ano VII - numero 67 INSERTO DELLA RIVISTA ... - Comunità Italiana
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Suplemento da Revista <strong>Comunità</strong> <strong>Italiana</strong>. Não pode ser vendido separadamente.<br />
Inserto della rIvIsta ComunItàItalIana - realIzzato In CollaborazIone Con I dIpartImentI dI ItalI<strong>ano</strong> delle unIversItà pubblIChe brasIlIane<br />
Scrittori<br />
d’Abruzzo<br />
<strong>ano</strong> <strong>VII</strong> - <strong>numero</strong> <strong>67</strong>
luglio / 2009<br />
Editora <strong>Comunità</strong><br />
Rio de Janeiro - Brasil<br />
www.comunitaitaliana.com<br />
mosaico@comunitaitaliana.com.br<br />
Direttore responsabile<br />
Pietro Petraglia<br />
Editore<br />
Fabio Pierangeli<br />
Grafico<br />
Alberto Carvalho<br />
Segretaria di Redazione<br />
Luana D’Angelo<br />
ComItato sCIentIfICo<br />
Alexandre Montaury (PUC-Rio); Alvaro<br />
Santos Simões Junior (UNESP); Andrea<br />
Gareffi (Univ. di Roma “Tor Vergata”);<br />
Andrea Santurb<strong>ano</strong> (UFSC); Andréia Guerini<br />
(UFSC); Anna Palma (UFSC); Cecilia Casini<br />
(USP); Cristiana Lardo (Univ. di Roma<br />
“Tor Vergata”); Daniele Fioretti (Univ.<br />
Wisconsin-Madison); Elisabetta Santoro<br />
(USP); Ernesto Livorni (Univ. Wisconsin-<br />
Madison); Fabio Pierangeli (Univ. di Roma<br />
“Tor Vergata”); Giorgio De Marchis (Univ.<br />
di Roma III); Lucia Wataghin (USP); Luiz<br />
Roberto Velloso Cairo (UNESP); Maria<br />
Eunice Moreira (PUC-RS); Mauricio Santana<br />
Dias (USP); Maurizio Babini (UNESP);<br />
Patricia Peterle (UFSC); Paolo Torresan<br />
(Univ. Ca’ Foscari); Rafael Zamperetti<br />
Copetti (UFSC); Roberto Francavilla (Univ.<br />
de Siena); Roberto Mulinacci (Univ. di<br />
Bologna); Sandra Bagno (Univ. di Padova);<br />
Sergio Romanelli (UFSC); Silvia La Regina<br />
(Univ. “G. d’Annunzio”); Wander Melo<br />
Miranda (UFMG).<br />
ComItato edItorIale<br />
Affonso Rom<strong>ano</strong> de Sant’Anna; Alberto<br />
Asor Rosa; Beatriz Resende; Dacia<br />
Maraini; Elsa Savino; Everardo Norões;<br />
Flori<strong>ano</strong> Martins; Francesco Alberoni;<br />
Giacomo Marramao; Giovanni Meo Zilio;<br />
Giulia Lanciani; Leda Papaleo Ruffo;<br />
Maria Helena Kühner; Marina Colasanti;<br />
Pietro Petraglia; Rubens Piov<strong>ano</strong>; Sergio<br />
Michele; Victor Mateus<br />
esemplarI anterIorI<br />
Redazione e Amministrazione<br />
Rua Marquês de Caxias, 31<br />
Centro - Niterói - RJ - 24030-050<br />
Tel/Fax: (55+21) 2722-0181 / 2719-1468<br />
Mosaico itali<strong>ano</strong> è aperto ai contributi<br />
e alle ricerche di studiosi ed esperti<br />
brasiliani, italiani e stranieri. I<br />
collaboratori esprimono, nella massima<br />
libertà, personali opinioni che non<br />
riflettono necessariamente il pensiero<br />
della direzione.<br />
sI rInGrazI<strong>ano</strong><br />
“Tutte le istituzioni e i collaboratori<br />
che hanno contribuito in qualche modo<br />
all’elaborazione del presente <strong>numero</strong>”<br />
stampatore<br />
Editora <strong>Comunità</strong> Ltda.<br />
ISSN 1<strong>67</strong>6-3220<br />
Scrittori d’Abruzzo.<br />
Per non dimenticare.<br />
Per una ontologia del rifiuto. Rifiuto, inteso come immondizia<br />
da cui liberarci. Rifiutato come colui che viene<br />
rinnegato o emarginato dalla società. E il rifiutarsi: gesto<br />
di ribellione e disobbedienza a regole ingiuste, imposte dalle<br />
leggi globalizzate del consumismo. Trova il coraggio di questa<br />
denuncia, Guido Zingari, in uno tra i più belli tra i suoi <strong>numero</strong>si<br />
libri, Ontologia del rifiuto. Pasolini e i rifiuti dell’umanità in<br />
una società impura, Le nubi edizioni, Roma, 2006.<br />
Filosofo tra i più noti soprattutto nell’ambito degli studi<br />
del pensiero tedesco, esperto di Heidegger, capace di nitide<br />
incursione nella letteratura, oltre Pasolini anche, ad esempio,<br />
Giord<strong>ano</strong> Bruno, apprezzato docente universitario, dalla<br />
Sapienza a Tor Vergata, con una schiera di valenti allievi devoti,<br />
Guido Zingari, per un fatale destino, luminoso e tragico (se<br />
si pensa anche alla lunga malattia che aveva affrontato con<br />
estremo coraggio, perfino gioia) è rimasto vittima del terremoto<br />
d’Abruzzo del 6 aprile. Ricordiamo una sua espressione,<br />
mirabile, da un altro recente libro, del 2005, sempre per il<br />
medesimo editore, Il dono e l’Occidente. Conversazione su un<br />
gesto impiegabile: «Il dono è ciò che è sempre imprevedibile<br />
verso l’altro ed estraneo alla logica dello scambio interessato».<br />
Con il conforto amichevole di tanti colleghi, in particolare<br />
della Università Tor Vergata di Roma, nella quale insegnava<br />
Guido Zingari, nella persona del preside Rino Caputo e<br />
dell’allievo prediletto prof. Marco Caponera, di Patricia Peterle,<br />
di Andrea Santurb<strong>ano</strong> e di tutta la redazione e il Comitato<br />
scientifico di Mosaico, dedichiamo questo <strong>numero</strong> a tutte le<br />
vittime del terremoto del 6 aprile,(riflessi simbolicamente nel<br />
volto, nello sguardo, nel pensiero poetante e socialmente<br />
impegnato di Guido); a chi piange familiari ed amici ed è<br />
rimasto senza casa. Lo facciamo rammentando la grande<br />
tradizione letteraria, fin dal fulgido medioevo, dell’Abruzzo,<br />
negli scrittori del Novecento: D’Annunzio, Silone, Flai<strong>ano</strong>,<br />
Pomilio, Gennaro Manna, in altri poeti, e in uno dei suoi più<br />
insigni studiosi, Vittori<strong>ano</strong> Esposito, punto di riferimento per<br />
una cultura contrassegnata dal sapore della grazia e della<br />
nobiltà umana e culturale. Se il dono è estraneo alla logica<br />
dello scambio e del profitto, auspichiamo che, sia pur nelle<br />
oggettive difficoltà, la politica italiana imbocchi di nuovo, come<br />
era sembrato nei primi giorni del disastro, nell’impegno della<br />
ricostruzione, la strada della solidarietà e della dignità, indicata<br />
autorevolmente da Guido Zingari, tralasciando litigi, logiche<br />
affaristiche, vili campanilismi, compromessi con la malavita.<br />
2 3<br />
Saggi<br />
Giulia Bigelli<br />
L’ontologia del rifiuto tra filosofia e poesia: Guido Zingari e Pier Paolo Pasolini pag. 04<br />
A cura di Mosaico<br />
Scrittori d’Abruzzo. Spunti per una ricerca pag. 07<br />
Roberto Mosena<br />
D’Annunzio precursore del pulp e le Novelle delle Pescara. pag. 09<br />
Andrea Santurb<strong>ano</strong><br />
Un’avventura teatrale di Ignazio Silone pag. 11<br />
Carlotta Dell’Arte<br />
Il più abruzzese dei Santi pag. 14<br />
Daniele Fioretti<br />
Tempo di uccidere: l’anti-epopea coloniale<br />
di Ennio Flai<strong>ano</strong> dal “taccuino” al romanzo pag. 16<br />
Giuseppe Mammetti<br />
Flai<strong>ano</strong> e le sue origini. L’Abruzzo visto dai suoi scritti pag. 21<br />
Patricia Peterle e Andrea Santurb<strong>ano</strong><br />
Ritratto di uno studioso: Vittori<strong>ano</strong> Esposito pag. 24<br />
Aldo Onorati<br />
Gennaro Manna e la terra d’Abruzzo pag. 27<br />
Intervista<br />
Pulcinelli Camilla<br />
L’ultimo Bonaviri pag. 29<br />
Fabio Pierangeli<br />
La potenza dei figli: Epopea ultrà di Giuseppe Manfridi pag. 33<br />
Rubrica<br />
Francesco Alberoni<br />
L’età cambia amore e sesso. A 50 anni emozioni più vere pag. 34<br />
Passatempo pag. 35
L’ontologia del rifiuto<br />
tra filosofia e poesia:<br />
Guido Zingari e<br />
Pier Paolo Pasolini<br />
Giulia Bigelli<br />
Filosofo itali<strong>ano</strong> tra i più noti in Europa, soprattutto nell’ambito degli studi del pensiero tedesco,<br />
esperto di Heidegger, capace di incursione nella letteratura, oltre Pasolini anche ad esempio,<br />
Giord<strong>ano</strong> Bruno, e nelle arti “sorelle”, apprezzato docente universitario, dalla Sapienza a Tor<br />
Vergata di Roma, con una schiera di valenti allievi devoti, Guido Zingari, per un fatale destino,<br />
luminoso e tragico (se si pensa anche alla lunga malattia che aveva affrontato con estremo<br />
coraggio, perfino gioia) è rimasto vittima del terremoto d’Abruzzo del 6 aprile. Pubblichiamo lo<br />
scritto di una sua allieva, da poco laureata all’Università Tor Vergata di Roma.<br />
Il rifiuto rappresenta un punto prospettico differente di osservazione della realtà.<br />
Guido ZinGari<br />
Ma nei rifiuti del mondo nasce un nuovo mondo; nascono leggi nuove dove non<br />
c’è più legge; nasce un nuovo onore dove onore è il disonore… Nascono potenze e<br />
nobiltà, feroci, nei mucchi di tuguri, nei luoghi sconfinati dove credi che la città finisca,<br />
e dove invece ricomincia, nemica, ricomincia…<br />
Ironico, pungente. Poetico,<br />
filosofico. Una scrittura<br />
veloce, d’impatto, impulsiva<br />
ma estremamente razionale.<br />
Niente parole a metà,<br />
niente significati nascosti<br />
tra le righe: la schiettezza e<br />
l’originalità di Guido Zingari<br />
sono l’autentica forza e la<br />
bellezza del suo scrivere e<br />
del suo pensiero. La dimensione<br />
filosofica si intreccia<br />
con quella poetica, permettendo<br />
al filosofo di instaurare<br />
un vero dialogo tanto con<br />
gli autori appartenenti alla<br />
tradizione, quanto, e soprattutto,<br />
con Pier Paolo Pasolini,<br />
che Zingari identifica quale<br />
esempio supremo di rifiuto in<br />
una società impura.<br />
La dimensione sociale resta<br />
preoccupazione centrale nella<br />
speculazione di Zingari , sotto<br />
forma di una critica prepotentemente<br />
laddove il filosofo individua<br />
le cause del deprecabile<br />
processo di “produzione”<br />
di una schiera di individui considerati<br />
rifiuti. Ovvero gli scarti<br />
che la società produce; coloro<br />
che non rientr<strong>ano</strong> in quegli<br />
schemi che la convenzione, il<br />
buon costume, la consuetudine<br />
detta e adotta come leggi:<br />
i rifiuti sono coloro che non<br />
sono degni di essere definiti<br />
normali… come se qualcuno<br />
Pier Paolo Pasolini<br />
possa dirci, una volta per tutte,<br />
cosa sia la normalità. I rifiuti<br />
sono tutte quelle cose che vanno<br />
sterminate per poter giungere<br />
ad una pseudo purezza<br />
assoluta: la vita sociale sembra<br />
impegnarsi all’allontanamento<br />
di queste categorie di rifiuti per<br />
la sua realizzazione autentica,<br />
per arrivare a non essere contaminata<br />
dal diverso. L’analisi<br />
di Zingari parte dalla critica<br />
della dimensione sociale, e ad<br />
essa torna: l’ontologia del rifiuto<br />
mira a mettere in luce la<br />
questione dell’essere più proprio<br />
del rifiuto nella sua immanenza<br />
e nelle sue pratiche quotidiane<br />
1 . Nel medesimo attimo<br />
1 G. Zingari, L’Ontologia del rifiuto. Pasolini e i rifiuti dell’umanità in una società impura, Le Nubi Edizioni, Roma 2006, pag. IX.<br />
in cui si comprende cosa il rifiuto<br />
sia, è impossibile restare<br />
immobili, inermi, è impossibile<br />
non interrogarsi: la filosofia<br />
incontra la vita, la quotidianità,<br />
il metafisico e il concreto<br />
cre<strong>ano</strong> la scintilla per l’azione,<br />
una re-azione a schemi predefiniti,<br />
rigidi, a norme non rese<br />
proprie, ma imposte. Queste<br />
stesse regole fanno di un individuo<br />
un reietto, un inetto.<br />
Le leggi, più che umanizzare<br />
l’individuo, lo rendono cosa.<br />
«Reificazione dell’uomo, questo<br />
il primo passo verso la creazione<br />
del rifiutato».<br />
Indispensabile marcare<br />
quella che, in un primo momento,<br />
si distingue come la<br />
linea di differenza tra rifiuto<br />
e rifiutato. Agire e patire 2<br />
possiamo definirle peculiari<br />
categorie che caratterizz<strong>ano</strong><br />
i concetti analizzati. Se da un<br />
lato Zingari definisce il rifiuto<br />
come una scelta cosciente<br />
di essere altro dalla società<br />
impura e dai loro membri,<br />
dall’altro il rifiutato è colui<br />
che si trova a subire la scelta<br />
che la società attua nei suoi<br />
confronti, una deliberazione<br />
che lo vede costretto a vivere<br />
ai margini della società civile.<br />
Paradossalmente, rifiuto<br />
e rifiutato sono le due facce<br />
della stessa medaglia. La<br />
società impura, ossia quella<br />
società che Zingari definisce<br />
come ripiegata su se stessa,<br />
in una chiusura completa, è<br />
la creatrice di quelle dinamiche<br />
a cui, a seguito di una<br />
riflessione e di una impossibilità<br />
di con-vivenza, ci si<br />
ribella, decidendo di vivere<br />
non rientrando in c<strong>ano</strong>ni predefiniti,<br />
la scelta del rifiuto<br />
è ciò che porta a subire poi<br />
un’esistenza non autentica. Il<br />
riconoscimento viene meno,<br />
l’incontro con l’Altro non si<br />
avvera: colui che rifiuta è colui<br />
che è rifiutato, colui la cui<br />
esistenza è considerata come<br />
un non – essere.<br />
Questo il caso di Pier Paolo<br />
Pasolini, l’omosessuale<br />
da ghettizzare, il poeta maledetto,<br />
il pensatore scomodo<br />
che visse drammaticamente<br />
su di sé il conflitto ontologico<br />
tra desiderio disperato e rifiuto<br />
3 . La sua facoltà di giudizio<br />
lo porta a ricercare valori ed<br />
ideali nell’Oriente, luogo in<br />
cui, nonostante le sofferenze<br />
e la povertà, er<strong>ano</strong> rimasti intatti<br />
gioia, dignità e autentico<br />
significato della vita. Tutto ciò<br />
in Occidente e nelle società<br />
borghesi era, ed è, scomparso<br />
e pertanto Pasolini vaga altrove,<br />
si immerge nelle borgate<br />
della periferia romana, lont<strong>ano</strong><br />
dalle ricchezze e dai frivoli<br />
valori borghesi, critica la<br />
società esaltando la parte più<br />
vitale e corporea dell’individuo,<br />
denuncia le ingiustizie,<br />
descrive la sua situazione che<br />
è la stessa degli altri rifiutati.<br />
E il potere lo condanna: condanna<br />
i suoi comportamenti,<br />
le sue idee. L’invisibile pasolini<strong>ano</strong>,<br />
punito, porta alla<br />
conversione del suo essere,<br />
visibile e non. Dimensione<br />
ontologica, metafisica, che<br />
graffia l’agire quotidi<strong>ano</strong> nella<br />
costrizione di una vita ai<br />
margini dell’um<strong>ano</strong>. Scompare<br />
il riconoscimento, quella<br />
scintilla nascente dallo sguardo<br />
che caratterizza la vita di<br />
ogni soggetto che voglia dirsi<br />
tale. Non ha senso la fertile<br />
reciprocità che prende vita<br />
dall’incontro e confronto con<br />
l’Altro, perché il rifiutato dalla<br />
società è ciò che contamina<br />
la purezza di una collettività<br />
che si reputa superiore, è<br />
un’esistenza che non possiede<br />
più il suo essere. La sua essenza<br />
diventa il suo Non – essere.<br />
«Per il rifiutato non esiste<br />
più alcuna voce, alcun rumore<br />
ed alcun segno e respiro<br />
di vita e di riconoscimento: è<br />
costretto a vivere ai margini<br />
della società come un bandito<br />
e un ricercato. Inutile è la<br />
speranza di un cenno al suo<br />
esistere e al suo non essere. Il<br />
non essere è il rifiuto messo<br />
in atto da parte dell’altro. È il<br />
sovr<strong>ano</strong> gesto di negazione<br />
e di reiezione». 4 . Pasolini diventa<br />
lo scarto della società,<br />
il rifiuto e il rifiutato. Nella<br />
riflessione di Zingari, imprevedibile<br />
fino all’ultima pagina,<br />
un ulteriore tassello viene<br />
inserito nel tentativo di dare<br />
una definizione ai concetti<br />
presi in esame. I rifiutati dalla<br />
società, e i suoi rifiuti, non<br />
sono solo coloro che per primi<br />
mettono in atto dinamiche<br />
di rifiuto sociali ed individuali,<br />
come nel caso di Pasolini.<br />
Rifiuti sono anche tutte quelle<br />
persone che muoiono per<br />
una guerra d’interesse. Rifiuti<br />
sono gli internati di Auschwitz<br />
e Birkenau, rifiuti sono i bambini<br />
che raccolgono le mine<br />
antiuomo pensando che si<strong>ano</strong><br />
giocattoli, rifiutati sono<br />
le famiglie africane distrutte<br />
dalla malattia e dalla povertà.<br />
L’Africa è il sogno infranto e il<br />
deserto dei nostri rifiuti 5 , scrive<br />
Zingari. Rifiutati sono i differenti<br />
resi ormai indifferenti.<br />
2 Il termine patire è qui da intendersi in base alla sua origine etimologica. Dal latino patior, è inteso come il farsi<br />
carico di una sofferenza, personale o derivante dall’esterno.<br />
3 G. Zingari, L’Ontologia del rifiuto. Pasolini e i rifiuti dell’umanità in una società impura, Le Nubi Edizioni, Roma<br />
2006,pag. 42.<br />
4 Ivi, pag. 7.<br />
5 Ivi, pag. 15.<br />
4 5
Rifiuti, e rifiutati, sono coloro<br />
che da un angolo buio e sporco<br />
osserv<strong>ano</strong> una società che<br />
non è più considerata come<br />
facente parte del loro essere<br />
uomini. Non appartenenza.<br />
I rifiutati non sono degni di<br />
appartenere; abbandonati e<br />
dimenticati, volgono lo sguardo<br />
al loro guardi<strong>ano</strong>, il quale<br />
controlla e impone loro di rimanere<br />
lontani, distanti dagli<br />
affari pubblici, civili e culturali.<br />
Pasolini è uno di loro:<br />
descrive quella società che lo<br />
ha escluso e allo stesso tempo<br />
rappresenta la voce di tutte le<br />
persone rifiutate come lui.<br />
La concettualizzazione<br />
elaborata da Zingari, soprattutto<br />
nella parte finale del testo,<br />
assegna un ruolo fondamentale<br />
a quelle che vengono<br />
definite le pratiche del rifiuto.<br />
La definizione di un’ontologia<br />
del rifiuto presuppone l’intersezione<br />
tanto della sfera teoretica,<br />
quanto di quella pratica.<br />
L’essenza del rifiuto e del rifiutato,<br />
il loro Non – essere, sorge<br />
dallo scontro tra teoria e prassi<br />
e solo attraverso ciò, solo attraverso<br />
una fenomenologia del<br />
rifiuto, l’ontologia può essere<br />
definita. È un processo circolare<br />
quello del legame, possibile<br />
o inevitabile, tra società e<br />
rifiuto. E Pasolini ne incarna la<br />
dinamica. Ironico e pungente.<br />
Poetico e, in alcuni aspetti, filosofico.<br />
Una poesia schietta,<br />
a volte cruda, ma estremamente<br />
appassionante, coinvolgente.<br />
Una poesia scomoda,<br />
che narra le ingiustizie, gli<br />
scempi, le atrocità, le azioni<br />
disumane di una società che<br />
di sociale e civile conserva e<br />
tutela ben poco. Inevitabile<br />
collisione. Pasolini si rifiuta di<br />
vivere in una prospettiva tale,<br />
la società lo rifiuta.<br />
6 Ivi, pag. 75.<br />
7 Ivi, pag. 122.<br />
E’ nel momento in cui la<br />
dialettica circolare sembra arrestarsi,<br />
che Zingari vede una<br />
nuova partenza. Il rifiuto diventa<br />
una chiave di lettura «e<br />
verosimilmente un principio<br />
costitutivo, una sorta di metodo<br />
normativo, una macchina<br />
– sistema, un’inquadratura<br />
concettuale ed infine una spia<br />
della realtà stessa delle cose» 6 .<br />
Pasolini, con la sua poesia,<br />
mette in atto tutto questo. Descrive,<br />
sconvolgendo. Quando<br />
la filosofia del rifiuto è definita<br />
come ciò che crea caos<br />
nei territori del pensiero, è qui<br />
che dalle parole dell’autore<br />
trasuda l’ottimismo e la non<br />
resa: lo stupore, lo scompiglio<br />
e il disordine della vita della<br />
mente, port<strong>ano</strong> alla creazione<br />
del nuovo, alla nascita di nuovi<br />
concetti, nuove categorie<br />
a cui fare riferimento. Questo<br />
è l’intento di un’ontologia<br />
del rifiuto: l’abbattimento del<br />
pre-fissato, pre-definito, delle<br />
norme e dei valori dati come<br />
definitivi e validi da sempre<br />
e per sempre, per tutti e per<br />
ogni contesto. È l’esaltazione<br />
delle differenze, dello sguardo<br />
critico e attento sulla realtà,<br />
dello schierarsi in prima persona<br />
per contribuire alla tutela<br />
di quelle persone che non<br />
rientr<strong>ano</strong> in ciò che la società,<br />
dall’alto della sua presunzione,<br />
definisce come normali.<br />
In senso positivo, il rifiuto è il<br />
rifiuto di queste mistificazioni<br />
e falsità inaccettabili costruite<br />
ad arte, lasciando alla vita,<br />
alla gioia e alla verità, i loro<br />
resti e le loro ragioni. «La condizione<br />
ontologica del rifiuto<br />
attraversa, evidentemente,<br />
l’intera esistenza e ne è parte<br />
fondamentale. Decidere e<br />
scegliere, nella gioia e nella<br />
crudeltà, è necessario. È necessario<br />
compire il salto e lo<br />
scarto, di fronte all’ostacolo<br />
improvviso, invasi dalla forza,<br />
dall’ostentazione e da un segreto<br />
timore» 7 .<br />
Una filosofia del rifiuto<br />
così definita, diviene la spinta<br />
alla vita autentica. Il valore<br />
positivo del rifiuto presuppone<br />
la disobbedienza, una<br />
ribellione sana e fertile che<br />
regala all’esistenza di ognuno<br />
un di più di vita: «…Mai<br />
hai dubitato della fede nella<br />
vita, nonostante il suo quotidi<strong>ano</strong><br />
oltraggio. E questa fu la<br />
tua vera e incrollabile fede…<br />
Ogni giorno della vita, hai<br />
pensato alla condizione del<br />
tuo essere e dell’essere degli<br />
altri… Mai hai smesso di<br />
sognare, perché questo era il<br />
tuo modo disperato di essere,<br />
amare e sperare…»<br />
Scrittori d’Abruzzo.<br />
Spunti per una ricerca<br />
Nella Letteratura italiana<br />
Einaudi diretta da Alberto<br />
Asor Rosa, nei volumi<br />
dedicati alla divisione storico<br />
geografica della Letteratura<br />
italiana, agli scrittori di<br />
Abruzzo si riserva un posto<br />
nella zona del verismo contadino<br />
che contraddistingue<br />
la storia letteraria del nostro<br />
Mezzogiorno. A metà tra i<br />
due secoli Ottocento e Novecento,<br />
tra la lezione verghiana<br />
e quella europea, soprattutto<br />
russa, un ruolo primaria<br />
spetta a Domenico Ciampoli,<br />
(Atessa, Chieti 1855, Roma<br />
1920), novelliere di fama, la<br />
cui raccolta più nota e espressiva<br />
rimane Fra le selve del<br />
1890. Da non dimenticare<br />
anche Giuseppe Mezz<strong>ano</strong>tte<br />
(1855-1935), abile scrittore<br />
di novelle e del libro autobiografico<br />
La tragedia di Senarica<br />
(1887), e Fedele Romani<br />
(1855-1910), anche lui ricordato<br />
per delicati frammenti di<br />
memoria in Colledara (1907)<br />
e Da Colledara a Firenze<br />
(1915). Il saggio, a firma di<br />
Rosario Contarino, nel volume<br />
III, L’età contemporanea,<br />
contrappone questo mondo<br />
di minuto «intenerito» realismo<br />
all’Abruzzo selvaggio,<br />
violento, attraversato da simboli<br />
di morte e di rinascita del<br />
miglior D’Annunzio, nato a<br />
Pescara nel 1863, proteso in<br />
una strada di confino tra sacro<br />
e prof<strong>ano</strong>, specialmente<br />
nei capolavori teatrali, come<br />
La figlia di Jorio e la Fiaccola<br />
sotto il moggio. «L’Abruzzo<br />
è insomma “montagna materna”,<br />
è mito opposto alla<br />
falsa civiltà, è bisogno di<br />
reimmersione nell’arcaico».<br />
D’Annunzio, già in parte con<br />
le novelle di Terra vergine<br />
(1882) e poi in San Pantaleone<br />
(1886), frammenti in gran<br />
parte riprese nelle Novelle<br />
della Pescara, risulta uno dei<br />
primi scrittori a percepire la<br />
«valenza archetipica nel rapporto<br />
con la terra d’origine»,<br />
tra purezza e violenza, che<br />
in questo <strong>numero</strong> di Mosaico,<br />
Roberto Mosena stigmatizza,<br />
arrivando a valutarlo<br />
come possibile modello (forse<br />
insuperato) per la giovane<br />
narrativa di cento anni e più<br />
avanti nella storia dei corsi<br />
e ricorsi letterari. Capitolo<br />
importante anche ideologicamente,<br />
quello della grande<br />
processione a cui assiste a<br />
Casalbordino il “superuomo”<br />
Giorgio Aurispa nel Trionfo<br />
della morte: «Era uno spetta-<br />
A cura di Mosaico<br />
colo meraviglioso e terribile,<br />
inopinato, dissimile ad ogni<br />
aggregazione già veduta di<br />
cose e di genti, composto<br />
di mescolanze così strane<br />
e diverse che superava i più<br />
torbidi sogni prodotti dagli<br />
incubi». Commenta Contarino.<br />
«Nell’indicare come<br />
infraumane le convulsioni<br />
scomposte di questo mistero<br />
primitivo, dove tutto è corruttela<br />
e deformità, D’Annunzio<br />
contrappone la barbarie idolatrica<br />
alla morale aristocratica<br />
di Zarathustra, coltivata da<br />
Giorgio nei silenzio dell’Eremo,<br />
disconoscendo qualsiasi<br />
parentela tra la ricerca intellettuale<br />
e l’ineguale ottusa<br />
folla, grondante di “tutti gli<br />
orrori della carne umana”».<br />
Il posto di Ignazio Silone,<br />
di cui ampiamente si discute<br />
in questo <strong>numero</strong> di Mosaico,<br />
nella narrativa meridionale<br />
ma di respiro nazionale<br />
e internazionale si individua,<br />
6 7
giustamente, tra i grandi scrittori<br />
di quella fondamentale<br />
temperie narrativa, unica al<br />
mondo per i caratteri di scavo<br />
nel dolore e nella vivacità di<br />
una tradizione remota: Corrado<br />
Alvaro, Franco Jovine,<br />
Raul Maria De Angelis.<br />
Di timbro diverso e originale<br />
gli altri due grandi scrittori<br />
abruzzesi del Novecento,<br />
Ennio Flai<strong>ano</strong>, di cui due saggi<br />
in questo <strong>numero</strong> di Mosaico<br />
e Mario Pomilio, scrittore<br />
di grande profondità esistenziale,<br />
cattolico tormentato,<br />
perennemente in riflessione<br />
sul senso della vita e della<br />
morte. Tra le <strong>numero</strong>se opere,<br />
l’Abruzzo compare però occasionalmente<br />
(L’uccello nella<br />
cupola e La compromissione),<br />
mentre i suoi capolavori<br />
sono da ricercare in una ansia<br />
di liberazione dal male, per<br />
esempio in due racconti lunghi<br />
(o romanzi brevi) dedicati<br />
a Manzoni in crisi di fede (Il<br />
Natale del 1843) e al viaggio<br />
di due giovani uno itali<strong>ano</strong><br />
e una tedesca, verso il Nord<br />
Europa, alla fine del secondo<br />
conflitto mondiale, nel Cimitero<br />
cinese. In cerca di una<br />
riconciliazione individuale e<br />
epocale, dopo la lacerazione<br />
della guerra, i due giovani<br />
ritroveranno pace e amore<br />
tra loro, spezzando il muro<br />
di ghiaccio dell’odio e del<br />
rimorso, di fronte alla laica<br />
religione dell’ordine e della<br />
dignità di un cimitero cinese<br />
e del suo umile, paziente, generoso,<br />
guardi<strong>ano</strong>.<br />
Scrittori non a caso trapiantati<br />
dall’Abruzzo alle<br />
due grandi città che ne hanno<br />
in gran parte assorbito il<br />
patrimonio culturale: Roma<br />
(come è noto Flai<strong>ano</strong> resta<br />
con Fellini e Pinelli il grande<br />
inventore della dolce vita,<br />
essendo stato lo sceneggiatore<br />
di tutti i più grandi film di<br />
successo di quegli anni) e Napoli,<br />
basti pensare all’abruzzese<br />
Benedetto Croce, in<br />
gran parte attivo culturalmente<br />
nella città partenopea.<br />
Presentando il fondamentale<br />
Abruzzo, per la Collana delle<br />
Regioni d’Italia editrice La<br />
Scuola, Gianni Oliva e Carlo<br />
De Matteis, scrivono infatti<br />
che la letteratura abruzzese<br />
nel corso dei secoli è stata<br />
caratterizzata dalla tendenza<br />
di «disporsi docilmente<br />
sull’asse culturale dei grandi<br />
centri». Prima Napoli e poi<br />
Roma. Eppure, l’Abruzzo ha<br />
conosciuto una fiorente letteratura<br />
(nonché come è noto,<br />
architettura) medievale, con i<br />
centri monastici e la figura di<br />
primo pi<strong>ano</strong> di Buccio di Ranallo,<br />
il cui poema Cronica<br />
rimata del 1355, ricostruisce<br />
di fatto la narrazione del primo<br />
secolo di storia della città<br />
dell’Aquila, a cui si deve<br />
accostare gli ottimi risultati<br />
poetici di alcuni laudari e lo<br />
sviluppo del dramma sacro,<br />
di cui lo storico studio degli<br />
anni Venti del Novecento di<br />
Vincenzo De Bartholomaeis,<br />
Il teatro abruzzese del Medioevo<br />
e quello di Paolo Conti,<br />
Lirica drammatica medievale<br />
abruzzese, del 1953. Non<br />
trascurabili i ritrovi umanistici<br />
di Sulmona, un Seicento<br />
ancora tutto da scoprire e la<br />
presenza settecentesca delle<br />
“colonie arcadiche”. Con i<br />
grandi di cui si è detto, tra<br />
Ottocento e Novecento, un<br />
ruolo non secondario spetta<br />
a due drammaturghi di grande<br />
fama, sia pur oggi pressoché<br />
dimenticati, anche per la<br />
colossale fortuna di Pirandello<br />
in quegli anni, capace di<br />
oscurare personalità per certi<br />
versi non meno capaci di<br />
opere altamente significative.<br />
Si tratta di Luigi Antonelli<br />
(1877-1975), l’autore del<br />
celebre L’uomo che incontrò<br />
se stesso, uno dei padri del<br />
grottesco (si veda Storia del<br />
teatro itali<strong>ano</strong> di Giovanni<br />
Antonucci, Studium), sia pur<br />
superficialmente legato nelle<br />
opere alla terra d’origine<br />
e di Mario Federici (1900-<br />
1975), che almeno in Quelli<br />
di Montetreboschi (1929),<br />
offre spunti storico-geografici<br />
legati al mondo contadino<br />
abruzzese.<br />
Tra i poeti, massimamente<br />
abruzzese per l’uso vario<br />
del dialetto Cesare De Titta<br />
(1862-1933), Alessandro<br />
Dommarco (nato nel 1912, la<br />
cui opera principale del 1982<br />
è Da mò ve diche addije) il<br />
suggestivo Vittorio Clemente<br />
(1895-1971), salutato con vigore<br />
da Pier Paolo Pasolini e<br />
di cui va ricordata almeno Acqua<br />
de magge (1952), con un<br />
Abruzzo primaverile e limpido<br />
di possibili rinascite. Scrive<br />
Gianni Oliva che nel mondo<br />
del poeta di questa raccolta<br />
domina incontrastato l’amore<br />
nella «fresca sensualità delle<br />
contadine ninfe che attent<strong>ano</strong><br />
alla fanciullezza innocente.<br />
La soave irruenza delle giovinette<br />
e lo sbigottimento del<br />
fanciullo assalito cre<strong>ano</strong> un<br />
morbido contrasto, mentre il<br />
magico contorno della natura<br />
fa assumere al quadro una<br />
leggiadra compostezza arcaica,<br />
quasi mitologica». Sia pur<br />
difficilmente individuabile<br />
in una linea abruzzese, tra i<br />
poeti contemporanei contraddistinti<br />
da una intensa attività<br />
culturale, in cui spicca la personalità<br />
poliedrica e infaticabile<br />
di Vittori<strong>ano</strong> Esposito a<br />
cui Mosaico dedica un profilo<br />
a cura dei suoi due autorevoli<br />
direttori dei numeri redatti in<br />
Brasile, Peterle e Santurb<strong>ano</strong>,<br />
ricordiamo Ottavi<strong>ano</strong> Giannangeli,<br />
Pietro Civitareale,<br />
Benito Sablone.<br />
D’Annunzio precursore<br />
del pulp e le Novelle<br />
delle Pescara.<br />
Nel 1996 uscì per Castelvecchi<br />
il libro di un certo<br />
Aldo Nove, Woobinda<br />
e altre storie senza lieto fine.<br />
Cominciava così: «Ho ammazzato<br />
i miei genitori perché<br />
usav<strong>ano</strong> un bagnoschiuma<br />
assurdo, Pure&Vegatal.<br />
Mia madre diceva che quel<br />
bagnoschiuma idrata la pelle<br />
ma io uso Vidal e voglio che<br />
in casa tutti usino Vidal. Perché<br />
ricordo che fin da piccolo<br />
la pubblicità del bagnoschiuma<br />
Vidal mi piaceva molto.<br />
Stavo a letto e guardavo correre<br />
quel cavallo. Quel cavallo<br />
era la Libertà. Volevo che<br />
tutti fossero liberi. Volevo che<br />
tutti comprassero Vidal».<br />
Non ci si stupì poi molto<br />
nell’apprendere dalla quarta<br />
di copertina che Nove era<br />
vissuto a Viggiù fino al 1988,<br />
«quando l’esplosione di una<br />
bombola del gas gli ha raso al<br />
suolo la casa». Il suo era un<br />
linguaggio altamente innovativo,<br />
capace di creare un grado<br />
zero della scrittura. Molti<br />
si chiesero che cosa si potesse<br />
ancora scrivere dopo quel libro<br />
così veloce, violento, terribilmente<br />
pulp.<br />
Il libro di Nove mi pare<br />
oggi un capolavoro di quella<br />
stagione letteraria, di quel fenomeno<br />
della cosiddetta «letteratura<br />
pulp», cioè di quella<br />
letteratura che proponeva una<br />
nuova scrittura con i suoi nuovi<br />
scrittori, tutti così attenti a<br />
tematiche e modalità narrative<br />
vicine a quelle del cinema<br />
contemporaneo, stile Tarantino.<br />
Il rischio di quella stagione<br />
letteraria, come di tutte e<br />
soprattutto di quelle che vengono<br />
sentite come innovative<br />
o di rottura, era quello solito<br />
di finire nell’irrilevante, nel<br />
superfluo: perché si volev<strong>ano</strong><br />
trattare storie e temi di assoluta<br />
rilevanza – violenza,<br />
emarginazione, realtà bassa e<br />
Roberto Mosena<br />
sordida, «odio senza rabbia»,<br />
«cinismo senza disperazione»,<br />
assenza del futuro di un’intera<br />
generazione bombardata da<br />
messaggi televisivi e poi da<br />
cellulari e internet – con un<br />
linguaggio che rischiava di inficiare<br />
la pretesa aulicità del<br />
linguaggio letterario; perché,<br />
da qualche parte, esso andava<br />
a contaminarsi con altri linguaggi<br />
e, più in generale, esigeva<br />
un abbassamento di tono<br />
e registro senza precedenti.<br />
Aldo Nove, come cent’anni<br />
prima D’Annunzio, in<br />
quell’occasione non ebbe<br />
paura di sporcarsi le mani.<br />
Costruì un libro formidabile,<br />
rapidissimo, facendo della<br />
brevità, dell’icasticità delle<br />
immagini, il ritratto di una generazione<br />
che non aveva ancora<br />
avuto il suo cantore.<br />
Il pulp, a ripensarlo oggi,<br />
trovo che non sia stato una ricerca<br />
estetica di fantasia e di<br />
immaginazione. Quanto piuttosto<br />
un rigurgito, nelle sue<br />
punte più alte estremamente<br />
8 9
efficace e significativo, di realismo.<br />
Anzi, il pulp era iperrealistico,<br />
pur essendo una mimesi<br />
di «Hide», di ciò che era nascosto,<br />
sul punto di esplodere.<br />
Era, in qualche modo, il mostro<br />
che viene a galla dall’abisso.<br />
Mimesi della (in)coscienza<br />
e della (a)moralità dell’uomo<br />
contemporaneo. Non bisognava<br />
andar lontani per registrare<br />
violenza, volgarità, potenza e<br />
velocità allo stato puro. E ora<br />
gli scrittori ce lo insegnav<strong>ano</strong>.<br />
Tuttavia, il pericolo dell’incomprensione<br />
e del fraintendimento<br />
che il nuovo linguaggio<br />
si assumeva, credo sia tale<br />
e quale a quello assuntosi da<br />
D’Annunzio quando raccoglieva<br />
certe sue novelle.<br />
In pieno clima veristico,<br />
D’Annunzio, specie nelle Novelle<br />
della Pescara (1902), si<br />
allontanava dai modelli, dalla<br />
analisi scientifica del naturalismo<br />
francese alla Zola, per<br />
approdare a una propria cifra<br />
stilistica in grado di raccontare<br />
con precisione l’Abruzzo pur<br />
elevandolo, a tratti in una sfera<br />
leggendaria e favolosa, a simbolo<br />
di una umanità assolutamente<br />
degradata, bassa, povera,<br />
istintuale, selvaggiamente<br />
violenta e perversa, così poco<br />
morale, così tanto ribellistica e<br />
ferina che agli occhi dei contemporanei<br />
dovette sembrar<br />
sospetta. In quel tempo, coi<br />
vari verismi regionali, si doveva<br />
portare alla luce soprattutto<br />
la realtà di un’Italia ancora<br />
sconosciuta ai più: coglierne<br />
aspetti, tendenze specifiche,<br />
problematiche, tradizioni, usi<br />
e costumi. D’Annunzio condivideva<br />
con gli scrittori della<br />
sua generazione, tutti avidi<br />
lettori di Verga, il punto di partenza<br />
– registrare la realtà – ma<br />
non gli esiti. La sua innata e<br />
precoce capacità di deformare<br />
i fenomeni, alimentata dalla<br />
sua esuberanza sensuale, dal<br />
suo gusto per la carne, il sangue,<br />
l’odore, lo portarono, assieme<br />
a molte altre suggestioni<br />
letterarie, a scrivere delle scene<br />
di inaudita violenza. C’è,<br />
tra le pieghe dei suoi racconti,<br />
un empito pulp che a molti lettori<br />
di allora dovette sembrare<br />
superfluo, irrilevante, ma che<br />
non lo fu, così come non lo fu<br />
nel caso di Nove.<br />
Questa scenetta pulp è<br />
tratta dalle Novelle della Pescara<br />
aprendo a caso il libro.<br />
C’è una ribellione in corso, i<br />
ribelli assedi<strong>ano</strong> un palazzo<br />
gentilizio, a una finestra compare<br />
un uomo: «– Mazzagrogna!<br />
Mazzagrogna! A morte<br />
il ruffi<strong>ano</strong>! A morte il guercio!<br />
– gridav<strong>ano</strong> tutti accalcandosi<br />
per iscagliar più da vicino<br />
l’insulto. Il Mazzagrogna stese<br />
una m<strong>ano</strong>, come per sedare i<br />
clamori; raccolse tutta la sua<br />
potenza vocale; e incominciò<br />
col nome del Re, quasi promulgasse<br />
una legge, per incutere<br />
al popolo il rispetto. – In<br />
nome di S. M. Ferdinando II,<br />
per la grazia di Dio, Re delle<br />
Due Sicilie, di Gerusalemme...–.<br />
– A morte il ladro! –<br />
Due, tre schioppettate risonarono<br />
fra le grida; e l’arringatore,<br />
colpito al petto e in fronte,<br />
vacillò, agitò in alto le mani e<br />
cadde in avanti. Nel cadere,<br />
la testa entrò fra l’un ferro e<br />
l’altro della ringhiera e penzolò<br />
di fuori come una zucca. Il<br />
sangue gocciolava sul terreno<br />
sottostante». Poi cominci<strong>ano</strong><br />
a tirar sassate al cranio che ad<br />
ogni colpo butta sangue a destra<br />
e a sinistra. Ma si potrebbe<br />
ricordare anche la barbarica<br />
pratica dell’incanata che<br />
compare nella Figlia di Iorio.<br />
Allora si chiamava gusto<br />
dell’orrido, e si diceva che<br />
veniva da certi aspetti del romanticismo<br />
– molto in voga,<br />
l’orrido e il macabro, anche<br />
tra gli scapigliati del secondo<br />
Ottocento che mentre baciav<strong>ano</strong><br />
una donna pensav<strong>ano</strong><br />
al teschio bianco che stava<br />
sotto la carne, vedi Tarchetti e<br />
compagni –, ma forse accanto<br />
al D’Annunzio sensuale,<br />
vate, superomista, esteta, notturno,<br />
comandante, c’è anche<br />
quello pulp. I linguaggi e<br />
le storie, dunque, si ripetono<br />
sotto luci diverse.<br />
Un’avventura teatrale<br />
di Ignazio Silone<br />
Andrea Santurb<strong>ano</strong><br />
Friedrich Nietzsche, nel suo<br />
Ecce homo, ricorda come –<br />
siamo nel 1883 – riponesse<br />
grandi aspettative nel viaggio<br />
da Roma alla volta della città<br />
dell’Aquila; L’Aquila da lui definita<br />
come l’antitesi dell’odiata<br />
Roma papalina, perché fondata<br />
da “un ateo e anticlericale<br />
comme il faut”, cioè Federico<br />
II di Svevia. Poi, per motivi<br />
poco chiari, queste aspettative<br />
non si concretizzarono e il<br />
grande filosofo tedesco, di salute<br />
già instabile, all’Aquila si<br />
fermò pochissimo, adducendo<br />
la vaga giustificazione climatica<br />
di uno scirocco che anche<br />
lì non gli avrebbe dato tregua.<br />
Questo aneddoto, più o<br />
meno conosciuto, si arricchisce<br />
di altri tasselli, se si pensa<br />
ad altre vicende storiche succedutesi<br />
nei dintorni del capoluogo<br />
abruzzese, vicende che<br />
evidentemente non avev<strong>ano</strong><br />
inficiato la visione “ideale” che<br />
Nietzsche conservava della città.<br />
Innanzitutto, la battaglia di<br />
Tagliacozzo nel 1268, che segnò<br />
definitivamente le sorti politiche<br />
dell’Italia meridionale.<br />
Gli angioini, infatti, capitanati<br />
da Carlo I d’Angiò, investito re<br />
di Sicilia da papa Clemente IV,<br />
sconfiggono le truppe di Corradino<br />
di Svevia, mettendo fine<br />
alle ambizioni imperialistiche<br />
degli Hohenstaufen e al loro<br />
plurisecolare governo in Sicilia.<br />
In questa circostanza, L’Aquila,<br />
già al centro di grandi dispute<br />
nei pochi anni intercorsi dalla<br />
propria nascita tra i suoi fondatori<br />
ghibellini e i “protetto-<br />
ri” guelfi, aveva compiuto una<br />
scelta filopapale appoggiando<br />
Carlo I. E di lì a poco, nell’agosto<br />
del 1294, sarebbe stata addirittura<br />
sede di una investitura<br />
papale: quella di Celestino V.<br />
Da questo confluire di storia e<br />
mito Ignazio Silone trae spunto,<br />
nel 1968, per una delle sue<br />
rare esperienze in campo teatrale:<br />
L’avventura d’un povero<br />
cristi<strong>ano</strong>.<br />
Come si sa, la tematica religiosa,<br />
sempre trattata in modo<br />
antidogmatico e antidottrinario,<br />
fu molto cara allo scrittore<br />
abruzzese. Il cineasta Ermanno<br />
Olmi, una volta, utilizzò un’efficace<br />
metafora per definire il<br />
cristianesimo siloni<strong>ano</strong>, allorché<br />
attribuì all’autore la straordinaria<br />
capacità di cogliere<br />
il trascendente con lo sguardo<br />
ben rivolto verso il basso, cioè<br />
verso la materialità quotidiana<br />
degli uomini e delle cose, e non<br />
restando a contemplare il cielo<br />
a testa in su. È noto con quanto<br />
drammatico e naturale lirismo<br />
lo scrittore non abbia mai<br />
smesso d’indagare sull’umile<br />
condizione umana stretta nei<br />
(Universidade Federal de Santa Catarina)<br />
difficili rapporti tra giustizia e<br />
potere, libertà e asservimento,<br />
politica e religione.<br />
Il “cafone” siloni<strong>ano</strong> è atavicamente<br />
legato alla sua terra<br />
marsicana e ad un senso pauperistico<br />
della religiosità. Silone<br />
si fece fautore per tutta la<br />
vita di un cristianesimo socialista,<br />
cogliendo da subito o quasi<br />
l’inadeguatezza dell’ortodossia<br />
comunista, nonché delle ideologie<br />
più estreme in generale, a<br />
rispondere alle esigenze intime<br />
di libera espressione dell’uomo.<br />
Il dialogismo de L’avventura<br />
d’un povero cristi<strong>ano</strong> ripercorre<br />
e dà voce, dunque, a<br />
molte delle problematiche già<br />
presenti nell’opera di Silone.<br />
Questo testo drammatico,<br />
diviso in tre tempi, può essere<br />
considerato un’opera ibrida. È<br />
innanzitutto un dramma storico,<br />
composto da lunghi dialoghi<br />
e concepito per un’azione<br />
scenica molto ridotta; in decisa<br />
controtendenza, tra l’altro,<br />
rispetto agli orientamenti<br />
teatrali degli anni ’60, che<br />
vedev<strong>ano</strong> affermarsi la desacralizzazione<br />
del testo, con i<br />
non-sense di Ionesco, Beckett<br />
e degli altri esponenti del cosiddetto<br />
“teatro dell’assurdo”,<br />
oppure privilegiare le creazioni<br />
collettive, i movimenti e le<br />
performance degli attori, per<br />
esempio del Leaving Theatre,<br />
con la gestualità e non la parola<br />
al centro della scena. In<br />
secondo luogo, il testo de L’avventura<br />
d’un povero cristi<strong>ano</strong><br />
viene pubblicato in un’edizione<br />
corredata da un ricco tessu-<br />
10 11
to paratestuale, composto da<br />
articoli introduttivi (in cui l’autore<br />
spiega e motiva la genesi<br />
dell’opera, il suo interesse e la<br />
sua presa di posizione di fronte<br />
alla materia scelta) e note enciclopediche<br />
finali. Un apparato<br />
editoriale, insomma, che conferisce<br />
al libro il carattere di<br />
un’opera-tesi, tra documento<br />
storico e finzione. Per Silone,<br />
difatti, anche il teatro, nella<br />
sua tradizionale forma dialogica,<br />
rappresenta un’occasione<br />
per esperire la sua profonda<br />
esigenza di espressione morale<br />
ed impegno civile.<br />
La pièce, come detto, ha<br />
come protagonista papa Celestino<br />
V, unico pontefice dimissionario<br />
della storia vaticana,<br />
molto probabilmente da<br />
identificare nel papa del “gran<br />
rifiuto” della celeberrima citazione<br />
dantesca. Assunse questo<br />
nome, durante il suo brevissimo<br />
pontificato, Fra Pietro<br />
Angelerio da Morrone (monte<br />
nei pressi di Sulmona), monaco<br />
eremita, all’epoca in odore<br />
di santità e fondatore dell’ordine<br />
dei “frati morronesi”, la<br />
cui regola ricalcava (anche per<br />
necessità “burocratiche”) quella<br />
dei benedettini, di cui passarono<br />
ad essere un sott’ordine.<br />
In quegli anni, dopo la morte<br />
di Niccolò IV, la disputa per il<br />
trono pontificio vedeva protagoniste<br />
due potenti fazioni che<br />
facev<strong>ano</strong> capo alle famiglie degli<br />
Orsini e dei Colonna. Solo<br />
dopo un estenuante concilio,<br />
trasferitosi da Roma a Perugia<br />
per sfuggire ad un’epidemia di<br />
peste, fu trovata una soluzione<br />
di compromesso che risolse<br />
un impasse di ventisette mesi:<br />
fu così eletto all’unanimità fra<br />
Pietro Angelerio, che già godeva<br />
di una certa acclamazione<br />
popolare. Gli appena nove<br />
cardinali “sopravvissuti” ai<br />
lavori spiegarono questa improvvisa<br />
svolta come un prodigio,<br />
e tale dovette di fatto apparire<br />
un’elezione estranea a<br />
qualsiasi logica temporale della<br />
Chiesa di Roma. Celestino V<br />
si dimostrò sin dall’inizio poco<br />
avvezzo al protocollo ufficiale,<br />
facendosi incoronare papa<br />
a L’Aquila e trasferendosi poi<br />
a Napoli. Questo pontificato<br />
extra-rom<strong>ano</strong>, tuttavia, durò<br />
appena tre mesi. Dotato di una<br />
erudizione precaria, completamente<br />
alieno dalle pratiche<br />
del potere, dagli ingranaggi<br />
burocratico-ecclesiastici e dalle<br />
strategie politiche – circostanze,<br />
queste, che lo spinsero<br />
ad accettare ingenuamente<br />
l’inopportuna protezione filofrancese<br />
del re di Napoli, Carlo<br />
II d’Angiò –, Pietro Angelerio<br />
finì, o più probabilmente<br />
fu obbligato, con l’abdicare e<br />
tornare alla vita eremitica sul<br />
Morrone. Ma, lungi dall’essere<br />
in salvo, il monaco si trovò al<br />
centro di un drammatico contenzioso<br />
politico-diplomatico,<br />
tanto da essere ricercato, rapito<br />
e forse assassinato dal successivo<br />
papa Bonifazio <strong>VII</strong>I, al<br />
secolo Benedetto Caetani. A<br />
testimonianza di come questo<br />
sia stato uno dei periodi<br />
più tormentati della storia vaticana,<br />
basti pensare che di lì<br />
a poco per il papato sarebbe<br />
cominciata la cattività avignonese<br />
(1309-1378).<br />
Silone ritaglia per il suo denso<br />
testo drammatico gli avvenimenti<br />
che vanno dall’immediata<br />
vigilia, a Sulmona, dell’investitura<br />
papale di Fra Pietro Angelerio<br />
fino all’ultimo incontro<br />
di costui, ad Anagni, col nuovo<br />
papa e suo “persecutore” Bonifazio<br />
<strong>VII</strong>I, passando per le<br />
traversie succedutesi durante e<br />
dopo il suo breve pontificato.<br />
Nelle pieghe di personaggi e<br />
1 SILONE, Ignazio, L’avventura d’un povero Cristi<strong>ano</strong>, Mil<strong>ano</strong>, Mondadori, 1974, p. 30.<br />
fatti storici ricostruiti attraverso<br />
attente ricerche d’archivio,<br />
l’autore marsic<strong>ano</strong> cuce un<br />
piccolo universo um<strong>ano</strong> di figure<br />
e avvenimenti immaginari,<br />
che danno sostanza e colore<br />
al grigio tessuto documentale<br />
dell’opera, in un’operazione<br />
dal sapore manzoni<strong>ano</strong>. E questa<br />
fusione conferisce vibratilità<br />
alla vicenda celestiniana così<br />
riassemblata, sin dal prologo,<br />
in cui uno degli “umili” della<br />
storia, la tessitrice Concetta, si<br />
presenta pirandellianamente<br />
al pubblico, questionando le<br />
scelte dell’autore:<br />
Buona sera a tutti. Vi sembrerà<br />
str<strong>ano</strong> che, a darvi qualche<br />
spiegazione su questa<br />
storia che sta per cominciare<br />
e che è una storia di uomini,<br />
sia proprio una donna, e una<br />
donna ordinaria come me,<br />
tessitora. Vi posso assicurare<br />
che anche a me pare str<strong>ano</strong>.<br />
Ma l’autore, per non so quale<br />
motivo, ha voluto così. 1<br />
Il Celestino V riletto da Silone<br />
è un personaggio-simbolo<br />
assolutamente positivo, seppur<br />
nelle sue debolezze e fragilità.<br />
Come si accennava all’inizio,<br />
Dante Alighieri gli affibbiò invece<br />
l’ingenerosa etichetta di<br />
papa del “gran rifiuto” (“[...]<br />
Vidi e conobbi l’ombra di colui/<br />
Che fece per viltate il gran<br />
rifiuto”, Inferno, III, 59-60),<br />
quantunque comprensibile<br />
se si pensa che la sua abdicazione<br />
aprì indirettamente le<br />
porte dell’esilio da Firenze al<br />
sommo poeta. Mentre, già da<br />
altri autori, da Iacopone da<br />
Todi a Petrarca, Celestino V è<br />
citato a esempio di virtù. Allo<br />
scrittore abruzzese la vicenda<br />
celestiniana offre lo spunto per<br />
ricalcare le tematiche morali,<br />
politiche e sociali, instancabil-<br />
mente affrontate durante tutto<br />
il suo percorso intellettuale e<br />
letterario, a partire da una rilettura<br />
della storia. A tal proposito<br />
appare illuminante un suo<br />
dialogo riportato nella parte<br />
introduttiva al testo teatrale:<br />
[Un amico] «Non vuoi mica<br />
darti al genere storico?»<br />
«Ne sarei incapace» gli ho<br />
risposto credendo di poter<br />
tagliare corto. «Sai bene che<br />
ogni mio interesse, come scrittore,<br />
è rivolto al presente.»<br />
«È vero» egli mi ha replicato<br />
«ma non hai scritto tu stesso<br />
che certe realtà del presente<br />
hanno radici lontane?» 2 .<br />
Insomma, Celestino V si<br />
configura quale alter-ego, corroborato<br />
da una legittimazione<br />
storica, dei tanti personaggi<br />
tormentati ma integri dei suoi<br />
romanzi, come, per esempio,<br />
Pietro Spina. Silone assume<br />
paradigmaticamente la figura<br />
del papa-eremita come parabola<br />
ideologica. E la frattura<br />
temporale che si apre nel<br />
trattare una materia storica si<br />
ricompone nel presente attraverso<br />
la vicinanza emotiva<br />
e partecipativa dell’autore, in<br />
nessun momento dissimulata:<br />
un esempio su tutti, l’appellativo<br />
“povero cristi<strong>ano</strong>”<br />
del titolo, in cui si può forse<br />
cogliere anche un riflesso del<br />
suo caso personale.<br />
La posizione di Silone nello<br />
specifico religioso, espressa<br />
sempre con schietto vigore,<br />
è di rifiuto nei confronti di<br />
qualsiasi sistema dogmatico e<br />
dottrinario, che vad<strong>ano</strong> a discapito<br />
di un’esperienza spirituale<br />
soggettivamente vissuta.<br />
Così come egli abbandonò il<br />
2 Ivi, p. 5.<br />
3 Ivi, p. 25.<br />
4 ZURLINI, Valerio, “Un venticinquenne per il venerando Celestino Quinto”. In: “Il Dramma”, a. 45, n. 12, settembre<br />
1969, Torino, ILTE, p. 53.<br />
5 Ivi, p. 53-54.<br />
partito comunista, quando lo<br />
vide tradire l’ideale di libertà<br />
individuale, allo stesso modo<br />
non esitò ad allontanarsi dalla<br />
Chiesa quando la vide molto<br />
simile ad un sistema opportunistico<br />
di potere. Le radici socialiste<br />
e cristiane rappresent<strong>ano</strong><br />
per lui elementi complementari<br />
di una stessa coscienza<br />
solidale con le classi più umili<br />
e coerente con l’idea di dignità<br />
umana. In un altro passaggio<br />
introduttivo de L’avventura<br />
d’un povero cristi<strong>ano</strong>, Silone<br />
propone un’ulteriore, lucida<br />
analisi sulla perdita di spiritualità<br />
e sulla degenerazione morale<br />
della Chiesa, messa bene<br />
a fuoco, nel testo drammatico,<br />
dai dialoghi serrati fra Celestino<br />
V e il cardinal Caetani:<br />
Non più, dunque, messaggio<br />
del Padre ai figli, a tutti i figli,<br />
limpida luce naturale scoperta<br />
nascendo, bene comune,<br />
verità universale, evidente,<br />
irresistibile a ogni intelligenza<br />
in buona fede; ma<br />
prodotto storico complesso,<br />
prodotto di una determinata<br />
cultura, anzi amalgama di<br />
varie culture, elaborazione<br />
millenaria di una comunità<br />
chiusa, in permanente travaglio<br />
interno e in lotta e concorrenza<br />
con altre. Infine,<br />
considerata con benevolenza:<br />
una nobilissima, una veneranda<br />
sovrastruttura. [...]<br />
Fortunatamente Cristo è più<br />
grande della Chiesa. 3<br />
Assolutamente non casuale<br />
appare inoltre il fatto<br />
che L’avventura d’un povero<br />
cristi<strong>ano</strong> abbia conosciuto la<br />
sua prima rappresentazione<br />
ad opera di un regista altret-<br />
tanto “emarginato” e fuori dagli<br />
schemi critico-intellettuali:<br />
Valerio Zurlini. Ed è lo stesso<br />
Zurlini a curare, oltre alla<br />
messa in scena, l’adattamento<br />
e la riduzione della pièce,<br />
con la realizzazione del Teatro<br />
Stabile dell’Aquila e con<br />
un giovane Giancarlo Giannini<br />
nelle vesti di Celestino V.<br />
La prima teatrale avvenne il 3<br />
agosto 1969, presso l’Istituto<br />
del Dramma Popolare di San<br />
Miniato, con successiva replica<br />
all’Aquila. Scrive il regista:<br />
L’adattamento, fatto con la<br />
partecipazione ed il pieno<br />
consenso dell’autore, non<br />
mi ha posto solamente il<br />
problema di rendere teatrale<br />
un racconto nato in<br />
una forma dialogica che<br />
in realtà mai si discostava<br />
dalla sua origine letteraria<br />
[...]. Non mi ha posto alcun<br />
problema essenzialmente<br />
teatrale, bensì un problema<br />
più grave, di scelta.<br />
Ignazio Silone ha affrontato<br />
un grande caso di conflitto<br />
morale che, propostosi al primo<br />
autunno del Medio Evo,<br />
ritrova ai nostri giorni sconcertanti<br />
motivi di attualità. 4<br />
Per poi concludere con<br />
una mirabile equazione:<br />
Lo scrittore è fedele alla<br />
storia, alla sua terra, alla<br />
storia della sua terra. 5<br />
Sì, quella terra d’Abruzzo,<br />
quella vicenda personale,<br />
quelle vicende storiche che in<br />
Silone si coniug<strong>ano</strong>, come ne<br />
L’avventura d’un povero cristi<strong>ano</strong>,<br />
in una grande avventura<br />
umana.<br />
12 13
Il più<br />
abruzzese<br />
dei Santi<br />
Carlotta Dell’Arte<br />
decisione del monaco<br />
posto a scegliere tra «La<br />
due forme di vita che<br />
gli appariv<strong>ano</strong> inconciliabili, il<br />
papato e la santità, può essere<br />
ora giudicato in un senso ben<br />
diverso, come atto di cristiana<br />
sincerità. E in quel senso<br />
San Celestino V è da ammirare<br />
come il più abruzzese<br />
dei Santi: non si può capire<br />
un certo aspetto dell’Abruzzo<br />
senza capire lui». In un profilo<br />
dell’Abruzzo del 1948 Ignazio<br />
Silone descriveva in questi<br />
termini la figura enigmatica<br />
di Celestino V, ignaro del fatto<br />
che qualche anno più tardi lo<br />
avrebbe reso protagonista della<br />
sua ultima opera. A quasi quarant’anni<br />
dal suo esordio letterario,<br />
tra il 1966 e il 19<strong>67</strong> lo<br />
scrittore di Fontamara inizia a<br />
lavorare a quello che sarà considerato<br />
il suo testamento letterario,<br />
L’Avventura di un povero<br />
cristi<strong>ano</strong>, affidando alla figura<br />
dell’eremita Pietro da Morrone,<br />
fondatore della chiesa di Santa<br />
Maria di Collemaggio, la sua riflessione<br />
ideologica per ricondurla<br />
ai termini della religione.<br />
La scelta di Celestino V, il papa<br />
del “gran rifiuto” dantesco, salito<br />
nel 1294 al soglio pontificio<br />
per placare gli estenuanti<br />
dissidi tra le famiglie degli Orsini<br />
e dei Colonna, è determinata<br />
unicamente dal fatto che<br />
questo semplice monaco eremita,<br />
eletto papa suo malgrado,<br />
con la sua abiura al soglio<br />
pontificio assurge a simbolo di<br />
rinuncia del potere politico in<br />
nome di un’estrema adesione<br />
ai precetti evangelici ed in favore<br />
di una purezza della coscienza.<br />
La rinuncia al potere è<br />
un argomento per Silone quanto<br />
mai attuale. Si è lungamente<br />
dibattuto sul significato autobiografico<br />
di Celestino V nella<br />
vita dello scrittore marsic<strong>ano</strong>,<br />
riconducendo principalmente<br />
la loro somiglianza al rapporto<br />
instaurato con le istituzioni:<br />
l’inevitabile abdicazione al<br />
soglio pontificio di Celestino<br />
V una volta imparato «che è<br />
difficile essere papa e rimanere<br />
buon cristi<strong>ano</strong>» 1 e l’uscita di<br />
sicurezza di Silone dal partito<br />
comunista dopo aver scoperto<br />
l’inconciliabilità tra azione<br />
politica e lealtà. Qual è l’origine<br />
di questa inconciliabilità?<br />
1 I. Silone, L’Avventura di un povero cristi<strong>ano</strong>, Mondadori, Mil<strong>ano</strong>, 1974, p.109.<br />
Silone come Celestino V è un<br />
uomo che per onestà è rimasto<br />
fuori dalla Chiesa e dal partito,<br />
perché da dentro non riusciva<br />
più ad aderire. Qual è stato il<br />
percorso che ha portato Silone<br />
al suo “gran rifiuto”? L’affascinante<br />
dialogo di Silone prima<br />
con Celestino V e poi con il suo<br />
personaggio fra Celestino ha<br />
origini ben più lontane rispetto<br />
a L’Avventura di un povero cristi<strong>ano</strong>.<br />
Nel 1943, durante il suo<br />
internamento a Baden, Silone<br />
si dedica alla stesura del suo<br />
unico dramma Ed egli si nascose,<br />
riduzione teatrale di Vino e<br />
pane. Nel dramma, accanto al<br />
protagonista Pietro Spina, intellettuale<br />
esule antifascista, si<br />
affaccia un altro personaggio<br />
che più di ogni altro accompagnerà<br />
Silone per tutta la sua<br />
vita: Fra Gioacchino. Evidente<br />
la somiglianza del nome con<br />
Gioacchino da Fiore, l’abate<br />
medievale la cui teoria trinitaria<br />
sull’avvento del Regno di<br />
Dio venne dichiarata eretica<br />
dal Concilio Lateranense IV nel<br />
1215. Ed egli si nascose ha accompagnato<br />
il suo autore per<br />
più di vent’anni; nel corso delle<br />
differenti stesure (1944, 1945,<br />
1950 e 1966) Silone apporta<br />
diverse modifiche di rifinitura e<br />
ripulitura del testo in direzione<br />
di una maggiore concisione e<br />
drammatizzazione dell’azione.<br />
Il lungo lavoro di rilettura si<br />
conclude nel 1966 con un’ultima<br />
e fondamentale variazione:<br />
dopo ventidue anni, fra Gioacchino<br />
vede improvvisamente<br />
cambiare il suo nome in fra<br />
Celestino. Un cambiamento<br />
inaspettato e repentino che<br />
non può non stuzzicare la curiosità<br />
dei lettori. Nonostante il<br />
tema e l’ambientazione si<strong>ano</strong><br />
diverse in Ed egli si nascose e<br />
nell’Avventura di un povero<br />
cristi<strong>ano</strong>, l’evidente vicinanza<br />
temporale tra il cambiamento<br />
del nome di fra Gioacchino in<br />
fra Celestino nel dramma teatrale,<br />
e la stesura di un’opera<br />
interamente dedicata all’eremita<br />
divenuto papa, non può non<br />
essere presa in considerazione.<br />
Infatti la variazione del nome<br />
da fra Gioacchino a fra Celestino<br />
racchiude a mio avviso,<br />
in una parabola discendente il<br />
travagliato rapporto di Silone<br />
con la fede. L’attenzione verso<br />
l’abate da Fiore nasce in Silone<br />
dal riconoscimento, all’interno<br />
del messaggio gioachimita, di<br />
quell’utopia della giustizia che<br />
fin dai suoi primi contatti con<br />
la lega dei contadini di Pescina<br />
lo aveva sempre guidato nella<br />
sua attività politica e letteraria<br />
nel ricordo «dell’attesa di una<br />
terza età del genere um<strong>ano</strong>,<br />
l’età dello Spirito, senza Chiesa,<br />
senza Stato, senza coercizioni,<br />
in una società ugualitaria,<br />
sobria, umile e benigna,<br />
affidata alla spontanea carità<br />
degli uomini» 2 . Gioacchino da<br />
Fiore si rivela l’anello principale<br />
a partire dal quale l’appello<br />
allo Spirito di liberazione si propaga<br />
nei secoli, e di cui Silone<br />
subisce un indubbio fascino. Il<br />
personaggio di fra Gioacchino<br />
si rende portatore di una<br />
nuova speranza di ribellione<br />
al destino: «l’antica speranza<br />
del Regno, l’antica attesa della<br />
carità che sostituisca la legge,<br />
l’antico sogno di Gioacchino<br />
da Fiore, degli Spirituali e dei<br />
Celestini» 3 . Fra Gioacchino rimane<br />
figura essenzialmente<br />
escatologica 4 , attesa impazien-<br />
te di ultimi eventi: «nelle Sante<br />
Scritture è segnato il destino di<br />
noi cristiani. Per ora esso fermo<br />
nella pagina del Venerdì<br />
Santo, nella pagina del Cristo<br />
in agonia» 5 . Silone ha ragione<br />
quando a fra Celestino farà dire<br />
che « è impossibile scoprire la<br />
continuità dell’agonia di Cristo<br />
e rassegnarsi» 6 . Se è vero<br />
che Lui è la vita e dà la vita, il<br />
Venerdì Santo si può accettare<br />
solo con la speranza dell’avvenimento<br />
pasquale della domenica.<br />
Nella Resurrezione di<br />
Cristo si rivela tutta la fede: «se<br />
Cristo non è risorto, vana è la<br />
nostra fede» 7 . Con l’incarnazione<br />
Dio è entrato nella storia,<br />
il cristianesimo è un fatto<br />
storico, e in quanto storico è<br />
presente. Questo avvenimento<br />
è presente ed è conservato<br />
nella Chiesa: Chiesa spirituale<br />
e Chiesa istituzionale non si<br />
possono separare, è una sola<br />
Chiesa presente e concreta nelle<br />
sue glorie e nelle sue debolezze.<br />
L’utopia siloniana della<br />
realizzazione della giustizia e<br />
dell’uguaglianza sociale è però<br />
evidentemente inconciliabile<br />
con la realtà contemporanea<br />
della Chiesa: «la storia dell’utopia<br />
è in definitiva la contropartita<br />
della storia ufficiale della<br />
Chiesa. […] La Chiesa da<br />
quando si fondò […] con il suo<br />
apparato dogmatico ed ecclesiastico,<br />
ha considerato sempre<br />
con sospetto ogni resipiscenza<br />
del mito. Dal momento che la<br />
Chiesa presentò se stessa come<br />
il Regno, […] essa ha cercato<br />
di reprimere ogni movimento<br />
con tendenza a promuovere<br />
un ritorno alla credenza primitiva.<br />
L’utopia è il suo rimorso» 8 .<br />
Crolla così il sogno di Gioacchino<br />
da Fiore, l’ennesimo<br />
tentativo di Silone di realizzare<br />
la sua utopia non si concretizza<br />
neanche con l’avvento del<br />
Regno dello Spirito. Distrutta<br />
ogni speranza fra Gioacchino<br />
lascia silenziosamente la scena<br />
per far entrare il papa del gran<br />
rifiuto dantesco: «l’avventura<br />
di Celestino si svolse, per un<br />
lungo tratto, nell’illusione che<br />
le due diverse vie di seguire<br />
Cristo si potessero ravvicinare e<br />
unire. Ma, costretto a scegliere,<br />
non esitò» 9 . Nel passaggio da<br />
fra Gioacchino a fra Celestino<br />
Ignazio Silone delinea le condizioni<br />
che hanno impedito in<br />
lui la crescita della fede. Con<br />
l’utopia gioachimita dell’avvento<br />
del Regno dello Spirito,<br />
Silone credeva che fosse ancora<br />
possibile trovare la fede in<br />
questa attesa, la quale però, se<br />
non parte dalla certezza della<br />
Resurrezione di Cristo si riduce<br />
ad un’illusione, ad un’amara<br />
rassegnazione all’agonia<br />
di Cristo. Con fra Gioacchino<br />
Silone aveva cercato di mantenere<br />
in vita la fede nell’attesa<br />
del Regno, ma quando si<br />
è reso conto che l’attesa non<br />
può nascere da un’incertezza<br />
permanente, e deciso anche a<br />
non rassegnarsi semplicemente<br />
all’agonia della Croce, Silone<br />
abbandona il sogno di Gioacchino<br />
da Fiore riconoscendo<br />
come unica possibilità il gran<br />
rifiuto di Celestino V.<br />
2 I.Silone, L’Avventura di un povero cristi<strong>ano</strong>, Oscar Mondadori, Mil<strong>ano</strong>, 1974, p.17.<br />
3 I.Silone, Uscita di sicurezza, Longanesi, Mil<strong>ano</strong>, 1971, p.81.<br />
4 Nei suoi studi su Gioacchino da Fiore Silone è stato influenzato dalla lettura che ne aveva dato Ernesto Buonaiuti,<br />
il quale, indotto dalle sue idee moderniste, riconosceva negli scritti di Gioacchino una preoccupazione che non è mai<br />
teologica, bensì puro intento morale ed escatologico. La differenza nell’attribuire alla teoria delle tre età dello Spirito di<br />
Gioacchino un intento escatologico piuttosto che uno teologico, è determinante per delineare la figura di fra Gioacchino.<br />
5 I.Silone, Ed egli si nascose, Città Nuova, Roma, 2000, p.39.<br />
6 Ivi p.40.<br />
7 1 Cor 15,17.<br />
8 I. Silone, L’Avventura di un povero cristi<strong>ano</strong>, Oscar Mondadori, Mil<strong>ano</strong>, 1974 p. 18<br />
14 15<br />
9 Ibidem
Tempo di uccidere:<br />
l’anti-epopea coloniale<br />
di Ennio Flai<strong>ano</strong> dal<br />
“taccuino” al romanzo<br />
Daniele Fioretti<br />
La prima domanda che si<br />
affaccia alla mente, riesaminando<br />
a più di sessant’anni<br />
dalla pubblicazione<br />
Tempo di uccidere di Ennio<br />
Flai<strong>ano</strong> è: perché questo romanzo<br />
ha trovato (e trova<br />
ancora) tante difficoltà ad<br />
essere inserito di diritto nel<br />
c<strong>ano</strong>ne letterario itali<strong>ano</strong> del<br />
secondo Novecento? Almeno<br />
tre diverse serie di ragioni<br />
cospir<strong>ano</strong> contro questo<br />
libro: prima di tutto quelle di<br />
carattere prettamente ideologico,<br />
poi quelle connesse alle<br />
logiche interne del p<strong>ano</strong>rama<br />
culturale itali<strong>ano</strong>; ma soprattutto,<br />
ciò che ancora, a nostro<br />
giudizio, ostacola il riconoscimento<br />
del valore di Tempo<br />
di uccidere come uno dei<br />
testi più significativi tra quelli<br />
scritti nell’immediato secondo<br />
dopoguerra è una sorta<br />
di disagio, un’impressione<br />
sgradevole e non facilmente<br />
definibile che coglie il lettore<br />
a confronto con il romanzo e<br />
di cui si cercherà più avanti di<br />
individuare le cause.<br />
Sul pi<strong>ano</strong> ideologico Tempo<br />
di uccidere può apparire<br />
un libro attuale e allo stesso<br />
momento fuori tempo. Esso<br />
viene infatti pubblicato nel<br />
1947 dalla casa editrice Longanesi<br />
(fondata solo un anno<br />
prima dallo stesso Leo Longanesi)<br />
e si inserisce in un filone<br />
di narrativa bellica all’epoca<br />
ampiamente predominante:<br />
che si trattasse di semplici<br />
memoriali, di testi letterari<br />
veri e propri o di opere che<br />
presentav<strong>ano</strong> caratteristiche<br />
ascrivibili a entrambi i generi,<br />
è certo che la guerra appena<br />
conclusa e la condanna<br />
del ventennio fascista fossero<br />
allora i temi predominanti.<br />
Quello che però rende Tempo<br />
di uccidere un romanzo<br />
per così dire “fuori tempo” è<br />
la netta presa di distanza, da<br />
parte di Flai<strong>ano</strong>, dal principale<br />
movimento letterario del<br />
dopoguerra, il neorealismo,<br />
sia sotto il pi<strong>ano</strong> politicoideologico<br />
sia sotto il profilo<br />
tecnico-letterario. Sul pi<strong>ano</strong><br />
strettamente letterario il romanzo<br />
è in polemica con la<br />
pretesa di oggettività tipica<br />
del neorealismo; in effetti nel<br />
romanzo di Flai<strong>ano</strong> niente è<br />
“oggettivo” e neorealistico,<br />
anche se l’ambientazione<br />
e alcune vicende narrate in<br />
Tempo di uccidere fanno riferimento<br />
alla diretta esperienza<br />
di Flai<strong>ano</strong> come tenente<br />
(Univ. Wisconsin)<br />
dell’esercito itali<strong>ano</strong> fra il<br />
1935 e il 1936, durante la<br />
guerra d’Etiopia. Ne è prova il<br />
taccuino di guerra Aethiopia.<br />
Appunti per una canzonetta,<br />
da cui deriv<strong>ano</strong> alcuni episodi<br />
e spunti polemici presenti<br />
nel romanzo; ad esempio la<br />
figura del maggiore corrotto e<br />
senza scrupoli che appare nel<br />
quinto capitolo di Tempo di<br />
uccidere nasce dal senso di<br />
indignazione di Flai<strong>ano</strong> contro<br />
quegli ufficiali italiani che<br />
approfittav<strong>ano</strong> della guerra<br />
per arricchirsi illegalmente:<br />
Ad Adi Caièh esiste ancora<br />
un negozio di generi diversi<br />
gestito da un capit<strong>ano</strong><br />
d’Amministrazione ancora<br />
in servizio. La sera lo si<br />
vede fare i conti, scartabellare.<br />
Ogni ufficiale furbo,<br />
del resto, compra un autocarro<br />
e lo fa “viaggiare”<br />
sotto un altro nome. In Italia<br />
c’è gente che si leva gli<br />
anelli dalle dita. 1<br />
Aethiopia può essere visto<br />
anche come un documento<br />
che testimonia, attraverso<br />
l’aspra critica della “eroica”<br />
campagna di Etiopia, un distacco<br />
di Flai<strong>ano</strong> dal fasci-<br />
1 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Aethiopia. Appunti per una canzonetta, in Opere 1947-1972, Mil<strong>ano</strong>, Bompiani, p. 260, 1988, p. 261.<br />
smo avvenuto in tempi ancora<br />
non sospetti. Un aspetto<br />
originale del taccuino è<br />
quello della demistificazione<br />
della propaganda bellica<br />
compiuta attraverso le canzonette;<br />
non a caso il sottotitolo<br />
di Aethiopia è proprio<br />
Appunti per una canzonetta.<br />
Nelle intenzioni di Flai<strong>ano</strong>,<br />
però, gli appunti che sta<br />
prendendo sulla guerra dovrebbero<br />
portare alla composizione<br />
di una “canzonetta”<br />
ben diversa rispetto alla<br />
celeberrima (e famigerata)<br />
Faccetta nera. L’autore appunta<br />
la propria attenzione<br />
sull’elemento propagandistico<br />
presente nelle canzonette<br />
ispirate alla guerra coloniale<br />
e mette a nudo, con fulminea<br />
brevità, le pulsioni inconfessate<br />
su cui esse fanno leva:<br />
«Influenza delle canzonette<br />
sull’arruolamento coloniale.<br />
Alla base di ogni espansione,<br />
il desiderio sessuale». 2<br />
In seguito Flai<strong>ano</strong> giunge al<br />
punto addossando al mito<br />
della “bella abissina” in Faccetta<br />
nera la principale responsabilità<br />
di molte delle<br />
infezioni veneree contratte<br />
dai soldati italiani durante<br />
la guerra etiopica: «e in questa<br />
guerra? Ho l’impressione<br />
che “Faccetta nera” abbia<br />
molto contribuito a riempire<br />
gli ospedali di “feriti in<br />
amore”». 3 La stessa vicenda<br />
centrale di Tempo di uccidere,<br />
la violenza sessuale<br />
perpetrata dal protagonista<br />
(un tenente dell’esercito) ai<br />
danni di una giovane etiope,<br />
che viene poi da lui accidentalmente<br />
ferita e infine<br />
uccisa può apparire come un<br />
volontario, tragico e al tem-<br />
2 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Aethiopia in Opere, vol. II, cit., p. 259.<br />
po stesso parodico capovolgimento<br />
del mito dell’itali<strong>ano</strong><br />
“liberatore” esaltato dalla<br />
retorica fascista.<br />
Tempo di uccidere nasce<br />
dunque da un’esperienza<br />
autobiografica ma, ciò nonostante,<br />
si distacca nettamente<br />
dal neorealismo, perché<br />
Flai<strong>ano</strong> non mira mai alla<br />
resa “oggettiva” degli eventi<br />
narrati; piuttosto egli realizza<br />
un complicato tessuto simbolico<br />
e intertestuale che fa<br />
consapevole riferimento alla<br />
corrente esistenzialista del<br />
romanzo europeo, in particolare<br />
a Conrad e Camus.<br />
Ai fini del presente studio<br />
appaiono particolarmente<br />
rilevanti i rapporti che leg<strong>ano</strong><br />
Tempo di uccidere a un<br />
testo come Cuore di tenebra<br />
(Heart of Darkness) di Conrad.<br />
La critica si è soffermata<br />
a varie riprese sull’influenza<br />
di questo autore nella scrittura<br />
di Flai<strong>ano</strong>, mantenendosi<br />
sempre però su una<br />
linea generale e senza fare<br />
riferimento a testi specifici,<br />
almeno fino al 1994, anno in<br />
cui Angiolo Bandinelli e soprattutto<br />
Mario Domenichelli<br />
hanno evidenziato la stretta<br />
analogia fra Cuore di tenebra<br />
e il libro di Flai<strong>ano</strong>. Bandinelli,<br />
nel suo contributo al<br />
Convegno dedicato proprio<br />
a Tempo di uccidere, individua<br />
soprattutto nel quarto<br />
e nel quinto capitolo del<br />
romanzo l’influsso di Heart<br />
of Darkness: «Conrad fornisce<br />
in questi capitoli ben più<br />
dell’atmosfera: qui siamo calati<br />
nel clima tutto interiore<br />
del reietto delle isole, di un<br />
Lord Jim, del Kurt[z] di Cuore<br />
di tenebra, il personaggio e il<br />
libro a mio avviso più misteriosamente<br />
affini a Tempo di<br />
uccidere». 4 Domenichelli inserisce<br />
il libro di Flai<strong>ano</strong> nel<br />
quadro della narrativa europea<br />
che ha come tema il colonialismo<br />
(Kipling, Forster,<br />
Conrad, Céline); in questa<br />
luce il romanzo assume nuovi<br />
significati; non si tratta più<br />
soltanto di un testo critico<br />
del fascismo, ma più in generale<br />
il libro assume la valenza<br />
di aspra denuncia della<br />
violenza e della sopraffazione<br />
sempre connesse a ogni<br />
impresa coloniale. Questo è<br />
probabilmente uno dei motivi<br />
per cui, nel passaggio dal<br />
taccuino al romanzo, Flai<strong>ano</strong><br />
rimuove nomi, luoghi e ogni<br />
riferimento diretto alla guerra<br />
etiopica. Ciò che gli interessa,<br />
di nuovo, non è tanto il<br />
dato concreto quanto l’analisi<br />
di un meccanismo che<br />
sembra ripetersi immutabile<br />
nel corso della storia umana.<br />
Un altro elemento che da<br />
Flai<strong>ano</strong> è attentamente evitato<br />
è il ricorso a un esotismo<br />
di maniera nella rappresen-<br />
3 Ibidem.<br />
4 Angiolo Bandinelli, Un’Africa senza esotismo in Tempo di uccidere: Atti del Convegno nazionale (Pescara, 27-28<br />
maggio 1994), Pescara, EDIARS, 1994, p. 89.<br />
16 17
tazione di ambienti e popoli<br />
africani, senza cedimenti<br />
neppure sul pi<strong>ano</strong> lessicale.<br />
Si tratta ovviamente di una<br />
scelta stilistica precisa, volta<br />
a rendere dell’Africa una<br />
rappresentazione onirica e<br />
oscuramente simbolica, irreale,<br />
ma che del resto riflette<br />
anche la personale prima impressione<br />
dell’autore dopo<br />
l’arrivo in Etiopia. Così infatti<br />
si apre la nota del taccuino<br />
datata 16 novembre:<br />
Un soldato scende dal camion,<br />
si guarda intorno e<br />
mormora: “Porca miseria!”<br />
Egli sognava un’Africa convenzionale,<br />
con alti palmizi,<br />
banane, donne che<br />
danz<strong>ano</strong>, pugnali ricurvi,<br />
un miscuglio di Turchia, India,<br />
Marocco, quella terra<br />
ideale dei films Paramount<br />
denominata Oriente, che<br />
offre tanti spunti agli autori<br />
dei pezzi caratteristici<br />
per orchestrina. Invece<br />
trova una terra uguale alla<br />
sua, più ingrata anzi, priva<br />
d’interesse. L’hanno preso<br />
in giro. 5<br />
La delusione del soldato,<br />
non è difficile intuirlo, è<br />
la stessa delusione provata<br />
dall’autore giunto a contatto<br />
con un mondo che non gli<br />
appare diverso e favoloso<br />
come lo aveva sognato, ma<br />
che anzi rispecchia, in forma<br />
degradata, la sua stessa<br />
realtà di occidentale. Ma la<br />
ricerca frustrata di un ambiente<br />
esotico può anche<br />
essere vista come un indice<br />
di una difficoltà di rapporto,<br />
da parte del soggetto occidentale,<br />
con una realtà che<br />
egli intende affrontare ar-<br />
mato solo di preconcetti e<br />
di immagini letterarie e che<br />
si rivela invece drammaticamente<br />
simile alla sua. Questo<br />
è un importante punto<br />
di contatto tra il romanzo di<br />
Flai<strong>ano</strong> e Cuore di tenebra;<br />
tanto Marlow che il tenente<br />
si vedono in qualche modo<br />
costretti a confrontarsi con<br />
un ambiente diverso e ostile,<br />
ma soprattutto con “l’Altro<br />
da sé”, in un confronto<br />
drammaticamente fallito.<br />
Nel romanzo di Conrad l’indigeno,<br />
l’“Altro”, rimane<br />
sempre una figura marginale,<br />
spesso muta ma in ogni<br />
caso misteriosa, incarnazione<br />
della “tenebra”. Allo<br />
stesso modo il protagonista<br />
di Tempo di uccidere non<br />
entra quasi mai in un vero<br />
contatto con gli indigeni che<br />
incontra. Anche di Mariam,<br />
la donna posseduta e poi<br />
uccisa, paradossalmente il<br />
tenente non sa niente. E proprio<br />
guardandola negli occhi<br />
il protagonista si lascia<br />
andare a una riflessione sulla<br />
sua impossibilità di comprendere<br />
una cultura così<br />
diversa dalla propria:<br />
Perché non capivo quella<br />
gente? Er<strong>ano</strong> tristi animali,<br />
invecchiati in una terra<br />
senza uscita, er<strong>ano</strong> grandi<br />
camminatori, grandi conoscitori<br />
di scorciatoie, forse<br />
saggi, antichi e incolti. [...]<br />
Nei miei occhi c’er<strong>ano</strong><br />
duemila anni in più e lei lo<br />
sentiva. Er<strong>ano</strong> forse come<br />
animali preistorici capitati<br />
in un deposito di carri armati<br />
che s’accorgessero<br />
d’aver fatto il loro tempo e<br />
ne provassero perciò una<br />
inconsolabile malinconia...<br />
5 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Aethiopia, cit., pp. 259-260.<br />
6 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Tempo di uccidere, Mil<strong>ano</strong>, Rizzoli, 2008, pp. 43-44.<br />
7 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Tempo di uccidere, cit., p. 29.<br />
No, troppo semplice, non<br />
avrei mai capito. 6<br />
I più vieti stereotipi e<br />
pregiudizi della mentalità<br />
occidentale si mostr<strong>ano</strong><br />
qui incapaci di fornire una<br />
risposta esauriente al mistero<br />
rappresentato dall’Altro,<br />
ogni tentativo di analisi si<br />
risolve in uno scacco. Il protagonista<br />
non sa cosa Mariam<br />
pensa davvero; non sa<br />
se è malata di lebbra, come<br />
comincia a temere dopo<br />
averla uccisa, quando una<br />
piaga inizia ad apparire sulla<br />
sua m<strong>ano</strong> accompagnata<br />
da macchie scure sulla pelle.<br />
Non è neppure certo che<br />
il vecchio Johannes, che lo<br />
cura, sia o meno il padre di<br />
Mariam. Il protagonista di<br />
Tempo di uccidere, l’invasore,<br />
si trova dunque a constatare<br />
l’incommensurabilità<br />
della distanza tra la sua cultura<br />
e quella del popolo soggiogato,<br />
l’impossibilità di un<br />
vero contatto. E il protagonista,<br />
incapace di comprendere<br />
la cultura dell’“Altro”,<br />
scopre il “cuore di tenebra”<br />
non solo nella propria civiltà,<br />
ma addirittura all’interno<br />
di se stesso.<br />
Un altro elemento di contatto<br />
fra Tempo di uccidere<br />
e Cuore di tenebra è il tanfo<br />
di morte che caratterizza il<br />
luogo e assedia il protagonista;<br />
l’odore della civiltà,<br />
si potrebbe dire, di ciò che<br />
il “progresso” ha portato in<br />
queste terre:<br />
C’era stata una moria tra<br />
i muli della Sussistenza e<br />
tutti i sentieri dell’Africa<br />
puzzav<strong>ano</strong> ormai di muli<br />
morti, di resti di muli divo-<br />
rati dagli animali notturni,<br />
di teschi che ridev<strong>ano</strong> e<br />
brulicav<strong>ano</strong> di vermi». 7<br />
L’odore di morte ha una<br />
enorme rilevanza simbolica<br />
in tutto il romanzo; se è la<br />
civiltà a portare morte e degradazione<br />
nei territori colonizzati,<br />
il segno distintivo<br />
della morte, il puzzo di cadavere,<br />
deve caratterizzare proprio<br />
il protagonista, prototipo<br />
dell’invasore, che qui non è<br />
ritratto né come eroe né come<br />
belva assetata di sangue ma,<br />
più banalmente, come uomo<br />
medio trascinato dagli eventi.<br />
Questo tuttavia non lo assolve<br />
dalla sua colpa, dal suo ruolo<br />
di emissario di morte; anzi il<br />
finale del libro lo vede portare<br />
con sé, inconsapevolmente,<br />
l’odore della morte a cui<br />
spera di sfuggire non appena<br />
abbandonata l’Africa:<br />
Camminavo accanto al sottotenente<br />
e di colpo sentii<br />
il suo profumo. Certo, doveva<br />
ungersi i capelli con<br />
qualche preziosa pomata.<br />
Una pomata dal profumo<br />
delicato, infantile, ma il<br />
caldo la stava inacidendo.<br />
Una pessima pomata, che<br />
il caldo di quella valle faceva<br />
dolciastra, putrida di<br />
fiori lungamente marciti,<br />
un fiato velenoso. Affrettai<br />
il passo, ma la scia di<br />
quell’odore mi precedeva. 8<br />
Il tenente non potrà mai<br />
liberarsi dal puzzo di morte,<br />
che ormai lo caratterizza; tuttavia<br />
egli ne è inconsapevole,<br />
e continua a proiettare sugli<br />
altri quello che invece è il suo<br />
segno distintivo. 9 In questa<br />
trama simbolica, riaffermata<br />
nel momento stesso in cui il<br />
narratore finge aderenza neorealistica<br />
al dato oggettivo,<br />
sta la sostanza perturbante<br />
(unheimlich, avrebbe detto<br />
Freud) che ricollega Tempo di<br />
uccidere a Conrad. Tuttavia (e<br />
questo è forse l’elemento di<br />
maggiore originalità di tutto il<br />
libro) il ruolo del tenente nel<br />
romanzo è sostanzialmente<br />
diverso da quello di Marlow<br />
nel testo di Conrad. Se infatti<br />
in Cuore di tenebra il narratore<br />
mostra una certa eroica<br />
grandezza in virtù dello spietato<br />
coraggio con cui fissa il<br />
suo sguardo nell’orrore della<br />
tenebra che contraddistingue<br />
il lato oscuro della natura<br />
umana altrettanto non si può<br />
dire del tenente di Flai<strong>ano</strong>,<br />
un inetto giocato dal caso, 10<br />
che richiama alla mente<br />
molti personaggi romanzeschi<br />
del primo Novecento e<br />
in particolare il protagonista<br />
della sveviana Coscienza di<br />
Zeno. Come Zeno anche il<br />
tenente è un narratore in prima<br />
persona e, per di più, un<br />
narratore inaffidabile, incline<br />
all’autocompatimento e probabilmente<br />
in malafede. Una<br />
narrazione di questo genere<br />
mette il lettore di fronte a una<br />
evidente perplessità: deve<br />
credere o meno alla verità di<br />
quanto è narrato nel corso del<br />
romanzo? Davvero il tenente<br />
è convinto di aver compiuto<br />
un atto di “misericordia”<br />
finendo Mariam con un colpo<br />
di pistola o si sta soltanto<br />
autoingannando, per cercare<br />
così di sfuggire alle proprie<br />
responsabilità? Si noti con<br />
quanta caparbietà egli rifiuta<br />
di credere che sarebbe stato<br />
possibile salvare Mariam: «la<br />
donna era agonizzante (non<br />
mi si venga a dire che poteva<br />
essere salvata, mi rifiuterò<br />
sempre di crederlo)». 11 E la<br />
8 Ivi, p. 285.<br />
9 In merito al valore emblematico di questa conclusione cfr. Sergio Pautasso, “Tempo di uccidere”: un romanzo profetico<br />
in Tempo di uccidere, Atti del Convegno nazionale, cit., p. 18, e anche Mario Domenichelli, Il contagio della terra<br />
straniera, cit., p. 654.<br />
10 Sull’importanza del caso in Flai<strong>ano</strong>, sul suo peso determinante sul destino um<strong>ano</strong>, che solo apparentemente è libero<br />
ma in realtà è determinato da un gioco di variabili che non lasci<strong>ano</strong> scampo all’individuo, cfr. Maria Corti, Introduzione<br />
a Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere, Mil<strong>ano</strong>, Bompiani, 1988, pp. XX-XXI.<br />
11 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Tempo di uccidere, cit., p. 64.<br />
18 19
notizia che tutto il villaggio<br />
di Mariam era stato distrutto<br />
non solo non riempie d’orrore<br />
il protagonista, ma paradossalmente<br />
suscita la sua<br />
esultanza; Mariam sarebbe<br />
morta comunque, forse in<br />
preda a sofferenze ben più<br />
atroci! Questa semplice considerazione<br />
basta ad alleviare<br />
(almeno temporaneamente,<br />
almeno a livello conscio) il<br />
suo senso di colpa: «L’avrebbero<br />
uccisa egualmente, pensavo.<br />
E uccisa come! Avevo<br />
preceduto di pochi giorni il<br />
suo feroce destino, evitandole<br />
una fine molto più dolorosa.<br />
[...] Questo andavo<br />
ripetendomi mentre scendevo<br />
il sentiero della collina. E<br />
giunsi persino a compiacermi<br />
di averla uccisa». 12<br />
Il tenente è in fondo inetto<br />
anche come criminale.<br />
Dopo aver pianificato (e fallito)<br />
l’omicidio dell’ufficiale<br />
medico che pensava volesse<br />
denunciarlo, dopo aver cercato<br />
di uccidere per lo stesso<br />
motivo anche il maggiore<br />
(che muore, ma non per causa<br />
sua) il protagonista torna<br />
al campo, rassegnato a scontare<br />
la sua pena, ma non viene<br />
processato, è libero piuttosto<br />
di tornare al suo paese.<br />
Ma il lettore, al termine della<br />
narrazione, può constatare<br />
che gli eventi trascorsi hanno<br />
in realtà comportato un ben<br />
scarso aumento di consapevolezza<br />
nel protagonista.<br />
L’uomo medio civile, dopo<br />
aver compiuto un crimine<br />
orrendo e aver soffocato con<br />
l’ipocrisia il proprio senso di<br />
colpa, è pronto per tornare<br />
nel proprio ambiente d’origine<br />
senza subire nessuna apparente<br />
conseguenza. Non<br />
solo l’inettitudine, ma anche<br />
12 Ivi, p. 114.<br />
13 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Tempo di uccidere, cit., p.277.<br />
la evidente malvagità di questo<br />
“uomo medio” mettono<br />
in discussione le certezze<br />
del lettore, impossibilitato<br />
a trovare all’interno del romanzo<br />
un personaggio “positivo”<br />
nel quale proiettarsi,<br />
del quale assumere il punto<br />
di vista. Ma, ancora più nel<br />
profondo, il finale rivela un<br />
aspetto di profonda sfiducia<br />
esistenziale, non solo nei<br />
confronti dell’uomo e della<br />
sua capacità di determinare<br />
il proprio destino ma anche,<br />
e soprattutto, nella possibilità<br />
stessa di comprendere<br />
la realtà. Certi punti, come<br />
suggerisce l’ultimo capitolo<br />
del romanzo, sono destinati<br />
a rimanere oscuri. Perché<br />
Mariam portava il turbante<br />
bianco degli intoccabili se<br />
non era lebbrosa? Quale era<br />
la causa delle piaghe che<br />
er<strong>ano</strong> apparse sul corpo del<br />
tenente e che poi er<strong>ano</strong> guarite,<br />
forse grazie alle cure di<br />
Johannes? Perché il medico,<br />
scampato al maldestro tentativo<br />
di omicidio, non lo<br />
ha denunciato? Tutte queste<br />
domande rimarranno senza<br />
risposta perché è la vita<br />
stessa a non dare risposte, ad<br />
essere priva di senso e di giustizia.<br />
Se alla fine del romanzo<br />
il protagonista finisce per<br />
compiere una maturazione,<br />
se riesce ad acquisire una<br />
consapevolezza, è proprio<br />
quella della assoluta assenza<br />
di scopo dell’esistenza<br />
umana. Ed è il sottotenente,<br />
trasparente personificazione<br />
del punto di vista dell’autore,<br />
ad esprimere questo fondamentale<br />
concetto:<br />
Come tutte le storie di questo<br />
mondo, anche la tua<br />
sfugge a un’indagine. A<br />
meno che tu non voglia ammettere<br />
che le “disgraziate<br />
circostanze” ti seguiv<strong>ano</strong>,<br />
perché facev<strong>ano</strong> parte della<br />
tua persona. Obbediv<strong>ano</strong><br />
soltanto a te. Eri tu, insomma.<br />
Ma dove rifarsi? Come<br />
cavarne una morale? Eccoti<br />
diventato una persona saggia,<br />
da quel giovane superficiale<br />
che eri, e solo per virtù<br />
di qualche assassinio che<br />
hai commesso senza annettergli<br />
la minima importanza.<br />
Mi congratulo. 13<br />
Flai<strong>ano</strong>, al termine del<br />
suo romanzo, mette dunque<br />
in discussione tutte le certezze<br />
del lettore; non soltanto<br />
egli condanna la guerra e il<br />
colonialismo, non soltanto<br />
(al contrario di quanto avviene<br />
ad esempio in Conrad)<br />
egli non fornisce al lettore<br />
alcun personaggio “positivo”<br />
nel quale identificarsi; egli<br />
sembra piuttosto prescindere<br />
dalla stessa distinzione positivo/negativo<br />
e, in ultima<br />
analisi, finisce per negare<br />
qualunque possibile senso<br />
alla vita umana. Questi sono<br />
tutti aspetti perturbanti del<br />
testo e, allo stesso tempo, ne<br />
rappresent<strong>ano</strong> la grande forza<br />
e originalità. In virtù del<br />
coraggio di questa denuncia,<br />
che sembra sondare le “tenebre”<br />
dell’animo um<strong>ano</strong> forse<br />
più di quanto non abbia fatto<br />
lo stesso Conrad, Tempo di<br />
uccidere si è trasformato in<br />
una specie di classico “scomodo”<br />
della nostra letteratura.<br />
E questo aspetto, a nostro<br />
giudizio, ha determinato la<br />
sua non inclusione nel c<strong>ano</strong>ne<br />
più ancora delle censure<br />
politiche o letterarie.<br />
Flai<strong>ano</strong> e le sue<br />
origini. L’Abruzzo<br />
visto dai suoi scritti<br />
Giuseppe Mammetti<br />
Al fine di interpretare ed<br />
analizzare la poetica di<br />
un singolo scrittore, la<br />
conoscenza specifica della<br />
vita si rivela strumento imprescindibile,<br />
tanto più utile<br />
quando l’opera stessa presenta<br />
forti congetture di natura<br />
biografica, che solo la<br />
conoscenza diretta permette<br />
di individuare e ricollegare<br />
al centro del nucleo poetico.<br />
La presenza di elementi<br />
autobiografici nell’opera<br />
di Ennio Flai<strong>ano</strong> è una dato<br />
incontrovertibile. La scrittura<br />
flaianea, sceglie come marca<br />
di verità l’esistenza dell’autore,<br />
traslando gli aspetti<br />
più evidenti del vissuto sulla<br />
pagina letteraria. La vita di<br />
Ennio Flai<strong>ano</strong> (nato a Pescara<br />
il 5 marzo 1910 e morto<br />
a Roma il 20 novembre del<br />
1972), quella che poi diviene<br />
oggetto di narrazione è sostanzialmente<br />
ubicata in due<br />
luoghi: Roma e l’Abruzzo.<br />
La prima, dove passa gran<br />
parte della vita, è il luogo<br />
degli amori, la seconda, più<br />
semplicemente, quello della<br />
genesi. Iniziamo col dire che<br />
Ennio Flai<strong>ano</strong>, a dispetto dei<br />
molti anni passati nella capitale,<br />
non divenne un rom<strong>ano</strong>.<br />
Pur amando la città, mostrerà<br />
sempre nei suoi riguardi<br />
un particolare distacco, figlio<br />
delle austere tradizioni della<br />
terra d’origine. Nei suoi scritti,<br />
distinguiamo chiaramente<br />
l’avversione per la travalicante<br />
apatia capitolina, opposta<br />
alla laboriosità della regione<br />
da cui proviene. Roma, per<br />
Flai<strong>ano</strong>, è il luogo dove il<br />
tempo si è fermato e l’attivismo,<br />
che nell’uomo è naturale,<br />
finisce con lo spegnersi.<br />
Tutta una linea poetica riconducibile<br />
alla sua opera è legata<br />
a questo sentimento; di<br />
avversione e amore per la realtà<br />
che lo circonda. La storia<br />
del marzi<strong>ano</strong> che passa<br />
per la capitale è omologabile<br />
alla sua condizione personale,<br />
di vittima del suo stesso<br />
ambiente.<br />
20 21
A fare della scrittura di<br />
Flai<strong>ano</strong> uno scrittura autobiografica,<br />
più che le scelte<br />
tematiche, assumono un ruolo<br />
fondante quelle formali.<br />
Il personaggio Flai<strong>ano</strong>, personificazione<br />
dello scrittore,<br />
si rivela presente nell’io del<br />
protagonista, tanto che il rapporto<br />
d’identificazione tra lo<br />
scrittore ed i suoi personaggi<br />
è più che una semplice tendenza.<br />
Tutti i personaggi flaianei,<br />
almeno i fondamentali,<br />
vivono in profonda simbiosi<br />
con l’autore, del quale ricalc<strong>ano</strong><br />
le tendenze caratteriali.<br />
Il Marzi<strong>ano</strong>, lo Scrittore della<br />
Conversazione, ma anche<br />
il regista Guido Anselmi di<br />
Otto e mezzo, dimostr<strong>ano</strong><br />
le stesse fattezze morali dello<br />
scrittore. La relazione che<br />
unisce i due luoghi della sua<br />
vita, d’altronde, è scritta nelle<br />
stesse caratteristiche dei<br />
suoi personaggi: la presenza<br />
della terra abruzzese, negli<br />
scritti più maturi è prettamente<br />
indiretta, rimarcata<br />
solo nell’opposizione con la<br />
città eterna.<br />
L’uomo Flai<strong>ano</strong> ricerca<br />
la tranquillità, la calma, la<br />
concentrazione, più come<br />
esigenze spirituali che come<br />
bisogni del quotidi<strong>ano</strong>; lasciti<br />
di un legame che sente<br />
con la terra natale. A rinvigorire<br />
la sua affezione per<br />
l’Abruzzo sono soprattutto i<br />
periodi estivi che, in gioventù,<br />
trascorre a casa dalla madre.<br />
Momenti indispensabili<br />
della formazione intellettuale,<br />
in cui Flai<strong>ano</strong> focalizza<br />
quelle sensazioni primitive<br />
che più tardi descriverà nei<br />
lavori. La purezza del suo<br />
Abruzzo, la disciplina ordinaria<br />
delle giornate di provincia<br />
e l’aria fresca della<br />
sera, tutto opposto al caos<br />
morale che predomina nella<br />
calda capitale dello stato.<br />
Forse, proprio in omaggio al<br />
carattere schivo e rispettoso<br />
degli abruzzesi, Flai<strong>ano</strong><br />
resterà sempre uno scrittore<br />
isolato, partecipe ma mai<br />
pienamente coinvolto nella<br />
faraonica “dolce vita” romana.<br />
Del resto, sia la più conosciuta<br />
delle sue opere, il<br />
celeberrimo Marzi<strong>ano</strong>, sia il<br />
tratto peculiare del suo umorismo,<br />
la riservatezza, risentono<br />
di questo suo connotato<br />
caratteriale: una singolare<br />
distanza dagli argomenti che<br />
sceglie di trattare.<br />
A testimoniare questo<br />
suo aspetto, figlio della fierezza<br />
tipica abruzzese, contribuisce<br />
anche il taglio antiretorico<br />
che Flai<strong>ano</strong> esprime<br />
nel ventennio. Il cavastivale,<br />
lungo racconto ambientato<br />
in una nazione africana retta<br />
dal fantomatico dittatore<br />
di nome “Palank”, esprime<br />
tutta l’insofferenza dello<br />
scrittore per le esagerazioni<br />
propagandistiche del regime.<br />
Il lungo racconto ha per<br />
oggetto l’unitile rincorsa al<br />
progresso del piccolo paese<br />
afric<strong>ano</strong>, che nell’obiettivo<br />
investe ogni tipo di risorsa,<br />
anche umanitaria. Nella sua<br />
boriosa ironia, il racconto<br />
ripercorre uno dei tratti tipici<br />
della terra abruzzese,<br />
il rigetto della personificazione<br />
del potere. L’avversione<br />
ad una gestione troppo<br />
massiccia del potere temporale<br />
ha contraddistinto i<br />
momenti salienti della storia<br />
del territorio, tradizionalmente<br />
lont<strong>ano</strong> dalle dispute<br />
tra potenti. L’eremita Pietro<br />
da Morrone, asceso al soglio<br />
Pontifico come Celestino<br />
V, inaugura con il gesto<br />
proverbiale del rifiuto tutta<br />
una stagione d’isolamento<br />
politico-istituzionale, destinata<br />
a terminare solo con<br />
la nascita della Repubblica<br />
italiana. Il tutto, paradossalmente,<br />
a dispetto di una<br />
locazione geografica che<br />
la pone in stretta vicinanza<br />
con le capitali che lo hanno<br />
dominato storicamente: Napoli,<br />
centro del regno delle<br />
delle due Sicilie, e Roma,<br />
capitale del nuovo stato.<br />
La palese avversione dello<br />
scrittore nei confronti del<br />
potere, trova dunque riscontro<br />
sia nelle vicende storiche<br />
di molti celebri conterranei,<br />
sia nella letteratura coeva,<br />
dove il solo Silone lo ribadisce<br />
più volte con forza.<br />
Il suo percepire “lontana”<br />
la terra di origine, gli<br />
permette di approfondirne<br />
meglio alcuni caratteri peculiari,<br />
come la religiosità. Nel<br />
racconto Il Messia, pubblicato<br />
postumo nell’Autobiografia<br />
del Blu di Prussia, racconta<br />
d’un fantomatico prete<br />
abruzzese, improvvisatosi<br />
messia tra le sue terre. Nel<br />
racconto prende forma un<br />
Abruzzo irto di contraddizioni,<br />
arcaico e pag<strong>ano</strong>, dove la<br />
fede sposa la cultura contadina<br />
e la religione incontra la<br />
credulità popolare.<br />
“Se l’Abruzzo è la regione<br />
d’Italia dove la pratica<br />
della religione cristiana<br />
ha conservato molti caratteri<br />
pagani, è tuttavia<br />
anche la regione dove si<br />
“crede” nel senso più filosofico<br />
della parola : per<br />
il bisogno di credere alla<br />
metafisica stessa .Perciò<br />
in questo paese religione<br />
e vita spesso ,si identific<strong>ano</strong>:<br />
le Madonne Abruzzesi,<br />
per esempio, rispondono<br />
iconograficamente<br />
all’immagine della madre<br />
abruzzese: addolorata,<br />
sempre in angustia per i<br />
figli che lasci<strong>ano</strong> il paese<br />
in cerca di migliore fortuna,<br />
sempre vestita di nero<br />
per i lutti del parentado,<br />
col cuore trafitto da sette<br />
spade e due tonde lacrime<br />
eternamente fermate<br />
sulle guance” 1<br />
Questa particolare devozione<br />
evoca quella narrata da<br />
Silone in Fontamara, quando<br />
nel descrivere il culto di San<br />
Giuseppe da Copertino, mescola<br />
patriottismo e credulità.<br />
Proprio la colorita religiosità<br />
abruzzese, fatta di santi<br />
come di miti, appare l’ideale<br />
sottostrato su cui collocare<br />
le vicende di Don Oreste<br />
de Amicis, che verso il 1870<br />
si proclamò il nuovo Messia<br />
d’Abruzzo. Il contenuto<br />
della storia non rappresenta<br />
tuttavia una novità letteraria:<br />
è stato gia narrato dal De<br />
Nino e anche Gabriele d’Annunzio<br />
ne ha accennato in<br />
un suo romanzo. Come suo<br />
costume, Flai<strong>ano</strong> coglie nella<br />
vicenda del nuovo messia<br />
gli aspetti più comici e grotteschi,<br />
venandola di un provincialismo<br />
che a tratti tocca<br />
livelli esilaranti.<br />
“Don Oreste fu chiamato<br />
il “pretone” per le sue forme<br />
atletiche. Era patriota.<br />
Odiò sempre certi suoi parenti<br />
perché di principi non<br />
liberali. Spesso si recava<br />
nella fortezza di Pescara a<br />
visitare i prigionieri politici,<br />
portando giornali esteri che<br />
riceveva da un capit<strong>ano</strong><br />
svizzero in ritiro. Quando<br />
nel ‘60 il regno delle Due<br />
Sicilie fu unito all’Italia,<br />
don Oreste fece addirittura<br />
stranezze per la grande<br />
gioia. La notte del 25 con<br />
l’aiuto dei fratelli montò un<br />
palcoscenico con telone<br />
sull’altare maggiore” 2<br />
Questa breve dissertazione<br />
religiosa, non restituisce<br />
un Flai<strong>ano</strong> dedito ai grandi<br />
interrogativi o avvezzo all’indagine<br />
delle profondità spirituali,<br />
ma conferma un autore<br />
che guarda alla religione con<br />
disincanto e concreta ironia,<br />
la stessa che rivolge ai problemi<br />
concreti e alle fatiche<br />
quotidiane. Per Flai<strong>ano</strong><br />
la religione e la religiosità,<br />
sono concetti umani più che<br />
divini, e present<strong>ano</strong> particolare<br />
propensione ad incarnare<br />
tanto i valori culturali,<br />
quanto le stranezze di chi le<br />
professa. Sempre nel Messia<br />
l’autore ripete:<br />
“A lode di Don Oreste<br />
deve essere precisato che<br />
non cercò di imitare i miracoli<br />
più in voga (ma preferì<br />
riecheggiare gli avvenimenti<br />
biblici, e in un secondo<br />
genere tutto nuovo,<br />
come quello del treno, che<br />
a me è servito per approfondire<br />
le idee personali<br />
sul progresso, e l’evoluzione<br />
scientifica” 3<br />
La religiosità abruzzese<br />
del Messia e, in minima<br />
parte, l’ambiente familiare<br />
descritto nel Minore, costituiscono<br />
per Flai<strong>ano</strong> le chiavi<br />
di un ritorno alle origini:<br />
quell’Abruzzo cui è legato<br />
in modo imprescindibile.<br />
L’intensità del legame con la<br />
sua terra, è deducibile proprio<br />
dal primo volume degli<br />
scritti postumi, L’Autobiografia<br />
del blu di Prussia, che<br />
segnaliamo tra le opere più<br />
interessanti. In essa, specie<br />
quando il tono surreale dei<br />
racconti sposa lo stile caustico<br />
ammirabile in La pietra<br />
turchina, si genera un’ideale<br />
autobiografia indiretta;<br />
ponte tra il passato (spesso<br />
immaginario) in cui l’autore<br />
inizia la sua vita ed il caos<br />
creativo in cui la conclude.<br />
1 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere. Scritti postumi, a cura di A. Longoni e M. Corti, Ed. Bompiani, Roma, 2001, p. 75<br />
2 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere. Scritti postumi, p. 82<br />
3 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere. Scritti postumi, p. 99<br />
22 23
Ritratto di<br />
uno studioso:<br />
Vittori<strong>ano</strong><br />
Esposito<br />
Vittori<strong>ano</strong> Esposito, nato<br />
a Cel<strong>ano</strong> nel 1929, vive<br />
ad Avezz<strong>ano</strong>. Come<br />
i tulipani, fiori dai colori<br />
vivaci con i petali un po’<br />
racchiusi in sè, il mondo di<br />
questo studioso, dall’apparenza<br />
sorridente e riservata,<br />
ci rivela un universo ricco<br />
e affascinante: segnato dalla<br />
curiosità e dalla passione<br />
verso la letteratura italiana,<br />
nonché dall’amore verso la<br />
propria terra, l’Abruzzo. Perciò,<br />
in un <strong>numero</strong> dedicato<br />
a questa regione, devastata<br />
dal terrremoto aquil<strong>ano</strong>, in<br />
cui trov<strong>ano</strong> posto testi sulle<br />
grandi personalità abruzzesi,<br />
non può non figurare il<br />
nome di Vittori<strong>ano</strong> Esposito.<br />
Se così fosse, ciò non sarebbe<br />
una semplice dimenticanza,<br />
ma sì un’assenza imperdonabile!<br />
Il suo profilo è quello di<br />
un ricercatore instancabile,<br />
come conferma il piccolo<br />
ed accogliente studio che ha<br />
in casa. È stato in quest’atmosfera<br />
che in una giornata<br />
d’inverno di un paio d’anni<br />
fa ha ricevuto a casa sua due<br />
giovani curiosi che dav<strong>ano</strong> i<br />
primi passi della loro carrie-<br />
Patricia Peterle e Andrea Santurb<strong>ano</strong><br />
(Univ. Fed. di Santa Catarina)<br />
ra, per parlare un po’ della<br />
sua esperienza e di Ignazio<br />
Silone – uno scrittore abruzzese<br />
a cui ha dedicato molti<br />
libri. L’atteggiamento di<br />
Esposito, in questa fredda<br />
giornata, può far ricordare<br />
le parole di Luce D’Eramo,<br />
con cui ha fondato i Quaderni<br />
Siloniani 1 , quando la<br />
studiosa si riferisce, nel suo<br />
libro L’opera di Ignazio Silone<br />
(1971), alla gentilezza,<br />
alla pazienza ed al cameratismo<br />
intellettuale di Silone.<br />
Vale la pena ricordare che<br />
la stessa D’Eramo è stata<br />
alcune volte ricevuta dallo<br />
scrittore di Pescina, nella<br />
sua casa romana. E questa<br />
generosità intellettuale è un<br />
tratto che può essere rintracciato<br />
anche negli scritti<br />
di Vittori<strong>ano</strong> Esposito e che<br />
caratterizza tutto il suo lungo<br />
percorso critico.<br />
Dopo essersi laureato in<br />
Lettere Classiche all’Università<br />
di Roma, discutendo una<br />
tesi su Cesare Pavese, con<br />
Natalino Sapegno e Alfredo<br />
Schiaffini, già come ordinario<br />
di Lettere italiane e Storia<br />
negli Istituti Magistrali e<br />
Tecnici, negli anni ‘70 e ‘80,<br />
Vittori<strong>ano</strong> Esposito ha collaborato<br />
con la cattedra di Letteratura<br />
<strong>Italiana</strong> presso l’Università<br />
dell’Aquila. In questo<br />
periodo ha anche tenuto una<br />
serie di conferenze, dentro e<br />
fuori l’Italia, come in Canada<br />
ed in Svizzera.<br />
Nel 1988, paralellamente<br />
al ruolo di professore, ha<br />
fondato la rivista Abruzzo<br />
Letterario, che ha diretto<br />
fino al 1993. Il solido contributo<br />
di Vittori<strong>ano</strong> Esposito<br />
alla stampa regionale e<br />
italiana è confermato dalle<br />
varie recensioni, articoli,<br />
saggi firmati da lui e pubblicati<br />
in <strong>numero</strong>se riviste<br />
come: Abruzzo, La Fiera<br />
letteraria, Letteratura <strong>Italiana</strong><br />
Contemporanea, Oggi e<br />
Domani, Misura, Nuova Antologia,<br />
Persona, Prospettiva<br />
Persona, Ragguaglio librario,<br />
Riscontri, Sìlarus, Studi<br />
e ricerche, Tempo Presente,<br />
Trimestre. Se si pensa alla<br />
divulgazione dei suoi studi<br />
all’estero si possono ricordare<br />
i contributi pubblicati su<br />
Canadian Journal of Italian<br />
Studies e i <strong>numero</strong>si (o quasi<br />
infiniti) accenni e citazioni<br />
fatti alle sue ricerche in varie<br />
1 Pubblicazione del Centro Studi Ignazio Silone di Pescina, alla quale há partecipato anche Giuseppe Tamburr<strong>ano</strong>.<br />
riviste del campo accademico<br />
2 . Per quel che riguarda il<br />
Brasile, anche qui il nome di<br />
Vittori<strong>ano</strong> Esposito è un riferimento<br />
e circola in alcuni<br />
articoli, come si può constatare<br />
nella consultazione<br />
delle seguenti riviste: Revista<br />
de Letras (2000), vol. 40,<br />
dell’Universidade Estadual<br />
Paulista, Faculdade de Filosofia,<br />
Ciências e Letras de<br />
Assis; Letras de Hoje (1984),<br />
nº 55-58, del Departamento<br />
de Letras, della Pontifícia<br />
Universidade Católica do<br />
Rio Grande do Sul.<br />
Questo girare il mondo,<br />
senza che vi sia un vero e<br />
proprio spostamento, ai brasiliani<br />
può ricordare Machado<br />
de Assis, che “viaggiava<br />
mentre leggeva”. Se i libri<br />
per Machado significav<strong>ano</strong><br />
la possibilità di conoscere<br />
un’altra cultura come quella<br />
francese o italiana, così<br />
presente in vari racconti o<br />
romanzi dello scrittore di<br />
Rio de Janeiro, anche per<br />
Vittori<strong>ano</strong> Esposito i libri<br />
occup<strong>ano</strong> senz’altro un posto<br />
prezioso. Infatti, oltre<br />
ad essere uno strumento<br />
di lavoro e conoscenza, si<br />
configur<strong>ano</strong> da subito per<br />
lo studioso abruzzese come<br />
laboratorio delle sue riflessioni<br />
critiche. Ed è da questo<br />
fervido laboratorio che vengono<br />
fuori dei volumi dedicati<br />
ai vari momenti della<br />
storia e della letteratura italiana<br />
e, in particolare, agli<br />
autori abruzzesi. Dell’estesa<br />
produzione di Esposito sulla<br />
letteratura italiana si può<br />
ricordare: Pirandello poeta<br />
lirico (Brescia, Magalini,<br />
1968), Introduzione a Giacomo<br />
Leopardi (Avezz<strong>ano</strong>,<br />
Eirene, 1972), Pavese poeta<br />
e la critica (Firenze, Edizioni<br />
della Nuova Europa, 1974),<br />
Interpretazioni critiche del<br />
«Quinto Evangelio» (Roma,<br />
Edizioni dell’Urbe, 1978),<br />
Religione e religiosità in<br />
Leopardi (Foggia, Bastogi,<br />
1998), La “Commedia” dantesca<br />
tra fede e dissenso (Pescara,<br />
Tracce, 1999). Senza<br />
dimenticare il progetto della<br />
poesia italiana del Novecento<br />
con i nove volumi criticoantologici<br />
della serie L’altro<br />
Novecento. Dice Maria Grazia<br />
Lenisa 3 :<br />
2 Solo per citare alcune opere che fanno riferimento alle sue pubblicazioni ed ai suoi studi: La letteratura drammatica<br />
in Abruzzo: dal Medioevo sacro all’eredità dannunziana: atti del convegno (1995) a cura di Gianni Oliva, Vito Moretti,<br />
Daniele Properzi; Dialect poetry of Southern Italy: texts and criticism: a trilingual anthology (1997) di Luigi Bonaffini;<br />
Politics of the visible: writing women, culture, and fascism (1997) di Robin Pickering-Iazzi; Forum Italicum (2000), pubblicazione<br />
del Dipartimento di Modern Languages della Florida State University; Italian quarterly (1990), vol 31, pubblicazione<br />
del Dept. of Italian dell’University of California, New Europe for the old? (1998) di Stephen Richards Graubard;<br />
Ignazio Silone in exile: writing and antifascism in Switzerland, 1929-1944 (2005) di Deborah Holmes; Cassell dictionary<br />
of Italian literature (1996), a cura di Peter Bondanella, Julia Conaway Bondanella, Jody Robin Shiffman; Rivista di studi<br />
italiani: RSI (2001), vol.19, del Dept. of Italian Studie, dell’University of Toronto.<br />
3 Poetessa di origine friulana, morta recentemente il 28 aprile del 2009. Tra i suoi libri possono essere ricordati: tra<br />
cui vanno ricordati almeno Il tempo muore con noi (1955); I pensieri di Catullo (1958); Terra violata e pura (1975);<br />
Erotica (1979); L’ilarità di Apollo (1983); La ragazza di Arthur (1991); L’ombelico d’oro (2003).<br />
24 25
Poesia, non-poesia, antipoesia<br />
del’900 itali<strong>ano</strong> è<br />
innazittuto opera di uno<br />
storico della letteratura,<br />
ma anche di un critico,<br />
capace di arrischiare giudizi,<br />
valutazioni personali<br />
su autori contemporanei<br />
attraverso un pazientissimo<br />
lavoro di schede<br />
e profili. L’indagine complessiva<br />
è condotta con<br />
grande lucidità. Ne risulta<br />
un p<strong>ano</strong>rama della<br />
poesia contemporanea,<br />
come dice lo stesso autore<br />
“tra cronaca, storia<br />
e controstoria”, dalle “vie<br />
maestre alle vie secondarie”<br />
e credo che meerito<br />
non indifferente venga<br />
ad Esposito dal suo impegno<br />
rivolto a far luce su<br />
queste ultime.<br />
Per quel che riguarda<br />
invece gli scritti dedicati<br />
all’Abruzzo, che sono altrettanto<br />
<strong>numero</strong>si, si possono<br />
citare: Mario Pomilio<br />
narratore e critico militante<br />
(Roma, Edizioni dell’Urbe,<br />
1978), Ignazio Silone. La<br />
vita, le opere, il pensiero<br />
(Roma, Edizioni dell’Urbe,<br />
1980), Lettura di Ignazio<br />
Silone (Roma, Edizioni<br />
dell’Urbe, 1985), Donna<br />
e poesia oggi in Abruzzo<br />
(Roma, Edizioni dell’Urbe,<br />
1986), Per un altro D’Annunzio<br />
(Roma, Edizioni<br />
dell’Urbe, 1988), Attualità<br />
di Silone (Roma, Edizioni<br />
dell’Urbe, 1989), Vita e<br />
pensiero di Ignazio Silone<br />
(Cerchio, Polla, 1993), il<br />
saggio sulla poesia di Vito<br />
Moretti Segni di scrittura<br />
(Roma, Bulzoni, 1994), Vita<br />
e pensiero di Ennio Flai<strong>ano</strong><br />
(Cerchio, Polla, 1996), Silone<br />
vent’anni dopo (L’Aquila,<br />
Amministrazione Provinciale,<br />
1998), Ignazio<br />
Silone ovvero un “caso” infinito”<br />
(Pescina, Centro Studi<br />
Siloniani, 2000), Poetica<br />
e poesia di Cesare Pavese<br />
(Foggia, Bastogi, 2001),<br />
Questioni siloniane (Avezz<strong>ano</strong>,<br />
Edizioni Marsica Domani,<br />
2003).<br />
Merita un’attenzione<br />
particolare la fondamentale<br />
rassegna di poeti che hanno<br />
scritto in itali<strong>ano</strong>, in latino<br />
ed in dialetto, intitolata Parnaso<br />
d’Abruzzo (1980). Così<br />
come l’autore avverte già<br />
dalla prime pagine:<br />
[...] l’opera vuol essere innanzitutto<br />
una “rassegna”<br />
di quanto l’Abruzzo ha<br />
prodotto, dall’unità d’Italia<br />
ai nostri giorni, nel campo<br />
della poesia. Ma c’è da aggiungere<br />
subito, ed è questa<br />
la sua maggiore novità,<br />
che per la prima volta l’indagine<br />
si estende dalla lirica<br />
alla satira e all’epigramma,<br />
in un triplice versante<br />
linguistico: itali<strong>ano</strong>, latino<br />
e dialetto.<br />
È un “materiale” raccolto,<br />
dunque, che offre<br />
un’immagine completa del<br />
p<strong>ano</strong>rama della produzione<br />
abruzzese.<br />
Un altro aspetto della<br />
critica di Vittori<strong>ano</strong> Esposito,<br />
come si può verificare<br />
nelle pubblicazioni più recenti,<br />
è l’attenzione dedicata<br />
ad Ignazio Silone. Una<br />
figura molto ma, allo stesso<br />
tempo, poco conosciuta,<br />
già al centro di “casi”; due,<br />
secondo Esposito, il primo<br />
quando è vittima del silenzio<br />
della critica italiana e il<br />
secondo quando la famosa<br />
polemica scatenata da Biocca<br />
e Canali lo accusa di essere<br />
stata una spia fascista.<br />
Su quest’ultima polemica,<br />
vari libri sono stati pubbli-<br />
cati e tanti intellettuali e studiosi<br />
sono intervenuti: dallo<br />
stesso Vittori<strong>ano</strong> Esposito, a<br />
Giuseppe Tamburr<strong>ano</strong>, a Indro<br />
Montanelli, a Norberto<br />
Bobbio.<br />
La lettura e l’analisi puntuale<br />
delle opere siloniane,<br />
sia dal punto di vista storico<br />
sia da quello critico-letterario,<br />
ha permesso a Vittori<strong>ano</strong><br />
Esposito di comporre,<br />
pian pi<strong>ano</strong>, una complessa<br />
costellazione che (ri)discute<br />
le opere narrative di Ignazio<br />
Silone. A questo proposito,<br />
si possono segnalare i<br />
già citati Lettura di Ignazio<br />
Silone (1985) e Ignazio Silone<br />
ovvero un “caso”infinito<br />
(2000). Nell’avvertenza<br />
contenuta nella prima opera,<br />
Vittori<strong>ano</strong> Esposito parla<br />
al lettore di come ha conosciuto<br />
Silone e si è avvicinato<br />
alla sua opera. I dodici<br />
capitoli, sommati alle appendici<br />
che tratt<strong>ano</strong> anche<br />
dei punti di vista dei critici,<br />
sono inoltre delle pagine importanti<br />
sulla fortuna critica<br />
siloniana. Un libro essenziale<br />
per qualsialsi studioso,<br />
uno strumento che raccoglie<br />
un ventaglio di informazioni<br />
varie sulla produzione e ripercussione<br />
delle opere dello<br />
scrittore abruzzese. Nel<br />
suo secondo lavoro monografico<br />
su Silone, Esposito<br />
ripercorre attraverso una lettura<br />
aggiornata la travagliata<br />
vicenda siloniana, un “caso<br />
infinito” appunto, culminata<br />
nel dibattito spia/non spia,<br />
che ha occupato per mesi<br />
le pagine dei più importanti<br />
quotidiani italiani.<br />
Tutti questi sono degli<br />
scritti che testimoni<strong>ano</strong> il percorso<br />
intrapreso da Vittori<strong>ano</strong><br />
Esposito, vincitore di alcuni<br />
premi di critica letteraria, e<br />
conferm<strong>ano</strong> il suo ricco e polifonico<br />
universo.<br />
Gennaro<br />
Manna e<br />
la terra<br />
d’AbruzzoAldo Onorati<br />
Su “Atti del Convegno<br />
Internazionale di studio<br />
‘Gennaro Manna’<br />
1991”, Sandro Sticca scrive:<br />
“ Manna costituisce una indelebile,<br />
memorabile e complessa<br />
analisi dell’esistenza e<br />
della condizione umana che<br />
si rivela non soltanto nella<br />
dettagliata esposizione della<br />
crisi della generazione del<br />
dopoguerra, ma nella profonda<br />
ed illuminata scansione<br />
ed esaltazione del temperamento,<br />
della coscienza e dei<br />
valori spirituali della sua terra<br />
natia: l’Abruzzo”.<br />
L’autore è nato nel 1922<br />
a Tocco Casauria (Pescara);<br />
è morto a Roma nel 1990. A<br />
Roma si era laureato in Giurisprudenza.<br />
Dal 1950, infatti,<br />
ha abitato nella Capitale, ove<br />
ha lavorato e conosciuto i migliori<br />
nomi della Letteratura.<br />
Già nel 1959 pubblica il<br />
primo libro, Le terrazze, ove<br />
la presenza del mondo contadino<br />
dà adito ai critici di<br />
pensare che il narratore sia<br />
legato ai temi del neorealismo,<br />
mentre Manna appartiene<br />
fin dagli inizi alla sfera<br />
dello scandaglio interiore<br />
dei personaggi, legando la<br />
narrazione all’essenza della<br />
sua origine ( scriverà, infatti,<br />
: “Il mio cuore batte /<br />
campagnolo / dov’è germogliato<br />
/ chiamando gli olivi<br />
per nome” ). E’ del 1962 Un<br />
uomo senza cappello (Rizzoli),<br />
romanzo che delinea una<br />
scaltrezza tecnica di narratore<br />
attento ai particolari, non<br />
solo quelli del paesaggio, ma<br />
dei protagonisti, pur senza<br />
indebolire gli effetti visivi,<br />
tanto che i critici hanno insistito<br />
sulla filmicità dei suoi<br />
testi, vibrati con una sintassi<br />
sicura, netta, addizionale,<br />
tesa a trasmettere al lettore<br />
una partecipazione al sentire,<br />
che diviene un tramite<br />
di auscultazione dei complessi<br />
fermenti della vita e<br />
del mondo. Tale particolarità<br />
non si perde mai nelle pagine<br />
di Manna, anzi si rafforza<br />
laddove torna il mondo contadino<br />
( L’aquila impagliata,<br />
Rizzoli,1968), complicato<br />
da un atteggiamento gnoseologico<br />
di chiara presa, che<br />
qualcuno ha riportato alla<br />
lezione verghiana: una famiglia<br />
che muta, fino al declino,<br />
nell’osmosi tentatrice<br />
e negativa con l’ambiente<br />
26 27
che si trasforma nei tempi<br />
sociali e in quelli interiori.<br />
Ma è con il romanzo L’abdicazione<br />
(Bietti, 1972) che<br />
Manna incide fortemente<br />
nel campo etico, poiché il<br />
motivo dominante del contrasto<br />
fra la volontà onesta,<br />
la forza dell’intelligenza<br />
propositiva e battagliera, è<br />
teso al massimo in un conflitto<br />
fra il protagonista e la<br />
città simbolo inquietante di<br />
un potere sospeso sul nero<br />
precipizio della decadenza.<br />
Qui, il dualismo bene-male,<br />
specificamente in campo<br />
politico, si identifica anche<br />
nella differenza che Manna<br />
pone fra la città ( ed è facile<br />
connotarla) e la provincia<br />
abruzzese, ritratta con amore,<br />
passione, memoria poetica.<br />
Si è insistito da parte<br />
della critica su un tema centrale<br />
della poetica di Manna:<br />
la difficoltà degli uomini di<br />
influire sul destino di decadenza<br />
delle cose, della civiltà,<br />
delle coscienze. Ma ciò<br />
non è esatto, e la risposta la<br />
dà questo romanzo, in cui il<br />
protagonista, Giovanni Martani,<br />
giornalista, di estrazione<br />
meridionale-provinciale,<br />
entrato in crisi a causa della<br />
lotta interiore fra il respingere<br />
gli allettanti compromessi<br />
d’una carriera sociale e la<br />
rettitudine che “non paga”<br />
nel mondo corrotto, decide<br />
di ritirarsi nel suo paese,<br />
tornando a coltivare le terre<br />
paterne. A ciò è spinto anche,<br />
se non soprattutto, dal<br />
secondo protagonista, in<br />
questo caso “antagonista”,<br />
Fulvio Nicotra, da lui stesso<br />
introdotto nel campo della<br />
politica. Ma il colpo di scena<br />
viene per m<strong>ano</strong> del parroco<br />
di quel luogo di provincia<br />
in cui Martani si è ritirato,<br />
gettando la spugna. Questo<br />
attore minore, cioè il sacer-<br />
dote, diviene così il movente<br />
interno centrale dell’opera,<br />
perché rimuove il giornalista<br />
dal suo torpore, dicendogli<br />
che al male bisogna opporre<br />
il lavoro per l’umanità, senza<br />
scegliere il comodo esilio e<br />
l’autoflagellazione rassegnata.<br />
Un messaggio deciso,<br />
impregnato nel complesso<br />
narrativo del testo, non ritagliato<br />
a margine, o a esergo<br />
morale, bensì interiorizzato<br />
nelle osmosi che si cre<strong>ano</strong><br />
fra i personaggi, protagonisti<br />
e antagonisti, fino a<br />
coagulare la significazione<br />
morale in un incitamento a<br />
ribellarsi al male, a opporre<br />
qualcosa di costruttivo – ancorché<br />
destinato alla sconfitta<br />
– contro le compromissioni,<br />
che sono il principio<br />
di ogni adulterazione!<br />
La passione politica diviene<br />
forte in Il potere e la<br />
maschera ( 1977 ), una metafora<br />
costellata da simbologie<br />
interessanti, che prosegue<br />
idealmente L’abdicazione,<br />
portando la filosofia della<br />
vita dell’autore verso sbocchi<br />
non direi ottimistici ( Manna<br />
è troppo intelligente per credere<br />
al trionfo indisturbato<br />
del bene ), ma decisamente<br />
etici, ove per etica si intenda<br />
un atto di amorosa fiducia<br />
nell’umanità.<br />
L’invenzione narrativa si<br />
schematizza in un saggio, a<br />
suo modo nuovo ( Tramonto<br />
della civiltà contadina ),<br />
del 1979, in cui la questione<br />
meridionale torna con suggerimenti<br />
e proposte, ma soprattutto<br />
con la passione poetica<br />
( in senso lato, etimologico<br />
), che dipana le tesi<br />
dense e matematiche di tanti<br />
studiosi della problematica<br />
del Sud, e lo fa con una<br />
prosa di scrittore che vuole<br />
chiarire, far comprendere,<br />
divulgare, al fine di risolvere<br />
la vexata quaestio che divide<br />
l’Italia prima e dopo il<br />
Risorgimento.<br />
L’anno della morte (1990)<br />
esce con Camunia Adamo<br />
a Gaeta. Scrive Vittori<strong>ano</strong><br />
Esposito:” Adamo a Gaeta<br />
viene a chiudere, in un certo<br />
senso, la sua appassionata<br />
riflessione sulla crisi della<br />
civiltà contadina, tema ricorrente<br />
nelle sue opere precedenti,<br />
sia di narrativa che di<br />
saggistica”.<br />
Il libro, breve per la verità,<br />
ma tenuto su un alto<br />
registro di complessità interiore<br />
e strutturale, varrebbe<br />
la pena sintetizzarlo nella<br />
trama di cui Manna è intrecciatore<br />
misurato e scaltro.<br />
Aveva scritto Michele Prisco<br />
in prefazione a L’abdicazione<br />
:” Manna traccia con amara<br />
disinvoltura il proprio atto di<br />
ricognizione sull’uomo e su<br />
una precisa autentica realtà”.<br />
Col suo impegno di giornalista<br />
( “Il Tempo”, “L’ Osservatore<br />
Rom<strong>ano</strong>”, “Il popolo”,<br />
“La discussione”), ha<br />
portato avanti un discorso<br />
politico parallelo, ricoprendo<br />
incarichi importanti, sempre<br />
nell’ambito culturale.<br />
E allora l’Abruzzo, terra di<br />
confine della Roma tentacolare<br />
divisa dagli alti Appennini<br />
fra le sponde tirreniche e<br />
quelle adriatiche; la montuosa<br />
regione d’Abruzzo diviene<br />
simbolo e allusione polisemica<br />
per Gennaro Manna,<br />
una sorta di pillola della salute<br />
dell’anima, un mito da<br />
cui far sgorgare acqua salutare<br />
per berne dal cavo delle<br />
mani alla maniera degli antichi<br />
padri. E, questo, Gennaro<br />
Manna lo dice e lo auspica.<br />
La sua opera omnia , stilata<br />
con penna maestra, porta<br />
con sé un programma. Sta al<br />
lettore decodificarlo: e non è<br />
difficile, ma salutare.<br />
L’ultimo<br />
Bonaviri<br />
Intervista su Il vicolo blu<br />
Secondo il noto critico<br />
letterario Walter Mauro,<br />
sono due i libri che<br />
danno inizio alla narrativa<br />
fantastica nell’Italia del dopoguerra<br />
e pongono fine alla<br />
stagione neorealista. I libri in<br />
questione sono Il sentiero dei<br />
nidi di ragno di Italo Calvino<br />
e Il sarto della stradalunga di<br />
Giuseppe Bonaviri. Sul primo<br />
autore si è ampiamente<br />
discusso; sul secondo ancora<br />
poco, a mio avviso, la critica<br />
ha lavorato ed ora che Bonaviri<br />
è scomparso è necessario<br />
si affretti a riempire alcuni<br />
vuoti lasciati.<br />
Dopo anni passati con<br />
gli occhi rivolti al sole della<br />
Sicilia, Bonaviri ha vissuto<br />
ininterrottamente dal 1958 a<br />
Frosinone nella riservatezza<br />
che necessitava alla meditazione<br />
di questo scrittore che,<br />
legato come da una corda<br />
pazza alla natìa Sicilia, intesse<br />
nel racconto infinite<br />
anabasi fantastiche. Il punto<br />
Pulcinelli Camilla<br />
di partenza è sempre Mineo,<br />
paese del poeta Paolo Mura e<br />
di Luigi Capuana. Dall’umile<br />
ma sapienziale realtà contadina<br />
ed artigiana, Bonaviri è<br />
pronto a compiere quel folle<br />
volo che trasporta in una<br />
dimensione reinventata dove<br />
la stessa Sicilia regredisce<br />
verso un passato arabo e normanno<br />
con ascendenza greca<br />
ed empedoclea. A questa<br />
cantilena lontana ed arcana<br />
lo scrittore di Mineo presta<br />
il suo orecchio per scovare<br />
tra le pieghe di un tempo<br />
lont<strong>ano</strong>, contadino e dal sapore<br />
primigenio, la risposta<br />
agli incessanti interrogativi<br />
dell’uomo. La ricerca si compie<br />
superando gli spazi determinabili<br />
geograficamente<br />
abbracciando quella che<br />
Di Biase definì dimensione<br />
dell’oltre 1 , deformando non<br />
solo lo spazio ma anche il<br />
tempo con l’intento di proiettarsi<br />
in un tempo cosmico.<br />
Nella dimensione di Bonaviri<br />
ogni essere partecipa all’infinito<br />
divenire del cosmo<br />
mescolandosi alle infinite<br />
metamorfosi psico-fisiche<br />
che nel cosmo stesso avvengono.<br />
Perché l’uomo Bonaviri<br />
oltre che scrittore e poeta<br />
è anche scienziato e sa che<br />
nell’universo nulla si crea o<br />
si distrugge ma tutto è in continua<br />
mutazione. Il desiderio<br />
più alto è quello di scovarne<br />
il segreto da rivelare agli<br />
uomini proiettandosi oltre il<br />
reale e andando a cercare<br />
all’indietro, verso un nucleo<br />
di creazione primigenia. Sarà<br />
per questo che nel continuo<br />
voltarsi indietro è fondamentale<br />
per lo scrittore non perdere<br />
di vista l’infanzia che<br />
oltre ad essere l’età in cui il<br />
fanciullino che è in noi meglio<br />
coglie di essere figlio di<br />
una più grande cosmica madre,<br />
è anche l’età perpetua<br />
di Bonaviri con cui giocare<br />
con un tono tra il nostalgico,<br />
il retorico e narcisistico. Per<br />
uno scrittore dalla vena di<br />
fiaba, figlio di una madre che<br />
aveva memoria di centinaia<br />
di storie come una sorta di<br />
Decameron vivente, non può<br />
che essere l’infanzia l’età<br />
mitica, l’età dell’oro. Il libro<br />
dell’infanzia per eccellenza<br />
di Bonaviri è sicuramente Il<br />
vicolo blu 2 . E’ uno degli ultimi<br />
scritti (editi) dello scrit-<br />
1 C. Di Biase, Giuseppe Bonaviri. La dimensione dell’oltre, Napoli, Libreria Edirice E. Cassitto, 1994.<br />
2 Giuseppe Bonaviri, Il vicolo blu, Palermo, Sellerio, 2003.<br />
28 29
tore più volte candidato al<br />
Nobel e che pure è riuscito<br />
a non farsi annebbiare la vista<br />
e la prodigiosa memoria<br />
dagli ingranaggi di un mondo<br />
arido e tecnologizzato, lo<br />
stesso mondo che ha distrutto<br />
quella Sicilia umile eppure<br />
così sapiente di cui era figlio,<br />
e dai giochi di poteri di un<br />
mondo editoriale e letterario,<br />
in senso più ampio, con cui<br />
non è mai sceso a compromessi.<br />
Il vicolo blu è un inno<br />
all’infanzia e pur partendo<br />
dal dato autobiografico costantemente<br />
lo supera divenendo<br />
un libro sulla vita dei<br />
bambini figli di società rurali,<br />
delle loro ansie e tumultuose<br />
fantasie ma soprattutto è<br />
la convincente prova della<br />
capacità sensitiva e sensoriale<br />
dei fanciulli di captare le<br />
vibrazioni di un incessante<br />
eracliteo divenire. In ultimo,<br />
ma non meno importante, è<br />
il libro della speranza di ricomporre<br />
frammenti di mille<br />
memorie e far rivivere fratelli,<br />
sorelle, amici,piante,sassi,<br />
polvere che l’incessante cor-<br />
sa del tempo e del progresso<br />
spazza via impietosamente.<br />
Quella che segue è un’intervista<br />
rilasciatami da Giuseppe<br />
Bonaviri un mese prima<br />
della sua morte. E’ un’intervista<br />
su Il vicolo blu e,<br />
visto lo svolgersi degli eventi,<br />
un estremo saluto dello scrittore<br />
alla sua terra e alla sua<br />
infanzia, dal sapore quasi testamentario.<br />
D: Il Vicolo blu è più di altri<br />
il libro della sua infanzia, vissuta<br />
tra l’altopi<strong>ano</strong> di Camuti<br />
ed i vicoli di Mineo. Walter<br />
Pedullà scrive che lei è uno<br />
scrittore infantile e mai puerile<br />
perché sa che l’infanzia<br />
è soprattutto inf-ansia. Come<br />
si potrebbe definire l’infanzia<br />
dei ragazzini del vicolo blu?<br />
Che ansie hanno questi bambini<br />
del vicolo?<br />
R: E’ un’infanzia la quale abbraccia<br />
un po’ tutto il mondo<br />
in quanto questi bambini,<br />
senza volerlo, con i contatti<br />
che hanno con i genitori,<br />
con gli animali che ci sono<br />
nel cortile, col vento, con la<br />
primavera, hanno una visione<br />
globale che gli altri bambini<br />
non hanno.<br />
D: L’altopi<strong>ano</strong> di Camuti viene<br />
da lei decantato come un<br />
giardino dell’Eden dove l’uomo<br />
entra in intimo e profondo<br />
contatto con la natura. Mi<br />
sembra però che a tratti sia<br />
anche regno dell’Ade, con gli<br />
asfodeli dal profumo mortifero,<br />
i burroni con le ossa di<br />
animali morti. Da cosa nasce<br />
questa duplicità? E’ una duplicità<br />
che lei ritiene sia insita<br />
nella vita?<br />
R: Si è una duplicità che è<br />
anche insita nella vita ma<br />
mentre noi già arriviamo sul<br />
fronte della società, adulti,<br />
con delle visioni chiare in<br />
quel caso i bambini non hanno<br />
delle visioni chiare per cui<br />
accett<strong>ano</strong> il mondo nella loro<br />
complessità e lo vivono con<br />
un’altra ansia, un’altra angoscia,<br />
un’altra perspicacia che,<br />
comunemente, noi adulti non<br />
abbiamo più.<br />
D: Tra le culture che fanno<br />
da sfondo a questo mondo<br />
contadino, orfico, bucolico,<br />
troviamo la cultura normanna.<br />
Ne Il vicolo blu si nota<br />
come la gente del vicolo si<br />
nutra di storie e leggende<br />
sui paladini di Francia. Succedeva<br />
davvero, come nel<br />
romanzo, che le persone rielaborav<strong>ano</strong><br />
queste leggende<br />
per trasferirle nel loro mondo<br />
quotidi<strong>ano</strong>?<br />
R: Si, si succedeva in quanto i<br />
Paladini praticamente rappresentav<strong>ano</strong><br />
la grossa divisione<br />
che esiste nel mondo tra bene<br />
e male, fra quelli che vincono<br />
e quelli che perdono, per cui<br />
c’era indubbiamente.<br />
D: I bambini del romanzo si<br />
ripeto spesso una domanda,<br />
insistente, costante: dove va a<br />
finire la carne? E’ tutto destinato<br />
a svanire nel nulla? Qual<br />
è il suo pensiero in proposito?<br />
R: Nel nulla nulla completo<br />
no, perché resta sempre<br />
quella che è la memoria che<br />
trasmettiamo ai nostri figli,<br />
a quelli che vengono dopo<br />
di noi.<br />
D: I protagonisti del romanzo<br />
scoprono la vita e la morte<br />
anzitutto attraverso la natura.<br />
Riguardo la morte lei quanto<br />
la riesce ad accettare?<br />
R: Accettare la morte è un po’<br />
difficile perché praticamente<br />
indica lo stacco dalla vita,<br />
che ha una sua grossa elasticità,<br />
una sua grossa poliedricità<br />
e invece nella morte tutto<br />
si ossifica. Quindi non è tanto<br />
facile accettarla.<br />
D: Tutti i critici sono concordi<br />
nel ritenere la sua scrittura<br />
una scrittura di memorie, per<br />
scavare e recuperare dal’oblio<br />
chi non c’è più. La sua scrittura<br />
avrebbe dunque quasi un<br />
potere di resurrezione. Se lei<br />
combatte con l’oblio sente di<br />
star facendo una sorta di fatica<br />
di Sisifo oppure crede che<br />
l’oblio possa essere vinto?<br />
R: L’oblio totale non c’è mai<br />
perché sempre emerge qualcosa<br />
nei nostri rapporti nelle<br />
nostre memorie. Quindi<br />
l’oblio vero e proprio non<br />
c’è mai.<br />
D: L’altro aspetto con cui<br />
i bambini si relazion<strong>ano</strong> è<br />
l’amore e la sessualità. Ho<br />
colto un duplice aspetto nel<br />
concetto di amore: c’è Eros<br />
ma c’è anche Tanathos. Penso<br />
all’episodio delle due allodole<br />
che, prese dall’estasi del<br />
congiungimento, non riescono<br />
più a volare e si schiant<strong>ano</strong><br />
sui fichi d’india. Si può<br />
dire che c’è questo doppio<br />
volto di Eros e Tanathos, di attrazione<br />
e repulsione nei confronti<br />
della sessualità?<br />
R: Questa è una bella osservazione.<br />
E’ vero, è vero, esiste<br />
questo doppio volto.<br />
D: Nel romanzo ad un certo<br />
punto mentre lei, suo fratello<br />
e Pippuzzo Amarù vi recate a<br />
scuola un contadino vi lancia<br />
una sorta di monito ma che<br />
suona quasi come una maledizione:<br />
-Quando voi saprete leggere<br />
e scrivere, vi allontanerete<br />
da questo mondo, ne<br />
sarete lontanissimi e non ci<br />
capiremo più.-<br />
Quanto è vera secondo lei<br />
questa affermazione?<br />
R: E’ vera perché in parte io<br />
ho a che fare con un mondo<br />
contadino che ormai è<br />
scomparso,contadino nel<br />
senso totale della parola. E’<br />
30 31
sottinteso che oggi un contadino<br />
così non c’è più per cui<br />
praticamente questo che mi<br />
ha detto non si può mettere in<br />
tavola come si poteva mettere<br />
cinquanta, sessant’anni fa.<br />
D: Mi è sembrato di capire<br />
che gli esseri che più riescono<br />
ad entrare in questo senso<br />
delicatamente cosmico,<br />
si<strong>ano</strong> soprattutto i bambini.<br />
Pare proprio che coloro che<br />
sanno vedere più in profondità<br />
l’aspetto della realtà si<strong>ano</strong><br />
proprio loro. In questo si<br />
può rintracciare un richiamo<br />
all’idea del fanciullino che ha<br />
il Pascoli?<br />
R: In un certo qual modo si,<br />
perché in noi c’è sempre un<br />
fanciullino dentro che parla,<br />
che ci anima, che ci spinge<br />
ad osservare, a guardare per<br />
cui in un certo qual modo un<br />
rapporto con il fanciullino del<br />
Pascoli c’è.<br />
D: In un passaggio de Il vicolo<br />
blu lei scrive, le cito testualmente:<br />
…noi più grandi, scrivevamo,<br />
con quel linguaggio arc<strong>ano</strong><br />
per tutti, contro il biondeggiare<br />
delle messi fra cui noi<br />
bambini dovevamo lavorare,<br />
contro l’acqua che scarseggiava<br />
nel paese, contro il padre<br />
e la madre che ci avev<strong>ano</strong><br />
creati e vivev<strong>ano</strong> beati di noi,<br />
contro tutti gli spiriti malefici…che<br />
sentivamo che ci<br />
rincorrev<strong>ano</strong> da ogni parte…<br />
contro la Madonna che proteggeva,<br />
ben tenendolo stretto,<br />
soltanto il suo bambino,<br />
contro le stelle che volevamo<br />
spazzare dal cielo, contro<br />
chi ci aveva fatti precipitare<br />
sulla terra.<br />
Mi sembra che questo passaggio<br />
sveli la sua natura pessimista<br />
e sembri riecheggiare<br />
Leopardi, il concetto di Natura<br />
che non si cura dei propri<br />
figli. Ne Il dormiveglia scrive<br />
che forse la vita potrebbe es-<br />
sere nata per caso, uscita per<br />
un qualche errore dalla tela<br />
nera della morte. Si può dire<br />
che in questi passaggi ci sia<br />
una eco leopardi<strong>ano</strong>?<br />
R: Se lei l’ha trovata questa<br />
eco leopardiana esiste certamente,<br />
certo non è più l’eco<br />
leopardiana del 1820 – 1830<br />
perché sono cambiate tante<br />
cose, anche in noi sono<br />
cambiate; quindi è una eco<br />
la quale non è più come una<br />
eco del passato, è una eco un<br />
po’ diversa.<br />
D: Io ho notato questa eco leopardiana<br />
ma c’è anche una<br />
grande differenza con Leopardi.<br />
Quello di Leopardi è<br />
un pessimismo cosmico mentre<br />
in lei resta sempre uno spiraglio<br />
che è anche la luce di<br />
cui parla alla fine de Il Vicolo<br />
blu e che sente solo lei e suo<br />
fratello. Cosa vuole dirmi di<br />
questa luce?<br />
R: E’ una luce che nasce sempre<br />
dall’infanzia, un’infanzia vissuta<br />
in mezzo alla natura lont<strong>ano</strong><br />
da una società in un certo qual<br />
modo tecnologizzata e in parte<br />
anche politicamente corrotta.<br />
Quindi è un’infanzia che ci<br />
riporta indubbiamente a quello<br />
che è il senso cosmico del<br />
Pascoli del fanciullino.<br />
D: Alcuni personaggi del romanzo<br />
arriv<strong>ano</strong> a pensare<br />
che sia meglio essere alberi e<br />
vivere immobili sempre nello<br />
stesso punto piuttosto che<br />
scontarsi col molteplice divenire<br />
della vita. In questa prospettiva<br />
il moto è sinonimo di<br />
ansia e l’immobilità di quiete<br />
ma anche di morte. Perché il<br />
movimento e il cambiamento<br />
gener<strong>ano</strong> ansia?<br />
R: Il cambiamento significa<br />
che noi siamo costretti a<br />
sottostare a dei mutamenti<br />
familiari, sociali e di ordine<br />
addirittura biologico. E quindi<br />
corrisponde ad un’inquietudine<br />
di fondo.<br />
D: Riguardo all’aspetto religioso<br />
nel romanzo compaiono<br />
due crocifissi: uno è deformato<br />
dalla luce del lume<br />
Max nella piazza del paese<br />
ed appare mostruoso, l’altro<br />
se ne sta appeso in un catoio<br />
ed emana strane luminescenze,<br />
è coperto di polvere. Io ho<br />
letto questo fatto come la dimostrazione<br />
che questa gente<br />
vive una vita difficile, che<br />
spesso non hanno neanche<br />
un Cristo che li consoli, che<br />
forse più che Dio o comunque<br />
oltre Dio ci sono tante<br />
migliaia di deità, nei tronchi<br />
d’albero, nell’acqua di fonte.<br />
Lei cosa ne pensa?<br />
R: La visione politeista si può<br />
dire che sia più moderna di<br />
quella monoteista. La monoteista<br />
finisce in un solo Dio<br />
che racchiude tutto in sé stesso<br />
e la politeista che invece<br />
ha tante possibilità di trovare<br />
gli dei negli alberi, nell’acqua,<br />
nei monti e nel sorgere e<br />
cadere del sole.<br />
D: Quando nel libro muore<br />
il giovane Neli, al dolore per<br />
quella perdita si unisce anche<br />
la natura. Piove, le galline<br />
emettono suoni striduli, e cito<br />
testualmente dal testo: Gli assioli<br />
non cantarono più, le civette<br />
restarono immobili sulle<br />
querce, le volpi negli arboreti.<br />
Leggo in questo quel senso<br />
delicatamente cosmico di cui<br />
parlava Vittorini, il fatto che<br />
ogni creatura sia immersa nel<br />
cosmo e partecipi a questo<br />
moto di creazione e trasformazione<br />
che vi avviene. Lei<br />
cosa ne pensa?<br />
R: Indubbiamente perché la<br />
natura porta in sé quello che è<br />
l’ansito e l’aspetto quasi biologico<br />
del passare del tempo<br />
e del mutare e il mutamento<br />
di per sé indica anche in un<br />
certo qual modo l’inquietudine<br />
che ci investe quando c’è<br />
un mutamento.<br />
La potenza<br />
dei figli:<br />
Epopea ultrà<br />
di Giuseppe<br />
Manfridi<br />
Fabio Pierangeli<br />
La frase in esergo di Epopea ultrà di Giuseppe Manfridi (nato a Roma<br />
nel 1958, affermato drammaturgo sulla scena internazionale e romanziere<br />
alla sua terza prova), edito da Limina 2009, non lascia dubbi: si<br />
tratta di un romanzo sul rapporto, tra padri e figli: “Achille, figlio di Peleo”,<br />
Iliade I,1 “Il prode figlio di Anchise, / Enea”, Iliade II,820Ad Omero si sovrappone<br />
l’Enea con in braccio Anchise e tra i piedi il piccolo Ascanio, nel<br />
gruppo del Bernini della Galleria Borghese di Roma, con la coscienza della<br />
fuga dalla patria in fiamme, nella difficile necessità della ricostruzione. La<br />
città distrutta resta alle spalle, da quell’incendio si dipana la possibilità di<br />
raccontare, portando via quello che si è salvato, anzi che si è voluto salvare,<br />
custodire, facendone memoria. Si tratta insomma di ricostruire città,<br />
distrutte, rappresentate nel romanzo di Manfridi dal rito tribale del calcio.<br />
Dal tempio stadio, dove si avvi<strong>ano</strong>, come nel pregevole disegno di copertina<br />
dell’autore stesso, un padre e un figlio. M<strong>ano</strong> nella m<strong>ano</strong>, moltitudine<br />
di m<strong>ano</strong> che cerc<strong>ano</strong> altre mani. In quel gesto passa la vita, il sangue, la<br />
ferita e il desiderio. In quel piazzale di fronte allo stadio, piccole bande<br />
di ragazzi violentate dal malessere (anche di non aver avuto quella m<strong>ano</strong>,<br />
riempita presto di sassi, se non di pistole) si intrufol<strong>ano</strong> pronte a scatenare<br />
la battaglia, armate da grandi interessi economici. La potenza dei figli,<br />
in memoria, attiva, trascinante, dei padri, sarà capace di illuminare, ribaltandolo<br />
in una forza positiva, quasi che nel deserto si vedesse ricrescere e<br />
abbeverarsi un filo d’erba, dentro un solido muro. Storie parallele, quelle<br />
di Angelo il poliziotto e di Vinz, l’ex capo tifoso, dalla metà degli Ottanta a<br />
vent’anni dopo, grazie ai figli si illumin<strong>ano</strong> di una luce resistente, condensata<br />
in un messaggio altissimo, pronunciato, per tornare alle origini dello<br />
sport e della civiltà, ispirandosi di nuovo al pensiero greco, nel gorgo della<br />
degenerazione dello sport più popolare, il calcio, corroso dalle logiche<br />
incalzanti delle televisioni e del mercato sempre più nevrotico e barbaro.<br />
La trama è avvincente e densa, animata dalle vicende parallele, incontratesi<br />
fatalmente in un solo attimo, di Angelo e Vinz, al prendere forma di protagonisti<br />
nel grande teatro della vita e dello sport delle figure femminili, Carmela<br />
(moglie di Angelo) sullo sfondo, la fragile e temeraria Claudia, moglie<br />
di Vinz, e infine i figli, decisivi nel loro cercarsi, per diventare, da orfani,<br />
promotori di un inaspettato cambiamento, dentro un mondo così corrotto da<br />
rendere assai poco credibile il germe della speranza.<br />
32 33
Francesco<br />
Alberoni<br />
L’età cambia amore<br />
e sesso. A 50 anni<br />
emozioni più vere<br />
Sta avvenendo un profondo<br />
cambia mento del rapporto<br />
fra sesso e amo re nelle di-<br />
verse età della vita. Nel passa to le<br />
ragazze avev<strong>ano</strong> i primi rappor-<br />
ti sessuali verso i diciott’anni con<br />
l’inna morato, mentre i maschi fa-<br />
cev<strong>ano</strong> le lo ro prime esperienze<br />
con le prostitute. Nelle ragazze<br />
il sesso era legato all’amo re, nei<br />
maschi separato. Oggi le ragaz-<br />
ze hanno le prime esperienze a<br />
tredici, quattordici anni con i coetanei.<br />
Amore e sesso perciò si<br />
sono avvicinati, ma que sti amori<br />
adolescenziali, anche se emoti-<br />
vamente molto intensi, sono fra-<br />
gili, di corta durata.<br />
Fra i venti ed i trent’anni ma-<br />
schi e femmine sono impegnati<br />
nello studio, nella carriera, cambi<strong>ano</strong><br />
città e lavoro, viaggi<strong>ano</strong>,<br />
desider<strong>ano</strong> divertirsi. Hanno <strong>numero</strong>se<br />
esperienze amorose ma<br />
è diffi cile che vi si abbandoni-<br />
no totalmente, che ne facci<strong>ano</strong><br />
la loro principale ragio ne di vita.<br />
Molti rinvi<strong>ano</strong> il matrimonio e il<br />
momento di avere figli. Spesso le<br />
donne sogn<strong>ano</strong> un uomo ideale e<br />
che le ami in modo appassionato<br />
e che sia loro fedele. Ma fanno<br />
fatica a trovarlo per ché anche gli<br />
uomini sono gelosi e loro hanno<br />
cambiato spesso partner. Quasi<br />
tutte poi si spos<strong>ano</strong>, o convivono<br />
ed han no figli, ma le coppie sono<br />
spesso fragi li.<br />
Proprio questa fragilità e l’au-<br />
mento del <strong>numero</strong> dei single fanno<br />
sì che molte donne, quando hanno<br />
figli grandi, tor n<strong>ano</strong> a cercare<br />
l’amore. E possono farlo perché<br />
grazie alle diete, alla ginnastica,<br />
alle cure ormoniche, alla chirurgia<br />
este tica rest<strong>ano</strong> biologicamen-<br />
te giovani e belle. Alcune, imitan-<br />
do i maschi ricchi e le dive del<br />
cinema, cerc<strong>ano</strong> un uomo mol to<br />
più giovane ma spesso finiscono<br />
delu se, gelose ed ansiose. Ma per-<br />
ché lo fan no? Che cosa attrae in<br />
una persona gio vane? Un corpo<br />
più muscoloso o un seno più eret-<br />
to? No, ciò che attrae è una men te<br />
fresca, libera, curiosa, aperta, sen-<br />
za tabù, senza inibizioni, piena di<br />
slancio vitale, che vuole divertirsi,<br />
vuole godere del nuovo. Ma queste<br />
caratteristiche esi stono anche<br />
in persone che hanno più o meno<br />
la stessa età e sono affascinanti. È<br />
con loro che, liberi dai problemi<br />
dei fi gli e della carriera, e usando<br />
saggiamen te l’esperienza, posso-<br />
no realizzare una intimità ed un<br />
piacere erotico di cui non er<strong>ano</strong><br />
capaci da giovani.<br />
Sono sicuro che molti si<br />
meraviglie ranno di quanto dico.<br />
Ma solo perché vi sono troppi pre-<br />
giudizi, troppi tabù e troppo poche<br />
ricerche sull’amore delle donne fra<br />
i quaranta e i sessant’anni. Mentre<br />
è diffuso e destinato a crescere col<br />
prolungarsi della durata della vita.<br />
CruCiverba<br />
Unavvocato conclude la sua appassionata<br />
arringa con queste parole:<br />
— Ricordatevi, signori giurati, che essendo<br />
il mio cliente totalmente sordo, non ha<br />
potuto sentire la voce della conscienza!<br />
34 35<br />
SOLuZiONi<br />
CruCiverba