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ano VII - numero 67 INSERTO DELLA RIVISTA ... - Comunità Italiana

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Suplemento da Revista <strong>Comunità</strong> <strong>Italiana</strong>. Não pode ser vendido separadamente.<br />

Inserto della rIvIsta ComunItàItalIana - realIzzato In CollaborazIone Con I dIpartImentI dI ItalI<strong>ano</strong> delle unIversItà pubblIChe brasIlIane<br />

Scrittori<br />

d’Abruzzo<br />

<strong>ano</strong> <strong>VII</strong> - <strong>numero</strong> <strong>67</strong>


luglio / 2009<br />

Editora <strong>Comunità</strong><br />

Rio de Janeiro - Brasil<br />

www.comunitaitaliana.com<br />

mosaico@comunitaitaliana.com.br<br />

Direttore responsabile<br />

Pietro Petraglia<br />

Editore<br />

Fabio Pierangeli<br />

Grafico<br />

Alberto Carvalho<br />

Segretaria di Redazione<br />

Luana D’Angelo<br />

ComItato sCIentIfICo<br />

Alexandre Montaury (PUC-Rio); Alvaro<br />

Santos Simões Junior (UNESP); Andrea<br />

Gareffi (Univ. di Roma “Tor Vergata”);<br />

Andrea Santurb<strong>ano</strong> (UFSC); Andréia Guerini<br />

(UFSC); Anna Palma (UFSC); Cecilia Casini<br />

(USP); Cristiana Lardo (Univ. di Roma<br />

“Tor Vergata”); Daniele Fioretti (Univ.<br />

Wisconsin-Madison); Elisabetta Santoro<br />

(USP); Ernesto Livorni (Univ. Wisconsin-<br />

Madison); Fabio Pierangeli (Univ. di Roma<br />

“Tor Vergata”); Giorgio De Marchis (Univ.<br />

di Roma III); Lucia Wataghin (USP); Luiz<br />

Roberto Velloso Cairo (UNESP); Maria<br />

Eunice Moreira (PUC-RS); Mauricio Santana<br />

Dias (USP); Maurizio Babini (UNESP);<br />

Patricia Peterle (UFSC); Paolo Torresan<br />

(Univ. Ca’ Foscari); Rafael Zamperetti<br />

Copetti (UFSC); Roberto Francavilla (Univ.<br />

de Siena); Roberto Mulinacci (Univ. di<br />

Bologna); Sandra Bagno (Univ. di Padova);<br />

Sergio Romanelli (UFSC); Silvia La Regina<br />

(Univ. “G. d’Annunzio”); Wander Melo<br />

Miranda (UFMG).<br />

ComItato edItorIale<br />

Affonso Rom<strong>ano</strong> de Sant’Anna; Alberto<br />

Asor Rosa; Beatriz Resende; Dacia<br />

Maraini; Elsa Savino; Everardo Norões;<br />

Flori<strong>ano</strong> Martins; Francesco Alberoni;<br />

Giacomo Marramao; Giovanni Meo Zilio;<br />

Giulia Lanciani; Leda Papaleo Ruffo;<br />

Maria Helena Kühner; Marina Colasanti;<br />

Pietro Petraglia; Rubens Piov<strong>ano</strong>; Sergio<br />

Michele; Victor Mateus<br />

esemplarI anterIorI<br />

Redazione e Amministrazione<br />

Rua Marquês de Caxias, 31<br />

Centro - Niterói - RJ - 24030-050<br />

Tel/Fax: (55+21) 2722-0181 / 2719-1468<br />

Mosaico itali<strong>ano</strong> è aperto ai contributi<br />

e alle ricerche di studiosi ed esperti<br />

brasiliani, italiani e stranieri. I<br />

collaboratori esprimono, nella massima<br />

libertà, personali opinioni che non<br />

riflettono necessariamente il pensiero<br />

della direzione.<br />

sI rInGrazI<strong>ano</strong><br />

“Tutte le istituzioni e i collaboratori<br />

che hanno contribuito in qualche modo<br />

all’elaborazione del presente <strong>numero</strong>”<br />

stampatore<br />

Editora <strong>Comunità</strong> Ltda.<br />

ISSN 1<strong>67</strong>6-3220<br />

Scrittori d’Abruzzo.<br />

Per non dimenticare.<br />

Per una ontologia del rifiuto. Rifiuto, inteso come immondizia<br />

da cui liberarci. Rifiutato come colui che viene<br />

rinnegato o emarginato dalla società. E il rifiutarsi: gesto<br />

di ribellione e disobbedienza a regole ingiuste, imposte dalle<br />

leggi globalizzate del consumismo. Trova il coraggio di questa<br />

denuncia, Guido Zingari, in uno tra i più belli tra i suoi <strong>numero</strong>si<br />

libri, Ontologia del rifiuto. Pasolini e i rifiuti dell’umanità in<br />

una società impura, Le nubi edizioni, Roma, 2006.<br />

Filosofo tra i più noti soprattutto nell’ambito degli studi<br />

del pensiero tedesco, esperto di Heidegger, capace di nitide<br />

incursione nella letteratura, oltre Pasolini anche, ad esempio,<br />

Giord<strong>ano</strong> Bruno, apprezzato docente universitario, dalla<br />

Sapienza a Tor Vergata, con una schiera di valenti allievi devoti,<br />

Guido Zingari, per un fatale destino, luminoso e tragico (se<br />

si pensa anche alla lunga malattia che aveva affrontato con<br />

estremo coraggio, perfino gioia) è rimasto vittima del terremoto<br />

d’Abruzzo del 6 aprile. Ricordiamo una sua espressione,<br />

mirabile, da un altro recente libro, del 2005, sempre per il<br />

medesimo editore, Il dono e l’Occidente. Conversazione su un<br />

gesto impiegabile: «Il dono è ciò che è sempre imprevedibile<br />

verso l’altro ed estraneo alla logica dello scambio interessato».<br />

Con il conforto amichevole di tanti colleghi, in particolare<br />

della Università Tor Vergata di Roma, nella quale insegnava<br />

Guido Zingari, nella persona del preside Rino Caputo e<br />

dell’allievo prediletto prof. Marco Caponera, di Patricia Peterle,<br />

di Andrea Santurb<strong>ano</strong> e di tutta la redazione e il Comitato<br />

scientifico di Mosaico, dedichiamo questo <strong>numero</strong> a tutte le<br />

vittime del terremoto del 6 aprile,(riflessi simbolicamente nel<br />

volto, nello sguardo, nel pensiero poetante e socialmente<br />

impegnato di Guido); a chi piange familiari ed amici ed è<br />

rimasto senza casa. Lo facciamo rammentando la grande<br />

tradizione letteraria, fin dal fulgido medioevo, dell’Abruzzo,<br />

negli scrittori del Novecento: D’Annunzio, Silone, Flai<strong>ano</strong>,<br />

Pomilio, Gennaro Manna, in altri poeti, e in uno dei suoi più<br />

insigni studiosi, Vittori<strong>ano</strong> Esposito, punto di riferimento per<br />

una cultura contrassegnata dal sapore della grazia e della<br />

nobiltà umana e culturale. Se il dono è estraneo alla logica<br />

dello scambio e del profitto, auspichiamo che, sia pur nelle<br />

oggettive difficoltà, la politica italiana imbocchi di nuovo, come<br />

era sembrato nei primi giorni del disastro, nell’impegno della<br />

ricostruzione, la strada della solidarietà e della dignità, indicata<br />

autorevolmente da Guido Zingari, tralasciando litigi, logiche<br />

affaristiche, vili campanilismi, compromessi con la malavita.<br />

2 3<br />

Saggi<br />

Giulia Bigelli<br />

L’ontologia del rifiuto tra filosofia e poesia: Guido Zingari e Pier Paolo Pasolini pag. 04<br />

A cura di Mosaico<br />

Scrittori d’Abruzzo. Spunti per una ricerca pag. 07<br />

Roberto Mosena<br />

D’Annunzio precursore del pulp e le Novelle delle Pescara. pag. 09<br />

Andrea Santurb<strong>ano</strong><br />

Un’avventura teatrale di Ignazio Silone pag. 11<br />

Carlotta Dell’Arte<br />

Il più abruzzese dei Santi pag. 14<br />

Daniele Fioretti<br />

Tempo di uccidere: l’anti-epopea coloniale<br />

di Ennio Flai<strong>ano</strong> dal “taccuino” al romanzo pag. 16<br />

Giuseppe Mammetti<br />

Flai<strong>ano</strong> e le sue origini. L’Abruzzo visto dai suoi scritti pag. 21<br />

Patricia Peterle e Andrea Santurb<strong>ano</strong><br />

Ritratto di uno studioso: Vittori<strong>ano</strong> Esposito pag. 24<br />

Aldo Onorati<br />

Gennaro Manna e la terra d’Abruzzo pag. 27<br />

Intervista<br />

Pulcinelli Camilla<br />

L’ultimo Bonaviri pag. 29<br />

Fabio Pierangeli<br />

La potenza dei figli: Epopea ultrà di Giuseppe Manfridi pag. 33<br />

Rubrica<br />

Francesco Alberoni<br />

L’età cambia amore e sesso. A 50 anni emozioni più vere pag. 34<br />

Passatempo pag. 35


L’ontologia del rifiuto<br />

tra filosofia e poesia:<br />

Guido Zingari e<br />

Pier Paolo Pasolini<br />

Giulia Bigelli<br />

Filosofo itali<strong>ano</strong> tra i più noti in Europa, soprattutto nell’ambito degli studi del pensiero tedesco,<br />

esperto di Heidegger, capace di incursione nella letteratura, oltre Pasolini anche ad esempio,<br />

Giord<strong>ano</strong> Bruno, e nelle arti “sorelle”, apprezzato docente universitario, dalla Sapienza a Tor<br />

Vergata di Roma, con una schiera di valenti allievi devoti, Guido Zingari, per un fatale destino,<br />

luminoso e tragico (se si pensa anche alla lunga malattia che aveva affrontato con estremo<br />

coraggio, perfino gioia) è rimasto vittima del terremoto d’Abruzzo del 6 aprile. Pubblichiamo lo<br />

scritto di una sua allieva, da poco laureata all’Università Tor Vergata di Roma.<br />

Il rifiuto rappresenta un punto prospettico differente di osservazione della realtà.<br />

Guido ZinGari<br />

Ma nei rifiuti del mondo nasce un nuovo mondo; nascono leggi nuove dove non<br />

c’è più legge; nasce un nuovo onore dove onore è il disonore… Nascono potenze e<br />

nobiltà, feroci, nei mucchi di tuguri, nei luoghi sconfinati dove credi che la città finisca,<br />

e dove invece ricomincia, nemica, ricomincia…<br />

Ironico, pungente. Poetico,<br />

filosofico. Una scrittura<br />

veloce, d’impatto, impulsiva<br />

ma estremamente razionale.<br />

Niente parole a metà,<br />

niente significati nascosti<br />

tra le righe: la schiettezza e<br />

l’originalità di Guido Zingari<br />

sono l’autentica forza e la<br />

bellezza del suo scrivere e<br />

del suo pensiero. La dimensione<br />

filosofica si intreccia<br />

con quella poetica, permettendo<br />

al filosofo di instaurare<br />

un vero dialogo tanto con<br />

gli autori appartenenti alla<br />

tradizione, quanto, e soprattutto,<br />

con Pier Paolo Pasolini,<br />

che Zingari identifica quale<br />

esempio supremo di rifiuto in<br />

una società impura.<br />

La dimensione sociale resta<br />

preoccupazione centrale nella<br />

speculazione di Zingari , sotto<br />

forma di una critica prepotentemente<br />

laddove il filosofo individua<br />

le cause del deprecabile<br />

processo di “produzione”<br />

di una schiera di individui considerati<br />

rifiuti. Ovvero gli scarti<br />

che la società produce; coloro<br />

che non rientr<strong>ano</strong> in quegli<br />

schemi che la convenzione, il<br />

buon costume, la consuetudine<br />

detta e adotta come leggi:<br />

i rifiuti sono coloro che non<br />

sono degni di essere definiti<br />

normali… come se qualcuno<br />

Pier Paolo Pasolini<br />

possa dirci, una volta per tutte,<br />

cosa sia la normalità. I rifiuti<br />

sono tutte quelle cose che vanno<br />

sterminate per poter giungere<br />

ad una pseudo purezza<br />

assoluta: la vita sociale sembra<br />

impegnarsi all’allontanamento<br />

di queste categorie di rifiuti per<br />

la sua realizzazione autentica,<br />

per arrivare a non essere contaminata<br />

dal diverso. L’analisi<br />

di Zingari parte dalla critica<br />

della dimensione sociale, e ad<br />

essa torna: l’ontologia del rifiuto<br />

mira a mettere in luce la<br />

questione dell’essere più proprio<br />

del rifiuto nella sua immanenza<br />

e nelle sue pratiche quotidiane<br />

1 . Nel medesimo attimo<br />

1 G. Zingari, L’Ontologia del rifiuto. Pasolini e i rifiuti dell’umanità in una società impura, Le Nubi Edizioni, Roma 2006, pag. IX.<br />

in cui si comprende cosa il rifiuto<br />

sia, è impossibile restare<br />

immobili, inermi, è impossibile<br />

non interrogarsi: la filosofia<br />

incontra la vita, la quotidianità,<br />

il metafisico e il concreto<br />

cre<strong>ano</strong> la scintilla per l’azione,<br />

una re-azione a schemi predefiniti,<br />

rigidi, a norme non rese<br />

proprie, ma imposte. Queste<br />

stesse regole fanno di un individuo<br />

un reietto, un inetto.<br />

Le leggi, più che umanizzare<br />

l’individuo, lo rendono cosa.<br />

«Reificazione dell’uomo, questo<br />

il primo passo verso la creazione<br />

del rifiutato».<br />

Indispensabile marcare<br />

quella che, in un primo momento,<br />

si distingue come la<br />

linea di differenza tra rifiuto<br />

e rifiutato. Agire e patire 2<br />

possiamo definirle peculiari<br />

categorie che caratterizz<strong>ano</strong><br />

i concetti analizzati. Se da un<br />

lato Zingari definisce il rifiuto<br />

come una scelta cosciente<br />

di essere altro dalla società<br />

impura e dai loro membri,<br />

dall’altro il rifiutato è colui<br />

che si trova a subire la scelta<br />

che la società attua nei suoi<br />

confronti, una deliberazione<br />

che lo vede costretto a vivere<br />

ai margini della società civile.<br />

Paradossalmente, rifiuto<br />

e rifiutato sono le due facce<br />

della stessa medaglia. La<br />

società impura, ossia quella<br />

società che Zingari definisce<br />

come ripiegata su se stessa,<br />

in una chiusura completa, è<br />

la creatrice di quelle dinamiche<br />

a cui, a seguito di una<br />

riflessione e di una impossibilità<br />

di con-vivenza, ci si<br />

ribella, decidendo di vivere<br />

non rientrando in c<strong>ano</strong>ni predefiniti,<br />

la scelta del rifiuto<br />

è ciò che porta a subire poi<br />

un’esistenza non autentica. Il<br />

riconoscimento viene meno,<br />

l’incontro con l’Altro non si<br />

avvera: colui che rifiuta è colui<br />

che è rifiutato, colui la cui<br />

esistenza è considerata come<br />

un non – essere.<br />

Questo il caso di Pier Paolo<br />

Pasolini, l’omosessuale<br />

da ghettizzare, il poeta maledetto,<br />

il pensatore scomodo<br />

che visse drammaticamente<br />

su di sé il conflitto ontologico<br />

tra desiderio disperato e rifiuto<br />

3 . La sua facoltà di giudizio<br />

lo porta a ricercare valori ed<br />

ideali nell’Oriente, luogo in<br />

cui, nonostante le sofferenze<br />

e la povertà, er<strong>ano</strong> rimasti intatti<br />

gioia, dignità e autentico<br />

significato della vita. Tutto ciò<br />

in Occidente e nelle società<br />

borghesi era, ed è, scomparso<br />

e pertanto Pasolini vaga altrove,<br />

si immerge nelle borgate<br />

della periferia romana, lont<strong>ano</strong><br />

dalle ricchezze e dai frivoli<br />

valori borghesi, critica la<br />

società esaltando la parte più<br />

vitale e corporea dell’individuo,<br />

denuncia le ingiustizie,<br />

descrive la sua situazione che<br />

è la stessa degli altri rifiutati.<br />

E il potere lo condanna: condanna<br />

i suoi comportamenti,<br />

le sue idee. L’invisibile pasolini<strong>ano</strong>,<br />

punito, porta alla<br />

conversione del suo essere,<br />

visibile e non. Dimensione<br />

ontologica, metafisica, che<br />

graffia l’agire quotidi<strong>ano</strong> nella<br />

costrizione di una vita ai<br />

margini dell’um<strong>ano</strong>. Scompare<br />

il riconoscimento, quella<br />

scintilla nascente dallo sguardo<br />

che caratterizza la vita di<br />

ogni soggetto che voglia dirsi<br />

tale. Non ha senso la fertile<br />

reciprocità che prende vita<br />

dall’incontro e confronto con<br />

l’Altro, perché il rifiutato dalla<br />

società è ciò che contamina<br />

la purezza di una collettività<br />

che si reputa superiore, è<br />

un’esistenza che non possiede<br />

più il suo essere. La sua essenza<br />

diventa il suo Non – essere.<br />

«Per il rifiutato non esiste<br />

più alcuna voce, alcun rumore<br />

ed alcun segno e respiro<br />

di vita e di riconoscimento: è<br />

costretto a vivere ai margini<br />

della società come un bandito<br />

e un ricercato. Inutile è la<br />

speranza di un cenno al suo<br />

esistere e al suo non essere. Il<br />

non essere è il rifiuto messo<br />

in atto da parte dell’altro. È il<br />

sovr<strong>ano</strong> gesto di negazione<br />

e di reiezione». 4 . Pasolini diventa<br />

lo scarto della società,<br />

il rifiuto e il rifiutato. Nella<br />

riflessione di Zingari, imprevedibile<br />

fino all’ultima pagina,<br />

un ulteriore tassello viene<br />

inserito nel tentativo di dare<br />

una definizione ai concetti<br />

presi in esame. I rifiutati dalla<br />

società, e i suoi rifiuti, non<br />

sono solo coloro che per primi<br />

mettono in atto dinamiche<br />

di rifiuto sociali ed individuali,<br />

come nel caso di Pasolini.<br />

Rifiuti sono anche tutte quelle<br />

persone che muoiono per<br />

una guerra d’interesse. Rifiuti<br />

sono gli internati di Auschwitz<br />

e Birkenau, rifiuti sono i bambini<br />

che raccolgono le mine<br />

antiuomo pensando che si<strong>ano</strong><br />

giocattoli, rifiutati sono<br />

le famiglie africane distrutte<br />

dalla malattia e dalla povertà.<br />

L’Africa è il sogno infranto e il<br />

deserto dei nostri rifiuti 5 , scrive<br />

Zingari. Rifiutati sono i differenti<br />

resi ormai indifferenti.<br />

2 Il termine patire è qui da intendersi in base alla sua origine etimologica. Dal latino patior, è inteso come il farsi<br />

carico di una sofferenza, personale o derivante dall’esterno.<br />

3 G. Zingari, L’Ontologia del rifiuto. Pasolini e i rifiuti dell’umanità in una società impura, Le Nubi Edizioni, Roma<br />

2006,pag. 42.<br />

4 Ivi, pag. 7.<br />

5 Ivi, pag. 15.<br />

4 5


Rifiuti, e rifiutati, sono coloro<br />

che da un angolo buio e sporco<br />

osserv<strong>ano</strong> una società che<br />

non è più considerata come<br />

facente parte del loro essere<br />

uomini. Non appartenenza.<br />

I rifiutati non sono degni di<br />

appartenere; abbandonati e<br />

dimenticati, volgono lo sguardo<br />

al loro guardi<strong>ano</strong>, il quale<br />

controlla e impone loro di rimanere<br />

lontani, distanti dagli<br />

affari pubblici, civili e culturali.<br />

Pasolini è uno di loro:<br />

descrive quella società che lo<br />

ha escluso e allo stesso tempo<br />

rappresenta la voce di tutte le<br />

persone rifiutate come lui.<br />

La concettualizzazione<br />

elaborata da Zingari, soprattutto<br />

nella parte finale del testo,<br />

assegna un ruolo fondamentale<br />

a quelle che vengono<br />

definite le pratiche del rifiuto.<br />

La definizione di un’ontologia<br />

del rifiuto presuppone l’intersezione<br />

tanto della sfera teoretica,<br />

quanto di quella pratica.<br />

L’essenza del rifiuto e del rifiutato,<br />

il loro Non – essere, sorge<br />

dallo scontro tra teoria e prassi<br />

e solo attraverso ciò, solo attraverso<br />

una fenomenologia del<br />

rifiuto, l’ontologia può essere<br />

definita. È un processo circolare<br />

quello del legame, possibile<br />

o inevitabile, tra società e<br />

rifiuto. E Pasolini ne incarna la<br />

dinamica. Ironico e pungente.<br />

Poetico e, in alcuni aspetti, filosofico.<br />

Una poesia schietta,<br />

a volte cruda, ma estremamente<br />

appassionante, coinvolgente.<br />

Una poesia scomoda,<br />

che narra le ingiustizie, gli<br />

scempi, le atrocità, le azioni<br />

disumane di una società che<br />

di sociale e civile conserva e<br />

tutela ben poco. Inevitabile<br />

collisione. Pasolini si rifiuta di<br />

vivere in una prospettiva tale,<br />

la società lo rifiuta.<br />

6 Ivi, pag. 75.<br />

7 Ivi, pag. 122.<br />

E’ nel momento in cui la<br />

dialettica circolare sembra arrestarsi,<br />

che Zingari vede una<br />

nuova partenza. Il rifiuto diventa<br />

una chiave di lettura «e<br />

verosimilmente un principio<br />

costitutivo, una sorta di metodo<br />

normativo, una macchina<br />

– sistema, un’inquadratura<br />

concettuale ed infine una spia<br />

della realtà stessa delle cose» 6 .<br />

Pasolini, con la sua poesia,<br />

mette in atto tutto questo. Descrive,<br />

sconvolgendo. Quando<br />

la filosofia del rifiuto è definita<br />

come ciò che crea caos<br />

nei territori del pensiero, è qui<br />

che dalle parole dell’autore<br />

trasuda l’ottimismo e la non<br />

resa: lo stupore, lo scompiglio<br />

e il disordine della vita della<br />

mente, port<strong>ano</strong> alla creazione<br />

del nuovo, alla nascita di nuovi<br />

concetti, nuove categorie<br />

a cui fare riferimento. Questo<br />

è l’intento di un’ontologia<br />

del rifiuto: l’abbattimento del<br />

pre-fissato, pre-definito, delle<br />

norme e dei valori dati come<br />

definitivi e validi da sempre<br />

e per sempre, per tutti e per<br />

ogni contesto. È l’esaltazione<br />

delle differenze, dello sguardo<br />

critico e attento sulla realtà,<br />

dello schierarsi in prima persona<br />

per contribuire alla tutela<br />

di quelle persone che non<br />

rientr<strong>ano</strong> in ciò che la società,<br />

dall’alto della sua presunzione,<br />

definisce come normali.<br />

In senso positivo, il rifiuto è il<br />

rifiuto di queste mistificazioni<br />

e falsità inaccettabili costruite<br />

ad arte, lasciando alla vita,<br />

alla gioia e alla verità, i loro<br />

resti e le loro ragioni. «La condizione<br />

ontologica del rifiuto<br />

attraversa, evidentemente,<br />

l’intera esistenza e ne è parte<br />

fondamentale. Decidere e<br />

scegliere, nella gioia e nella<br />

crudeltà, è necessario. È necessario<br />

compire il salto e lo<br />

scarto, di fronte all’ostacolo<br />

improvviso, invasi dalla forza,<br />

dall’ostentazione e da un segreto<br />

timore» 7 .<br />

Una filosofia del rifiuto<br />

così definita, diviene la spinta<br />

alla vita autentica. Il valore<br />

positivo del rifiuto presuppone<br />

la disobbedienza, una<br />

ribellione sana e fertile che<br />

regala all’esistenza di ognuno<br />

un di più di vita: «…Mai<br />

hai dubitato della fede nella<br />

vita, nonostante il suo quotidi<strong>ano</strong><br />

oltraggio. E questa fu la<br />

tua vera e incrollabile fede…<br />

Ogni giorno della vita, hai<br />

pensato alla condizione del<br />

tuo essere e dell’essere degli<br />

altri… Mai hai smesso di<br />

sognare, perché questo era il<br />

tuo modo disperato di essere,<br />

amare e sperare…»<br />

Scrittori d’Abruzzo.<br />

Spunti per una ricerca<br />

Nella Letteratura italiana<br />

Einaudi diretta da Alberto<br />

Asor Rosa, nei volumi<br />

dedicati alla divisione storico<br />

geografica della Letteratura<br />

italiana, agli scrittori di<br />

Abruzzo si riserva un posto<br />

nella zona del verismo contadino<br />

che contraddistingue<br />

la storia letteraria del nostro<br />

Mezzogiorno. A metà tra i<br />

due secoli Ottocento e Novecento,<br />

tra la lezione verghiana<br />

e quella europea, soprattutto<br />

russa, un ruolo primaria<br />

spetta a Domenico Ciampoli,<br />

(Atessa, Chieti 1855, Roma<br />

1920), novelliere di fama, la<br />

cui raccolta più nota e espressiva<br />

rimane Fra le selve del<br />

1890. Da non dimenticare<br />

anche Giuseppe Mezz<strong>ano</strong>tte<br />

(1855-1935), abile scrittore<br />

di novelle e del libro autobiografico<br />

La tragedia di Senarica<br />

(1887), e Fedele Romani<br />

(1855-1910), anche lui ricordato<br />

per delicati frammenti di<br />

memoria in Colledara (1907)<br />

e Da Colledara a Firenze<br />

(1915). Il saggio, a firma di<br />

Rosario Contarino, nel volume<br />

III, L’età contemporanea,<br />

contrappone questo mondo<br />

di minuto «intenerito» realismo<br />

all’Abruzzo selvaggio,<br />

violento, attraversato da simboli<br />

di morte e di rinascita del<br />

miglior D’Annunzio, nato a<br />

Pescara nel 1863, proteso in<br />

una strada di confino tra sacro<br />

e prof<strong>ano</strong>, specialmente<br />

nei capolavori teatrali, come<br />

La figlia di Jorio e la Fiaccola<br />

sotto il moggio. «L’Abruzzo<br />

è insomma “montagna materna”,<br />

è mito opposto alla<br />

falsa civiltà, è bisogno di<br />

reimmersione nell’arcaico».<br />

D’Annunzio, già in parte con<br />

le novelle di Terra vergine<br />

(1882) e poi in San Pantaleone<br />

(1886), frammenti in gran<br />

parte riprese nelle Novelle<br />

della Pescara, risulta uno dei<br />

primi scrittori a percepire la<br />

«valenza archetipica nel rapporto<br />

con la terra d’origine»,<br />

tra purezza e violenza, che<br />

in questo <strong>numero</strong> di Mosaico,<br />

Roberto Mosena stigmatizza,<br />

arrivando a valutarlo<br />

come possibile modello (forse<br />

insuperato) per la giovane<br />

narrativa di cento anni e più<br />

avanti nella storia dei corsi<br />

e ricorsi letterari. Capitolo<br />

importante anche ideologicamente,<br />

quello della grande<br />

processione a cui assiste a<br />

Casalbordino il “superuomo”<br />

Giorgio Aurispa nel Trionfo<br />

della morte: «Era uno spetta-<br />

A cura di Mosaico<br />

colo meraviglioso e terribile,<br />

inopinato, dissimile ad ogni<br />

aggregazione già veduta di<br />

cose e di genti, composto<br />

di mescolanze così strane<br />

e diverse che superava i più<br />

torbidi sogni prodotti dagli<br />

incubi». Commenta Contarino.<br />

«Nell’indicare come<br />

infraumane le convulsioni<br />

scomposte di questo mistero<br />

primitivo, dove tutto è corruttela<br />

e deformità, D’Annunzio<br />

contrappone la barbarie idolatrica<br />

alla morale aristocratica<br />

di Zarathustra, coltivata da<br />

Giorgio nei silenzio dell’Eremo,<br />

disconoscendo qualsiasi<br />

parentela tra la ricerca intellettuale<br />

e l’ineguale ottusa<br />

folla, grondante di “tutti gli<br />

orrori della carne umana”».<br />

Il posto di Ignazio Silone,<br />

di cui ampiamente si discute<br />

in questo <strong>numero</strong> di Mosaico,<br />

nella narrativa meridionale<br />

ma di respiro nazionale<br />

e internazionale si individua,<br />

6 7


giustamente, tra i grandi scrittori<br />

di quella fondamentale<br />

temperie narrativa, unica al<br />

mondo per i caratteri di scavo<br />

nel dolore e nella vivacità di<br />

una tradizione remota: Corrado<br />

Alvaro, Franco Jovine,<br />

Raul Maria De Angelis.<br />

Di timbro diverso e originale<br />

gli altri due grandi scrittori<br />

abruzzesi del Novecento,<br />

Ennio Flai<strong>ano</strong>, di cui due saggi<br />

in questo <strong>numero</strong> di Mosaico<br />

e Mario Pomilio, scrittore<br />

di grande profondità esistenziale,<br />

cattolico tormentato,<br />

perennemente in riflessione<br />

sul senso della vita e della<br />

morte. Tra le <strong>numero</strong>se opere,<br />

l’Abruzzo compare però occasionalmente<br />

(L’uccello nella<br />

cupola e La compromissione),<br />

mentre i suoi capolavori<br />

sono da ricercare in una ansia<br />

di liberazione dal male, per<br />

esempio in due racconti lunghi<br />

(o romanzi brevi) dedicati<br />

a Manzoni in crisi di fede (Il<br />

Natale del 1843) e al viaggio<br />

di due giovani uno itali<strong>ano</strong><br />

e una tedesca, verso il Nord<br />

Europa, alla fine del secondo<br />

conflitto mondiale, nel Cimitero<br />

cinese. In cerca di una<br />

riconciliazione individuale e<br />

epocale, dopo la lacerazione<br />

della guerra, i due giovani<br />

ritroveranno pace e amore<br />

tra loro, spezzando il muro<br />

di ghiaccio dell’odio e del<br />

rimorso, di fronte alla laica<br />

religione dell’ordine e della<br />

dignità di un cimitero cinese<br />

e del suo umile, paziente, generoso,<br />

guardi<strong>ano</strong>.<br />

Scrittori non a caso trapiantati<br />

dall’Abruzzo alle<br />

due grandi città che ne hanno<br />

in gran parte assorbito il<br />

patrimonio culturale: Roma<br />

(come è noto Flai<strong>ano</strong> resta<br />

con Fellini e Pinelli il grande<br />

inventore della dolce vita,<br />

essendo stato lo sceneggiatore<br />

di tutti i più grandi film di<br />

successo di quegli anni) e Napoli,<br />

basti pensare all’abruzzese<br />

Benedetto Croce, in<br />

gran parte attivo culturalmente<br />

nella città partenopea.<br />

Presentando il fondamentale<br />

Abruzzo, per la Collana delle<br />

Regioni d’Italia editrice La<br />

Scuola, Gianni Oliva e Carlo<br />

De Matteis, scrivono infatti<br />

che la letteratura abruzzese<br />

nel corso dei secoli è stata<br />

caratterizzata dalla tendenza<br />

di «disporsi docilmente<br />

sull’asse culturale dei grandi<br />

centri». Prima Napoli e poi<br />

Roma. Eppure, l’Abruzzo ha<br />

conosciuto una fiorente letteratura<br />

(nonché come è noto,<br />

architettura) medievale, con i<br />

centri monastici e la figura di<br />

primo pi<strong>ano</strong> di Buccio di Ranallo,<br />

il cui poema Cronica<br />

rimata del 1355, ricostruisce<br />

di fatto la narrazione del primo<br />

secolo di storia della città<br />

dell’Aquila, a cui si deve<br />

accostare gli ottimi risultati<br />

poetici di alcuni laudari e lo<br />

sviluppo del dramma sacro,<br />

di cui lo storico studio degli<br />

anni Venti del Novecento di<br />

Vincenzo De Bartholomaeis,<br />

Il teatro abruzzese del Medioevo<br />

e quello di Paolo Conti,<br />

Lirica drammatica medievale<br />

abruzzese, del 1953. Non<br />

trascurabili i ritrovi umanistici<br />

di Sulmona, un Seicento<br />

ancora tutto da scoprire e la<br />

presenza settecentesca delle<br />

“colonie arcadiche”. Con i<br />

grandi di cui si è detto, tra<br />

Ottocento e Novecento, un<br />

ruolo non secondario spetta<br />

a due drammaturghi di grande<br />

fama, sia pur oggi pressoché<br />

dimenticati, anche per la<br />

colossale fortuna di Pirandello<br />

in quegli anni, capace di<br />

oscurare personalità per certi<br />

versi non meno capaci di<br />

opere altamente significative.<br />

Si tratta di Luigi Antonelli<br />

(1877-1975), l’autore del<br />

celebre L’uomo che incontrò<br />

se stesso, uno dei padri del<br />

grottesco (si veda Storia del<br />

teatro itali<strong>ano</strong> di Giovanni<br />

Antonucci, Studium), sia pur<br />

superficialmente legato nelle<br />

opere alla terra d’origine<br />

e di Mario Federici (1900-<br />

1975), che almeno in Quelli<br />

di Montetreboschi (1929),<br />

offre spunti storico-geografici<br />

legati al mondo contadino<br />

abruzzese.<br />

Tra i poeti, massimamente<br />

abruzzese per l’uso vario<br />

del dialetto Cesare De Titta<br />

(1862-1933), Alessandro<br />

Dommarco (nato nel 1912, la<br />

cui opera principale del 1982<br />

è Da mò ve diche addije) il<br />

suggestivo Vittorio Clemente<br />

(1895-1971), salutato con vigore<br />

da Pier Paolo Pasolini e<br />

di cui va ricordata almeno Acqua<br />

de magge (1952), con un<br />

Abruzzo primaverile e limpido<br />

di possibili rinascite. Scrive<br />

Gianni Oliva che nel mondo<br />

del poeta di questa raccolta<br />

domina incontrastato l’amore<br />

nella «fresca sensualità delle<br />

contadine ninfe che attent<strong>ano</strong><br />

alla fanciullezza innocente.<br />

La soave irruenza delle giovinette<br />

e lo sbigottimento del<br />

fanciullo assalito cre<strong>ano</strong> un<br />

morbido contrasto, mentre il<br />

magico contorno della natura<br />

fa assumere al quadro una<br />

leggiadra compostezza arcaica,<br />

quasi mitologica». Sia pur<br />

difficilmente individuabile<br />

in una linea abruzzese, tra i<br />

poeti contemporanei contraddistinti<br />

da una intensa attività<br />

culturale, in cui spicca la personalità<br />

poliedrica e infaticabile<br />

di Vittori<strong>ano</strong> Esposito a<br />

cui Mosaico dedica un profilo<br />

a cura dei suoi due autorevoli<br />

direttori dei numeri redatti in<br />

Brasile, Peterle e Santurb<strong>ano</strong>,<br />

ricordiamo Ottavi<strong>ano</strong> Giannangeli,<br />

Pietro Civitareale,<br />

Benito Sablone.<br />

D’Annunzio precursore<br />

del pulp e le Novelle<br />

delle Pescara.<br />

Nel 1996 uscì per Castelvecchi<br />

il libro di un certo<br />

Aldo Nove, Woobinda<br />

e altre storie senza lieto fine.<br />

Cominciava così: «Ho ammazzato<br />

i miei genitori perché<br />

usav<strong>ano</strong> un bagnoschiuma<br />

assurdo, Pure&Vegatal.<br />

Mia madre diceva che quel<br />

bagnoschiuma idrata la pelle<br />

ma io uso Vidal e voglio che<br />

in casa tutti usino Vidal. Perché<br />

ricordo che fin da piccolo<br />

la pubblicità del bagnoschiuma<br />

Vidal mi piaceva molto.<br />

Stavo a letto e guardavo correre<br />

quel cavallo. Quel cavallo<br />

era la Libertà. Volevo che<br />

tutti fossero liberi. Volevo che<br />

tutti comprassero Vidal».<br />

Non ci si stupì poi molto<br />

nell’apprendere dalla quarta<br />

di copertina che Nove era<br />

vissuto a Viggiù fino al 1988,<br />

«quando l’esplosione di una<br />

bombola del gas gli ha raso al<br />

suolo la casa». Il suo era un<br />

linguaggio altamente innovativo,<br />

capace di creare un grado<br />

zero della scrittura. Molti<br />

si chiesero che cosa si potesse<br />

ancora scrivere dopo quel libro<br />

così veloce, violento, terribilmente<br />

pulp.<br />

Il libro di Nove mi pare<br />

oggi un capolavoro di quella<br />

stagione letteraria, di quel fenomeno<br />

della cosiddetta «letteratura<br />

pulp», cioè di quella<br />

letteratura che proponeva una<br />

nuova scrittura con i suoi nuovi<br />

scrittori, tutti così attenti a<br />

tematiche e modalità narrative<br />

vicine a quelle del cinema<br />

contemporaneo, stile Tarantino.<br />

Il rischio di quella stagione<br />

letteraria, come di tutte e<br />

soprattutto di quelle che vengono<br />

sentite come innovative<br />

o di rottura, era quello solito<br />

di finire nell’irrilevante, nel<br />

superfluo: perché si volev<strong>ano</strong><br />

trattare storie e temi di assoluta<br />

rilevanza – violenza,<br />

emarginazione, realtà bassa e<br />

Roberto Mosena<br />

sordida, «odio senza rabbia»,<br />

«cinismo senza disperazione»,<br />

assenza del futuro di un’intera<br />

generazione bombardata da<br />

messaggi televisivi e poi da<br />

cellulari e internet – con un<br />

linguaggio che rischiava di inficiare<br />

la pretesa aulicità del<br />

linguaggio letterario; perché,<br />

da qualche parte, esso andava<br />

a contaminarsi con altri linguaggi<br />

e, più in generale, esigeva<br />

un abbassamento di tono<br />

e registro senza precedenti.<br />

Aldo Nove, come cent’anni<br />

prima D’Annunzio, in<br />

quell’occasione non ebbe<br />

paura di sporcarsi le mani.<br />

Costruì un libro formidabile,<br />

rapidissimo, facendo della<br />

brevità, dell’icasticità delle<br />

immagini, il ritratto di una generazione<br />

che non aveva ancora<br />

avuto il suo cantore.<br />

Il pulp, a ripensarlo oggi,<br />

trovo che non sia stato una ricerca<br />

estetica di fantasia e di<br />

immaginazione. Quanto piuttosto<br />

un rigurgito, nelle sue<br />

punte più alte estremamente<br />

8 9


efficace e significativo, di realismo.<br />

Anzi, il pulp era iperrealistico,<br />

pur essendo una mimesi<br />

di «Hide», di ciò che era nascosto,<br />

sul punto di esplodere.<br />

Era, in qualche modo, il mostro<br />

che viene a galla dall’abisso.<br />

Mimesi della (in)coscienza<br />

e della (a)moralità dell’uomo<br />

contemporaneo. Non bisognava<br />

andar lontani per registrare<br />

violenza, volgarità, potenza e<br />

velocità allo stato puro. E ora<br />

gli scrittori ce lo insegnav<strong>ano</strong>.<br />

Tuttavia, il pericolo dell’incomprensione<br />

e del fraintendimento<br />

che il nuovo linguaggio<br />

si assumeva, credo sia tale<br />

e quale a quello assuntosi da<br />

D’Annunzio quando raccoglieva<br />

certe sue novelle.<br />

In pieno clima veristico,<br />

D’Annunzio, specie nelle Novelle<br />

della Pescara (1902), si<br />

allontanava dai modelli, dalla<br />

analisi scientifica del naturalismo<br />

francese alla Zola, per<br />

approdare a una propria cifra<br />

stilistica in grado di raccontare<br />

con precisione l’Abruzzo pur<br />

elevandolo, a tratti in una sfera<br />

leggendaria e favolosa, a simbolo<br />

di una umanità assolutamente<br />

degradata, bassa, povera,<br />

istintuale, selvaggiamente<br />

violenta e perversa, così poco<br />

morale, così tanto ribellistica e<br />

ferina che agli occhi dei contemporanei<br />

dovette sembrar<br />

sospetta. In quel tempo, coi<br />

vari verismi regionali, si doveva<br />

portare alla luce soprattutto<br />

la realtà di un’Italia ancora<br />

sconosciuta ai più: coglierne<br />

aspetti, tendenze specifiche,<br />

problematiche, tradizioni, usi<br />

e costumi. D’Annunzio condivideva<br />

con gli scrittori della<br />

sua generazione, tutti avidi<br />

lettori di Verga, il punto di partenza<br />

– registrare la realtà – ma<br />

non gli esiti. La sua innata e<br />

precoce capacità di deformare<br />

i fenomeni, alimentata dalla<br />

sua esuberanza sensuale, dal<br />

suo gusto per la carne, il sangue,<br />

l’odore, lo portarono, assieme<br />

a molte altre suggestioni<br />

letterarie, a scrivere delle scene<br />

di inaudita violenza. C’è,<br />

tra le pieghe dei suoi racconti,<br />

un empito pulp che a molti lettori<br />

di allora dovette sembrare<br />

superfluo, irrilevante, ma che<br />

non lo fu, così come non lo fu<br />

nel caso di Nove.<br />

Questa scenetta pulp è<br />

tratta dalle Novelle della Pescara<br />

aprendo a caso il libro.<br />

C’è una ribellione in corso, i<br />

ribelli assedi<strong>ano</strong> un palazzo<br />

gentilizio, a una finestra compare<br />

un uomo: «– Mazzagrogna!<br />

Mazzagrogna! A morte<br />

il ruffi<strong>ano</strong>! A morte il guercio!<br />

– gridav<strong>ano</strong> tutti accalcandosi<br />

per iscagliar più da vicino<br />

l’insulto. Il Mazzagrogna stese<br />

una m<strong>ano</strong>, come per sedare i<br />

clamori; raccolse tutta la sua<br />

potenza vocale; e incominciò<br />

col nome del Re, quasi promulgasse<br />

una legge, per incutere<br />

al popolo il rispetto. – In<br />

nome di S. M. Ferdinando II,<br />

per la grazia di Dio, Re delle<br />

Due Sicilie, di Gerusalemme...–.<br />

– A morte il ladro! –<br />

Due, tre schioppettate risonarono<br />

fra le grida; e l’arringatore,<br />

colpito al petto e in fronte,<br />

vacillò, agitò in alto le mani e<br />

cadde in avanti. Nel cadere,<br />

la testa entrò fra l’un ferro e<br />

l’altro della ringhiera e penzolò<br />

di fuori come una zucca. Il<br />

sangue gocciolava sul terreno<br />

sottostante». Poi cominci<strong>ano</strong><br />

a tirar sassate al cranio che ad<br />

ogni colpo butta sangue a destra<br />

e a sinistra. Ma si potrebbe<br />

ricordare anche la barbarica<br />

pratica dell’incanata che<br />

compare nella Figlia di Iorio.<br />

Allora si chiamava gusto<br />

dell’orrido, e si diceva che<br />

veniva da certi aspetti del romanticismo<br />

– molto in voga,<br />

l’orrido e il macabro, anche<br />

tra gli scapigliati del secondo<br />

Ottocento che mentre baciav<strong>ano</strong><br />

una donna pensav<strong>ano</strong><br />

al teschio bianco che stava<br />

sotto la carne, vedi Tarchetti e<br />

compagni –, ma forse accanto<br />

al D’Annunzio sensuale,<br />

vate, superomista, esteta, notturno,<br />

comandante, c’è anche<br />

quello pulp. I linguaggi e<br />

le storie, dunque, si ripetono<br />

sotto luci diverse.<br />

Un’avventura teatrale<br />

di Ignazio Silone<br />

Andrea Santurb<strong>ano</strong><br />

Friedrich Nietzsche, nel suo<br />

Ecce homo, ricorda come –<br />

siamo nel 1883 – riponesse<br />

grandi aspettative nel viaggio<br />

da Roma alla volta della città<br />

dell’Aquila; L’Aquila da lui definita<br />

come l’antitesi dell’odiata<br />

Roma papalina, perché fondata<br />

da “un ateo e anticlericale<br />

comme il faut”, cioè Federico<br />

II di Svevia. Poi, per motivi<br />

poco chiari, queste aspettative<br />

non si concretizzarono e il<br />

grande filosofo tedesco, di salute<br />

già instabile, all’Aquila si<br />

fermò pochissimo, adducendo<br />

la vaga giustificazione climatica<br />

di uno scirocco che anche<br />

lì non gli avrebbe dato tregua.<br />

Questo aneddoto, più o<br />

meno conosciuto, si arricchisce<br />

di altri tasselli, se si pensa<br />

ad altre vicende storiche succedutesi<br />

nei dintorni del capoluogo<br />

abruzzese, vicende che<br />

evidentemente non avev<strong>ano</strong><br />

inficiato la visione “ideale” che<br />

Nietzsche conservava della città.<br />

Innanzitutto, la battaglia di<br />

Tagliacozzo nel 1268, che segnò<br />

definitivamente le sorti politiche<br />

dell’Italia meridionale.<br />

Gli angioini, infatti, capitanati<br />

da Carlo I d’Angiò, investito re<br />

di Sicilia da papa Clemente IV,<br />

sconfiggono le truppe di Corradino<br />

di Svevia, mettendo fine<br />

alle ambizioni imperialistiche<br />

degli Hohenstaufen e al loro<br />

plurisecolare governo in Sicilia.<br />

In questa circostanza, L’Aquila,<br />

già al centro di grandi dispute<br />

nei pochi anni intercorsi dalla<br />

propria nascita tra i suoi fondatori<br />

ghibellini e i “protetto-<br />

ri” guelfi, aveva compiuto una<br />

scelta filopapale appoggiando<br />

Carlo I. E di lì a poco, nell’agosto<br />

del 1294, sarebbe stata addirittura<br />

sede di una investitura<br />

papale: quella di Celestino V.<br />

Da questo confluire di storia e<br />

mito Ignazio Silone trae spunto,<br />

nel 1968, per una delle sue<br />

rare esperienze in campo teatrale:<br />

L’avventura d’un povero<br />

cristi<strong>ano</strong>.<br />

Come si sa, la tematica religiosa,<br />

sempre trattata in modo<br />

antidogmatico e antidottrinario,<br />

fu molto cara allo scrittore<br />

abruzzese. Il cineasta Ermanno<br />

Olmi, una volta, utilizzò un’efficace<br />

metafora per definire il<br />

cristianesimo siloni<strong>ano</strong>, allorché<br />

attribuì all’autore la straordinaria<br />

capacità di cogliere<br />

il trascendente con lo sguardo<br />

ben rivolto verso il basso, cioè<br />

verso la materialità quotidiana<br />

degli uomini e delle cose, e non<br />

restando a contemplare il cielo<br />

a testa in su. È noto con quanto<br />

drammatico e naturale lirismo<br />

lo scrittore non abbia mai<br />

smesso d’indagare sull’umile<br />

condizione umana stretta nei<br />

(Universidade Federal de Santa Catarina)<br />

difficili rapporti tra giustizia e<br />

potere, libertà e asservimento,<br />

politica e religione.<br />

Il “cafone” siloni<strong>ano</strong> è atavicamente<br />

legato alla sua terra<br />

marsicana e ad un senso pauperistico<br />

della religiosità. Silone<br />

si fece fautore per tutta la<br />

vita di un cristianesimo socialista,<br />

cogliendo da subito o quasi<br />

l’inadeguatezza dell’ortodossia<br />

comunista, nonché delle ideologie<br />

più estreme in generale, a<br />

rispondere alle esigenze intime<br />

di libera espressione dell’uomo.<br />

Il dialogismo de L’avventura<br />

d’un povero cristi<strong>ano</strong> ripercorre<br />

e dà voce, dunque, a<br />

molte delle problematiche già<br />

presenti nell’opera di Silone.<br />

Questo testo drammatico,<br />

diviso in tre tempi, può essere<br />

considerato un’opera ibrida. È<br />

innanzitutto un dramma storico,<br />

composto da lunghi dialoghi<br />

e concepito per un’azione<br />

scenica molto ridotta; in decisa<br />

controtendenza, tra l’altro,<br />

rispetto agli orientamenti<br />

teatrali degli anni ’60, che<br />

vedev<strong>ano</strong> affermarsi la desacralizzazione<br />

del testo, con i<br />

non-sense di Ionesco, Beckett<br />

e degli altri esponenti del cosiddetto<br />

“teatro dell’assurdo”,<br />

oppure privilegiare le creazioni<br />

collettive, i movimenti e le<br />

performance degli attori, per<br />

esempio del Leaving Theatre,<br />

con la gestualità e non la parola<br />

al centro della scena. In<br />

secondo luogo, il testo de L’avventura<br />

d’un povero cristi<strong>ano</strong><br />

viene pubblicato in un’edizione<br />

corredata da un ricco tessu-<br />

10 11


to paratestuale, composto da<br />

articoli introduttivi (in cui l’autore<br />

spiega e motiva la genesi<br />

dell’opera, il suo interesse e la<br />

sua presa di posizione di fronte<br />

alla materia scelta) e note enciclopediche<br />

finali. Un apparato<br />

editoriale, insomma, che conferisce<br />

al libro il carattere di<br />

un’opera-tesi, tra documento<br />

storico e finzione. Per Silone,<br />

difatti, anche il teatro, nella<br />

sua tradizionale forma dialogica,<br />

rappresenta un’occasione<br />

per esperire la sua profonda<br />

esigenza di espressione morale<br />

ed impegno civile.<br />

La pièce, come detto, ha<br />

come protagonista papa Celestino<br />

V, unico pontefice dimissionario<br />

della storia vaticana,<br />

molto probabilmente da<br />

identificare nel papa del “gran<br />

rifiuto” della celeberrima citazione<br />

dantesca. Assunse questo<br />

nome, durante il suo brevissimo<br />

pontificato, Fra Pietro<br />

Angelerio da Morrone (monte<br />

nei pressi di Sulmona), monaco<br />

eremita, all’epoca in odore<br />

di santità e fondatore dell’ordine<br />

dei “frati morronesi”, la<br />

cui regola ricalcava (anche per<br />

necessità “burocratiche”) quella<br />

dei benedettini, di cui passarono<br />

ad essere un sott’ordine.<br />

In quegli anni, dopo la morte<br />

di Niccolò IV, la disputa per il<br />

trono pontificio vedeva protagoniste<br />

due potenti fazioni che<br />

facev<strong>ano</strong> capo alle famiglie degli<br />

Orsini e dei Colonna. Solo<br />

dopo un estenuante concilio,<br />

trasferitosi da Roma a Perugia<br />

per sfuggire ad un’epidemia di<br />

peste, fu trovata una soluzione<br />

di compromesso che risolse<br />

un impasse di ventisette mesi:<br />

fu così eletto all’unanimità fra<br />

Pietro Angelerio, che già godeva<br />

di una certa acclamazione<br />

popolare. Gli appena nove<br />

cardinali “sopravvissuti” ai<br />

lavori spiegarono questa improvvisa<br />

svolta come un prodigio,<br />

e tale dovette di fatto apparire<br />

un’elezione estranea a<br />

qualsiasi logica temporale della<br />

Chiesa di Roma. Celestino V<br />

si dimostrò sin dall’inizio poco<br />

avvezzo al protocollo ufficiale,<br />

facendosi incoronare papa<br />

a L’Aquila e trasferendosi poi<br />

a Napoli. Questo pontificato<br />

extra-rom<strong>ano</strong>, tuttavia, durò<br />

appena tre mesi. Dotato di una<br />

erudizione precaria, completamente<br />

alieno dalle pratiche<br />

del potere, dagli ingranaggi<br />

burocratico-ecclesiastici e dalle<br />

strategie politiche – circostanze,<br />

queste, che lo spinsero<br />

ad accettare ingenuamente<br />

l’inopportuna protezione filofrancese<br />

del re di Napoli, Carlo<br />

II d’Angiò –, Pietro Angelerio<br />

finì, o più probabilmente<br />

fu obbligato, con l’abdicare e<br />

tornare alla vita eremitica sul<br />

Morrone. Ma, lungi dall’essere<br />

in salvo, il monaco si trovò al<br />

centro di un drammatico contenzioso<br />

politico-diplomatico,<br />

tanto da essere ricercato, rapito<br />

e forse assassinato dal successivo<br />

papa Bonifazio <strong>VII</strong>I, al<br />

secolo Benedetto Caetani. A<br />

testimonianza di come questo<br />

sia stato uno dei periodi<br />

più tormentati della storia vaticana,<br />

basti pensare che di lì<br />

a poco per il papato sarebbe<br />

cominciata la cattività avignonese<br />

(1309-1378).<br />

Silone ritaglia per il suo denso<br />

testo drammatico gli avvenimenti<br />

che vanno dall’immediata<br />

vigilia, a Sulmona, dell’investitura<br />

papale di Fra Pietro Angelerio<br />

fino all’ultimo incontro<br />

di costui, ad Anagni, col nuovo<br />

papa e suo “persecutore” Bonifazio<br />

<strong>VII</strong>I, passando per le<br />

traversie succedutesi durante e<br />

dopo il suo breve pontificato.<br />

Nelle pieghe di personaggi e<br />

1 SILONE, Ignazio, L’avventura d’un povero Cristi<strong>ano</strong>, Mil<strong>ano</strong>, Mondadori, 1974, p. 30.<br />

fatti storici ricostruiti attraverso<br />

attente ricerche d’archivio,<br />

l’autore marsic<strong>ano</strong> cuce un<br />

piccolo universo um<strong>ano</strong> di figure<br />

e avvenimenti immaginari,<br />

che danno sostanza e colore<br />

al grigio tessuto documentale<br />

dell’opera, in un’operazione<br />

dal sapore manzoni<strong>ano</strong>. E questa<br />

fusione conferisce vibratilità<br />

alla vicenda celestiniana così<br />

riassemblata, sin dal prologo,<br />

in cui uno degli “umili” della<br />

storia, la tessitrice Concetta, si<br />

presenta pirandellianamente<br />

al pubblico, questionando le<br />

scelte dell’autore:<br />

Buona sera a tutti. Vi sembrerà<br />

str<strong>ano</strong> che, a darvi qualche<br />

spiegazione su questa<br />

storia che sta per cominciare<br />

e che è una storia di uomini,<br />

sia proprio una donna, e una<br />

donna ordinaria come me,<br />

tessitora. Vi posso assicurare<br />

che anche a me pare str<strong>ano</strong>.<br />

Ma l’autore, per non so quale<br />

motivo, ha voluto così. 1<br />

Il Celestino V riletto da Silone<br />

è un personaggio-simbolo<br />

assolutamente positivo, seppur<br />

nelle sue debolezze e fragilità.<br />

Come si accennava all’inizio,<br />

Dante Alighieri gli affibbiò invece<br />

l’ingenerosa etichetta di<br />

papa del “gran rifiuto” (“[...]<br />

Vidi e conobbi l’ombra di colui/<br />

Che fece per viltate il gran<br />

rifiuto”, Inferno, III, 59-60),<br />

quantunque comprensibile<br />

se si pensa che la sua abdicazione<br />

aprì indirettamente le<br />

porte dell’esilio da Firenze al<br />

sommo poeta. Mentre, già da<br />

altri autori, da Iacopone da<br />

Todi a Petrarca, Celestino V è<br />

citato a esempio di virtù. Allo<br />

scrittore abruzzese la vicenda<br />

celestiniana offre lo spunto per<br />

ricalcare le tematiche morali,<br />

politiche e sociali, instancabil-<br />

mente affrontate durante tutto<br />

il suo percorso intellettuale e<br />

letterario, a partire da una rilettura<br />

della storia. A tal proposito<br />

appare illuminante un suo<br />

dialogo riportato nella parte<br />

introduttiva al testo teatrale:<br />

[Un amico] «Non vuoi mica<br />

darti al genere storico?»<br />

«Ne sarei incapace» gli ho<br />

risposto credendo di poter<br />

tagliare corto. «Sai bene che<br />

ogni mio interesse, come scrittore,<br />

è rivolto al presente.»<br />

«È vero» egli mi ha replicato<br />

«ma non hai scritto tu stesso<br />

che certe realtà del presente<br />

hanno radici lontane?» 2 .<br />

Insomma, Celestino V si<br />

configura quale alter-ego, corroborato<br />

da una legittimazione<br />

storica, dei tanti personaggi<br />

tormentati ma integri dei suoi<br />

romanzi, come, per esempio,<br />

Pietro Spina. Silone assume<br />

paradigmaticamente la figura<br />

del papa-eremita come parabola<br />

ideologica. E la frattura<br />

temporale che si apre nel<br />

trattare una materia storica si<br />

ricompone nel presente attraverso<br />

la vicinanza emotiva<br />

e partecipativa dell’autore, in<br />

nessun momento dissimulata:<br />

un esempio su tutti, l’appellativo<br />

“povero cristi<strong>ano</strong>”<br />

del titolo, in cui si può forse<br />

cogliere anche un riflesso del<br />

suo caso personale.<br />

La posizione di Silone nello<br />

specifico religioso, espressa<br />

sempre con schietto vigore,<br />

è di rifiuto nei confronti di<br />

qualsiasi sistema dogmatico e<br />

dottrinario, che vad<strong>ano</strong> a discapito<br />

di un’esperienza spirituale<br />

soggettivamente vissuta.<br />

Così come egli abbandonò il<br />

2 Ivi, p. 5.<br />

3 Ivi, p. 25.<br />

4 ZURLINI, Valerio, “Un venticinquenne per il venerando Celestino Quinto”. In: “Il Dramma”, a. 45, n. 12, settembre<br />

1969, Torino, ILTE, p. 53.<br />

5 Ivi, p. 53-54.<br />

partito comunista, quando lo<br />

vide tradire l’ideale di libertà<br />

individuale, allo stesso modo<br />

non esitò ad allontanarsi dalla<br />

Chiesa quando la vide molto<br />

simile ad un sistema opportunistico<br />

di potere. Le radici socialiste<br />

e cristiane rappresent<strong>ano</strong><br />

per lui elementi complementari<br />

di una stessa coscienza<br />

solidale con le classi più umili<br />

e coerente con l’idea di dignità<br />

umana. In un altro passaggio<br />

introduttivo de L’avventura<br />

d’un povero cristi<strong>ano</strong>, Silone<br />

propone un’ulteriore, lucida<br />

analisi sulla perdita di spiritualità<br />

e sulla degenerazione morale<br />

della Chiesa, messa bene<br />

a fuoco, nel testo drammatico,<br />

dai dialoghi serrati fra Celestino<br />

V e il cardinal Caetani:<br />

Non più, dunque, messaggio<br />

del Padre ai figli, a tutti i figli,<br />

limpida luce naturale scoperta<br />

nascendo, bene comune,<br />

verità universale, evidente,<br />

irresistibile a ogni intelligenza<br />

in buona fede; ma<br />

prodotto storico complesso,<br />

prodotto di una determinata<br />

cultura, anzi amalgama di<br />

varie culture, elaborazione<br />

millenaria di una comunità<br />

chiusa, in permanente travaglio<br />

interno e in lotta e concorrenza<br />

con altre. Infine,<br />

considerata con benevolenza:<br />

una nobilissima, una veneranda<br />

sovrastruttura. [...]<br />

Fortunatamente Cristo è più<br />

grande della Chiesa. 3<br />

Assolutamente non casuale<br />

appare inoltre il fatto<br />

che L’avventura d’un povero<br />

cristi<strong>ano</strong> abbia conosciuto la<br />

sua prima rappresentazione<br />

ad opera di un regista altret-<br />

tanto “emarginato” e fuori dagli<br />

schemi critico-intellettuali:<br />

Valerio Zurlini. Ed è lo stesso<br />

Zurlini a curare, oltre alla<br />

messa in scena, l’adattamento<br />

e la riduzione della pièce,<br />

con la realizzazione del Teatro<br />

Stabile dell’Aquila e con<br />

un giovane Giancarlo Giannini<br />

nelle vesti di Celestino V.<br />

La prima teatrale avvenne il 3<br />

agosto 1969, presso l’Istituto<br />

del Dramma Popolare di San<br />

Miniato, con successiva replica<br />

all’Aquila. Scrive il regista:<br />

L’adattamento, fatto con la<br />

partecipazione ed il pieno<br />

consenso dell’autore, non<br />

mi ha posto solamente il<br />

problema di rendere teatrale<br />

un racconto nato in<br />

una forma dialogica che<br />

in realtà mai si discostava<br />

dalla sua origine letteraria<br />

[...]. Non mi ha posto alcun<br />

problema essenzialmente<br />

teatrale, bensì un problema<br />

più grave, di scelta.<br />

Ignazio Silone ha affrontato<br />

un grande caso di conflitto<br />

morale che, propostosi al primo<br />

autunno del Medio Evo,<br />

ritrova ai nostri giorni sconcertanti<br />

motivi di attualità. 4<br />

Per poi concludere con<br />

una mirabile equazione:<br />

Lo scrittore è fedele alla<br />

storia, alla sua terra, alla<br />

storia della sua terra. 5<br />

Sì, quella terra d’Abruzzo,<br />

quella vicenda personale,<br />

quelle vicende storiche che in<br />

Silone si coniug<strong>ano</strong>, come ne<br />

L’avventura d’un povero cristi<strong>ano</strong>,<br />

in una grande avventura<br />

umana.<br />

12 13


Il più<br />

abruzzese<br />

dei Santi<br />

Carlotta Dell’Arte<br />

decisione del monaco<br />

posto a scegliere tra «La<br />

due forme di vita che<br />

gli appariv<strong>ano</strong> inconciliabili, il<br />

papato e la santità, può essere<br />

ora giudicato in un senso ben<br />

diverso, come atto di cristiana<br />

sincerità. E in quel senso<br />

San Celestino V è da ammirare<br />

come il più abruzzese<br />

dei Santi: non si può capire<br />

un certo aspetto dell’Abruzzo<br />

senza capire lui». In un profilo<br />

dell’Abruzzo del 1948 Ignazio<br />

Silone descriveva in questi<br />

termini la figura enigmatica<br />

di Celestino V, ignaro del fatto<br />

che qualche anno più tardi lo<br />

avrebbe reso protagonista della<br />

sua ultima opera. A quasi quarant’anni<br />

dal suo esordio letterario,<br />

tra il 1966 e il 19<strong>67</strong> lo<br />

scrittore di Fontamara inizia a<br />

lavorare a quello che sarà considerato<br />

il suo testamento letterario,<br />

L’Avventura di un povero<br />

cristi<strong>ano</strong>, affidando alla figura<br />

dell’eremita Pietro da Morrone,<br />

fondatore della chiesa di Santa<br />

Maria di Collemaggio, la sua riflessione<br />

ideologica per ricondurla<br />

ai termini della religione.<br />

La scelta di Celestino V, il papa<br />

del “gran rifiuto” dantesco, salito<br />

nel 1294 al soglio pontificio<br />

per placare gli estenuanti<br />

dissidi tra le famiglie degli Orsini<br />

e dei Colonna, è determinata<br />

unicamente dal fatto che<br />

questo semplice monaco eremita,<br />

eletto papa suo malgrado,<br />

con la sua abiura al soglio<br />

pontificio assurge a simbolo di<br />

rinuncia del potere politico in<br />

nome di un’estrema adesione<br />

ai precetti evangelici ed in favore<br />

di una purezza della coscienza.<br />

La rinuncia al potere è<br />

un argomento per Silone quanto<br />

mai attuale. Si è lungamente<br />

dibattuto sul significato autobiografico<br />

di Celestino V nella<br />

vita dello scrittore marsic<strong>ano</strong>,<br />

riconducendo principalmente<br />

la loro somiglianza al rapporto<br />

instaurato con le istituzioni:<br />

l’inevitabile abdicazione al<br />

soglio pontificio di Celestino<br />

V una volta imparato «che è<br />

difficile essere papa e rimanere<br />

buon cristi<strong>ano</strong>» 1 e l’uscita di<br />

sicurezza di Silone dal partito<br />

comunista dopo aver scoperto<br />

l’inconciliabilità tra azione<br />

politica e lealtà. Qual è l’origine<br />

di questa inconciliabilità?<br />

1 I. Silone, L’Avventura di un povero cristi<strong>ano</strong>, Mondadori, Mil<strong>ano</strong>, 1974, p.109.<br />

Silone come Celestino V è un<br />

uomo che per onestà è rimasto<br />

fuori dalla Chiesa e dal partito,<br />

perché da dentro non riusciva<br />

più ad aderire. Qual è stato il<br />

percorso che ha portato Silone<br />

al suo “gran rifiuto”? L’affascinante<br />

dialogo di Silone prima<br />

con Celestino V e poi con il suo<br />

personaggio fra Celestino ha<br />

origini ben più lontane rispetto<br />

a L’Avventura di un povero cristi<strong>ano</strong>.<br />

Nel 1943, durante il suo<br />

internamento a Baden, Silone<br />

si dedica alla stesura del suo<br />

unico dramma Ed egli si nascose,<br />

riduzione teatrale di Vino e<br />

pane. Nel dramma, accanto al<br />

protagonista Pietro Spina, intellettuale<br />

esule antifascista, si<br />

affaccia un altro personaggio<br />

che più di ogni altro accompagnerà<br />

Silone per tutta la sua<br />

vita: Fra Gioacchino. Evidente<br />

la somiglianza del nome con<br />

Gioacchino da Fiore, l’abate<br />

medievale la cui teoria trinitaria<br />

sull’avvento del Regno di<br />

Dio venne dichiarata eretica<br />

dal Concilio Lateranense IV nel<br />

1215. Ed egli si nascose ha accompagnato<br />

il suo autore per<br />

più di vent’anni; nel corso delle<br />

differenti stesure (1944, 1945,<br />

1950 e 1966) Silone apporta<br />

diverse modifiche di rifinitura e<br />

ripulitura del testo in direzione<br />

di una maggiore concisione e<br />

drammatizzazione dell’azione.<br />

Il lungo lavoro di rilettura si<br />

conclude nel 1966 con un’ultima<br />

e fondamentale variazione:<br />

dopo ventidue anni, fra Gioacchino<br />

vede improvvisamente<br />

cambiare il suo nome in fra<br />

Celestino. Un cambiamento<br />

inaspettato e repentino che<br />

non può non stuzzicare la curiosità<br />

dei lettori. Nonostante il<br />

tema e l’ambientazione si<strong>ano</strong><br />

diverse in Ed egli si nascose e<br />

nell’Avventura di un povero<br />

cristi<strong>ano</strong>, l’evidente vicinanza<br />

temporale tra il cambiamento<br />

del nome di fra Gioacchino in<br />

fra Celestino nel dramma teatrale,<br />

e la stesura di un’opera<br />

interamente dedicata all’eremita<br />

divenuto papa, non può non<br />

essere presa in considerazione.<br />

Infatti la variazione del nome<br />

da fra Gioacchino a fra Celestino<br />

racchiude a mio avviso,<br />

in una parabola discendente il<br />

travagliato rapporto di Silone<br />

con la fede. L’attenzione verso<br />

l’abate da Fiore nasce in Silone<br />

dal riconoscimento, all’interno<br />

del messaggio gioachimita, di<br />

quell’utopia della giustizia che<br />

fin dai suoi primi contatti con<br />

la lega dei contadini di Pescina<br />

lo aveva sempre guidato nella<br />

sua attività politica e letteraria<br />

nel ricordo «dell’attesa di una<br />

terza età del genere um<strong>ano</strong>,<br />

l’età dello Spirito, senza Chiesa,<br />

senza Stato, senza coercizioni,<br />

in una società ugualitaria,<br />

sobria, umile e benigna,<br />

affidata alla spontanea carità<br />

degli uomini» 2 . Gioacchino da<br />

Fiore si rivela l’anello principale<br />

a partire dal quale l’appello<br />

allo Spirito di liberazione si propaga<br />

nei secoli, e di cui Silone<br />

subisce un indubbio fascino. Il<br />

personaggio di fra Gioacchino<br />

si rende portatore di una<br />

nuova speranza di ribellione<br />

al destino: «l’antica speranza<br />

del Regno, l’antica attesa della<br />

carità che sostituisca la legge,<br />

l’antico sogno di Gioacchino<br />

da Fiore, degli Spirituali e dei<br />

Celestini» 3 . Fra Gioacchino rimane<br />

figura essenzialmente<br />

escatologica 4 , attesa impazien-<br />

te di ultimi eventi: «nelle Sante<br />

Scritture è segnato il destino di<br />

noi cristiani. Per ora esso fermo<br />

nella pagina del Venerdì<br />

Santo, nella pagina del Cristo<br />

in agonia» 5 . Silone ha ragione<br />

quando a fra Celestino farà dire<br />

che « è impossibile scoprire la<br />

continuità dell’agonia di Cristo<br />

e rassegnarsi» 6 . Se è vero<br />

che Lui è la vita e dà la vita, il<br />

Venerdì Santo si può accettare<br />

solo con la speranza dell’avvenimento<br />

pasquale della domenica.<br />

Nella Resurrezione di<br />

Cristo si rivela tutta la fede: «se<br />

Cristo non è risorto, vana è la<br />

nostra fede» 7 . Con l’incarnazione<br />

Dio è entrato nella storia,<br />

il cristianesimo è un fatto<br />

storico, e in quanto storico è<br />

presente. Questo avvenimento<br />

è presente ed è conservato<br />

nella Chiesa: Chiesa spirituale<br />

e Chiesa istituzionale non si<br />

possono separare, è una sola<br />

Chiesa presente e concreta nelle<br />

sue glorie e nelle sue debolezze.<br />

L’utopia siloniana della<br />

realizzazione della giustizia e<br />

dell’uguaglianza sociale è però<br />

evidentemente inconciliabile<br />

con la realtà contemporanea<br />

della Chiesa: «la storia dell’utopia<br />

è in definitiva la contropartita<br />

della storia ufficiale della<br />

Chiesa. […] La Chiesa da<br />

quando si fondò […] con il suo<br />

apparato dogmatico ed ecclesiastico,<br />

ha considerato sempre<br />

con sospetto ogni resipiscenza<br />

del mito. Dal momento che la<br />

Chiesa presentò se stessa come<br />

il Regno, […] essa ha cercato<br />

di reprimere ogni movimento<br />

con tendenza a promuovere<br />

un ritorno alla credenza primitiva.<br />

L’utopia è il suo rimorso» 8 .<br />

Crolla così il sogno di Gioacchino<br />

da Fiore, l’ennesimo<br />

tentativo di Silone di realizzare<br />

la sua utopia non si concretizza<br />

neanche con l’avvento del<br />

Regno dello Spirito. Distrutta<br />

ogni speranza fra Gioacchino<br />

lascia silenziosamente la scena<br />

per far entrare il papa del gran<br />

rifiuto dantesco: «l’avventura<br />

di Celestino si svolse, per un<br />

lungo tratto, nell’illusione che<br />

le due diverse vie di seguire<br />

Cristo si potessero ravvicinare e<br />

unire. Ma, costretto a scegliere,<br />

non esitò» 9 . Nel passaggio da<br />

fra Gioacchino a fra Celestino<br />

Ignazio Silone delinea le condizioni<br />

che hanno impedito in<br />

lui la crescita della fede. Con<br />

l’utopia gioachimita dell’avvento<br />

del Regno dello Spirito,<br />

Silone credeva che fosse ancora<br />

possibile trovare la fede in<br />

questa attesa, la quale però, se<br />

non parte dalla certezza della<br />

Resurrezione di Cristo si riduce<br />

ad un’illusione, ad un’amara<br />

rassegnazione all’agonia<br />

di Cristo. Con fra Gioacchino<br />

Silone aveva cercato di mantenere<br />

in vita la fede nell’attesa<br />

del Regno, ma quando si<br />

è reso conto che l’attesa non<br />

può nascere da un’incertezza<br />

permanente, e deciso anche a<br />

non rassegnarsi semplicemente<br />

all’agonia della Croce, Silone<br />

abbandona il sogno di Gioacchino<br />

da Fiore riconoscendo<br />

come unica possibilità il gran<br />

rifiuto di Celestino V.<br />

2 I.Silone, L’Avventura di un povero cristi<strong>ano</strong>, Oscar Mondadori, Mil<strong>ano</strong>, 1974, p.17.<br />

3 I.Silone, Uscita di sicurezza, Longanesi, Mil<strong>ano</strong>, 1971, p.81.<br />

4 Nei suoi studi su Gioacchino da Fiore Silone è stato influenzato dalla lettura che ne aveva dato Ernesto Buonaiuti,<br />

il quale, indotto dalle sue idee moderniste, riconosceva negli scritti di Gioacchino una preoccupazione che non è mai<br />

teologica, bensì puro intento morale ed escatologico. La differenza nell’attribuire alla teoria delle tre età dello Spirito di<br />

Gioacchino un intento escatologico piuttosto che uno teologico, è determinante per delineare la figura di fra Gioacchino.<br />

5 I.Silone, Ed egli si nascose, Città Nuova, Roma, 2000, p.39.<br />

6 Ivi p.40.<br />

7 1 Cor 15,17.<br />

8 I. Silone, L’Avventura di un povero cristi<strong>ano</strong>, Oscar Mondadori, Mil<strong>ano</strong>, 1974 p. 18<br />

14 15<br />

9 Ibidem


Tempo di uccidere:<br />

l’anti-epopea coloniale<br />

di Ennio Flai<strong>ano</strong> dal<br />

“taccuino” al romanzo<br />

Daniele Fioretti<br />

La prima domanda che si<br />

affaccia alla mente, riesaminando<br />

a più di sessant’anni<br />

dalla pubblicazione<br />

Tempo di uccidere di Ennio<br />

Flai<strong>ano</strong> è: perché questo romanzo<br />

ha trovato (e trova<br />

ancora) tante difficoltà ad<br />

essere inserito di diritto nel<br />

c<strong>ano</strong>ne letterario itali<strong>ano</strong> del<br />

secondo Novecento? Almeno<br />

tre diverse serie di ragioni<br />

cospir<strong>ano</strong> contro questo<br />

libro: prima di tutto quelle di<br />

carattere prettamente ideologico,<br />

poi quelle connesse alle<br />

logiche interne del p<strong>ano</strong>rama<br />

culturale itali<strong>ano</strong>; ma soprattutto,<br />

ciò che ancora, a nostro<br />

giudizio, ostacola il riconoscimento<br />

del valore di Tempo<br />

di uccidere come uno dei<br />

testi più significativi tra quelli<br />

scritti nell’immediato secondo<br />

dopoguerra è una sorta<br />

di disagio, un’impressione<br />

sgradevole e non facilmente<br />

definibile che coglie il lettore<br />

a confronto con il romanzo e<br />

di cui si cercherà più avanti di<br />

individuare le cause.<br />

Sul pi<strong>ano</strong> ideologico Tempo<br />

di uccidere può apparire<br />

un libro attuale e allo stesso<br />

momento fuori tempo. Esso<br />

viene infatti pubblicato nel<br />

1947 dalla casa editrice Longanesi<br />

(fondata solo un anno<br />

prima dallo stesso Leo Longanesi)<br />

e si inserisce in un filone<br />

di narrativa bellica all’epoca<br />

ampiamente predominante:<br />

che si trattasse di semplici<br />

memoriali, di testi letterari<br />

veri e propri o di opere che<br />

presentav<strong>ano</strong> caratteristiche<br />

ascrivibili a entrambi i generi,<br />

è certo che la guerra appena<br />

conclusa e la condanna<br />

del ventennio fascista fossero<br />

allora i temi predominanti.<br />

Quello che però rende Tempo<br />

di uccidere un romanzo<br />

per così dire “fuori tempo” è<br />

la netta presa di distanza, da<br />

parte di Flai<strong>ano</strong>, dal principale<br />

movimento letterario del<br />

dopoguerra, il neorealismo,<br />

sia sotto il pi<strong>ano</strong> politicoideologico<br />

sia sotto il profilo<br />

tecnico-letterario. Sul pi<strong>ano</strong><br />

strettamente letterario il romanzo<br />

è in polemica con la<br />

pretesa di oggettività tipica<br />

del neorealismo; in effetti nel<br />

romanzo di Flai<strong>ano</strong> niente è<br />

“oggettivo” e neorealistico,<br />

anche se l’ambientazione<br />

e alcune vicende narrate in<br />

Tempo di uccidere fanno riferimento<br />

alla diretta esperienza<br />

di Flai<strong>ano</strong> come tenente<br />

(Univ. Wisconsin)<br />

dell’esercito itali<strong>ano</strong> fra il<br />

1935 e il 1936, durante la<br />

guerra d’Etiopia. Ne è prova il<br />

taccuino di guerra Aethiopia.<br />

Appunti per una canzonetta,<br />

da cui deriv<strong>ano</strong> alcuni episodi<br />

e spunti polemici presenti<br />

nel romanzo; ad esempio la<br />

figura del maggiore corrotto e<br />

senza scrupoli che appare nel<br />

quinto capitolo di Tempo di<br />

uccidere nasce dal senso di<br />

indignazione di Flai<strong>ano</strong> contro<br />

quegli ufficiali italiani che<br />

approfittav<strong>ano</strong> della guerra<br />

per arricchirsi illegalmente:<br />

Ad Adi Caièh esiste ancora<br />

un negozio di generi diversi<br />

gestito da un capit<strong>ano</strong><br />

d’Amministrazione ancora<br />

in servizio. La sera lo si<br />

vede fare i conti, scartabellare.<br />

Ogni ufficiale furbo,<br />

del resto, compra un autocarro<br />

e lo fa “viaggiare”<br />

sotto un altro nome. In Italia<br />

c’è gente che si leva gli<br />

anelli dalle dita. 1<br />

Aethiopia può essere visto<br />

anche come un documento<br />

che testimonia, attraverso<br />

l’aspra critica della “eroica”<br />

campagna di Etiopia, un distacco<br />

di Flai<strong>ano</strong> dal fasci-<br />

1 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Aethiopia. Appunti per una canzonetta, in Opere 1947-1972, Mil<strong>ano</strong>, Bompiani, p. 260, 1988, p. 261.<br />

smo avvenuto in tempi ancora<br />

non sospetti. Un aspetto<br />

originale del taccuino è<br />

quello della demistificazione<br />

della propaganda bellica<br />

compiuta attraverso le canzonette;<br />

non a caso il sottotitolo<br />

di Aethiopia è proprio<br />

Appunti per una canzonetta.<br />

Nelle intenzioni di Flai<strong>ano</strong>,<br />

però, gli appunti che sta<br />

prendendo sulla guerra dovrebbero<br />

portare alla composizione<br />

di una “canzonetta”<br />

ben diversa rispetto alla<br />

celeberrima (e famigerata)<br />

Faccetta nera. L’autore appunta<br />

la propria attenzione<br />

sull’elemento propagandistico<br />

presente nelle canzonette<br />

ispirate alla guerra coloniale<br />

e mette a nudo, con fulminea<br />

brevità, le pulsioni inconfessate<br />

su cui esse fanno leva:<br />

«Influenza delle canzonette<br />

sull’arruolamento coloniale.<br />

Alla base di ogni espansione,<br />

il desiderio sessuale». 2<br />

In seguito Flai<strong>ano</strong> giunge al<br />

punto addossando al mito<br />

della “bella abissina” in Faccetta<br />

nera la principale responsabilità<br />

di molte delle<br />

infezioni veneree contratte<br />

dai soldati italiani durante<br />

la guerra etiopica: «e in questa<br />

guerra? Ho l’impressione<br />

che “Faccetta nera” abbia<br />

molto contribuito a riempire<br />

gli ospedali di “feriti in<br />

amore”». 3 La stessa vicenda<br />

centrale di Tempo di uccidere,<br />

la violenza sessuale<br />

perpetrata dal protagonista<br />

(un tenente dell’esercito) ai<br />

danni di una giovane etiope,<br />

che viene poi da lui accidentalmente<br />

ferita e infine<br />

uccisa può apparire come un<br />

volontario, tragico e al tem-<br />

2 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Aethiopia in Opere, vol. II, cit., p. 259.<br />

po stesso parodico capovolgimento<br />

del mito dell’itali<strong>ano</strong><br />

“liberatore” esaltato dalla<br />

retorica fascista.<br />

Tempo di uccidere nasce<br />

dunque da un’esperienza<br />

autobiografica ma, ciò nonostante,<br />

si distacca nettamente<br />

dal neorealismo, perché<br />

Flai<strong>ano</strong> non mira mai alla<br />

resa “oggettiva” degli eventi<br />

narrati; piuttosto egli realizza<br />

un complicato tessuto simbolico<br />

e intertestuale che fa<br />

consapevole riferimento alla<br />

corrente esistenzialista del<br />

romanzo europeo, in particolare<br />

a Conrad e Camus.<br />

Ai fini del presente studio<br />

appaiono particolarmente<br />

rilevanti i rapporti che leg<strong>ano</strong><br />

Tempo di uccidere a un<br />

testo come Cuore di tenebra<br />

(Heart of Darkness) di Conrad.<br />

La critica si è soffermata<br />

a varie riprese sull’influenza<br />

di questo autore nella scrittura<br />

di Flai<strong>ano</strong>, mantenendosi<br />

sempre però su una<br />

linea generale e senza fare<br />

riferimento a testi specifici,<br />

almeno fino al 1994, anno in<br />

cui Angiolo Bandinelli e soprattutto<br />

Mario Domenichelli<br />

hanno evidenziato la stretta<br />

analogia fra Cuore di tenebra<br />

e il libro di Flai<strong>ano</strong>. Bandinelli,<br />

nel suo contributo al<br />

Convegno dedicato proprio<br />

a Tempo di uccidere, individua<br />

soprattutto nel quarto<br />

e nel quinto capitolo del<br />

romanzo l’influsso di Heart<br />

of Darkness: «Conrad fornisce<br />

in questi capitoli ben più<br />

dell’atmosfera: qui siamo calati<br />

nel clima tutto interiore<br />

del reietto delle isole, di un<br />

Lord Jim, del Kurt[z] di Cuore<br />

di tenebra, il personaggio e il<br />

libro a mio avviso più misteriosamente<br />

affini a Tempo di<br />

uccidere». 4 Domenichelli inserisce<br />

il libro di Flai<strong>ano</strong> nel<br />

quadro della narrativa europea<br />

che ha come tema il colonialismo<br />

(Kipling, Forster,<br />

Conrad, Céline); in questa<br />

luce il romanzo assume nuovi<br />

significati; non si tratta più<br />

soltanto di un testo critico<br />

del fascismo, ma più in generale<br />

il libro assume la valenza<br />

di aspra denuncia della<br />

violenza e della sopraffazione<br />

sempre connesse a ogni<br />

impresa coloniale. Questo è<br />

probabilmente uno dei motivi<br />

per cui, nel passaggio dal<br />

taccuino al romanzo, Flai<strong>ano</strong><br />

rimuove nomi, luoghi e ogni<br />

riferimento diretto alla guerra<br />

etiopica. Ciò che gli interessa,<br />

di nuovo, non è tanto il<br />

dato concreto quanto l’analisi<br />

di un meccanismo che<br />

sembra ripetersi immutabile<br />

nel corso della storia umana.<br />

Un altro elemento che da<br />

Flai<strong>ano</strong> è attentamente evitato<br />

è il ricorso a un esotismo<br />

di maniera nella rappresen-<br />

3 Ibidem.<br />

4 Angiolo Bandinelli, Un’Africa senza esotismo in Tempo di uccidere: Atti del Convegno nazionale (Pescara, 27-28<br />

maggio 1994), Pescara, EDIARS, 1994, p. 89.<br />

16 17


tazione di ambienti e popoli<br />

africani, senza cedimenti<br />

neppure sul pi<strong>ano</strong> lessicale.<br />

Si tratta ovviamente di una<br />

scelta stilistica precisa, volta<br />

a rendere dell’Africa una<br />

rappresentazione onirica e<br />

oscuramente simbolica, irreale,<br />

ma che del resto riflette<br />

anche la personale prima impressione<br />

dell’autore dopo<br />

l’arrivo in Etiopia. Così infatti<br />

si apre la nota del taccuino<br />

datata 16 novembre:<br />

Un soldato scende dal camion,<br />

si guarda intorno e<br />

mormora: “Porca miseria!”<br />

Egli sognava un’Africa convenzionale,<br />

con alti palmizi,<br />

banane, donne che<br />

danz<strong>ano</strong>, pugnali ricurvi,<br />

un miscuglio di Turchia, India,<br />

Marocco, quella terra<br />

ideale dei films Paramount<br />

denominata Oriente, che<br />

offre tanti spunti agli autori<br />

dei pezzi caratteristici<br />

per orchestrina. Invece<br />

trova una terra uguale alla<br />

sua, più ingrata anzi, priva<br />

d’interesse. L’hanno preso<br />

in giro. 5<br />

La delusione del soldato,<br />

non è difficile intuirlo, è<br />

la stessa delusione provata<br />

dall’autore giunto a contatto<br />

con un mondo che non gli<br />

appare diverso e favoloso<br />

come lo aveva sognato, ma<br />

che anzi rispecchia, in forma<br />

degradata, la sua stessa<br />

realtà di occidentale. Ma la<br />

ricerca frustrata di un ambiente<br />

esotico può anche<br />

essere vista come un indice<br />

di una difficoltà di rapporto,<br />

da parte del soggetto occidentale,<br />

con una realtà che<br />

egli intende affrontare ar-<br />

mato solo di preconcetti e<br />

di immagini letterarie e che<br />

si rivela invece drammaticamente<br />

simile alla sua. Questo<br />

è un importante punto<br />

di contatto tra il romanzo di<br />

Flai<strong>ano</strong> e Cuore di tenebra;<br />

tanto Marlow che il tenente<br />

si vedono in qualche modo<br />

costretti a confrontarsi con<br />

un ambiente diverso e ostile,<br />

ma soprattutto con “l’Altro<br />

da sé”, in un confronto<br />

drammaticamente fallito.<br />

Nel romanzo di Conrad l’indigeno,<br />

l’“Altro”, rimane<br />

sempre una figura marginale,<br />

spesso muta ma in ogni<br />

caso misteriosa, incarnazione<br />

della “tenebra”. Allo<br />

stesso modo il protagonista<br />

di Tempo di uccidere non<br />

entra quasi mai in un vero<br />

contatto con gli indigeni che<br />

incontra. Anche di Mariam,<br />

la donna posseduta e poi<br />

uccisa, paradossalmente il<br />

tenente non sa niente. E proprio<br />

guardandola negli occhi<br />

il protagonista si lascia<br />

andare a una riflessione sulla<br />

sua impossibilità di comprendere<br />

una cultura così<br />

diversa dalla propria:<br />

Perché non capivo quella<br />

gente? Er<strong>ano</strong> tristi animali,<br />

invecchiati in una terra<br />

senza uscita, er<strong>ano</strong> grandi<br />

camminatori, grandi conoscitori<br />

di scorciatoie, forse<br />

saggi, antichi e incolti. [...]<br />

Nei miei occhi c’er<strong>ano</strong><br />

duemila anni in più e lei lo<br />

sentiva. Er<strong>ano</strong> forse come<br />

animali preistorici capitati<br />

in un deposito di carri armati<br />

che s’accorgessero<br />

d’aver fatto il loro tempo e<br />

ne provassero perciò una<br />

inconsolabile malinconia...<br />

5 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Aethiopia, cit., pp. 259-260.<br />

6 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Tempo di uccidere, Mil<strong>ano</strong>, Rizzoli, 2008, pp. 43-44.<br />

7 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Tempo di uccidere, cit., p. 29.<br />

No, troppo semplice, non<br />

avrei mai capito. 6<br />

I più vieti stereotipi e<br />

pregiudizi della mentalità<br />

occidentale si mostr<strong>ano</strong><br />

qui incapaci di fornire una<br />

risposta esauriente al mistero<br />

rappresentato dall’Altro,<br />

ogni tentativo di analisi si<br />

risolve in uno scacco. Il protagonista<br />

non sa cosa Mariam<br />

pensa davvero; non sa<br />

se è malata di lebbra, come<br />

comincia a temere dopo<br />

averla uccisa, quando una<br />

piaga inizia ad apparire sulla<br />

sua m<strong>ano</strong> accompagnata<br />

da macchie scure sulla pelle.<br />

Non è neppure certo che<br />

il vecchio Johannes, che lo<br />

cura, sia o meno il padre di<br />

Mariam. Il protagonista di<br />

Tempo di uccidere, l’invasore,<br />

si trova dunque a constatare<br />

l’incommensurabilità<br />

della distanza tra la sua cultura<br />

e quella del popolo soggiogato,<br />

l’impossibilità di un<br />

vero contatto. E il protagonista,<br />

incapace di comprendere<br />

la cultura dell’“Altro”,<br />

scopre il “cuore di tenebra”<br />

non solo nella propria civiltà,<br />

ma addirittura all’interno<br />

di se stesso.<br />

Un altro elemento di contatto<br />

fra Tempo di uccidere<br />

e Cuore di tenebra è il tanfo<br />

di morte che caratterizza il<br />

luogo e assedia il protagonista;<br />

l’odore della civiltà,<br />

si potrebbe dire, di ciò che<br />

il “progresso” ha portato in<br />

queste terre:<br />

C’era stata una moria tra<br />

i muli della Sussistenza e<br />

tutti i sentieri dell’Africa<br />

puzzav<strong>ano</strong> ormai di muli<br />

morti, di resti di muli divo-<br />

rati dagli animali notturni,<br />

di teschi che ridev<strong>ano</strong> e<br />

brulicav<strong>ano</strong> di vermi». 7<br />

L’odore di morte ha una<br />

enorme rilevanza simbolica<br />

in tutto il romanzo; se è la<br />

civiltà a portare morte e degradazione<br />

nei territori colonizzati,<br />

il segno distintivo<br />

della morte, il puzzo di cadavere,<br />

deve caratterizzare proprio<br />

il protagonista, prototipo<br />

dell’invasore, che qui non è<br />

ritratto né come eroe né come<br />

belva assetata di sangue ma,<br />

più banalmente, come uomo<br />

medio trascinato dagli eventi.<br />

Questo tuttavia non lo assolve<br />

dalla sua colpa, dal suo ruolo<br />

di emissario di morte; anzi il<br />

finale del libro lo vede portare<br />

con sé, inconsapevolmente,<br />

l’odore della morte a cui<br />

spera di sfuggire non appena<br />

abbandonata l’Africa:<br />

Camminavo accanto al sottotenente<br />

e di colpo sentii<br />

il suo profumo. Certo, doveva<br />

ungersi i capelli con<br />

qualche preziosa pomata.<br />

Una pomata dal profumo<br />

delicato, infantile, ma il<br />

caldo la stava inacidendo.<br />

Una pessima pomata, che<br />

il caldo di quella valle faceva<br />

dolciastra, putrida di<br />

fiori lungamente marciti,<br />

un fiato velenoso. Affrettai<br />

il passo, ma la scia di<br />

quell’odore mi precedeva. 8<br />

Il tenente non potrà mai<br />

liberarsi dal puzzo di morte,<br />

che ormai lo caratterizza; tuttavia<br />

egli ne è inconsapevole,<br />

e continua a proiettare sugli<br />

altri quello che invece è il suo<br />

segno distintivo. 9 In questa<br />

trama simbolica, riaffermata<br />

nel momento stesso in cui il<br />

narratore finge aderenza neorealistica<br />

al dato oggettivo,<br />

sta la sostanza perturbante<br />

(unheimlich, avrebbe detto<br />

Freud) che ricollega Tempo di<br />

uccidere a Conrad. Tuttavia (e<br />

questo è forse l’elemento di<br />

maggiore originalità di tutto il<br />

libro) il ruolo del tenente nel<br />

romanzo è sostanzialmente<br />

diverso da quello di Marlow<br />

nel testo di Conrad. Se infatti<br />

in Cuore di tenebra il narratore<br />

mostra una certa eroica<br />

grandezza in virtù dello spietato<br />

coraggio con cui fissa il<br />

suo sguardo nell’orrore della<br />

tenebra che contraddistingue<br />

il lato oscuro della natura<br />

umana altrettanto non si può<br />

dire del tenente di Flai<strong>ano</strong>,<br />

un inetto giocato dal caso, 10<br />

che richiama alla mente<br />

molti personaggi romanzeschi<br />

del primo Novecento e<br />

in particolare il protagonista<br />

della sveviana Coscienza di<br />

Zeno. Come Zeno anche il<br />

tenente è un narratore in prima<br />

persona e, per di più, un<br />

narratore inaffidabile, incline<br />

all’autocompatimento e probabilmente<br />

in malafede. Una<br />

narrazione di questo genere<br />

mette il lettore di fronte a una<br />

evidente perplessità: deve<br />

credere o meno alla verità di<br />

quanto è narrato nel corso del<br />

romanzo? Davvero il tenente<br />

è convinto di aver compiuto<br />

un atto di “misericordia”<br />

finendo Mariam con un colpo<br />

di pistola o si sta soltanto<br />

autoingannando, per cercare<br />

così di sfuggire alle proprie<br />

responsabilità? Si noti con<br />

quanta caparbietà egli rifiuta<br />

di credere che sarebbe stato<br />

possibile salvare Mariam: «la<br />

donna era agonizzante (non<br />

mi si venga a dire che poteva<br />

essere salvata, mi rifiuterò<br />

sempre di crederlo)». 11 E la<br />

8 Ivi, p. 285.<br />

9 In merito al valore emblematico di questa conclusione cfr. Sergio Pautasso, “Tempo di uccidere”: un romanzo profetico<br />

in Tempo di uccidere, Atti del Convegno nazionale, cit., p. 18, e anche Mario Domenichelli, Il contagio della terra<br />

straniera, cit., p. 654.<br />

10 Sull’importanza del caso in Flai<strong>ano</strong>, sul suo peso determinante sul destino um<strong>ano</strong>, che solo apparentemente è libero<br />

ma in realtà è determinato da un gioco di variabili che non lasci<strong>ano</strong> scampo all’individuo, cfr. Maria Corti, Introduzione<br />

a Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere, Mil<strong>ano</strong>, Bompiani, 1988, pp. XX-XXI.<br />

11 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Tempo di uccidere, cit., p. 64.<br />

18 19


notizia che tutto il villaggio<br />

di Mariam era stato distrutto<br />

non solo non riempie d’orrore<br />

il protagonista, ma paradossalmente<br />

suscita la sua<br />

esultanza; Mariam sarebbe<br />

morta comunque, forse in<br />

preda a sofferenze ben più<br />

atroci! Questa semplice considerazione<br />

basta ad alleviare<br />

(almeno temporaneamente,<br />

almeno a livello conscio) il<br />

suo senso di colpa: «L’avrebbero<br />

uccisa egualmente, pensavo.<br />

E uccisa come! Avevo<br />

preceduto di pochi giorni il<br />

suo feroce destino, evitandole<br />

una fine molto più dolorosa.<br />

[...] Questo andavo<br />

ripetendomi mentre scendevo<br />

il sentiero della collina. E<br />

giunsi persino a compiacermi<br />

di averla uccisa». 12<br />

Il tenente è in fondo inetto<br />

anche come criminale.<br />

Dopo aver pianificato (e fallito)<br />

l’omicidio dell’ufficiale<br />

medico che pensava volesse<br />

denunciarlo, dopo aver cercato<br />

di uccidere per lo stesso<br />

motivo anche il maggiore<br />

(che muore, ma non per causa<br />

sua) il protagonista torna<br />

al campo, rassegnato a scontare<br />

la sua pena, ma non viene<br />

processato, è libero piuttosto<br />

di tornare al suo paese.<br />

Ma il lettore, al termine della<br />

narrazione, può constatare<br />

che gli eventi trascorsi hanno<br />

in realtà comportato un ben<br />

scarso aumento di consapevolezza<br />

nel protagonista.<br />

L’uomo medio civile, dopo<br />

aver compiuto un crimine<br />

orrendo e aver soffocato con<br />

l’ipocrisia il proprio senso di<br />

colpa, è pronto per tornare<br />

nel proprio ambiente d’origine<br />

senza subire nessuna apparente<br />

conseguenza. Non<br />

solo l’inettitudine, ma anche<br />

12 Ivi, p. 114.<br />

13 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Tempo di uccidere, cit., p.277.<br />

la evidente malvagità di questo<br />

“uomo medio” mettono<br />

in discussione le certezze<br />

del lettore, impossibilitato<br />

a trovare all’interno del romanzo<br />

un personaggio “positivo”<br />

nel quale proiettarsi,<br />

del quale assumere il punto<br />

di vista. Ma, ancora più nel<br />

profondo, il finale rivela un<br />

aspetto di profonda sfiducia<br />

esistenziale, non solo nei<br />

confronti dell’uomo e della<br />

sua capacità di determinare<br />

il proprio destino ma anche,<br />

e soprattutto, nella possibilità<br />

stessa di comprendere<br />

la realtà. Certi punti, come<br />

suggerisce l’ultimo capitolo<br />

del romanzo, sono destinati<br />

a rimanere oscuri. Perché<br />

Mariam portava il turbante<br />

bianco degli intoccabili se<br />

non era lebbrosa? Quale era<br />

la causa delle piaghe che<br />

er<strong>ano</strong> apparse sul corpo del<br />

tenente e che poi er<strong>ano</strong> guarite,<br />

forse grazie alle cure di<br />

Johannes? Perché il medico,<br />

scampato al maldestro tentativo<br />

di omicidio, non lo<br />

ha denunciato? Tutte queste<br />

domande rimarranno senza<br />

risposta perché è la vita<br />

stessa a non dare risposte, ad<br />

essere priva di senso e di giustizia.<br />

Se alla fine del romanzo<br />

il protagonista finisce per<br />

compiere una maturazione,<br />

se riesce ad acquisire una<br />

consapevolezza, è proprio<br />

quella della assoluta assenza<br />

di scopo dell’esistenza<br />

umana. Ed è il sottotenente,<br />

trasparente personificazione<br />

del punto di vista dell’autore,<br />

ad esprimere questo fondamentale<br />

concetto:<br />

Come tutte le storie di questo<br />

mondo, anche la tua<br />

sfugge a un’indagine. A<br />

meno che tu non voglia ammettere<br />

che le “disgraziate<br />

circostanze” ti seguiv<strong>ano</strong>,<br />

perché facev<strong>ano</strong> parte della<br />

tua persona. Obbediv<strong>ano</strong><br />

soltanto a te. Eri tu, insomma.<br />

Ma dove rifarsi? Come<br />

cavarne una morale? Eccoti<br />

diventato una persona saggia,<br />

da quel giovane superficiale<br />

che eri, e solo per virtù<br />

di qualche assassinio che<br />

hai commesso senza annettergli<br />

la minima importanza.<br />

Mi congratulo. 13<br />

Flai<strong>ano</strong>, al termine del<br />

suo romanzo, mette dunque<br />

in discussione tutte le certezze<br />

del lettore; non soltanto<br />

egli condanna la guerra e il<br />

colonialismo, non soltanto<br />

(al contrario di quanto avviene<br />

ad esempio in Conrad)<br />

egli non fornisce al lettore<br />

alcun personaggio “positivo”<br />

nel quale identificarsi; egli<br />

sembra piuttosto prescindere<br />

dalla stessa distinzione positivo/negativo<br />

e, in ultima<br />

analisi, finisce per negare<br />

qualunque possibile senso<br />

alla vita umana. Questi sono<br />

tutti aspetti perturbanti del<br />

testo e, allo stesso tempo, ne<br />

rappresent<strong>ano</strong> la grande forza<br />

e originalità. In virtù del<br />

coraggio di questa denuncia,<br />

che sembra sondare le “tenebre”<br />

dell’animo um<strong>ano</strong> forse<br />

più di quanto non abbia fatto<br />

lo stesso Conrad, Tempo di<br />

uccidere si è trasformato in<br />

una specie di classico “scomodo”<br />

della nostra letteratura.<br />

E questo aspetto, a nostro<br />

giudizio, ha determinato la<br />

sua non inclusione nel c<strong>ano</strong>ne<br />

più ancora delle censure<br />

politiche o letterarie.<br />

Flai<strong>ano</strong> e le sue<br />

origini. L’Abruzzo<br />

visto dai suoi scritti<br />

Giuseppe Mammetti<br />

Al fine di interpretare ed<br />

analizzare la poetica di<br />

un singolo scrittore, la<br />

conoscenza specifica della<br />

vita si rivela strumento imprescindibile,<br />

tanto più utile<br />

quando l’opera stessa presenta<br />

forti congetture di natura<br />

biografica, che solo la<br />

conoscenza diretta permette<br />

di individuare e ricollegare<br />

al centro del nucleo poetico.<br />

La presenza di elementi<br />

autobiografici nell’opera<br />

di Ennio Flai<strong>ano</strong> è una dato<br />

incontrovertibile. La scrittura<br />

flaianea, sceglie come marca<br />

di verità l’esistenza dell’autore,<br />

traslando gli aspetti<br />

più evidenti del vissuto sulla<br />

pagina letteraria. La vita di<br />

Ennio Flai<strong>ano</strong> (nato a Pescara<br />

il 5 marzo 1910 e morto<br />

a Roma il 20 novembre del<br />

1972), quella che poi diviene<br />

oggetto di narrazione è sostanzialmente<br />

ubicata in due<br />

luoghi: Roma e l’Abruzzo.<br />

La prima, dove passa gran<br />

parte della vita, è il luogo<br />

degli amori, la seconda, più<br />

semplicemente, quello della<br />

genesi. Iniziamo col dire che<br />

Ennio Flai<strong>ano</strong>, a dispetto dei<br />

molti anni passati nella capitale,<br />

non divenne un rom<strong>ano</strong>.<br />

Pur amando la città, mostrerà<br />

sempre nei suoi riguardi<br />

un particolare distacco, figlio<br />

delle austere tradizioni della<br />

terra d’origine. Nei suoi scritti,<br />

distinguiamo chiaramente<br />

l’avversione per la travalicante<br />

apatia capitolina, opposta<br />

alla laboriosità della regione<br />

da cui proviene. Roma, per<br />

Flai<strong>ano</strong>, è il luogo dove il<br />

tempo si è fermato e l’attivismo,<br />

che nell’uomo è naturale,<br />

finisce con lo spegnersi.<br />

Tutta una linea poetica riconducibile<br />

alla sua opera è legata<br />

a questo sentimento; di<br />

avversione e amore per la realtà<br />

che lo circonda. La storia<br />

del marzi<strong>ano</strong> che passa<br />

per la capitale è omologabile<br />

alla sua condizione personale,<br />

di vittima del suo stesso<br />

ambiente.<br />

20 21


A fare della scrittura di<br />

Flai<strong>ano</strong> uno scrittura autobiografica,<br />

più che le scelte<br />

tematiche, assumono un ruolo<br />

fondante quelle formali.<br />

Il personaggio Flai<strong>ano</strong>, personificazione<br />

dello scrittore,<br />

si rivela presente nell’io del<br />

protagonista, tanto che il rapporto<br />

d’identificazione tra lo<br />

scrittore ed i suoi personaggi<br />

è più che una semplice tendenza.<br />

Tutti i personaggi flaianei,<br />

almeno i fondamentali,<br />

vivono in profonda simbiosi<br />

con l’autore, del quale ricalc<strong>ano</strong><br />

le tendenze caratteriali.<br />

Il Marzi<strong>ano</strong>, lo Scrittore della<br />

Conversazione, ma anche<br />

il regista Guido Anselmi di<br />

Otto e mezzo, dimostr<strong>ano</strong><br />

le stesse fattezze morali dello<br />

scrittore. La relazione che<br />

unisce i due luoghi della sua<br />

vita, d’altronde, è scritta nelle<br />

stesse caratteristiche dei<br />

suoi personaggi: la presenza<br />

della terra abruzzese, negli<br />

scritti più maturi è prettamente<br />

indiretta, rimarcata<br />

solo nell’opposizione con la<br />

città eterna.<br />

L’uomo Flai<strong>ano</strong> ricerca<br />

la tranquillità, la calma, la<br />

concentrazione, più come<br />

esigenze spirituali che come<br />

bisogni del quotidi<strong>ano</strong>; lasciti<br />

di un legame che sente<br />

con la terra natale. A rinvigorire<br />

la sua affezione per<br />

l’Abruzzo sono soprattutto i<br />

periodi estivi che, in gioventù,<br />

trascorre a casa dalla madre.<br />

Momenti indispensabili<br />

della formazione intellettuale,<br />

in cui Flai<strong>ano</strong> focalizza<br />

quelle sensazioni primitive<br />

che più tardi descriverà nei<br />

lavori. La purezza del suo<br />

Abruzzo, la disciplina ordinaria<br />

delle giornate di provincia<br />

e l’aria fresca della<br />

sera, tutto opposto al caos<br />

morale che predomina nella<br />

calda capitale dello stato.<br />

Forse, proprio in omaggio al<br />

carattere schivo e rispettoso<br />

degli abruzzesi, Flai<strong>ano</strong><br />

resterà sempre uno scrittore<br />

isolato, partecipe ma mai<br />

pienamente coinvolto nella<br />

faraonica “dolce vita” romana.<br />

Del resto, sia la più conosciuta<br />

delle sue opere, il<br />

celeberrimo Marzi<strong>ano</strong>, sia il<br />

tratto peculiare del suo umorismo,<br />

la riservatezza, risentono<br />

di questo suo connotato<br />

caratteriale: una singolare<br />

distanza dagli argomenti che<br />

sceglie di trattare.<br />

A testimoniare questo<br />

suo aspetto, figlio della fierezza<br />

tipica abruzzese, contribuisce<br />

anche il taglio antiretorico<br />

che Flai<strong>ano</strong> esprime<br />

nel ventennio. Il cavastivale,<br />

lungo racconto ambientato<br />

in una nazione africana retta<br />

dal fantomatico dittatore<br />

di nome “Palank”, esprime<br />

tutta l’insofferenza dello<br />

scrittore per le esagerazioni<br />

propagandistiche del regime.<br />

Il lungo racconto ha per<br />

oggetto l’unitile rincorsa al<br />

progresso del piccolo paese<br />

afric<strong>ano</strong>, che nell’obiettivo<br />

investe ogni tipo di risorsa,<br />

anche umanitaria. Nella sua<br />

boriosa ironia, il racconto<br />

ripercorre uno dei tratti tipici<br />

della terra abruzzese,<br />

il rigetto della personificazione<br />

del potere. L’avversione<br />

ad una gestione troppo<br />

massiccia del potere temporale<br />

ha contraddistinto i<br />

momenti salienti della storia<br />

del territorio, tradizionalmente<br />

lont<strong>ano</strong> dalle dispute<br />

tra potenti. L’eremita Pietro<br />

da Morrone, asceso al soglio<br />

Pontifico come Celestino<br />

V, inaugura con il gesto<br />

proverbiale del rifiuto tutta<br />

una stagione d’isolamento<br />

politico-istituzionale, destinata<br />

a terminare solo con<br />

la nascita della Repubblica<br />

italiana. Il tutto, paradossalmente,<br />

a dispetto di una<br />

locazione geografica che<br />

la pone in stretta vicinanza<br />

con le capitali che lo hanno<br />

dominato storicamente: Napoli,<br />

centro del regno delle<br />

delle due Sicilie, e Roma,<br />

capitale del nuovo stato.<br />

La palese avversione dello<br />

scrittore nei confronti del<br />

potere, trova dunque riscontro<br />

sia nelle vicende storiche<br />

di molti celebri conterranei,<br />

sia nella letteratura coeva,<br />

dove il solo Silone lo ribadisce<br />

più volte con forza.<br />

Il suo percepire “lontana”<br />

la terra di origine, gli<br />

permette di approfondirne<br />

meglio alcuni caratteri peculiari,<br />

come la religiosità. Nel<br />

racconto Il Messia, pubblicato<br />

postumo nell’Autobiografia<br />

del Blu di Prussia, racconta<br />

d’un fantomatico prete<br />

abruzzese, improvvisatosi<br />

messia tra le sue terre. Nel<br />

racconto prende forma un<br />

Abruzzo irto di contraddizioni,<br />

arcaico e pag<strong>ano</strong>, dove la<br />

fede sposa la cultura contadina<br />

e la religione incontra la<br />

credulità popolare.<br />

“Se l’Abruzzo è la regione<br />

d’Italia dove la pratica<br />

della religione cristiana<br />

ha conservato molti caratteri<br />

pagani, è tuttavia<br />

anche la regione dove si<br />

“crede” nel senso più filosofico<br />

della parola : per<br />

il bisogno di credere alla<br />

metafisica stessa .Perciò<br />

in questo paese religione<br />

e vita spesso ,si identific<strong>ano</strong>:<br />

le Madonne Abruzzesi,<br />

per esempio, rispondono<br />

iconograficamente<br />

all’immagine della madre<br />

abruzzese: addolorata,<br />

sempre in angustia per i<br />

figli che lasci<strong>ano</strong> il paese<br />

in cerca di migliore fortuna,<br />

sempre vestita di nero<br />

per i lutti del parentado,<br />

col cuore trafitto da sette<br />

spade e due tonde lacrime<br />

eternamente fermate<br />

sulle guance” 1<br />

Questa particolare devozione<br />

evoca quella narrata da<br />

Silone in Fontamara, quando<br />

nel descrivere il culto di San<br />

Giuseppe da Copertino, mescola<br />

patriottismo e credulità.<br />

Proprio la colorita religiosità<br />

abruzzese, fatta di santi<br />

come di miti, appare l’ideale<br />

sottostrato su cui collocare<br />

le vicende di Don Oreste<br />

de Amicis, che verso il 1870<br />

si proclamò il nuovo Messia<br />

d’Abruzzo. Il contenuto<br />

della storia non rappresenta<br />

tuttavia una novità letteraria:<br />

è stato gia narrato dal De<br />

Nino e anche Gabriele d’Annunzio<br />

ne ha accennato in<br />

un suo romanzo. Come suo<br />

costume, Flai<strong>ano</strong> coglie nella<br />

vicenda del nuovo messia<br />

gli aspetti più comici e grotteschi,<br />

venandola di un provincialismo<br />

che a tratti tocca<br />

livelli esilaranti.<br />

“Don Oreste fu chiamato<br />

il “pretone” per le sue forme<br />

atletiche. Era patriota.<br />

Odiò sempre certi suoi parenti<br />

perché di principi non<br />

liberali. Spesso si recava<br />

nella fortezza di Pescara a<br />

visitare i prigionieri politici,<br />

portando giornali esteri che<br />

riceveva da un capit<strong>ano</strong><br />

svizzero in ritiro. Quando<br />

nel ‘60 il regno delle Due<br />

Sicilie fu unito all’Italia,<br />

don Oreste fece addirittura<br />

stranezze per la grande<br />

gioia. La notte del 25 con<br />

l’aiuto dei fratelli montò un<br />

palcoscenico con telone<br />

sull’altare maggiore” 2<br />

Questa breve dissertazione<br />

religiosa, non restituisce<br />

un Flai<strong>ano</strong> dedito ai grandi<br />

interrogativi o avvezzo all’indagine<br />

delle profondità spirituali,<br />

ma conferma un autore<br />

che guarda alla religione con<br />

disincanto e concreta ironia,<br />

la stessa che rivolge ai problemi<br />

concreti e alle fatiche<br />

quotidiane. Per Flai<strong>ano</strong><br />

la religione e la religiosità,<br />

sono concetti umani più che<br />

divini, e present<strong>ano</strong> particolare<br />

propensione ad incarnare<br />

tanto i valori culturali,<br />

quanto le stranezze di chi le<br />

professa. Sempre nel Messia<br />

l’autore ripete:<br />

“A lode di Don Oreste<br />

deve essere precisato che<br />

non cercò di imitare i miracoli<br />

più in voga (ma preferì<br />

riecheggiare gli avvenimenti<br />

biblici, e in un secondo<br />

genere tutto nuovo,<br />

come quello del treno, che<br />

a me è servito per approfondire<br />

le idee personali<br />

sul progresso, e l’evoluzione<br />

scientifica” 3<br />

La religiosità abruzzese<br />

del Messia e, in minima<br />

parte, l’ambiente familiare<br />

descritto nel Minore, costituiscono<br />

per Flai<strong>ano</strong> le chiavi<br />

di un ritorno alle origini:<br />

quell’Abruzzo cui è legato<br />

in modo imprescindibile.<br />

L’intensità del legame con la<br />

sua terra, è deducibile proprio<br />

dal primo volume degli<br />

scritti postumi, L’Autobiografia<br />

del blu di Prussia, che<br />

segnaliamo tra le opere più<br />

interessanti. In essa, specie<br />

quando il tono surreale dei<br />

racconti sposa lo stile caustico<br />

ammirabile in La pietra<br />

turchina, si genera un’ideale<br />

autobiografia indiretta;<br />

ponte tra il passato (spesso<br />

immaginario) in cui l’autore<br />

inizia la sua vita ed il caos<br />

creativo in cui la conclude.<br />

1 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere. Scritti postumi, a cura di A. Longoni e M. Corti, Ed. Bompiani, Roma, 2001, p. 75<br />

2 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere. Scritti postumi, p. 82<br />

3 Ennio Flai<strong>ano</strong>, Opere. Scritti postumi, p. 99<br />

22 23


Ritratto di<br />

uno studioso:<br />

Vittori<strong>ano</strong><br />

Esposito<br />

Vittori<strong>ano</strong> Esposito, nato<br />

a Cel<strong>ano</strong> nel 1929, vive<br />

ad Avezz<strong>ano</strong>. Come<br />

i tulipani, fiori dai colori<br />

vivaci con i petali un po’<br />

racchiusi in sè, il mondo di<br />

questo studioso, dall’apparenza<br />

sorridente e riservata,<br />

ci rivela un universo ricco<br />

e affascinante: segnato dalla<br />

curiosità e dalla passione<br />

verso la letteratura italiana,<br />

nonché dall’amore verso la<br />

propria terra, l’Abruzzo. Perciò,<br />

in un <strong>numero</strong> dedicato<br />

a questa regione, devastata<br />

dal terrremoto aquil<strong>ano</strong>, in<br />

cui trov<strong>ano</strong> posto testi sulle<br />

grandi personalità abruzzesi,<br />

non può non figurare il<br />

nome di Vittori<strong>ano</strong> Esposito.<br />

Se così fosse, ciò non sarebbe<br />

una semplice dimenticanza,<br />

ma sì un’assenza imperdonabile!<br />

Il suo profilo è quello di<br />

un ricercatore instancabile,<br />

come conferma il piccolo<br />

ed accogliente studio che ha<br />

in casa. È stato in quest’atmosfera<br />

che in una giornata<br />

d’inverno di un paio d’anni<br />

fa ha ricevuto a casa sua due<br />

giovani curiosi che dav<strong>ano</strong> i<br />

primi passi della loro carrie-<br />

Patricia Peterle e Andrea Santurb<strong>ano</strong><br />

(Univ. Fed. di Santa Catarina)<br />

ra, per parlare un po’ della<br />

sua esperienza e di Ignazio<br />

Silone – uno scrittore abruzzese<br />

a cui ha dedicato molti<br />

libri. L’atteggiamento di<br />

Esposito, in questa fredda<br />

giornata, può far ricordare<br />

le parole di Luce D’Eramo,<br />

con cui ha fondato i Quaderni<br />

Siloniani 1 , quando la<br />

studiosa si riferisce, nel suo<br />

libro L’opera di Ignazio Silone<br />

(1971), alla gentilezza,<br />

alla pazienza ed al cameratismo<br />

intellettuale di Silone.<br />

Vale la pena ricordare che<br />

la stessa D’Eramo è stata<br />

alcune volte ricevuta dallo<br />

scrittore di Pescina, nella<br />

sua casa romana. E questa<br />

generosità intellettuale è un<br />

tratto che può essere rintracciato<br />

anche negli scritti<br />

di Vittori<strong>ano</strong> Esposito e che<br />

caratterizza tutto il suo lungo<br />

percorso critico.<br />

Dopo essersi laureato in<br />

Lettere Classiche all’Università<br />

di Roma, discutendo una<br />

tesi su Cesare Pavese, con<br />

Natalino Sapegno e Alfredo<br />

Schiaffini, già come ordinario<br />

di Lettere italiane e Storia<br />

negli Istituti Magistrali e<br />

Tecnici, negli anni ‘70 e ‘80,<br />

Vittori<strong>ano</strong> Esposito ha collaborato<br />

con la cattedra di Letteratura<br />

<strong>Italiana</strong> presso l’Università<br />

dell’Aquila. In questo<br />

periodo ha anche tenuto una<br />

serie di conferenze, dentro e<br />

fuori l’Italia, come in Canada<br />

ed in Svizzera.<br />

Nel 1988, paralellamente<br />

al ruolo di professore, ha<br />

fondato la rivista Abruzzo<br />

Letterario, che ha diretto<br />

fino al 1993. Il solido contributo<br />

di Vittori<strong>ano</strong> Esposito<br />

alla stampa regionale e<br />

italiana è confermato dalle<br />

varie recensioni, articoli,<br />

saggi firmati da lui e pubblicati<br />

in <strong>numero</strong>se riviste<br />

come: Abruzzo, La Fiera<br />

letteraria, Letteratura <strong>Italiana</strong><br />

Contemporanea, Oggi e<br />

Domani, Misura, Nuova Antologia,<br />

Persona, Prospettiva<br />

Persona, Ragguaglio librario,<br />

Riscontri, Sìlarus, Studi<br />

e ricerche, Tempo Presente,<br />

Trimestre. Se si pensa alla<br />

divulgazione dei suoi studi<br />

all’estero si possono ricordare<br />

i contributi pubblicati su<br />

Canadian Journal of Italian<br />

Studies e i <strong>numero</strong>si (o quasi<br />

infiniti) accenni e citazioni<br />

fatti alle sue ricerche in varie<br />

1 Pubblicazione del Centro Studi Ignazio Silone di Pescina, alla quale há partecipato anche Giuseppe Tamburr<strong>ano</strong>.<br />

riviste del campo accademico<br />

2 . Per quel che riguarda il<br />

Brasile, anche qui il nome di<br />

Vittori<strong>ano</strong> Esposito è un riferimento<br />

e circola in alcuni<br />

articoli, come si può constatare<br />

nella consultazione<br />

delle seguenti riviste: Revista<br />

de Letras (2000), vol. 40,<br />

dell’Universidade Estadual<br />

Paulista, Faculdade de Filosofia,<br />

Ciências e Letras de<br />

Assis; Letras de Hoje (1984),<br />

nº 55-58, del Departamento<br />

de Letras, della Pontifícia<br />

Universidade Católica do<br />

Rio Grande do Sul.<br />

Questo girare il mondo,<br />

senza che vi sia un vero e<br />

proprio spostamento, ai brasiliani<br />

può ricordare Machado<br />

de Assis, che “viaggiava<br />

mentre leggeva”. Se i libri<br />

per Machado significav<strong>ano</strong><br />

la possibilità di conoscere<br />

un’altra cultura come quella<br />

francese o italiana, così<br />

presente in vari racconti o<br />

romanzi dello scrittore di<br />

Rio de Janeiro, anche per<br />

Vittori<strong>ano</strong> Esposito i libri<br />

occup<strong>ano</strong> senz’altro un posto<br />

prezioso. Infatti, oltre<br />

ad essere uno strumento<br />

di lavoro e conoscenza, si<br />

configur<strong>ano</strong> da subito per<br />

lo studioso abruzzese come<br />

laboratorio delle sue riflessioni<br />

critiche. Ed è da questo<br />

fervido laboratorio che vengono<br />

fuori dei volumi dedicati<br />

ai vari momenti della<br />

storia e della letteratura italiana<br />

e, in particolare, agli<br />

autori abruzzesi. Dell’estesa<br />

produzione di Esposito sulla<br />

letteratura italiana si può<br />

ricordare: Pirandello poeta<br />

lirico (Brescia, Magalini,<br />

1968), Introduzione a Giacomo<br />

Leopardi (Avezz<strong>ano</strong>,<br />

Eirene, 1972), Pavese poeta<br />

e la critica (Firenze, Edizioni<br />

della Nuova Europa, 1974),<br />

Interpretazioni critiche del<br />

«Quinto Evangelio» (Roma,<br />

Edizioni dell’Urbe, 1978),<br />

Religione e religiosità in<br />

Leopardi (Foggia, Bastogi,<br />

1998), La “Commedia” dantesca<br />

tra fede e dissenso (Pescara,<br />

Tracce, 1999). Senza<br />

dimenticare il progetto della<br />

poesia italiana del Novecento<br />

con i nove volumi criticoantologici<br />

della serie L’altro<br />

Novecento. Dice Maria Grazia<br />

Lenisa 3 :<br />

2 Solo per citare alcune opere che fanno riferimento alle sue pubblicazioni ed ai suoi studi: La letteratura drammatica<br />

in Abruzzo: dal Medioevo sacro all’eredità dannunziana: atti del convegno (1995) a cura di Gianni Oliva, Vito Moretti,<br />

Daniele Properzi; Dialect poetry of Southern Italy: texts and criticism: a trilingual anthology (1997) di Luigi Bonaffini;<br />

Politics of the visible: writing women, culture, and fascism (1997) di Robin Pickering-Iazzi; Forum Italicum (2000), pubblicazione<br />

del Dipartimento di Modern Languages della Florida State University; Italian quarterly (1990), vol 31, pubblicazione<br />

del Dept. of Italian dell’University of California, New Europe for the old? (1998) di Stephen Richards Graubard;<br />

Ignazio Silone in exile: writing and antifascism in Switzerland, 1929-1944 (2005) di Deborah Holmes; Cassell dictionary<br />

of Italian literature (1996), a cura di Peter Bondanella, Julia Conaway Bondanella, Jody Robin Shiffman; Rivista di studi<br />

italiani: RSI (2001), vol.19, del Dept. of Italian Studie, dell’University of Toronto.<br />

3 Poetessa di origine friulana, morta recentemente il 28 aprile del 2009. Tra i suoi libri possono essere ricordati: tra<br />

cui vanno ricordati almeno Il tempo muore con noi (1955); I pensieri di Catullo (1958); Terra violata e pura (1975);<br />

Erotica (1979); L’ilarità di Apollo (1983); La ragazza di Arthur (1991); L’ombelico d’oro (2003).<br />

24 25


Poesia, non-poesia, antipoesia<br />

del’900 itali<strong>ano</strong> è<br />

innazittuto opera di uno<br />

storico della letteratura,<br />

ma anche di un critico,<br />

capace di arrischiare giudizi,<br />

valutazioni personali<br />

su autori contemporanei<br />

attraverso un pazientissimo<br />

lavoro di schede<br />

e profili. L’indagine complessiva<br />

è condotta con<br />

grande lucidità. Ne risulta<br />

un p<strong>ano</strong>rama della<br />

poesia contemporanea,<br />

come dice lo stesso autore<br />

“tra cronaca, storia<br />

e controstoria”, dalle “vie<br />

maestre alle vie secondarie”<br />

e credo che meerito<br />

non indifferente venga<br />

ad Esposito dal suo impegno<br />

rivolto a far luce su<br />

queste ultime.<br />

Per quel che riguarda<br />

invece gli scritti dedicati<br />

all’Abruzzo, che sono altrettanto<br />

<strong>numero</strong>si, si possono<br />

citare: Mario Pomilio<br />

narratore e critico militante<br />

(Roma, Edizioni dell’Urbe,<br />

1978), Ignazio Silone. La<br />

vita, le opere, il pensiero<br />

(Roma, Edizioni dell’Urbe,<br />

1980), Lettura di Ignazio<br />

Silone (Roma, Edizioni<br />

dell’Urbe, 1985), Donna<br />

e poesia oggi in Abruzzo<br />

(Roma, Edizioni dell’Urbe,<br />

1986), Per un altro D’Annunzio<br />

(Roma, Edizioni<br />

dell’Urbe, 1988), Attualità<br />

di Silone (Roma, Edizioni<br />

dell’Urbe, 1989), Vita e<br />

pensiero di Ignazio Silone<br />

(Cerchio, Polla, 1993), il<br />

saggio sulla poesia di Vito<br />

Moretti Segni di scrittura<br />

(Roma, Bulzoni, 1994), Vita<br />

e pensiero di Ennio Flai<strong>ano</strong><br />

(Cerchio, Polla, 1996), Silone<br />

vent’anni dopo (L’Aquila,<br />

Amministrazione Provinciale,<br />

1998), Ignazio<br />

Silone ovvero un “caso” infinito”<br />

(Pescina, Centro Studi<br />

Siloniani, 2000), Poetica<br />

e poesia di Cesare Pavese<br />

(Foggia, Bastogi, 2001),<br />

Questioni siloniane (Avezz<strong>ano</strong>,<br />

Edizioni Marsica Domani,<br />

2003).<br />

Merita un’attenzione<br />

particolare la fondamentale<br />

rassegna di poeti che hanno<br />

scritto in itali<strong>ano</strong>, in latino<br />

ed in dialetto, intitolata Parnaso<br />

d’Abruzzo (1980). Così<br />

come l’autore avverte già<br />

dalla prime pagine:<br />

[...] l’opera vuol essere innanzitutto<br />

una “rassegna”<br />

di quanto l’Abruzzo ha<br />

prodotto, dall’unità d’Italia<br />

ai nostri giorni, nel campo<br />

della poesia. Ma c’è da aggiungere<br />

subito, ed è questa<br />

la sua maggiore novità,<br />

che per la prima volta l’indagine<br />

si estende dalla lirica<br />

alla satira e all’epigramma,<br />

in un triplice versante<br />

linguistico: itali<strong>ano</strong>, latino<br />

e dialetto.<br />

È un “materiale” raccolto,<br />

dunque, che offre<br />

un’immagine completa del<br />

p<strong>ano</strong>rama della produzione<br />

abruzzese.<br />

Un altro aspetto della<br />

critica di Vittori<strong>ano</strong> Esposito,<br />

come si può verificare<br />

nelle pubblicazioni più recenti,<br />

è l’attenzione dedicata<br />

ad Ignazio Silone. Una<br />

figura molto ma, allo stesso<br />

tempo, poco conosciuta,<br />

già al centro di “casi”; due,<br />

secondo Esposito, il primo<br />

quando è vittima del silenzio<br />

della critica italiana e il<br />

secondo quando la famosa<br />

polemica scatenata da Biocca<br />

e Canali lo accusa di essere<br />

stata una spia fascista.<br />

Su quest’ultima polemica,<br />

vari libri sono stati pubbli-<br />

cati e tanti intellettuali e studiosi<br />

sono intervenuti: dallo<br />

stesso Vittori<strong>ano</strong> Esposito, a<br />

Giuseppe Tamburr<strong>ano</strong>, a Indro<br />

Montanelli, a Norberto<br />

Bobbio.<br />

La lettura e l’analisi puntuale<br />

delle opere siloniane,<br />

sia dal punto di vista storico<br />

sia da quello critico-letterario,<br />

ha permesso a Vittori<strong>ano</strong><br />

Esposito di comporre,<br />

pian pi<strong>ano</strong>, una complessa<br />

costellazione che (ri)discute<br />

le opere narrative di Ignazio<br />

Silone. A questo proposito,<br />

si possono segnalare i<br />

già citati Lettura di Ignazio<br />

Silone (1985) e Ignazio Silone<br />

ovvero un “caso”infinito<br />

(2000). Nell’avvertenza<br />

contenuta nella prima opera,<br />

Vittori<strong>ano</strong> Esposito parla<br />

al lettore di come ha conosciuto<br />

Silone e si è avvicinato<br />

alla sua opera. I dodici<br />

capitoli, sommati alle appendici<br />

che tratt<strong>ano</strong> anche<br />

dei punti di vista dei critici,<br />

sono inoltre delle pagine importanti<br />

sulla fortuna critica<br />

siloniana. Un libro essenziale<br />

per qualsialsi studioso,<br />

uno strumento che raccoglie<br />

un ventaglio di informazioni<br />

varie sulla produzione e ripercussione<br />

delle opere dello<br />

scrittore abruzzese. Nel<br />

suo secondo lavoro monografico<br />

su Silone, Esposito<br />

ripercorre attraverso una lettura<br />

aggiornata la travagliata<br />

vicenda siloniana, un “caso<br />

infinito” appunto, culminata<br />

nel dibattito spia/non spia,<br />

che ha occupato per mesi<br />

le pagine dei più importanti<br />

quotidiani italiani.<br />

Tutti questi sono degli<br />

scritti che testimoni<strong>ano</strong> il percorso<br />

intrapreso da Vittori<strong>ano</strong><br />

Esposito, vincitore di alcuni<br />

premi di critica letteraria, e<br />

conferm<strong>ano</strong> il suo ricco e polifonico<br />

universo.<br />

Gennaro<br />

Manna e<br />

la terra<br />

d’AbruzzoAldo Onorati<br />

Su “Atti del Convegno<br />

Internazionale di studio<br />

‘Gennaro Manna’<br />

1991”, Sandro Sticca scrive:<br />

“ Manna costituisce una indelebile,<br />

memorabile e complessa<br />

analisi dell’esistenza e<br />

della condizione umana che<br />

si rivela non soltanto nella<br />

dettagliata esposizione della<br />

crisi della generazione del<br />

dopoguerra, ma nella profonda<br />

ed illuminata scansione<br />

ed esaltazione del temperamento,<br />

della coscienza e dei<br />

valori spirituali della sua terra<br />

natia: l’Abruzzo”.<br />

L’autore è nato nel 1922<br />

a Tocco Casauria (Pescara);<br />

è morto a Roma nel 1990. A<br />

Roma si era laureato in Giurisprudenza.<br />

Dal 1950, infatti,<br />

ha abitato nella Capitale, ove<br />

ha lavorato e conosciuto i migliori<br />

nomi della Letteratura.<br />

Già nel 1959 pubblica il<br />

primo libro, Le terrazze, ove<br />

la presenza del mondo contadino<br />

dà adito ai critici di<br />

pensare che il narratore sia<br />

legato ai temi del neorealismo,<br />

mentre Manna appartiene<br />

fin dagli inizi alla sfera<br />

dello scandaglio interiore<br />

dei personaggi, legando la<br />

narrazione all’essenza della<br />

sua origine ( scriverà, infatti,<br />

: “Il mio cuore batte /<br />

campagnolo / dov’è germogliato<br />

/ chiamando gli olivi<br />

per nome” ). E’ del 1962 Un<br />

uomo senza cappello (Rizzoli),<br />

romanzo che delinea una<br />

scaltrezza tecnica di narratore<br />

attento ai particolari, non<br />

solo quelli del paesaggio, ma<br />

dei protagonisti, pur senza<br />

indebolire gli effetti visivi,<br />

tanto che i critici hanno insistito<br />

sulla filmicità dei suoi<br />

testi, vibrati con una sintassi<br />

sicura, netta, addizionale,<br />

tesa a trasmettere al lettore<br />

una partecipazione al sentire,<br />

che diviene un tramite<br />

di auscultazione dei complessi<br />

fermenti della vita e<br />

del mondo. Tale particolarità<br />

non si perde mai nelle pagine<br />

di Manna, anzi si rafforza<br />

laddove torna il mondo contadino<br />

( L’aquila impagliata,<br />

Rizzoli,1968), complicato<br />

da un atteggiamento gnoseologico<br />

di chiara presa, che<br />

qualcuno ha riportato alla<br />

lezione verghiana: una famiglia<br />

che muta, fino al declino,<br />

nell’osmosi tentatrice<br />

e negativa con l’ambiente<br />

26 27


che si trasforma nei tempi<br />

sociali e in quelli interiori.<br />

Ma è con il romanzo L’abdicazione<br />

(Bietti, 1972) che<br />

Manna incide fortemente<br />

nel campo etico, poiché il<br />

motivo dominante del contrasto<br />

fra la volontà onesta,<br />

la forza dell’intelligenza<br />

propositiva e battagliera, è<br />

teso al massimo in un conflitto<br />

fra il protagonista e la<br />

città simbolo inquietante di<br />

un potere sospeso sul nero<br />

precipizio della decadenza.<br />

Qui, il dualismo bene-male,<br />

specificamente in campo<br />

politico, si identifica anche<br />

nella differenza che Manna<br />

pone fra la città ( ed è facile<br />

connotarla) e la provincia<br />

abruzzese, ritratta con amore,<br />

passione, memoria poetica.<br />

Si è insistito da parte<br />

della critica su un tema centrale<br />

della poetica di Manna:<br />

la difficoltà degli uomini di<br />

influire sul destino di decadenza<br />

delle cose, della civiltà,<br />

delle coscienze. Ma ciò<br />

non è esatto, e la risposta la<br />

dà questo romanzo, in cui il<br />

protagonista, Giovanni Martani,<br />

giornalista, di estrazione<br />

meridionale-provinciale,<br />

entrato in crisi a causa della<br />

lotta interiore fra il respingere<br />

gli allettanti compromessi<br />

d’una carriera sociale e la<br />

rettitudine che “non paga”<br />

nel mondo corrotto, decide<br />

di ritirarsi nel suo paese,<br />

tornando a coltivare le terre<br />

paterne. A ciò è spinto anche,<br />

se non soprattutto, dal<br />

secondo protagonista, in<br />

questo caso “antagonista”,<br />

Fulvio Nicotra, da lui stesso<br />

introdotto nel campo della<br />

politica. Ma il colpo di scena<br />

viene per m<strong>ano</strong> del parroco<br />

di quel luogo di provincia<br />

in cui Martani si è ritirato,<br />

gettando la spugna. Questo<br />

attore minore, cioè il sacer-<br />

dote, diviene così il movente<br />

interno centrale dell’opera,<br />

perché rimuove il giornalista<br />

dal suo torpore, dicendogli<br />

che al male bisogna opporre<br />

il lavoro per l’umanità, senza<br />

scegliere il comodo esilio e<br />

l’autoflagellazione rassegnata.<br />

Un messaggio deciso,<br />

impregnato nel complesso<br />

narrativo del testo, non ritagliato<br />

a margine, o a esergo<br />

morale, bensì interiorizzato<br />

nelle osmosi che si cre<strong>ano</strong><br />

fra i personaggi, protagonisti<br />

e antagonisti, fino a<br />

coagulare la significazione<br />

morale in un incitamento a<br />

ribellarsi al male, a opporre<br />

qualcosa di costruttivo – ancorché<br />

destinato alla sconfitta<br />

– contro le compromissioni,<br />

che sono il principio<br />

di ogni adulterazione!<br />

La passione politica diviene<br />

forte in Il potere e la<br />

maschera ( 1977 ), una metafora<br />

costellata da simbologie<br />

interessanti, che prosegue<br />

idealmente L’abdicazione,<br />

portando la filosofia della<br />

vita dell’autore verso sbocchi<br />

non direi ottimistici ( Manna<br />

è troppo intelligente per credere<br />

al trionfo indisturbato<br />

del bene ), ma decisamente<br />

etici, ove per etica si intenda<br />

un atto di amorosa fiducia<br />

nell’umanità.<br />

L’invenzione narrativa si<br />

schematizza in un saggio, a<br />

suo modo nuovo ( Tramonto<br />

della civiltà contadina ),<br />

del 1979, in cui la questione<br />

meridionale torna con suggerimenti<br />

e proposte, ma soprattutto<br />

con la passione poetica<br />

( in senso lato, etimologico<br />

), che dipana le tesi<br />

dense e matematiche di tanti<br />

studiosi della problematica<br />

del Sud, e lo fa con una<br />

prosa di scrittore che vuole<br />

chiarire, far comprendere,<br />

divulgare, al fine di risolvere<br />

la vexata quaestio che divide<br />

l’Italia prima e dopo il<br />

Risorgimento.<br />

L’anno della morte (1990)<br />

esce con Camunia Adamo<br />

a Gaeta. Scrive Vittori<strong>ano</strong><br />

Esposito:” Adamo a Gaeta<br />

viene a chiudere, in un certo<br />

senso, la sua appassionata<br />

riflessione sulla crisi della<br />

civiltà contadina, tema ricorrente<br />

nelle sue opere precedenti,<br />

sia di narrativa che di<br />

saggistica”.<br />

Il libro, breve per la verità,<br />

ma tenuto su un alto<br />

registro di complessità interiore<br />

e strutturale, varrebbe<br />

la pena sintetizzarlo nella<br />

trama di cui Manna è intrecciatore<br />

misurato e scaltro.<br />

Aveva scritto Michele Prisco<br />

in prefazione a L’abdicazione<br />

:” Manna traccia con amara<br />

disinvoltura il proprio atto di<br />

ricognizione sull’uomo e su<br />

una precisa autentica realtà”.<br />

Col suo impegno di giornalista<br />

( “Il Tempo”, “L’ Osservatore<br />

Rom<strong>ano</strong>”, “Il popolo”,<br />

“La discussione”), ha<br />

portato avanti un discorso<br />

politico parallelo, ricoprendo<br />

incarichi importanti, sempre<br />

nell’ambito culturale.<br />

E allora l’Abruzzo, terra di<br />

confine della Roma tentacolare<br />

divisa dagli alti Appennini<br />

fra le sponde tirreniche e<br />

quelle adriatiche; la montuosa<br />

regione d’Abruzzo diviene<br />

simbolo e allusione polisemica<br />

per Gennaro Manna,<br />

una sorta di pillola della salute<br />

dell’anima, un mito da<br />

cui far sgorgare acqua salutare<br />

per berne dal cavo delle<br />

mani alla maniera degli antichi<br />

padri. E, questo, Gennaro<br />

Manna lo dice e lo auspica.<br />

La sua opera omnia , stilata<br />

con penna maestra, porta<br />

con sé un programma. Sta al<br />

lettore decodificarlo: e non è<br />

difficile, ma salutare.<br />

L’ultimo<br />

Bonaviri<br />

Intervista su Il vicolo blu<br />

Secondo il noto critico<br />

letterario Walter Mauro,<br />

sono due i libri che<br />

danno inizio alla narrativa<br />

fantastica nell’Italia del dopoguerra<br />

e pongono fine alla<br />

stagione neorealista. I libri in<br />

questione sono Il sentiero dei<br />

nidi di ragno di Italo Calvino<br />

e Il sarto della stradalunga di<br />

Giuseppe Bonaviri. Sul primo<br />

autore si è ampiamente<br />

discusso; sul secondo ancora<br />

poco, a mio avviso, la critica<br />

ha lavorato ed ora che Bonaviri<br />

è scomparso è necessario<br />

si affretti a riempire alcuni<br />

vuoti lasciati.<br />

Dopo anni passati con<br />

gli occhi rivolti al sole della<br />

Sicilia, Bonaviri ha vissuto<br />

ininterrottamente dal 1958 a<br />

Frosinone nella riservatezza<br />

che necessitava alla meditazione<br />

di questo scrittore che,<br />

legato come da una corda<br />

pazza alla natìa Sicilia, intesse<br />

nel racconto infinite<br />

anabasi fantastiche. Il punto<br />

Pulcinelli Camilla<br />

di partenza è sempre Mineo,<br />

paese del poeta Paolo Mura e<br />

di Luigi Capuana. Dall’umile<br />

ma sapienziale realtà contadina<br />

ed artigiana, Bonaviri è<br />

pronto a compiere quel folle<br />

volo che trasporta in una<br />

dimensione reinventata dove<br />

la stessa Sicilia regredisce<br />

verso un passato arabo e normanno<br />

con ascendenza greca<br />

ed empedoclea. A questa<br />

cantilena lontana ed arcana<br />

lo scrittore di Mineo presta<br />

il suo orecchio per scovare<br />

tra le pieghe di un tempo<br />

lont<strong>ano</strong>, contadino e dal sapore<br />

primigenio, la risposta<br />

agli incessanti interrogativi<br />

dell’uomo. La ricerca si compie<br />

superando gli spazi determinabili<br />

geograficamente<br />

abbracciando quella che<br />

Di Biase definì dimensione<br />

dell’oltre 1 , deformando non<br />

solo lo spazio ma anche il<br />

tempo con l’intento di proiettarsi<br />

in un tempo cosmico.<br />

Nella dimensione di Bonaviri<br />

ogni essere partecipa all’infinito<br />

divenire del cosmo<br />

mescolandosi alle infinite<br />

metamorfosi psico-fisiche<br />

che nel cosmo stesso avvengono.<br />

Perché l’uomo Bonaviri<br />

oltre che scrittore e poeta<br />

è anche scienziato e sa che<br />

nell’universo nulla si crea o<br />

si distrugge ma tutto è in continua<br />

mutazione. Il desiderio<br />

più alto è quello di scovarne<br />

il segreto da rivelare agli<br />

uomini proiettandosi oltre il<br />

reale e andando a cercare<br />

all’indietro, verso un nucleo<br />

di creazione primigenia. Sarà<br />

per questo che nel continuo<br />

voltarsi indietro è fondamentale<br />

per lo scrittore non perdere<br />

di vista l’infanzia che<br />

oltre ad essere l’età in cui il<br />

fanciullino che è in noi meglio<br />

coglie di essere figlio di<br />

una più grande cosmica madre,<br />

è anche l’età perpetua<br />

di Bonaviri con cui giocare<br />

con un tono tra il nostalgico,<br />

il retorico e narcisistico. Per<br />

uno scrittore dalla vena di<br />

fiaba, figlio di una madre che<br />

aveva memoria di centinaia<br />

di storie come una sorta di<br />

Decameron vivente, non può<br />

che essere l’infanzia l’età<br />

mitica, l’età dell’oro. Il libro<br />

dell’infanzia per eccellenza<br />

di Bonaviri è sicuramente Il<br />

vicolo blu 2 . E’ uno degli ultimi<br />

scritti (editi) dello scrit-<br />

1 C. Di Biase, Giuseppe Bonaviri. La dimensione dell’oltre, Napoli, Libreria Edirice E. Cassitto, 1994.<br />

2 Giuseppe Bonaviri, Il vicolo blu, Palermo, Sellerio, 2003.<br />

28 29


tore più volte candidato al<br />

Nobel e che pure è riuscito<br />

a non farsi annebbiare la vista<br />

e la prodigiosa memoria<br />

dagli ingranaggi di un mondo<br />

arido e tecnologizzato, lo<br />

stesso mondo che ha distrutto<br />

quella Sicilia umile eppure<br />

così sapiente di cui era figlio,<br />

e dai giochi di poteri di un<br />

mondo editoriale e letterario,<br />

in senso più ampio, con cui<br />

non è mai sceso a compromessi.<br />

Il vicolo blu è un inno<br />

all’infanzia e pur partendo<br />

dal dato autobiografico costantemente<br />

lo supera divenendo<br />

un libro sulla vita dei<br />

bambini figli di società rurali,<br />

delle loro ansie e tumultuose<br />

fantasie ma soprattutto è<br />

la convincente prova della<br />

capacità sensitiva e sensoriale<br />

dei fanciulli di captare le<br />

vibrazioni di un incessante<br />

eracliteo divenire. In ultimo,<br />

ma non meno importante, è<br />

il libro della speranza di ricomporre<br />

frammenti di mille<br />

memorie e far rivivere fratelli,<br />

sorelle, amici,piante,sassi,<br />

polvere che l’incessante cor-<br />

sa del tempo e del progresso<br />

spazza via impietosamente.<br />

Quella che segue è un’intervista<br />

rilasciatami da Giuseppe<br />

Bonaviri un mese prima<br />

della sua morte. E’ un’intervista<br />

su Il vicolo blu e,<br />

visto lo svolgersi degli eventi,<br />

un estremo saluto dello scrittore<br />

alla sua terra e alla sua<br />

infanzia, dal sapore quasi testamentario.<br />

D: Il Vicolo blu è più di altri<br />

il libro della sua infanzia, vissuta<br />

tra l’altopi<strong>ano</strong> di Camuti<br />

ed i vicoli di Mineo. Walter<br />

Pedullà scrive che lei è uno<br />

scrittore infantile e mai puerile<br />

perché sa che l’infanzia<br />

è soprattutto inf-ansia. Come<br />

si potrebbe definire l’infanzia<br />

dei ragazzini del vicolo blu?<br />

Che ansie hanno questi bambini<br />

del vicolo?<br />

R: E’ un’infanzia la quale abbraccia<br />

un po’ tutto il mondo<br />

in quanto questi bambini,<br />

senza volerlo, con i contatti<br />

che hanno con i genitori,<br />

con gli animali che ci sono<br />

nel cortile, col vento, con la<br />

primavera, hanno una visione<br />

globale che gli altri bambini<br />

non hanno.<br />

D: L’altopi<strong>ano</strong> di Camuti viene<br />

da lei decantato come un<br />

giardino dell’Eden dove l’uomo<br />

entra in intimo e profondo<br />

contatto con la natura. Mi<br />

sembra però che a tratti sia<br />

anche regno dell’Ade, con gli<br />

asfodeli dal profumo mortifero,<br />

i burroni con le ossa di<br />

animali morti. Da cosa nasce<br />

questa duplicità? E’ una duplicità<br />

che lei ritiene sia insita<br />

nella vita?<br />

R: Si è una duplicità che è<br />

anche insita nella vita ma<br />

mentre noi già arriviamo sul<br />

fronte della società, adulti,<br />

con delle visioni chiare in<br />

quel caso i bambini non hanno<br />

delle visioni chiare per cui<br />

accett<strong>ano</strong> il mondo nella loro<br />

complessità e lo vivono con<br />

un’altra ansia, un’altra angoscia,<br />

un’altra perspicacia che,<br />

comunemente, noi adulti non<br />

abbiamo più.<br />

D: Tra le culture che fanno<br />

da sfondo a questo mondo<br />

contadino, orfico, bucolico,<br />

troviamo la cultura normanna.<br />

Ne Il vicolo blu si nota<br />

come la gente del vicolo si<br />

nutra di storie e leggende<br />

sui paladini di Francia. Succedeva<br />

davvero, come nel<br />

romanzo, che le persone rielaborav<strong>ano</strong><br />

queste leggende<br />

per trasferirle nel loro mondo<br />

quotidi<strong>ano</strong>?<br />

R: Si, si succedeva in quanto i<br />

Paladini praticamente rappresentav<strong>ano</strong><br />

la grossa divisione<br />

che esiste nel mondo tra bene<br />

e male, fra quelli che vincono<br />

e quelli che perdono, per cui<br />

c’era indubbiamente.<br />

D: I bambini del romanzo si<br />

ripeto spesso una domanda,<br />

insistente, costante: dove va a<br />

finire la carne? E’ tutto destinato<br />

a svanire nel nulla? Qual<br />

è il suo pensiero in proposito?<br />

R: Nel nulla nulla completo<br />

no, perché resta sempre<br />

quella che è la memoria che<br />

trasmettiamo ai nostri figli,<br />

a quelli che vengono dopo<br />

di noi.<br />

D: I protagonisti del romanzo<br />

scoprono la vita e la morte<br />

anzitutto attraverso la natura.<br />

Riguardo la morte lei quanto<br />

la riesce ad accettare?<br />

R: Accettare la morte è un po’<br />

difficile perché praticamente<br />

indica lo stacco dalla vita,<br />

che ha una sua grossa elasticità,<br />

una sua grossa poliedricità<br />

e invece nella morte tutto<br />

si ossifica. Quindi non è tanto<br />

facile accettarla.<br />

D: Tutti i critici sono concordi<br />

nel ritenere la sua scrittura<br />

una scrittura di memorie, per<br />

scavare e recuperare dal’oblio<br />

chi non c’è più. La sua scrittura<br />

avrebbe dunque quasi un<br />

potere di resurrezione. Se lei<br />

combatte con l’oblio sente di<br />

star facendo una sorta di fatica<br />

di Sisifo oppure crede che<br />

l’oblio possa essere vinto?<br />

R: L’oblio totale non c’è mai<br />

perché sempre emerge qualcosa<br />

nei nostri rapporti nelle<br />

nostre memorie. Quindi<br />

l’oblio vero e proprio non<br />

c’è mai.<br />

D: L’altro aspetto con cui<br />

i bambini si relazion<strong>ano</strong> è<br />

l’amore e la sessualità. Ho<br />

colto un duplice aspetto nel<br />

concetto di amore: c’è Eros<br />

ma c’è anche Tanathos. Penso<br />

all’episodio delle due allodole<br />

che, prese dall’estasi del<br />

congiungimento, non riescono<br />

più a volare e si schiant<strong>ano</strong><br />

sui fichi d’india. Si può<br />

dire che c’è questo doppio<br />

volto di Eros e Tanathos, di attrazione<br />

e repulsione nei confronti<br />

della sessualità?<br />

R: Questa è una bella osservazione.<br />

E’ vero, è vero, esiste<br />

questo doppio volto.<br />

D: Nel romanzo ad un certo<br />

punto mentre lei, suo fratello<br />

e Pippuzzo Amarù vi recate a<br />

scuola un contadino vi lancia<br />

una sorta di monito ma che<br />

suona quasi come una maledizione:<br />

-Quando voi saprete leggere<br />

e scrivere, vi allontanerete<br />

da questo mondo, ne<br />

sarete lontanissimi e non ci<br />

capiremo più.-<br />

Quanto è vera secondo lei<br />

questa affermazione?<br />

R: E’ vera perché in parte io<br />

ho a che fare con un mondo<br />

contadino che ormai è<br />

scomparso,contadino nel<br />

senso totale della parola. E’<br />

30 31


sottinteso che oggi un contadino<br />

così non c’è più per cui<br />

praticamente questo che mi<br />

ha detto non si può mettere in<br />

tavola come si poteva mettere<br />

cinquanta, sessant’anni fa.<br />

D: Mi è sembrato di capire<br />

che gli esseri che più riescono<br />

ad entrare in questo senso<br />

delicatamente cosmico,<br />

si<strong>ano</strong> soprattutto i bambini.<br />

Pare proprio che coloro che<br />

sanno vedere più in profondità<br />

l’aspetto della realtà si<strong>ano</strong><br />

proprio loro. In questo si<br />

può rintracciare un richiamo<br />

all’idea del fanciullino che ha<br />

il Pascoli?<br />

R: In un certo qual modo si,<br />

perché in noi c’è sempre un<br />

fanciullino dentro che parla,<br />

che ci anima, che ci spinge<br />

ad osservare, a guardare per<br />

cui in un certo qual modo un<br />

rapporto con il fanciullino del<br />

Pascoli c’è.<br />

D: In un passaggio de Il vicolo<br />

blu lei scrive, le cito testualmente:<br />

…noi più grandi, scrivevamo,<br />

con quel linguaggio arc<strong>ano</strong><br />

per tutti, contro il biondeggiare<br />

delle messi fra cui noi<br />

bambini dovevamo lavorare,<br />

contro l’acqua che scarseggiava<br />

nel paese, contro il padre<br />

e la madre che ci avev<strong>ano</strong><br />

creati e vivev<strong>ano</strong> beati di noi,<br />

contro tutti gli spiriti malefici…che<br />

sentivamo che ci<br />

rincorrev<strong>ano</strong> da ogni parte…<br />

contro la Madonna che proteggeva,<br />

ben tenendolo stretto,<br />

soltanto il suo bambino,<br />

contro le stelle che volevamo<br />

spazzare dal cielo, contro<br />

chi ci aveva fatti precipitare<br />

sulla terra.<br />

Mi sembra che questo passaggio<br />

sveli la sua natura pessimista<br />

e sembri riecheggiare<br />

Leopardi, il concetto di Natura<br />

che non si cura dei propri<br />

figli. Ne Il dormiveglia scrive<br />

che forse la vita potrebbe es-<br />

sere nata per caso, uscita per<br />

un qualche errore dalla tela<br />

nera della morte. Si può dire<br />

che in questi passaggi ci sia<br />

una eco leopardi<strong>ano</strong>?<br />

R: Se lei l’ha trovata questa<br />

eco leopardiana esiste certamente,<br />

certo non è più l’eco<br />

leopardiana del 1820 – 1830<br />

perché sono cambiate tante<br />

cose, anche in noi sono<br />

cambiate; quindi è una eco<br />

la quale non è più come una<br />

eco del passato, è una eco un<br />

po’ diversa.<br />

D: Io ho notato questa eco leopardiana<br />

ma c’è anche una<br />

grande differenza con Leopardi.<br />

Quello di Leopardi è<br />

un pessimismo cosmico mentre<br />

in lei resta sempre uno spiraglio<br />

che è anche la luce di<br />

cui parla alla fine de Il Vicolo<br />

blu e che sente solo lei e suo<br />

fratello. Cosa vuole dirmi di<br />

questa luce?<br />

R: E’ una luce che nasce sempre<br />

dall’infanzia, un’infanzia vissuta<br />

in mezzo alla natura lont<strong>ano</strong><br />

da una società in un certo qual<br />

modo tecnologizzata e in parte<br />

anche politicamente corrotta.<br />

Quindi è un’infanzia che ci<br />

riporta indubbiamente a quello<br />

che è il senso cosmico del<br />

Pascoli del fanciullino.<br />

D: Alcuni personaggi del romanzo<br />

arriv<strong>ano</strong> a pensare<br />

che sia meglio essere alberi e<br />

vivere immobili sempre nello<br />

stesso punto piuttosto che<br />

scontarsi col molteplice divenire<br />

della vita. In questa prospettiva<br />

il moto è sinonimo di<br />

ansia e l’immobilità di quiete<br />

ma anche di morte. Perché il<br />

movimento e il cambiamento<br />

gener<strong>ano</strong> ansia?<br />

R: Il cambiamento significa<br />

che noi siamo costretti a<br />

sottostare a dei mutamenti<br />

familiari, sociali e di ordine<br />

addirittura biologico. E quindi<br />

corrisponde ad un’inquietudine<br />

di fondo.<br />

D: Riguardo all’aspetto religioso<br />

nel romanzo compaiono<br />

due crocifissi: uno è deformato<br />

dalla luce del lume<br />

Max nella piazza del paese<br />

ed appare mostruoso, l’altro<br />

se ne sta appeso in un catoio<br />

ed emana strane luminescenze,<br />

è coperto di polvere. Io ho<br />

letto questo fatto come la dimostrazione<br />

che questa gente<br />

vive una vita difficile, che<br />

spesso non hanno neanche<br />

un Cristo che li consoli, che<br />

forse più che Dio o comunque<br />

oltre Dio ci sono tante<br />

migliaia di deità, nei tronchi<br />

d’albero, nell’acqua di fonte.<br />

Lei cosa ne pensa?<br />

R: La visione politeista si può<br />

dire che sia più moderna di<br />

quella monoteista. La monoteista<br />

finisce in un solo Dio<br />

che racchiude tutto in sé stesso<br />

e la politeista che invece<br />

ha tante possibilità di trovare<br />

gli dei negli alberi, nell’acqua,<br />

nei monti e nel sorgere e<br />

cadere del sole.<br />

D: Quando nel libro muore<br />

il giovane Neli, al dolore per<br />

quella perdita si unisce anche<br />

la natura. Piove, le galline<br />

emettono suoni striduli, e cito<br />

testualmente dal testo: Gli assioli<br />

non cantarono più, le civette<br />

restarono immobili sulle<br />

querce, le volpi negli arboreti.<br />

Leggo in questo quel senso<br />

delicatamente cosmico di cui<br />

parlava Vittorini, il fatto che<br />

ogni creatura sia immersa nel<br />

cosmo e partecipi a questo<br />

moto di creazione e trasformazione<br />

che vi avviene. Lei<br />

cosa ne pensa?<br />

R: Indubbiamente perché la<br />

natura porta in sé quello che è<br />

l’ansito e l’aspetto quasi biologico<br />

del passare del tempo<br />

e del mutare e il mutamento<br />

di per sé indica anche in un<br />

certo qual modo l’inquietudine<br />

che ci investe quando c’è<br />

un mutamento.<br />

La potenza<br />

dei figli:<br />

Epopea ultrà<br />

di Giuseppe<br />

Manfridi<br />

Fabio Pierangeli<br />

La frase in esergo di Epopea ultrà di Giuseppe Manfridi (nato a Roma<br />

nel 1958, affermato drammaturgo sulla scena internazionale e romanziere<br />

alla sua terza prova), edito da Limina 2009, non lascia dubbi: si<br />

tratta di un romanzo sul rapporto, tra padri e figli: “Achille, figlio di Peleo”,<br />

Iliade I,1 “Il prode figlio di Anchise, / Enea”, Iliade II,820Ad Omero si sovrappone<br />

l’Enea con in braccio Anchise e tra i piedi il piccolo Ascanio, nel<br />

gruppo del Bernini della Galleria Borghese di Roma, con la coscienza della<br />

fuga dalla patria in fiamme, nella difficile necessità della ricostruzione. La<br />

città distrutta resta alle spalle, da quell’incendio si dipana la possibilità di<br />

raccontare, portando via quello che si è salvato, anzi che si è voluto salvare,<br />

custodire, facendone memoria. Si tratta insomma di ricostruire città,<br />

distrutte, rappresentate nel romanzo di Manfridi dal rito tribale del calcio.<br />

Dal tempio stadio, dove si avvi<strong>ano</strong>, come nel pregevole disegno di copertina<br />

dell’autore stesso, un padre e un figlio. M<strong>ano</strong> nella m<strong>ano</strong>, moltitudine<br />

di m<strong>ano</strong> che cerc<strong>ano</strong> altre mani. In quel gesto passa la vita, il sangue, la<br />

ferita e il desiderio. In quel piazzale di fronte allo stadio, piccole bande<br />

di ragazzi violentate dal malessere (anche di non aver avuto quella m<strong>ano</strong>,<br />

riempita presto di sassi, se non di pistole) si intrufol<strong>ano</strong> pronte a scatenare<br />

la battaglia, armate da grandi interessi economici. La potenza dei figli,<br />

in memoria, attiva, trascinante, dei padri, sarà capace di illuminare, ribaltandolo<br />

in una forza positiva, quasi che nel deserto si vedesse ricrescere e<br />

abbeverarsi un filo d’erba, dentro un solido muro. Storie parallele, quelle<br />

di Angelo il poliziotto e di Vinz, l’ex capo tifoso, dalla metà degli Ottanta a<br />

vent’anni dopo, grazie ai figli si illumin<strong>ano</strong> di una luce resistente, condensata<br />

in un messaggio altissimo, pronunciato, per tornare alle origini dello<br />

sport e della civiltà, ispirandosi di nuovo al pensiero greco, nel gorgo della<br />

degenerazione dello sport più popolare, il calcio, corroso dalle logiche<br />

incalzanti delle televisioni e del mercato sempre più nevrotico e barbaro.<br />

La trama è avvincente e densa, animata dalle vicende parallele, incontratesi<br />

fatalmente in un solo attimo, di Angelo e Vinz, al prendere forma di protagonisti<br />

nel grande teatro della vita e dello sport delle figure femminili, Carmela<br />

(moglie di Angelo) sullo sfondo, la fragile e temeraria Claudia, moglie<br />

di Vinz, e infine i figli, decisivi nel loro cercarsi, per diventare, da orfani,<br />

promotori di un inaspettato cambiamento, dentro un mondo così corrotto da<br />

rendere assai poco credibile il germe della speranza.<br />

32 33


Francesco<br />

Alberoni<br />

L’età cambia amore<br />

e sesso. A 50 anni<br />

emozioni più vere<br />

Sta avvenendo un profondo<br />

cambia mento del rapporto<br />

fra sesso e amo re nelle di-<br />

verse età della vita. Nel passa to le<br />

ragazze avev<strong>ano</strong> i primi rappor-<br />

ti sessuali verso i diciott’anni con<br />

l’inna morato, mentre i maschi fa-<br />

cev<strong>ano</strong> le lo ro prime esperienze<br />

con le prostitute. Nelle ragazze<br />

il sesso era legato all’amo re, nei<br />

maschi separato. Oggi le ragaz-<br />

ze hanno le prime esperienze a<br />

tredici, quattordici anni con i coetanei.<br />

Amore e sesso perciò si<br />

sono avvicinati, ma que sti amori<br />

adolescenziali, anche se emoti-<br />

vamente molto intensi, sono fra-<br />

gili, di corta durata.<br />

Fra i venti ed i trent’anni ma-<br />

schi e femmine sono impegnati<br />

nello studio, nella carriera, cambi<strong>ano</strong><br />

città e lavoro, viaggi<strong>ano</strong>,<br />

desider<strong>ano</strong> divertirsi. Hanno <strong>numero</strong>se<br />

esperienze amorose ma<br />

è diffi cile che vi si abbandoni-<br />

no totalmente, che ne facci<strong>ano</strong><br />

la loro principale ragio ne di vita.<br />

Molti rinvi<strong>ano</strong> il matrimonio e il<br />

momento di avere figli. Spesso le<br />

donne sogn<strong>ano</strong> un uomo ideale e<br />

che le ami in modo appassionato<br />

e che sia loro fedele. Ma fanno<br />

fatica a trovarlo per ché anche gli<br />

uomini sono gelosi e loro hanno<br />

cambiato spesso partner. Quasi<br />

tutte poi si spos<strong>ano</strong>, o convivono<br />

ed han no figli, ma le coppie sono<br />

spesso fragi li.<br />

Proprio questa fragilità e l’au-<br />

mento del <strong>numero</strong> dei single fanno<br />

sì che molte donne, quando hanno<br />

figli grandi, tor n<strong>ano</strong> a cercare<br />

l’amore. E possono farlo perché<br />

grazie alle diete, alla ginnastica,<br />

alle cure ormoniche, alla chirurgia<br />

este tica rest<strong>ano</strong> biologicamen-<br />

te giovani e belle. Alcune, imitan-<br />

do i maschi ricchi e le dive del<br />

cinema, cerc<strong>ano</strong> un uomo mol to<br />

più giovane ma spesso finiscono<br />

delu se, gelose ed ansiose. Ma per-<br />

ché lo fan no? Che cosa attrae in<br />

una persona gio vane? Un corpo<br />

più muscoloso o un seno più eret-<br />

to? No, ciò che attrae è una men te<br />

fresca, libera, curiosa, aperta, sen-<br />

za tabù, senza inibizioni, piena di<br />

slancio vitale, che vuole divertirsi,<br />

vuole godere del nuovo. Ma queste<br />

caratteristiche esi stono anche<br />

in persone che hanno più o meno<br />

la stessa età e sono affascinanti. È<br />

con loro che, liberi dai problemi<br />

dei fi gli e della carriera, e usando<br />

saggiamen te l’esperienza, posso-<br />

no realizzare una intimità ed un<br />

piacere erotico di cui non er<strong>ano</strong><br />

capaci da giovani.<br />

Sono sicuro che molti si<br />

meraviglie ranno di quanto dico.<br />

Ma solo perché vi sono troppi pre-<br />

giudizi, troppi tabù e troppo poche<br />

ricerche sull’amore delle donne fra<br />

i quaranta e i sessant’anni. Mentre<br />

è diffuso e destinato a crescere col<br />

prolungarsi della durata della vita.<br />

CruCiverba<br />

Unavvocato conclude la sua appassionata<br />

arringa con queste parole:<br />

— Ricordatevi, signori giurati, che essendo<br />

il mio cliente totalmente sordo, non ha<br />

potuto sentire la voce della conscienza!<br />

34 35<br />

SOLuZiONi<br />

CruCiverba

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