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ano VII - numero 67 INSERTO DELLA RIVISTA ... - Comunità Italiana

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A fare della scrittura di<br />

Flai<strong>ano</strong> uno scrittura autobiografica,<br />

più che le scelte<br />

tematiche, assumono un ruolo<br />

fondante quelle formali.<br />

Il personaggio Flai<strong>ano</strong>, personificazione<br />

dello scrittore,<br />

si rivela presente nell’io del<br />

protagonista, tanto che il rapporto<br />

d’identificazione tra lo<br />

scrittore ed i suoi personaggi<br />

è più che una semplice tendenza.<br />

Tutti i personaggi flaianei,<br />

almeno i fondamentali,<br />

vivono in profonda simbiosi<br />

con l’autore, del quale ricalc<strong>ano</strong><br />

le tendenze caratteriali.<br />

Il Marzi<strong>ano</strong>, lo Scrittore della<br />

Conversazione, ma anche<br />

il regista Guido Anselmi di<br />

Otto e mezzo, dimostr<strong>ano</strong><br />

le stesse fattezze morali dello<br />

scrittore. La relazione che<br />

unisce i due luoghi della sua<br />

vita, d’altronde, è scritta nelle<br />

stesse caratteristiche dei<br />

suoi personaggi: la presenza<br />

della terra abruzzese, negli<br />

scritti più maturi è prettamente<br />

indiretta, rimarcata<br />

solo nell’opposizione con la<br />

città eterna.<br />

L’uomo Flai<strong>ano</strong> ricerca<br />

la tranquillità, la calma, la<br />

concentrazione, più come<br />

esigenze spirituali che come<br />

bisogni del quotidi<strong>ano</strong>; lasciti<br />

di un legame che sente<br />

con la terra natale. A rinvigorire<br />

la sua affezione per<br />

l’Abruzzo sono soprattutto i<br />

periodi estivi che, in gioventù,<br />

trascorre a casa dalla madre.<br />

Momenti indispensabili<br />

della formazione intellettuale,<br />

in cui Flai<strong>ano</strong> focalizza<br />

quelle sensazioni primitive<br />

che più tardi descriverà nei<br />

lavori. La purezza del suo<br />

Abruzzo, la disciplina ordinaria<br />

delle giornate di provincia<br />

e l’aria fresca della<br />

sera, tutto opposto al caos<br />

morale che predomina nella<br />

calda capitale dello stato.<br />

Forse, proprio in omaggio al<br />

carattere schivo e rispettoso<br />

degli abruzzesi, Flai<strong>ano</strong><br />

resterà sempre uno scrittore<br />

isolato, partecipe ma mai<br />

pienamente coinvolto nella<br />

faraonica “dolce vita” romana.<br />

Del resto, sia la più conosciuta<br />

delle sue opere, il<br />

celeberrimo Marzi<strong>ano</strong>, sia il<br />

tratto peculiare del suo umorismo,<br />

la riservatezza, risentono<br />

di questo suo connotato<br />

caratteriale: una singolare<br />

distanza dagli argomenti che<br />

sceglie di trattare.<br />

A testimoniare questo<br />

suo aspetto, figlio della fierezza<br />

tipica abruzzese, contribuisce<br />

anche il taglio antiretorico<br />

che Flai<strong>ano</strong> esprime<br />

nel ventennio. Il cavastivale,<br />

lungo racconto ambientato<br />

in una nazione africana retta<br />

dal fantomatico dittatore<br />

di nome “Palank”, esprime<br />

tutta l’insofferenza dello<br />

scrittore per le esagerazioni<br />

propagandistiche del regime.<br />

Il lungo racconto ha per<br />

oggetto l’unitile rincorsa al<br />

progresso del piccolo paese<br />

afric<strong>ano</strong>, che nell’obiettivo<br />

investe ogni tipo di risorsa,<br />

anche umanitaria. Nella sua<br />

boriosa ironia, il racconto<br />

ripercorre uno dei tratti tipici<br />

della terra abruzzese,<br />

il rigetto della personificazione<br />

del potere. L’avversione<br />

ad una gestione troppo<br />

massiccia del potere temporale<br />

ha contraddistinto i<br />

momenti salienti della storia<br />

del territorio, tradizionalmente<br />

lont<strong>ano</strong> dalle dispute<br />

tra potenti. L’eremita Pietro<br />

da Morrone, asceso al soglio<br />

Pontifico come Celestino<br />

V, inaugura con il gesto<br />

proverbiale del rifiuto tutta<br />

una stagione d’isolamento<br />

politico-istituzionale, destinata<br />

a terminare solo con<br />

la nascita della Repubblica<br />

italiana. Il tutto, paradossalmente,<br />

a dispetto di una<br />

locazione geografica che<br />

la pone in stretta vicinanza<br />

con le capitali che lo hanno<br />

dominato storicamente: Napoli,<br />

centro del regno delle<br />

delle due Sicilie, e Roma,<br />

capitale del nuovo stato.<br />

La palese avversione dello<br />

scrittore nei confronti del<br />

potere, trova dunque riscontro<br />

sia nelle vicende storiche<br />

di molti celebri conterranei,<br />

sia nella letteratura coeva,<br />

dove il solo Silone lo ribadisce<br />

più volte con forza.<br />

Il suo percepire “lontana”<br />

la terra di origine, gli<br />

permette di approfondirne<br />

meglio alcuni caratteri peculiari,<br />

come la religiosità. Nel<br />

racconto Il Messia, pubblicato<br />

postumo nell’Autobiografia<br />

del Blu di Prussia, racconta<br />

d’un fantomatico prete<br />

abruzzese, improvvisatosi<br />

messia tra le sue terre. Nel<br />

racconto prende forma un<br />

Abruzzo irto di contraddizioni,<br />

arcaico e pag<strong>ano</strong>, dove la<br />

fede sposa la cultura contadina<br />

e la religione incontra la<br />

credulità popolare.<br />

“Se l’Abruzzo è la regione<br />

d’Italia dove la pratica<br />

della religione cristiana<br />

ha conservato molti caratteri<br />

pagani, è tuttavia<br />

anche la regione dove si<br />

“crede” nel senso più filosofico<br />

della parola : per<br />

il bisogno di credere alla<br />

metafisica stessa .Perciò<br />

in questo paese religione<br />

e vita spesso ,si identific<strong>ano</strong>:<br />

le Madonne Abruzzesi,<br />

per esempio, rispondono<br />

iconograficamente<br />

all’immagine della madre<br />

abruzzese: addolorata,<br />

sempre in angustia per i<br />

figli che lasci<strong>ano</strong> il paese<br />

in cerca di migliore fortuna,<br />

sempre vestita di nero<br />

per i lutti del parentado,<br />

col cuore trafitto da sette<br />

spade e due tonde lacrime<br />

eternamente fermate<br />

sulle guance” 1<br />

Questa particolare devozione<br />

evoca quella narrata da<br />

Silone in Fontamara, quando<br />

nel descrivere il culto di San<br />

Giuseppe da Copertino, mescola<br />

patriottismo e credulità.<br />

Proprio la colorita religiosità<br />

abruzzese, fatta di santi<br />

come di miti, appare l’ideale<br />

sottostrato su cui collocare<br />

le vicende di Don Oreste<br />

de Amicis, che verso il 1870<br />

si proclamò il nuovo Messia<br />

d’Abruzzo. Il contenuto<br />

della storia non rappresenta<br />

tuttavia una novità letteraria:<br />

è stato gia narrato dal De<br />

Nino e anche Gabriele d’Annunzio<br />

ne ha accennato in<br />

un suo romanzo. Come suo<br />

costume, Flai<strong>ano</strong> coglie nella<br />

vicenda del nuovo messia<br />

gli aspetti più comici e grotteschi,<br />

venandola di un provincialismo<br />

che a tratti tocca<br />

livelli esilaranti.<br />

“Don Oreste fu chiamato<br />

il “pretone” per le sue forme<br />

atletiche. Era patriota.<br />

Odiò sempre certi suoi parenti<br />

perché di principi non<br />

liberali. Spesso si recava<br />

nella fortezza di Pescara a<br />

visitare i prigionieri politici,<br />

portando giornali esteri che<br />

riceveva da un capit<strong>ano</strong><br />

svizzero in ritiro. Quando<br />

nel ‘60 il regno delle Due<br />

Sicilie fu unito all’Italia,<br />

don Oreste fece addirittura<br />

stranezze per la grande<br />

gioia. La notte del 25 con<br />

l’aiuto dei fratelli montò un<br />

palcoscenico con telone<br />

sull’altare maggiore” 2<br />

Questa breve dissertazione<br />

religiosa, non restituisce<br />

un Flai<strong>ano</strong> dedito ai grandi<br />

interrogativi o avvezzo all’indagine<br />

delle profondità spirituali,<br />

ma conferma un autore<br />

che guarda alla religione con<br />

disincanto e concreta ironia,<br />

la stessa che rivolge ai problemi<br />

concreti e alle fatiche<br />

quotidiane. Per Flai<strong>ano</strong><br />

la religione e la religiosità,<br />

sono concetti umani più che<br />

divini, e present<strong>ano</strong> particolare<br />

propensione ad incarnare<br />

tanto i valori culturali,<br />

quanto le stranezze di chi le<br />

professa. Sempre nel Messia<br />

l’autore ripete:<br />

“A lode di Don Oreste<br />

deve essere precisato che<br />

non cercò di imitare i miracoli<br />

più in voga (ma preferì<br />

riecheggiare gli avvenimenti<br />

biblici, e in un secondo<br />

genere tutto nuovo,<br />

come quello del treno, che<br />

a me è servito per approfondire<br />

le idee personali<br />

sul progresso, e l’evoluzione<br />

scientifica” 3<br />

La religiosità abruzzese<br />

del Messia e, in minima<br />

parte, l’ambiente familiare<br />

descritto nel Minore, costituiscono<br />

per Flai<strong>ano</strong> le chiavi<br />

di un ritorno alle origini:<br />

quell’Abruzzo cui è legato<br />

in modo imprescindibile.<br />

L’intensità del legame con la<br />

sua terra, è deducibile proprio<br />

dal primo volume degli<br />

scritti postumi, L’Autobiografia<br />

del blu di Prussia, che<br />

segnaliamo tra le opere più<br />

interessanti. In essa, specie<br />

quando il tono surreale dei<br />

racconti sposa lo stile caustico<br />

ammirabile in La pietra<br />

turchina, si genera un’ideale<br />

autobiografia indiretta;<br />

ponte tra il passato (spesso<br />

immaginario) in cui l’autore<br />

inizia la sua vita ed il caos<br />

creativo in cui la conclude.<br />

1 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere. Scritti postumi, a cura di A. Longoni e M. Corti, Ed. Bompiani, Roma, 2001, p. 75<br />

2 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere. Scritti postumi, p. 82<br />

3 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere. Scritti postumi, p. 99<br />

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