09 - Il Comune che vorrei - La Theka
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<strong>La</strong> parola ai cittadini<br />
<strong>La</strong> <strong>Theka</strong> Anno 2010 - N. 9<br />
12<br />
I luoghi comuni<br />
di Matteo De Rocco<br />
Se penso ai luoghi di aggregazione <strong>che</strong> mi hanno accompagnato fin da bambino, i ricordi più lontani vanno alla scuola, alla chiesa, al<br />
catechismo. Da piccolino incontravo i miei amici davanti al “fontanon”, poi iniziai a frequentare la piazza, i bar del paese, quelli di Feltre,<br />
alcuni locali dell’alta trevigiana e perfino gli ostelli d’Australia. Attualmente i luoghi “comuni” dove mi si può trovare sono: su facebook,<br />
alla macchinetta del caffè e presso la redazione della <strong>Theka</strong>. Sono all’apice del mio successo, no?<br />
Peccato però <strong>che</strong> in ognuno di questi luoghi comuni mi scontri con quegli “altri” luoghi comuni, quelli senza i quali non riesco a completare<br />
una semplice conversazione fra compaesani. “Sì, parchée, ai trentini la ghe va ben fin <strong>che</strong> i paga coi nostri”, “E i èstracomunitari? Che<br />
i vien a far dàni e basta?”, “E a ònde éle finìe le mède stajòn?”.<br />
Mi piacerebbe poter dire <strong>che</strong> queste parole sono di qual<strong>che</strong> vecchio nostalgico di Emanuele II, ma sono ragazzi più giovani di me a dirle<br />
e a crederci. Ma, d’altra parte, tale padre tale figlio, oppure, la mela non casca troppo lontana dall’albero, si dice così vero?<br />
Che poi, diciamolo, i luoghi comuni non sono mica tutti disfattisti. È infatti luogo comune dire <strong>che</strong> più in basso di così non si può andare,<br />
<strong>che</strong> l’anno <strong>che</strong> verrà dovrà portare una ripresa, <strong>che</strong> la crisi se la sono inventata quelli della televisione. E, ancora, <strong>che</strong> a quelli in cassa<br />
integrazione va fin troppo bene: pagati per non far niente, e magari con un lavoretto in nero. Lo si dà per assodato, ma si sa <strong>che</strong> non è<br />
sempre così.<br />
Eppure basterebbe un minimo di buonsenso, buongusto e intelligenza per portare tutti noi ad elaborare delle frasi senza stereotipi né<br />
luoghi comuni, per riuscire ad articolare un discorso non dico illuminante, ma perlomeno non banale. D’altra parte però ci vantiamo di essere<br />
uno dei popoli più alcolizzati d’Europa, e quindi non possiamo andare molto più in là del dire <strong>che</strong> la Chiesa è piena di soldi, <strong>che</strong> certe<br />
cose succedono solo in Italia, <strong>che</strong> i politici pensano solo a tenersi la poltrona sotto il culo, e <strong>che</strong> le Dolomiti sono le montagne più belle del<br />
mondo. Poi succede <strong>che</strong> un prete muoia in Guatemala, <strong>che</strong> un politico americano sia indagato per corruzione, <strong>che</strong> davanti ai propri occhi<br />
appaiano le Snowy Mountains, e allora per un istante mettiamo in discussione an<strong>che</strong> tutti i dogmi, perché ci sentiamo alienati dalla società.<br />
Se posso dire la mia, sono proprio quei momenti <strong>che</strong> mi fanno apprezzare tutte le sfaccettature della società in cui vivo, <strong>che</strong> sarà an<strong>che</strong><br />
fatta di banalità e luoghi comuni, ma sa stupirmi con la sua varietà e le sue evoluzioni. Evviva i colori dell’autunno e le rondini in primavera,<br />
e al diavolo chi ha tempo solo per le chiacchiere!<br />
<strong>Il</strong> piano possibile<br />
di Edi Zatta<br />
Gli ultimi dati elaborati nel 20<strong>09</strong> sul consumo di suolo fanno emergere<br />
una situazione a dir poco allarmante. <strong>Il</strong> primato spetta alla Lombardia,<br />
<strong>che</strong> nel periodo 1999-2006 ha perso 26.000 ettari di superficie<br />
agricola, dei quali oltre 22.000 sono diventati urbanizzati, quindi perduti<br />
in maniera irreversibile. <strong>Il</strong> risultato consolidato parla del 14% di<br />
superficie urbanizzata sul totale dell’intera superficie regionale ma,<br />
se ci riferiamo ai soli territori lombardi di pianura si tratta di quasi un<br />
quarto dei suoi territori a vocazione agricola.<br />
In questo contesto si inserisce di recente il caso di un <strong>Comune</strong> e del<br />
suo Sindaco, Domenico Finiguerra, <strong>che</strong>, per primo, ha deciso di non<br />
cedere alla scorciatoia degli oneri di urbanizzazione, rifiutandosi di<br />
percorrere la facile via della svendita del territorio.<br />
Si tratta di Cassinetta di Lugagnano, un comune di 1.800 abitanti sul<br />
Naviglio Grande, a sud-ovest di Milano, territorio in cui le pressioni<br />
edilizie sono state accentuate a causa della migrazione dei milanesi<br />
verso i comuni contermini.<br />
Con la precisa volontà di invertire la rotta e tutelare il proprio territorio,<br />
nel 2002 Finiguerra si è presentato alle elezioni <strong>che</strong> ha vinto con il<br />
50% dei voti. <strong>La</strong> nuova Amministrazione ha subito avviato un processo<br />
di partecipazione con i cittadini, condividendo le proprie intenzioni<br />
ed integrando nelle proprie politi<strong>che</strong> idee e visioni specifi<strong>che</strong> della<br />
popolazione stessa; di fronte alla scelta proposta dall’Amministrazione,<br />
i cittadini di Cassinetta hanno deciso di non alterare il patrimonio<br />
ambientale del <strong>Comune</strong> con nuove aggressioni edilizie, accettando<br />
contestualmente un moderato aumento delle imposte comunali.<br />
Le idee così condivise sono state realizzate con l’approvazione nel<br />
2007 di un Piano Regolatore <strong>che</strong> puntasse all’azzeramento del consumo<br />
di suolo, ossia <strong>che</strong> non prevedesse nuove aree di espansione<br />
urbanistica e <strong>che</strong> investisse tutto sul recupero del patrimonio immo-<br />
biliare già esistente e sulla valorizzazione del paesaggio.<br />
<strong>Il</strong> piano ha preso le mosse da un’approfondita analisi demografica <strong>che</strong><br />
portasse così alla determinazione dell’effettivo fabbisogno abitativo:<br />
quanti gli abitanti realisticamente previsti per i successivi 10 anni?<br />
Quanti i nuovi alloggi effettivamente necessari? A questa domanda<br />
abitativa il piano ha risposto attraverso una molteplicità di soluzioni:<br />
il recupero puntuale di edifici degradati, il completamento di alcune<br />
previsioni vigenti (piani di lottizzazione e di recupero), la riconversione<br />
di aree produttive dismesse, la saturazione di aree già edificate.<br />
Di fatto non viene bloccata l’edilizia, viene densificata la città esistente<br />
evitando lo spreco di nuovo suolo.<br />
Contestualmente, per sopperire alla mancanza degli introiti derivanti<br />
dagli oneri di urbanizzazione, l’Amministrazione ha operato attraverso<br />
la riduzione delle spese superflue, il risparmio energetico negli<br />
edifici pubblici e l’avvio di una raccolta differenziata spinta per garantire<br />
ai cittadini una bolletta meno pesante. E un passo è stato fatto<br />
an<strong>che</strong> verso la “finanza creativa”, come per i matrimoni organizzati e<br />
gestiti dal <strong>Comune</strong> nelle ville di proprietà pubblica lungo il Naviglio.<br />
<strong>La</strong> vicenda di Cassinetta dà così concretezza all’idea <strong>che</strong> i Comuni<br />
possano realmente mettere in moto cambiamenti sostanziali nel governo<br />
del territorio. Le potenzialità ci sono, quello <strong>che</strong> manca, spesso,<br />
è la volontà e il coraggio politico di agire. <strong>Il</strong> percorso è sicuramente<br />
difficile e l’esempio di Cassinetta non può essere semplicisticamente<br />
replicabile o banalmente generalizzabile ad ogni realtà. Qualcosa<br />
però sta oggettivamente cambiando: una campagna “Stop al consumo<br />
di territorio” sta diffondendo sempre più forte la propria voce a<br />
livello nazionale mentre nuovi comuni adottano piani a crescita zero,<br />
come Camigliano in provincia di Caserta e Solza in provincia di Bergamo,<br />
al Sud come al Nord.