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II puntata - Taranto in cartolina

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della questione. Il dialetto è mafioso: «Chi parla il dialetto non ha la<br />

coscienza pulita», «Chi parla il dialetto è cattivo e del<strong>in</strong>quente», «Il<br />

dialetto si parla coi mafiosi», «Il dialetto è una l<strong>in</strong>gua sbagliata e<br />

scorretta come i boss di Cosa nostra».<br />

È una cosa da poveracci: «Il siciliano è più volgare e lo parlano i<br />

bamb<strong>in</strong>i sporchi, maleducati, cattivi e poveri», «La l<strong>in</strong>gua secondo me<br />

e più adatta ai signori di lusso e <strong>in</strong>vece il dialetto e più adatto ai<br />

contad<strong>in</strong>i <strong>in</strong>somma gente povera».<br />

È «roba» da strada: «L´<strong>in</strong>dialetto non mi piace perché è brutto e si<br />

parla <strong>in</strong> mezzo alla strada, vorrei che <strong>in</strong> Sicilia tutti parlassero<br />

italiano, compresi i del<strong>in</strong>quenti».<br />

È meridionale: «Io volevo nascere a Firenze no a part<strong>in</strong>ico ma il mio<br />

dest<strong>in</strong>o è stato questo».<br />

È di ieri: «Ormai si è perso il dialetto che si parlava a quei tempi e<br />

<strong>in</strong>vece ora si parla il dialetto "<strong>in</strong>carcariato"».<br />

È diseducativo: «L´<strong>in</strong>dialetto per i bamb<strong>in</strong>i non è il parlamento<br />

giusto».<br />

Non serve per i quiz: «Bisogna parlare anche <strong>in</strong> Italiano perché<br />

dobbiamo saper rispondere bene alle domande di uno spettacolo<br />

televisivo ad esempio: "Tutti per uno", "Ok il prezzo è giusto"».<br />

E nemmeno per l´amore: «Se un maschio dice a una donna: "sei<br />

bella", lei si emoziona <strong>in</strong>vece se un maschio dice a una donna "chi sì<br />

bedda" la donna si emoziona però non le piace come le è stato detto».<br />

Sono <strong>in</strong> tanti i ragazz<strong>in</strong>i che hanno chiaro il valore <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seco del<br />

dialetto e la sua ricchezza creativa. Per loro è un dest<strong>in</strong>o, ma anche un<br />

piacere: «Il siciliano viene parlato per orig<strong>in</strong>e l´italiano per<br />

educazione», «Secondo me con il dialetto ci si nasce», «L´italiano è<br />

molto gentile è <strong>in</strong>vece il dialetto è scortese, però a me mi piace il<br />

dialetto, «Certe volte parliamo <strong>in</strong> siciliano perché questa è la nostra<br />

l<strong>in</strong>gua e ci score il sangue siciliano». E c´è, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, chi chiosa con<br />

ironia: «Io con i miei amici ci parlo, <strong>in</strong>vece <strong>in</strong> dialetto i ci parru».<br />

La chiave di volta è tutta <strong>in</strong> questa frase: «Non capisco perché oggi i<br />

genitori non vogliono <strong>in</strong>segnare ai propri figli la l<strong>in</strong>gua che parlavano<br />

un tempo i loro nonni, i bis-nonni, i bis bis nonni, la l<strong>in</strong>gua che si<br />

parlava ai tempi di Salvatore Giuliano». Ovviamente il ragazz<strong>in</strong>o <strong>in</strong><br />

questione è di Montelepre. La sua riflessione comunque rimanda al secolare<br />

braccio di ferro tra l<strong>in</strong>gua e dialetto e ai luoghi del conflitto. Intanto, vediamo<br />

quando si <strong>in</strong>ceppa la corsa del vernacolo. Con la costituzione dello Stato unitario<br />

si pone il problema della creazione di una l<strong>in</strong>gua nazionale per mettere <strong>in</strong>

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