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46<br />

vent’anni fa, un ruolo cruciale lo<br />

giocano le culture politiche e i loro<br />

conflitti.<br />

Qui veniamo al secondo dato che ci<br />

pare incontrovertib<strong>il</strong>e. Il lungo dibattito<br />

teorico che ha visto confrontarsi<br />

la tesi marxiana <strong>della</strong> centralità<br />

del conflitto capitale-lavoro con la<br />

posizione di chi ne nega la preminenza<br />

ha avuto una ricaduta di portata<br />

strategica sul piano delle concrete<br />

pratiche politiche. A testimonianza<br />

del fatto che <strong>il</strong> terreno delle<br />

idee, <strong>della</strong> riflessione e <strong>della</strong> elaborazione<br />

teorica non è scisso da quello<br />

dell’azione politica: ne è invece<br />

parte integrante e decisiva.<br />

Negare l’esistenza di una contraddizione<br />

fondamentale comporta alcune<br />

conseguenze teoriche e pratiche.<br />

Determina l’impossib<strong>il</strong>ità di costruire<br />

un’ipotesi complessiva sul funzionamento<br />

<strong>della</strong> formazione sociale. E<br />

determina, a maggior ragione, l’accantonamento<br />

di un modello analitico<br />

centrato sulla struttura conflittuale<br />

del processo produttivo e<br />

quindi sul conflitto di classe (la nozione<br />

di «classe» rinviando precisamente<br />

alla divisione sociale e internazionale<br />

del lavoro). Soprattutto,<br />

chi sostiene la teoria <strong>della</strong> simmetria<br />

o equivalenza delle contraddizioni<br />

riduce giocoforza la r<strong>il</strong>evanza dei<br />

conflitti legati ai processi riproduttivi.<br />

Questo passaggio – indipendente-<br />

mente dalle intenzioni – conduce a<br />

derubricare <strong>il</strong> tema <strong>della</strong> trasformazione<br />

(<strong>della</strong> rivoluzione) e ad assumere<br />

una prospettiva compatib<strong>il</strong>ista.<br />

Ancora una volta la vicenda <strong>della</strong><br />

Bolognina appare ricca di insegnamenti<br />

e attende ancora un b<strong>il</strong>ancio<br />

critico non estemporaneo.<br />

Avere «chiuso i conti» con <strong>il</strong> comunismo<br />

anche sul piano teorico ha<br />

costretto chi, pure, cercava di mantenere<br />

posizioni avanzate a riformularle<br />

in termini di critica immanente<br />

(interna) del capitalismo, rinunciando<br />

all’orizzonte trasformativo o (ma<br />

in fondo è lo stesso) depotenziandolo<br />

nei termini del «miglioramento»<br />

di questa formazione sociale. Laddove<br />

le componenti più arretrate – che<br />

non per caso hanno egemonizzato <strong>il</strong><br />

processo, sino alla nascita del Partito<br />

democratico – hanno esplicitamente<br />

teorizzato la svalorizzazione del conflitto,<br />

<strong>il</strong> superamento <strong>della</strong> struttura<br />

classista e l’avvenuta «fine <strong>della</strong> storia»<br />

(cioè la definitiva interruzione<br />

<strong>della</strong> catena storica delle formazioni<br />

sociali).<br />

Ai nostri occhi tale esito non è affatto<br />

accidentale ed è la prova più convincente<br />

<strong>della</strong> solidità dell’ipotesi<br />

teorica di Marx. Il congedo dalla<br />

prospettiva rivoluzionaria consegue<br />

precisamente alla messa in discussione<br />

<strong>della</strong> centralità del conflitto<br />

capitale-lavoro. E poco importa che<br />

si tratti di un approdo forzato o pro-<br />

Negare l’esistenza di<br />

una contraddizione<br />

fondamentale determina<br />

l’accantonamento di un<br />

modello analitico centrato<br />

sulla struttura<br />

conflittuale del processo<br />

produttivo e quindi sul<br />

conflitto di classe

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