>del</strong>l’autore)<br />

6 Ibidem.<br />

17


Senza il Gadda romanesco non si concepirebbero i due<br />

romanzi, Ragazzi di vita e Una vita violenta, che <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, reduce da <strong>un</strong> felibrige friulano, dedicò al<br />

linguaggio, di riduzione basica, degli adolescenti<br />

sottoproletarî abitanti le borgate romane. 7<br />

Contini inserisce questa considerazione all’interno<br />

di <strong>un</strong> testo dedicato a valorizzare il dato<br />

espressionistico <strong>del</strong>la scrittura gaddiana e a percepirne<br />

la presenza nei suoi più diretti continuatori. Ma, ciò<br />

che diventa interessante notare, è come sul dato<br />

espressionistico insisterà, dodici anni dopo Contini,<br />

anche Walter Siti 8 che, in <strong>un</strong> articolo per la «Rivista di<br />

Letteratura italiana», potrà finire per formulare<br />

addirittura questo giudizio:<br />

La pellicola cinematografica è <strong>un</strong>a membrana: il fenomeno<br />

stilistico che ho qualificato come espressionista celebra i<br />

suoi massimi fasti tra le Ceneri e la Religione <strong>del</strong> mio tempo;<br />

entra in crisi nel corso di Poesia in forma di rosa, scompare<br />

<strong>del</strong> tutto con Trasumanar e organizzar. In termini cronologici,<br />

la sua scomparsa dalla poesia pasoliniana avviene intorno al<br />

1963; con l’approssimazione e il ritardo che è lecito<br />

attendersi in fatti di questo genere, si può dire che<br />

l’espressionismo finisce quando il cinema comincia. 9<br />

La descrizione dei modi in cui opera l’elemento<br />

chiamato in causa da Siti, cioè questo fenomeno<br />

stilistico che egli ha qualificato come espressionista, è<br />

inserita per gradi l<strong>un</strong>go il corso di questo mio lavoro.<br />

Valga com<strong>un</strong>que da subito <strong>un</strong>a considerazione generale, che<br />

riprende in parte <strong>un</strong> accenno già fatto all’inizio di<br />

questo capitolo, ma sulla quale è utile insistere:<br />

7<br />

Gianfranco Contini, Ultimi esercizi ed elzeviri, cit., p.100.<br />

8<br />

Ora principale curatore <strong>del</strong>l’edizione filologica <strong>del</strong>l’opera omnia<br />

pasoliniana.<br />

9<br />

Walter Siti, Il sole vero e il sole sulla pellicola, o<br />

sull’espressionismo di <strong>Pasolini</strong>, nella «Rivista di Letteratura<br />

italiana», VII (1989), 1, pp. 97-131, [105].<br />

18


l’espressionismo <strong>pasoliniano</strong> è <strong>un</strong>’aggressione alla realtà<br />

che nasce come risposta alla tensione irrisolvibile che<br />

sta alla base <strong>del</strong>la separazione tra espressione e realtà.<br />

Su questa dicotomia è ancora Siti a esprimersi molto bene<br />

e, soprattutto, a far emergere <strong>un</strong> dato che diventa<br />

davvero illuminante per comprendere <strong>un</strong>a base tanto solida<br />

<strong>del</strong>lo stile letterario di <strong>Pasolini</strong>, tanto che, pur di non<br />

abbandonarla nel momento <strong>del</strong> passaggio al cinema, si<br />

vedrà quasi costretto a tradurla in <strong>un</strong>o dei procedimenti<br />

stilistici che, in Accattone, è tra i più importanti e<br />

originali:<br />

La realtà sta davanti al poeta che vuole esprimerla, il<br />

quale quindi non appartiene a quella realtà, ne è esiliato – e<br />

immagina di potervi rientrare forzando (al limite annullando)<br />

l’espressione. Dicevo prima che non per nulla il suo mo<strong>del</strong>lo è<br />

<strong>un</strong> descrittore di quadri: l’espressionismo di <strong>Pasolini</strong><br />

presuppone <strong>un</strong>a realtà come superficie su cui l’espressione<br />

agisce come <strong>un</strong> acido. 10<br />

Quel descrittore di quadri altri non è se non il<br />

celebre critico <strong>del</strong>l’arte Roberto Longhi, le cui lezioni<br />

<strong>Pasolini</strong> aveva seguito nella Bologna dei suoi studi<br />

<strong>un</strong>iversitari e con il quale avrebbe dovuto laurearsi se<br />

la guerra, ovvero ancora <strong>un</strong>a volta la Storia, non avesse<br />

frapposto i suoi ostacoli. Ma <strong>Pasolini</strong> non si è lasciato<br />

sfuggire a l<strong>un</strong>go l’occasione di ripagare il suo “debito<br />

longhiano” 11 . Dopo essersi laureato su Pascoli 12 permea il<br />

<strong>nucleo</strong> stilistico <strong>del</strong>la sua scrittura, soprattutto quella<br />

10 Ivi, pp. 104-5.<br />

11 Mi riferisco alla dedica che precede il testo <strong>del</strong>la sceneggiatura<br />

di Mamma Roma, suo secondo l<strong>un</strong>gometraggio, la quale recita app<strong>un</strong>to:<br />

«A Roberto Longhi, cui sono debitore <strong>del</strong>la mia ‘fulgurazione<br />

figurativa’»<br />

12 Che Contini definisce «l’<strong>un</strong>ico suo antenato sopportabile» cfr.<br />

Gianfranco Contini, Ultimi esercizi ed elzeviri, cit., p. 391.<br />

19


poetica, proprio imitando i modi di Longhi, con i quali<br />

la parentela appare davvero strettissima. 13<br />

D<strong>un</strong>que, <strong>un</strong> poeta-romanziere che, usando il passo di<br />

<strong>un</strong> critico d’arte, descrive la realtà, per gi<strong>un</strong>ta <strong>un</strong>a<br />

realtà tale da potersi definire antiestetica, quasi si<br />

trattasse di <strong>un</strong> affresco rinascimentale, anzi, di più,<br />

<strong>un</strong>’opera d’arte per la quale si prova <strong>un</strong> eccessivo,<br />

ossessivo amore. Ancora <strong>un</strong>a volta, è evidente, ci si<br />

trova davanti a <strong>un</strong> autentico e complesso girotondo di<br />

muse, a <strong>un</strong> intersecarsi di profili che, nel tipico alone<br />

espressionista, rivoltandosi contro la norma finisce per<br />

affermare <strong>un</strong>a sua particolarissima forma. Questa naturale<br />

prassi trasformativa che sto cercando di definire nei<br />

termini di <strong>un</strong>a pratica di traduzione è, sotto tutti gli<br />

aspetti, tipicamente pasoliniana. Lo è forse a tal p<strong>un</strong>to<br />

da non lasciarsi racchiudere mai completamente dentro gli<br />

schemi di <strong>un</strong>a qualsivoglia teoria <strong>del</strong>la traduzione<br />

preformata, antica o moderna che sia. Per <strong>Pasolini</strong> il<br />

gesto <strong>del</strong> <strong>tradurre</strong> è <strong>un</strong> gesto naturale, gli deriva dalla<br />

comprensione, amara e mai <strong>del</strong> tutto metabolizzata, che le<br />

parole e di conseguenza la poesia (suo primo strumento di<br />

ricerca espressiva), da sole non possono arrivare a<br />

definire il loro archetipo. La poesia è nella realtà,<br />

egli né è convinto, ma la realtà non ha più i contorni<br />

certi di <strong>un</strong> filare di gelsi o di <strong>un</strong> fosso, non ha più il<br />

colore netto dei tramonti friulani. La sua decifrazione,<br />

con il passare degli anni, si fa sempre più complicata, i<br />

suoi contorni sempre più instabili. Per descriverla<br />

diventa inutile avere fiducia nel potere evocativo <strong>del</strong>la<br />

13 Non fa pensare a <strong>un</strong>a coincidenza, riscontrare come lo stesso Longhi<br />

volgerà il proprio interesse verso il cinema, proprio al fine di<br />

usarlo come strumento critico, non al fine di sostituirlo all’uso<br />

<strong>del</strong>la descrizione linguistica, ma piuttosto guardandovi come a <strong>un</strong><br />

potenziale mezzo per sviluppare il procedimento <strong>del</strong>l’ekfrasis, sul<br />

quale si cimentava da sempre il suo esercizio analitico. cfr. Massimo<br />

Galimberti, Longhi Barbaro e il documentario d‘arte: note sul<br />

«Carpaccio», in Cinema/Pittura. Dinamiche di scambio, a cura di<br />

Leonardo De Franceschi, Torino, Lindau, 2003, pp. 81-97.<br />

20


singola parola poetica, è inutile il dialetto. L’ultima<br />

chance per la sua presa può essere tranquillamente<br />

affidata all’italiano, perché se <strong>un</strong> barlume di essa<br />

dovesse essere colto, sarebbe generato dagli interstizi,<br />

nascerebbe tra gli spiragli <strong>del</strong>le sineciòsi, nel rilancio<br />

<strong>del</strong> senso di <strong>un</strong> ossimoro. 14 Tradurre continuamente in<br />

qualcosa che valga per l’oggi il labile p<strong>un</strong>to di<br />

ancoraggio alla realtà che era stato trovato ieri: questa<br />

è la vera è propria “fiducia nella traduzione” di<br />

<strong>Pasolini</strong>. Accattone, d<strong>un</strong>que, non rappresenta <strong>un</strong>a svolta<br />

macroscopica, è solo l’ennesimo risultato di <strong>un</strong>a sforzo<br />

traduttivo, <strong>un</strong> esperimento fondato sulla profonda fiducia<br />

nelle possibilità di <strong>un</strong> nuovo linguaggio, proprio mentre<br />

andava spegnendosi l’energia di animare la parola. La sua<br />

particolare collocazione all’interno <strong>del</strong>la parabola<br />

creativa di <strong>Pasolini</strong>, per gi<strong>un</strong>ta, lo rende <strong>un</strong> esempio<br />

emblematico di opera attorno a cui «lo spazio<br />

<strong>del</strong>l’intervento critico si apre proprio con l’occasione<br />

[...] di <strong>un</strong> confronto tra quelle che erano le intenzioni,<br />

o quello che l’autore pensa che il film sia, e ciò che il<br />

film appare essere invece nella realtà <strong>del</strong>la visione che<br />

ogn<strong>un</strong>o ne ha. Confronto che si impianta proprio sul fatto<br />

14 Nella parabola creativa <strong>del</strong> poeta sono, in fondo, facilmente<br />

ravvisabili questi dati. Da <strong>un</strong>a visione d’insieme <strong>del</strong>le sue opere,<br />

emerge nettamente il percorso che, dall’esordio dialettale di Poesie<br />

a Casarsa (Bologna, Libreria Antiquaria M. Landi, 1942) porta ai<br />

momenti più importanti <strong>del</strong>la produzione in italiano, nei quali,<br />

soprattutto nella La religione <strong>del</strong> mio tempo (Milano, Garzanti,<br />

1995), è possibile ravvisare l’estremo momento di fiducia in <strong>un</strong><br />

italiano ancora potenzialmente capace di <strong>un</strong>a certa forza evocativa.<br />

Poesia in forma di rosa risulta invece essere la sofferta<br />

testimonianza <strong>del</strong> momento in cui si acuisce la coscienza <strong>del</strong> problema<br />

com<strong>un</strong>icativo, e di come <strong>Pasolini</strong> abbia voluto strettamente legarlo a<br />

quella che gli sembrava essere divenuta <strong>un</strong>a opprimente incapacità<br />

com<strong>un</strong>icativa <strong>del</strong> fatto linguistico. Nello stesso poema, la sezione<br />

intitolata Una disperata vitalità, contiene i sintomi espliciti di<br />

questa presa di posizione: «la morte non è / nel non poter com<strong>un</strong>icare<br />

/ ma nel non poter più essere compresi» (Poesia in forma di rosa,<br />

Milano, Garzanti, 1976, pp. 127-128) e si apre, invece, con <strong>un</strong>a<br />

significativa chance concessa alle possibilità espressive che <strong>un</strong><br />

certo cinema (Godard su tutti) consentirebbe, in contrasto con le<br />

dispersioni di senso <strong>del</strong>l’elegia.<br />

21


che, nell’opera d’arte, <strong>un</strong> autore dice di più di quanto<br />

sappia di dire». 15<br />

Continuare a raccogliere le suggestioni contenute<br />

nella prima citazione da Siti, mi permette di chiarire<br />

con maggior precisione la natura di questo momento in<br />

cui, come ho detto, si va spegnendo in <strong>Pasolini</strong> la forza<br />

di animare la parola, poiché, come ha notato lo studioso:<br />

«l’espressionismo finisce quando il cinema comincia». Si<br />

ricorderà come egli abbia datato la sparizione finale<br />

<strong>del</strong>la componente espressionistica intorno al 1963,<br />

den<strong>un</strong>ciando poi la coincidenza di questa scomparsa con<br />

l’inizio <strong>del</strong>l’esperienza cinematografica. Ma in<br />

quell’anno tale esperienza è tutt’altro che al suo inizio<br />

e ne è cosciente anche Siti, il quale giustifica il salto<br />

cronologico nei termini di <strong>un</strong> ritardo fisiologico <strong>del</strong>la<br />

maturazione espressiva. In realtà, nell’ombra, c’è l’idea<br />

che era stata espressa bene da Enrico Magrelli 16 , secondo<br />

il quale l’entrata cosciente di <strong>Pasolini</strong> nel mondo <strong>del</strong><br />

cinema andrebbe app<strong>un</strong>to posticipata al momento in cui,<br />

per usare <strong>un</strong> gioco di parole, è il cinema (nel senso<br />

datogli dalla critica francese di dispositif 17 ) a entrare<br />

nell’<strong>un</strong>iverso <strong>pasoliniano</strong>, cosa che avviene proprio<br />

intorno al ’63 ed è perfettamente avvertibile nel<br />

mediometraggio La ricotta.<br />

Pertanto, per sottrazione, è possibile identificare<br />

nella “zona grigia” dei primissimi anni sessanta il<br />

momento nel quale <strong>Pasolini</strong>, portando avanti<br />

parallelamente la sua affinata esperienza di poeta con<br />

l’istintiva curiosità <strong>del</strong> cineasta, può mettere in moto<br />

al massimo grado la sua progettuale propensione alla<br />

15 Luciano De Giusti, Introduzione, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Il cinema<br />

in forma di poesia, a cura di Luciano De Giusti, Pordenone,<br />

Cinemazero, 1979, pp. 11-13 [13].<br />

16 Cfr. Enrico Magrelli, Con <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Roma, Bulzoni, 1977,<br />

p. 8, citato a p. 40 di questa tesi.<br />

17 Mi riferisco soprattutto alla sua formulazione in Jean-Louis<br />

Baudry, L’Effect cinéma, Paris, Albatros, 1978.<br />

22


contaminazione dei linguaggi. Credo, a tal proposito, che<br />

il polo di attrazione più interessante di queste<br />

dinamiche ruoti intorno alla realizzazione <strong>del</strong> suo primo<br />

l<strong>un</strong>gometraggio, e che Accattone possa pertanto essere<br />

osservato come <strong>un</strong> inimitabile esperimento, nel quale si<br />

sono coagulate e hanno preso forma precise operazioni<br />

stilistiche che, già praticate in campo letterario,<br />

<strong>Pasolini</strong> ha voluto trasferire con audacia dentro il nuovo<br />

mezzo espressivo, nel quale poter articolare con<br />

rinnovata forza, gli stilemi principali su quali aveva<br />

costruito il suo edificio letterario.<br />

Ma proprio continuando a trarre sp<strong>un</strong>to dalle<br />

coincidenze cronologiche, sarà possibile cogliere con<br />

quale cosciente disinvoltura <strong>Pasolini</strong> si muovesse<br />

attraverso i problemi di definizione teorica <strong>del</strong>le<br />

pratiche traduttive. Proprio a ridosso <strong>del</strong>la<br />

progettazione iniziale di Accattone 18 , <strong>un</strong>a traduzione, dal<br />

greco antico all’italiano, gli viene infatti<br />

commissionata da Vittorio Gassman per il Teatro greco di<br />

Siracusa. Lo scrittore è chiamato ad affrontarla nel<br />

breve giro di pochi mesi, in concomitanza con la stesura<br />

di alc<strong>un</strong>e sceneggiature e proprio mentre è impegnato ad<br />

affrontare <strong>un</strong>'altra traduzione da Virgilio 19 . Si trattava<br />

di <strong>tradurre</strong> la celebre trilogia di tragedie a firma di<br />

Eschilo tramandata sotto il nome di Orestea. Dalla<br />

descrizione dei risultati di quell’esperienza credo sarà<br />

possibile ricavare alc<strong>un</strong>e caratteristiche peculiari <strong>del</strong><br />

<strong>tradurre</strong> <strong>pasoliniano</strong>.<br />

La traduzione interlinguistica, porta con sé (a <strong>un</strong><br />

valore molto alto) la possibilità di conoscere, e di<br />

permettere di conoscere, <strong>un</strong> tipo di mondo culturalmente<br />

diverso dal proprio. <strong>Pasolini</strong>, anche nei casi in cui<br />

18 Siamo già nel 1959, poiché la storia <strong>del</strong>la produzione <strong>del</strong> film sarà<br />

poi l<strong>un</strong>ga e molto tormenta, come lo stesso <strong>Pasolini</strong> racconta nel<br />

diario che precede la prima edizione <strong>del</strong>la sceneggiatura.<br />

19 Che resterà incompiuta.<br />

23


pratichi la classica traduzione tra lingue diverse (dal<br />

greco all’italiano nel caso <strong>del</strong>l’Orestea, dal latino al<br />

romanesco nel caso <strong>del</strong> Miles gloriosus) finisce sempre<br />

per caricare il testo d’arrivo di <strong>un</strong>a sua specifica marca<br />

distintiva, fatta di espedienti diversi 20 , ma dentro la<br />

quale è possibile leggere ogni volta la stessa volontà di<br />

affermare “l’utopia di <strong>un</strong>a sintesi” 21 .<br />

Per Massimo Fusillo la sintesi cui tende <strong>Pasolini</strong> è,<br />

sul piano più generale <strong>del</strong>la sua critica sociale, ancora<br />

quella tra cultura primitiva e razionalità moderna. Egli<br />

si muove dentro <strong>un</strong>‘utopia che, se pure già nelle Ceneri<br />

di Gramsci aveva mostrato i segni di <strong>un</strong>a profonda<br />

lacerazione, lascia trasparire anche <strong>un</strong>a persistente<br />

fiducia nell’ideologia. Ma la tensione 22 utopica che<br />

maggiormente interessa qui rilevare è quella capace di<br />

illuminare il momento cruciale in cui <strong>Pasolini</strong> decide di<br />

continuare il suo costante gioco trasformativo, con la<br />

volontà di spostare il suo asse com<strong>un</strong>icativo sul versante<br />

cinematografico. Egli sembra farlo, e <strong>del</strong> resto non<br />

potrebbe altrimenti 23 , con la coscienza e i modi <strong>del</strong><br />

20 Nel caso di Eschilo è l’attualizzazione socio-politica <strong>del</strong> tema<br />

centrale <strong>del</strong>la trilogia, nel caso di Plauto è proprio l’uso <strong>del</strong><br />

romanesco al posto <strong>del</strong>l’italiano: basti dire che il titolo originale<br />

diventa, nella trasposizione pasoliniana, Er Vantone.<br />

21 Massimo Fusillo ha dato questo titolo proprio al capitolo dedicato<br />

all’analisi <strong>del</strong>la traduzione di <strong>Pasolini</strong> <strong>del</strong>l’Orestea di Eschilo,<br />

all’interno <strong>del</strong> suo libro: La Grecia secondo <strong>Pasolini</strong>, Firenze, La<br />

Nuova Italia, 1996; capitolo nel quale, tra le altre cose, Fusillo<br />

pone l’accento proprio sulla, a suo avviso simbolica, concomitanza<br />

tra la commissione di questo lavoro di traduzione e il passaggio di<br />

<strong>Pasolini</strong> dalla letteratura al cinema, come se egli avesse voluto<br />

ritrovare nel nuovo mezzo la sua nostalgia per l’amato e ammirato<br />

linguaggio <strong>del</strong> mito.<br />

22 «Nella traduzione e nella com<strong>un</strong>icazione vi è sempre tensione,<br />

perché lo spazio di intersezione tra due testi si crea nella<br />

resistenza <strong>del</strong>le “forze” che oppongono gli spazi non intersecati dei<br />

due testi» cfr. Nicola Dusi, Il cinema come traduzione, Torino, Utet,<br />

2003, p. 139.<br />

23 Avrò modo di citare più avanti altre testimonianze che vanno in<br />

questo senso, cioè che stabiliscono la quasi totale impreparazione<br />

tecnica di <strong>Pasolini</strong> di fronte al mezzo cinematografico, qui riporto<br />

l’estrema testimonianza <strong>del</strong>l’attrice, amica e collaboratrice <strong>del</strong><br />

poeta, Laura Betti: «<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong>, va visto sotto l’aspetto <strong>del</strong><br />

letterato, <strong>del</strong> poeta che fa <strong>del</strong> cinema. Allora, in questo senso,<br />

secondo me, l’opera di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong>, è <strong>un</strong> assoluto: rappresenta<br />

24


letterato, <strong>del</strong>lo scrittore che, cosciente che il testo<br />

letterario e <strong>un</strong>a sede nella quale si fondono<br />

continuamente istanze contraddittorie, forze <strong>del</strong>la<br />

repressione e forse <strong>del</strong> represso, vorrebbe ora cercare di<br />

inquadrare queste disarticolazioni direttamente nel fondo<br />

<strong>del</strong> reale da cui sono state generate; poiché lo sforzo<br />

espressionistico che gli è richiesto per farle rientrare<br />

dentro il sistema linguistico <strong>del</strong>l’italiano gli sembra<br />

aver raggi<strong>un</strong>to i limiti prescritti da quella semiotica.<br />

Il cinema gli sembra più vicino al lato passionale,<br />

barbarico, primitivo <strong>del</strong>l'espressione umana e, subito,<br />

egli si premura di dimostrare la fondatezza di queste<br />

impressioni fagocitando, in modo tanto geniale quanto<br />

sbrigativo, l’<strong>un</strong>iverso com<strong>un</strong>icativo <strong>del</strong> cinema<br />

all’interno di <strong>un</strong> embrione di quella che diverrà, qualche<br />

anno più tardi, la sua personalissima “semiologia <strong>del</strong>la<br />

realtà” 24 . Infatti, quasi a prefazione <strong>del</strong>la sceneggiatura<br />

tecnica di Accattone 25 , che esce per le edizioni FM di<br />

Roma ancora prima <strong>del</strong>la proiezione <strong>del</strong>la pellicola nel<br />

circuito <strong>del</strong>le sale italiane, <strong>Pasolini</strong> inserisce <strong>un</strong> testo<br />

<strong>del</strong> quale cercherò di riassumere le coordinate. Si<br />

comincia postulando che, al fondo, la differenza<br />

principale tra le due espressioni, cinematografica e<br />

letteraria, vada cercata nella mancanza, nella prima,<br />

<strong>del</strong>la figura retorica <strong>del</strong>la metafora, figura che sarebbe<br />

invece predominante nell’amalgama <strong>del</strong>le figure retoriche<br />

che costituisce lo stile in abito letterario. Ma <strong>Pasolini</strong><br />

non ha ancora risposto a <strong>un</strong>a sua incertezza a riguardo<br />

che in seguito chiarisce in questo passo:<br />

veramente <strong>un</strong> assoluto: ma opera per opera, andrebbe fatta veramente<br />

la disanima e si arriverebbe alla matrice che, sempre e<br />

costantemente, sarebbe quella <strong>del</strong>la letteratura» cfr. Antonio<br />

Bertini, Teoria e tecnica <strong>del</strong> film in <strong>Pasolini</strong>, Roma, Bulzoni, 1979,<br />

p. 157.<br />

24 Mi riferisco naturalmente ai citati interventi di Pesaro e, in<br />

generale, ai tutti i testi che confluiranno nella parte finale di<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Empirismo eretico, cit., pp. 167-297.<br />

25 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Accattone, Roma, FM, 1961.<br />

25


Sono al «quasi». Infatti il cinema, se non può esprimere<br />

direttamente la metafora «Gennarino è <strong>un</strong>a jena», tuttavia può<br />

crearla, per coazione <strong>del</strong>l’immagine, nel lettore: può stabilire<br />

<strong>un</strong>a specie di diapason che vibra, sia pure molto vagamente e<br />

aleatoriamente, all’<strong>un</strong>isono. Se il regista pensa che Gennarino<br />

è <strong>un</strong>a jena, può rappresentare l’immagine di Gennarino in modo<br />

tale, con <strong>un</strong> tale stridor di denti, per cui lo spettatore possa<br />

formulare lui l’altro termine <strong>del</strong>la metafora, «jena», o se non<br />

proprio «jena», magari «pantera» o «sciacallo». 26<br />

Il testo continua sostenendo l’assoluta distanza tra<br />

cinema e teatro per avvicinarlo piuttosto a certa<br />

narrativa, a certa letteratura arcaica, religiosoinfantile,<br />

con la quale avrebbe in com<strong>un</strong>e <strong>un</strong>a più<br />

immediata traducibilità di alc<strong>un</strong>e figure retoriche quali<br />

anafora e allitterazione. Questo ass<strong>un</strong>to per <strong>Pasolini</strong><br />

potrebbe dimostrare «<strong>un</strong>a certa irrazionale arcaicità e<br />

favolosità <strong>del</strong> cinema rispetto alla letteratura» 27 .<br />

Tuttavia, continua l’autore, la relativa semplicità con<br />

la quale simili figure vengono messe in gioco all’interno<br />

dei testi letterari, deriva da <strong>un</strong> lavoro molto complesso<br />

a livello di costruzione filmica. E questo perché nel<br />

cinema le stesse figure «sono prodotto di almeno due atti<br />

concomitanti e supplementari, o, in altre parole si<br />

svolgono su due piani, tuttavia sovrapposti. Da <strong>un</strong> lato<br />

c’è la faccia di Gennarino con tutte le altre cose da<br />

riprendere, dall’altra c’è la macchina che la riprende» 28 .<br />

26 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Accattone, cit., p. 18. Nota giustamente<br />

Walter Siti in merito a questo passo che «l’esempio “banale”,<br />

“Gennarino è <strong>un</strong>a jena”, non è scelto a caso da <strong>Pasolini</strong>. Gennarino è,<br />

in Accattone, <strong>un</strong>o dei quattro napoletani che pestano di notte<br />

Margherita, e l’attore che lo interpreta nel film (Sergio Fioravanti)<br />

ha <strong>un</strong> sorriso accecante e feroce che ne mette in evidenza la bellezza<br />

felina» cfr. Walter Siti, Note e notizie sui testi; Appendice ad<br />

«Accattone», in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte le opere. Per il cinema,<br />

Tomo II, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, Milano, Mondadori,<br />

2001, p. 3046.<br />

27 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Accattone, cit., p. 18.<br />

28 Ibidem.<br />

26


Ma ecco che anche questa scissione viene a mancare ad <strong>un</strong><br />

successivo livello di riflessione:<br />

Questa scissione tra due operazioni che poi divengono <strong>un</strong>a<br />

sola operazione a lavoro concluso, è solo apparentemente<br />

clamorosa e mostruosa (rispetto all’analoga letteraria).<br />

Perché: la scelta <strong>del</strong> tipo, <strong>del</strong>la faccia, dei vestiti, dei<br />

luoghi, <strong>del</strong>la luce sono elementi, direi, isolati: lessico. Sono<br />

sostantivi, aggettivi, avverbi, allocuzioni. Mentre la scelta<br />

dei movimenti di macchina, d’inquadratura ecc… sono la vera e<br />

propria sintassi: la ri<strong>un</strong>ione ritmica dei vari elementi<br />

lessicali isolati in <strong>un</strong>a frase. 29<br />

Una simile, istintiva comparazione tra elementi<br />

grammaticali <strong>del</strong>la frase e struttura <strong>del</strong>la sequenza<br />

filmata, rappresenta ovviamente <strong>un</strong> <strong>del</strong>irio semiotico <strong>del</strong><br />

quale l’autore è cosciente. Ma <strong>Pasolini</strong> sottopone in<br />

tutta naturalezza al lettore le impressioni che lo hanno<br />

colpito <strong>un</strong>a volta terminata la sua prima esperienza<br />

dietro la macchina da presa:<br />

Dopo aver fatto (stavo per dire «scritto») <strong>un</strong> film, devo<br />

dire che, anche se <strong>un</strong> po’ più debole e fisso, il valore<br />

significativo <strong>del</strong>le immagini è analogo a quello <strong>del</strong>le parole.<br />

[…] Un’immagine può avere la stessa forza allusiva di <strong>un</strong>a<br />

parola: perché è frutto di <strong>un</strong>a serie di scelte estetiche<br />

analoghe. Fa parte, cioè, di <strong>un</strong>’operazione stilistica. 30<br />

Voglio tenere da parte, solo per il momento,<br />

quest’ultima fondamentale concezione <strong>un</strong>ificatrice<br />

<strong>del</strong>l’autorialità, per mettere in evidenza come questo<br />

testo, se colto nella contingenza contestuale in cui è<br />

inserito e attraverso <strong>un</strong> approccio distanziante, rifletta<br />

l’immagine di <strong>un</strong> <strong>Pasolini</strong> non tanto interessato a<br />

risolvere il problema che Jakobson ha posto come oggetto<br />

fondamentale <strong>del</strong>la linguistica, ovvero l’equivalenza<br />

29 Ivi, p.19.<br />

30 Ibidem.<br />

27


nella differenza 31 , ma teso piuttosto a fornire degli<br />

indizi utili a dimostrare come <strong>un</strong>a riflessione sulle<br />

possibili dinamiche di scambio e di intersezione tra<br />

testi di diversa natura semiotica sia <strong>un</strong>’azione da<br />

perseguire senza timori, soprattutto affrontando il caso<br />

di <strong>un</strong> autore quale egli è stato.<br />

Un’identica, p<strong>un</strong>tuale esigenza di riflettere sui<br />

risvolti <strong>del</strong>l’atto traduttivo, <strong>Pasolini</strong> non l’avvertì<br />

solo al riguardo <strong>del</strong>la sua, per così dire, prima<br />

traduzione intersemiotica; egli infatti volle, anche al<br />

termine <strong>del</strong>la sua Orestiade 32 , inserire <strong>un</strong>a nota <strong>del</strong><br />

traduttore, nella quale è possibile ritrovare sp<strong>un</strong>ti<br />

particolarmente utili a definire il suo approccio, allo<br />

stesso tempo cosciente e disinvolto, nei confronti <strong>del</strong>le<br />

dinamiche di traduzione di <strong>un</strong> testo. <strong>Pasolini</strong>, per<br />

esempio, confessa di essersi gettato sul testo «con la<br />

brutalità <strong>del</strong>l’istinto» 33 e di aver usato l’italiano che<br />

possedeva, «quello <strong>del</strong>le Ceneri di Gramsci» 34 perché, egli<br />

scrive, «sapevo (per istinto) che avrei potuto farne<br />

uso» 35 . E ora, ecco l’interpretazione <strong>del</strong> dato<br />

contestuale:<br />

Il significato <strong>del</strong>le tragedie di Oreste è solo,<br />

esclusivamente, politico. […] Oreste, Apollo, Atena, […] sono<br />

soprattutto – nel senso che così stanno soprattutto a cuore<br />

all’autore – dei simboli: o degli strumenti per esprimere<br />

31 Roman Jakobson, Aspetti linguistici <strong>del</strong>la traduzione, ora in Id.,<br />

Saggi di linguistica generale, a cura di Luigi Heilmann, Milano,<br />

Feltrinelli, 1985. Va segnalato in questa sede come Christian Metz,<br />

proprio sulla base degli studi condotti da Jakobson, abbia cercato di<br />

sondare precisamente sotto quali aspetti i concetti linguistici di<br />

metafora e metonimia possano essere applicati al cinema. Cfr.<br />

Christian Metz, Cinema e psicanalisi, Venezia, Marsilio, 1980, in<br />

particolare pp. 133-272.<br />

32 E’ questo il titolo che <strong>Pasolini</strong> sceglie per la sua personale<br />

traduzione <strong>del</strong>l’opera di Eschilo più com<strong>un</strong>emente conosciuta come<br />

Orestea.<br />

33 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Nota <strong>del</strong> traduttore, in L’Orestiade di Eschilo<br />

nella traduzione di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Torino, Einaudi, 1985, pp.<br />

173-178 [175]. Ma la prima edizione per questa casa editrice risale<br />

al 1960.<br />

34 Ivi, p. 176.<br />

35 Ibidem.<br />

28


scenicamente <strong>del</strong>le idee, dei concetti: insomma, in <strong>un</strong>a parola,<br />

per esprimere quella che oggi chiamiamo <strong>un</strong>a ideologia. 36<br />

E, come non fosse stata già abbastanza lampante<br />

l’ormai avvenuta sovrapposizione di autore e traduttore,<br />

<strong>Pasolini</strong> conclude la sua nota in questi termini:<br />

Come si vede, la sua allusività politica era quanto di<br />

più suggestivo si potesse dare in <strong>un</strong> testo classico, per <strong>un</strong><br />

autore come io vorrei essere. 37<br />

Un ritratto, d<strong>un</strong>que, dal quale emerge <strong>un</strong> <strong>Pasolini</strong><br />

non traduttore di parola, ma di contesto. All'ascolto <strong>del</strong><br />

contesto greco egli giustappone dei prestiti dal proprio<br />

linguaggio di sperimentatore, di scrittore in grado di<br />

ricreare l'equivalenza espressiva, sul piano <strong>del</strong>la genesi<br />

<strong>del</strong>la parola, di ciò che il testo da <strong>tradurre</strong> gli<br />

suggerisce sul piano <strong>del</strong>la ricerca <strong>del</strong>la risonanza,<br />

stilistica e lessicale. Su questi riscontri si è<br />

soffermato con particolare enfasi Massimo Fusillo, grazie<br />

al cui svisceramento <strong>del</strong> rapporto intrattenuto da<br />

<strong>Pasolini</strong> con la Grecia classica credo sia possibile<br />

tentare <strong>un</strong> avvicinamento a quel “cuore di senso” che<br />

altro non è se non quella meta, in paradossale continuo<br />

spostamento, <strong>del</strong>la quale <strong>Pasolini</strong> cercava <strong>un</strong>a presa<br />

seguendone le sorti attraverso il suo metodo<br />

trasformativo.<br />

Fusillo ravvede nel risultato <strong>del</strong>la traduzione<br />

pasoliniana, soprattutto (cosa che emerge chiaramente<br />

anche dalla nota <strong>del</strong> traduttore), la volontà di far<br />

emergere il tema <strong>del</strong>la sintesi tra cultura primitiva e<br />

razionalità moderna che, intorno al 1960, sembrava a<br />

<strong>Pasolini</strong> ancora <strong>un</strong> valido mo<strong>del</strong>lo da proporre. Questa<br />

fiducia si spezzerà in breve tempo, come ho già<br />

36 Ivi, p. 176-7.<br />

37 Ivi, p. 178.<br />

29


precisato, ma, ipotizza Fusillo, è forse grazie alla<br />

fortuita coincidenza di questa commissione che a <strong>Pasolini</strong><br />

sembra di poter trovare nel cinema la sua idea di<br />

linguaggio <strong>del</strong> mito e <strong>del</strong> sacro. 38 Ma come far emergere<br />

questa componente dalle immagini? Proprio attraverso <strong>un</strong><br />

processo di ibridazione, alla stregua di ciò che avviene<br />

in quello che <strong>Pasolini</strong> ha definito il momento più alto<br />

<strong>del</strong>la trilogia eschilea, ovvero quello in cui Atena,<br />

istituendo la prima assemblea democratica, p<strong>un</strong>ta a far sì<br />

che in essa possa costituirsi <strong>un</strong>a parziale coesione di<br />

due mondi antitetici: da <strong>un</strong> lato la cultura magico<br />

arcaica e dall’altro la cultura moderna <strong>del</strong>la polis<br />

basata su principi razionali. Ma il modo in cui questo<br />

avviene non ha nulla a che fare con la sintesi hegeliana<br />

e, ancora, ne sottolinea p<strong>un</strong>tualmente le ragioni lo<br />

stesso <strong>Pasolini</strong>:<br />

L’irrazionale, rappresentato dalle Erinni, non deve<br />

essere rimosso (che poi sarebbe impossibile), ma semplicemente<br />

arginato e dominato dalla ragione, passione producente e<br />

fertile. Le Maledizioni si trasformano in Benedizioni.<br />

L’incertezza esistenziale <strong>del</strong>la società primitiva permane come<br />

categoria <strong>del</strong>l’angoscia esistenziale o <strong>del</strong>la fantasia nella<br />

società evoluta. 39<br />

La permanenza di puro e impuro sembra pertanto<br />

essere <strong>un</strong> tratto incancellabile <strong>del</strong>la visione mitica e<br />

sacrale <strong>del</strong> mondo, ed è la moderna antropologia a<br />

sottolinearlo con nuovo vigore, quando riconosce che<br />

l’ibrido come forma radicale d’impurità ha qualcosa in<br />

com<strong>un</strong>e con il sacro, con ciò che la cultura cerca di<br />

esorcizzare e nello stesso tempo di rappresentare. Il<br />

mito straborda di mostri ibridi (chimera, sfinge,<br />

38 Massimo Fusillo, La Grecia secondo <strong>Pasolini</strong>, cit., p. 8.<br />

39 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Nota <strong>del</strong> traduttore, cit., pp. 177-8.<br />

30


minotauro, centauro 40 ) la cui uccisione è sempre<br />

rappresentata come <strong>un</strong> atto di fondazione <strong>del</strong>la società.<br />

Perché l’ibrido è <strong>un</strong> oggetto imbarazzante per il sistema<br />

<strong>del</strong>la cultura, ha <strong>un</strong>a natura ambigua e sfida l’omogeneità<br />

<strong>del</strong>la rappresentazione. 41 <strong>Pasolini</strong>, che portava anche su<br />

di sé il peso di <strong>un</strong>’intima diversità, trovò nel suo<br />

cinema il modo di attuare, ad altissimi livelli di senso,<br />

questo dato espressivo. Perché è il cinema stesso, per<br />

sua natura, a consentire questo movimento, se, come ha<br />

scritto l’altro grande genio <strong>del</strong> cinema ibrido Jan-Luc<br />

Godard, è vero che:<br />

Noi finiamo per accettare come nostra la voce che esce<br />

dall’altoparlante, ma questo non impedisce che attraverso<br />

l’orecchio questa sia <strong>un</strong>'altra cosa. Per essere precisi essa è<br />

gli altri, e ci resta allora <strong>un</strong>a cosa assai difficile da fare e<br />

cioè ascoltare gli altri con la loro propria gola. Questo<br />

doppio movimento che ci proietta verso gli altri nello stesso<br />

momento in cui ci riporta nel più profondo di noi stessi<br />

definisce fisicamente il cinema. 42<br />

Ma l’ibridazione per <strong>Pasolini</strong>, almeno durante la<br />

fase che stiamo analizzando, si pone a <strong>un</strong> livello che<br />

vorrei definire di intrinseca necessità stilistica.<br />

Ovvero, nel suo tendere alla realtà, <strong>del</strong>la quale pure<br />

tutta la sua poesia e la sua prosa si sono nutrite fino a<br />

quel momento, c’è la volontà, come ha bene ricordato<br />

Stefania Parigi, di «abbassare il mito <strong>del</strong>la Poesia, che<br />

gli viene dalla sua formazione simbolista e decadente» 43<br />

dentro le possibilità di <strong>un</strong> nuovo linguaggio, quello<br />

cinematografico, molto più facilmente demistificabile.<br />

40<br />

Particolarmente interessante è la rappresentazione di questa figura<br />

nella Medea, film di <strong>Pasolini</strong> <strong>del</strong> 1969.<br />

41<br />

Cfr. Mary Douglas, Purezza e pericolo, Un analisi dei concetti di<br />

contaminazione e Tabù, Bologna, Il Mulino, 1993.<br />

42<br />

Jean-Luc Godard, Il cinema è il cinema, Milano, Garzanti, 1971, p.<br />

235.<br />

43<br />

Stefania Parigi, Il mito <strong>del</strong>la realtà e il mito <strong>del</strong>la poesia, in<br />

Incontri pasoliniani, a cura di Alfonso Canziani, (Atti <strong>del</strong> Convegno<br />

tenuto nel 1993), Roma, Bulzoni, 1996, pp. 127-155 [131].<br />

31


Tuttavia, egli resta <strong>un</strong> autore innamorato di forme, che<br />

«si avvicina al cinema con strumenti d’analisi già<br />

affinati in <strong>un</strong>a l<strong>un</strong>ga consuetudine letteraria». 44 Un<br />

autore, soprattutto, per il quale il senso di <strong>un</strong>‘opera è<br />

nella sua forma e quindi, conclude la Parigi:<br />

Se ogni opera viene, in definitiva, dal mistero, lo stile<br />

rivela le più profonde e irrazionali motivazioni di <strong>un</strong> autore.<br />

Così i problemi tecnici posti dal cinema interessano subito<br />

<strong>Pasolini</strong> in quanto problemi espressivi. Ciò che conta è app<strong>un</strong>to<br />

piegare la tecnica allo stile, creare <strong>un</strong>a forma. Da questo<br />

p<strong>un</strong>to di vista il girare è come lo scrivere, in quanto persegue<br />

<strong>un</strong>’identica ricerca estetica. 45<br />

Visto sotto questa luce il testo cinematografico,<br />

naturalmente teso a svincolarsi dall’ipotesto 46 da cui<br />

prende le mosse, finisce tuttavia per trovare il suo<br />

equilibrio e soprattutto la sua efficacia, solo<br />

traducendo nel proprio linguaggio multitraccia, di medium<br />

sinestesico, le peculiarità e i modi di costruzione <strong>del</strong><br />

senso già presenti nel suo antecedente letterario. Non<br />

per questo, tuttavia, il processo appena descritto deve<br />

essere considerato linearmente irreversibile, poiché, a<br />

detta <strong>del</strong>lo stesso <strong>Pasolini</strong>, anche la pratica <strong>del</strong>la<br />

scrittura, prima di tradursi in lingua audiovisiva,<br />

possiede la capacità di imitare i modi di articolazione<br />

<strong>del</strong> discorso 47 propri <strong>del</strong> cinema. <strong>Pasolini</strong> riesce a<br />

violare la grammatica <strong>del</strong> film prima ancora di conoscerla<br />

perché sul suo primo set sostituisce alla sua totale<br />

44 Ibidem.<br />

45 Ivi, p. 132.<br />

46 Gerard Genette ha previsto cinque modi nei quali può svilupparsi la<br />

transtestualità (ovvero tutto ciò che mette <strong>un</strong> testo in relazione,<br />

scoperta o segreta, con altri testi). Tra questi il modo<br />

<strong>del</strong>l’ipertestualità si riferisce alla relazione tra <strong>un</strong> testo<br />

(ipertesto) e <strong>un</strong> testo anteriore o ipotesto, che il primo trasforma,<br />

modifica, elabora, estende. Cfr. Gerard Genette, Palinsesti: la<br />

letteratura la secondo grado, Torino, Einaudi, 1997.<br />

47 Intendo riferirmi con “discorso” soprattutto alla sua definizione<br />

linguistica di uso organizzato di <strong>un</strong> linguaggio.<br />

32


impreparazione tecnica <strong>del</strong>la pratica cinematografica la<br />

sua matura, seppure istintiva, capacità di <strong>tradurre</strong> le<br />

scissioni linguistiche attraverso le quali, ai suoi<br />

occhi, parlava la realtà.<br />

Vorrei, pertanto, che <strong>Pasolini</strong> fosse visto come <strong>un</strong><br />

traduttore, in particolare nel senso che <strong>Paolo</strong> Fabbri ha<br />

saputo magnificamente cogliere in questa sua definizione:<br />

Il traduttore è <strong>un</strong> metalinguista naturale. E in qualche<br />

modo, per esempio, anche <strong>un</strong> ladro lo è. Il ladro è <strong>un</strong>a persona<br />

attentissima a come si svolgono i comportamenti naturali <strong>del</strong>la<br />

vita quotidiana. Per cui abbiamo interesse a osservare il suo<br />

sguardo, a indagare il modo con cui lui guarda. 48<br />

L’atteggiamento con il quale <strong>Pasolini</strong> accosta i suoi<br />

occhi alla realtà (in particolare negli anni, ancora<br />

ricchi di speranze ideologiche dei quali mi sto<br />

occupando) è quello con cui ci si accosta a qualcosa di<br />

sacro, «di ontologicamente poetico, che in quanto tale<br />

gli suscita <strong>un</strong> desiderio di possesso totale; ma nello<br />

stesso tempo è anche la realtà che lo ha escluso in<br />

quanto omosessuale» 49 . E’ per questo, a mio avviso, che<br />

<strong>Pasolini</strong> rivolge tutto se stesso, l<strong>un</strong>go l’asse che parte<br />

dalle poesie friulane fino ad arrivare ad Accattone, alla<br />

cattura 50 di luoghi e personaggi dai quali ancora poteva<br />

sprigionare la carica tragica che lo appassionava nel<br />

mito greco. La stessa parabola vitale di Accattone altro<br />

non sembra essere se non quella di <strong>un</strong> eroe tragico.<br />

Guardare, anche solo per <strong>un</strong> istante, il mondo con gli<br />

occhi <strong>del</strong> suo personaggio (direbbe Godard: «ascoltarlo<br />

con la sua stessa gola») significava per <strong>Pasolini</strong> poter<br />

48 <strong>Paolo</strong> Fabbri, Elogio di Babele, Roma, Meltemi, 2000, p. 87.<br />

49 Massimo Fusillo, La Grecia secondo <strong>Pasolini</strong>, cit., p. 11.<br />

50 Così Walter Siti: «Il cinema <strong>pasoliniano</strong> è prosecuzione<br />

<strong>del</strong>l’epressionismo non alla lettera (come cinema espressionista), ma<br />

nello spirito, portando alle estreme conseguenze l’idea <strong>del</strong> ‘forare’<br />

o <strong>del</strong> ‘catturare’ che <strong>del</strong>l’espressionismo era il logico presupposto»<br />

cfr. Walter Siti, Il sole vero e il sole sulla pellicola, o<br />

sull’espressionismo di <strong>Pasolini</strong>, cit., p. 125.<br />

33


gridare, con la forza che l’escluso ha, anche quando è<br />

incosciente di possederla, la propria, sofferente e<br />

tragica, carica anticonformista. 51<br />

Una mossa tanto spiazzante, tuttavia, rientra solo<br />

parzialmente nelle possibilità che il cinema fornisce a<br />

<strong>un</strong> autore. Pertanto, far affiorare <strong>un</strong> simile sguardo da<br />

<strong>un</strong>’opera, diventa nuovamente <strong>un</strong>a questione da porsi a<br />

livello di scelte stilistiche, rispetto al cui indirizzo<br />

più generale possono valere la già citata conclusione <strong>del</strong><br />

testo <strong>del</strong>lo stesso <strong>Pasolini</strong>, App<strong>un</strong>ti dopo Accattone, come<br />

questo paragrafo di Gianni Scalia, nel quale lo studioso<br />

parafrasa certe affermazioni presenti in Empirismo<br />

eretico al fine di piegarle a spiegare in modo specifico<br />

il carattere profondo <strong>del</strong> “fare cinema” <strong>pasoliniano</strong>:<br />

Rivolgendosi al cinema <strong>Pasolini</strong> non smette di scrivere,<br />

anzi più propriamente continua a <strong>tradurre</strong> la realtà, il sacro<br />

che parla in <strong>un</strong>a forma non verbale, e chiama il poeta con il<br />

suo silenzioso, misterioso ed enigmatico dire, per farsi<br />

esprimere in forma verbale e umana, cioè culturale. Si passa<br />

“semplicemente” dalla lingua scritto-parlata, in cui il poeta<br />

traduce per evocazione la chiamata <strong>del</strong> sacro colta nella lingua<br />

orale, a quella audiovisiva dove il medesimo appello è<br />

avvertito come lingua <strong>del</strong>l’azione che deve essere tradotta per<br />

riproduzione. 52<br />

Lo stesso <strong>Pasolini</strong>, inoltre, qualche anno dopo la<br />

realizzazione <strong>del</strong> film, con buono scarto rispetto a<br />

opinioni espresse in altre occasioni, dirà che:<br />

In definitiva, la religiosità non era tanto nel supremo<br />

bisogno di salvezza personale <strong>del</strong> personaggio (da sfruttatore a<br />

ladro!) o, dall’esterno nella fatalità, che tutto determina e<br />

51<br />

«La vitalità incontaminata che c’è nel sottoproletariato ha la<br />

capacità di superare il conformismo». Così lo stesso <strong>Pasolini</strong> durante<br />

<strong>un</strong>’intervista che Daisy Martini gli rivolse in periodo di piena<br />

lavorazione <strong>del</strong> film. Cfr. Daisy Martini, L’Accattone di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, in «Cinema Nuovo», X (1961), 150, pp. 136-138, [138].<br />

52<br />

Giuseppe Conti Calabrese, <strong>Pasolini</strong> e il sacro, Milano, Jaka Book,<br />

1994, p. 81.<br />

34


conclude, di <strong>un</strong> segno di croce finale, ma era nel “modo di<br />

vedere il mondo”: nella sacralità tecnica <strong>del</strong> vederlo. 53<br />

I prossimi capitoli di questa tesi vorrebbero<br />

proprio dar risposta, per quanto possibile, di alc<strong>un</strong>e<br />

mosse particolari sottintese dietro l’indicativo<br />

virgolettare l’avverbio “semplicemente”, operato a<br />

livello grafico da Calabrese. Infatti, se far emergere<br />

dal magma <strong>del</strong>le opere di <strong>Pasolini</strong> <strong>un</strong>a sorta di fil rouge<br />

dal quale risulti chiara la sua propensione ad affidarsi<br />

alle possibilità di particolari pratiche traduttive può<br />

risultare a volte sin troppo facile, ci saranno casi nei<br />

quali la descrizione di qui processi dovrà passare per<br />

strade più tortuose, dando conto di difficoltà che sono<br />

state affrontate prima di tutto dal loro stesso autore.<br />

53 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Confessioni tecniche, in Uccellaci e<br />

uccellini, Milano, Garzanti, 1966, ora in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte<br />

le opere. Per il cinema, Tomo II, a cura di Walter Siti e Franco<br />

Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, pp. 2768-2781 [2769].<br />

35


UNA DIZIONE TOTALE DELLA REALTÀ<br />

A conforto di questa tesi voglio ora portare alc<strong>un</strong>i<br />

esempi, rappresentativi dei p<strong>un</strong>ti più alti <strong>del</strong> <strong>Pasolini</strong><br />

poeta e romanziere. Partendo dall’esame dei testi<br />

poetici, coadiuverò la mia analisi sulla scorta di quella<br />

condotta da Stefano Agosti, nella raccolta di saggi Il<br />

testo <strong>del</strong>la poesia 1 . Cercando di inquadrare il progetto<br />

poetico <strong>pasoliniano</strong> dentro <strong>un</strong> preciso filone, Agosti<br />

attua <strong>del</strong>le verifiche che, se a prima vista sembrerebbero<br />

farlo risalire dentro la corrente tradizionalista<br />

d’eccellenza <strong>del</strong>la poesia italiana, possono allo stesso<br />

tempo chiamare in causa il nome di Jacques Derrida e<br />

prestare lo stesso progetto in f<strong>un</strong>zione <strong>del</strong> radicale<br />

processo di decostruzione <strong>del</strong> discorso occidentale<br />

portato avanti dalla corrente post-strutturalista. Finché<br />

si gi<strong>un</strong>ge a <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di fronte al quale diventa<br />

impossibile l’assimilazione a entrambe le posizioni<br />

proposte. Operata questa prima, parziale messa a fuoco,<br />

Agosti può com<strong>un</strong>que affermare che «l’uso che <strong>Pasolini</strong> fa<br />

<strong>del</strong> discorso è <strong>un</strong> uso “a oltranza”, nel senso che il<br />

discorso sembra qui adibito, per così dire, allo stato<br />

puro» 2 . Agosti si appella all’”impoetico”, <strong>un</strong>’istanza<br />

programmatica che era stata formulata a più riprese non<br />

solo dallo stesso <strong>Pasolini</strong> ma da tutto il gruppo <strong>del</strong>la<br />

rivista «Officina», <strong>del</strong>la quale il poeta fu <strong>un</strong>o dei<br />

principali animatori. Nel 1977, cinque anni prima <strong>del</strong><br />

saggio di Agosti, Mannino si era riferito al procedimento<br />

di aggettivazione <strong>pasoliniano</strong> come a <strong>un</strong> atto costante di<br />

degradazione linguistica teso però a instaurare «<strong>un</strong> nuovo<br />

sublime» 3 . Agosti, per il momento, si preoccupa di<br />

1 Stefano Agosti, La parola fuori di sé, in Id., Il testo <strong>del</strong>la<br />

poesia; cinque analisi, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 127-154.<br />

2 Ivi, p. 135.<br />

3 Vincenzo Mannino, Invito alla lettura di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>,<br />

Milano, Mursia, 1977, p. 125.<br />

36


mostrare come in <strong>Pasolini</strong> si attui sul piano<br />

<strong>del</strong>l’en<strong>un</strong>ciato <strong>un</strong>a escursione massima dei contenuti e,<br />

sul piano <strong>del</strong>l’en<strong>un</strong>ciazione, <strong>un</strong>a conseguente<br />

variegatissima tipologia <strong>del</strong>le formulazioni linguistiche.<br />

Il poeta, come dicevo, vedeva nella realtà <strong>un</strong> amplissimo<br />

ventaglio di sfumature, <strong>un</strong> impasto di toni, da quelli più<br />

alti a quelli più bassi, dentro il quale poter immergere<br />

la propria lingua poetica, lo strumento primo attraverso<br />

il quale, ora in veste di scrittore, egli si era posto<br />

l’obbiettivo di voler <strong>tradurre</strong> la potenza visiva <strong>del</strong> suo<br />

ventaglio di intuizioni. L’incipit di impressionante<br />

forza espressiva <strong>del</strong>le Ceneri di Gramsci mostra bene come<br />

non si possa, da dentro l’ottica appena <strong>del</strong>ineata,<br />

considerare ancora come <strong>un</strong>ità minima <strong>del</strong> testo il singolo<br />

vocabolo, ma si debba invece sempre riferirsi al segmento<br />

organizzato in struttura sintattica o ritmica.<br />

Specificamente, nel testo che segue sono riscontrabili<br />

alc<strong>un</strong>e tra le più alte espressioni <strong>del</strong>la tipica<br />

costruzione ossimorica pasoliniana, prodotta dalla<br />

contiguità, da <strong>un</strong> lato di termini a volte non <strong>del</strong> tutto<br />

antitetici ma che debitamente accostati fanno risaltare<br />

il loro intrinseco parossismo (impura aria, cieche<br />

schiarite, mortale pace, aut<strong>un</strong>nale maggio), dall’altro<br />

dalla vicinanza, anche nello stesso verso, di locuzioni<br />

“impoetiche” <strong>del</strong> genere umile quotidiano e di sintagmi<br />

“poetici”<br />

formali:<br />

costruiti dentro complesse intelaiature<br />

Non è di maggio questa impura aria<br />

che il buio giardino straniero<br />

fa ancora più buio, o l’abbaglia<br />

con cieche schiarite... questo cielo<br />

di bave sopra gli attici giallini<br />

che in semicerchi immensi fanno velo<br />

alle curve <strong>del</strong> Tevere, ai turchini<br />

37


monti <strong>del</strong> Lazio... Spande <strong>un</strong>a mortale<br />

pace, disamorata come i nostri destini,<br />

tra le vecchie muraglie l'aut<strong>un</strong>nale<br />

maggio. In esso c'è il grigiore <strong>del</strong> mondo,<br />

la fine <strong>del</strong> decennio in cui ci appare<br />

tra le macerie finito il profondo<br />

e ingenuo sforzo di rifare la vita;<br />

il silenzio, fradicio e infecondo...<br />

[…]<br />

Dall’osservazione operata sopra è possibile<br />

riscontrare, già nell’immediato, <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>anza con i modi<br />

di espressione <strong>del</strong> cinema. Infatti, sarà sempre <strong>un</strong>a<br />

forzatura assumere il singolo fotogramma come entità<br />

minima <strong>del</strong>la significazione, dato che, come nel<br />

programmatico procedimento <strong>del</strong>la sineciòsi pasoliniana,<br />

anche il cinema, arte <strong>del</strong> tempo, sviluppa pienamente il<br />

suo senso solo dentro <strong>un</strong>a sequenza organizzata in<br />

montaggio. 4 Anche Agosti, guidato da questa iniziale<br />

suggestione, cerca di sviluppare il paragone portando<br />

come esempio <strong>un</strong> procedimento ancora più sofisticato di<br />

«dizione totale <strong>del</strong>la realtà attuata nel discorso in<br />

prima persona» 5 .<br />

Il poema La Ricchezza, per esempio, è costruito su<br />

veri e propri «processi di omologazione (di mimesi) fra<br />

strutture <strong>del</strong> discorso e strutture <strong>del</strong>la realtà» 6 . La<br />

poesia si trova all’interno <strong>del</strong>la raccolta La religione<br />

<strong>del</strong> mio tempo, <strong>del</strong>la quale, data alle stampe nel 1961, è<br />

4 Così, a proposito di questa questione, si è espresso Christian<br />

Metz: «La fotografia resta soprattutto <strong>un</strong> analogon, <strong>un</strong>o pseudo-reale;<br />

il film è soprattutto “parola”. La fotografia diventa “linguaggio”<br />

per così dire ai suoi margini, mentre la serie di fotografie – il<br />

film – è linguaggio dentro di sé e da cima a fondo. Perciò al fondo<br />

<strong>del</strong>la semiologia <strong>del</strong> cinema si trova ancora il montaggio». Da<br />

Christian Metz, La significazione nel cinema, Milano, Bompiani, 1995,<br />

p. 230.<br />

5 Stefano Agosti, La parola fuori di sé, cit. p. 137.<br />

6 Ibidem. Agosti si riferisce qui, in particolare, all’istituzione di<br />

<strong>un</strong>a corrispondenza fra temporalità discorsiva e temporalità reale.<br />

38


uscita nel 1995 presso Garzanti <strong>un</strong>a nuova edizione,<br />

preceduta da <strong>un</strong> saggio di Gianni D’Elia. Lo studioso, pur<br />

senza citare direttamente Agosti, descrive l’inizio <strong>del</strong>la<br />

Ricchezza nei suoi stessi termini, usando cioè la<br />

metafora cinematografica:<br />

L’attacco è subito <strong>un</strong> ciak di ripresa oggettivante: due<br />

inquadrature, divise dalla virgola, <strong>un</strong>a figura intera e <strong>un</strong><br />

primo piano. Siamo direttamente chiamati a <strong>un</strong>a visione che ci<br />

mette davanti a <strong>un</strong> corpo vivo, <strong>un</strong> passo, <strong>un</strong>’azione, <strong>un</strong>a<br />

presenza in movimento, <strong>un</strong> volto umano. 7<br />

Agosti riguardo alla Ricchezza parla di «resa<br />

integrale <strong>del</strong>l’evento» 8 , come se il poeta pensasse a <strong>un</strong>o<br />

spettatore più che a <strong>un</strong> lettore, a qualc<strong>un</strong>o che guarda<br />

più che a qualc<strong>un</strong>o che legge. Di fatto, la poesia nasce<br />

da <strong>un</strong> complesso gioco di sguardi al quale partecipa lo<br />

stesso poeta. Davanti al ciclo pittorico <strong>del</strong>la Leggenda<br />

<strong>del</strong>la croce di <strong>Pier</strong>o <strong>del</strong>la Francesca, <strong>Pasolini</strong> scopre la<br />

figura di <strong>un</strong> operaio che, dentro il coro <strong>del</strong>la chiesa di<br />

San Francesco ad Arezzo, si aggira spaesato e circospetto<br />

tra i visitatori colti. La sensazione che se ne ricava è<br />

in tutto paragonabile a <strong>un</strong> sofisticato montaggio di<br />

affreschi visuali, i cui protagonisti, dal volto concreto<br />

<strong>del</strong>l’operaio fino a quello bidimensionale di Costantino<br />

dormiente nel finale <strong>del</strong>la prima sezione <strong>del</strong> poema, sono<br />

inquadrati dalle parole <strong>del</strong> poeta dentro il continuum<br />

spazio-temporale di <strong>un</strong>a sequenza di realtà che non sembra<br />

poter esistere, se non scolpita da quel intenso gioco di<br />

luci, al quale è dedicata <strong>un</strong>a quantità considerevole di<br />

versi:<br />

Fa qualche passo, alzando il mento,<br />

7 Gianni D’Elia, Verso la poesia incivile; saggio contenuto in La<br />

religione <strong>del</strong> mio tempo, <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Milano, Garzanti, 1995,<br />

pp. XXXIII-IL [XXXIII].<br />

8 Stefano Agosti, La parola fuori di sé, cit. p. 137.<br />

39


ma come se <strong>un</strong>a mano gli calcasse<br />

in basso il capo. E in quell’ingenuo<br />

e stento gesto, resta fermo, ammesso<br />

tra queste pareti, in questa luce,<br />

di cui egli ha timore, quasi, indegno,<br />

ne avesse turbato la purezza…<br />

Si gira sotto la base scalcinata,<br />

col suo minuto cranio, le sue rase<br />

mascelle di operaio. E sulle volte<br />

ardenti sopra la penombra in cui stanato<br />

si muove, lancia sospetti sguardi<br />

di animale: poi su noi, umiliato<br />

per il suo ardire, p<strong>un</strong>ta <strong>un</strong> attimo i caldi<br />

occhi: poi di nuovo in alto… Il sole<br />

l<strong>un</strong>go le volte così puro riarde<br />

<strong>del</strong> non visto orizzonte…<br />

[…]<br />

Vale ovviamente, anche per questi versi, il<br />

riferimento alla contaminazione stilistica dei registri<br />

che era stato fatto per la citazione dalle Ceneri. Non si<br />

può fare a meno di notare, come lo stridore veramente<br />

significativo sul quale si impernia questo testo, sia<br />

quello generato dallo scontro di immagini sacre e profane<br />

e, soprattutto, dal livellamento descrittivo dei due<br />

<strong>un</strong>iversi. <strong>Pasolini</strong>, voglio dire, mette la stessa passione<br />

nella descrizione <strong>del</strong>l’operaio e in quella degli<br />

affreschi, usa la stessa luce, la medesima dedizione<br />

nella resa dei particolari. Mostrerò più avanti che lo<br />

stilema usato in questa sede avrà <strong>un</strong> suo calco preciso in<br />

<strong>un</strong>a fondamentale componente <strong>del</strong> lavoro compiuto da<br />

<strong>Pasolini</strong> realizzando Accattone, film nel quale, con <strong>un</strong><br />

movimento inverso, sarà la più alta tradizione <strong>del</strong>la<br />

pittura rinascimentale a entrare con prepotenza dentro le<br />

baracche e i palazzacci <strong>del</strong>la Roma sottoproletaria.<br />

Tornando all’analisi di Agosti sui modi nei quali<br />

<strong>Pasolini</strong> avrebbe organizzato la struttura discorsiva<br />

<strong>del</strong>la sua opera poetica, si vedrà come sia possibile<br />

40


iscontrare in alc<strong>un</strong>i testi il <strong>del</strong>iberato uso di <strong>un</strong><br />

«tempo <strong>del</strong>la ”visione a distanza”» 9 , come lo chiama<br />

Agosti, nel quale sarebbe possibile riscontrare <strong>un</strong><br />

ulteriore preludio cinematografico. Si tratta di <strong>un</strong>a<br />

costruzione discorsiva che si da come analogo <strong>del</strong> reale,<br />

<strong>del</strong> quale riproduce le strutture base, spaziali e<br />

temporali; è «il p<strong>un</strong>to di massima portata di quella<br />

“dizione totale” esperimentata da <strong>Pasolini</strong>: il reale è<br />

parlato, da <strong>un</strong> lato, sino all’”impoetico”, dall’altro,<br />

sin nelle sue strutture più generali e non<br />

significative» 10 . Ma è proprio arrivati a questo p<strong>un</strong>to<br />

estremo di capacità <strong>del</strong> dire, a questa ambizione<br />

apparentemente raggi<strong>un</strong>ta di totalità espressiva che<br />

dall’operazione di <strong>Pasolini</strong> emerge «<strong>un</strong>a formidabile<br />

critica in atto <strong>del</strong> discorso». 11<br />

Il p<strong>un</strong>to di arrivo è solo apparente, ha i tratti<br />

<strong>del</strong>l’illusione, <strong>del</strong> miraggio, perché se osiamo riflettere<br />

in profondità sul senso più intimo <strong>del</strong>la struttura dei<br />

testi, possiamo sentire il ribollire <strong>del</strong> magma<br />

concettuale che ha smosso tutta la poesia moderna. Anche<br />

la poetica pasoliniana, insomma, è «attraversata dalla<br />

consapevolezza di quella differenza che è il linguaggio;<br />

essa soffre <strong>del</strong> linguaggio in quanto differenza, in<br />

quanto divisione originaria». 12 <strong>Pasolini</strong> vive la stessa<br />

nevrosi che questa presa di coscienza ha provocato in<br />

quasi tutti, da Bau<strong>del</strong>aire in avanti, ma in lui questa<br />

divisione originaria, nata con l’avvento stesso <strong>del</strong><br />

linguaggio, risulta inestricabilmente associata «alla<br />

pulsione, al desiderio <strong>del</strong>l’identità primitiva» 13 . Sarà<br />

lui stesso, tra il novembre e il dicembre <strong>del</strong> 1963 a<br />

9<br />

Stefano Agosti, La parola fuori di sé, cit. p. 138.<br />

10<br />

Ibidem.<br />

11<br />

Ivi, p. 140.<br />

12<br />

Stefano Agosti, Canto e discorso nella poesia di <strong>Pasolini</strong>, in <strong>Pier</strong><br />

<strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, «Una vita futura», Milano, Garzanti, 1985, pp. 83-85<br />

[85].<br />

13<br />

Ibidem.<br />

41


spiegarsi e a spiegarci, meglio di chi<strong>un</strong>que altro, il<br />

senso di questa tragica impossibilità di riconciliazione.<br />

Fino a quel momento tutto f<strong>un</strong>zionava come già descritto<br />

da De Giusti, ovvero, il poeta diceva di più di quanto<br />

sapesse di dire. Non è <strong>un</strong> caso, se la fine <strong>del</strong> 1963<br />

precede di poco il momento in cui <strong>Pasolini</strong> ha smesso<br />

compiutamente di comporre versi e, di pochissimo, la<br />

realizzazione <strong>del</strong> mediometraggio La ricotta, per il quale<br />

Enrico Magrelli ha tracciato questo perfetto identikit:<br />

La ricotta non è il primo film di <strong>Pasolini</strong> ma<br />

simbolicamente ne costituisce l’ingresso nel mondo <strong>del</strong> cinema<br />

ed è <strong>un</strong> primo tradimento al cinema stesso, teorizzato in<br />

seguito, come “momento scritto” di <strong>un</strong>a lingua naturale e<br />

totale, che è l’agire <strong>del</strong>la realtà. L’arrivo sull’area <strong>del</strong> set 14<br />

che ha fragili confini con la vita e con il reale, è<br />

caratterizzato dalla capacità di guardare il dentro e il fuori,<br />

la Storia e la sua f<strong>un</strong>zione. 15<br />

Ed ecco la citazione da <strong>Pasolini</strong>, che è poi <strong>un</strong>a<br />

confessione in versi, come si trova all’interno <strong>del</strong> poema<br />

Progetto di opere future:<br />

[…]<br />

E scriverò all’imperterrito Moravia, <strong>un</strong>a «PASOLINARIA<br />

SUI MODI D’ESSER POETA», con la relazione<br />

tra segno e cosa – e finalmente<br />

svelerò la mia vera passione.<br />

Che è la vita furente [o nolente] [o morente]<br />

- e perciò, di nuovo, la poesia:<br />

non conta né il segno né la cosa esistente,<br />

ecco. Se l’uomo fosse <strong>un</strong> Monotipo <strong>del</strong>la Subtopia<br />

14<br />

La ricotta è infatti costruito, come il più classico dei metafilm,<br />

su episodi che si svolgono tutti all’interno <strong>del</strong>la troupe di <strong>un</strong> set<br />

cinematografico.<br />

15<br />

Enrico Magrelli, Con <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Roma, Bulzoni, 1977, p.<br />

8.<br />

42


di <strong>un</strong> mondo senza più capitali linguistiche,<br />

e disparisse quindi la parola da ogni sua via<br />

<strong>del</strong>l’udire e <strong>del</strong> dire, lo stringerebbero mistici<br />

legami ancora alle cose, e ciò che le cose<br />

sono, non fissato più nei tristi<br />

contesti, sarebbe sempre nuovo, colmo di gaudiose<br />

verità pragmatiche – non più strumentalità,<br />

travaglio che le traduce in limoni, in rose…<br />

ma sempre e solo, luce, com’è la realtà<br />

<strong>del</strong>le cose quando sono nella memoria<br />

alla soglia <strong>del</strong>l’essere nominate e già<br />

piene <strong>del</strong>la loro fisica gloria. 16<br />

[…]<br />

Sono versi splendidi e perciò, di nuovo, poesia, ma<br />

sotto la loro patina di purezza compostissima, si fanno<br />

portatori a <strong>un</strong> livello di estrema consapevolezza di quel<br />

dolore, di quella nostalgia <strong>del</strong> linguaggio le cui radici<br />

ho sopra <strong>del</strong>ineate.<br />

Ai tempi <strong>del</strong>le Ceneri di Gramsci e <strong>del</strong>la Religione<br />

<strong>del</strong> mio tempo questo risultato di sospensione ed erranza<br />

<strong>del</strong> significato è stato sviluppato, come si è visto,<br />

soprattutto grazie a <strong>un</strong>a costante ed efficace costruzione<br />

ossimorica attuata su più livelli, semantico e<br />

sintattico, ma non solo; emerge, infatti, anche dall’uso<br />

di certe figure ricorrenti disseminate nei testi, come<br />

nell’Appennino 17 dove, pur trattandosi di <strong>un</strong> poema tutto<br />

giocato su quella “visione a distanza” tesa a istituire<br />

<strong>un</strong> movimento progressivo <strong>del</strong> discorso, risalta «<strong>un</strong><br />

sintagma sinonimo <strong>del</strong> sonno: “le palpebre chiuse” […],<br />

ass<strong>un</strong>to anche attraverso espressioni equivalenti, e<br />

16<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti,<br />

1976, pp. 200-01.<br />

17<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Le ceneri di Gramsci, Milano, Garzanti, 1976,<br />

pp. 1-12.<br />

43


addotto a designare il sonno […] <strong>del</strong>l’Italia, la sua<br />

regressione a <strong>un</strong>a “coscienza” anteriore alla coscienza» 18 .<br />

Un altro esempio tra i molti possibili è riscontrabile<br />

nella già citata La ricchezza dove Agosti rintraccia, in<br />

entrambe le sezioni <strong>del</strong> poema, <strong>un</strong> gioco di coppie<br />

metonimiche che attua <strong>un</strong> movimento di riflusso, <strong>del</strong> tutto<br />

antitetico al continuum narrativo sul quale, di fatto, è<br />

costruito il testo. Agosti, a riass<strong>un</strong>to <strong>del</strong>le sue<br />

intuizioni, parla di «”Significati” dilapidati e “canti”<br />

non attuati» come risultato di ciò a cui «perviene la<br />

Voce <strong>del</strong> Soggetto nella gestione <strong>del</strong> “proprio” dire». 19<br />

Perciò, la sola condizione di autenticità e di identità<br />

sembrerebbe potersi collocare <strong>un</strong>icamente dentro questa<br />

straniante sfasatura grazie alla quale «il discorso (la<br />

totalità di dizione effettuata attraverso il discorso)<br />

risulta suscettibile di passare dal Medesimo all’Altro». 20<br />

Le basi teoriche che, attraverso le teorie <strong>del</strong>la<br />

traduzione, cercano di fondare la possibilità di<br />

trasporre le forme <strong>del</strong>l’espressione nelle quali si<br />

articola <strong>un</strong> determinato <strong>un</strong>iverso semiotico dentro quelle<br />

di <strong>un</strong> altro sistema, si ritrovano sparse l<strong>un</strong>go il<br />

tragitto di questo lavoro. Al termine di questa prima<br />

incursione dentro il tessuto poetico <strong>pasoliniano</strong> è<br />

tuttavia impossibile evitare di riferirsi a <strong>un</strong> breve<br />

articolo 21 <strong>del</strong> poeta italiano Giovanni Raboni, nel quale<br />

si ipotizzano certe ragioni profonde <strong>del</strong>l’alto “tasso di<br />

traducibilità” <strong>del</strong>la poetica pasoliniana. Ovviamente,<br />

Raboni non può evitare di premettere considerazioni<br />

risapute secondo le quali la traduzione di <strong>un</strong> testo<br />

poetico andrebbe in contro a risultati sempre parziali,<br />

posta la natura polisemica <strong>del</strong>la sua produzione di<br />

18<br />

Stefano Agosti, La parola fuori di sé, cit., p. 143.<br />

19<br />

Ivi, p. 145.<br />

20<br />

Ibidem.<br />

21<br />

Giovanni Raboni, Razionalità e metafora, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>,<br />

«Una vita futura», cit., pp. 89-91.<br />

44


discorso. 22 Egli però, proprio partendo da questo<br />

presupposto, vorrebbe che si leggesse la poesia di<br />

<strong>Pasolini</strong>, al contrario, come <strong>un</strong>a poesia che «dice<br />

soprattutto ciò che dice [dove] lo scarto fra l’en<strong>un</strong>ciato<br />

e il senso, fra l’intenzione <strong>del</strong> discorso e il senso<br />

finale <strong>del</strong> discorso, è […] insolitamente ridotto,<br />

compresso e, per così dire, tenuto continuamente e<br />

strenuamente sotto controllo <strong>del</strong>la volontà e <strong>del</strong>la<br />

coscienza <strong>del</strong>l’autore» 23 . Dal canto mio sia nei primi<br />

capitoli, sia l<strong>un</strong>go il tragitto percorso insieme ad<br />

Agosti, ho insistito sul fatto che in <strong>Pasolini</strong> la ricerca<br />

di ambiguità, operata a tutti i livelli compreso quello<br />

esistenziale, il suo “scandalo <strong>del</strong> contraddirsi”, la sua<br />

ricerca di contaminazione, altro non sono stati che <strong>un</strong>a<br />

razionalizzazione <strong>del</strong>l’ambiguità, che egli ha cercato,<br />

disperatamente, di sottrarre «al suo luogo originario,<br />

cioè alla naturale polisemia <strong>del</strong> linguaggio poetico» 24 .<br />

Ancora più interessante è la notazione che fa Raboni<br />

riguardo alla quasi totale assenza, nei suoi testi, di <strong>un</strong><br />

sistema metaforico, come se «il silenzio <strong>del</strong>la metafora»<br />

diventasse «esso stesso metafora – <strong>un</strong>a grande, invisibile<br />

metafora <strong>del</strong>la razionalità, <strong>del</strong>la nostalgia <strong>del</strong>la<br />

razionalità» 25 , ovvero la nostalgia per <strong>un</strong> linguaggio<br />

senza parola nel quale ciò che le cose sono, possa<br />

app<strong>un</strong>to esser detto senza tradurle in limoni, in rose… 26<br />

22<br />

Cfr. Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale; a cura di Luigi<br />

Heilmann. Milano, Feltrinelli, 1985; e Roman Jakobson , Poetica e<br />

poesia : questioni di teoria e analisi testuali, Torino, Einaudi,<br />

1985.<br />

23<br />

Giovanni Roboni, Razionalità e metafora, cit., p. 90.<br />

24<br />

Ibidem.<br />

25<br />

Ibidem. Una simile notazione comparirà poco tempo dopo anche nel<br />

già citato articolo di Siti dedicato all’espressionismo di <strong>Pasolini</strong>.<br />

26<br />

Cfr. <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Poesia in forma di rosa, cit.<br />

45


LA LINGUA DEI CORPI<br />

Se mi chiedo quali siano i residui, quasi si<br />

trattasse <strong>del</strong>la cristallizzazione di gocce di pioggia<br />

cadute sull’ottica <strong>del</strong> suo obiettivo, di alc<strong>un</strong>e mosse<br />

stilistiche in atto nell’opera cinematografica di<br />

<strong>Pasolini</strong>, l’agire <strong>del</strong>le quali finora, è stato evidenziato<br />

solo all’interno <strong>del</strong> suo tessuto poetico, posso darmi<br />

risposta di perplessità riguardanti certi elementi<br />

decisivi per la comprensione <strong>del</strong> particolarissimo e<br />

inimitato stile sul quale si fonda il film Accattone.<br />

Sulla scorta di Agosti, lo ricordo, avevo isolato,<br />

nell’opera in versi, alc<strong>un</strong>i meccanismi tesi a rompere il<br />

flusso progressivo <strong>del</strong> discorso. Si trattava, riassumo,<br />

di vere e proprie figure che, usate in modo iterativo e<br />

perciò dirompente apportavano movimenti digressivi e<br />

regressivi, emergendo nella loro iterazione e spezzando<br />

l’andamento lineare <strong>del</strong> dettato. Il rapido esempio che<br />

era stato ricavato da L’Appennino si riferiva alle<br />

incursioni <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> sonno e <strong>del</strong>la sonnolenza, ma<br />

altrettanto si sarebbe potuto dire, con relative<br />

differenze di ordine simbolico, riguardo alla presenza<br />

<strong>del</strong>l’elemento <strong>del</strong> riso (<strong>del</strong> ridere come <strong>del</strong> sorridere)<br />

nel finale <strong>del</strong> medesimo poema. La figura, che compare<br />

adesso a stretto contatto <strong>del</strong>la prima, sa farsi<br />

portatrice di <strong>un</strong> ampio ventaglio di significati e di<br />

valenze, ma in questa sede ci interessa nuovamente per la<br />

sua capacità, identica in tutte le sue ricorrenze, di<br />

connotarsi sempre come <strong>un</strong> blocco, <strong>un</strong>a concrezione: è per<br />

esempio <strong>un</strong> riso incallito, da cui sembra emergere <strong>un</strong><br />

umanità primitiva, <strong>un</strong>’interiorità invisibile e rimossa; è<br />

<strong>un</strong> riso dialettale, che d<strong>un</strong>que arriva a noi direttamente<br />

da <strong>un</strong>o stadio primigenio e infantile, dove tutto è<br />

preumano, e umanamente gioisce per conficcarsi<br />

46


dolorosamente contro il riso <strong>del</strong> volgare per il quale è<br />

inutile ogni parola di redenzione 1 .<br />

A proposito <strong>del</strong>la concentrazione di <strong>Pasolini</strong> sul<br />

corpo e di come la macchina da presa abbia raccolto la<br />

sfida <strong>del</strong>la sua originale esibizione cominciata<br />

nell’opera scritta, De Giusti ha scritto:<br />

Il cinema di <strong>Pasolini</strong> si caratterizza proprio per le<br />

irruzioni <strong>del</strong>la realtà: la linearità <strong>del</strong> tempo e <strong>del</strong> tessuto<br />

narrativo risulta sbrecciata da queste “sospensioni” liriche,<br />

il ritmo rotto dagli stupori dei primi piani di <strong>un</strong> volto, <strong>un</strong>o<br />

sguardo o <strong>un</strong>a bocca, sovente sdentata, aperta nel sorriso beato<br />

di chi si sente <strong>un</strong>a scheggia <strong>del</strong>la natura. 2<br />

L’isolamento di simili fenomeni nell’ambito<br />

<strong>del</strong>l’opera cinematografica di <strong>Pasolini</strong> può essere molto<br />

facilitato dal lavoro a cura di Michele Mancini e<br />

Giuseppe Perrella che si trova raccolto in <strong>un</strong> curioso<br />

volume, <strong>un</strong> ibrido tra il saggio e l’album fotografico,<br />

intitolato <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, corpi e luoghi.<br />

All’interno <strong>del</strong> libro si trovano, suddivise per tipo di<br />

espressione corporea, le riproduzioni dei fotogrammi nei<br />

quali, dentro l’intero corpus <strong>del</strong>la filmografia<br />

pasoliniana, quella certa espressione si è realizzata e<br />

ripetuta. I due curatori hanno corredato di brevi ma<br />

efficaci commenti ogni macro blocco testuale, premettendo<br />

<strong>un</strong>’interessante osservazione iniziale:<br />

Certo perché questi gesti, e i luoghi in cui si danno,<br />

possano emergere nel cinema e brillare, […] diventa necessaria<br />

<strong>un</strong>a complessiva impostazione <strong>del</strong>l’operazione cinematografica<br />

che app<strong>un</strong>to permetta che si diano le piccole cose, i piccoli<br />

movimenti, le piccole azioni <strong>del</strong>la vita quotidiana. Si tratta<br />

di <strong>un</strong>a particolare attenzione al dettaglio, all’atteggiamento,<br />

1<br />

Tutte le parole poste in corsivo all’interno di questo paragrafo<br />

sono estrapolate proprio dai versi finali de L’Appennino, in <strong>Pier</strong><br />

<strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Le ceneri di Gramsci, cit., p. 11.<br />

2<br />

Luciano De Giusti, I film di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Roma, Gremese,<br />

1983, p. 20.<br />

47


al comportamento <strong>del</strong> corpo, che mira a rilevare e a fissare nel<br />

cinema, le minime particelle <strong>del</strong>la vita e <strong>del</strong> corpo. 3<br />

Attenzione da cui deriva, quasi ne fosse <strong>un</strong> corollario,<br />

la necessità di:<br />

Fissare la macchina da presa e lo sguardo sulla flagranza<br />

di <strong>un</strong> gesto affinché nel film si dia <strong>un</strong> eccesso di corpo e allo<br />

stesso tempo <strong>un</strong> segno <strong>del</strong>l’irrompere <strong>del</strong>l’intimità <strong>del</strong>l’uomo e<br />

<strong>del</strong> mondo. 4<br />

Sarà possibile comprendere con più chiarezza nel<br />

capitolo dedicato in modo specifico all’analisi filmica,<br />

dentro quali meccanismi l’intuizione appena formulata<br />

trovi conferma. Nel frattempo, è interessante notare<br />

come, dall’analisi che Mancini e Perrella hanno operato<br />

sulla valenza filmica di questi “blocchi di senso”,<br />

vengano alla luce considerazioni <strong>del</strong> tutto simili a<br />

quelle formulate, da me e da Agosti, a proposito <strong>del</strong>la<br />

valenza <strong>del</strong>l’iterazione <strong>del</strong>le medesime figure dentro la<br />

trama poetica pasoliniana. In particolare, rispetto agli<br />

improvvisi sbandamenti psichici dei personaggi<br />

pasoliniani, ai loro momenti di incoscienza provvisoria o<br />

di abbandono a <strong>un</strong> onomatopeico e romanesco “sbraco”:<br />

Oppure:<br />

Alla fiction viene chiesto di sopportare <strong>un</strong> eccesso di<br />

“corpo morto”, come per fissare su <strong>un</strong> segmento di film<br />

l’indecidibilità tra morte e vita – e al tempo stesso <strong>un</strong>a<br />

precipitazione <strong>del</strong> senso. 5<br />

Sono momenti che si danno come indecidibilità per il<br />

prosieguo <strong>del</strong>l’azione e al tempo stesso come irruzione violenta<br />

3<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Corpi e luoghi, a cura di Michele Mancini e<br />

Giuseppe Perrella, Roma, Theorema, 1982 (II), p. 146.<br />

4<br />

Ivi, p. 149<br />

5<br />

Ivi, p. 174<br />

48


E ancora:<br />

(e come ritorno) di <strong>un</strong> mondo segreto di cui si ha <strong>un</strong>’oscura<br />

coscienza.<br />

La performance <strong>del</strong>l’attore tocca per <strong>un</strong> attimo la verità<br />

a cui mira e la sua vera posta in gioco: la follia, il non<br />

senso o il senso ultimo <strong>del</strong>la vita: la morte. 6<br />

E’ <strong>Pasolini</strong> stesso a lasciarsi andare al fascino di<br />

comportamenti irrazionali e misteriosi, al fondo biologico e<br />

pulsionale che lavora la Storia, fissando nella fiction e nel<br />

racconto <strong>un</strong>a sospensione “irrecuperabile” <strong>del</strong> senso<br />

<strong>del</strong>l’azione. 7<br />

Infine, per i momenti nei quali insorge il riso,<br />

anche Mancini e Perrella hanno ritrovata identica nei<br />

film la loro capacità di creare <strong>un</strong> corto circuito<br />

emozionale che a volte può persino inquietare, se la<br />

risata si fa sguaiata, facendo affiorare il preumano o<br />

persino l’inumano <strong>del</strong>l’uomo. Su <strong>un</strong> altro versante,<br />

maggiormente avvicinabile a quel sentimento di umana<br />

gioia, presente nei versi pur sempre come in lotta contro<br />

il suo lato volgare, i due autori dopo aver ricordato<br />

come <strong>Pasolini</strong> chiedesse agli attori, durante il provino,<br />

di presentarsi attraverso il loro stesso modo di ridere,<br />

riflettono in questi termini:<br />

Il riso emerge nel cinema di <strong>Pasolini</strong> come espressione<br />

primaria e specifica degli esseri umani, è il primo livello<br />

visivo ed espressivo, e al tempo stesso il primo rapporto<br />

sociale. 8<br />

Riguardo alla valenza che i sorrisi (les sourires)<br />

assumono nel tessuto proprio <strong>del</strong>la narrazione filmica, la<br />

seguente analisi di Geoffrey Nowell-Smith sembra fatta<br />

6 Ivi, p. 175<br />

7 Ivi, p. 176<br />

8 Ivi, p. 160<br />

49


apposta per impiantare <strong>un</strong>a perfetta comparazione con<br />

l’analisi operata al capitolo precedente; quando ho<br />

cercato di spiegare il particolarissimo effetto di<br />

rottura che la figura <strong>del</strong> riso riesce a provocare dentro<br />

il cuore <strong>del</strong> discorso poetico <strong>pasoliniano</strong>:<br />

Les sourires en particulier sont vides de motivations<br />

diégétiques fournies par le plan précédent. Dans le plan inséré<br />

<strong>un</strong> personnage sourit et dans le sourire il y a à la fois<br />

séduction et menace. Mais qui est l’objet de cette séduction ou<br />

de cette menace? Et pourquoi à ce moment particulier? Est-ce le<br />

spectateur qui est l’objet du regard souriant ou est-ce <strong>un</strong><br />

autre personnage? Nous ne savons pas. Nous subissons la menace,<br />

la séduction. Notre subjectivité est investie dans le regard,<br />

le sourire qui nous parviennent à travers l’écran. Mais il n’y<br />

a pas de point de vue de la narration sur le quel cet<br />

investissement puisse s’appuyer. 9<br />

9 Geoffrey Nowell-Smith, <strong>Pasolini</strong> dans le cinéma, in <strong>Pasolini</strong>.<br />

Séminaire dirigé par Maria Antonietta Macciocchi, Paris, Grasset,<br />

1980, pp. 89-97 [94].<br />

50


IL MONDO SEMPRE COME VISTO DAL PERSONAGGIO<br />

Altro elemento che consentiva all’autore, dentro il<br />

corpo <strong>del</strong>la poesia, di <strong>del</strong>ineare le spaccature presenti<br />

nel reale e la conseguente impossibilità, a definirne con<br />

sicurezza i contorni attraverso lo strumento linguistico,<br />

troverebbe gioco, lo ricordo, anche nella possibilità di<br />

far assumere all’andamento discorsivo p<strong>un</strong>ti di vista<br />

“altri” rispetto al proprio. Spinto a difendersi da<br />

cattive interpretazioni <strong>del</strong> suo stile, <strong>Pasolini</strong> ha<br />

pensato molto presto a definire questa pratica con<br />

fermezza, tanto che, già alla fine <strong>del</strong> 1960, possiamo<br />

trovare, in risposta alla lettera con cui lo interpella<br />

<strong>un</strong> lettore <strong>del</strong> settimanale «Vie Nuove», questo preciso<br />

giudizio sul proprio operato:<br />

Mi vergogno a parlare di me, a questo p<strong>un</strong>to: ma è chiaro<br />

che qui non si tratta di giudizi di valore, ma di modi<br />

letterari. Con Ragazzi di vita e Una vita violenta – che molti<br />

credono frutto di <strong>un</strong> superficiale documentarismo – io mi sono<br />

messo sulla linea di Verga, di Joyce e di Gadda: e questo mi è<br />

costato <strong>un</strong> tremendo sforzo linguistico: altro che immediatezza<br />

documentaria! Rifare, mimare il “linguaggio interiore” di <strong>un</strong>a<br />

persona è di <strong>un</strong>a difficoltà atroce, aumentata dal fatto che,<br />

nel mio caso – come nel caso di Gadda – la mia persona parlava<br />

e pensava in dialetto: Bisognava scendere al suo livello<br />

linguistico, usando direttamente il dialetto nei discorsi<br />

diretti, e usando <strong>un</strong>a difficile contaminazione linguistica nel<br />

discorso indiretto: cioè in tutta la parte narrativa, poiché il<br />

mondo è sempre “come visto dal personaggio”. Le stonature in<br />

questa operazione sono sempre a <strong>un</strong> pelo dalla scrittura: basta<br />

eccedere solo <strong>un</strong> minimo sia verso la lingua che verso il<br />

dialetto che il difficile amalgama si rompe. 1<br />

Mannino ci avverte che per raggi<strong>un</strong>gere questo<br />

risultato, «bisogna essere, ed essere vistosamente,<br />

1 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Le belle bandiere, a cura di Gian Carlo<br />

Ferretti, Roma, Editori Ri<strong>un</strong>iti, 1996, pp. 87-88.<br />

51


scrittori». 2 “Il mondo sempre come visto dal personaggio”,<br />

insomma, è il risultato di <strong>un</strong> effetto che, proprio in<br />

quanto dipendente da <strong>un</strong>a volontà stilistica quasi<br />

chirurgica <strong>del</strong>l’autore, finisce proprio per divenirne <strong>un</strong>a<br />

potente marca di en<strong>un</strong>ciazione. Allo stesso <strong>Pasolini</strong>, <strong>del</strong><br />

resto, stava a cuore l’importanza di accostarsi a ogni<br />

tipo di testualità con i presupposti <strong>del</strong>la competenza<br />

analitica: «demistificare “l’innocenza <strong>del</strong>la tecnica”,<br />

fino all’ultimo sangue» 3 . Anche solo partendo dalle poche<br />

righe di autoanalisi stilistica che ho citato, è<br />

possibile dedurre come la lingua dei due romanzi<br />

principali e <strong>del</strong>la raccolta Alì dagli occhi azzurri si<br />

disponga su tre strati: la lingua <strong>del</strong>l’autore, usata nei<br />

p<strong>un</strong>ti più neutri e descrittivi <strong>del</strong>la narrazione, e in cui<br />

l’impasto linguistico è spesso fondato su <strong>un</strong>a sintesi di<br />

diversi registri espressivi, poi la lingua risultante da<br />

<strong>un</strong>a vera e propria contaminazione tra dialetto e lingua,<br />

mescolati a <strong>un</strong> gergo più com<strong>un</strong>e e umoristico e, infine,<br />

il puro dialetto romanesco.<br />

Non è necessario, in questa sede, portare degli<br />

esempi per ogn<strong>un</strong>o di questi momenti, basta sfogliare a<br />

caso <strong>un</strong>a qual<strong>un</strong>que <strong>del</strong>le opere prese in esame per aver<br />

chiaro il dispiegarsi di questo processo. Ciò che davvero<br />

mi interessa mettere a fuoco a questo p<strong>un</strong>to, è la<br />

fortissima analogia che è possibile instaurare tra questo<br />

mo<strong>del</strong>lo compositivo e la griglia ideale, di riferimento,<br />

che dovrebbe presiedere alla compilazione di <strong>un</strong>a<br />

sceneggiatura per il cinema. Anche in quel caso, infatti,<br />

ci si trova davanti a <strong>un</strong> testo divisibile in <strong>un</strong> numero<br />

identico di campioni f<strong>un</strong>zionali. Le intestazioni <strong>del</strong>le<br />

singole scene daranno <strong>un</strong>a descrizione quanto più<br />

possibile precisa e schematica <strong>del</strong>l’ambientazione e <strong>del</strong>le<br />

2 Vincenzo Mannino, Invito alla lettura di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>,<br />

Milano, Mursia, 1977. p. 128.<br />

3 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, La lingua scritta <strong>del</strong>la realtà, in Empirismo<br />

eretico, Milano, Garzanti, 2000, pp. 198-226 [226].<br />

52


condizioni di luce sulle quali si fonda l’episodio,<br />

successivamente si avrà <strong>un</strong>a descrizione quanto più<br />

dettagliata di quali siano i personaggi in scena e di<br />

quali gesti dovranno compiere <strong>un</strong>a volta sul set, infine,<br />

seguiranno i singoli dialoghi.<br />

In <strong>un</strong> capitolo successivo (la sceneggiatura come<br />

traduttore) mostrerò in che modo tal<strong>un</strong>i espedienti<br />

verbali, presenti nella sceneggiatura di Accattone,<br />

riescano a risolvere l’impossibilità di rin<strong>un</strong>ciare a <strong>un</strong>a<br />

dizione poetica <strong>del</strong>la realtà nel momento in cui <strong>Pasolini</strong><br />

sente di poter assumere <strong>un</strong>a, per così dire, ottica<br />

poetica sulla realtà. A questo livello, preferisco invece<br />

che si colga quale arricchimento possa derivare, alla mia<br />

analisi <strong>del</strong>la scrittura romanzesca, attuare l’esperimento<br />

di porre il “mo<strong>del</strong>lo sceneggiatura” alla base di quella<br />

suddivisione in tre momenti, che nel romanzo è stata<br />

dapprima ricavata in f<strong>un</strong>zione principalmente di campioni<br />

linguistici. Credo che, osservandole in questa cornice,<br />

certe caratteristiche fondanti lo stile <strong>del</strong>la narrazione<br />

pasoliniana saltino agli occhi con <strong>un</strong>’evidenza nuova.<br />

Da <strong>un</strong> qual<strong>un</strong>que manuale di sceneggiatura<br />

cinematografica è possibile desumere <strong>un</strong> certo numero di<br />

regole alle quali è necessario attenersi qualora si<br />

voglia che il proprio testo rientri, a tutti gli effetti,<br />

nei parametri pertinenti a questo particolare genere<br />

letterario. Per prima cosa «<strong>un</strong>a vera e propria regola di<br />

scrittura, e <strong>un</strong> tratto distintivo rispetto alla<br />

letteratura tout-court: la sceneggiatura si scrive al<br />

presente» 4 . Ora, sebbene i principali romanzi non siano,<br />

dal p<strong>un</strong>to di vista <strong>del</strong>l’uso dei tempi verbali, composti<br />

utilizzando strettamente il tempo presente, gli episodi<br />

narrati, se non in casi davvero sporadici, sono<br />

sottoposti a <strong>un</strong> trattamento che ne fa continuamente<br />

4<br />

Luca Aimeri, Manuale di sceneggiatura cinematografica, Torino,<br />

Utet, 1998, p. 54.<br />

53


apparire le vicende come se si stessero svolgendo sotto i<br />

nostri occhi. Praticamente, non esistono anticipazioni<br />

<strong>del</strong>la fabula, che l’autore affidi direttamente a <strong>un</strong><br />

narratore onnisciente. L’intreccio, in compenso, procede<br />

spesso con le caratteristiche di quello che, nella<br />

grammatica <strong>del</strong> cinema, viene com<strong>un</strong>emente definito<br />

“montaggio alternato” 5 . Una scrittura che si muove<br />

strettamente nel tempo presente è rintracciabile, invece,<br />

in <strong>un</strong>’ampia parte degli scritti, di varia natura,<br />

presenti nella raccolta Alì dagli occhi azzurri, dove il<br />

paragone con la sceneggiatura, sul piano dei tempi<br />

verbali, vale d<strong>un</strong>que già in prima istanza. 6<br />

La seconda prescrizione fatta da Aimeri ravvisa<br />

come, per forza di cose, «la sceneggiatura descrive solo<br />

ciò che è visibile/visualizzabile» 7 , quindi<br />

«l’informazione sulla condizione psicologica <strong>del</strong><br />

personaggio passa attraverso l’azione pura» 8 . Questo<br />

aspetto <strong>del</strong>l’attenzione ai corpi, e a quante informazioni<br />

siano contenute nel loro gesticolare, l’ho in parte già<br />

affrontato nel capitolo precedente, ma inquadrandolo<br />

soprattutto dentro l’impasto poetico de L’Appennino e<br />

dentro il codice <strong>del</strong>l’immagine in Accattone. Adesso, in<br />

<strong>un</strong> ambito più legato all’opera narrativa, vale la pena di<br />

sottolineare come questa attenzione da parte di <strong>Pasolini</strong><br />

verso la ricerca di <strong>un</strong>a mimesi precisa <strong>del</strong>la lingua<br />

<strong>del</strong>l’azione, più precisamente <strong>del</strong> linguaggio gestuale,<br />

fosse tanto importante quanto l’attenzione che egli<br />

riservava alla riproduzione filologica <strong>del</strong> dialogo<br />

5<br />

Basato sulla stretta contemporaneità di due o più azioni che<br />

vengono giustapposte.<br />

6<br />

Paradossalmente, all’interno di questa raccolta, alla sceneggiatura<br />

di Accattone, pubblicata la prima volta quattro anni prima per le<br />

edizioni FM di Roma, sono stati esp<strong>un</strong>ti e smussati, dallo stesso<br />

<strong>Pasolini</strong>, i connotati f<strong>un</strong>zionali e le indicazioni tecniche <strong>del</strong> testo.<br />

Tra le operazioni di riformulazione in direzione <strong>del</strong>lo standard <strong>del</strong><br />

racconto anche il tempo verbale al presente è stato sostituito da<br />

imperfetto e passato remoto.<br />

7<br />

Luca Aimeri, Manuale di sceneggiatura cinematografica, cit., p. 54<br />

8<br />

Ivi, p. 57.<br />

54


gergale e dialettale. 9 Cito, come <strong>un</strong> esempio tra i molti<br />

possibili, <strong>un</strong> breve passo da Ragazzi di vita, dove le<br />

reazioni provate da Amerigo alla vista di due guardie che<br />

sono sulle sue tracce, vengono sviluppate quasi<br />

<strong>un</strong>icamente attraverso la descrizione minuta dei suoi<br />

movimenti esteriori, aventi nella fattispecie <strong>un</strong>a doppia<br />

valenza, poiché per le guardie sono significanti di<br />

emicrania, mentre ai compari, e al lettore, ammiccano che<br />

è il caso di non farsi riconoscere:<br />

- Amerigo li guardò venire avanti, coi suoi occhi malati;<br />

si mise <strong>un</strong>a mano sulla faccia, e si strinse la fronte tra le<br />

dita. Era bianco come <strong>un</strong>o straccio e con la bocca faceva <strong>un</strong>a<br />

smorfia come se stesse per piangere. Quando le due ombre con la<br />

bandoliera a tracolla furono <strong>un</strong> po’ più in là, verso la<br />

borgata, si passo <strong>un</strong>’ultima volta la mano sulla fronte.<br />

«Ahioddio, quanto me dole,» disse, «è come <strong>un</strong> chiodo che me<br />

passa ‘a testa da parte a parte.» Ma già gli era passato. 10<br />

Il dettato di <strong>Pasolini</strong> trova senza dubbio in luoghi<br />

letterari come questo alc<strong>un</strong>e <strong>del</strong>le sue p<strong>un</strong>te più alte.<br />

Ovviamente egli non rin<strong>un</strong>cia, scrivendo romanzi, a<br />

sfruttare in modo aprioristico, per le descrizioni<br />

introspettive, certe possibilità che il codice scritto<br />

lascia di semplice accesso ma, per l’identico fine, egli<br />

preferisce di gran l<strong>un</strong>ga affidarsi alla descrizione dei<br />

modi in cui la realtà <strong>del</strong> vissuto com<strong>un</strong>ica più<br />

direttamente i suoi significati.<br />

9<br />

Nel libro-intervista a cura di Jean Doflut, Il sogno <strong>del</strong> centauro,<br />

<strong>Pasolini</strong> volle che venisse inserita <strong>un</strong>’originale prefazione<br />

<strong>del</strong>l’intervistato nella quale egli elenca e spiega i due motivi per i<br />

quali detestava essere intervistato. Nel secondo di questi p<strong>un</strong>ti egli<br />

spiega come l’intervista sia, semiologicamente, <strong>un</strong> sistema di segni<br />

misto: comprendente segni linguistici orali e i segni iconici <strong>del</strong>la<br />

presenza fisica e <strong>del</strong>la mimica». Impose, in definitiva, che a molte<br />

<strong>del</strong>le sue risposte fossero aggi<strong>un</strong>te, dentro parentesi quadre, brevi<br />

descrizioni di certe sue mimiche o di certe particolari inflessioni<br />

<strong>del</strong>la voce. Cfr. <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Il sogno <strong>del</strong> centauro, a cura<br />

di Jean Duflot, traduzione di Martine Schruoffeneger, Roma, Editori<br />

Ri<strong>un</strong>iti, 1983, pp. 15-17.<br />

10<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Ragazzi di vita, Barcellona, Bibliotex, 2002,<br />

p. 75.<br />

55


La terza e ultima, <strong>del</strong>le principali regole che<br />

Aimeri consiglia vivamente di seguire a chi si cimentasse<br />

nella realizzazione di <strong>un</strong>a sceneggiatura per il cinema,<br />

recita così: «Il materiale narrato <strong>del</strong> testo sceneggiato<br />

deve essere visivo e plastico, ma è bene che lo<br />

sceneggiatore lo tratti con esattezza al fine di<br />

connotare la visibilità di vividezza» 11 . Subito dopo, lo<br />

stesso Aimeri, cita le Lezioni Americane di Italo<br />

Calvino 12 come il testo dove ritrovare identici i suoi<br />

consigli. A me con lui, pertanto, non resta altro che<br />

valutare (con l’aggi<strong>un</strong>ta <strong>del</strong>le calviniane “leggerezza”,<br />

“molteplicità” e “rapidità”) come simili precetti valgano<br />

in identica misura per la buona riuscita di qual<strong>un</strong>que<br />

testo letterario, a prescindere dal genere di<br />

appartenenza e dal destinatario a cui si rivolge. Queste<br />

ultime caratteristiche pertanto, si possono far risalire<br />

senza troppi problemi, secondo modi a lui propri,<br />

indistintamente a tutti gli <strong>un</strong>iversi di genere<br />

attraversati dalla scrittura di <strong>Pasolini</strong>.<br />

Al termine <strong>del</strong>la citazione da Le belle bandiere,<br />

dalla quale questo capitolo è stato informato quasi<br />

completamente, <strong>Pasolini</strong> parla di <strong>un</strong>a difficoltà, di <strong>un</strong><br />

confine debolissimo oltre il quale rischia sempre di<br />

frantumarsi il <strong>del</strong>icato meccanismo che fonda il suo<br />

stile. Questo complesso limbo, dentro il quale <strong>Pasolini</strong><br />

ha scelto di far abitare la sua scrittura romanzesca, fu<br />

immediatamente colto dalla penna di Franco Fortini che,<br />

recensendo il romanzo, parlò di <strong>un</strong>a «’ideologia’ in<br />

bilico» 13 , sempre in procinto di scivolare da <strong>un</strong>o dei due<br />

versanti dai quali è animata: da <strong>un</strong> lato la consumazione<br />

filologica, linguistica, erudita, dall’altro l’intenzione<br />

11<br />

Luca Aimeri, Manuale di sceneggiatura cinematografica, cit., pp.<br />

58-59.<br />

12<br />

Cfr. Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo<br />

millennio, Mondadori, Milano, 1993.<br />

13<br />

Franco Fortini, «Ragazzi di vita», in «Com<strong>un</strong>ità», giugno 1955, ora<br />

in Attraverso <strong>Pasolini</strong>, Torino, Einaudi, 1993, pp. 9-13.<br />

56


di essere popolo, di assumerne lingua e vita. Un lavoro<br />

perciò, quello di <strong>Pasolini</strong>, sempre minacciato dal<br />

pericolo che quel difficile “amalgama”, come lui stesso<br />

l’ha definito, potesse dissolversi.<br />

La questione <strong>del</strong> confronto con la fragilità di certe<br />

soglie, è stata affrontata anche da Aimeri<br />

nell’introduzione al suo manuale, dove si definisce chi<br />

scrive per il cinema come <strong>un</strong> autore che, «sia a livello<br />

di ideazione e organizzazione <strong>del</strong> racconto sia a livello<br />

stilistico, ha dei limiti che non sono quelli <strong>del</strong>la<br />

letteratura ma quelli <strong>del</strong> cinema» 14 . <strong>Pasolini</strong>, come si è<br />

visto, si era posto concretamente questo problema <strong>del</strong>la<br />

soglia entro la quale è possibile spingersi, sotto vari<br />

aspetti, all’interno di <strong>un</strong> genere e, più in generale,<br />

nell’uso a scopi artistici e com<strong>un</strong>icativi di <strong>un</strong><br />

determinato codice. Più o meno lo stesso processo, come<br />

ho già detto, trova verifica anche nell’opera in versi,<br />

dove l’elemento che finiva per sgretolarsi sotto il peso<br />

stesso <strong>del</strong>la tensione al suo raggi<strong>un</strong>gimento, era quel<br />

tentativo di dare, <strong>del</strong>la realtà, <strong>un</strong>a dizione totale.<br />

Al di là <strong>del</strong>le giustificazioni biografiche che<br />

descrivono <strong>un</strong> <strong>Pasolini</strong> folgorato dal cinema in età<br />

giovanile e pre-letteraria, è più interessante ritrovare<br />

nelle sue dichiarazioni rilasciate a cavallo tra gli anni<br />

’50 e ’60 <strong>del</strong> secolo scorso, il momento nel quale inizia<br />

a intravedere nel cinema fatto di pellicola (poiché<br />

quello “cartaceo” lo praticava già da tempo) <strong>un</strong> mezzo più<br />

naturale, meno artificioso, per restare padrone <strong>del</strong>lo<br />

stile 15 da dietro l’obiettivo, mentre il mondo viene<br />

14 Ivi, p. 9. (Il corsivo è mio)<br />

15 La lingua cinematografica è ancora tutta da fare e questo affascina<br />

<strong>Pasolini</strong> al quale sembra di poter re-inventare il cinema. Questa<br />

impressione doveva risultare tangibile a chi si trovava sul set di<br />

Accattone se, come ha avuto occasione di ripetere in numerose<br />

occasioni il suo giovane aiuto regista d’allora: «<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> diceva:<br />

facciamo <strong>un</strong> traveling. Ed era veramente il primo traveling <strong>del</strong>la<br />

storia <strong>del</strong> cinema». Da <strong>un</strong> intervento di Bernardo Bertolucci alla<br />

trasmissione televisiva francese ‘Cinéastes de notre temps’, dedicata<br />

57


visto, vissuto e descritto, dagli stessi personaggi che<br />

popolano l’impasto lirico <strong>del</strong>la sua poesia e la lingua<br />

impura di romanzi e racconti.<br />

Proprio attorno all’uso dei personaggi, mi sembra<br />

che in <strong>Pasolini</strong> sia riscontrabile <strong>un</strong>’analogia tra scritto<br />

e filmato, sorprendente per efficacia e <strong>un</strong>icità. Egli,<br />

infatti, ha dichiarato in più occasioni di utilizzare per<br />

gli sp<strong>un</strong>ti narrativi, ma soprattutto per quelli<br />

linguistici dei suoi romanzi, il suo diretto rapporto,<br />

quotidiano, con l’umanità umile e fuori dalla storia che<br />

popolava, in quegli stessi anni, le borgate i cui nomi<br />

risuonano in tutti i suoi scritti: Trastevere, il<br />

Testaccio, Pietralata, il Pigneto. Se può apparire<br />

naturale, anche se ancora controcorrente, vederlo girare<br />

i suoi primi film interamente dentro la cornice scomparsa<br />

dei medesimi luoghi, la scelta di farlo utilizzando quasi<br />

esclusivamente attori non-professionisti appare meno<br />

scontata, e l’analogia, soprattutto con i romanzi, assume<br />

contorni più netti quando si constata come il<br />

protagonista di Accattone altri non sia se non Franco<br />

Citti, fratello di quel Sergio che ora può finalmente<br />

vantare <strong>un</strong>a certificata “collaborazione ai dialoghi”,<br />

ruolo che però, in sordina, gli competeva a fianco di<br />

<strong>Pasolini</strong> dall’epoca di Ragazzi di vita.<br />

Ma non è certo su queste analogie superficiali, che<br />

pure contano, che cercherò di trovare <strong>un</strong>a giustificazione<br />

alla volontà di <strong>Pasolini</strong> a esprimersi in <strong>un</strong> nuovo<br />

linguaggio. Del resto voglio sottolineare che <strong>un</strong> tale<br />

cambiamento, fosse pure avvenuto senza alc<strong>un</strong>a<br />

giustificazione biografica o f<strong>un</strong>zionale, riscuoterebbe<br />

com<strong>un</strong>que, per ciò che mi riguarda, <strong>un</strong> identico interesse<br />

analitico. In fondo poi, nemmeno <strong>Pasolini</strong> è stato mai<br />

a <strong>Pasolini</strong> e curata da J. A. Fieschi nel 1966, ora in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, Corpi e luoghi, a cura di Michele Mancini e Giuseppe<br />

Perrella, Roma, Theorema, 1982 (II), p. 63.<br />

58


veramente chiaro in questo senso 16 , o questo almeno è<br />

quello che si può dire in base alle dichiarazioni<br />

rilasciate a ridosso <strong>del</strong>la realizzazione <strong>del</strong> suo primo<br />

film. Solo intorno alla metà <strong>del</strong> decennio 1960-70, è<br />

possibile rintracciare qualche precisa (forse tanto<br />

convinta da dover essere presa con le dovute cautele)<br />

analisi da parte sua, <strong>del</strong> profondo riverbero <strong>del</strong> suo<br />

stile letterario all’interno dei suoi primi lavori come<br />

autore cinematografico. E, tra le varie affermazioni,<br />

questa mi sembra la più rilevante:<br />

Se io mi sono deciso a fare dei film è perché ho voluto<br />

farli esattamente come scrivo <strong>del</strong>le poesie, come scrivo i<br />

romanzi. Io dovevo per forza essere autore dei miei film, non<br />

potevo essere <strong>un</strong> coautore, o <strong>un</strong> regista nel senso professionale<br />

di colui che mette in scena qualcosa, dovevo essere autore, in<br />

qualsiasi momento, <strong>del</strong>la mia opera. 17<br />

Probabilmente, se è vero che in lui la “Verità” va<br />

cercata per paradossi, allora si può essere giustificati<br />

nell’atto che anche lui decise essere l’<strong>un</strong>ico adatto a<br />

riempire i propri set, ovvero: forzare la realtà<br />

naturalmente. E ancora, forse, ha ragione Raboni quando,<br />

in <strong>un</strong> felice paragrafo finale <strong>del</strong> già citato Razionalità<br />

e metafora, guidato dalla coscienza di ciò che egli fu,<br />

cioè insieme traduttore e poeta, afferma:<br />

<strong>Pasolini</strong> non si è mai abbandonato veramente alla<br />

specificità dei vari linguaggi che ha via via attraversati e<br />

16 In generale, nelle dichiarazioni rilasciate a ridosso <strong>del</strong>la<br />

realizzazione di Accattone, <strong>Pasolini</strong> si è sempre riferito a questo<br />

passaggio parlando di <strong>un</strong>a generica esigenza di adottare <strong>un</strong>a tecnica<br />

nuova, che rinnovando lo aiutasse a uscire dall’ossessivo attraverso<br />

<strong>un</strong>a sorta di autoterapia inconscia. Motivazioni più razionali gli<br />

avrebbero fatto scegliere il cinema per la sua capacità di farsi<br />

lingua sopranazionale.<br />

17 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Una visione <strong>del</strong> mondo epico-religiosa,<br />

registrazione di <strong>un</strong> dibattito con gli studenti <strong>del</strong> Centro<br />

Sperimentale di Cinematografia svoltosi a Roma il 9 marzo 1964,<br />

apparso in «Bianco e nero», (1964), 6, ora in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>,<br />

Tutte le opere. Per il cinema, Tomo II, a cura di Walter Siti e<br />

Franco Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, pp. 2844-2879 [2856-57].<br />

59


sperimentati, non si è mai lasciato possedere da essi; al<br />

contrario, li ha sempre usati, lucidamente, come strumenti,<br />

come armi. Ma chi non si lascia possedere non può nemmeno<br />

possedere; ed è per questo che la storia <strong>del</strong>l’espressività<br />

pasoliniana è <strong>un</strong>a storia di rinvii continui e potenzialmente<br />

senza fine, di continui spostamenti e traduzioni da <strong>un</strong><br />

linguaggio non posseduto a <strong>un</strong> altro linguaggio non posseduto. 18<br />

La possibile traducibilità finale, teorica, <strong>del</strong>le<br />

principali caratteristiche <strong>del</strong>la prosa pasoliniana che ho<br />

tracciato in questo capitolo, intitolato Il mondo sempre<br />

come visto dal personaggio, voglio rintracciarla in<br />

quella definizione di soggettiva libera indiretta, che è<br />

la risultante di <strong>un</strong>a geniale forzatura con la quale<br />

<strong>Pasolini</strong> ha trasposto per il cinema <strong>un</strong> discorso nato in<br />

ambito di teoria <strong>del</strong>la letteratura. Più precisamente,<br />

vorrei adottare lo sguardo gettato su questa pratica,<br />

fondante la concezione di cinema di poesia, da Gille<br />

Deleuze nel primo tomo <strong>del</strong>la sua fondamentale opera di<br />

estetica <strong>del</strong> cinema: L’immagine-movimento 19 . Il filosofo<br />

francese, infatti, riconosce alla definizione di<br />

soggettiva libera indiretta la capacità di cogliere <strong>un</strong>o<br />

dei modi principali <strong>del</strong> “pensare cinematografico”. Nel<br />

cinema sarebbe così possibile vedere all’opera il<br />

meccanismo di sdoppiamento <strong>del</strong> soggetto che si pensa<br />

pensare, ovvero il cogito cartesiano. La soggettiva<br />

libera indiretta, è alla base di quel cinema che, ne ho<br />

ricordato all’inizio le origini, ama far sentire la<br />

propria marca autoriale, dice Deleuze «“far sentire la<br />

cinepresa”» grazie a <strong>un</strong>a «coscienza-cinepresa divenuta<br />

autonoma». Deleuze chiarisce così:<br />

Un personaggio agisce sullo schermo ed è supposto vedere<br />

il mondo in <strong>un</strong> certo modo. Ma nello stesso tempo la cinepresa<br />

18 Giovanni Raboni, Razionalità e metafora, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>,<br />

«Una vita futura», cit., pp. 89-91 [91].<br />

19 Gilles Deleuze, L’immagine-movimento, Milano, Ubulibri, 2000.<br />

60


lo vede, e vede il suo mondo da <strong>un</strong> altro p<strong>un</strong>to di vista, mentre<br />

pensa, riflette e trasforma il p<strong>un</strong>to di vista <strong>del</strong> personaggio. 20<br />

Vedremo meglio in <strong>un</strong> prossimo capitolo quale sia la<br />

peculiarità <strong>del</strong>la coscienza-cinepresa pasoliniana, qui ho<br />

voluto limitarmi a sottolineare quanto il cinema, al pari<br />

<strong>del</strong>la letteratura, sia capace di organizzarsi in <strong>un</strong>a sua<br />

semantica specifica 21 che, nel caso di <strong>Pasolini</strong>, poteva<br />

rispondere meglio <strong>del</strong>la letteratura a certe esigenze<br />

stilistiche e espressive che egli aveva fino a quel<br />

momento perseguito quasi esclusivamente attraverso la<br />

scrittura. Spero inoltre di aver messo in evidenza in che<br />

modo, l<strong>un</strong>go il tragitto <strong>del</strong>la sua ricerca, quasi<br />

automaticamente, certe dinamiche di scambio tra i due<br />

<strong>un</strong>iversi espressivi si fossero saldamente stabilite.<br />

Perciò, come sottolinea Nicola Dusi, «L’intraducibilità<br />

si rivela, ancora <strong>un</strong>a volta, <strong>un</strong> problema da porre a<br />

livello <strong>del</strong>le forme <strong>del</strong> discorso (<strong>del</strong> contenuto e<br />

<strong>del</strong>l’espressione) senza arrestarsi all’inevitabile<br />

constatazione sulla diversità <strong>del</strong>le materie, <strong>del</strong>le<br />

sostanze e dei linguaggi, che risulta sterile ai fini<br />

<strong>del</strong>l’analisi comparata. Così intesa, invece,<br />

l’intraducibilità sarà in fondo sempre provvisoria,<br />

terreno di conquista per nuove forme dei linguaggi». 22<br />

20 Ivi, p. 94-95.<br />

21 Ha sottolineato con forza questo aspetto Jurij Lotman nel suo<br />

Semiotica <strong>del</strong> cinema, Catania, Prisma, 1979. Nel testo sono<br />

evidenziate le capacità <strong>del</strong> cinema di organizzarsi in combinazioni<br />

altamente dialettiche.<br />

22 Nicola Dusi, Il cinema come traduzione, Torino, Utet, 2003, p. 143.<br />

61


IL PRINCIPIO NEOREALISTA ROVESCIATO<br />

Renzo S. Crivelli, nell’introduzione alla sua<br />

esemplare ricognizione di alc<strong>un</strong>i emblematici paralleli<br />

tra le arti figurative e la letteratura 1 , si è soffermato<br />

su <strong>un</strong> passo <strong>del</strong>l’Ulysses di James Joyce particolarmente<br />

suggestivo al fine tentare <strong>un</strong>a definizione <strong>del</strong> rapporto<br />

che è intercorso, l<strong>un</strong>go il Novecento, tra questi due,<br />

all’apparenza distanti, <strong>un</strong>iversi espressivi:<br />

Ineluctable modality of the visibile at least that if no<br />

more, thought through my eyes. 2<br />

Passo che Crivelli commenta così:<br />

Qui Stephen, traendo lo sp<strong>un</strong>to dal De anima di Aristotele<br />

e dal mistico Jakob Boheme, mostra <strong>un</strong>a particolare attenzione<br />

per le “modalità” <strong>del</strong>la trasposizione <strong>del</strong> pensiero nella sfera<br />

<strong>del</strong>la visualità, <strong>un</strong> pensiero “formante” che sa dare “corpo”<br />

all’immagine 3 .<br />

Nel capitolo precedente ho cercato di evidenziare<br />

come l’idea di “soggettiva libera indiretta”, teorizzata<br />

compiutamente da <strong>Pasolini</strong> molti anni dopo la<br />

realizzazione di Accattone e senza riferimenti diretti al<br />

suo cinema, abbia com<strong>un</strong>que informato molte scelte<br />

espressive di quel film, nel quale l’autore era riuscito<br />

riversato alc<strong>un</strong>e istanze stilistiche alla quali, fino a<br />

quel momento, era riuscito a dare corpo solamente in<br />

forma letteraria. Con il passaggio al cinema, insomma, la<br />

sostanza <strong>del</strong> “pensare per immagini” <strong>pasoliniano</strong> non perde<br />

di spessore. L’autore di Ragazzi di vita e di Una vita<br />

violenta, che si ispirava a Joyce e a Gadda così come a<br />

Verga, aveva ormai fin troppo chiare nel 1961 quali<br />

1 Renzo S. Crivelli, Lo sguardo narrato, Roma, Carrocci, 2003.<br />

2 James Joyce, Ulysses, Harmondsworth, Penguin Books, 1969, p. 42.<br />

3 Renzo S. Crivelli, Lo sguardo narrato, cit., p. 15.<br />

62


autentiche nuove armi espressive potessero offrirgli i<br />

meccanismi di articolazione di quello che ho chiamato,<br />

con Deleuze, il “pensare cinematografico”. Tanto, che<br />

sarebbe sufficiente parafrasare le parole di Crivelli<br />

scritte a partire dallo sp<strong>un</strong>to joyciano, perché il<br />

sentiero, teorizzato da Deleuze sulla scorta <strong>del</strong> <strong>Pasolini</strong><br />

di Empirismo eretico, possa essere compiutamente compreso<br />

alla stregua di <strong>un</strong> flusso dove immagini “formanti” sanno<br />

dare “corpo” al pensiero.<br />

Tuttavia, evitando di parafrasare, cioè immettendo<br />

nuovamente all’interno <strong>del</strong>l’equazione i termini di<br />

paragone sui quali ha lavorato Crivelli, ovvero da <strong>un</strong><br />

lato la parola e dall’altro la pittura, è possibile<br />

gi<strong>un</strong>gere a <strong>un</strong>a definizione ancora più precisa <strong>del</strong>l’idea<br />

secondo la quale il principale valore aggi<strong>un</strong>to di<br />

Accattone sarebbe da attribuirsi alla sua dipendenza<br />

intertestuale con l’<strong>un</strong>iverso formante <strong>del</strong>la scrittura<br />

pasoliniana. Tale dipendenza, innestandosi nel film,<br />

genera <strong>del</strong>le scelte stilistiche che finiscono per<br />

marcarne le differenze rispetto ai diversi canoni<br />

espressivi con i quali, in quel preciso momento storico,<br />

il film poteva entrare in contatto. Il primo<br />

l<strong>un</strong>gometraggio di <strong>Pasolini</strong> nasce in <strong>un</strong> contesto culturale<br />

definito, sia pure in modi composti e variamente<br />

contraddittori, da tre p<strong>un</strong>ti di riferimento: il<br />

neorealismo italiano, il cinema classico hollywoodiano e<br />

la nouvelle vague francese. Il neorealismo si è concluso<br />

da poco e ha avuto inizio circa <strong>un</strong> ventennio prima<br />

rispetto alla data, il 1961, nella quale si affaccia al<br />

mondo il primo l<strong>un</strong>gometraggio di <strong>Pasolini</strong>, la cui<br />

ambientazione storica è <strong>del</strong> tutto contingente. Il cinema<br />

codificato l<strong>un</strong>go il secondo e terzo decennio <strong>del</strong> 1900 è<br />

diventato, soprattutto nella sua versione stat<strong>un</strong>itense,<br />

<strong>un</strong>’eredità com<strong>un</strong>e con la quale deve fare i conti ogni<br />

narrazione cinematografica, anche se, già a cavallo tra<br />

63


gli anni ’40 e ’50 <strong>del</strong> secolo scorso, aveva subito <strong>un</strong><br />

processo di corruzione interna ed era uscito<br />

ridimensionato dal confronto con l’estetica neorealista.<br />

La nouvelle vague è caratterizzata da <strong>un</strong> fenomeno<br />

intellettuale e metalinguistico sconosciuto al cinema<br />

italiano e, mentre <strong>Pasolini</strong> sta lavorando al suo primo<br />

film, hanno visto la luce solamente i suoi, tuttavia<br />

folgoranti, primissimi esperimenti.<br />

Dal neorealismo <strong>Pasolini</strong> sembra recuperare<br />

l’elementarietà <strong>del</strong>la struttura narrativa, fondata<br />

essenzialmente su <strong>un</strong> solo personaggio, accanto al quale<br />

le altre figure sembrano fare da sfondo, oppure hanno il<br />

ruolo di rilanciare o di commentare l’azione <strong>del</strong><br />

protagonista (<strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione simile a quella <strong>del</strong> coro<br />

greco). Ma <strong>Pasolini</strong> non finge il distacco fotografico di<br />

registi come Rossellini o quello pre-bozzettistico di<br />

altri, come De Sica o Zavattini, egli interviene<br />

sull’immagine accentuandone i contrasti e ricorrendo a<br />

<strong>un</strong>’illuminazione palesemente innaturale, che agisce sul<br />

protagonista come <strong>un</strong> segnale di predestinazione diffusa 4 ,<br />

scelta, questa, che per certi versi avvicina<br />

Vittorio/Accattone a certi personaggi come il Michel<br />

Poiccard <strong>del</strong>l’esordio godardiano A bout de souffle, <strong>del</strong><br />

quale <strong>Pasolini</strong> fu attento spettatore. Accattone poi si<br />

distacca dal cinema classico per la scelta di costruire<br />

il film attraverso <strong>un</strong>a suddivisione per blocchi-episodi<br />

di tipo paratattico, <strong>un</strong> sistema drammaturgico sul genere<br />

<strong>del</strong> viaggio, ravvisabile nella costruzione dei migliori<br />

4 Cfr. Giorgio Cremonini, Le strutture narrative nel primo e ultimo<br />

<strong>Pasolini</strong>, in Incontri pasoliniani, a cura di Alfonso Canziani, Roma,<br />

Bulzoni, 1996, pp. 53-69 [59]. Si veda a tal proposito anche<br />

l’opinione di Carlo Lizzani: «Fin dal 1961-63 film come Accattone o<br />

Un uomo da bruciare, il primo Bertolucci, cominciano a dare colpi di<br />

piccone mortali al naturalismo e al bozzettismo (grandi pesi al piede<br />

<strong>del</strong>lo stesso neorealismo storico)» cfr. Carlo Lizzani, Storia <strong>del</strong><br />

cinema italiano 1895-1979, Roma, Editori Ri<strong>un</strong>iti, 1980, pp. 276-277.<br />

64


esempi di cinema neorealista 5 , e che accompagna anche gli<br />

esordi <strong>del</strong>la nouvelle vague francese 6 .<br />

La pellicola, se situata sincronicamente sull’asse<br />

<strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> cinema, appare, agli osservatori più<br />

accorti <strong>un</strong> esperimento interessante e di difficile<br />

collocazione, ai molti detrattori come l’ennesima<br />

versione <strong>del</strong>l’<strong>un</strong>ica spinta estetica rilevante <strong>del</strong><br />

<strong>Pasolini</strong> romanziere. Essi, tuttavia, finiscono<br />

soprattutto per soffermarsi a condannare la regressione<br />

<strong>del</strong> protagonista verso il mondo irredento di Ragazzi di<br />

Vita a discapito di <strong>un</strong>a soluzione tendente a spostare<br />

l’accento verso la parabola progressiva che <strong>Pasolini</strong><br />

sembrava aver iniziato a instillare, pur drammaticamente,<br />

nelle scelte esistenziali <strong>del</strong> Tommasino di Una vita<br />

violenta. 7<br />

La pellicola viene presentata fuori concorso il 31<br />

Agosto alla Mostra Internazionale di Arte Cinematografica<br />

di Venezia <strong>del</strong> 1961, edizione al termine <strong>del</strong>la quale il<br />

Leone d’oro per il miglior film viene assegnato al<br />

regista francese Alain Resnais per il suo L'année<br />

dernière à Marienbad. L’opera, <strong>un</strong>a sorta di grande gioco<br />

metalinguistico ispirato a <strong>un</strong> romanzo di Robbe Grillet,<br />

tende verso <strong>un</strong> orizzonte che doveva apparire lontanissimo<br />

5<br />

Si pensi a Ladri di biciclette (De Sica), Germania anno zero<br />

(Rossellini).<br />

6<br />

Si pensi al già citato A bout de souffle come a Nuit et brouillard<br />

di Alain Resnais o al celeberrimo Les Quatre cents coups di François<br />

Truffaut.<br />

7<br />

Si veda al proposito il giudizio di Micciché: «Accattone non è <strong>un</strong><br />

film che contiene o implica <strong>un</strong>a ideologia politica sbagliata o<br />

regressiva, per la semplice ragione che, al di là <strong>del</strong>le proprie<br />

stesse pretese, non si offre in alc<strong>un</strong> modo come rappresentazione<br />

ideologica <strong>del</strong>la condizione proletaria, ma soltanto come applicazione<br />

di <strong>un</strong> mondo sottoproletario (dove però - <strong>un</strong> magnaccia <strong>del</strong> Pigneto [è]<br />

visto come <strong>un</strong>’architettura romanica o <strong>un</strong> personaggio masaccesco)<br />

<strong>del</strong>l’“ideologia <strong>del</strong>la morte” che tormenta ed esalta l’intellettuale<br />

borghese <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>» cfr. Lino Micciché, <strong>Pasolini</strong> nelle<br />

città <strong>del</strong> cinema, cit., p. 40.<br />

65


da quello che <strong>Pasolini</strong> sembrava perseguire nel suo<br />

Accattone. 8<br />

Walter Siti, nella pagina iniziale di <strong>un</strong> suo<br />

importante articolo che ho più volte citato 9 , ha prodotto<br />

<strong>un</strong> elenco di alc<strong>un</strong>e costanti stilistiche presenti nel<br />

cinema di <strong>Pasolini</strong>; elenco che, se pure per Siti sia da<br />

riferirsi all’opera <strong>del</strong> cineasta nel suo complesso,<br />

lascia emergere bene certi tratti esteriori sui quali è<br />

costruito Accattone, e la cui definizione non è ancora<br />

emersa nel suo confronto generale con le diverse<br />

cinematografie:<br />

Uso insistito <strong>del</strong> campo e controcampo, assenza di<br />

personaggi di quinta o di personaggi che entrano e escono di<br />

campo, fissità e frontalità <strong>del</strong>le inquadrature, mancanza quasi<br />

assoluta di piani sequenza, lentezza <strong>del</strong>le panoramiche: insomma<br />

<strong>un</strong>’esibita parsimonia dei movimenti di macchina, <strong>un</strong>a generale e<br />

voluta semplicità e primitività sintattica. 10<br />

In Italia il cineasta <strong>del</strong> momento è Federico<br />

Fellini, che <strong>Pasolini</strong> conosce per aver collaborato alla<br />

stesura dei dialoghi <strong>del</strong> suo film Le notti di Cabiria. A<br />

proposito <strong>del</strong> suo film consacrazione, La dolce vita,<br />

<strong>Pasolini</strong> pubblica sulla rivista «Filmcritica» <strong>un</strong> articolo<br />

intitolato L’irrazionalismo cattolico di Fellini 11 , nel<br />

8 Basti dire che i dialoghi <strong>del</strong> film riflettono la complessità<br />

narrativa <strong>del</strong> capo fila <strong>del</strong> Nouveau Roman, Alain Robbe-Grillet,<br />

trasposta plasticamente in <strong>un</strong> labirinto di false piste, di varianti,<br />

di cadute e di riprese. Le immagini <strong>del</strong> film sono il risultato di <strong>un</strong>a<br />

fotografia sofisticata; supervisionate dal maestro francese Sacha<br />

Vierny, sembrano riferirsi continuamente a <strong>un</strong>a ricerca di precisione<br />

di tipo architetturale. La storia, ambientata tra <strong>un</strong> sontuoso albergo<br />

e il giardino all’italiana che lo circonda, è quella di <strong>un</strong><br />

corteggiamento tanto circolare e ossessivo da poter essere letto come<br />

<strong>un</strong> rinvio simbolico e metatestuale all’azione stessa <strong>del</strong>l’Autore<br />

sulla materia trattata. Così, su <strong>un</strong> piano squisitamente formale e<br />

teorico nel film di Robbe-Grillet il “tempo mentale” sembra essere il<br />

solo “reale”.<br />

9 Walter Siti, Il sole vero e il sole sulla pellicola, o<br />

sull’espressionismo di <strong>Pasolini</strong>, nella «Rivista di Letteratura<br />

italiana», VII (1989), 1, pp. 97-131.<br />

10 Ivi, p. 97.<br />

11 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, L’irrazionalismo cattolico di Fellini,<br />

«Filmcritica», Roma, XI (1960), 94, pp. 80-84.<br />

66


quale attribuisce al cinema <strong>del</strong>l’autore riminese<br />

caratteristiche opposte a quelle che di lì a poco<br />

avrebbero informato lo stile di Accattone e che<br />

rientrano, in buona parte, tra quelle ricordate da Siti.<br />

Allo studioso, concluso il suo elenco, riesce abbastanza<br />

facile stabilire <strong>un</strong>a parziale parentela tra l’incedere<br />

divagante <strong>del</strong> cinema di <strong>Pasolini</strong> e quella nouvelle vague<br />

francese <strong>del</strong>la quale potremmo dire che era <strong>un</strong> prodotto,<br />

seppure atipico, anche L'année dernière à Marienbad. Egli<br />

lo fa in questi termini:<br />

Il cinema di <strong>Pasolini</strong> nasce in polemica esplicita con<br />

quanto di meglio si era fatto in Italia fino a quel momento: in<br />

polemica con il naturalismo neorealista (caratterizzato dalla<br />

dominanza dei piani-sequenza) ma anche dal virtuosismo <strong>del</strong> più<br />

rappresentativo degli autori post-neorealisti. Le parentele –<br />

che non escludono differenze significative […] – sono semmai<br />

con la nouvelle vague francese e con il ‘nuovo cinema’ che in<br />

quel giro di anni veniva presentato a Pesaro. 12<br />

E’ da Parigi, <strong>del</strong> resto, che in quel momento vengono<br />

le spinte più innovative di tutta la cinematografia<br />

mondiale, e se anche Delueze potrà, in seguito,<br />

avvicinare il nome di <strong>Pasolini</strong> a quelli di Rohmer e di<br />

Godard 13 , <strong>un</strong>a simile operazione doveva apparire, nella<br />

12 Walter Siti, Il sole vero e il sole sulla pellicola, cit., p. 97.<br />

13 Precisamente in questo p<strong>un</strong>to: «Così, secondo <strong>un</strong>’osservazione<br />

sensata di <strong>Pasolini</strong>, Godard mette in scena personaggi certo ammalati,<br />

“gravemente colpiti”, ma che non sono in cura, non hanno perduto<br />

niente dei loro gradi materiali di libertà, sono pieni di vita, e<br />

rappresentano piuttosto <strong>un</strong> nuovo tipo antropologico. A questa lista<br />

di esempi <strong>Pasolini</strong> avrebbe potuto aggi<strong>un</strong>gere il proprio e quello di<br />

Rohmer. Poiché ciò che caratterizza il cinema di <strong>Pasolini</strong> è <strong>un</strong>a<br />

coscienza poetica, che non sarebbe a dir il vero né estetica né<br />

tecnicistica, ma piuttosto mistica o “sacra”. Il che permette a<br />

<strong>Pasolini</strong> di condurre l’immagine-percezione, o la nevrosi dei suoi<br />

personaggi, a <strong>un</strong> livello di bassezza e di bestialità, nei contenuti<br />

più abbietti, pur riflettendoli in <strong>un</strong>a pura coscienza poetica animata<br />

dall’elemento mitico o sacralizzante. E’ questa permutazione <strong>del</strong><br />

triviale e <strong>del</strong> nobile, questa com<strong>un</strong>icazione <strong>del</strong>l’escrementizio e <strong>del</strong><br />

bello, questa proiezione <strong>del</strong> mito, che <strong>Pasolini</strong> diagnosticava già nel<br />

discorso libero indiretto come forma essenziale <strong>del</strong>la letteratura»<br />

cfr. Gilles Deleuze, L’immagine-movimento, Milano, Ubulibri, 2000, p.<br />

95.<br />

67


contingenza storica <strong>del</strong>l’aut<strong>un</strong>no <strong>del</strong> ‘61, tutt’altro che<br />

scontata.<br />

Fino a questo p<strong>un</strong>to sono arrivato alla parziale<br />

conclusione secondo la quale, l’operazione che <strong>Pasolini</strong><br />

avrebbe compiuto da dietro la macchina da presa, sarebbe<br />

da legare alla volontà di riscatto <strong>del</strong>la schiacciante<br />

bellezza che egli vedeva nella realtà e che, da sempre,<br />

aveva cercato di <strong>tradurre</strong> in parole, fino a raggi<strong>un</strong>gere<br />

il precario equilibrio <strong>del</strong>l’impasto espressionistico dei<br />

suoi romanzi e l’impressionate forza evocativa <strong>del</strong>le sue<br />

sineciòsi in ambito poetico. Equilibrio precario perché,<br />

come ho già evidenziato, era fondato su <strong>un</strong>o stile che,<br />

creato per raggi<strong>un</strong>gere quell’ambiziosa meta, conteneva<br />

già dentro di sé tutti i sintomi che la davano, per<br />

sempre, come perduta. Il lavoro <strong>del</strong>la cinepresa<br />

pasoliniana, pertanto, va visto come l’estremo tentativo,<br />

non di riprendere <strong>un</strong> reale visto come sacro di per sé, ma<br />

di “risacralizzare” attraverso <strong>un</strong>a mirata trasformazione<br />

<strong>del</strong>lo sguardo 14 , quello che adesso altro non è se non<br />

brutale materiale profilmico, <strong>del</strong> quale <strong>Pasolini</strong> continua<br />

a parlare come se si trattasse di <strong>un</strong> qualche elemento<br />

grammaticale da scegliere tra gli altri. 15<br />

Per riuscire nell’intento, la prima ma anche la più<br />

allenata strada da seguire, dovette sembrargli quella di<br />

<strong>tradurre</strong> nel suo stile cinematografico i modi di<br />

14 Egli successivamente ne prenderà piena coscienza, tanto che,<br />

nell’aut<strong>un</strong>no <strong>del</strong> 1965, con sguardo retroattivo sulla propria prima<br />

opera ha potuto confessare: «Una carrellata può essere l<strong>un</strong>ga da<br />

venti-trenta metri a pochi decimetri, ecc. Niente, in confronto ai<br />

segni <strong>del</strong>la lingua, <strong>del</strong>la musica o <strong>del</strong>la pittura. Con Accattone,<br />

inesperto di cinema, io avevo semplificato al massimo tale oggettiva<br />

semplicità. E il risultato mi pareva essere - e in parte lo era –<br />

quello <strong>del</strong>la sacralità: <strong>un</strong>a sacralità tecnica che poi investiva nel<br />

profondo paesaggi e personaggi. Non c’è niente di più tecnicamente<br />

sacro che <strong>un</strong>a lenta panoramica. Specie quando questa sia usata da <strong>un</strong><br />

dilettante e usata per la prima volta» cfr. <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>,<br />

Confessioni tecniche, in Uccellaci e uccellini, Milano, Garzanti,<br />

1966, ora in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte le opere. Per il cinema, Tomo<br />

II, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, Milano, Mondadori, 2001,<br />

pp. 2768-2781 [2768].<br />

15 Cfr. <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, App<strong>un</strong>ti dopo Accattone, in Accattone,<br />

Roma, FM, 1961, pp. 17-19.<br />

68


costruzione <strong>del</strong> senso con i quali, fino a quel momento,<br />

aveva dato impulso alla sua macchina letteraria. Scelta<br />

che non avrebbe com<strong>un</strong>que evitato, soprattutto nel<br />

confronto con la sofisticata estetica di film come quello<br />

di Resnais, che Accattone suscitasse, in più di qualc<strong>un</strong>o,<br />

almeno a <strong>un</strong>a prima visione, l’esigenza di rispolverare<br />

l’aggettivo “neorealista”. 16 Si trattava, in quel momento,<br />

<strong>del</strong>l’ombrello critico sotto il quale sembrava più<br />

appropriato poter racchiudere l’impressione esterna di <strong>un</strong><br />

film che, con il neorealismo, condivideva qualcosa in più<br />

di qualche fatto esteriore. Accattone, infatti, oltre ad<br />

essere ambientato nella capitale, si avvaleva <strong>del</strong>la<br />

presenza di attori non-professionisti ed era girato<br />

interamente “per la strada”, come si usa dire, ovvero<br />

senza l’ausilio di teatri di posa e di alc<strong>un</strong> genere di<br />

effetto scenico di tipo artificiale. Dalla cornice<br />

teorica di quell’aggettivo restavano però escluse <strong>un</strong>a<br />

serie di componenti per nulla secondarie a definire<br />

l’indirizzo di fondo <strong>del</strong> primo l<strong>un</strong>gometraggio<br />

<strong>pasoliniano</strong>. Ho già evidenziato, nella ricognizione<br />

iniziale, alc<strong>un</strong>e caratteristiche alla luce <strong>del</strong>le quali<br />

Accattone non sarebbe riconducibile al filone<br />

neorealista; aggi<strong>un</strong>go adesso come <strong>Pasolini</strong> avesse trovato<br />

i suoi referenti dichiarati in Chaplin, Dreyer e<br />

Mizoguchi, e d<strong>un</strong>que come il lavoro alla moviola, la fase<br />

<strong>del</strong> montaggio, venisse ad assumere <strong>un</strong> valore<br />

16 Su questo p<strong>un</strong>to A<strong>del</strong>io Ferrero, dopo aver avvicinato Accattone, con<br />

molta cautela e numerosi distinguo, a <strong>un</strong>a certa giovane poetica<br />

godardiana, ha osservato che: «L’altra “tradizione” è il rapporto con<br />

il neorealismo, esperienza storicamente consumata, per l’autore, ma<br />

non tanto da non riproporsi come memoria o suggestione o nostalgia.<br />

Nel primo film questa continuità, depurata di qualsiasi indulgenza<br />

aneddotica e psicologica, era evidentissima: “lessico” neorealistico<br />

e “sintassi” – per riprendere <strong>un</strong>a distinzione citata – liricomemoriale,<br />

come se paesaggi e figure e volti “neorealistici”, ma<br />

sempre riletti con <strong>un</strong> operazione stilistica forte, venissero<br />

ritrovati per via di allucinazione, di evocazione onirica e f<strong>un</strong>erea»<br />

cfr. A<strong>del</strong>io Ferrero, Il cinema di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Venezia,<br />

Marsilio, 1977, pp. 38-9.<br />

69


determinante, valore che il neorealismo, al contrario, si<br />

sforzava di rimuovere.<br />

Egli confessò, è vero, che quando si trovava ancora<br />

nel profondo nord-est italiano, le <strong>un</strong>iche fonti<br />

d’informazione capaci di sfondare il muro di<br />

provincialismo e di portare <strong>un</strong>o sguardo d’insieme<br />

sull’Italia <strong>del</strong>la guerra e <strong>del</strong>l’immediato dopoguerra,<br />

furono proprio i film neorealisti. Da ciò tuttavia, si<br />

può cogliere il tenore di <strong>un</strong> giudizio che non andava al<br />

di là <strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong>la grande importanza storica<br />

e culturale di quell’operazione. Per <strong>Pasolini</strong> non è<br />

possibile dare <strong>un</strong> giudizio sulla realtà semplicemente<br />

mostrandola nel suo nudo svolgersi sotto i nostri occhi.<br />

Il giudizio <strong>del</strong>l’autore su <strong>un</strong>a porzione di storia, come<br />

su <strong>un</strong>a porzione di mondo, passa sempre attraverso la<br />

scelta di <strong>un</strong>o stile.<br />

Certo, dal p<strong>un</strong>to di vista <strong>del</strong>l’organizzazione<br />

generale <strong>del</strong> racconto, Pasolni sembra scegliere la<br />

trasparenza neorealista rispetto alla reticenza <strong>del</strong><br />

canone classico, ovvero non c’è il gusto per l’ellissi o<br />

per l’implicazione, si tende piuttosto all’en<strong>un</strong>ciazione<br />

esplicita. Il regista, tuttavia, non esita in seguito a<br />

caricarla di senso, sfondando spesso nella ridondanza,<br />

per esempio grazie all’uso ironico <strong>del</strong>la colonna sonora<br />

(ironia intesa nel senso più lato, quasi semplicemente<br />

strutturale <strong>del</strong> termine: enfasi e sottrazione insieme). 17<br />

Se avvicinare il film all’orizzonte neorealista<br />

sembra chiudere molte strade interpretative, anche la<br />

tentazione di avvicinarne l’orizzonte di senso alla<br />

nascente corrente <strong>del</strong> cinema diretto o cinèma verité che<br />

dir si voglia (magari per l’uso accentuato <strong>del</strong> dialetto e<br />

per certe insistenze sul contorno abitativo e<br />

comportamentale dei personaggi) finisce per non dare<br />

17 Cfr. Giorgio Cremonini, Le strutture narrative nel primo e ultimo<br />

<strong>Pasolini</strong>, cit., p. 64. Ho sviluppato <strong>un</strong>’analisi <strong>del</strong>la colonna sonora<br />

di Accattone nel capitolo che segue.<br />

70


isposta di <strong>un</strong>a componente ineliminabile nella risultante<br />

filmica di Accattone: mi riferisco al suo dipendere da<br />

<strong>un</strong>a struttura letteraria di base. Laddove, al contrario,<br />

proprio il venir meno di questa componente, sembra essere<br />

<strong>un</strong> dato essenziale nel tentativo di definizione <strong>del</strong><br />

cinema diretto fatta da Edoardo Br<strong>un</strong>o:<br />

La frantumazione <strong>del</strong>la sceneggiatura come stato d’animo<br />

letterario precinematografico, il suo superamento da parte d’<strong>un</strong><br />

cinema moderno, libero di muoversi appresso all’accadimento<br />

razionalmente ricercato, è l’elemento più significativo che<br />

caratterizza questo periodo. 18<br />

Nel cinema <strong>del</strong>l’autore di cui mi sto occupando, e<br />

con più forza nel suo film d’esordio, è invece fin troppo<br />

chiaro come il dato letterario agisca sempre da<br />

ineliminabile p<strong>un</strong>to di riferimento, la sua influenza sul<br />

film finito andando molto al di là <strong>del</strong>la pur<br />

significativa nozione espressa da Br<strong>un</strong>o, cioè spingere<br />

sul film come <strong>un</strong>o “stato d’animo”. Ma al peculiare ruolo<br />

informante e traduttivo operato dalla sceneggiatura<br />

tecnica <strong>del</strong> film è dedicato più avanti <strong>un</strong> capitolo<br />

apposito. Ora, piuttosto, voglio ridefinire sotto quali<br />

aspetti, in Accattone, l’eredità neorealista, che si<br />

palesa a <strong>un</strong> livello esteriore, sia stata da <strong>Pasolini</strong> <strong>del</strong><br />

tutto metabolizzata e quindi superata.<br />

È venuto il momento di affrontare il fondamentale<br />

legame che Ragazzi di vita e Accattone intrattengono,<br />

rispettivamente, con <strong>un</strong> rinvio intertestuale esterno al<br />

continuo gioco di rimandi tra le opere pasoliniane, anche<br />

se si tratta di <strong>un</strong> filtro ineludibile al fine di<br />

comprendere gran parte dei suoi lavori. Il legame,<br />

fortemente esplicitato da <strong>Pasolini</strong>, è quello con la<br />

18 Edoardo Br<strong>un</strong>o, Prospettive <strong>del</strong> cinema diretto in relazione al<br />

linguaggio filmico, in Teorie e prassi <strong>del</strong> cinema in Italia 1950-<br />

1970, Milano, Mazzotta, 1972, pp. 111-115 [112-113].<br />

71


Commedia dantesca. 19 Proprio <strong>un</strong>a citazione dal quinto<br />

canto <strong>del</strong> Purgatorio compare immediatamente dopo i titoli<br />

di testa in Accattone:<br />

... l’angel di Dio mi prese e quel d’inferno<br />

gridava: “O tu <strong>del</strong> Ciel, perché mi privi?<br />

Tu te ne porti di costui l’eterno<br />

per <strong>un</strong>a lacrimetta ch’el mi toglie ... 20<br />

La citazione dantesca è posta, app<strong>un</strong>to, in esergo,<br />

prima <strong>del</strong> film a mostrarsi da subito come <strong>un</strong>a possibile<br />

chiave di lettura. L’opera di Dante, mo<strong>del</strong>lo alto per<br />

eccellenza, ha avuto <strong>un</strong>’incredibile fort<strong>un</strong>a anche tra le<br />

classi meno colte e <strong>Pasolini</strong>, in Accattone, ha<br />

approfittato spesso <strong>del</strong>l’esistenza di questo dato per<br />

mettere in bocca ai propri personaggi alc<strong>un</strong>i passi <strong>del</strong><br />

poema. Identico il caso di Ragazzi di vita, dove il sesto<br />

capitolo, centrale nella vicenda, intitolato Il bagno<br />

sull’Aniene, attraverso l’epigrafe iniziale viene<br />

caricato di <strong>un</strong>a forte analogia tra la situazione dei<br />

ragazzi protagonisti e quella <strong>del</strong>la banda di diavoli alla<br />

quale Dante fa riferimento nel XXI canto <strong>del</strong>l’Inferno 21 .<br />

19 Ho già ricordato in questo capitolo come molti critici abbiano<br />

cercato di stabilire, tra il primo Ragazzi di vita e Accattone, <strong>un</strong><br />

legame che, scalzando l’evoluzione ideologica presente nella<br />

costruzione narrativa di Una vita violenta, avrebbe frustrato le<br />

speranze di vedere questa maturazione sottoposta a <strong>un</strong> accrescimento<br />

nell’esordio cinematografico. Ho già lasciato esprimere alle parole<br />

di Micciché (cfr. nota 7 di questo capitolo) per quali versi <strong>un</strong>a<br />

comparazione impostata in questi termini debba essere considerata<br />

fuori luogo. Tuttavia, se proprio si volesse istituire <strong>un</strong> legame più<br />

diretto tra il primo film e il primo romanzo <strong>del</strong>le borgate, questo<br />

andrebbe forse cercato proprio nella marcata presenza in entrambi di<br />

<strong>un</strong>a chiave di lettura impostata sulla metafora dantesca. Ma, ripeto,<br />

per tutto <strong>Pasolini</strong>, poesie comprese, si dovrebbe sempre cercare di<br />

mettere in f<strong>un</strong>zione questo filtro. Uno dei primi capitoli di Una vita<br />

violenta, per fare solo <strong>un</strong> esempio, si intitola Viaggio nella città<br />

di Dio.<br />

20 Sono precisamente i versi dal 104 al 107 <strong>del</strong> V canto <strong>del</strong><br />

Purgatorio, qui citati come compaiono nella titolazione operata sulla<br />

pellicola.<br />

21 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Ragazzi di vita,<br />

Barcellona, Bibliotex, 2002, p. 135. I versi dalla Divina Commedia<br />

sono quelli dal 118 al 123 <strong>del</strong> XXI canto <strong>del</strong>l’Inferno.<br />

72


<strong>Pasolini</strong>, in questo modo, ha istituito <strong>un</strong>a suggestiva<br />

comparazione tra il risultato ottenuto da Dante, in<br />

quello che è forse il momento di maggior presa <strong>del</strong>l’estro<br />

scherzoso e <strong>del</strong> gesto triviale all’interno <strong>del</strong>la<br />

Commedia, e il capitolo <strong>del</strong> suo romanzo nel quale,<br />

identiche, si mescolano queste componenti. Esemplare mi<br />

sembra la lettura che di questo dato è stata fornita da<br />

Sandro Bernardi, il quale si sofferma soprattutto sulla<br />

citazione da Dante presente nel secondo l<strong>un</strong>gometraggio di<br />

<strong>Pasolini</strong>, Mamma Roma, evidenziando come in quest’opera<br />

«l’esergo [sia] per così dire scivolato dentro il film,<br />

per <strong>un</strong> salto di maturazione <strong>del</strong>la scrittura<br />

pasoliniana» 22 . Tuttavia, in profondità, il rinvio a Dante<br />

resta <strong>del</strong>la medesima natura, ovvero indica «il mo<strong>del</strong>lo<br />

generativo: è come <strong>un</strong>a lente letteraria attraverso la<br />

quale il poeta guarda e ci fa guardare alla realtà» 23 .<br />

<strong>Pasolini</strong> non desidera assolutamente desacralizzare il<br />

testo dantesco, piuttosto lo usa come <strong>un</strong> mo<strong>del</strong>lo dentro<br />

il quale è possibile ritrovare il riverbero <strong>del</strong> modo in<br />

cui, lui stesso, ambisce ad operare sulla materia<br />

trattata: al confine tra alto e basso, tra reietto e<br />

sublime. Pur tuttavia, anche il suo rapporto con la<br />

Divina Commedia si gioca su <strong>un</strong> terreno dove l’uso <strong>del</strong>le<br />

fonti è particolarmente libero da prescrizioni e al<br />

22 «In Mamma Roma la citazione dantesca è più elaborata,<br />

apparentemente diegetizzata, assorbita dentro il racconto, ma si<br />

tratta solo di <strong>un</strong> mascheramento, perché di fatto essa è sempre<br />

rivolta a noi spettatori, ancorché non si trovi più in esergo, fuori<br />

dal testo». Sia nel testo che in nota le citazioni sono tratte da:<br />

Sandro Bernardi, Ibridazione e citazione nel cinema: <strong>Pasolini</strong> e<br />

Godard, in Cinema/Pittura. Dinamiche di scambio, a cura di Leonardo<br />

De Franceschi, Torino, Lindau, 2003, pp. 133-146 [138]. L’autore con<br />

“maturazione <strong>del</strong>la scrittura” si riferisce all’aumentata coscienza in<br />

<strong>Pasolini</strong> <strong>del</strong>la possibilità di costruzione metalinguistica interna al<br />

film. Fatto che, personalmente, ritengo costituisca <strong>un</strong>a grossa<br />

frattura tra i due primi film di quella trilogia che Micciché ha<br />

stabilito doversi considerare come il “cinema <strong>del</strong>la borgata” (cfr.<br />

Lino Micciché nel suo libro <strong>Pasolini</strong> nella città <strong>del</strong> cinema, Venezia,<br />

Marsilio, 1999, p. 32).<br />

23 Sandro Bernardi, Ibridazione e citazione nel cinema: <strong>Pasolini</strong> e<br />

Godard, in Cinema/Pittura. Dinamiche di scambio, a cura di Leonardo<br />

De Franceschi, Torino, Lindau, 2003, pp. 133-146 [137].<br />

73


limite <strong>del</strong>lo stravolgimento, come nel caso <strong>del</strong>l’opera La<br />

Mortaccia, avviata durante la post-produzione di<br />

Accattone e descritta da <strong>Pasolini</strong> in questi termini:<br />

Sto scrivendo <strong>un</strong> libro, che non so se chiamare romanzo,<br />

che racconta la discesa all’Inferno secondo la falsariga<br />

dantesca (<strong>un</strong> Dante letto sui fumetti) di <strong>un</strong>a prostituta. 24<br />

Ho già ricordato quale importante ruolo sia da<br />

attribuire, nella definizione di alc<strong>un</strong>i nodi importanti<br />

<strong>del</strong> pensiero <strong>pasoliniano</strong>, al confronto che egli ha<br />

stabilito tra la sua epoca e quella <strong>del</strong>la Grecia classica<br />

e <strong>del</strong> mito. L’interesse per Dante, <strong>del</strong> resto, porta<br />

adesso a richiamare l’altro grande polo d’attrazione di<br />

<strong>Pasolini</strong>: il mondo medievale che precede il passaggio<br />

alla modernità.<br />

Vista sotto l’aspetto <strong>del</strong> costante richiamo di<br />

<strong>Pasolini</strong> a <strong>un</strong> confronto con la visione <strong>del</strong> mondo operata<br />

dalla letteratura, l’eredità neorealista di Accattone si<br />

carica di valore opposto: la realtà non trova spiegazione<br />

in se stessa, ma viene costretta a rilanciare verso la<br />

letteratura per trovare <strong>un</strong> orizzonte dentro il quale<br />

poter essere compresa. Bernardi può così affermare, in<br />

modo assai categorico che «il principio neorealista è<br />

rovesciato: il realismo è solo apparente, la realtà è<br />

metafora <strong>del</strong>la letteratura» 25 .<br />

Credo che ora sarà possibile comprendere la<br />

suggestione prodotta all’inizio di questo capitolo,<br />

laddove prospettavo l’utilità di affrontare l’analisi<br />

<strong>del</strong>l’influenza che <strong>un</strong> certo canone <strong>del</strong>la pittura<br />

rinascimentale ha avuto sulla scrittura pasoliniana, e in<br />

che modo questa componente si sia poi riverberata in<br />

24<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, in «Vie Nuove», XVI, 27, 8 luglio 1961, ora in<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Le belle bandiere, a cura di Gian Carlo<br />

Ferretti, Roma, Editori Ri<strong>un</strong>iti, 1996, p. 137.<br />

25<br />

Sandro Bernardi, Ibridazione e citazione nel cinema: <strong>Pasolini</strong> e<br />

Godard, cit., p.137.<br />

74


Accattone. Giuseppe Zigaina ha sottolineato meglio di<br />

altri questo p<strong>un</strong>to, sostenendo come, in fondo, il<br />

passaggio di <strong>Pasolini</strong> al cinema debba essere osservato<br />

come <strong>un</strong> “semplice” cambiamento di tecnica, anche alla<br />

luce <strong>del</strong> fatto che «le caratteristiche essenziali <strong>del</strong>la<br />

sua personalità rimasero immutate: la fissazione<br />

narcissica, la volontà <strong>del</strong> nuovo, l’uso <strong>del</strong> pastiche, il<br />

manierismo…». 26 Ancora più interessante, diviene<br />

l’osservazione secondo la quale la scelta <strong>del</strong> nuovo mezzo<br />

espressivo sarebbe servita a <strong>Pasolini</strong> proprio per poter<br />

esaltare con il montaggio la sua tendenza alla<br />

contaminazione; tendenza <strong>del</strong> tutto vincolata al suo<br />

assoluto amore per l’immagine, il quale viene a sua volta<br />

distinto da Zigaina in due aspetti: <strong>un</strong>o connaturato dalla<br />

sua «naturalità pittorica», l’altro animato dalla<br />

passione per la storia <strong>del</strong>l’arte, soprattutto<br />

rinascimentale, maturata nell’ascolto e nel ricordo <strong>del</strong>le<br />

lezioni bolognesi tenute da Longhi su <strong>Pier</strong>o <strong>del</strong>la<br />

Francesca, Masolino, Masaccio, e Caravaggio. Nel caso di<br />

Accattone Zigaina distingue la presenza di queste due<br />

componenti facendo notare come <strong>Pasolini</strong>, pur pensando al<br />

chiaroscuro di Masaccio, abbia girato il film animato da<br />

<strong>un</strong>a visione che era prima di tutto quella di qualc<strong>un</strong>o che<br />

vedeva, come <strong>un</strong> pittore naturale, dentro la stessa<br />

superficie <strong>del</strong>le cose, <strong>un</strong> continuo movimento che la<br />

portava a dispiegarsi in <strong>un</strong>a monumentalità poetica,<br />

pittorica prima ancora che concreta e reale. Sulla stessa<br />

frequenza è possibile ritrovare l’evidenza «<strong>del</strong> suo alto<br />

manierismo narrativo (teso sempre a dare colore, fisicità<br />

e concretezza alle immagini)» 27 , oltre al meccanismo messo<br />

in f<strong>un</strong>zione dal riferimento al canone dantesco che ho<br />

sopra analizzato.<br />

26 Giuseppe Zigaina, <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong> e la sacralità tecnica, in<br />

Achille Bonito Oliva, Giuseppe Zigana, Disegni e pitture di <strong>Pier</strong><br />

<strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Basilea, Balance Rief, 1984, p. 11-17 [11].<br />

27 Ivi, p. 12.<br />

75


Il film, visto sotto questa luce, mi sembra prendere<br />

le distanze in modo sin troppo evidente da qualsiasi<br />

categorizzazione di stampo neorealista. Più interessante<br />

potrebbe essere, invece, riscontrare <strong>un</strong>a nuova vicinanza<br />

con <strong>un</strong>a certa area <strong>del</strong>lo sfaccettato <strong>un</strong>iverso <strong>del</strong>la<br />

nouvelle vague. Intendo riferirmi a certe prese di<br />

posizione di Godard quando, riflettendo sul proprio<br />

lavoro, scrive:<br />

E’ pensando a Cournot che ho trovato questa definizione<br />

<strong>del</strong> nostro mestiere: fare <strong>del</strong> cinema significa vederci chiaro<br />

nella caverna di Platone grazie alla luce di Cézanne. 28<br />

Splendida confessione <strong>del</strong>l’agire di <strong>un</strong> particolarissimo<br />

sguardo autoriale <strong>del</strong> tutto simile a quello che sembra<br />

emergere in questo sp<strong>un</strong>to <strong>pasoliniano</strong>:<br />

Proprio ieri sono andato a scegliere il posto dove girare<br />

le ultime inquadrature di Accattone. Fuori Roma, verso le<br />

vallate e montagne <strong>del</strong> Lazio meridionale, e, precisamente, tra<br />

Subiaco e Olevano: ma era soprattutto su Olevano, che p<strong>un</strong>tavo,<br />

come luogo dipinto da Corot. 29<br />

E, più avanti, confesserà di non riuscire a concepire il<br />

paesaggio fuori dalla concezione pittorica di sfondo. 30<br />

Questi filtri, capaci di generare <strong>un</strong> continuo<br />

cortocircuito di senso, <strong>un</strong>a costante oscillazione fatta<br />

di rinvii tra <strong>un</strong> apparente sguardo oggettivo sulla<br />

materia, concreta e umana che popola il film, e <strong>un</strong>o<br />

sguardo invece che la plasma e la incorpora dentro <strong>un</strong>a<br />

estetica programmatica, riflettono <strong>un</strong>o dei molti modi<br />

28<br />

Jean-Luc Godard, Il cinema è il cinema, Milano, Garzanti, 1971, p.<br />

276.<br />

29<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, in Vie Nuove, XVI, 26, 1 luglio 1961, ora in<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Le belle bandiere, a cura di Gian Carlo<br />

Ferretti, cit., pp. 132-133.<br />

30<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Mamma Roma, Milano, Rizzoli, 1962, p. 149.<br />

76


attraverso i quali le immagini di Accattone sono venute a<br />

caricarsi di <strong>un</strong>a forte marca autoriale.<br />

A tal proposito Jacques Aumont, nella sua esemplare<br />

ricostruzione <strong>del</strong> rapporto che a diversi livelli hanno<br />

intrattenuto cinema e pittura, sottolinea come, il<br />

ricorso <strong>del</strong>la seconda nel primo, vada fatto risalire<br />

proprio al bisogno di caricare l’immagine di <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di<br />

vista marcato:<br />

In altre parole, quella che classicamente viene chiamata<br />

“inquadratura soggettiva”, e che forse faremo meglio a chiamare<br />

“inquadratura sguardo”, al cinema esiste solo a partire da<br />

p<strong>un</strong>ti di riferimento esterni all’immagine; il solo fatto di<br />

inquadrare, per quanto mobile possa essere, generalmente non è<br />

sufficiente a contrassegnare il p<strong>un</strong>to di vista.<br />

Per trovare nel cinema p<strong>un</strong>ti di vista marcati, e<br />

fortemente marcati, dovremo tornare ancora <strong>un</strong>a volta alla<br />

pittura. 31<br />

Aumont vuole con ciò rilevare in che modo <strong>un</strong> certo<br />

gusto per l‘inquadratura ricercata o, più avanti,<br />

particolari giochi di raccordo in fase di montaggio,<br />

abbiano tenuto conto <strong>del</strong>la lezione decentrante e<br />

spiazzante che gran parte <strong>del</strong>la pittura, dal XIX secolo<br />

in poi, ha impartito alla storia <strong>del</strong>lo sguardo<br />

occidentale. Nel caso <strong>del</strong> lavoro operato da <strong>Pasolini</strong> in<br />

ambito cinematografico è certamente possibile riscontrare<br />

<strong>un</strong>a presenza costante di questo dato grazie al quale,<br />

dice Aumont:<br />

La forma, nel senso di “convenzione formale”, risultato<br />

di <strong>un</strong>a norma stilistica più o meno esplicita, diventa<br />

espressiva appena supera ciò che è strettamente necessario alla<br />

rappresentazione realistica, che è a sua volta<br />

convenzionalmente definita. 32<br />

31<br />

Jacques Aumont, L’occhio interminabile, Venezia, Marsilio, 1991, p.<br />

48.<br />

32<br />

Ivi, p. 152.<br />

77


Evidenzierò, nel capitolo dedicato all’analisi<br />

dettagliata di alc<strong>un</strong>e sequenze di Accattone, su quali<br />

espedienti tecnico-stilistici <strong>Pasolini</strong> abbia giocato a<br />

livello di piani di ripresa e di indirizzo soggettivo<br />

<strong>del</strong>l’inquadratura, perché credo sia più consono, in<br />

questa sede, fare chiarezza su come questi elementi siano<br />

inseparabili dalla programmatica volontà di voler<br />

mostrare l’emersione di <strong>un</strong> <strong>nucleo</strong> artistico-sacrale già a<br />

partire dal lavoro compiuto sulla singola porzione di<br />

materia inquadrata, d<strong>un</strong>que a prescindere, per il momento,<br />

da <strong>un</strong>’organizzazione in <strong>un</strong>ità sintagmatiche più ampie.<br />

Nel secondo capitolo <strong>un</strong>a citazione da Walter Siti<br />

definiva la necessità di circoscrivere, nell’opera di<br />

<strong>Pasolini</strong>, i risultati <strong>del</strong>la sua presupposizione di <strong>un</strong>a<br />

realtà intesa come superficie sulla quale l’espressione<br />

agisce come <strong>un</strong> acido. Trovo che questa similitudine con<br />

l’azione di <strong>un</strong> acido sostituisca bene quella che avevo<br />

inizialmente formulato parlando di filtro. Siti ha<br />

cercato di spiegare il modo in cui questo dato si<br />

sprigiona nella creazione, sia essa letteraria o<br />

cinematografica:<br />

L’audacia <strong>del</strong>l’espressione mette a fuoco <strong>un</strong> frammento di<br />

realtà, lo trasfigura e lo deforma con energia visionaria, ma<br />

senza che si perda il ricordo <strong>del</strong> caos da cui è emerso –<br />

<strong>del</strong>l’urto con la realtà; il fenomeno stilistico è carico di<br />

rabbia psicologica, tenta di possedere la realtà e si contorce<br />

nella propria impotenza; più che alla serenità di <strong>un</strong> oggetto,<br />

assomiglia a <strong>un</strong> ‘gesto’ esistenziale. 33<br />

Come ho già sottolineato, in questa tensione<br />

violenta a voler far emergere la poesia dalla realtà, va<br />

riconosciuto <strong>un</strong> debito di <strong>Pasolini</strong> nei confronti <strong>del</strong><br />

33 Walter Siti, Il sole vero e il sole <strong>del</strong>la pellicola, o<br />

sull’espressionismo di <strong>Pasolini</strong>, cit., p. 101.<br />

78


critico d’arte Roberto Longhi, <strong>del</strong> quale egli seguì le<br />

lezioni intorno alla fine degli anni ’30 <strong>del</strong>lo scorso<br />

secolo. Egli trovò profonda ispirazione nel forte grado<br />

espressionistico <strong>del</strong>la scrittura longhiana, come ha<br />

notato Siti e come è stato accertato da Francesco<br />

Galluzzi, il quale ha dedicato all’analisi <strong>del</strong> rapporto<br />

tra lo storico <strong>del</strong>l’arte bolognese e il poeta di Casarsa,<br />

<strong>un</strong> intero capitolo <strong>del</strong>la sua ricognizione sul rapporto<br />

tra <strong>Pasolini</strong> e la pittura, nel quale si può leggere che:<br />

O ancora:<br />

Longhi si rivela essere stato allora anche maestro di<br />

scrittura per il poeta, insegnadogli che lo stile – non solo<br />

per la critica d’arte – può essere di per sé <strong>un</strong>o strumento<br />

essenziale per l’esplorazione conoscitiva <strong>del</strong>l’oggetto<br />

d’analisi. 34<br />

Il gusto di Longhi imbeve profondamente la sensibilità<br />

pasoliniana, fecondando <strong>un</strong>a nativa propensione verso le<br />

immagini e la pittura […]. Questa esperienza si rivela assai<br />

fertile per tutto il suo lavoro, sia quando – come in certe<br />

poesie – si prova a restituire l’equivalente verbale di certe<br />

opere d’arte; sia quando, senza tentare esplicitamente la via<br />

<strong>del</strong>l’ekfrasis, <strong>Pasolini</strong> ‘scriveva pittore’, elaborando mo<strong>del</strong>li<br />

iconografici consolidati nella tradizione figurativa o<br />

addirittura adottando procedimenti di scrittura che potrebbero<br />

essere definiti pittorici. 35<br />

Subito dopo Galluzzi ci informa su come, proprio il<br />

concetto di “equivalenza verbale di <strong>un</strong>‘opera”, stesse<br />

molto a cuore a Roberto Longhi. Dato che non fa che<br />

confermare l’idea, secondo la quale sarebbe fruttuoso<br />

guardare alla costruzione stilistica pasoliniana come a<br />

<strong>un</strong> continuo esercizio di consapevolezza traduttiva. Lo<br />

34<br />

Francesco Galluzzi, <strong>Pasolini</strong> e la pittura, Roma, Bulzoni, 1994, p.<br />

21.<br />

35<br />

Ivi, p. 19-20.<br />

79


stesso Eco ha recentemente ricordato, in <strong>un</strong> libro<br />

interamente dedicato alla traduzione, quale sia stata<br />

l’importanza che l’ekfrasis 36 ha esercitato in quanto<br />

esercizio retorico su gran parte <strong>del</strong>la letteratura antica<br />

e moderna. Il semiologo italiano ha posto <strong>un</strong>a distinzione<br />

tra ekfrasis ‘palese’ e ‘occulta’, attributi da<br />

applicarsi a seconda che la fonte visiva di partenza sia<br />

dichiarata o meno dall’autore. In entrambi i casi,<br />

com<strong>un</strong>que, conclude Eco, si tratta di <strong>un</strong>’operazione che<br />

«ha a che vedere con la questione <strong>del</strong> dialogismo,<br />

<strong>del</strong>l’ironia e degli echi intertestuali» 37 , tutti elementi<br />

la cui importanza interna all’operazione condotta da<br />

<strong>Pasolini</strong> in tutti i campi <strong>del</strong> suo operare, sta informando<br />

sin dal principio le pagine di questo capitolo. Certo,<br />

Eco non è l’ultimo a ricordare come ogni testo, per sua<br />

natura, intrattenga <strong>un</strong> dialogo con i suoi predecessori 38 ,<br />

ma credo che il dialogo intrattenuto tra i diversi testi<br />

chiamati in causa in queste pagine sia andato a<br />

costituire, senza alc<strong>un</strong> dubbio, <strong>un</strong> procedimento di<br />

contaminazione tra differenti sfere semiotiche che va ben<br />

al di là <strong>del</strong> puro esercizio retorico. Quanto meno, è<br />

assai significativo il traslare <strong>del</strong> gusto per questo<br />

procedimento dall’opera letteraria a quella<br />

cinematografica, nella quale, grazie a <strong>un</strong>a traduzione sul<br />

piano espressivo operata dall’autore, è stata mantenuta<br />

intatta la vocazione <strong>del</strong> procedimento tesa a convalidare<br />

<strong>un</strong>a lettura regressiva <strong>del</strong> mondo sottoproletario. Una<br />

simile operazione, senza perdere mai di vista il proprio<br />

referente, ovvero quella realtà di cui si ricerca <strong>un</strong><br />

continuo frustrato possesso, aveva giocato <strong>un</strong> ruolo<br />

36<br />

Per esempio, in questa stessa tesi, nel capitolo Una dizione totale<br />

<strong>del</strong>la realtà, ho analizzato alc<strong>un</strong>e parti <strong>del</strong> poema di <strong>Pasolini</strong> La<br />

ricchezza, il quale potrebbe essere considerato <strong>un</strong> esempio di<br />

ekfrasis ‘palese’.<br />

37<br />

Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa, Milano, Bompiani, 2003, p.<br />

212.<br />

38<br />

Ivi, p. 213.<br />

80


centrale anche nelle ricerche di Longhi, tanto che utile<br />

e riass<strong>un</strong>tivo diventa a questo proposito <strong>un</strong> altro dato<br />

colto da Galluzzi, il quale vedrebbe <strong>un</strong>‘infiltrazione<br />

<strong>del</strong>la succitata profonda adesione di <strong>Pasolini</strong> alle<br />

suggestioni <strong>del</strong>l’<strong>un</strong>iverso dantesco, proprio a partire da<br />

alc<strong>un</strong>e pagine di <strong>un</strong> saggio di Longhi dedicate ai rapporti<br />

dare-avere tra l’Inferno di Dante e il mosaico <strong>del</strong><br />

Battistero di Firenze attribuito a Coppo di Marcovaldo. 39<br />

Il gioco di rimandi intertestuali, d<strong>un</strong>que, proprio nel<br />

suo complicarsi, sembra rimettere a posto tutte le<br />

suggestioni che, in questo capitolo, hanno cercato di dar<br />

conto grazie a quali espedienti formali Accattone possa<br />

aver tracciato la sua distanza dal canone neorealista.<br />

Come ha ricordato in <strong>un</strong>’intervista il cugino di<br />

<strong>Pasolini</strong>, Nico Naldini, da molti anni instancabile<br />

interprete <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong>l’artista:<br />

[<strong>Pasolini</strong>] Agiva in modo molto semplice: predisponeva le<br />

pose, i gesti, ma non faceva mai recitare <strong>un</strong>a scena intera;<br />

costruiva <strong>un</strong>a serie di campi, controcampi e primi piani, senza<br />

girare mai sequenze l<strong>un</strong>ghe, ma rispettando la sua fondamentale<br />

teoria anti-naturalistica, secondo la quale il film non deve<br />

imitare la vita, come nel modo neo-realistico, ma deve<br />

ricrearla. 40<br />

39 Francesco Galluzzi, <strong>Pasolini</strong> e la pittura, cit., p. 17.<br />

40 Stefano Strazzabosco (a cura di), Un cinema per catturare il mondo,<br />

in «Segnocinema», VIII (1988), 35, pp. 34-36 [34].<br />

81


LE PRINCIPALI TECNICHE DI CONTAMINAZIONE<br />

La peculiarità <strong>del</strong> materiale non impone mai<br />

all’arte <strong>del</strong>le restrizioni determinanti, tuttavia<br />

influisce sulla natura <strong>del</strong>la sua lingua. Ness<strong>un</strong>o<br />

che abbia familiarità con la storia <strong>del</strong>l’arte<br />

oserà fare previsioni su come verrà trasformata<br />

la lingua artistica di partenza nelle mani di <strong>un</strong><br />

grande artista. 1<br />

82<br />

Jurij Lotman<br />

Ho già ricordato in più occasioni come <strong>Pasolini</strong><br />

fosse arrivato alla regia senza avere la minima<br />

conoscenza o esperienza a riguardo dei fattori tecnico<br />

realizzativi di <strong>un</strong> film. Questa ignoranza non rappresentò<br />

tuttavia <strong>un</strong> problema, poiché gli permise di piegare i<br />

mezzi tecnici all’ideale figurativo che egli aveva chiaro<br />

da tempo. Già da molti anni aveva trovato, nel precario<br />

equilibrio <strong>del</strong>la scrittura, <strong>un</strong> orizzonte sul quale<br />

trasporre la sua visione <strong>del</strong> mondo. Dovette pertanto<br />

sembrargli naturale usare come scacchiera stilistica su<br />

cui far muovere la propria macchina da presa, la stessa<br />

utilizzata per dare forma alle descrizioni presenti nella<br />

sue poesie come nei suoi romanzi. La regola principale<br />

alla quale attenersi era essenzialmente <strong>un</strong>a: contaminare.<br />

Ho già detto come l’orizzonte <strong>del</strong>la purezza linguistica<br />

non abbia mai fatto parte <strong>del</strong>la visuale pasoliniana e<br />

anche quali implicazioni debbano essere tratte da questa<br />

constatazione. In questo capitolo vorrei parlare di quali<br />

siano stati i due procedimenti più evidenti usati da<br />

<strong>Pasolini</strong> per “dirigere” la macchina cinema verso la<br />

riproduzione di quel pastiche stilistico e contenutistico<br />

che gli era sembrato fino a quel momento la principale<br />

1 Jurij M. Lotman, Sulla lingua dei cartoni animati, in Id. Il<br />

girotondo <strong>del</strong>le Muse : saggi sulla semiotica <strong>del</strong>le arti e <strong>del</strong>la<br />

rappresentazione, a cura di Silvia Burini; traduzione di Silvia<br />

Burini e Alessandro Niero, Bergamo, Moretti & Vitali, 1998, pp. 113-<br />

119 [115].


strada da percorrere nello sforzo di «conquistare <strong>un</strong><br />

brano inedito di realtà, <strong>un</strong>a nuova forma di Bellezza» 2 .<br />

Richiamandomi ai dati emersi nel capitolo precedente<br />

e applicando al cinema la griglia d’analisi<br />

strutturalista, potrei azzardarmi a dire che Accattone,<br />

per molti versi, rappresenta, in quanto singolo atto di<br />

parole all’interno <strong>del</strong>la più vasta langue <strong>del</strong>la storia<br />

<strong>del</strong> cinema, <strong>un</strong> autentico contenitore di alterazioni.<br />

Ferdinand de Saussure ha evidenziato come «i fattori di<br />

alterazione [...] sfociano sempre in <strong>un</strong>o spostamento <strong>del</strong><br />

rapporto tra il significato e il significante» 3 , cosa che,<br />

naturalmente, finirà per portare a <strong>un</strong>a diversa<br />

configurazione <strong>del</strong> sistema. In altre parole, nel suo<br />

primo l<strong>un</strong>gometraggio (come già altri autori avevano fatto<br />

nel pur breve corso <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> cinema) <strong>Pasolini</strong> ha<br />

adoperato in modo tanto spregiudicato e personale le<br />

possibilità di coesione tra i diversi codici, da<br />

provocare la necessità di nuove categorizzazioni dentro<br />

le quali poter collocare la novità di quei procedimenti. 4<br />

Le principali ripercussioni di queste alterazioni,<br />

ancora <strong>un</strong>a volta, hanno avuto effetto, in particolare,<br />

sul fronte stilistico. Il cinema, infatti, in qualche<br />

modo, riproduce al proprio interno le dinamiche<br />

contrastive sulle quali per <strong>Pasolini</strong> doveva reggersi<br />

2<br />

Francesco Galluzzi, <strong>Pasolini</strong> e la pittura, Roma, Bulzoni, 1994, p.<br />

84.<br />

3<br />

Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Bari,<br />

Laterza, 2003 18 , p. 93, (corsivo <strong>del</strong>l’autore).<br />

4<br />

Un inserimento <strong>del</strong> proprio metodo di lavoro all’interno <strong>del</strong><br />

paradigma strutturalista verrà ripreso dallo stesso <strong>Pasolini</strong>, a molti<br />

anni di distanza da Accattone, risponendo a <strong>un</strong>a domanda postagli da<br />

Gideon Bachmann sul set <strong>del</strong> suo ultimo film: «Tu dici che il tuo<br />

cinema è la realtà in <strong>un</strong> infinito piano-sequenza; perché nei tuoi<br />

film non fai mai uso <strong>del</strong> piano-sequenza? / Proprio per la ragione che<br />

io faccio i film e non il cinema. È la stessa differenza che<br />

distingue la “langue” dalla “parole”, io facendo i film, uso la<br />

“parole” <strong>del</strong> cinema, cioè <strong>del</strong>la “langue”; e la mia “parole” è fatta<br />

di campi e controcampi, di primi piani opposti ad altri primi piani<br />

ecc...» cfr. Intervista rilasciata a Gideon Bachmann e Donata Gallo,<br />

«Filmcritica», (1975), 256, ora in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte le<br />

opere. Per il cinema, Tomo II, a cura di Walter Siti e Franco<br />

Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, pp. 3023-3031 [3030].<br />

83


anche la costruzione letteraria che più lo interessava:<br />

quel discorso libero indiretto che sembrava avvitarsi con<br />

più forza attorno alle possibilità concesse dal<br />

plurilinguismo originario <strong>del</strong>la lingua italiana. Ma, come<br />

ha accortamente notato Galluzzi, «il cinema non sembra<br />

permettere [...] gli scarti di differenziazione<br />

linguistica tra l’autore e i personaggi attraverso cui<br />

prende corpo la particolare mimesis <strong>del</strong>la soggettiva<br />

libera indiretta. 5 Le immagini sono per loro natura<br />

neutre, e solo <strong>un</strong>a loro articolazione stilistica permette<br />

di qualificarle». 6 La soluzione a questo problema ha preso<br />

molte strade in Accattone e il numero crescerebbe<br />

notevolmente se dovessi prendere in considerazione<br />

l’intero corpus <strong>del</strong> cinema <strong>pasoliniano</strong>, tuttavia, è<br />

possibile stabilire senza equivoci quali sono state le<br />

due direzioni principali che il procedimento di<br />

contaminazione ha preso all’interno <strong>del</strong>l’opera prima: da<br />

<strong>un</strong> lato il dialogo con la pittura, soprattutto<br />

rinascimentale, dall’altro quello con la musica <strong>del</strong><br />

compositore tedesco Johann Sebastian Bach.<br />

Ho già rilevato quanta importanza abbia rivestito<br />

nel complesso <strong>del</strong>la produzione pasoliniana il suo<br />

interesse per la storia <strong>del</strong>l’arte e ho più che accennato<br />

a quali ripercussioni sul dato espressionista <strong>del</strong>la sua<br />

scrittura siano da addebitare all’esempio longhiano, ora,<br />

come era stato per la pagina poetica, si prospetta la<br />

possibilità per <strong>Pasolini</strong> di far concrescere il senso<br />

<strong>del</strong>l’immagine inquadrata attraverso l’inserimento di <strong>un</strong>a<br />

matrice pittorica. Di più: la scelta di far ricorso a<br />

immagini che siano già cariche di storia, fortemente<br />

caratterizzate nella coscienza collettiva, come sono<br />

5 Sarebbe stato forse più corretto se in questo p<strong>un</strong>to Galluzzi avesse<br />

usato la terminologia “discorso libero indiretto” anziché “soggettiva<br />

libera indiretta”. Era in corso, infatti, <strong>un</strong> confronto con la pratica<br />

letteraria, ma è evidente che, su <strong>un</strong> piano inconscio, l’influenza<br />

<strong>del</strong>la celebre formulazione pasoliniana ha avuto la meglio.<br />

6 Francesco Galluzzi, <strong>Pasolini</strong> e la pittura, cit., p. 89<br />

84


quelle <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>l’arte, gli consentiva di inserire<br />

nel film, con <strong>un</strong>a finezza inedita, <strong>un</strong>a spia di<br />

differenziazione linguistica capace di far emergere la<br />

caratteristica più radicale <strong>del</strong> suo sguardo di autore<br />

sulla realtà: quel ritrarre le cose <strong>del</strong> mondo, le più<br />

infime, come avvolte da <strong>un</strong> alone di sacralità. In altre<br />

parole, come ha affermato Galluzzi:<br />

Usare Giotto o <strong>Pier</strong>o <strong>del</strong>la Francesca serve per cercare di<br />

avvicinare il f<strong>un</strong>zionamento <strong>del</strong>la soggettiva libera indiretta a<br />

quello <strong>del</strong> discorso libero indiretto letterario, provando a<br />

elaborare anche per il cinema <strong>un</strong>’articolazione linguistica<br />

<strong>del</strong>le immagini: <strong>un</strong> affresco <strong>del</strong> Trecento assolve a livello<br />

‘alto’ la stessa f<strong>un</strong>zione che il gergo <strong>del</strong>le borgate romane<br />

aveva assolto a livello ‘basso’. [...] La poesia e la narrativa<br />

pasoliniane sono tutte in questo procedere per salti, per<br />

trasfigurazioni, evitando sempre il livello ‘medio’ <strong>del</strong><br />

naturalismo, il piano-sequenza, la composizione pacificata e<br />

dialettica dei differenti livelli espressivi. 7<br />

Galluzzi ha certamente ragione, ma questa scelta di<br />

caricare l’aspetto sordido degli elementi inquadrati con<br />

dei precisi richiami alla tradizione alta <strong>del</strong>la pittura<br />

italiana, può trovare <strong>un</strong>a giusta correlazione anche con<br />

l’uso di espedienti metrici inseriti in quei p<strong>un</strong>ti <strong>del</strong>la<br />

scrittura romanzesca dove la lingua più quotidiana e meno<br />

letteraria tendeva a degradare l’equilibrio <strong>del</strong>lo stile.<br />

È lo stesso <strong>Pasolini</strong> ad aver confessato:<br />

nelle battute dei personaggi, anche in quelle che<br />

sembrano le più fisicamente e brutalmente registrate, c’è<br />

sempre <strong>un</strong> cursus, <strong>un</strong> numero spesso, addirittura in<br />

endecasillabi, composti anche con <strong>del</strong>le parolacce. 8<br />

7 Ivi, pp. 89-90.<br />

8 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Una visione <strong>del</strong> mondo epico-religiosa,<br />

registrazione di <strong>un</strong> dibattito con gli studenti <strong>del</strong> Centro<br />

Sperimentale di Cinematografia svoltosi a Roma il 9 marzo 1964,<br />

apparso in «Bianco e nero», (1964), 6, ora in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>,<br />

Tutte le opere. Per il cinema, Tomo II, a cura di Walter Siti e<br />

Franco Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, pp. 2844-2879 [2872].<br />

85


Inoltre, è impossibile tralasciare, come termine di<br />

confronto, <strong>un</strong> elemento già emerso nei capitoli intitolati<br />

La lingua dei corpi e Il mondo sempre visto come dal<br />

personaggio, ovvero la presenza, nei romanzi di<br />

ambientazione romanesca, di <strong>un</strong>a prosa eminentemente<br />

iconica. Tanto, che addirittura le svolte <strong>del</strong>la trama<br />

vengono risolte quasi sempre in maniera visiva, per<br />

esempio quando il racconto prende, come accennavo, le<br />

modalità <strong>del</strong> montaggio alternato o quelle, più vicine<br />

alla struttura di Accattone <strong>del</strong> montaggio a graffa. Credo<br />

che <strong>un</strong> paragone esemplificativo potrebbe essere<br />

tracciato, data anche la valenza simbolica generale, con<br />

la rappresentazione visiva <strong>del</strong>le stazioni <strong>del</strong>la Via<br />

Crucis, nelle quali, attraverso stacchi netti, il<br />

cambiamento di ambientazione e dei personaggi che<br />

contornano il protagonista dà voce anche allo sviluppo<br />

<strong>del</strong>la fabula.<br />

Vi sono ancora <strong>un</strong> paio di aspetti che voglio<br />

precisare, utili a definire il valore esatto<br />

<strong>del</strong>l’alterazione stilistica attuata tramite il richiamo<br />

pittorico. Il primo ha a che vedere con il modo specifico<br />

in cui <strong>Pasolini</strong> ha deciso di ottenere, in Accattone,<br />

quest’effetto di “bucare” la neutralità <strong>del</strong>l’immagine, e<br />

necessita, per essere inquadrato correttamente, di<br />

risalire al momento esatto in cui egli contrasse con<br />

Longhi il suo debito, ovvero la sua “fulgorazione<br />

figurativa”. Proprio questo strano verbo utilizzato dal<br />

regista, sembra contenere in sé l’elemento <strong>del</strong>la luce<br />

proiettata, come <strong>un</strong> fascio che penetra nella retina fino<br />

a lasciarvi <strong>un</strong>a sorta di bruciatura, <strong>un</strong> segno, app<strong>un</strong>to,<br />

in<strong>del</strong>ebile, tanto da potersi concretare, in seguito, in<br />

<strong>un</strong>o dei filtri più importanti <strong>del</strong>lo sguardo <strong>pasoliniano</strong>.<br />

Parlo di fasci di luce e di proiezioni perché, come ha<br />

acutamente intuito Marchesini, e come è stato<br />

86


approfondito da Massimo Galimberti, le lezioni di Longhi,<br />

fin dal 1934, «si svolgevano al buio di <strong>un</strong>’aula mentre<br />

scorrevano le immagini in vetrini dei quadri commentati:<br />

<strong>un</strong>’operazione pressoché inedita per il periodo» 9 e a<br />

proposito <strong>del</strong>la quale, lo stesso <strong>Pasolini</strong> ebbe a dire che<br />

in quell’aula di Via Zamboni «il cinema agiva, sia pure<br />

in quanto mera proiezione di fotografie» 10 . Testimonianza<br />

che sprona Marchesini alla conclusione:<br />

Il referente non sono più gli affreschi di Masaccio, ma<br />

le loro riproduzioni in bianco e nero, quasi rappresentassero<br />

l’ossatura essenziale <strong>del</strong>la pittura <strong>del</strong> maestro, <strong>un</strong>a volta<br />

abbandonato l’orpello <strong>del</strong> colore. [...] L’incanto affabulatorio<br />

<strong>del</strong>la voce <strong>del</strong> critico <strong>un</strong>ito alla suggestione <strong>del</strong>le diapositive<br />

crea <strong>un</strong>’allucinazione già in qualche modo simile a quella <strong>del</strong><br />

cinema. 11<br />

Il paradigma masaccesco, insomma, sembra essere<br />

stato assorbito da <strong>Pasolini</strong>, per certi versi, già in<br />

forma di pastiche figurativo, grazie a questa commistione<br />

affascinante di luce e ombra, dove la pregnanza <strong>del</strong><br />

chiaroscuro aveva gli stessi contorni con i quali, <strong>un</strong>a<br />

ventina di anni dopo <strong>Pasolini</strong> potrà scolpire il volto di<br />

Franco Citti, <strong>del</strong> suo Accattone. 12<br />

Il secondo aspetto che intendo affrontare, riguarda<br />

le possibili motivazioni psicologiche <strong>del</strong>la scelta<br />

stilistica che ho cercato di descrivere. Prendo sp<strong>un</strong>to da<br />

<strong>un</strong>a suggestione estrapolata da <strong>un</strong> articolo di Lotman, nel<br />

9<br />

Massimo Galimberti, Longhi, Barbaro e il documentario d’arte. Note<br />

sul «Carpaccio», in Cinema/Pittura. Dinamiche di scambio, a cura di<br />

Leonardo De Franceschi, Torino, Lindau, 2003, pp. 83-97 [85].<br />

10<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Descrizioni di descrizioni, Torino, Einaudi,<br />

1979, p. 252.<br />

11<br />

Antonio Marchesini, Citazioni pittoriche <strong>del</strong> cinema di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, Firenze, La nuova Italia, 1994, p. 18.<br />

12<br />

La pregnanza di questo filtro visivo è così radicata in <strong>Pasolini</strong><br />

che egli ne riproduce i tratti peculiari anche in diversi luoghi<br />

<strong>del</strong>la sua opera poetica. Ne cito qui <strong>un</strong>o che trovo particolarmente<br />

emblematico: «[...] con profili di visi masacceschi neri, /<br />

controluce, su fondali castamente ardenti...» cfr. <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti, 1976, p. 184.<br />

87


quale il linguista russo ha affrontato alc<strong>un</strong>i aspetti<br />

<strong>del</strong>la semiotica <strong>del</strong> cinema d’animazione. Così Lotman:<br />

Tutti sappiamo che nel ritratto pittorico di <strong>un</strong>a persona<br />

a noi vicina eseguito da <strong>un</strong> bravo pittore troviamo più<br />

somiglianza che in <strong>un</strong>a fotografia. 13<br />

Si tratta, lo ribadisco, di <strong>un</strong>a pura suggestione, di<br />

<strong>un</strong> semplice tassello di <strong>un</strong> discorso più complesso sulle<br />

peculiarità <strong>del</strong> cinema d’animazione. Credo però, che<br />

possa risultare illuminante per darsi ragione <strong>del</strong>la<br />

necessità di <strong>Pasolini</strong> a voler ritrovare, sul volto dei<br />

propri attori (o come sarebbe meglio dire: non-attori) e<br />

in generale su tutto il materiale profilmico, <strong>un</strong> alone di<br />

“intima riconoscibilità”. Mi spiego meglio. Posto che<br />

egli incorniciasse il paesaggio alla stregua di <strong>un</strong>o<br />

sfondo e incastonasse in quel fondale i suoi personaggi<br />

sulla scorta di <strong>un</strong> sistema compositivo masaccesco, forse<br />

lo faceva perché questo era il suo modo di vedere le cose<br />

anche davanti alla macchina da presa, anche nella sua<br />

osservazione, quotidiana, <strong>del</strong>la vita sottoproletaria.<br />

Egli aveva costruito, attorno ai ruderi e alle baracche<br />

come intorno alla pelle dei loro abitanti, <strong>un</strong> alone di<br />

ieratica bellezza, <strong>un</strong>’aura antinaturalistica, che, per<br />

certi versi, <strong>un</strong>a volta rimossi da <strong>un</strong>a riproduzione fe<strong>del</strong>e<br />

alla precisione documentaria e il più possibile neutra,<br />

avrebbero reso i soggetti ritratti, almeno ai suoi occhi,<br />

molto più lontani dal “vero”. Del resto, è possibile<br />

cogliere, in <strong>un</strong>a <strong>del</strong>le tante contraddizioni nelle quali<br />

<strong>Pasolini</strong> incorreva, soprattutto se intervistato, come<br />

all’interno <strong>del</strong>la sua particolarissima ottica dovessero<br />

scontrarsi continuamente istanza documentaria e<br />

propensione antinaturalistica. Così, ad esempio, in<br />

13 Jurij M. Lotman, Sulla lingua dei cartoni animati, cit., p. 114.<br />

88


<strong>un</strong>’intervista rilasciata alla rivista «Progresso<br />

fotografico» nel settembre <strong>del</strong> 1970:<br />

Se lei dovesse scegliere tra fare il fotografo di moda,<br />

d’attualità o d’arte, per quale opterebbe?<br />

Per la foto documentaristica, per il reportage<br />

senz’altro, e in bianco e nero, non a colori, perché, lo<br />

ripeto, mi sembra più vero, più reale. 14<br />

Prima di poter affrontare il tema <strong>del</strong>la<br />

contaminazione musicale in Accattone, è necessario<br />

precisare <strong>un</strong>a questione fondamentale che investe, in<br />

generale, il rapporto di <strong>Pasolini</strong> con l’inserimento <strong>del</strong>le<br />

fonti esterne nel tessuto <strong>del</strong> film. È Marchesini ad aver<br />

riscontrato, soprattutto nelle prime regie, <strong>un</strong><br />

atteggiamento che ha definito nei termini di: “fuga dalla<br />

citazione”. Lo studioso, riguardo all’uso fatto da<br />

<strong>Pasolini</strong> <strong>del</strong>le suggestioni provenienti dalla tradizione<br />

pittorica, ha espresso considerazioni molto simili a<br />

quelle a cui è gi<strong>un</strong>to Roberto Calabretto analizzando<br />

invece l’uso degli inserti provenienti dalla tradizione<br />

musicale colta:<br />

La scelta e l’articolazione <strong>del</strong>l’<strong>un</strong>iverso musicale<br />

obbediscono alle stesse necessità di carattere poetico. A<br />

<strong>Pasolini</strong> non preme ricercare congruenze di carattere storico,<br />

supportate, magari, da <strong>un</strong>a rara competenza filologica; anche<br />

musicalmente egli ricrea <strong>un</strong> <strong>un</strong>iverso portatore di verità, non<br />

curante <strong>del</strong>la logicità e coerenza. Proprio questa sua ricerca<br />

14 L’evoluzione <strong>del</strong>a mia poetica fotografica, intervista non firmata<br />

apparsa su «Progresso fotografico» <strong>del</strong> settembre 1970, ora in <strong>Pier</strong><br />

<strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte le opere. Per il cinema, Tomo II, cit., pp.<br />

2790-2794 [2793]. Cito anche <strong>un</strong>’interessante notazione di Vincenzo<br />

Cerami rispetto al perdurare di questo amore per il bianco e nero<br />

anche dopo il passaggio di <strong>Pasolini</strong> al colore: «<strong>Pasolini</strong>, nelle<br />

sceneggiature, in coerenza con l’indole ieratica <strong>del</strong>la sua poetica,<br />

raramente ricorre al colore con spirito illustrativo, oleografico.<br />

Malgrado tutto continua a “pensare” in bianco e nero, per tenersi<br />

lontano dall’odiato naturalismo, che con l’adozione <strong>del</strong> colore si fa<br />

ancora più ingombrante» cfr. Vincenzo Cerami, La trascrizione <strong>del</strong>lo<br />

sguardo, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte le opere. Per il cinema, Tomo<br />

I, cit., pp. XXV-XLVI [XLIII].<br />

89


lo pone distante dagli altri registi, su tutti Visconti, che si<br />

erano serviti come lui <strong>del</strong>la tradizione classica per commentare<br />

alc<strong>un</strong>i loro film. 15<br />

Medesime considerazioni, con qualche sfumatura<br />

ulteriore, valgono in rapporto all’uso <strong>del</strong>le fonti<br />

pittoriche e, infatti, così Marchesini nell’introduzione<br />

al suo saggio Citazioni pittoriche nel cinema di <strong>Pier</strong><br />

<strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>:<br />

Dal p<strong>un</strong>to di vista <strong>del</strong>la “caccia alla citazione” la mia<br />

tesi non aggi<strong>un</strong>ge nulla a quanto sia stato detto o scritto.<br />

Anzi, paradossalmente, smentisce o ridimensiona molti dei<br />

prestiti com<strong>un</strong>emente avvallati, mettendo in luce piuttosto il<br />

travaglio a cui è sottoposta la citazione nel momento in cui si<br />

innesta sul testo cinematografico. 16<br />

Per poi dar conto di quali siano i dati peculiari<br />

attraverso i quali, dentro la costruzione stessa di<br />

Accattone, sia possibile rintracciare questo<br />

atteggiamento e, di conseguenza, poter dare credito alle<br />

intenzioni profonde di <strong>un</strong> simile approccio stilistico:<br />

Non sarà forse <strong>un</strong> caso che <strong>Pasolini</strong>, nel momento in cui<br />

sceglie di ispirarsi a Masaccio, proceda sempre cercando di non<br />

riprodurre nelle inquadrature <strong>un</strong> quadro, fuggendo la citazione<br />

per recuperare <strong>un</strong>a sostanza, <strong>un</strong> modo di vedere certe facce,<br />

certa gravità <strong>del</strong>la materia. Sono allora i costrutti<br />

masacceschi ad attrarre <strong>Pasolini</strong>, in quanto capaci di<br />

interpretare la sacralità <strong>del</strong>le cose e restituire con immagini<br />

altamente pregnanti i tragici destini dei suoi personaggi.<br />

Masaccio, per concludere, diviene il filtro mitico attraverso<br />

il quale si decantano le suggestioni figurative, l’emblema<br />

<strong>del</strong>la natura epico-religiosa <strong>del</strong>l’uomo. 17<br />

15<br />

Roberto Calabretto, <strong>Pasolini</strong> e la musica, Pordenone, Cinemazero,<br />

1999, p. 312.<br />

16<br />

Antonio Marchesini, Citazioni pittoriche <strong>del</strong> cinema di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, cit., p. 11.<br />

17 Ivi, pp. 19-20.<br />

90


Arrivando invece ad affrontare l’uso degli inserti<br />

bachiani in Accattone, si è quasi obbligati a riferirsi<br />

al ponderoso e raffinatissimo studio a firma di Roberto<br />

Calabretto: <strong>Pasolini</strong> e la musica. Nel testo sono<br />

ricostruiti i momenti essenziali in cui la musica <strong>del</strong><br />

compositore tedesco si è inserita tra gli interessi di<br />

<strong>Pasolini</strong>, e vi si indaga sui modi in cui ne ha colpito la<br />

sensibilità. Ciò che più impressiona, soprattutto<br />

rispetto alle finalità di questa tesi, è scoprire come<br />

<strong>Pasolini</strong> si sia dilettato, seppure da incuriosito<br />

principiante, anche di critica musicale. A Bach, in<br />

particolare, il poeta dedicò alc<strong>un</strong>e pagine giovanili<br />

nelle quali «è interessante notare come la sua musica da<br />

lui venga subito interpretata all’insegna <strong>del</strong>la<br />

contaminazione» 18 . Fattore evidente, per esempio, in <strong>un</strong>o<br />

scritto 19 sul Siciliano, ovvero sulla Sonata n.1 in Sol<br />

minore, nel quale il giovane <strong>Pasolini</strong> compie l’esercizio<br />

di dotare di contenuto le suggestioni visive ed emotive<br />

che l’ascolto <strong>del</strong> brano e lo studio <strong>del</strong> suo spartito<br />

avevano provocato in lui. L’immagine principale con cui<br />

gioca <strong>Pasolini</strong> è quella di <strong>un</strong> corpo adolescente, di <strong>un</strong><br />

giovane, egli scrive, «con <strong>un</strong>’espressione degli occhi e<br />

<strong>del</strong>la bocca alquanto arcana», immagine connotata da <strong>un</strong>a<br />

forte carica di pura sensualità e che egli vede come<br />

intrinsecamente legata all’ascolto <strong>del</strong> Siciliano. Ancora<br />

<strong>un</strong>a volta, quindi, <strong>Pasolini</strong> ci regala <strong>un</strong> esercizio di<br />

traduzione. E, ovviamente, non mi sto riferendo al<br />

cambiamento <strong>del</strong> sistema semiotico in sé; poiché sarebbe<br />

<strong>un</strong> ragionamento tautologico rilevare questo spostamento<br />

in rapporto alla scrittura critica musicologica. La<br />

trasformazione a cui voglio riferirmi, è invece fondata<br />

sulla considerazione che <strong>Pasolini</strong> ha impostato solo<br />

parzialmente il suo giudizio critico sull’uso di <strong>un</strong>a<br />

18 Roberto Calabretto, <strong>Pasolini</strong> e la musica, cit., p. 151.<br />

19 Ivi, pp. 153-54. Riprodotto a partire da <strong>un</strong>a copia manoscritta in<br />

possesso <strong>del</strong>l’amica di <strong>Pasolini</strong> Pina Kalc.<br />

91


terminologia tecnica e che finisca per vertere, a sua<br />

volta, su fattori tecnico-stilistici; egli ha cercato<br />

piuttosto di ridare, sia sul piano <strong>del</strong> lessico che su<br />

quello <strong>del</strong>la sintassi, l’impressione di sensualità mista<br />

a sacralità che l’impostazione <strong>del</strong> brano musicale gli ha<br />

suggerito; accostandosi all’opera di Bach senza eccessivi<br />

scrupoli filologici, cosa, <strong>del</strong> resto, che gli si è visto<br />

fare anche con il greco antico di Eschilo e con il latino<br />

di Plauto. Dal Siciliano teneva particolarmente a<br />

estrapolare l’immagine di <strong>un</strong>a «lotta tra la carne e il<br />

cielo, tra l’umano e il metafisico» 20 , e questo fa<br />

naturalmente saltare agli occhi come «in questi adagi già<br />

s’intraved[a] la sua futura poetica musicale<br />

cinematografica che, proprio servendosi dei repertori<br />

bachiani, realizzerà quella contaminazione destinata ad<br />

essere la vera cifra stilistica ed espressiva <strong>del</strong> suo<br />

cinema» 21 .<br />

Ed è lo stesso <strong>Pasolini</strong> a confermare questo<br />

indirizzo nelle proprie scelte musicali. Per esempio,<br />

quando <strong>un</strong> lettore di «Vie nuove», rivista sulla quale lo<br />

scrittore teneva <strong>un</strong>a rubrica, gli chiederà di dare conto<br />

<strong>del</strong> perché di scelte che a lui erano apparse<br />

anacronistiche e intellettualistiche. <strong>Pasolini</strong> risponderà<br />

che, tra le varie ragioni per le quali preferisce la<br />

musica classica a quella contemporanea come commento ai<br />

suoi film, la prima ragione è, ancora <strong>un</strong>a volta, <strong>un</strong>a<br />

ragione stilistica:<br />

[...] la creazione cioè di <strong>un</strong> pastiche, fortemente<br />

accentuato, “a contrasto” [...], che, per ascensione<br />

espressiva, quasi espressionistica, serve a rappresentare con<br />

più drammaticità quello che voglio dire (<strong>un</strong> grande e tragico<br />

destino di morte che si sovrappone a <strong>un</strong>a piccola, infima,<br />

sporca vicenda sottoproletaria). E poi io sono ... “<strong>un</strong>a forza<br />

20 Ivi, p. 155<br />

21 Ibidem.<br />

92


<strong>del</strong> Passato”, come ho scritto in certi versi che ho pubblicato<br />

nel volume Mamma Roma. 22<br />

La densità di suggestioni presenti in questo<br />

estratto <strong>del</strong>la risposta di <strong>Pasolini</strong> al suo lettore è<br />

davvero notevole. Il cineasta, infatti, non solo<br />

ribadisce la sua programmatica volontà di contaminazione<br />

a più livelli, ma descrivendo questo stilema proprio come<br />

“espressionistico”, egli usa la stessa categoria dentro<br />

la quale, sulla scorta di Walter Siti, avevo collocato la<br />

sua pratica letteraria e nella quale è lecito far<br />

rientrare anche i suoi primi film. Non bastasse, egli<br />

finisce per confermare, a riguardo di Accattone, <strong>un</strong><br />

giudizio che allontana il valore <strong>del</strong> film dalle diatribe<br />

di indirizzo politico-sociologico che si erano scatenate<br />

a ridosso <strong>del</strong>l’uscita <strong>del</strong>la pellicola. Dati che<br />

confermano, ancora <strong>un</strong>a volta, la contemporanea,<br />

impressionante compenetrazione, in ogni suo singolo atto<br />

espressivo, di componenti che derivano da tutte le sfere<br />

d’interesse che la sua curiosità di artista ha saputo,<br />

negli anni, toccare e plasmare, secondo gli indirizzi<br />

peculiari <strong>del</strong>la sua estetica e <strong>del</strong>la sua visione <strong>del</strong><br />

mondo. Il richiamo al ‘Passato’, infine, egli sottolinea<br />

non avere nulla di intellettualistico, viceversa, i suoi<br />

rimandi si imperniano sulla credenza che in determinati<br />

canoni espressivi di certe epoche ormai tramontate <strong>del</strong>la<br />

nostra storia, risiedesse <strong>un</strong>’armonia che ci sarebbe<br />

d’aiuto, se fossimo ancora capaci di leggere e di<br />

comprendere, dentro le opere che ci sono state<br />

tramandate, i segni dei tempi. 23<br />

22 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Le belle bandiere, a cura di Gian Carlo<br />

Ferretti, Roma, Editori Ri<strong>un</strong>iti, 1996, p. 233.<br />

23 Si legga a tal proposito proprio la poesia che lo stesso <strong>Pasolini</strong><br />

ha citato nel suo intervento su «Vie nuove», e che dalla<br />

sceneggiatura di Mamma Roma è in seguito stata inserita nella sezione<br />

intitolata Poesie mondane, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Poesia in forma di<br />

rosa, Milano, Garzanti, 1976, p. 22.<br />

93


Calabretto, come ho accennato, ha cercato di<br />

isolare, all’interno <strong>del</strong> discorso <strong>pasoliniano</strong>, la<br />

specifica componente <strong>del</strong> richiamo musicale, intendendo<br />

quindi farne risaltare l’importanza anche dentro la<br />

produzione letteraria di <strong>Pasolini</strong>, e potendo dire dei<br />

romanzi romani, come la presenza <strong>del</strong>la musica sia<br />

costante e come contribuisca in modo determinante a<br />

crearne l’atmosfera. Ma è in <strong>un</strong> racconto composto dallo<br />

scrittore nel 1950, durante i primi tempi <strong>del</strong> suo<br />

soggiorno nella capitale, che la componente musicale<br />

assume <strong>un</strong>’importanza così particolare nel tessuto <strong>del</strong><br />

testo da meritare <strong>un</strong> approfondimento in questa sede. Si<br />

tratta <strong>del</strong> racconto Il Biondomoro, definito da Calabretto<br />

<strong>un</strong> ‘racconto in forma-sonata’, visto che il materiale<br />

narrativo si trova organizzato in cinque movimenti che<br />

richiamano, anche nei vari sottotitoli, la Sonata<br />

classica. 24 Calabretto ne parla in questi termini:<br />

La musicalità di queste pagine non va tanto ricercata in<br />

supposte ed errate corrispondenze a livello formale, [...]<br />

quanto nelle affinità vissute a livello poetico fra i due<br />

linguaggi. <strong>Pasolini</strong>, <strong>del</strong> resto, non sapeva cosa fosse <strong>un</strong><br />

soggetto, <strong>un</strong> divertimento, <strong>un</strong>’esposizione o <strong>un</strong>o sviluppo per<br />

poter tentare operazioni di lettura <strong>del</strong> genere. Possedeva<br />

invece quella musicalità innata che gli permetteva di rendere<br />

poeticamente le emozioni musicali che <strong>un</strong>o Scherzo oppure <strong>un</strong>a<br />

Fuga riescono a trasmettere. 25<br />

Non andrebbe inoltre trascurato l’elemento<br />

autobiografico 26 , che vedrebbe <strong>Pasolini</strong> alla sua scrivania<br />

ascoltare incessantemente Bach e Vivaldi mentre compone i<br />

suoi racconti e romanzi di ambientazione sottoproletaria.<br />

Dato che fa dire a Bertini:<br />

24<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Alì dagli occhi azzurri, Milano, Garzanti,<br />

1989, pp. 34-43.<br />

25<br />

Roberto Calabretto, <strong>Pasolini</strong> e la musica, cit., p. 258.<br />

26<br />

«<strong>Pasolini</strong> lavorava accanitamente al mattino, in casa, - sul<br />

giradischi musica settecentesca: Bach, Vivaldi, soprattutto» cfr.<br />

Enzo Siciliano, Vita di <strong>Pasolini</strong>, Milano, Rizzoli, 1979, p. 234.<br />

94


Verosimilmente sono le note che presiedono alla nascita<br />

letteraria di personaggi quali il Riccetto, il Caciotta,<br />

Tommaso Puzzilli, che popolano le pagine di Ragazzi di vita e<br />

di Una vita violenta. La “carica di vitalità” <strong>del</strong> mondo<br />

sottoproletario si circonda di <strong>un</strong>’atmosfera musicalmente epicoreligiosa<br />

che la sacralizza e la nobilita. 27<br />

Le sue scelte musicali nella pratica registica,<br />

d<strong>un</strong>que, potrebbero essere considerate ingenue e<br />

istintive, ma come ho detto più volte, sono il risultato<br />

<strong>del</strong>l’elasticità con cui, programmaticamente, <strong>Pasolini</strong> si<br />

accosta ai testi artistici, qual<strong>un</strong>que sia il codice nel<br />

quale si esprimano, a qual<strong>un</strong>que <strong>un</strong>iverso semiotico<br />

appartengano, il suo obbiettivo finale è sempre la<br />

contaminazione. Una contaminazione com<strong>un</strong>que attenta, ma<br />

che non ha mai troppo bisogno d’essere ponderata, in<br />

quanto scaturisce dalla pratica di <strong>un</strong> esercizio<br />

stilistico che ha dietro di sé molti anni di<br />

maturazione. 28<br />

In Accattone, in particolare, la musica di Bach con<br />

tutto il suo portato di stampo religioso-sacrale, «non si<br />

limita convenzionalmente all’imitazione di ciò che si<br />

vede nella scena, ma opponendosi agli “avvenimenti di<br />

superficie” crea <strong>un</strong> vero e proprio contrapp<strong>un</strong>to<br />

drammaturgico» 29 . Il Biondomoro rappresenta, secondo me,<br />

<strong>un</strong> primo, precario esperimento per arrivare al risultato<br />

27<br />

Antonio Bertini, Teoria e tecnica <strong>del</strong> film in <strong>Pasolini</strong>, Roma,<br />

Bulzoni, 1979, p. 55.<br />

28<br />

Credo si possa comprendere meglio l’indirizzo di fondo di questa<br />

scelta stilistica, pensando alla critica che <strong>Pasolini</strong> ha mosso più<br />

volte, nei suoi interventi di stampo giornalistico, nei confronti<br />

<strong>del</strong>l’usurato concetto di “tolleranza”. La “tolleranza”, egli diceva,<br />

presa nel suo significato letterale, è infatti <strong>un</strong>’anti-virtù<br />

attraverso la quale si mantiene <strong>un</strong> ordine sociale fondato su <strong>un</strong><br />

sistema molto simile a quello indiano <strong>del</strong>le caste. Colui che<br />

“tollera”, oltre a inquadrare la presenza <strong>del</strong>l’Altro solo all’interno<br />

<strong>del</strong>la sua dipendenza da questa “concessione compassionevole”, decide<br />

anche di non “sporcarsi” con l’Altro, di non avere a che fare con lui<br />

in ness<strong>un</strong> modo, contatto che, paradossalmente, viene a stabilirsi in<br />

caso di scontro aperto.<br />

29<br />

Antonio Bertini, Teoria e tecnica <strong>del</strong> film in <strong>Pasolini</strong>, cit., p.<br />

60.<br />

95


che <strong>Pasolini</strong> riesce a ottenere appieno solamente nei<br />

film, utilizzando al massimo grado le potenzialità <strong>del</strong>la<br />

sovrapposizione verticale dei diversi codici su cui si<br />

fonda il linguaggio cinematografico. Non va dimenticato,<br />

ovviamente, che il tipo di contaminazione a cui gi<strong>un</strong>ge ha<br />

moltissimo a che vedere anche con l’imitazione <strong>del</strong> suo<br />

reiterato e celeberrimo procedere per sineciòsi in campo<br />

poetico, oltre ad apparire come <strong>un</strong> residuo <strong>del</strong>la<br />

contaminazione linguistica dei romanzi. Però, Il<br />

Biondomoro, incentrato com’è su <strong>un</strong>a scena di omicidio, di<br />

lotta, in cui si descrive <strong>un</strong>a colluttazione violentissima<br />

e cru<strong>del</strong>e mentre si invita il lettore a concretizzarne<br />

l’immagine sullo stesso piano astratto in cui si usa<br />

associare <strong>un</strong> contenuto o <strong>un</strong>o stato d’animo a <strong>un</strong>a frase<br />

musicale, sembra avere moltissimo in com<strong>un</strong>e con il<br />

celeberrimo episodio di Accattone in cui la raffinatezza<br />

<strong>del</strong> sistema musicale bachiano viene fatta stridere a<br />

contatto proprio con <strong>un</strong>a scena di lotta nella polvere.<br />

Analizzerò più da vicino, nel capitolo dedicato<br />

all’analisi filmica, questo momento <strong>del</strong> film dove il<br />

pastiche finisce per stabilizzare il senso su <strong>un</strong><br />

orizzonte altrimenti difficilmente raggi<strong>un</strong>gibile. Qui,<br />

posso com<strong>un</strong>que dire, che si tratta <strong>del</strong>l’orizzonte com<strong>un</strong>e<br />

alla sua letteratura, alla sua poesia: quel suo guardare<br />

alle cose e alle persone <strong>del</strong> mondo, soprattutto alle più<br />

misere e prive di coscienza, come a dei contenitori di<br />

antica purezza.<br />

96


LA SCENEGGIATURA COME TRADUTTORE<br />

A pochi mesi dalla presentazione ufficiale di<br />

Accattone a Venezia, <strong>Pasolini</strong> partecipò, a Torino, a <strong>un</strong><br />

dibattito organizzato a cura di Nino Ferrero con<br />

interventi di Br<strong>un</strong>o Voglino e Rolando Iotti, tenutosi<br />

immediatamente dopo la visione <strong>del</strong> film. L’intervista,<br />

che venne trascritta a poca distanza di tempo sulla<br />

rivista «Filmcritica», inizia con <strong>un</strong>a curiosità di<br />

Ferrero rispetto a quali fossero state le nuove esigenze<br />

espressive avvertite dall’autore, sostituendo alla penna<br />

la macchina da presa. Domanda che sembra tradire al suo<br />

interno la convinzione, in fondo non così scontata, che<br />

tra lo scrivere <strong>pasoliniano</strong> e il suo modo di filmare<br />

possa essere tracciata <strong>un</strong>a filiazione. <strong>Pasolini</strong> risponde<br />

chiamando in causa, identici, i ragionamenti impressi<br />

nelle pagine preliminari alla sceneggiatura di Accattone<br />

sotto il titolo App<strong>un</strong>ti dopo Accattone, riflessioni che<br />

ho già riass<strong>un</strong>to nel secondo capitolo. Riguardo al<br />

problema <strong>del</strong>l’assenza di <strong>un</strong> corrispondente diretto <strong>del</strong>la<br />

metafora nel film, egli ribadisce d’aver «capito che<br />

questa metafora può essere recuperata attraverso <strong>un</strong>a<br />

forma di espressione che la faccia scaturire nella testa<br />

<strong>del</strong>lo spettatore» 1 . Poi, continua sottolineando come<br />

questo effetto di senso sia, per lui, qualcosa di<br />

totalmente nuovo e non ancora <strong>del</strong> tutto metabolizzato;<br />

dice trattarsi di <strong>un</strong>’impressione: «l’impressione di<br />

questa metafora ricreata non direttamente dall’autore ma<br />

fatta vibrare come <strong>un</strong> diapason nella testa <strong>del</strong>lo<br />

spettatore» 2 . Questa, tuttavia, appare come la descrizione<br />

di <strong>un</strong> processo ideale, nel quale sembrerebbe doversi<br />

1 Incontro con <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, «Filmcritica», (1962), 116, ora<br />

in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte le opere. Per il cinema, Tomo II, a<br />

cura di Walter Siti e Franco Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, pp.<br />

2799-2818, [2801].<br />

2 Ivi, p. 2802<br />

97


stabilire quasi direttamente <strong>un</strong> passaggio di consegne tra<br />

la metafora che <strong>Pasolini</strong> aveva in mente prima di<br />

veicolare il materiale da girare in quella direzione e la<br />

sua risultante finale impressa nella pellicola.<br />

Proprio l’iniziale apertura di <strong>Pasolini</strong> verso le<br />

potenzialità <strong>del</strong> dato metaforico verrà di fatto stroncata<br />

qualche anno più tardi, negli scritti sul cinema<br />

elaborati intorno al 1965 e raccolti in Empirismo<br />

eretico, quando, volendo seguire <strong>un</strong> indirizzo pseudosemiotico,<br />

egli prenderà le distanze da affermazioni di<br />

questo stampo, inserendosi a modo suo sul solco tracciato<br />

da Metz sulla scorta di Jakobson, secondo il quale il<br />

cinema sarebbe arte essenzialmente metonimica. 3 Tuttavia,<br />

la fiducia di <strong>Pasolini</strong> in <strong>un</strong> rapporto vivo tra<br />

raffigurazione cinematografica e metafora letteraria,<br />

sembra dare consistenza alle peculiarità che fanno <strong>del</strong><br />

suo primo film <strong>un</strong> <strong>nucleo</strong> dal quale è impossibile scindere<br />

l’alone di testi che gli fa da supporto e da riferimento,<br />

alone dentro il quale vorrei dimostrare come la<br />

sceneggiatura abbia avuto <strong>un</strong> ruolo importante e preciso.<br />

Le immagini <strong>del</strong> film, certo, restano sempre aperte a<br />

più interpretazioni, mantengono la loro equivocità<br />

semantica. Ma la stessa equivocità, in fondo, appartiene<br />

anche alle parole e la concretezza di questo dato<br />

<strong>Pasolini</strong> l’ha vista emergere osservando i film che altri<br />

registi hanno tratto dalle sue sceneggiature. Tornando al<br />

dibattito torinese da cui ero partito, si può riscontrare<br />

come Ferrero abbia cercato di far circolare le idee<br />

proprio intorno a questo tema:<br />

FERRERO: [...] A me pare cioè che nelle sue sceneggiature<br />

lei non sia riuscito ad esprimersi compiutamente, liberamente,<br />

così come invece è avvenuto in Accattone. In altre parole, mi<br />

3 Christian Metz, Cinema e psicanalisi, Venezia, Marsilio, 1980, in<br />

particolare pp. 133-272.<br />

98


pare che abbia dovuto subire la tirannia, se così vogliamo<br />

chiamarla, <strong>del</strong> regista.<br />

PASOLINI: Beh, penso però che se lei leggesse la<br />

sceneggiatura de La notte brava e quella di Accattone<br />

probabilmente non vedrebbe molta differenza. La differenza si<br />

ha in quanto quelli sono film di altri autori. 4<br />

<strong>Pasolini</strong> continua, d<strong>un</strong>que, sostenendo che la<br />

sceneggiatura non avrebbe alc<strong>un</strong> peso dal p<strong>un</strong>to di vista<br />

di <strong>un</strong>a sua successiva potenziale influenza stilistica nei<br />

confronti <strong>del</strong> film. Il cineasta, tuttavia, al quale, come<br />

ho già detto, capitava spesso in sede di intervista, si<br />

smentisce parzialmente già rispondendo al quesito<br />

successivo:<br />

IOTTI: Ma lei ha fatto il film perché durante il lavoro<br />

precedente o con altri autori, non ha trovato nei risultati,<br />

nei film qualcosa che fosse suo, quindi per <strong>un</strong>’intima esigenza<br />

di esprimere qualche cosa tutta sua, oppure l’ha fatto così,<br />

per provare <strong>un</strong> nuovo mezzo espressivo?...<br />

PASOLINI: Per tutte e due le ragioni. C’è però <strong>un</strong>a<br />

ragione fondamentale, che è la seconda da lei prospettata;<br />

[...] facevo <strong>del</strong>le sceneggiature e vedevo che risultavano non<br />

come me le immaginavo; erano dei bei film, indubbiamente sia La<br />

notte brava che Morte di <strong>un</strong> amico mi sembrano buoni, per<br />

ragioni diverse, però non erano quelli che mi immaginavo io<br />

scrivendo i copioni. 5<br />

Ecco il p<strong>un</strong>to, <strong>Pasolini</strong>, come ogni bravo<br />

sceneggiatore, scriveva i suoi copioni immaginando <strong>un</strong><br />

film da farsi e questo dato doveva investire<br />

profondamente la base <strong>del</strong>la struttura letteraria<br />

<strong>del</strong>l’opera. Tanto che in seguito egli potrà stabilirne<br />

l’autonomia di genere proprio a partire da <strong>un</strong>a<br />

definizione (la celebre: «struttura che vuol essere altra<br />

4 Incontro con <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, «Filmcritica», (1962), 116, ora<br />

in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Tutte le opere. Per il cinema, Tomo II, cit.,<br />

pp. 2799-2818, [2802].<br />

5 Ivi, p. 2802-2803.<br />

99


struttura») dove paradossalmente si ritrova <strong>un</strong>a sorta di<br />

intrinseca dipendenza testuale rispetto al film 6 , il quale<br />

poi, fatto di immagini in movimento e di piani in<br />

movimento, fatto di suoni, di dialoghi e di musiche che<br />

si sovrappongono, finisce com<strong>un</strong>que per concretarsi dentro<br />

<strong>un</strong> flusso linguistico tanto peculiare da rendere spesso<br />

complessa la stessa realizzazione di <strong>un</strong> copione composto<br />

a posteriori, ovvero <strong>del</strong>la cosiddetta “sceneggiatura<br />

des<strong>un</strong>ta”.<br />

Vittorio Cerami, nella sua acutissima introduzione<br />

alla raccolta complessiva di tutte le sceneggiature<br />

pasoliniane (alc<strong>un</strong>e des<strong>un</strong>te), ha cercato più volte di<br />

ribadire questo aspetto:<br />

Non è affatto necessario aver visto i film per<br />

appassionarsi alla lettura <strong>del</strong>le sceneggiature pasoliniane,<br />

anzi: senza il condizionamento <strong>del</strong>la memoria l’evocazione è<br />

superiore, la fantasia si apre con più libertà e più sfumature,<br />

e si personalizza sulla misura <strong>del</strong> lettore. Questa è la ragione<br />

principale che rende più interessanti le sceneggiature scritte<br />

prima <strong>del</strong>le riprese cinematografiche rispetto a quelle dedotte<br />

dalla moviola.<br />

Cerami osserva i lavori di <strong>Pasolini</strong> con l’occhio<br />

<strong>del</strong>l’addetto ai lavori, essendo egli stesso <strong>un</strong>o<br />

sceneggiatore di l<strong>un</strong>ga esperienza, cosa che lo porta a<br />

insistere con particolare accanimento sulle potenzialità<br />

riposte nel dato letterario. Si tratta, com<strong>un</strong>que, di<br />

<strong>un</strong>’ottica utilissima a far emergere la natura profonda<br />

<strong>del</strong>la “scrittura per cinema” pasoliniana, nella quale<br />

Cerami intravede continuamente <strong>un</strong> carattere di autonomia<br />

testuale molto più forte di quello che lo stesso <strong>Pasolini</strong><br />

sembrerebbe volergli concedere.<br />

6 Cfr. <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, La sceneggiatura come «struttura che vuol<br />

essere altra struttura», in Empirismo eretico, Milano, Garzanti,<br />

2000, pp. 188-197.<br />

100


Personalmente, almeno per quanto riguarda la<br />

sceneggiatura di Accattone, credo che non vada<br />

dimenticato il dato fondamentale <strong>del</strong>la “novità”. Ovvero,<br />

<strong>Pasolini</strong>, che fin al 1961 aveva dovuto suggerire con la<br />

parola degli orizzonti visivi che si sarebbero<br />

concretizzati nei film di altri registi, si trova nella<br />

condizione di doverli suggerire a se stesso. Come ha<br />

scritto Br<strong>un</strong>etta:<br />

Evidentemente questa <strong>del</strong>la sceneggiatura non è <strong>un</strong>a lingua<br />

<strong>del</strong> cinema ma <strong>un</strong>a lingua per il cinema nella quale <strong>Pasolini</strong><br />

però conserva la propria attitudine di linguista di osservatore<br />

di <strong>un</strong> linguaggio potentemente espressivo da analizzare “in<br />

vitro”, da studiare in tutte le sue varianti. 7<br />

Il metodo di <strong>Pasolini</strong> ricorda l’abitudine di parlare<br />

tra sé, sottovoce, per rendersi maggiormente chiari certi<br />

pensieri. Egli opera, in fase di sceneggiatura, <strong>un</strong>a<br />

riduzione degli elementi descrittivi che avrebbe potuto<br />

usare se avesse teso a <strong>un</strong>a forma romanzesca ma, allo<br />

stesso tempo, dovendo rendere con schizzi rapidi e poco<br />

dispersivi le visioni che lo assillano, non va alla<br />

ricerca di stilemi particolarmente innovativi, decide<br />

semplicemente di giocare con enfasi maggiore su alc<strong>un</strong>e<br />

mosse tra quelle già utilizzate nella sua opera<br />

letteraria, visto che le sue opere letterarie erano già<br />

informate da <strong>un</strong> audace dinamismo discorsivo e da <strong>un</strong>a resa<br />

estremamente concreta <strong>del</strong>lo spazio dei personaggi.<br />

Su tutte, <strong>un</strong>a figura retorica sembra servire<br />

particolarmente bene allo scopo e inserirsi, con<br />

facilità, dentro il dettato lineare <strong>del</strong>la sceneggiatura<br />

di Accattone: la similitudine; nella stragrande<br />

maggioranza dei casi, <strong>un</strong>a similitudine fondata su <strong>un</strong>a<br />

relazione con il mondo animale. Così, non solo i<br />

7 Gian <strong>Pier</strong>o Br<strong>un</strong>etta, Forma e parola nel cinema: il film muto<br />

<strong>Pasolini</strong>-Antonioni, Padova, Liviana, 1979, p. 42.<br />

101


Gennarino dovranno somigliare a iene, ma i bambini<br />

dovranno muoversi come fringuelli, se fossero mezzi nudi,<br />

ricordare dei vermi; all’occorrenza, l’attore si dovrà<br />

muovere come immedesimato in <strong>un</strong>a serpe. Sono solo alc<strong>un</strong>i<br />

esempi <strong>del</strong>l’impressionate quantità di variazioni sul tema<br />

inventate da <strong>Pasolini</strong> per aiutarsi, ecco il p<strong>un</strong>to al<br />

quale vorrei arrivare, a <strong>tradurre</strong> la sua scena mentale in<br />

<strong>un</strong>a sequenza di fotogrammi, in cinema. Br<strong>un</strong>etta, nel suo<br />

saggio teso ad approfondire proprio l’aspetto <strong>del</strong>la<br />

“parola” nel cinema di <strong>Pasolini</strong>, ha chiarito bene come<br />

questa scelta non derivi «da <strong>un</strong>a limitata capacità<br />

poetica di sintesi più audaci, ma dal desiderio di<br />

istituire immediate analogie, per dare l’equivalente<br />

verbale in grado di sostituire l’impressione soggettiva<br />

con <strong>un</strong>’immagine di immediata “riconoscibilità”, ma di<br />

maggior pregnanza» 8 . Cosa assai rilevante, alla luce <strong>del</strong><br />

discorso sulla contaminazione pittorica fatto nei<br />

capitoli precedenti, è ritrovare, già in fase di<br />

sceneggiatura, similitudini che usano come termine di<br />

paragone <strong>un</strong>’immagine presa in prestito dalla storia<br />

<strong>del</strong>l’arte:<br />

Il Napoletano è là, che sorride radioso, sotto i capelli<br />

biondi, con tutta la chiostra bianca dei denti fuori:<br />

l’arcangelo San Michele. 9<br />

I compari lo guardano, seduti sulle seggiolette <strong>del</strong> bar,<br />

immobili, fermi come in <strong>un</strong> mosaico bizantino. 10<br />

8 Gian <strong>Pier</strong>o Br<strong>un</strong>etta, Forma e parola nel cinema: il film muto<br />

<strong>Pasolini</strong>-Antonioni, cit., p. 46.<br />

9 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Accattone, Roma, FM, 1961, p. 34. A giudicare<br />

dagli incartamenti conservati nell’Archivio <strong>Pasolini</strong> presso<br />

l’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti <strong>del</strong> Gabinetto Vieusseux<br />

di Firenze, non ci sarebbero differenze rilevanti tra la versione<br />

<strong>del</strong>la sceneggiatura terminata di stampare il 14 Agosto 1961 per le<br />

edizioni FM e <strong>un</strong> precedente dattiloscritto di copisteria rilegato in<br />

cartoncino rosso riportante il titolo preliminare di Stella. In <strong>un</strong>a<br />

cartella di cartoncino marrone recante l’intestazione Accattone sono<br />

invece conservati vari foglietti manoscritti contenenti alc<strong>un</strong>e<br />

annotazioni di regia e <strong>un</strong> trattamento dattiloscritto dove la trama e<br />

gli episodi hanno già in larga parte lo sviluppo <strong>del</strong>la versione<br />

definitiva.<br />

102


Certi elementi base <strong>del</strong> suo linguaggio poetico poi,<br />

hanno ormai caratteristiche tanto definite dentro la<br />

costruzione <strong>del</strong> suo sguardo che, la loro evocazione<br />

all’interno <strong>del</strong>la sceneggiatura, quasi finisce per<br />

snaturare il carattere di sospensione e di arbitrarietà<br />

<strong>del</strong> senso connaturato al loro uso in <strong>un</strong> contesto<br />

letterario. Il senso diviene tanto definito da renderli<br />

simili agli attributi di <strong>un</strong> linguaggio tecnico. Questo<br />

avviene per esempio in quasi tutti i casi in cui <strong>Pasolini</strong><br />

sente il bisogno di dirsi quale preciso tipo di sole<br />

servirà per dare alle immagini la patina voluta. La<br />

sceneggiatura di Accattone si apre con <strong>un</strong> sole che «tutto<br />

brucia. Il sole tenero <strong>del</strong>la mattina di fine estate, come<br />

calce rovente» 11 . Se è valida la considerazione che la<br />

sceneggiatura tende sempre a <strong>un</strong> film da farsi, in questo<br />

caso bisogna tenere presente che <strong>Pasolini</strong> scrive anche<br />

nella tensione costante a distaccarsi dalla tentazione di<br />

cedere al richiamo <strong>del</strong>la poesia o <strong>del</strong> romanzo. <strong>Pasolini</strong><br />

poco più di <strong>un</strong> anno prima aveva intitolato Al sole 12<br />

<strong>un</strong>’intera poesia, ma era <strong>un</strong> «buio sole» quello che<br />

continuamente vi compariva, <strong>un</strong> sole descritto per<br />

sineciòsi non per similitudine, che non aveva mai la<br />

concretezza che assumerà nella sceneggiatura. Una<br />

concretezza che gli deriva, per certi versi solo grazie<br />

alla sua collocazione in <strong>un</strong> testo che non si pone come<br />

programmaticamente poetico; tale, a volte, da far<br />

pensare, in <strong>un</strong> contesto da teatro di posa, alle<br />

indicazioni per il direttore <strong>del</strong>le luci, quasi riportasse<br />

la posizione e le caratteristiche <strong>del</strong>le fonti luminose<br />

artificiali, con relativa potenza in watt, che serviranno<br />

al momento di girare la scena. Del resto, anche la<br />

10<br />

Ivi, p. 46.<br />

11<br />

Ivi, p. 27.<br />

12<br />

<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, La religione <strong>del</strong> mio tempo, Milano, Garzanti,<br />

1995, pp. 149-152.<br />

103


direzione <strong>del</strong>le luci 13 doveva ruotare, in Accattone, tutta<br />

intorno all’antico desiderio <strong>pasoliniano</strong> di avere <strong>un</strong>a<br />

presa poetica sulla realtà. E <strong>Pasolini</strong>, usando questi<br />

particolari stilemi in fase di sceneggiatura, dava forma<br />

a <strong>un</strong> testo che, mentre chiudeva le porte a molte <strong>del</strong>le<br />

aperture presenti nel suo linguaggio poetico, stentava a<br />

piegarsi tutto sul versante <strong>del</strong>la pura visibilità e<br />

concretezza <strong>del</strong>l’azione. Ma non per questo la<br />

sceneggiatura perde il suo valore f<strong>un</strong>zionale, anzi, ogni<br />

elemento riportato, servirà da indicazione per arrivare a<br />

definire meglio durante la lavorazione <strong>del</strong> film il<br />

carattere suggestivo che l’immagine dovrà assumere.<br />

Leggendo il diario <strong>del</strong>la prima lavorazione possiamo<br />

trovare p<strong>un</strong>tuali testimonianze <strong>del</strong>la precisa rilevanza<br />

che il copione aveva nelle sue mani:<br />

Non avrei mai immaginato che il lavoro <strong>del</strong>la regia fosse<br />

così straordinario. Sceglievo il modo più rapido e semplice per<br />

rappresentare quello che avevo scritto nella sceneggiatura.<br />

Piccoli blocchi visivi giustapposti con ordine, quasi con<br />

rozzezza. 14<br />

Ancora, nella risposta a <strong>un</strong>o studente durante <strong>un</strong><br />

dibattito tenutosi nel 1964 presso il Centro Sperimentale<br />

di Cinematografia, è possibile cogliere <strong>un</strong>a testimonianza<br />

ricca di sp<strong>un</strong>ti a riguardo:<br />

[...] non posso dirle: nella sceneggiatura c’era già<br />

tutto, come effettivamente c’era. Tuttavia la scelta di quel<br />

marciapiede anziché di <strong>un</strong> altro marciapiede, la scelta di<br />

quella luce anziché di <strong>un</strong>’altra luce, di quei personaggi<br />

anziché di altri personaggi, ha fatto si che alla fine<br />

13 Si tratta di <strong>un</strong> ruolo ovviamente indefinito in questo primo film,<br />

nel quale l’illuminazione era affidata quasi interamente alle<br />

condizioni di luce reali, la cui pertinenza, dopo il vaglio <strong>del</strong><br />

regista, era garantita dal direttore <strong>del</strong>la fotografia Tonino Delli<br />

Colli.<br />

14 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Accattone, cit., p. 3.<br />

104


Accattone fosse totalmente diverso a quello che avevo visto 15<br />

nella sceneggiatura. Cioè nella sceneggiatura io avevo visto lo<br />

schema <strong>del</strong>le scene che compongono il film e questo schema l’ho<br />

riempito fe<strong>del</strong>mente, ho cercato di riempirlo di <strong>un</strong>a sostanza<br />

veramente viva, di elementi poetici o se volete di poesia. 16<br />

<strong>Pasolini</strong>, lo ricorda ancora Cerami, attua questo<br />

meccanismo anche per dare corpo a quelli che al cinema si<br />

chiamano “piani d’ascolto”, che sono le reazioni fisiche,<br />

comportamentali dei personaggi alle battute che vengono<br />

loro rivolte. Sullo schermo questi momenti sono<br />

innumerevoli, mentre in sceneggiatura compaiono solamente<br />

se necessari. Proprio perché <strong>Pasolini</strong> scriveva per dare,<br />

soprattutto a se stesso, oltre che a <strong>un</strong> potenziale<br />

lettore, <strong>un</strong>a possibilità immediata di riempire questi<br />

vuoti, egli non poteva fare altro che ricorrere ancora<br />

<strong>un</strong>a volta alla letteratura. Come scrive Cerami:<br />

[...] evoca il senso recondito di ogni battuta facendola<br />

precedere o seguire da <strong>un</strong>a breve digressione che mai potrà<br />

essere pedissequamente riprodotta in cinema. Le didascalie,<br />

cioè la descrizione <strong>del</strong>le inquadrature, suggeriscono<br />

“letterariamente” lo spirito di ogni immagine e <strong>del</strong>le battute<br />

che le contengono. 17<br />

Ciò che non potrà essere «pedissequamente riprodotto<br />

in cinema», tuttavia, è semplicemente la loro intrinseca<br />

letterarietà, e di questo lo stesso <strong>Pasolini</strong> era<br />

pienamente cosciente. Le sceneggiature che egli scrisse<br />

per sé vanno decisamente distinte da quelle che ha<br />

scritto per altri registi. In Accattone l’uso di richiami<br />

15 Corsivo mio.<br />

16 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Una visione <strong>del</strong> mondo epico-religiosa,<br />

registrazione di <strong>un</strong> dibattito con gli studenti <strong>del</strong> Centro<br />

Sperimentale di Cinematografia svoltosi a Roma il 9 marzo 1964,<br />

apparso in «Bianco e nero», (1964), 6, ora in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>,<br />

Tutte le opere. Per il cinema, Tomo II, cit., pp. 2844-2879 [2849-<br />

50].<br />

17 Vincenzo Cerami, La trascrizione <strong>del</strong>lo sguardo, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, Tutte le opere. Per il cinema, Tomo I, cit., pp. XXV-XLVI<br />

[XXXVII].<br />

105


autoreferenziali è notevolissimo, essendo la<br />

sceneggiatura «concepita per far emergere quei dati<br />

visivi che solo lui poteva mettere in piedi con la<br />

macchina da presa». 18 In tutte le prime sceneggiature<br />

<strong>Pasolini</strong> non riuscì a prescindere dal ricercare la forma<br />

più adatta al racconto, perché pensava sempre di<br />

rivolgersi a <strong>un</strong> lettore. Ma, soprattutto nella sua<br />

formulazione iniziale e più strettamente tecnica, il suo<br />

copione poteva rivolgersi solamente a <strong>un</strong> lettore ideale,<br />

oppure, data la contingenza, al suo stesso autore. La mia<br />

idea, in fondo, è che <strong>Pasolini</strong> abbia informato il copione<br />

di Accattone di <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione ben precisa: quella di<br />

essere <strong>un</strong>a sorta di testo “traduttore”. In altre parole,<br />

<strong>un</strong> testo f<strong>un</strong>zionante in <strong>un</strong>a sorta di limbo, <strong>un</strong>a zona<br />

mediana dove è possibile esercitare la difficile pratica<br />

di com<strong>un</strong>icare a cavallo tra due differenti sistemi<br />

espressivi, per prendere il meglio da entrambi. Come<br />

sottolinea Cerami:<br />

[<strong>Pasolini</strong>] scriveva con <strong>un</strong> occhio alla letteratura e<br />

l’altro allo schermo, per scavare, rintracciare dentro <strong>un</strong><br />

linguaggio bidimensionale, non fatto di pensieri ma di facce,<br />

comportamenti e panorami, verità che il cinema,<br />

linguisticamente, tende a nascondere. [...] Il testo scritto,<br />

proprio per la sua radice letteraria, suggeriva al regista<br />

l’invisibile da evocare con la macchina da presa. 19<br />

Ho ricordato più volte come l’esperienza di<br />

sceneggiatore, al momento di realizzare Accattone,<br />

rappresentasse per <strong>Pasolini</strong> l’<strong>un</strong>ico bagaglio tecnicocinematografico<br />

di cui poteva ritenersi dotato. In<br />

<strong>un</strong>’epoca che non conosceva l’uso <strong>del</strong> video 20 , quello <strong>del</strong>la<br />

18 Ivi, p. XXXVIII.<br />

19 Ivi, p. XXXIX.<br />

20 Ma che conosceva quello <strong>del</strong>la fotografia, <strong>del</strong>l’istantanea, che<br />

<strong>Pasolini</strong>, infatti, userà moltissimo, accompagnato dall’aiuto regista<br />

Bernardo Bertolucci e da quello che diventerà forse il più celebre<br />

fotografo di scena <strong>del</strong> cinema italiano: Tazio Secchiaroli. E farà<br />

106


sceneggiatura diventava l’<strong>un</strong>ico spazio in cui testare i<br />

meccanismi cinematografici che avrebbero concesso di<br />

restituire sulla pellicola tutti gli stilemi che egli<br />

aveva posto a reggere la costruzione <strong>del</strong>la sua opera<br />

letteraria. È ancora Br<strong>un</strong>etta a sottolineare come, <strong>del</strong><br />

resto, in <strong>un</strong>a qualsiasi descrizione presa da Ragazzi di<br />

vita o da Una vita violenta ci si possa imbattere<br />

nell’«accumulazione paratattica di metafore, sinestesie,<br />

forme gergali rare e di particolare carica espressiva» 21 ,<br />

accumulazione che per <strong>Pasolini</strong> doveva corrispondere a «<strong>un</strong><br />

vero e proprio “transfert” linguistico <strong>del</strong> proprio<br />

desiderio di ‘possedere’ di ‘godere’ il mondo<br />

rappresentato» 22 . Un nuovo mezzo espressivo, non<br />

significava <strong>un</strong>a nuova visione <strong>del</strong> mondo, anzi, doveva<br />

servire per contenere meglio le risorse esistenti. Lo<br />

stesso Cerami arriva in seguito a questa conclusione:<br />

Tra immaginazione astratta espressa nel copione e<br />

realizzazione concreta si frappone, per l’app<strong>un</strong>to, la<br />

letterarietà <strong>del</strong>la sceneggiatura. Studiare dove e perché il<br />

cinema ha dato e dove e perché ha tolto alla scrittura, è <strong>un</strong>a<br />

possibile chiave per interpretare l’arte <strong>del</strong>la regia<br />

pasoliniana. 23<br />

Un invito che era impossibile non cogliere e i cui<br />

risultati, spero, emergeranno con chiarezza nelle pagine<br />

che compongono il capitolo successivo.<br />

scattare moltissime foto non solo in fase di sopraluogo e di provini,<br />

ma già al momento di dover convincere Fellini (che doveva, in <strong>un</strong><br />

primo tempo, produrre Accattone) e, soprattutto se stesso, che il<br />

film si sarebbe potuto fare.<br />

21 Gian <strong>Pier</strong>o Br<strong>un</strong>etta, Forma e parola nel cinema : il film muto<br />

<strong>Pasolini</strong>-Antonioni, cit., p. 46.<br />

22 Ibidem.<br />

23 Vincenzo Cerami, La trascrizione <strong>del</strong>lo sguardo, cit., p. XXXIV.<br />

107


IL TESTO D’ARRIVO:<br />

ANALISI DI ALCUNE SEQUENZE ESEMPLARI DI ACCATTONE<br />

Ho estrapolato dal film cinque scene, ma in molti<br />

casi sarebbe meglio definirli inserti, che, dopo<br />

<strong>un</strong>’attenta analisi, spero riescano a confermare e<br />

esemplificare, le suggestioni principali emerse nel corso<br />

di questo lavoro. Per definirne l’esatta collocazione<br />

all’interno <strong>del</strong> film, oltre ad alc<strong>un</strong>i accenni alla trama<br />

che le preann<strong>un</strong>cia, farò riferimento, di volta in volta,<br />

a due parametri più precisi: il primo sarà il numero<br />

<strong>del</strong>le inquadrature 1 entro le quali la sequenza è<br />

contenuta, il secondo saranno i numeri <strong>del</strong>le pagine <strong>del</strong><br />

copione originale 2 in cui era prevista l’azione messa in<br />

scena.<br />

Per ogn<strong>un</strong>o dei momenti presi in considerazione<br />

cercherò di suggerire quale possa essere stato lo<br />

stilema, già utilizzato in ambito di creazione<br />

letteraria, che <strong>Pasolini</strong> ha voluto riattivare nel film e<br />

con quale fine espressivo. Inoltre, come ha invitato a<br />

fare Vincenzo Cerami, tenterò di istituire <strong>un</strong> confronto<br />

tra la sceneggiatura <strong>del</strong> film, con il suo carico di<br />

suggestioni visive ed emotive, e la risultante finale<br />

impressa sulla pellicola. Infine, proprio dentro lo<br />

scarto che viene naturalmente a crearsi tra intenzione e<br />

soluzione concreta, cercherò di definire alc<strong>un</strong>e mosse<br />

chiave <strong>del</strong>la regia cinematografica pasoliniana.<br />

1 Per questo parametro ho inteso affidarmi sulla suddivisione, in<br />

LXXI sequenze e 966 inquadrature, operata sul film da Lino Micciché<br />

nel suo libro <strong>Pasolini</strong> nella città <strong>del</strong> cinema, Venezia, Marsilio,<br />

1999, pp. 59-77.<br />

2 Questo riferimento sarà preso sempre sulla base <strong>del</strong> testo<br />

Accattone, Roma, FM, 1961.<br />

108


1) Irruzione d’innocenza.<br />

Seq. XVIII) Inqq. 207/231, pp. 44-45.<br />

C’è da dire, innanzitutto, che si tratta <strong>del</strong> secondo<br />

dei sei momenti che Micciché ha analizzato sotto il nome<br />

di «siparietti dei “ragazzi <strong>del</strong> bar”» 3 , e che in<br />

Accattone, film in cui il sistema <strong>del</strong>le dissolvenze non<br />

determina la struttura sintagmatica <strong>del</strong> film, se da <strong>un</strong><br />

lato vengono ad assumere <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione di «sospensione<br />

diegetica (quantomeno <strong>del</strong>la linea diegetica principale)<br />

hanno anche f<strong>un</strong>zione di “coro” (commento a ciò che è<br />

accaduto, preludio a ciò che accadrà) <strong>del</strong> dramma» 4 . Si<br />

tratta di momenti <strong>del</strong>l’intreccio già previsti in fase di<br />

scrittura e che nel film si caricano di grossa efficacia<br />

com<strong>un</strong>icativa. Tutti girati allo stesso modo, con pochi<br />

piani d’insieme e <strong>un</strong>a serie rapida di mezze figure che<br />

dialogano tra loro, e con il fuori campo, attraverso<br />

<strong>un</strong>’accentuata mimica facciale, sembrano realmente<br />

rimandare a <strong>un</strong> moderno coro, che faccia il verso a<br />

quello <strong>del</strong>la tragedia greca classica. Del resto, come ho<br />

scritto nel capitolo Il <strong>tradurre</strong> <strong>pasoliniano</strong>, proprio<br />

mentre lo scrittore stava pensando alla possibilità di<br />

realizzare il suo primo film, egli lavorava anche a <strong>un</strong>a<br />

traduzione <strong>del</strong>l’Orestea di Eschilo.<br />

Ma non è su questa, pur interessante, coincidenza<br />

che intendo soffermarmi. Ho voluto intitolare l’analisi<br />

di questo inserto “irruzione <strong>del</strong>l’innocenza” perché la<br />

solidità interna alla solita cornice losca e sonnolenta<br />

3<br />

Lino Micciché, <strong>Pasolini</strong> nelle città <strong>del</strong> cinema, cit., pp. 83-86.<br />

4<br />

Ivi, p. 82.<br />

109


dei compari seduti al sole, viene rotta con <strong>un</strong> inserto<br />

tanto simbolico quanto dirompente nella sua assoluta<br />

mancanza di contingenza:<br />

Un ragazzino piccolo piccolo, come <strong>un</strong> fringuellino,<br />

passando sotto i piedi dei compari sbragati sulle seggiolette,<br />

per il marciapiede, si accuccia d’improvviso, tutto assorto,<br />

come se intorno a lui non esistesse il mondo. Si accuccia, e<br />

con mosse svelte, meccaniche, soddisfatte, disegna con <strong>un</strong><br />

gessetto sul marciapiede <strong>un</strong> pupazzo; <strong>un</strong> cerchio: la testa: due<br />

cerchietti vicini le orecchie: <strong>un</strong> ovale, il corpo, quattro<br />

linee, le gambe e le braccia.<br />

Poi il ragazzino, finito, zic zac, il suo pupazzo, si rialza e<br />

riprende a trotterellare per il marciapiede. Si allontana, come<br />

<strong>un</strong> fringuelletto, e si incrocia con due tizi, alti, grossi e<br />

ambigui.<br />

I due tizi sono due poliziotti e Renato, con la scusa di<br />

osservare le mosse <strong>del</strong> ragazzino, ne intravede in<br />

anticipo le figure, quasi caricaturali nel loro vestito<br />

identico e in quel camminare così affiancati e paralleli<br />

da sembrare gemelli siamesi. L’apparizione improvvisa <strong>del</strong><br />

bambino, quindi, viene per certi versi riassorbita in<br />

questo conseguente riconoscimento anticipato <strong>del</strong><br />

pericolo. Renato, infatti, come il capofila d’<strong>un</strong> branco<br />

di gazzelle, azionerà <strong>un</strong>a divertente reazione a catena di<br />

nascondimenti, fughe ingiustificate e facce indifferenti.<br />

Ma, questa ricaduta tanto improvvisa nella contingenza<br />

<strong>del</strong>la trama 5 , viene vissuta, formalmente, solo dallo<br />

5 Maddalena, la prostituta protetta da Accattone, quella notte non è<br />

tornata a casa. Lo spettatore è, in questo p<strong>un</strong>to, più informato dei<br />

110


spettatore. Accattone e i suoi amici, infatti, pur<br />

«sbragati sulle seggiolette», sembrano non aver mai<br />

smesso di essere oberati dalle contingenze <strong>del</strong> reale. E<br />

la realtà, per i personaggi che compongono Accattone,<br />

sembra avere <strong>un</strong> <strong>nucleo</strong> molto chiaro contro il quale ogni<br />

discorso, ogni azione, ogni sforzo finisce sempre per<br />

scontrarsi: la fame.<br />

Mettere qualcosa sotto i denti è <strong>un</strong> pensiero così<br />

forte nella mente dei “ragazzi <strong>del</strong> bar” che, in <strong>un</strong> modo o<br />

nell’altro, anche di fronte a qualcosa di straordinario<br />

finirà per fuoriuscire nella sua cruda fatalità. Mentre<br />

osserva il bambino Renato pron<strong>un</strong>cia, fuori campo 6 , questa<br />

battuta 7 :<br />

Datte da fa regazzì... Quando sarai grande te morirai de<br />

fame pure te.<br />

Su questa animalesca ricerca di cibo si gioca tutto il<br />

film, tanto che solo per amore Accattone potrà rimandare<br />

l’arrembaggio a <strong>un</strong> piatto di pastasciutta. Insieme alla<br />

presenza <strong>del</strong>la morte, i cui segnali sono disseminati a<br />

piene mani l<strong>un</strong>go il film e su cui tutta la critica tende<br />

a soffermarsi, esiste questa costante tensione a saziarsi<br />

che fa sprofondare i corpi dei personaggi a <strong>un</strong> livello<br />

ancora più eloquente di concretezza, di ferinità. È su<br />

flussi interni simili a questi (la morte, la fame) che le<br />

tante, apparentemente staccate stazioni di Via Crucis da<br />

cui è formato il film, si fondono. Seppure a <strong>un</strong> macrolivello<br />

il film sia poco strutturato e, a <strong>un</strong> microlivello,<br />

l’azione si dia sul piano visivo come<br />

personaggi, infatti sa che la donna è stata picchiata e abbandonata<br />

in periferia. L’apprensione per la sorte <strong>del</strong>la donna, per i<br />

personaggi, diventa tutt’<strong>un</strong>a con quella provocata dall’arrivo degli<br />

agenti.<br />

6<br />

Essendo il film interamente doppiato l’inserimento <strong>del</strong>la battuta<br />

potrebbe essere stato deciso anche in <strong>un</strong>a fase successiva alle<br />

riprese e al montaggio provvisorio.<br />

7<br />

Che ho trascritto d<strong>un</strong>que deducendola direttamente dalla banda<br />

sonora <strong>del</strong> film.<br />

111


perennemente spezzata, al fine di disintegrare anche quel<br />

poco di prevedibilità che l’opera è fort<strong>un</strong>osamente<br />

riuscita ad assumere, <strong>Pasolini</strong> ama liberare dentro<br />

l’immagine dei corpi a “grado zero” di coscienza, come<br />

possono esserlo i bambini o i cani. Constatazione che<br />

rende semplice istituire <strong>un</strong> paragone tra quest’abitudine<br />

cinematografica e il ricorso, in poesia, a quel movimento<br />

di riflusso interno alla progressione <strong>del</strong> discorso, già<br />

osservato nell’Appennino come nella Ricchezza, alla luce<br />

<strong>del</strong>le osservazioni di Stefano Agosti.<br />

2) L’omaggio a Morandi.<br />

Seq. XXV, inqq. 332-333, p. 54.<br />

In <strong>un</strong> momento <strong>del</strong>la l<strong>un</strong>ga intervista con Jean<br />

Duflot, <strong>Pasolini</strong> confessa:<br />

In Accattone, per esempio, il piano in cui stella viene<br />

rappresentata in mezzo a <strong>un</strong> mucchio di bottiglie, è là come <strong>un</strong><br />

omaggio privato a Morandi (oltre al significato propriamente<br />

filmico <strong>del</strong> piano stesso). 8<br />

Marchesini, ovviamente, si è occupato di analizzare<br />

il risultato di questa dichiarazione. Senza chiamare in<br />

causa particolari aneddotici sulla tesi di laurea in arte<br />

moderna che <strong>Pasolini</strong> smarrì durante la guerra, lo<br />

studioso ha voluto aggi<strong>un</strong>gere <strong>un</strong> tassello argomentativo<br />

alle sue osservazioni sulla duttilità con cui il cineasta<br />

sapeva maneggiare i suoi prestiti figurativi. Del resto,<br />

continua Marchesini:<br />

Nella sceneggiatura, ad esempio, non c’è ness<strong>un</strong><br />

riferimento a Morandi:<br />

8 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Il sogno <strong>del</strong> centauro, a cura di Jean Duflot,<br />

traduzione di Martine Schruoffeneger, Roma, Editori Ri<strong>un</strong>iti, 1983, p.<br />

116.<br />

112


Accattone [...] si accinge ad aspettare che Ascenza<br />

stacchi. Ma subito i suoi occhi avidi, da rapace, sono<br />

distratti da qualcosa, tra le bottiglie.<br />

E’ <strong>un</strong>a giovane donna, bionda, grande, ma che sembra<br />

ragazzina: forse è <strong>un</strong>a burina. Lavora alle sue zozze<br />

bottiglie con grande pazienza e dolcezza.<br />

L’apparizione <strong>del</strong>la donna luminosa tra le bottiglie sporche è<br />

ciò che emerge, anche nel film, con grande impatto visivo. 9<br />

Però, se è valida la f<strong>un</strong>zione che ho attribuito al<br />

copione <strong>pasoliniano</strong> nel capitolo precedente, Marchesini<br />

in qualche modo si sbaglia. Ovvero, seppure nella<br />

sceneggiatura (l’ha citata lui come potrei farlo io) non<br />

vi sia <strong>un</strong> rinvio diretto al nome <strong>del</strong> noto pittore<br />

bolognese, vi si può tuttavia trovare, intensissima, la<br />

descrizione di quello che fu il suo segno pittorico: <strong>un</strong><br />

9 Antonio Marchesini, Citazioni pittoriche <strong>del</strong> cinema di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Pasolini</strong>, Firenze, La nuova Italia, 1994, p. 21. (La citazione<br />

interna è anch’essa presa dal copione originale di Accattone edito<br />

nel 1961).<br />

113


‘lavoro’ ‘dolce’ e ‘paziente’ che si ritrova<br />

magistralmente trasferito nella patina vivente <strong>del</strong>le sue<br />

straordinarie nature morte.<br />

Quindi, seppure Marchesini possa concludere che «le<br />

bottiglie [...] non f<strong>un</strong>zionano come <strong>un</strong>a citazione [in<br />

quanto] la ridondanza <strong>del</strong>la catasta è profondamente<br />

aliena dalla scarna selezione <strong>del</strong>l’oggetto morandiano» 10 ,<br />

è vero anche che non sono le bottiglie, in quanto tali,<br />

ma è <strong>un</strong>a presa totale degli elementi in gioco sulla scena<br />

a provocare lo scatto simbolico nell’<strong>un</strong>iverso <strong>del</strong><br />

celeberrimo pittore italiano. Qui come altrove, <strong>Pasolini</strong><br />

ha esaltato, dentro l’apparente semplicità di <strong>un</strong> campo<br />

l<strong>un</strong>go che è invece basato su <strong>un</strong> ricercato equilibrio, la<br />

presenza sacrale dei suoi personaggi, dei loro gesti e,<br />

soprattutto, <strong>del</strong>le ‘cose <strong>del</strong> mondo’, osservate nella loro<br />

più nuda consistenza.<br />

Lotman, nella pagina finale di <strong>un</strong> suo scritto<br />

dedicato proprio alla “natura morta”, sembra trovare il<br />

fondamento semiotico di questa soluzione cinematografica<br />

pasoliniana la cui essenzialità, è fondamentale<br />

sottolinearlo, riesce ad emergere solamente dal confronto<br />

con la straordinaria capacità evocativa <strong>del</strong>la sua<br />

scrittura “per il cinema”:<br />

la cosa in <strong>un</strong> quadro a soggetto si comporta come la cosa<br />

a teatro, la cosa nella natura morta come la cosa nel cinema.<br />

Nel primo caso non ha <strong>un</strong> significato indipendente, bensì lo<br />

riceve dal significato <strong>del</strong>l’azione scenica: è <strong>un</strong> pronome. Nel<br />

secondo caso essa è <strong>un</strong> nome proprio, è m<strong>un</strong>ita di <strong>un</strong> significato<br />

proprio ed è come se venisse inclusa nel mondo intimo <strong>del</strong>lo<br />

spettatore. 11<br />

10 Ivi, p. 22.<br />

11 Jurij M. Lotman, La natura morta in prospettiva semiotica, in Il<br />

girotondo <strong>del</strong>le Muse : saggi sulla semiotica <strong>del</strong>le arti e <strong>del</strong>la<br />

rappresentazione, a cura di Silvia Burini; traduzione di Silvia<br />

Burini e Alessandro Niero, Bergamo, Moretti & Vitali, 1998, pp 51-62<br />

[59].<br />

114


3) La lotta catartica.<br />

Seq. XXVI, inqq. 375-393, pp. 57-58.<br />

È <strong>un</strong>o dei momenti più analizzati e discussi <strong>del</strong><br />

film: la lotta tra Accattone e il cognato. Se<br />

nell’inquadratura alla bottiglieria, di cui ho appena<br />

finito di occuparmi, <strong>Pasolini</strong> ha reso massimamente<br />

criptico lo scontro dei registri espressivi, giocandolo<br />

tutto dentro il codice <strong>del</strong>l’immagine, in questa sequenza<br />

egli ha invece portato alle estreme conseguenze la sua<br />

costante ricerca <strong>del</strong> pastiche. La lotta tra i personaggi,<br />

visto anche il modo particolarissimo nel quale si svolge,<br />

potrebbe persino essere letta come <strong>un</strong> rinvio<br />

metatestuale, interno al codice <strong>del</strong>l’immagine, allo<br />

scontro, altrettanto percepibile, che contemporaneamente<br />

è venuto a stabilirsi tra colonna sonora e contenuti<br />

inquadrati. Più nel dettaglio, l’uso <strong>del</strong>la Passione<br />

secondo Matteo, coro n° 78, di Johann Sebastian Bach,<br />

brano potentemente lirico e con <strong>un</strong> forte richiamo<br />

religioso, serve da commento extradiegetico a <strong>un</strong>a serie<br />

di inquadrature dove i corpi di due poveracci si<br />

rotolano, avvinghiati, sulla polvere di <strong>un</strong>o spiazzo di<br />

borgata. L’effetto che scaturisce a <strong>un</strong>a prima audiovisione<br />

può risultare persino fastidioso. È come se<br />

<strong>Pasolini</strong> avesse voluto toccare con mano, anche dentro il<br />

nuovo mezzo espressivo, l’esperienza <strong>del</strong> limite oltre il<br />

quale l’equilibrio <strong>del</strong>la contaminazione si rompe e lo<br />

stile, e con lui il risultato, vanno in frantumi;<br />

pericolo che aveva riconosciuto essere ossessivamente<br />

presente in ogni riga <strong>del</strong> suo lavoro di romanziere. Ma è<br />

<strong>un</strong> desiderio <strong>del</strong>l’autore che il contrasto, la stonatura,<br />

siano avvertibili. A <strong>un</strong>a visione più distaccata, quando<br />

il particolare abbinamento musicale viene digerito,<br />

l’attenzione tende a soffermarsi sulla modalità, <strong>del</strong><br />

tutto imprevista, con la quale si svolge lo scontro tra i<br />

115


due contendenti. La soluzione, è bene notarlo, era già<br />

prefigurata nel copione, dove:<br />

Accattone perde di colpo la testa: ha inghiottito troppo.<br />

Urlando e sbavando, come preso dalle convulsioni, si butta sul<br />

cognato, prima che questi se ne renda conto, prima che la gente<br />

se l'immagini. Gli si butta sopra e gli si avvinghia gemendo e<br />

rantolando di rabbia. Cerca di morderlo, come <strong>un</strong> cane, sul<br />

collo, sulle orecchie. Il cognato, più forte, si divincola, ma<br />

non riesce a liberarsi dalla stretta disperata.<br />

[...] I due restano così attaccati, come <strong>un</strong> corpo solo,<br />

in piedi, fermi, gemendo, ringhiando: i vicini non riescono a<br />

separarli. Una scossa più violenta <strong>del</strong> cognato, per liberarsi,<br />

fa sì che i due caschino per terra, e continuino a rotolare,<br />

sempre stretti, sulla polvere. Per due, tre minuti, restano<br />

così, senza parlare, solo ringhiando come bestie, resistendo<br />

agli strappi dei vicini che cercarono di separarli.<br />

[...] Come si sente libero dalla stretta degli amici,<br />

stavolta è il cognato, che si butta addosso a lui. Ma Accattone<br />

gli si avvinghia di nuovo, disperatamente come <strong>un</strong>a sanguisuga.<br />

Ciò a cui si assiste, d<strong>un</strong>que, non è <strong>un</strong>a qualsiasi<br />

zuffa tra bulli di periferia, è piuttosto <strong>un</strong>a lotta<br />

greco-romana sulla quale la macchina da presa indugia<br />

(«due, tre minuti») restando sempre abbastanza lontana<br />

dai soggetti, in modo da far risaltare tutti i p<strong>un</strong>ti di<br />

contatto tra i loro corpi, e la similitudine con le<br />

sanguisughe usata da <strong>Pasolini</strong> è forse il modo più<br />

azzeccato di suggerirlo.<br />

116


Come accennavo, l’ambiguità di questa immagine, che<br />

resta sempre in bilico tra la rappresentazione <strong>del</strong>la<br />

stretta tra due innamorati (o tra due cuccioli) e quella<br />

di <strong>un</strong>a brutale contesa, potrebbe essere letta come <strong>un</strong><br />

rinvio metatestuale al rapporto che lega, dentro il<br />

flusso audiovisivo <strong>del</strong> cinema, suoni e immagini.<br />

Com<strong>un</strong>emente, i due codici tendono a supportarsi sia sul<br />

piano <strong>del</strong>la resa naturalistica sia, quando si dia <strong>un</strong><br />

commento musicale extradiegetico, sul piano <strong>del</strong> senso e<br />

dei contenuti. Ma si tratta <strong>del</strong>la messa in opera di<br />

<strong>un</strong>’innocenza espressiva <strong>del</strong>la quale, proprio nel giro di<br />

anni in cui <strong>Pasolini</strong> pensa e realizza il suo Accattone, i<br />

“giovani turchi” <strong>del</strong>la nouvelle vague francese svelano i<br />

meccanismi di base, i lati proibiti, destrutturandone le<br />

fondamenta. D’ora in poi, lo spettatore dovrà convivere<br />

con la possibilità costante di dover subire la<br />

frustrazione espressa magnificamente dal personaggio di<br />

Ferdinand nel godardiano <strong>Pier</strong>rot le fou:<br />

Ho <strong>un</strong>a macchina per vedere che si chiama occhi, per udire<br />

le orecchie, per parlare la bocca. Ho l’impressione che siamo<br />

macchine separate, che manchi l’<strong>un</strong>ità. Bisognerebbe avere<br />

l’impressione di essere <strong>un</strong>ici... Io ho l’impressione di essere<br />

parecchi. 12<br />

Va detto, com<strong>un</strong>que, che in Accattone il motivo <strong>del</strong>la<br />

passione bachiana compare in ben sette momenti e scorre<br />

l<strong>un</strong>go settantotto piani, accompagnando i temi <strong>del</strong>la<br />

violenza (reale o virtuale) e <strong>del</strong>la morte. Tuttavia, come<br />

ha sottolineato Calabretto, questo «uso leitmotivico non<br />

contrasta [...] con il ‘montaggio musicale’» 13 , non<br />

contraddice, insomma, il percorso fin qui seguito.<br />

12<br />

Battute dedotte dalla versione italiana <strong>del</strong>la banda sonora <strong>del</strong> film<br />

di Jean-Luc Godard <strong>del</strong> 1965<br />

bandito <strong>del</strong>le ore 11).<br />

<strong>Pier</strong>rot le fou (titolo italiano: Il<br />

13<br />

Roberto Calabretto, <strong>Pasolini</strong> e la musica, Pordenone, Cinemazero,<br />

1999, p. 323.<br />

117


Infatti, come ho già individuato su <strong>un</strong> piano teorico, pur<br />

permanendo la sensazione di straniamento, l’uso di questo<br />

particolare accostamento musicale traduce la costante<br />

tensione di <strong>Pasolini</strong> a convergere verso <strong>un</strong>a visione <strong>del</strong>la<br />

realtà ricca di profondi attributi sacrali.<br />

Ho intitolato l’analisi di questo inserto “la lotta<br />

catartica” sotto la suggestione <strong>del</strong>l’intervento di<br />

Raffaele Milani a <strong>un</strong> convegno su <strong>Pasolini</strong>, nel quale lo<br />

studioso istituisce <strong>un</strong> paragone tra la concezione<br />

estetica indiana e certi risultati <strong>del</strong> cinema<br />

<strong>pasoliniano</strong>. 14 La possibilità che il poeta ne sia stato<br />

direttamente influenzato potrebbe trovare sostegno nel<br />

dato biografico dal quale risulta che egli compì <strong>un</strong><br />

viaggio in India di due mesi proprio nel dicembre <strong>del</strong><br />

1960, esperienza dalla quale trasse <strong>un</strong>a sorta di diarioreportage<br />

intitolato L’odore <strong>del</strong>l’India 15 . Milani<br />

tuttavia, si limita giustamente all’uso <strong>del</strong>la teoria per<br />

<strong>un</strong>o scopo comparativo, seppure proprio l’idea di<br />

‘odore’, di aroma o di succo connoterebbe letteralmente<br />

il significato <strong>del</strong> termine indiano rasa, con il quale, ci<br />

informa Milani, l’estetica indiana descrive il<br />

comportamento <strong>del</strong>la «specifica riflessione-modulazione<br />

emotiva» presente nell’opera teatrale e in quella<br />

letteraria. 16 In questa dottrina drammaturgica i nove rasa<br />

traducono in oggetti di piacere estetico gli stati<br />

fondamentali <strong>del</strong>l’animo e <strong>del</strong>la coscienza, fino<br />

all’ultimo dei toni, nta, ovvero la quiete, la pace,<br />

che rappresenta «l’apice <strong>del</strong>l’esperienza, <strong>del</strong>l’esplo-<br />

14 Raffaele Milani, Il sapore <strong>del</strong> cinema, in Incontri pasoliniani, a<br />

cura di Alfonso Canziani, (Atti <strong>del</strong> Convegno tenuto nel 1993), Roma,<br />

Bulzoni, 1996, pp. 117-125.<br />

15 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, L’odore <strong>del</strong>l’India, Milano, Longanesi, 1962.<br />

Un opera, d<strong>un</strong>que, che sul piano <strong>del</strong>la cronologia può far parte a<br />

pieno titolo <strong>del</strong> girotondo di testi che anticipa e invade Accattone.<br />

16 Raffaele Milani, Il sapore <strong>del</strong> cinema, cit., p.123.<br />

118


azione <strong>del</strong> gusto di <strong>un</strong>’opera, ed è affine, per certi<br />

versi, alla catarsi greca» 17 .<br />

Fatte queste premesse, Milani richiama soprattutto<br />

l’attenzione sulla capacità suggestiva <strong>del</strong>la poetica<br />

pasoliniana «che nella realtà mostrata (potremmo anche<br />

dire, usando <strong>un</strong> altro termine rappresentata) fa<br />

“assaporare” allo spettatore la condizione <strong>del</strong>la natura<br />

umana (la profondità dei sensi accennata)». 18 Se<br />

indubbiamente tutto Accattone è pervaso da questa<br />

ricerca, la sequenza di cui mi sto occupando può essere<br />

vista sotto questo aspetto come <strong>un</strong> caso esemplare. Spero<br />

di aver già evidenziato a sufficienza, quale vero e<br />

proprio turbinio emotivo entri in gioco in questo momento<br />

<strong>del</strong> film, ma tutta la tensione accumulata trafigge lo<br />

spettatore soprattutto nel finale <strong>del</strong>la scena, la cui<br />

soluzione filmica sembra prevista fin dalla<br />

sceneggiatura:<br />

17 Ibidem.<br />

18 Ibidem.<br />

Accattone bianco di polvere e rosso di sangue, si<br />

allontana piano piano, muto per la strada bruciata dal sole.<br />

Lassù il treppio di gente lo guarda, e si sente la voce <strong>del</strong><br />

cognato che urla dietro di lui.<br />

COGNATO: Lasciala perde mi’sorella, sa’! Scordala mi’ sorella!<br />

Pappone!<br />

A quest’ultimo insulto, pur sotto il bianco <strong>del</strong>la polvere e il<br />

rosso <strong>del</strong> sangue la faccia di Accattone è piena di vergogna,<br />

rabbia e dolore. Ma continua a camminare senza voltarsi<br />

indietro, trafitto alle spalle dagli sguardi <strong>del</strong>la gente.<br />

COGNATO: Pappone! Pappone!<br />

Accattone s’asciuga il sangue che gli cola sull’occhio, muto.<br />

Dissolvenza<br />

119


La risultante cinematografica di queste sensazioni è<br />

resa in modo magistrale da due elementi che si rafforzano<br />

a vicenda: da <strong>un</strong> lato la grandiosa interpretazione di<br />

Franco Citti (<strong>un</strong> vero e proprio attore naturale) che<br />

riesce a condensare dentro lo sguardo e in pochi<br />

movimenti dei muscoli facciali (quasi dei tic) questo<br />

<strong>un</strong>iverso contrastato di sentimenti, dall’altro, la<br />

soluzione strettamente tecnico-stilistica che ha previsto<br />

<strong>un</strong> raccordo sull’asse di quest’inquadratura con quella<br />

precedente, dove il cognato, la cui foga è a stento<br />

contenuta dalle braccia di tre uomini, urla verso<br />

l’obiettivo «Lasciala perde mi‘sorella...ect».<br />

Con <strong>un</strong>o stacco netto si passa dal campo medio appena<br />

descritto alla mezza figura di Accattone, il cui<br />

sbilanciamento sulla destra <strong>del</strong>l’inquadratura lascia<br />

trasparire sullo sfondo il cognato che continua a<br />

dimenarsi e a sbraitare, ma come incollato sullo stesso<br />

piano per l’effetto di schiacciamento <strong>del</strong>la focale da<br />

50mm 19 . L’impressione ottenuta è davvero notevole:<br />

Infatti, per quanto Accattone si stia allontanando dal<br />

teatro <strong>del</strong>la scena, poiché anticipata da <strong>un</strong> lento<br />

carrello la sua figura occupa <strong>un</strong>o spazio sempre maggiore<br />

di campo e le urla, mentre si palesano sul volto sudato e<br />

straziato dalla lotta i segni <strong>del</strong>la rabbia misti a<br />

<strong>un</strong>‘irrisolta, precaria soddisfazione, sembrano entrargli<br />

vicinissime all’orecchio.<br />

19 È <strong>un</strong> tipo di obiettivo che sarà molto amato dal <strong>Pasolini</strong> cineasta.<br />

120


Questa prima catarsi, in quanto parziale, è solo <strong>un</strong>o<br />

dei tanti preludi a quella finale, strettamente legata a<br />

quello che è quello l’<strong>un</strong>ico, irredento, finale possibile:<br />

la morte di Accattone. Questa arriva proprio a ridosso<br />

<strong>del</strong> cartello “fine” e nelle parole pron<strong>un</strong>ciate dal<br />

protagonista, il cui corpo è riverso ormai esanime sul<br />

selciato davanti al ponte di Testaccio, sembra<br />

riflettersi proprio la sensazione <strong>del</strong>la nta, <strong>del</strong> nono<br />

stadio <strong>del</strong>l’estetica indiana:<br />

ACCATTONE: Aaaaah... Mo’ sto bene!<br />

Sono le sue ultime parole. 20<br />

4) Da Masaccio al palazzaccio.<br />

Seq. XVII e XVIII, inqq. 394-413, pp. 58-60.<br />

Come si può vedere confrontando i numeri <strong>del</strong>le<br />

inquadrature entro le quali si collocava la sequenza che<br />

ho appena finito di analizzare, questo nuovo inserto è<br />

montato nel film per stacco, seppure venga immediatamente<br />

dopo la dissolvenza in nero sul volto impolverato 21 di<br />

Accattone. Le differenze con la sceneggiatura qui sono<br />

molte, nulla di vistoso, ma sarà interessante notare<br />

come, in generale, nel film siano completamente abolite<br />

certe relazioni spaziali che erano invece previste nel<br />

copione. Per esempio, il posteggio di furgoncini sul<br />

quale si apre l’inserto, avrebbe dovuto trovarsi «in <strong>un</strong><br />

vicoletto perpendicolare alla strada <strong>del</strong> baretto»,<br />

fattore utile a rendere meno innaturale il successivo<br />

incontro di Accattone con i solito gruppo. Nel film,<br />

invece, Accattone si trova sì in <strong>un</strong>o spiazzo pieno di<br />

20 <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Accattone, cit., p. 112.<br />

21 Impolverato ma non sanguinante come era previsto nella<br />

sceneggiatura. Si tratta <strong>del</strong>l’<strong>un</strong>ica lieve differenza tra il copione e<br />

la trasposizione. Del resto ,il sangue, oltre a impedire la perfetta<br />

visibilità <strong>del</strong>la splendida mimica di Citti, non ha, nel bianco e<br />

nero, la stessa resa emotiva che è possibile ottenere nei film a<br />

colori.<br />

121


furgoncini, ma che sembra lontanissimo dal centro<br />

abitato; <strong>un</strong> prato periferico bruciato dal sole. Questa<br />

soluzione però, molto più esposta alla luce, esalta lo<br />

sp<strong>un</strong>to visivo che compariva, questo sì, perfettamente<br />

prefigurato nella sceneggiatura:<br />

Dentro <strong>un</strong>o di questi furgoni è sbragato a pancia all’aria<br />

Accattone. È ancora più miserabile, tutto impolverato, con <strong>un</strong><br />

paio di scarpe di gomma bianche, <strong>un</strong>a canottiera sporca. Ha<br />

l’aria accasciata. Sta lì abbandonato come <strong>un</strong> corpo morto.<br />

La postura distesa di Accattone permette a <strong>Pasolini</strong><br />

di continuare a utilizzare <strong>un</strong>’ottica l<strong>un</strong>ga per riprendere<br />

il corpo <strong>del</strong>l’attore da <strong>un</strong>a angolazione “dal basso”, che<br />

ricorda, non a caso, la prospettiva dalla quale<br />

necessariamente si osserva <strong>un</strong>a crocifissione. La focale<br />

da 50mm fonde a sufficienza sfondo e soggetto inquadrato,<br />

quanto basta per avvicinare l’immagine cinematografica<br />

alla superficie piatta <strong>del</strong>la tela o <strong>del</strong>l’affresco.<br />

<strong>Pasolini</strong>, data la sua impreparazione tecnica pressoché<br />

totale, aveva affidato il compito di <strong>tradurre</strong> quelle che<br />

in lui erano immagini chiarissime, in molti casi<br />

addirittura dei disegni 22 , all’esperienza di Tonino Delli<br />

Colli che, riguardo alla precisione con la quale <strong>Pasolini</strong><br />

aveva predisposto il film, ha usato queste parole:<br />

22 Ciò che si è conservato dei disegni che <strong>Pasolini</strong> aveva preparato<br />

per il set è conservato alla Bibliothèque du Film di Parigi: si<br />

tratta di 61 fogli, 60 nel formato <strong>del</strong>la mezza cartella e <strong>un</strong>o intero<br />

piegato in due che serve per raccogliere gli altri, recante<br />

l'intestazione Accattone.<br />

122


<strong>Pasolini</strong> aveva idee molto chiare per Accattone, che aveva<br />

studiato sin da quando abitava alla borgata Gordiani; conosceva<br />

tutti i posti, aveva tutte le inquadrature in mente; anzi<br />

faceva i disegni. Per ogni inquadratura, c’era <strong>un</strong> disegno.<br />

<strong>Pasolini</strong> era capace di cominciare la sequenza dall’ultima<br />

inquadratura. [...] A lui piaceva il 50. Faceva le figure<br />

intere con il 50. Aveva scoperto anche lo zoom, ma ha usato<br />

quasi sempre lo zoom fisso. E il 50 gli piaceva perché... in<br />

fondo, piaceva anche a me, abbastanza completo come obiettivo;<br />

che ti fa <strong>un</strong>a figura intera e nel frattempo non ti spappola lo<br />

sfondo, concentra soprattutto meglio. 23<br />

Da inquadrature come queste (per le quali si<br />

potrebbe chiamare in causa La Crocifissione di Masaccio<br />

dipinta su <strong>un</strong>o dei pannelli superiori <strong>del</strong> Polittico di<br />

Pisa) credo sia perfettamente avvertibile il risultato di<br />

quella contaminazione pittorica <strong>del</strong>la quale ho già<br />

esaminato, in diversi p<strong>un</strong>ti di questa tesi, i risvolti<br />

teorici e le dipendenze da <strong>un</strong> orizzonte espressionista<br />

sul quale si era collocata la scrittura pasoliniana<br />

influenzata dal metodo longhiano.<br />

Più utile, in questo momento, è notare come <strong>Pasolini</strong><br />

approfitti <strong>del</strong>la dimensione assolutamente amena di questa<br />

sequenza per infilare <strong>un</strong> altro di quei momenti in cui,<br />

come dicevo riferendomi al primo inserto di questa<br />

analisi filmica, “irrompe l’innocenza”. Infatti, appena<br />

Accattone è restato nuovamente solo, dopo essersi<br />

liberato dalla morsa impietosa di Giorgio che, comparso<br />

quasi dal nulla, si è divertito a sbeffeggiare l’amico<br />

per la condizione in cui si trova:<br />

Gli si avvicina <strong>un</strong> cane, e, silenziosamente, Accattone<br />

con <strong>un</strong> certo affetto lo accarezza, gli stringe il muso, gioca<br />

<strong>un</strong> po’ con lui.<br />

23 Da <strong>un</strong> intervista a Tonino Delli Colli raccolta in: Antonio Bertini,<br />

Teoria e tecnica <strong>del</strong> film in <strong>Pasolini</strong>, Roma, Bulzoni, 1979, pp. 202-<br />

203.<br />

123


ACCATTONE (con la voce sorda con cui si parla a <strong>un</strong>a bestia):<br />

Eh, beato te, che te puoi magnà pure l’ossa! Zozzo!<br />

Ma il cagnoletto zozzo prende e se ne va.<br />

A questo p<strong>un</strong>to la sceneggiatura prevedeva che<br />

Accattone, seguendo il cane con lo sguardo, incrociasse<br />

altre tre figure di disperati come lui. 24 Nel film,<br />

invece, dopo <strong>un</strong>o stacco netto, si riprende dall’immagine,<br />

alla Antonioni 25 , di <strong>un</strong>a parete alta, senza finestre,<br />

sulla quale la macchina da presa indugia per diversi<br />

secondi mentre con <strong>un</strong>a panoramica verticale finisce il<br />

suo movimento incrociando le sagome, quasi controluce,<br />

<strong>del</strong> solito gruppetto di malandri, tra i quali campeggia,<br />

vestito in modo completamente diverso dall’inquadratura<br />

precedente, anche Accattone. L’incontro con il cane<br />

perciò, rispetto alla soluzione più lineare prevista nel<br />

copione, è pervaso, così isolato nel film, da <strong>un</strong>a carica<br />

molto maggiore di ambiguità.<br />

A proposito di momenti come questi mi sembrano<br />

illuminati le parole che Franco Fortini aveva riservato,<br />

sei anni prima, per dar conto di alc<strong>un</strong>i risvolti analoghi<br />

presenti all’interno di Ragazzi di vita:<br />

<strong>Pasolini</strong> [...] conduce il lettore in <strong>un</strong> ordine quasi<br />

onirico, e gli fa concludere che il mondo psichico <strong>del</strong> suo<br />

24 Faccio notare, come ho fatto in occasione <strong>del</strong> primo inserto, come<br />

si ripeta identica, anche in questo momento così trasognato e<br />

sospensivo, la presenza ottusa <strong>del</strong> reale, che <strong>Pasolini</strong> introduce con<br />

il richiamo costante al cibo, agli appetiti.<br />

25 Dico alla Antonioni solamente perché il suo cinema è ricco di campi<br />

simili a questo. Ma, se nell’<strong>un</strong>iverso <strong>del</strong> regista ferrarese si<br />

avverte la continua ricerca di <strong>un</strong>a pulizia formale che vorrebbe<br />

assimilare queste figure a fondi astratti, trasfigurandone il peso<br />

materiale e caricandoli di <strong>un</strong> lirismo angosciato, nel cinema di<br />

<strong>Pasolini</strong> resta solamente <strong>un</strong> residuo d’angoscia. Ma è <strong>un</strong> affanno<br />

concreto quello vissuto dai suoi personaggi all’ombra <strong>del</strong>le<br />

mostruosità degli edifici moderni. Per quanto carica di <strong>un</strong> evidente<br />

simbolismo e per quanto rientri anch’essa nell’ottica più volte<br />

ricordata di <strong>un</strong>a visione <strong>del</strong> paesaggio come sfondo pittorico, la<br />

superficie graffiata dei palazzacci di periferia, proprio come<br />

avviene nei momenti regressivi che ho analizzato, finisce sempre per<br />

essere fagocitata dentro <strong>un</strong> alone di istinti elementari.<br />

124


popolo è, app<strong>un</strong>to, <strong>un</strong> mondo liminare, ai margini <strong>del</strong> sogno, al<br />

livello dei primi bisogni, appena colorato di stanchissimi<br />

fonèmi, di turpiloqui candidi perché senza senso; animale. E<br />

infatti [...] alc<strong>un</strong>e <strong>del</strong>le più belle e fresche scene <strong>del</strong> libro<br />

sono di ragazzi e di cagnoli. 26<br />

5) Il vizio di avere fame.<br />

Seq. XXX, inqq. 422-439, pp. 61-62.<br />

È <strong>un</strong>a <strong>del</strong>le sequenze dove il confronto tra il<br />

copione e l’opera finita lascia trasparire in modo<br />

lampante come <strong>Pasolini</strong>, sempre supportato da <strong>un</strong>a rigorosa<br />

preparazione, fosse anche naturalmente ricettivo verso le<br />

possibilità che le contingenze immediate <strong>del</strong> set gli<br />

potevano consentire.<br />

Accattone e alc<strong>un</strong>i amici hanno racimolato <strong>un</strong> chilo<br />

di pastasciutta e quel che ci vuole per <strong>un</strong> modesto<br />

condimento, e ora si trovano a casa di Fulvio dove il<br />

“sugo all’affamata”, come lo ha battezzato il Cipolla (da<br />

copione doveva essere <strong>un</strong>a battuta <strong>del</strong>lo Sceriffo), sta<br />

soffriggendo lentamente. Il copione prevedeva per questa<br />

scena <strong>un</strong>a collocazione leggermente diversa degli spazi e<br />

dei personaggi, tuttavia l’idea drammaturgica centrale e<br />

la maggior parte <strong>del</strong>le battute si conservano intatte. Ma,<br />

come anticipavo, ci sono almeno due momenti nei quali è<br />

evidente che <strong>Pasolini</strong> ha deciso di improvvisare partendo<br />

dalla presenza di alc<strong>un</strong>i oggetti presenti sul set. Che le<br />

due azioni non siano derivate da <strong>un</strong> moto<br />

d’improvvisazione attoriale è evidente analizzando il<br />

modo in cui <strong>Pasolini</strong> ha predisposto la machina da presa.<br />

Nel primo caso, infatti, la regia sta indugiando già da<br />

qualche secondo sul grosso volto pallido <strong>del</strong> Tedesco,<br />

trepidante nell’attesa di mettere qualcosa sotto i denti,<br />

quando d’<strong>un</strong> tratto lo si vede spalancare la bocca e<br />

divorare il fiore bianco <strong>del</strong> garofano che gli pende<br />

26 Franco Fortini, «Ragazzi di vita», in «Com<strong>un</strong>ità», giugno 1955, ora<br />

in Id., Attraverso <strong>Pasolini</strong>, Torino, Einaudi, 1993, pp. 9-13 [12-13].<br />

125


davanti alla faccia. Allora tutti ridono a crepapelle,<br />

compresi i due bambini, figli di Fulvio, e si sente,<br />

fuori campo 27 , <strong>un</strong>a battuta non prevista: «Ma che er<br />

dottore t’ha ordinato de magnà in bianco?». Solo allora,<br />

appena le risate si sono assopite, <strong>Pasolini</strong> ricomincia a<br />

usare il copione facendo pron<strong>un</strong>ciare ad Accattone la<br />

stessa battuta dalla quale, sulla carta, era previsto<br />

dovesse sgorgare la prima serie di risate:<br />

ACCATTONE (all<strong>un</strong>gandosi sul letto a pancia all’aria,<br />

beato): Eppure che è la fame? Un vizio! E’ tutta<br />

<strong>un</strong>’impressione! Ah, se n<strong>un</strong> ciavessero abbituati a magnà, da<br />

regazzini!<br />

Prende per il pancino <strong>un</strong>o dei due figli di Fulvio ch’è li sul<br />

letto e gli fa il tinticarello.<br />

Il film è particolarmente ricco di uscite come<br />

questa; frammenti di filosofia surreale che sembrano<br />

aprire nella mente dei personaggi momenti di riflessione<br />

inaspettati ma presto insopportabili, d<strong>un</strong>que<br />

immediatamente annullati da qualche altra trovata, da<br />

qual<strong>un</strong>que possibile elemento di distrazione. Br<strong>un</strong>etta, al<br />

proposito, nota come «specie nelle battute umoristiche<br />

[il dialogo risente] di <strong>un</strong>a derivazione letteraria in cui<br />

l’intervento <strong>del</strong> regista colto arricchisce la situazione<br />

di varie sfumature ciniche o grottesche» 28 . I “ragazzi <strong>del</strong><br />

bar” sembrano sapere per istinto che l’effetto dei<br />

momenti di gioia, di rilassatezza, è sempre destinato a<br />

durare troppo poco.<br />

Il tocco <strong>del</strong> pittore e gli argomenti <strong>del</strong> letterato,<br />

hanno plasmato le esistenze di questi avanzi di galera,<br />

di questi ladri, di questi sfruttatori, fino a renderli<br />

«miracolosamente simpatici [nonostante] non avrebbero<br />

27 Vedi anche la nota 6 di questo capitolo.<br />

28 G.P. Br<strong>un</strong>etta, Forma e parola nel cinema: il film muto <strong>Pasolini</strong>-<br />

Antonioni, Padova, Liviana, 1979, p. 65.<br />

126


ness<strong>un</strong> motivo di esserlo: dovrebbero piuttosto essere<br />

odiosi, senza luce, fuori di ogni possibile convenzione o<br />

volontà di vita morale». 29 E ciò non avviene per semplice<br />

riversamento di amore intellettuale, è <strong>un</strong> risultato<br />

ottenuto soprattutto grazie a <strong>un</strong>a geniale operazione<br />

stilistica, attraverso la quale <strong>Pasolini</strong> è riuscito a<br />

innalzare questi esseri umani a “mo<strong>del</strong>li” di «ciò che<br />

periferico emarginato dolente poetico rifiutato castigato<br />

innocentemente gioioso e terzomondista è stato prodotto<br />

dall'alienazione capitalistica». 30<br />

Per il secondo momento di “improvvisazione” a cui ho<br />

fatto riferimento sopra, valgono sostanzialmente le<br />

considerazioni appena fatte, con <strong>un</strong>’<strong>un</strong>ica differenza sul<br />

piano <strong>del</strong>la scelta espressiva.<br />

Mentre sono tutti rapiti a osservare gli spaghetti<br />

che cuociono, Accattone chiama da parte Fulvio e lo<br />

convince a fare fuori gli altri contendenti, visto che<br />

otto persone sopra <strong>un</strong> piatto di pastasciutta gli sembrano<br />

troppe. Solo pochi minuti prima gli sguardi dei compari<br />

sembravano carichi di autentica complicità, ma adesso è<br />

il protagonista in persona che si incarica di<br />

disintegrare dalle fondamenta ogni equivoco. Homo homini<br />

lupus: Accattone ci riporta ancora <strong>un</strong>a volta,<br />

violentemente, nella realtà, dove la rivincita degli<br />

istinti elementari sembra confermare la tesi di Hobbes,<br />

in particolare in questa città nella città che è il<br />

cerchio suburbano di Roma svelato da <strong>Pasolini</strong>. Eppure,<br />

dentro questa barbarie sembra aprirsi sempre lo spazio<br />

<strong>del</strong>la poesia, <strong>del</strong>l’invenzione creativa, anche dal gesto<br />

più brutale non traspare mai <strong>un</strong> calcolo cieco. Mentre<br />

Accattone concorda con Fulvio il piano per riuscire a<br />

29<br />

Carlo Levi, Prefazione, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Accattone, cit.,<br />

pp. VII-IX [IX].<br />

30<br />

<strong>Paolo</strong> Volponi, Introduzione, in <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong> <strong>Pasolini</strong>, Corpi e<br />

luoghi, a cura di Michele Mancini e Giuseppe Perrella, Roma,<br />

Theorema, 1982, pp. XI-XVII [XIII].<br />

127


itagliarsi qualche forchettata in più di pastasciutta,<br />

giocherella con <strong>un</strong> cappello da donna di colore scuro<br />

calcandoselo sulla fronte, come fanno i pistoleri nei<br />

film western, poi, quasi a suggello <strong>del</strong> loro accordo,<br />

rovescia <strong>un</strong>a misera borsetta di rafia e la infila sulla<br />

testa <strong>del</strong> compare, conferendogli l’aria di <strong>un</strong>o sventurato<br />

scudiero, <strong>un</strong>a sorta di novello Sancho Panza. Fulvio che<br />

ride, «con la bocca sdentata e la faccia ch’è quella<br />

<strong>del</strong>lo scheletro d’<strong>un</strong> uccello» 31 , non può d<strong>un</strong>que far altro<br />

che ispirare <strong>un</strong>’immediata simpatia, pur nella cornice di<br />

<strong>un</strong> abbietto complotto ordito tra disperati.<br />

Anche questa soluzione, come ho detto inizialmente,<br />

non era prevista nel copione, ma <strong>Pasolini</strong> sembra già aver<br />

trovato, in corso d’opera, la dimestichezza necessaria<br />

per riuscire a trovare ispirazione dalle contingenze<br />

immediate <strong>del</strong> set. Imparando a sfruttare la teatralità<br />

innata che cova nell’abitudine a <strong>un</strong>a trasmissione orale<br />

<strong>del</strong> sentire com<strong>un</strong>e, egli riesce a ottenere da persone che<br />

si trovano per la prima volta davanti alla macchina da<br />

presa, alc<strong>un</strong>e performance attoriali che sono assimilabili<br />

a momenti di ‘puro cinema’.<br />

31 Questa la similitudine usata da <strong>Pasolini</strong> nella sceneggiatura (p.<br />

60), suggestione fe<strong>del</strong>mente riproposta nei tratti di Giovanni<br />

Orbitano (Fulvio detto anche “Lo Scucchia”).<br />

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Francia<br />

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Nuit et brouillard, di Alain Resnais, 1955, Francia<br />

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