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“Il dialetto Tarant<strong>in</strong>o: una favola ancestrale …”<br />
a cura di<br />
Enrico Vetrò<br />
Seconda <strong>puntata</strong><br />
TARANTINE! WE CAN! (’A lènghe de Tarde! Nnù’ ll’hama ’ngarrá’)<br />
Tarde nuèstre d’ô satèllete. Máre Másce, Máre Pìcce e ll’ìsele de Sambíetre 1<br />
sòtte ô tàcche …<br />
Il dialetto tarant<strong>in</strong>o è forma palpitante e viva<br />
che consente una comunicazione carnale. Esso<br />
è la voce schietta del sangue che scorre nelle<br />
nostre vene, il latte che abbiamo succhiato dal<br />
petto della nostra mamma che si è fatto parola<br />
<strong>in</strong>delebile nel tempo e nello spazio … e.v.<br />
1 “Másce” , dal lat<strong>in</strong>o “Majus” = “Grande”. “Pìcce”, da l’antico italiano “Picciolo”, vezzeggiativo di “piccolo”.
Pers<strong>in</strong>o il nostro grande poeta eroe Gabriele d’Annunzio, il vate della<br />
parola aulica, utilizzò il dialetto per avvolgere i suoi pensieri <strong>in</strong> una<br />
bambagia di sacralità. Egli usò il suo abruzzese, ma non disdegnò di<br />
esprimersi <strong>in</strong> milanese, romanesco, veneto e napoletano. Ecco alcuni<br />
versi di un sonetto dialettale dedicati alla sorella Anna:<br />
Sant'Anne mè, tu a sta sposa belle<br />
fàjjele scì senza che se n'addone,<br />
falla fetà sotta 'na bona stelle<br />
…<br />
(Sant'Anna mia, tu a questa sposa bella/faglielo nascere senza che neppure se<br />
ne accorga,/falla partorire sotto una buona stella) 2<br />
…<br />
Ma quanti pregiudizi contro il dialetto …<br />
…<br />
La Repubblica.it Palermo 14 marzo 2007<br />
Uno studio di Giovanni Ruff<strong>in</strong>o sull´avversione per il siciliano<br />
La l<strong>in</strong>gua non è più madre<br />
I ragazz<strong>in</strong>i la associano a qualcosa di volgare o al codice della mafia<br />
Una testimonianza-choc "Lo parlano i bamb<strong>in</strong>i sporchi maleducati e<br />
poveri"<br />
Al questionario hanno risposto 167 scuole per novemila elaborati<br />
2 “L<strong>in</strong>gua, dialetto e letteratura” <strong>in</strong>: http://userhome.brooklyn.cuny.edu/bonaff<strong>in</strong>i/DP/dialettoletteratura.pdf.
La percentuale di chi lo conosce è scesa del 40 per cento dal ´78 al<br />
2005 Il dialetto è brutto, sporco, rozzo, malavitoso e «stradaiolo». I<br />
bamb<strong>in</strong>i pensano tutto il male possibile della l<strong>in</strong>gua dei padri. Lo<br />
«certifica» una ricerca avviata nel 1995 dall’Istituto di L<strong>in</strong>guistica<br />
della facoltà di Lettere di Palermo, le cui analisi appena concluse sono<br />
oggetto del libro "L’<strong>in</strong> dialetto ha la faccia scura - Giudizi e pregiudizi<br />
l<strong>in</strong>guistici dei bamb<strong>in</strong>i italiani" di Giovanni Ruff<strong>in</strong>o (Sellerio, 290<br />
pag<strong>in</strong>e, 18 euro).<br />
Via via che si scende dalle Alpi verso il Mediterraneo gli epiteti<br />
negativi sul vernacolo si <strong>in</strong>crementano. In Sicilia poi l´avversione<br />
raggiunge il picco massimo. L´équipe di Ruff<strong>in</strong>o, preside di Lettere e<br />
coord<strong>in</strong>atore del progetto, ha <strong>in</strong>oltrato a trecento scuole elementari<br />
italiane un questionario da sottoporre agli scolari senza alcun<br />
condizionamento da parte dei maestri. Hanno risposto 167 istituti -<br />
equamente distribuiti nel territorio nazionale - per un totale di quasi 9<br />
mila elaborati. Un campionario molto rappresentativo per trarre<br />
conclusioni con il crisma della scientificità. La prova che le risposte<br />
siano esclusiva far<strong>in</strong>a del sacco degli alunni è nel gran numero di<br />
strafalcioni di cui sono farcite, compreso quello ostentato nel titolo del<br />
libro.<br />
Ecco le riflessioni degli studiosi che hanno analizzato il questionario:<br />
l´erosione cont<strong>in</strong>ua del dialetto a opera dell´italiano (ma questa non è<br />
una novità); la trasformazione del vernacolo <strong>in</strong> chiave televisiva (caso<br />
Camilleri docet); la dequalificazione del siciliano che trova il terreno<br />
di coltura nella scuola e nelle famiglie; la scarsa capacità di <strong>in</strong>venzione<br />
<strong>in</strong> quelle realtà che hanno perduto consistenza economica e sociale<br />
(pensiamo alla cultura contad<strong>in</strong>a ormai <strong>in</strong> via di est<strong>in</strong>zione). E a<br />
dispetto di tutto ciò, la sorprendente tenuta - ovviamente relativa -<br />
degli idiomi locali se si considera la pericolosa deriva durante il<br />
fascismo e poi negli anni Sessanta.<br />
«Le tante isole l<strong>in</strong>guistiche del Paese per fortuna non si sono ancora<br />
trasformate <strong>in</strong> ghetto», dice Ruff<strong>in</strong>o. C´è un´altra considerazione che<br />
attenua un po´ il pessimismo: i ragazz<strong>in</strong>i quando ragionano fuori dagli<br />
schemi del pregiudizio, riconoscono f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo il valore del dialetto<br />
(e questa è una novità). Lo def<strong>in</strong>iscono la l<strong>in</strong>gua della fantasia,<br />
dell´allegria, una sorta di primo amore dell´espressività.<br />
Un florilegio tratto dal pensiero dei ragazz<strong>in</strong>i isolani (le frasi sono<br />
trascritte con tutti gli errori), mette a nudo le tante contraddizioni
della questione. Il dialetto è mafioso: «Chi parla il dialetto non ha la<br />
coscienza pulita», «Chi parla il dialetto è cattivo e del<strong>in</strong>quente», «Il<br />
dialetto si parla coi mafiosi», «Il dialetto è una l<strong>in</strong>gua sbagliata e<br />
scorretta come i boss di Cosa nostra».<br />
È una cosa da poveracci: «Il siciliano è più volgare e lo parlano i<br />
bamb<strong>in</strong>i sporchi, maleducati, cattivi e poveri», «La l<strong>in</strong>gua secondo me<br />
e più adatta ai signori di lusso e <strong>in</strong>vece il dialetto e più adatto ai<br />
contad<strong>in</strong>i <strong>in</strong>somma gente povera».<br />
È «roba» da strada: «L´<strong>in</strong>dialetto non mi piace perché è brutto e si<br />
parla <strong>in</strong> mezzo alla strada, vorrei che <strong>in</strong> Sicilia tutti parlassero<br />
italiano, compresi i del<strong>in</strong>quenti».<br />
È meridionale: «Io volevo nascere a Firenze no a part<strong>in</strong>ico ma il mio<br />
dest<strong>in</strong>o è stato questo».<br />
È di ieri: «Ormai si è perso il dialetto che si parlava a quei tempi e<br />
<strong>in</strong>vece ora si parla il dialetto "<strong>in</strong>carcariato"».<br />
È diseducativo: «L´<strong>in</strong>dialetto per i bamb<strong>in</strong>i non è il parlamento<br />
giusto».<br />
Non serve per i quiz: «Bisogna parlare anche <strong>in</strong> Italiano perché<br />
dobbiamo saper rispondere bene alle domande di uno spettacolo<br />
televisivo ad esempio: "Tutti per uno", "Ok il prezzo è giusto"».<br />
E nemmeno per l´amore: «Se un maschio dice a una donna: "sei<br />
bella", lei si emoziona <strong>in</strong>vece se un maschio dice a una donna "chi sì<br />
bedda" la donna si emoziona però non le piace come le è stato detto».<br />
Sono <strong>in</strong> tanti i ragazz<strong>in</strong>i che hanno chiaro il valore <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seco del<br />
dialetto e la sua ricchezza creativa. Per loro è un dest<strong>in</strong>o, ma anche un<br />
piacere: «Il siciliano viene parlato per orig<strong>in</strong>e l´italiano per<br />
educazione», «Secondo me con il dialetto ci si nasce», «L´italiano è<br />
molto gentile è <strong>in</strong>vece il dialetto è scortese, però a me mi piace il<br />
dialetto, «Certe volte parliamo <strong>in</strong> siciliano perché questa è la nostra<br />
l<strong>in</strong>gua e ci score il sangue siciliano». E c´è, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, chi chiosa con<br />
ironia: «Io con i miei amici ci parlo, <strong>in</strong>vece <strong>in</strong> dialetto i ci parru».<br />
La chiave di volta è tutta <strong>in</strong> questa frase: «Non capisco perché oggi i<br />
genitori non vogliono <strong>in</strong>segnare ai propri figli la l<strong>in</strong>gua che parlavano<br />
un tempo i loro nonni, i bis-nonni, i bis bis nonni, la l<strong>in</strong>gua che si<br />
parlava ai tempi di Salvatore Giuliano». Ovviamente il ragazz<strong>in</strong>o <strong>in</strong><br />
questione è di Montelepre. La sua riflessione comunque rimanda al secolare<br />
braccio di ferro tra l<strong>in</strong>gua e dialetto e ai luoghi del conflitto. Intanto, vediamo<br />
quando si <strong>in</strong>ceppa la corsa del vernacolo. Con la costituzione dello Stato unitario<br />
si pone il problema della creazione di una l<strong>in</strong>gua nazionale per mettere <strong>in</strong>
collegamento le varie isole dell´arcipelago vernacolare. La scuola viene<br />
<strong>in</strong>vestita della missione di sradicare la mala pianta degli idiomi locali.<br />
Ma nella prima fase più che all´estirpazione del «volgare», l´<strong>in</strong>tervento<br />
mira alla diffusione dell´italiano. È con il fascismo che il dialetto<br />
diventa tabù. Parlarlo è un peccato e poi un reato.<br />
La scuola punisce chi non parla l´italiano e la famiglia <strong>in</strong>veste grandi<br />
energie per allontanare i figli dalla loro l<strong>in</strong>gua naturale. Qualche<br />
apertura nel dopoguerra (vedi l´esperienza di don Milani a Barbiana e<br />
di altri docenti illum<strong>in</strong>ati <strong>in</strong> giro per il Paese), non riesce a contrastare<br />
l´andazzo. In aula bacchettate e voti bassi a chi non si piega. Nelle case<br />
il dialetto è appena tollerato, ma fuori dalle mura diventa una sorta di<br />
umiliazione per l´<strong>in</strong>tero nucleo familiare. Così mentre l´italiano va via<br />
via caricandosi di connotazioni positive, il dialetto diventa s<strong>in</strong>onimo di<br />
turpiloquio, al di là del significato che esprime. I ragazzi diventano il<br />
term<strong>in</strong>ale di questo <strong>in</strong>tervento a tenaglia, che f<strong>in</strong>isce per fomentare<br />
Còzze pelóse e nnúce càreche a ssajètte!<br />
Enrico Vetrò<br />
Foto scattata dall’autore – Natale 2008
una sorta di genocidio delle parole. La televisione fa il resto.<br />
Contribuisce più della scolarizzazione alla creazione della l<strong>in</strong>gua<br />
condivisa, ma si fa artefice di un impoverimento espressivo,<br />
comprovato dal fatto che prima dell´alfabetizzazione di massa il<br />
cittad<strong>in</strong>o siciliano medio si esprime con circa 1.500 parole, mentre oggi<br />
parla con un frasario molto più ridotto. E quando la tv propone il<br />
dialetto, lo fa nei modi caricaturali della comicità regionale<br />
(romanesco, milanese, napoletano e siciliano, soprattutto) oppure<br />
<strong>in</strong>scenando forme italianizzate del dialetto («Montalbano sono»,<br />
«m<strong>in</strong>chia» <strong>in</strong> tutte le salse e quasi <strong>in</strong> ogni programma di<br />
<strong>in</strong>trattenimento), che forse è una ulteriore tappa del suo lento<br />
assass<strong>in</strong>io.<br />
In una forbice che racchiude trent´anni di storia, il senso profondo<br />
dell´<strong>in</strong>arrestabile agonia: Maria Benenati e Concetta Agueci, madre e<br />
figlia, entrambe laureate <strong>in</strong> Lettere con Ruff<strong>in</strong>o, hanno condotto due<br />
rilevamenti l<strong>in</strong>guistici a quasi trent´anni di distanza, con la stessa<br />
metodologia e negli stessi luoghi. Risultato: nel 1978, l´80 per cento dei<br />
bamb<strong>in</strong>i parla <strong>in</strong> dialetto, nel 2005 appena il 40 per cento. In mezzo la<br />
perdita di cent<strong>in</strong>aia di parole: da «stuppagghiu» (turacciolo) a «iuzzu»<br />
(tacch<strong>in</strong>o), da «taddarita» (pipistrello) a «cannavazzu» (straccio).<br />
Particolare curioso: nel 2005 contrariamente al 1978, nessuno sa<br />
tradurre la parola «strummula» (trottola). Del resto, come fai a<br />
conoscere un oggetto con il quale non giochi più e la cui funzione è<br />
stata espropriata dall´impero della globalizzazione che l´ha messa <strong>in</strong><br />
vendita con il nome di "Bey blade"?<br />
Tano Gullo 3<br />
3 http://www.trapanisiannu.it/repubblica150307.htm
Un errore imperdonabile …<br />
’Nu smarróne<br />
ca no se capísce …<br />
Non siamo che sogni<br />
No ssíme ca suènne<br />
vestiti di bugie vestúte de buscíe<br />
che s’<strong>in</strong>contrano e parlano d’amore ca se ’ngòndrene e chiacchiarèscene d’amóre<br />
<strong>in</strong> una casa senza <strong>in</strong>dirizzo … ijnd’a’ ’na cáse sènza ’nderìzze …<br />
Quegli attimi che tutti Chidd’àtteme ca tutte<br />
chiamano bacio chiàmene bàgge<br />
io li avevo ripudiato ji’ l’avéve rennejáte<br />
dall’illusione del vivere d’a’ tràpule d’u vívere<br />
Un errore imperdonabile … ’Nu smarróne ca no se capísce …<br />
La brezza di un matt<strong>in</strong>o qualunque ’U vendaríjedde de ’na ciongasíje matenáte<br />
me l’ha confermato più volte me l’à ddìtte … e mme l’à dìtte …<br />
raccontandomi la tua <strong>in</strong>credibile ’u fatte túve sdrèuse m’háve cundáte a mméje<br />
storia di carne …<br />
’na stòria de càrne …’a toje …<br />
Mia! … Più che mai …<br />
’A méje! … Asseje numùnne …<br />
Ora come ora<br />
cerco verità e conferme<br />
nel ritmo ambrato del tuo respiro …<br />
unicamente …<br />
Enrico Vetrò<br />
Osce a díje … móne<br />
vóche spíerte pe’ vvére e ppe’ ccumbèrme<br />
<strong>in</strong>d’o rìtme ambráte d’u refiáte túve …<br />
sulamènde …
’Gglièlme Scespìrre, “l’attóre” (1564-1616)<br />
“’U letràtte de Chandos ”- quáse 1610
Ai tempi di William Shakespeare <strong>Taranto</strong> era proprietà del re Filippo <strong>II</strong> di Spagna (regno<br />
1556-1598), che impose tasse onerose ai nostri concittad<strong>in</strong>i. Le cose non mutarono con<br />
l’avvento del di lui successore Filippo <strong>II</strong>I (regno 1598-1621).<br />
Fortificazioni del borgo antico di <strong>Taranto</strong> <strong>in</strong> epoca Shakespeariana - autore anonimo 4<br />
4 In: http://images.google.it/imgres?imgurl=http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/d/d2/Fortificazioni_<strong>Taranto</strong>_XVIsecolo.jpg/225px-<br />
Fortificazioni_<strong>Taranto</strong>_XVIsecolo.jpg&imgrefurl=http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_<strong>Taranto</strong>&usg=__BKzBwfKgcnJk66Ge63ZEdFairfw=&h=13<br />
0&w=224&sz=13&hl=it&start=62&um=1&tbnid=yyQL62L_HqW9lM:&tbnh=63&tbnw=108&prev=/images%3Fq%3D<strong>Taranto</strong>%2Bnel%2BXVI%2<br />
Bsecolo%26start%3D60%26ndsp%3D20%26um%3D1%26hl%3Dit%26sa%3DN.
Filippo <strong>II</strong> (s<strong>in</strong>.) e Filippo <strong>II</strong>I (des.) di Spagna padroni di <strong>Taranto</strong> ai tempi di Shakespeare<br />
“La tragedia di Amleto, Pr<strong>in</strong>cipe di Danimarca ”(1600-1601)<br />
Spazio rigorosamente riservato a…<br />
CHI NE VOLESSE SAPERE DI PIÙ SU …<br />
“Jéssere o nnò Jiéssere”<br />
Ci òsce no ’nge tíene cápe … vvídete le fegúre e<br />
zzúmbe ’stè tré’ pàggene …<br />
************
Trama<br />
L’opera è ambientata nella Danimarca feudale, e la quasi totalità delle scene<br />
si svolge all’<strong>in</strong>terno del castello di Els<strong>in</strong>or, eccezion fatta per alcune di esse<br />
ambientate rispettivamente nello spazio <strong>in</strong>torno al castello (I, i e iv), nella<br />
casa di Polonio (I, iii; <strong>II</strong>, i), nella pianura danese (IV, iv) e all’<strong>in</strong>terno di un<br />
cimitero(V,i).<br />
Il re di Danimarca (del quale Amleto porta il nome) è stato assass<strong>in</strong>ato dal<br />
fratello Claudio, che ha usurpato il trono e si è sposato senza rispettare le<br />
convenienze con la vedova del morto, Geltrude. Uno spettro con le sembianze<br />
del padre di Amleto appare due volte agli uom<strong>in</strong>i di guardia (Bernardo e<br />
Francesco) sugli spalti del castello di Els<strong>in</strong>or senza proferire parola. Nella<br />
stessa notte compare ancora altre due volte al cospetto del nobile amico di<br />
Amleto, Orazio, venuto a constatare di persona quanto riferitogli dalle<br />
sent<strong>in</strong>elle. Nemmeno a lui parla, e scompare def<strong>in</strong>itivamente al canto del<br />
gallo. La cosa viene ritenuta di cattivo auspicio per il regno di Danimarca,<br />
giacché Fortebraccio, nipote del re di Novegia ucciso dal padre di Amleto, si<br />
acc<strong>in</strong>ge ad <strong>in</strong>vadere la Danimarca che si è annessa parte del regno di<br />
Norvegia. Il giovane pr<strong>in</strong>cipe viene <strong>in</strong>formato del sorprendente evento, e la<br />
notte appresso decide di accertarsi personalmente se ciò che gli è stato<br />
raccontato sia vero o meno. Il fantasma ricompare puntualmente e, <strong>in</strong> luogo<br />
appartato, narra ad Amleto le circostanze dell’azione delittuosa commessa<br />
nei suoi confronti mentre <strong>in</strong> giard<strong>in</strong>o faceva la pennichella pomeridiana. Una<br />
fiala di veleno – giusquiamo - versatagli <strong>in</strong> un orecchio dal fratello lo ha fatto<br />
passare dal sonno alla morte, privandolo nel contempo della vita, della<br />
corona e della sposa. E ciò che è peggio, non gli è stata data alcuna<br />
possibilità di prendere i sacramenti per cancellare tutte le sue colpe. Per<br />
tutto questo egli chiede vendetta. Il figlio promette d’ubbidire, ma la sua<br />
natura mal<strong>in</strong>conica lo rende irresoluto e gli fa differire l’azione. Frattanto egli<br />
si f<strong>in</strong>ge pazzo per sviare ogni sospetto di m<strong>in</strong>accia della vita del re. La coppia<br />
reale sembra conv<strong>in</strong>cersi (Claudio non del tutto) che a turbare la mente del<br />
nobile rampollo sia l’amore per Ofelia, figlia del ciambellano di corte Polonio,
che egli ha già prima corteggiata, ma che ora tratta crudelmente. Per<br />
appurare l’attendibilità della pazzia del nipote, suo zio manda a chiamare due<br />
amici d’<strong>in</strong>fanzia di Amleto: Rosencrantz e Guilderstern. (È proprio <strong>in</strong> tale<br />
circostanza che Amleto recita il famoso soliloquio). Il giovane si mostra con<br />
loro più ermetico e strano che mai. In seguito Amleto, volendo verificare che<br />
il racconto dello spettro non sia opera del diavolo, fa recitare ad una<br />
compagnia di teatranti ospitati nel castello un dramma, (l’Assass<strong>in</strong>io di<br />
Gonzago), riproducente le circostanze del crim<strong>in</strong>e abom<strong>in</strong>evole (battute ad<br />
hoc scritte da Amleto sono state abilmente <strong>in</strong>serite nella rappresentazione).<br />
È <strong>in</strong>utile sottol<strong>in</strong>eare che tutto ciò avviene alla presenza dei sovrani. Al<br />
culm<strong>in</strong>e della scena madre Claudio viene colto dal panico, che lo <strong>in</strong>duce ad<br />
abbandonare precipitosamente la sala per cercar rifugio nel privato delle sue<br />
camere.<br />
In una scena <strong>in</strong> cui Amleto <strong>in</strong>veisce contro la madre per essersi nuovamente<br />
sposata con un essere così spregevole, egli suppone che lo zio stia ad<br />
origliare dietro una tenda, sgua<strong>in</strong>a la spada e uccide <strong>in</strong>vece Polonio. Il re,<br />
deciso a far scomparire Amleto, rivelatosi oramai un pericolo per la sua<br />
<strong>in</strong>columità personale, lo <strong>in</strong>via <strong>in</strong> missione <strong>in</strong> Inghilterra con Rosencrantz e<br />
Guilderstern. Consegna loro una lettera dest<strong>in</strong>ata al sovrano di quella terra <strong>in</strong><br />
cui lo istiga ad uccidere suo nipote subito dopo essere giunti <strong>in</strong> territorio<br />
<strong>in</strong>glese. Amleto, tuttavia, scopre l’<strong>in</strong>ganno e sostituisce quella missiva con<br />
un’altra che dice di fare la stessa cosa con i due galopp<strong>in</strong>i del re. Il fatto<br />
avviene prima che una nave di pirati lo catturi. I masnadieri lasciano,<br />
comunque, che l’altra vascello prosegua per l’Inghilterra. Amleto, <strong>in</strong> seguito,<br />
viene liberato dagli stessi predoni e rimandato <strong>in</strong> Danimarca dietro promessa<br />
di un congruo pagamento di riscatto. Al suo ritorno trova che Ofelia, folle di<br />
dolore, si è annegata. Il fratello di lei, Laerte, è tornato per vendicare la<br />
morte del padre Polonio. Il re, determ<strong>in</strong>ato più che mai a volere elim<strong>in</strong>are<br />
Amleto, coglie a volo l’occasione e dà a <strong>in</strong>tendere al nipote che farà da<br />
paciere tra lui e il figlio di Polonio. Per celebrare l’avvenimento Amleto e<br />
Laerte si sfideranno lealmente non <strong>in</strong> un duello, ma <strong>in</strong> una partita d’armi che<br />
suggellerà il perdono e la ritrovata amicizia. A Laerte, però, è dato un fioretto<br />
appuntito e avvelenato. Amleto è trafitto nella prima ripresa; ma l’effetto<br />
ritardato del veleno gli consente di effettuare la seconda. Ferisce, a sua volta,<br />
mortalmente Laerte (sono state scambiate le armi dei duellanti, secondo<br />
consuetud<strong>in</strong>e). Poi tutto precipita. Muore Gertrude, dopo aver bevuto una<br />
coppa di v<strong>in</strong>o avvelenato dest<strong>in</strong>ata a suo figlio (un piano di riserva<br />
approntato da Claudio nel caso <strong>in</strong> cui la progettata morte del nipote non<br />
abbia a verificarsi durante il duello). Muore Claudio, trafitto dallo stesso<br />
nipote, quando si rende conto del complotto ordito a suo danno dallo zio.<br />
Muore Amleto, (il veleno ha fatto effetto). Il dramma si chiude con l’arrivo<br />
del puro Fort<strong>in</strong>bras(Fortebraccio), pr<strong>in</strong>cipe di Norvegia, che diventa così<br />
sovrano del regno.
Amleto e Polonio – Scena dal film “Amleto” (1948) con il mitico attore Lawrence Olivier.<br />
Quando Shakespeare aveva 30 anni, una flotta turca di circa<br />
100 galee, al comando di Bassà Assan Cicala, si parò davanti<br />
al golfo di <strong>Taranto</strong> e subito dopo la c<strong>in</strong>se d’assedio per fare ciò<br />
che per predoni di tal genere era naturale: metterla a sacco,<br />
uccidere gli uom<strong>in</strong>i validi e deportare come schiavi donne e<br />
bamb<strong>in</strong>i. Il marchese di Pescara e di Vasto Don Carlo<br />
D’Avalos e suo figlio Don Fernando raggrupparono <strong>in</strong> tutta<br />
fretta una milizia di Tarent<strong>in</strong>i, che dopo numerosi e accaniti<br />
corpo a corpo riuscirono a dare una sonora lezione agli<br />
<strong>in</strong>vasori, costr<strong>in</strong>gendoli alla fuga. Tra i Tarent<strong>in</strong>i ebbe a<br />
dist<strong>in</strong>guersi per valore Francesco Paolo Perez (combatté<br />
valorosamente anche nella battaglia di Lepanto), figlio di<br />
Giovanni, segretario di Carlo V, oltre che Marcantonio de<br />
Raho, barone di Lizzano. 5<br />
5 Andrea Mart<strong>in</strong>i, Breve storia di <strong>Taranto</strong> narrata al popolo, Jonica editrice, <strong>Taranto</strong>, 1969, pagg. 81-82.
Costumi orig<strong>in</strong>ali degli attori di teatro del XVI sec. - Londra
’Stù crestiáne aqquáne à scritte a sbuènne. Robba sdrèuse de<br />
tiàtre … e jéve púre puéte! E ’u mestiére súve ù canuscéve<br />
asseje numùnne bbuéne!<br />
Ritratto di Shakespeare (sulla destra), 1604, <strong>in</strong>tento a giocare a scacchi con il collega<br />
drammaturgo Ben Jonson(1572-1637) – Pittura di Karel Van Mander(1548-1606)
A ben rifletterci … ?!<br />
… e allora?! Che c’è di<br />
male?! Tu non mangi?!<br />
Ecco un altro<br />
filosofo del cavolo …<br />
Sai che allegria?!<br />
“Noi <strong>in</strong>grassiamo gli altri animali per <strong>in</strong>grassare noi stessi e<br />
<strong>in</strong>grassiamo noi stessi per i vermi. Un re p<strong>in</strong>gue e un accattone<br />
magro non fanno che uno stesso servizio <strong>in</strong> due modi: sono due<br />
pietanze diverse, ma per una medesima tavola ( … quella dei<br />
vermi naturalmente!)”.<br />
“Un uomo può pescare pesci con il verme che ha mangiato<br />
carne di re, e mangiare il pesce che s’è nutrito di quel verme”.<br />
“Amleto”, Atto IV, scena <strong>II</strong>I.<br />
William Shakespeare<br />
Banconota da 20 sterl<strong>in</strong>e emessa dalla Banca d’Inghilterra (Corso legale 1970 -1991).
Con i suoi versi il poeta è disposto a regalare immortalità a una lei o a un lui che stima e ama.<br />
«’U sunètte dečiótte»<br />
de<br />
’Gglièlme Scespìrre<br />
T’hagghia cumbrundá’ cu ’na dí’ d’u ’státe?<br />
Cchiú’ ddóče assèje sì’ ttúne e cchiú’ ’ngrazziáte:<br />
šckattúne de Másce ’u víende tembèste,<br />
e ’u passe d’a staggióne jé’ lluènghe e llèste:<br />
l’Uècchie d’u Cíele abbàmbe ’nguàrche vvóte,<br />
s’ascònne ’a fàccia d’ore quanne póte.<br />
E ogne bbelle d’ô bbelle fúsce pure,<br />
pe’ ssòrte o p’u crapíccie d’a natúre:<br />
ma ’u ’státe túje ’tèrne nò sse n’à dda scé’,<br />
e ’u belle súje ca é’ ’u túje nò ss’à dda perdé’,<br />
ca ’a Mòrte cu ttéje nò ppóte grannésce’<br />
c’ji’ cu ’a pènna méje a ttè’ t’ammurtalésce,<br />
’nzìgne ch’une sté’ ca lésce e rrefiáte,<br />
ca ’stù vèrse víve e jidde te dé’ ffiáte.
Il sonetto 18”<br />
di<br />
Guglielmo Shakespeare<br />
Devo paragonarti a un giorno d’Estate?<br />
Assai più dolce sei tu e più graziosa:<br />
teneri bocci di Maggio il vento sferza,<br />
e dell’Estate il passo è lungo e spedito:<br />
l’Occhio del Cielo talora abbaglia e scotta,<br />
si cela quando può il viso dorato.<br />
E ogni bello pur dal bello s’allontana,<br />
per sorte o per capriccio della natura:<br />
ma l’Estate tua eterna non se ne dovrà andare,<br />
e il suo bello che è il tuo non dovrà perdersi,<br />
che la Morte su di te non può aver vanto,<br />
s’io con la penna mia ti rendo immortale,<br />
f<strong>in</strong>o a che ci sia uno che legga e respiri,<br />
che questo verso viva ed esso ti dia fiato.<br />
(Mediazione l<strong>in</strong>guistica di E. Vetrò)
Sonnet 18(1591-1598)<br />
S<br />
hall I compare thee to a summer's day?<br />
Thou art more lovely and more temperate:<br />
Rough w<strong>in</strong>ds do shake the darl<strong>in</strong>g buds of May,*<br />
And summer's lease hath all too short a date:*<br />
Sometime too hot the eye of heaven* sh<strong>in</strong>es,<br />
And often is his gold complexion dimm’d,*<br />
And every fair from fair* sometime decl<strong>in</strong>es,<br />
By chance, or nature's chang<strong>in</strong>g course untrimm’d:<br />
But thy eternal summer* shall not fade,<br />
Nor lose possession of that fair thou ow'st,<br />
Nor shall death brag thou wander'st <strong>in</strong> his shade,<br />
When <strong>in</strong> eternal l<strong>in</strong>es to time thou grow'st,*<br />
So long as men can breathe, or eyes can see,<br />
So long lives this,* and this gives life to thee.*<br />
Inglese moderno (parafrasi)<br />
If I compared you to a summer day<br />
I'd have to say you are more beautiful and serene:<br />
By comparison, summer is rough on budd<strong>in</strong>g roses <strong>in</strong> May,<br />
And doesn't last long either:<br />
At times the summer sun [heaven's eye] is too hot,<br />
Or often goes beh<strong>in</strong>d the clouds<br />
And everyth<strong>in</strong>g fair <strong>in</strong> nature becomes less fair sooner or later,<br />
By chance or by nature's planned out course;<br />
However, your everlast<strong>in</strong>g summer(your youth) will not fade,<br />
Nor lose ownership of your fairness;<br />
Not even death will claim you for his own,<br />
If you grow as one with time forever because of my l<strong>in</strong>es,<br />
Your beauty will last as long as men breathe and see,<br />
As Long as this sonnet lives and gives you life.<br />
N. Hilliard - Giovane accostato ad un albero fra le rose<br />
c. 1588 - acquerello su pergamena -<br />
Victoria and Albert Museum, Londra
Con il permesso degli “uom<strong>in</strong>i d’onore” cesaricidi, Antonio ricorda ai Romani radunati nel foro la<br />
personalità dell’uomo scomparso. Il discorso funebre, denso di retorica sottile tesa a conquistare la folla, e<br />
condita nel contempo di sarcasmo all’<strong>in</strong>dirizzo del cospiratore Marco Giunio Bruto Cepione, rivela per<br />
gradi lo spessore dialettico dell’oratore e da quale parte egli si sia schierato.<br />
“Giúglie Cèsere” (1599), atte <strong>II</strong>I, scéne, <strong>II</strong>, 73 – 107, de ’Gglièlme Scespìrre.<br />
Andònie: Amíce, Rumáne, paisáne, mettíte recchie e ddáteme adènzie;<br />
ìj’ avègne cu ù ppróche a Ccèsere, e nóne cu ll’avànde.<br />
Le mála ’zziúne ca l’uèmene fáčene càmbene cchiú’ dde lóre,<br />
’u bbéne ’nu mùnne de vóte jé’ prucáte cu ll’ossere lóre;<br />
’cussíne cu ’ssìje de Cèsere. ’U nòbbele Brúte<br />
à dìtte a vvúje ca Cèsere jéve ambezziúse;<br />
cc’éve ’cussíje, avev’a jéssere ’na cólpa granna-granne,<br />
e granna-granne à státe ’a péna ca Cèsere háve scundáte.<br />
Aqquáne, c’u ’ccussènze de Brúte e dde l’ôtre –<br />
piccé Brúte jé ’nn’óme d’anóre;<br />
e accussí’ sò’ ttutte, tutte uèmene d’anóre –<br />
ìj’ stóche avègne a pparlá’ a’ sebburtúre de Cèsere.<br />
Jìdde háve státe amíche mije, affezziunáte e gghiúste cu mméje;<br />
e ppúre Brúte díče ca jìdde éve ambezziúse,<br />
e Bbrúte jé ’nn’óme d’anóre.<br />
N’háve annútte jìdde de preggiuniére a Rróme ... tande e qquande,<br />
e ’u gòste d’a libberazzióna lóre háve anghiúte le càsce<br />
d’u tresóre prùbbeche:<br />
e qquesta à státe ’n’azzióna ambezzióse de Cèsere?<br />
Quanne le puveríedde honne chiangiúte, Cèsere à cchiangiúte;<br />
’a ’mbezzióne avèss’a jéssere fatte de ròbba assèje ’cchiú’ ffòrte:<br />
e ppúre Brúte díče ca jìdde éve ambezziúse,<br />
e Bbrúte jé ’nn’óme d’anóre.<br />
Tutte vúje avíte vìste a ccume ô Lupercále<br />
tré’ vvóte hagghie sciúte pe’ lle dáre ’a cróne de réje,<br />
e jìdde pe’ ttré’ vvóte à ddìtte nóne. E jéve ambezzióne quèste?<br />
E ppúre Brúte díče ca jìdde éve ambezziúse,<br />
E jìdde, jé ’nn’óme d’anóre averamènde, nóne a cchiàcchiere.<br />
No ’nge stóche a ppàrle pe’ sbruvegná’ quidde ca Brúte à ddìtte,<br />
nóne probbie,<br />
ìje stóche aqquá ppe’ ddíčere quidde ca ìj’ sàcce.<br />
Tutte vúje ’na vóte l’avíte vulúte bbéne a jìdde, nnò ssènza raggióne;<br />
peddènne, ccè jé’ ca ve sté’ ffréne c’ù cchiangíte?<br />
Ah, giurízie nuèstre, te n’hé fusciúte ’mbrà lle vèstie sarvàgge,<br />
e ll’uémene honne perdúte ’a meròdde. M’avít’a scusá;<br />
’u core mije, addáne stéje, ’ndr’o chiaúte cu Ccèsere,<br />
e ìj’ hagghia stá’ citte ’nzìgne a qquanne nnò ttórne da méje arréte.
W. Shakespeare, Giulio Cesare, atto <strong>II</strong>I, scena <strong>II</strong>, 73 -107.<br />
ANTONIO: Amici, Romani, compatrioti, prestatemi orecchio;<br />
io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo.<br />
Il male che gli uom<strong>in</strong>i fanno sopravvive loro;<br />
il bene è spesso sotterrato con le loro ossa;<br />
e così sia di Cesare. Il nobile Bruto<br />
ha detto a voi che Cesare era ambizioso:<br />
se così era, fu difetto davvero grave:<br />
e gravemente Cesare ne ha pagato il castigo.<br />
Qui, con il consenso di Bruto e degli altri –<br />
ché Bruto è uomo d'onore;<br />
così sono tutti, tutti uom<strong>in</strong>i d'onore –<br />
io vengo a parlare al funerale di Cesare.<br />
Egli fu amico mio, fedele e giusto verso di me:<br />
ma Bruto dice che fu ambizioso;<br />
e Bruto è uomo d'onore.<br />
Molti prigionieri egli ha portato a Roma,<br />
il prezzo del cui riscatto ha riempito il tesoro pubblico:<br />
parve questo atto ambizioso <strong>in</strong> Cesare?<br />
Quando i poveri hanno pianto, Cesare ha versato lacrime:<br />
l'ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa;<br />
eppure Bruto dice ch'egli fu ambizioso;<br />
e Bruto è uomo d'onore.<br />
Tutti voi vedeste come al Lupercale 6<br />
tre volte gli presentai la corona di sovrano<br />
ch'egli tre volte rigettò: fu questo atto di ambizione?<br />
Eppure Bruto dice ch'egli fu ambizioso;<br />
e <strong>in</strong>vero Bruto è uomo d'onore.<br />
Non parlo, no, per smentire ciò che Bruto disse, G. Cesare - Museo Nazionale di Napoli<br />
ma qui io sono per dire ciò che io so.<br />
Tutti lo amaste una volta, né senza ragione:<br />
qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo?<br />
O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti<br />
e gli uom<strong>in</strong>i hanno perduto la ragione. Scusatemi;<br />
il mio cuore giace là nella bara con Cesare<br />
e debbo tacere sicché non ritorni a me.<br />
6 Festività religiosa romana celebrata il 15 febbraio, <strong>in</strong> onore di Faunus Lupercus, protettore del bestiame ov<strong>in</strong>o<br />
e capr<strong>in</strong>o dagli attacchi dei lupi. La festa sopravvisse s<strong>in</strong>o al 494 A.D.<br />
Cfr.:http://www.imperiumromanum.it/IR/cultura/mille%20e%20una%20favola%202.htm#lupercalia.
“Aureo” raffigurante Marco Giunio Bruto Cepione (85-42 a.C.), il Cesaricida.<br />
Recto. IMP(ERATOR) BRUT(US) L.(UCIUS ) PLAET.(ORIUS) CEST(IANUS)<br />
Verso. EID(IBUS).MAR(T<strong>II</strong>S)<br />
[(R..) Bruto Comandante vittorioso dell’esercito (repubblicano che operò <strong>in</strong> Illiria e Macedonia dal 43 al 42 a.C.).<br />
Lucio Pletorio Cestiano (magistrato coniatore <strong>in</strong> carica della zecca mobile di Bruto). (V.) Idi di Marzo ].<br />
A s<strong>in</strong>istra M. G. Bruto appare raffigurato di profilo con la barba, tratto dist<strong>in</strong>tivo di rispetto e dignità. A destra compaiono<br />
due pugnali, la più che eloquente firma di Bruto e Cassio cesaricidi. Fra le armi si staglia<br />
il pileo frigio, simbolo di libertà. Il berretto era di solito portato dagli schiavi affrancati.<br />
Enrico Vetrò
William Shakespeare<br />
Julius Caesar<br />
Act 3, Scene 2,<br />
Mark Antony:<br />
Friends, Romans, countrymen, lend me your ears;<br />
I come to bury Caesar, not to praise him;<br />
The evil that men do lives after them,<br />
The good is oft <strong>in</strong>terréd with their bones,<br />
So let it be with Caesar. The noble Brutus<br />
Hath told you Caesar was ambitious:<br />
If it were so, it was a grievous fault,<br />
And grievously hath Caesar answered it.<br />
Here, under leave of Brutus and the rest,<br />
(For Brutus is an honourable man;<br />
So are they all; all honourable men)<br />
Come I to speak <strong>in</strong> Caesar's funeral.<br />
He was my friend, faithful and just to me:<br />
But Brutus says he was ambitious;<br />
And Brutus is an honourable man.<br />
He hath brought many captives home to Rome,<br />
Whose ransoms did the general coffers fill:<br />
Did this <strong>in</strong> Caesar seem ambitious?<br />
When that the poor have cried, Caesar hath wept:<br />
Ambition should be made of sterner stuff:<br />
Yet Brutus says he was ambitious;<br />
And Brutus is an honourable man.<br />
You all did see that on the Lupercal<br />
I thrice presented him a k<strong>in</strong>gly crown,<br />
Which he did thrice refuse: was this ambition?<br />
Yet Brutus says he was ambitious;<br />
And, sure, he is an honourable man.<br />
I speak not to disprove what Brutus spoke,<br />
But here I am to speak what I do know.<br />
You all did love him once, not without cause:<br />
What cause withholds you then to mourn for him?<br />
O judgement, thou art fled to brutish beasts,<br />
And men have lost their reason. Bear with me;<br />
My heart is <strong>in</strong> the coff<strong>in</strong> there with Caesar,<br />
And I must pause till it come back to me.
ESPRESSIONI IDIOMATICHE TARANTINE<br />
Come ogni altro idioma nazionale o autoctono, anche il tarent<strong>in</strong>o presenta un variegato ventaglio di<br />
espressioni idiomatiche. Si tratta di arcipelaghi di parole che racchiudono significati del tutto<br />
dissimili da ciò che la loro immediata lettura potrebbe comunicarci a livello puramente<br />
<strong>in</strong>terpretativo (quasi sempre oscura e/o assurda). Tanto per esemplificare, l’agglomerato verbale<br />
“gràvete a mmúle”(De Cuia) 7 , rende letteralmente l’equivalente italiano di “gravida a mulo”, che<br />
ci annuncia un concetto-immag<strong>in</strong>e di primo acchito privo di senso. Il modismo, <strong>in</strong>vece, serba<br />
gelosamente l’<strong>in</strong>timo significato di “sterile”, ossia di donna <strong>in</strong> stato <strong>in</strong>teressante ( “gràvete” ), la<br />
stessa condizione <strong>in</strong> cui potenzialmente potrebbe ritrovarsi un mulo ( “a mmùle” ). Un assurdo. Di<br />
qui la più che evidente impossibilità di avere un figlio da parte della creatura femm<strong>in</strong>ile. La<br />
medesima locuzione idiomatica, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, esprime nel caso specifico un immag<strong>in</strong>ario “a latere”,<br />
giacché dissimula anche l’idea discostata di “gravidanza isterica”. Ecco una serie di campioni<br />
idiomatici:<br />
• À ffatte ’nu casìne quanne osce e ccreje [Ha fatto un cas<strong>in</strong>o quanto oggi e domani]= Ha<br />
fatto una grande putiferio.<br />
• A sàcche e fuéche [A sacco e a fuoco] = Immediatamente.<br />
• Á sendúte ’u fìezze d’u mìcce [Ha sentito la puzza di fumo della miccia (dell’esplosivo)<br />
accesa] = Ha capito l’<strong>in</strong>ganno che cela la situazione <strong>in</strong> cui è venuto a trovarsi.<br />
• Bùss’a ccoppe e rresponne a spáde [(Nel gioco del tressette): bussa a coppe e risponde a<br />
spada)] = Agire <strong>in</strong> maniera del tutto differente da quanto è stato chiesto. Fare lo gnorri.<br />
• Ccè ppuèrte ’a cannàmele a strascenúne?=[Che porti la cravatta storta?]=Sei un<br />
maleducato e cafone.<br />
• Ccè ssì’tu’, ’u fìgghie d’a jaddìna viànghe? [Chi sei tu, il figlio della gall<strong>in</strong>a bianca?] = 1)<br />
Tu non devi costituire eccezione rispetto a un dato comportamento. 2) Sei il preferito e<br />
più fortunato degli altri?<br />
• Dàmme ’na bìrra pizzúte [Dammi una birra col pizzo appuntito]= Fammi bere una birra<br />
fredda con la br<strong>in</strong>a fuori il bicchiere a mo’ di pizzetto di barba.<br />
• Fáre ’a fàccia laváte [Fare la faccia lavata] = Mostrarsi solo <strong>in</strong> apparenza amichevole e<br />
disponibile nei confronti di qualcuno. Stare al gioco che non piace.<br />
• Fare ’u pistìdde a’ lènghe [Lett.: Fare il “pistìdde” alla l<strong>in</strong>gua. Ossia, Ridurre la propria<br />
l<strong>in</strong>gua come una castagna secca sbucciata] = Ripetere parola/e o concetto più volte s<strong>in</strong>o<br />
alla noia.<br />
• Hònne chiatráte l’alije! [Si sono gelate le olive!] = È andato tutto storto! E non c’è<br />
alcuna maniera per rimediare.<br />
• Jé ’nna mènza cartùcce [È una mezza cartuccia(carica per armi)]=È una persona bassa di<br />
statura o gode di poca stima].<br />
• Jé ’nu faccijevèrde =[È una faccia verde. ( Forse per la credenza popolare che un viso color<br />
bile sia s<strong>in</strong>onimo di falsità e cattiveria.)] = È poco affidabile e <strong>in</strong> più ipocrita.<br />
• Jé ’nu muscemattéje=[(da mùsce/mogio+Matteo/personaggio popolare dell’Isola?!) È un<br />
mogio Matteo]= È solo all’apparenza impacciato e lento nell’esprimersi e nel capire. In<br />
realtà furbo e ben <strong>in</strong>formato su tutti e su tutto<br />
• Jé ’nu spáre màzze [È uno “sparo” r<strong>in</strong>secchito. (Gli “spari” , ossia gli “scari”, sono pesci<br />
mar<strong>in</strong>i schiacciati, ricchi di scaglie e sp<strong>in</strong>e - dal greco “skàrje<strong>in</strong>” = saltellare - molto<br />
graditi al palato dei cataldiani. Quelli di Mar Piccolo si chiamano “surgetìjedde =<br />
sorcetti”, mentre quelli di Mar Grande vengono denom<strong>in</strong>ati “sparetìjedde = piccoli scari”.<br />
Gli esemplari grossi sono, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, def<strong>in</strong>iti con l’appellativo “varanguèdde” = “(?) dal collo<br />
7 Bellissima accezione idiomatica carpita consensualmente per caso all’amico-maestro Claudio, mentre telefonicamente<br />
si parlava del più e del meno. In tale circostanza egli ebbe a spiegarmene il significato arcano.
grosso e variegato”. Quando sono pescati fuori stagione risultano magri e asciutti, qu<strong>in</strong>di<br />
poco appetibili)]. L’accezione def<strong>in</strong>isce una persona tutt’altro che magnanima<br />
nell’offrire o elargire al prossimo qualcosa di proprio.<br />
• Jé acque mbàcce a lle muèrte [È acqua <strong>in</strong> faccia ai morti]= È cosa <strong>in</strong>utile.<br />
• Jé frùsce de scópa nóve [È fruscio di scopa nuova] = Ora fa così, poi farà come tutti gli<br />
altri. (Riferito a persona che all’<strong>in</strong>izio di qualunque attività si mostra zelante e laboriosa. Il<br />
detto ha valore ironico, dato che <strong>in</strong> seguito lo stesso si comporterà come gli altri,<br />
risparmiandosi <strong>in</strong> ogni azione <strong>in</strong>trapresa).<br />
• Jé quèdda l’ogna sóve [È quella la sua unghia]= Tanto vale e basta.<br />
• Jìdde vuléve pàgghie pe’ ccìende cavàdde [Egli voleva paglia per cento cavalli] = Egli<br />
pretendeva grande soddisfazione <strong>in</strong> quella circostanza, perché fermamente conv<strong>in</strong>to delle<br />
proprie azioni, idee che altri, <strong>in</strong>vece, avversavano, ritenevano errate o non valutavano<br />
abbastanza. L’espressione sembra avere avuto orig<strong>in</strong>e dalla occupazione francese di <strong>Taranto</strong><br />
nel 1809. Nello specifico, essa dovrebbe alludere al fatto che gli arroganti ufficiali <strong>in</strong>vasori -<br />
senza andare tanto per il sottile - <strong>in</strong>giungevano a benestanti e contad<strong>in</strong>i locali l’immediata<br />
consegna di considerevoli quantità di paglia per foraggiare i cavalli delle loro milizie 8 .<br />
• L’hè dáte ’ngápe/ Dalle ’ngápe! [Gli hai dato <strong>in</strong> testa / Dagli <strong>in</strong> testa!] = Le due<br />
espressioni, pur avendo <strong>in</strong> comune il term<strong>in</strong>e “dare ’ngápe”, presentano connotazioni<br />
<strong>in</strong>terpretative dissomiglianti. La prima, <strong>in</strong>fatti, rende: hai <strong>in</strong>dov<strong>in</strong>ato, hai colpito nel segno.<br />
La seconda, <strong>in</strong>vece, esprime: usa tutte le tue energie per conv<strong>in</strong>cere chi ti sta di fronte ed<br />
eventualmente controbattere a dovere le sue eventuali confutazioni. E ancora: Fai<br />
quello che devi fare impegnandoti al massimo.<br />
• L’hè dáte ’u gràsse [Gli hai dato il grasso] = Gli hai dato soddisfazione, confidenza.<br />
• Luáre ’a pàgghie da nànde o’ ciùccie [Togliere la paglia davanti all’as<strong>in</strong>o] = Elim<strong>in</strong>are la<br />
causa di un determ<strong>in</strong>ato effetto (positivo o negativo che sia).<br />
• M’agghia accunzá’ a ccape a ttròcchele (devo conciarmi la testa a troccola) 9 = Devo<br />
prendermi una sonora sbornia.<br />
• Mená’ a’ rotte.[Gettare allo sfacelo]=Lanciarsi <strong>in</strong> qualche impresa <strong>in</strong> maniera scriteriata<br />
e senza considerare le conseguenze negative che essa potrebbe comportare.<br />
• Mená’ càuce. [Gettare calci]= Mostrarsi <strong>in</strong>grato nei confronti di chi con dis<strong>in</strong>teresse si è<br />
prodigato a nostro favore elargendo di persona o facendoci concedere benefici e<br />
vantaggi di qualunque tipo.<br />
• Mená’ p’accògghiere [Gettare per raccogliere]= Dire qualcosa a qualcuno per verificare<br />
la bontà di una teoria o op<strong>in</strong>ione personale <strong>in</strong> merito al nostro <strong>in</strong>terlocutore o ad altre<br />
persone e/o eventi. Spesso la reazione o risposta di chi ci sta di fronte conferma quanto<br />
supposto.<br />
• Mèttere ’a cápe <strong>in</strong>d’a le rècchie [Mettere la testa nelle orecchie] = Prendere a cazzotti<br />
qualcuno. (La pittoresca espressione rende bene l’idea della conseguenza dell’azione<br />
violenta … !).<br />
• Mèttere ’a mìcce ’ngúle a’ zòcchele [Mettere la miccia nell’ano del topo] = Gettare<br />
benz<strong>in</strong>a sul fuoco, stuzzicare qualcuno al f<strong>in</strong>e di ottenere un’azione rabbiosa nei<br />
confronti di chicchessia.<br />
• Mètterse ’a fàcce ìnd’a mmèrde [Mettersi il viso nella cacca] = Provare vergogna.<br />
(L’espressione è usata per rampognare qualcuno che ha commesso un’azione riprovevole:<br />
Míttete ’a facce <strong>in</strong>d’a mmerde pe’ qquidde ch’è ffatte! Vergognati per quello che hai fatto!).<br />
8 Cosimo Acquaviva, op. cit. nella bibliografia del presente lavoro, pag. 112.<br />
9 Tavoletta con maniglie mobili di ferro. Agitata ad arte dai “Perdoni” nel corso della processione dei Misteri durante la<br />
Settimana Santa, produce suoni secchi e ritmati, che devono sostituire l’uso delle campane delle chiese essendone<br />
vietato l’uso <strong>in</strong> quel periodo.
• N’hame sciúte a acqua a’ ppìppe [Ce ne siamo andati ad acqua alla pipa. (La pipa<br />
gorgoglia quando il tabacco è f<strong>in</strong>ito.) = Siamo caduti <strong>in</strong> miseria; non abbiamo più mezzi<br />
per sostentarci.<br />
• N’hé fritte vùrpe … e mmó’ pe’ ’na seccetèdde vué ccu ccànge l’uègghie a’ frezzóle?!<br />
[Ne hai fritti di polpi … ed ora per una seppiol<strong>in</strong>a vuoi cambiare l’olio alla padella<br />
friggitrice?!] = ( espressione <strong>in</strong>dirizzata a persone spregiudicate che vogliono farsi passare<br />
per <strong>in</strong>genue e <strong>in</strong>esperte). Ne hai comb<strong>in</strong>ate di tutti i colori … ed ora vuoi dare da vedere<br />
che sei un santerello/una santerella, come se ti acc<strong>in</strong>gessi a fare questo per la prima<br />
volta?!<br />
• Nnò mmànge pe’ nnò cacá’ [Non mangia per non liberarsi l’<strong>in</strong>test<strong>in</strong>o] = Egli/ ella è molto<br />
avaro/a, eccessivamente parsimonioso/a.<br />
• Nnò ttègne manghe l’uecchie pe’ cchiàngere. [Non ho nemmeno gli occhi per<br />
piangere]=Sono al verde più che mai.<br />
• Nò ccòrrere a scappaceppúne [Non correre a scappa ceppi/cepponi (di vite o di quercia,<br />
quando vengono fatti rotolare per essere poi raccolti e trasportati)] = Non correre senza<br />
guardare dove metti i piedi, senza pensare. A latere: Non gettarti a capofitto <strong>in</strong> un’azione<br />
o impresa se non l’hai prima pianificata.<br />
• Nò ssápe níende d’u fiàsche de l’uègghie [Non sa nulla del fiasco dell’olio] = È un<br />
dis<strong>in</strong>formato. Non è al corrente della situazione reale. Ignora cosa ci sia sotto.<br />
• Parlá’ c’u lìnge e squìnge [Parlare <strong>in</strong>tercalando le parole - oscure per il popol<strong>in</strong>o - “di<br />
qui” e “ ecco di qui” (“L<strong>in</strong>ge” e “squ<strong>in</strong>ge” sembrerebbero derivare dal lat<strong>in</strong>o“(ec)cu(m)”<br />
“h<strong>in</strong>ce” = ecco di qui. Nicola Gigante, op. cit., pag. 448)] = La peculiare forma idiomatica è<br />
usata per segnalare un <strong>in</strong>dividuo che ama parlare con ostentata ricercatezza.<br />
• Pe’ ssij’ le càche ’a mòschele [Mai sia una mosca abbia a fargli un microscopico<br />
servizietto (sull’abito o sulla sua camicia bianca.)] = In senso figurato: commento di biasimo<br />
su persona che ostenta un atteggiamento di altezzoso distacco nei confronti del<br />
prossimo. In senso fisico: Commento di disapprovazione su <strong>in</strong>dividuo curato nell’aspetto,<br />
che <strong>in</strong>dossa abiti eleganti. Costui sembra tenere ad ambedue le cose quasi a livello<br />
maniacale e fa di tutto per conservare il suo stato perfetto il più a lungo possibile. Nei<br />
rapporti con il prossimo r<strong>in</strong>forza l’atteggiamento porgendosi con voce e modi di fare<br />
affettati.<br />
• Quìdde fáče ’u cuggióne sott’a’ pètre [Quello fa il gobione sotto la pietra. ( Il “gobione”, è<br />
un pesce della famiglia dei Cipr<strong>in</strong>idi. Il nome gli deriva dal greco “kobios” = “ lett.: piccolo<br />
pesce di cui si fa un solo boccone” 10 . Molto apprezzato dai tarent<strong>in</strong>i, anche se oggi è cosa<br />
assai rara trovarlo ai mercati o nelle pescherie, è gustato fritto o appena lessato <strong>in</strong> acqua cu<br />
’na cróce d’uègghie sùse, ca ’ccussì’ po’ t’azzùppe ’u pàne - con una croce di olio sopra<br />
(ossia, olio di oliva <strong>in</strong> quantità bastante a disegnare una croce a X nell’atto di versarlo sul<br />
cuc<strong>in</strong>ato), che così dopo puoi <strong>in</strong>zupparti il pane <strong>in</strong> quel brodetto. I pescatori cataldiani mi<br />
hanno sempre <strong>in</strong>segnato che sostanzialmente esistono due tipi di questo pesce:’u<br />
mugghiarúle (da mògghie = fango), che vive nel fango, <strong>in</strong> fondo al mare. E ’u varvarúle,<br />
(da vàrve = barba. Sulla sp<strong>in</strong>a dorsale alta porta dei filamenti che lo fanno sembrare<br />
barbuto), il quale si nasconde tra le alghe mar<strong>in</strong>e e gli scogli rimanendo immobile per non<br />
farsi catturare. 11 Di qui l’accezione che evidentemente proviene dal secondo tipo, <strong>in</strong>dicando<br />
10 N. Gigante, op. cit. nella bibliografia del presente lavoro, pag. 313.<br />
11 Ho appreso poi che esistono altre varietà di gobioni: cuggiùne de pètre (anche questi contribuiscono probabilmente<br />
alla def<strong>in</strong>izione della espressione idiomatica), cuggiùne grivarùle (grivarùle = alga), cuggiùne muse russe, cuggiùne<br />
muzzariedde (muzze/muzzariedde? = monco/monconc<strong>in</strong>o?), cuggiùne spia paréte (spia paréte = spia muro. Forse<br />
perché rimangono acquattati dietro qualche riparo immerso nell’acqua ad osservare i movimenti degli <strong>in</strong>trusi). Cfr.:<br />
http://www.tarantonostra.com/<strong>in</strong>dex.php?option=com_smf&Itemid=177&topic=2594.msg48771. Il gobione era<br />
conosciuto e apprezzato s<strong>in</strong> dai tempi della Magna Grecia. Il poeta Archestrato di Gela (IV sec. a.C.) scrisse un<br />
<strong>in</strong>consueto poemetto <strong>in</strong>titolato “Hedypatheia” (Poema del buongustaio). Un frammento illustra la bontà del piccolo
così una persona che apparentemente mostra di non essere al corrente di una particolare<br />
situazione o di fare lo gnorri.<br />
• Quiste vè’ a ppètre d’aniedde [Questo va a pietre (preziose) per anelli]= Costui è molto<br />
ambizioso.<br />
• Rombere ’u tíjembe [Rompere il tempo]=Piovere.<br />
• S’à ppegghiáte ’a máne cu le cìnghe dèscetere [Si è preso la mano con le c<strong>in</strong>que dita]= Ha<br />
approfittato della situazione.<br />
• S’à ppèrse ’a lìste d’u naucáre [Si è perduta la carta del navigare /l’ord<strong>in</strong>e del vogare]=Si è<br />
creato disord<strong>in</strong>e e anarchia.<br />
• Sciaqquàrse ’a vocche.[Sciacquarsi la bocca]=Fare commenti poco piacevoli nei<br />
confronti di chicchessia.<br />
• Sciucá’ a scarecauaríle [Giocare a scaricabarile]= Fare <strong>in</strong> modo che si attribuiscano agli<br />
altri le proprie responsabilità.<br />
• Senza fa tanda irre e orre [Senza fare tante irre e orre(etimi di derivazione oscura)] =<br />
Senza perderti/si <strong>in</strong> chiacchiere.<br />
• Sènze cu ddíče nnò uzze e nnò azze [Senza che dica né uzze e né azze. Uzze =etimo <strong>in</strong>certo,<br />
probabile gioco di parola. Azze= cotone/ filo greggio di canapa]= Improvvisamente! Tutto<br />
ad un tratto.<br />
• Sté’ cchióve cu le zenzíne e ’a grangàsce [Sta piovendo con i piatti della banda e la gran<br />
cassa]=Piove a cat<strong>in</strong>elle e con lampi e tuoni fragorosi.<br />
• Sté’ ffáče ’u tàgghia-tàgghie. [Sta facendo il taglia-taglia]=Sta sparlando di qualcuno alle<br />
sue spalle.<br />
• Sté’ parláte! [Sta parlato!]= Il terreno è stato già preparato (<strong>in</strong> merito ad una azione<br />
importante da <strong>in</strong>traprendere).<br />
• Móne se ne stè avíene cu le vasce caitáne. [Ora se ne sta venendo con i bassi Gaetani/se ne<br />
sta venendo con i coltelli bassi/ se ne sta venendo con i sotterfugi di Gaetani]. Una<br />
espressione idiomatica molto dibattuta. Il prof. Nicola Gigante nel suo dizionario (op. cit.)<br />
propende per la seconda <strong>in</strong>terpretazione, ritenendo errata la prima. Egli, <strong>in</strong>fatti, è dell’avviso<br />
che il modismo si riferisca “al fare mellifluo e cerimonioso con cui uno si presenta per<br />
aggraziarsi l’<strong>in</strong>terlocutore”. Altri autorevoli conoscitori della nostra municipale sostengono<br />
che trattasi di “un term<strong>in</strong>e che nella nostra città si usa quando si vuole <strong>in</strong>tendere di quelle<br />
persone che, con sotterfugi, cercano di far cambiare op<strong>in</strong>ione ad altri. Il term<strong>in</strong>e nasce <strong>in</strong><br />
seguito alla venuta a <strong>Taranto</strong> (tanti anni fa) del vescovo Caetani che, con fare molto<br />
diplomatico e con sotterfugi (vasce), riuscì a modificare il numero dei canonici, senza<br />
suscitare polemiche.” (Sulle sponde del Galeso”, http://galeso.blogspot.com/2008/03/ancora-proverbi-<br />
tarant<strong>in</strong>i.html).<br />
• Téne ’na canna puttáne. [Tiene una gola puttana]= È estremamente goloso. (Notare: il<br />
term<strong>in</strong>e“puttáne”. Esso si usa <strong>in</strong> qualunque accezione tranne che nel senso di “prostituta”.<br />
In questo caso è usata la parola “buttáne”, con la quale túne t’ìnghie ’a vòcche!<br />
• Téne l’uècchie quanne ’na chiesije e nnò véte ’a sacrestije [Ha gli occhi quanto una<br />
chiesa e non vede la sacrestia] = Non si accorge di avere qualcosa molto <strong>in</strong> vista.<br />
• Víjste ceppóne ca páre baróne [Vesti (<strong>in</strong> modo elegante) un grosso ceppo di legno e avrà<br />
l'aspetto di un barone] = L’abito fa (!) il monaco.<br />
pesce quando è fritto o cuc<strong>in</strong>ato secondo una ricetta qui di seguito riportata: “Considera scadenti tutti i piccoli pesci da<br />
friggere, tranne quelli ateniesi; <strong>in</strong>tendo riferirmi ai gonos [gobbioni], che gli Ionici chiamano bavosa; e accettali solo se<br />
pescati da poco nel mare della baia di Falero [<strong>in</strong> cui <strong>in</strong>sisteva il porto pr<strong>in</strong>cipale di Atene nel V sec. a.C. prima che il<br />
Pireo lo soppiantasse per imponenza e importanza strategica] (...). Se tu desideri gustarli appieno devi, al contempo al<br />
mercato, acquistare delle urticanti anemoni di mare con tentacoli a foglia. Poi uniscili al pesce e rosola tutto <strong>in</strong> padella,<br />
dopo aver preparato una crema di verdure scelte per ricoprire il tutto.”<br />
(285; b,c; op. cit. <strong>in</strong>:<br />
http://culturitalia.uibk.ac.at/LIBER_bibl_KO/biblioteca/c/carubia/autori_classici_greci_<strong>in</strong>_sicilia/html/ARCHESTR.HTM).
• Vogghie cu ssacce azze, file e pertosere [Voglio sapere cotone, filo e buchi]=Voglio sapere<br />
tutto per filo e per segno.<br />
’Na tajèdde de còzze a menza-scorze e arreganáte<br />
Vúrpe de scuègghie a’ Lúčiáne e ssàrde ’mbanáte e ffritte …<br />
’Na tièdde ô fúrne de ríse, patáne e ccòzze … e ccè tte mànge?! (cont<strong>in</strong>ua …)