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ano VII - numero 67 INSERTO DELLA RIVISTA ... - Comunità Italiana

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efficace e significativo, di realismo.<br />

Anzi, il pulp era iperrealistico,<br />

pur essendo una mimesi<br />

di «Hide», di ciò che era nascosto,<br />

sul punto di esplodere.<br />

Era, in qualche modo, il mostro<br />

che viene a galla dall’abisso.<br />

Mimesi della (in)coscienza<br />

e della (a)moralità dell’uomo<br />

contemporaneo. Non bisognava<br />

andar lontani per registrare<br />

violenza, volgarità, potenza e<br />

velocità allo stato puro. E ora<br />

gli scrittori ce lo insegnav<strong>ano</strong>.<br />

Tuttavia, il pericolo dell’incomprensione<br />

e del fraintendimento<br />

che il nuovo linguaggio<br />

si assumeva, credo sia tale<br />

e quale a quello assuntosi da<br />

D’Annunzio quando raccoglieva<br />

certe sue novelle.<br />

In pieno clima veristico,<br />

D’Annunzio, specie nelle Novelle<br />

della Pescara (1902), si<br />

allontanava dai modelli, dalla<br />

analisi scientifica del naturalismo<br />

francese alla Zola, per<br />

approdare a una propria cifra<br />

stilistica in grado di raccontare<br />

con precisione l’Abruzzo pur<br />

elevandolo, a tratti in una sfera<br />

leggendaria e favolosa, a simbolo<br />

di una umanità assolutamente<br />

degradata, bassa, povera,<br />

istintuale, selvaggiamente<br />

violenta e perversa, così poco<br />

morale, così tanto ribellistica e<br />

ferina che agli occhi dei contemporanei<br />

dovette sembrar<br />

sospetta. In quel tempo, coi<br />

vari verismi regionali, si doveva<br />

portare alla luce soprattutto<br />

la realtà di un’Italia ancora<br />

sconosciuta ai più: coglierne<br />

aspetti, tendenze specifiche,<br />

problematiche, tradizioni, usi<br />

e costumi. D’Annunzio condivideva<br />

con gli scrittori della<br />

sua generazione, tutti avidi<br />

lettori di Verga, il punto di partenza<br />

– registrare la realtà – ma<br />

non gli esiti. La sua innata e<br />

precoce capacità di deformare<br />

i fenomeni, alimentata dalla<br />

sua esuberanza sensuale, dal<br />

suo gusto per la carne, il sangue,<br />

l’odore, lo portarono, assieme<br />

a molte altre suggestioni<br />

letterarie, a scrivere delle scene<br />

di inaudita violenza. C’è,<br />

tra le pieghe dei suoi racconti,<br />

un empito pulp che a molti lettori<br />

di allora dovette sembrare<br />

superfluo, irrilevante, ma che<br />

non lo fu, così come non lo fu<br />

nel caso di Nove.<br />

Questa scenetta pulp è<br />

tratta dalle Novelle della Pescara<br />

aprendo a caso il libro.<br />

C’è una ribellione in corso, i<br />

ribelli assedi<strong>ano</strong> un palazzo<br />

gentilizio, a una finestra compare<br />

un uomo: «– Mazzagrogna!<br />

Mazzagrogna! A morte<br />

il ruffi<strong>ano</strong>! A morte il guercio!<br />

– gridav<strong>ano</strong> tutti accalcandosi<br />

per iscagliar più da vicino<br />

l’insulto. Il Mazzagrogna stese<br />

una m<strong>ano</strong>, come per sedare i<br />

clamori; raccolse tutta la sua<br />

potenza vocale; e incominciò<br />

col nome del Re, quasi promulgasse<br />

una legge, per incutere<br />

al popolo il rispetto. – In<br />

nome di S. M. Ferdinando II,<br />

per la grazia di Dio, Re delle<br />

Due Sicilie, di Gerusalemme...–.<br />

– A morte il ladro! –<br />

Due, tre schioppettate risonarono<br />

fra le grida; e l’arringatore,<br />

colpito al petto e in fronte,<br />

vacillò, agitò in alto le mani e<br />

cadde in avanti. Nel cadere,<br />

la testa entrò fra l’un ferro e<br />

l’altro della ringhiera e penzolò<br />

di fuori come una zucca. Il<br />

sangue gocciolava sul terreno<br />

sottostante». Poi cominci<strong>ano</strong><br />

a tirar sassate al cranio che ad<br />

ogni colpo butta sangue a destra<br />

e a sinistra. Ma si potrebbe<br />

ricordare anche la barbarica<br />

pratica dell’incanata che<br />

compare nella Figlia di Iorio.<br />

Allora si chiamava gusto<br />

dell’orrido, e si diceva che<br />

veniva da certi aspetti del romanticismo<br />

– molto in voga,<br />

l’orrido e il macabro, anche<br />

tra gli scapigliati del secondo<br />

Ottocento che mentre baciav<strong>ano</strong><br />

una donna pensav<strong>ano</strong><br />

al teschio bianco che stava<br />

sotto la carne, vedi Tarchetti e<br />

compagni –, ma forse accanto<br />

al D’Annunzio sensuale,<br />

vate, superomista, esteta, notturno,<br />

comandante, c’è anche<br />

quello pulp. I linguaggi e<br />

le storie, dunque, si ripetono<br />

sotto luci diverse.<br />

Un’avventura teatrale<br />

di Ignazio Silone<br />

Andrea Santurb<strong>ano</strong><br />

Friedrich Nietzsche, nel suo<br />

Ecce homo, ricorda come –<br />

siamo nel 1883 – riponesse<br />

grandi aspettative nel viaggio<br />

da Roma alla volta della città<br />

dell’Aquila; L’Aquila da lui definita<br />

come l’antitesi dell’odiata<br />

Roma papalina, perché fondata<br />

da “un ateo e anticlericale<br />

comme il faut”, cioè Federico<br />

II di Svevia. Poi, per motivi<br />

poco chiari, queste aspettative<br />

non si concretizzarono e il<br />

grande filosofo tedesco, di salute<br />

già instabile, all’Aquila si<br />

fermò pochissimo, adducendo<br />

la vaga giustificazione climatica<br />

di uno scirocco che anche<br />

lì non gli avrebbe dato tregua.<br />

Questo aneddoto, più o<br />

meno conosciuto, si arricchisce<br />

di altri tasselli, se si pensa<br />

ad altre vicende storiche succedutesi<br />

nei dintorni del capoluogo<br />

abruzzese, vicende che<br />

evidentemente non avev<strong>ano</strong><br />

inficiato la visione “ideale” che<br />

Nietzsche conservava della città.<br />

Innanzitutto, la battaglia di<br />

Tagliacozzo nel 1268, che segnò<br />

definitivamente le sorti politiche<br />

dell’Italia meridionale.<br />

Gli angioini, infatti, capitanati<br />

da Carlo I d’Angiò, investito re<br />

di Sicilia da papa Clemente IV,<br />

sconfiggono le truppe di Corradino<br />

di Svevia, mettendo fine<br />

alle ambizioni imperialistiche<br />

degli Hohenstaufen e al loro<br />

plurisecolare governo in Sicilia.<br />

In questa circostanza, L’Aquila,<br />

già al centro di grandi dispute<br />

nei pochi anni intercorsi dalla<br />

propria nascita tra i suoi fondatori<br />

ghibellini e i “protetto-<br />

ri” guelfi, aveva compiuto una<br />

scelta filopapale appoggiando<br />

Carlo I. E di lì a poco, nell’agosto<br />

del 1294, sarebbe stata addirittura<br />

sede di una investitura<br />

papale: quella di Celestino V.<br />

Da questo confluire di storia e<br />

mito Ignazio Silone trae spunto,<br />

nel 1968, per una delle sue<br />

rare esperienze in campo teatrale:<br />

L’avventura d’un povero<br />

cristi<strong>ano</strong>.<br />

Come si sa, la tematica religiosa,<br />

sempre trattata in modo<br />

antidogmatico e antidottrinario,<br />

fu molto cara allo scrittore<br />

abruzzese. Il cineasta Ermanno<br />

Olmi, una volta, utilizzò un’efficace<br />

metafora per definire il<br />

cristianesimo siloni<strong>ano</strong>, allorché<br />

attribuì all’autore la straordinaria<br />

capacità di cogliere<br />

il trascendente con lo sguardo<br />

ben rivolto verso il basso, cioè<br />

verso la materialità quotidiana<br />

degli uomini e delle cose, e non<br />

restando a contemplare il cielo<br />

a testa in su. È noto con quanto<br />

drammatico e naturale lirismo<br />

lo scrittore non abbia mai<br />

smesso d’indagare sull’umile<br />

condizione umana stretta nei<br />

(Universidade Federal de Santa Catarina)<br />

difficili rapporti tra giustizia e<br />

potere, libertà e asservimento,<br />

politica e religione.<br />

Il “cafone” siloni<strong>ano</strong> è atavicamente<br />

legato alla sua terra<br />

marsicana e ad un senso pauperistico<br />

della religiosità. Silone<br />

si fece fautore per tutta la<br />

vita di un cristianesimo socialista,<br />

cogliendo da subito o quasi<br />

l’inadeguatezza dell’ortodossia<br />

comunista, nonché delle ideologie<br />

più estreme in generale, a<br />

rispondere alle esigenze intime<br />

di libera espressione dell’uomo.<br />

Il dialogismo de L’avventura<br />

d’un povero cristi<strong>ano</strong> ripercorre<br />

e dà voce, dunque, a<br />

molte delle problematiche già<br />

presenti nell’opera di Silone.<br />

Questo testo drammatico,<br />

diviso in tre tempi, può essere<br />

considerato un’opera ibrida. È<br />

innanzitutto un dramma storico,<br />

composto da lunghi dialoghi<br />

e concepito per un’azione<br />

scenica molto ridotta; in decisa<br />

controtendenza, tra l’altro,<br />

rispetto agli orientamenti<br />

teatrali degli anni ’60, che<br />

vedev<strong>ano</strong> affermarsi la desacralizzazione<br />

del testo, con i<br />

non-sense di Ionesco, Beckett<br />

e degli altri esponenti del cosiddetto<br />

“teatro dell’assurdo”,<br />

oppure privilegiare le creazioni<br />

collettive, i movimenti e le<br />

performance degli attori, per<br />

esempio del Leaving Theatre,<br />

con la gestualità e non la parola<br />

al centro della scena. In<br />

secondo luogo, il testo de L’avventura<br />

d’un povero cristi<strong>ano</strong><br />

viene pubblicato in un’edizione<br />

corredata da un ricco tessu-<br />

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