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“accattone”: un nucleo del tradurre pasoliniano - Pier Paolo Pasolini

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pratichi la classica traduzione tra lingue diverse (dal<br />

greco all’italiano nel caso <strong>del</strong>l’Orestea, dal latino al<br />

romanesco nel caso <strong>del</strong> Miles gloriosus) finisce sempre<br />

per caricare il testo d’arrivo di <strong>un</strong>a sua specifica marca<br />

distintiva, fatta di espedienti diversi 20 , ma dentro la<br />

quale è possibile leggere ogni volta la stessa volontà di<br />

affermare “l’utopia di <strong>un</strong>a sintesi” 21 .<br />

Per Massimo Fusillo la sintesi cui tende <strong>Pasolini</strong> è,<br />

sul piano più generale <strong>del</strong>la sua critica sociale, ancora<br />

quella tra cultura primitiva e razionalità moderna. Egli<br />

si muove dentro <strong>un</strong>‘utopia che, se pure già nelle Ceneri<br />

di Gramsci aveva mostrato i segni di <strong>un</strong>a profonda<br />

lacerazione, lascia trasparire anche <strong>un</strong>a persistente<br />

fiducia nell’ideologia. Ma la tensione 22 utopica che<br />

maggiormente interessa qui rilevare è quella capace di<br />

illuminare il momento cruciale in cui <strong>Pasolini</strong> decide di<br />

continuare il suo costante gioco trasformativo, con la<br />

volontà di spostare il suo asse com<strong>un</strong>icativo sul versante<br />

cinematografico. Egli sembra farlo, e <strong>del</strong> resto non<br />

potrebbe altrimenti 23 , con la coscienza e i modi <strong>del</strong><br />

20 Nel caso di Eschilo è l’attualizzazione socio-politica <strong>del</strong> tema<br />

centrale <strong>del</strong>la trilogia, nel caso di Plauto è proprio l’uso <strong>del</strong><br />

romanesco al posto <strong>del</strong>l’italiano: basti dire che il titolo originale<br />

diventa, nella trasposizione pasoliniana, Er Vantone.<br />

21 Massimo Fusillo ha dato questo titolo proprio al capitolo dedicato<br />

all’analisi <strong>del</strong>la traduzione di <strong>Pasolini</strong> <strong>del</strong>l’Orestea di Eschilo,<br />

all’interno <strong>del</strong> suo libro: La Grecia secondo <strong>Pasolini</strong>, Firenze, La<br />

Nuova Italia, 1996; capitolo nel quale, tra le altre cose, Fusillo<br />

pone l’accento proprio sulla, a suo avviso simbolica, concomitanza<br />

tra la commissione di questo lavoro di traduzione e il passaggio di<br />

<strong>Pasolini</strong> dalla letteratura al cinema, come se egli avesse voluto<br />

ritrovare nel nuovo mezzo la sua nostalgia per l’amato e ammirato<br />

linguaggio <strong>del</strong> mito.<br />

22 «Nella traduzione e nella com<strong>un</strong>icazione vi è sempre tensione,<br />

perché lo spazio di intersezione tra due testi si crea nella<br />

resistenza <strong>del</strong>le “forze” che oppongono gli spazi non intersecati dei<br />

due testi» cfr. Nicola Dusi, Il cinema come traduzione, Torino, Utet,<br />

2003, p. 139.<br />

23 Avrò modo di citare più avanti altre testimonianze che vanno in<br />

questo senso, cioè che stabiliscono la quasi totale impreparazione<br />

tecnica di <strong>Pasolini</strong> di fronte al mezzo cinematografico, qui riporto<br />

l’estrema testimonianza <strong>del</strong>l’attrice, amica e collaboratrice <strong>del</strong><br />

poeta, Laura Betti: «<strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong>, va visto sotto l’aspetto <strong>del</strong><br />

letterato, <strong>del</strong> poeta che fa <strong>del</strong> cinema. Allora, in questo senso,<br />

secondo me, l’opera di <strong>Pier</strong> <strong>Paolo</strong>, è <strong>un</strong> assoluto: rappresenta<br />

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