Senno e sapienza nelle oasi salaci del dialetto di Taranto (pdf)

A mio fratello Giovanni …
la metà dell'anima mia …
E.V.

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Senno e sapienza nelle oasi salaci
del dialetto di Taranto
Ricerche, annotazioni e mediazioni interpretative
1 Varco proibito! Fermati … leggi … e rifletti.
a cura
di
Enrico Vetrò
Aditu prohiberis!
Subsiste … lege … meditareque! 1

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Oltre questo muro ti troverai al cospetto di sferzanti salacità e di epiteti al vetriolo
apparentemente oltraggiosi. Essi, più che altro, inducono – a mio sommesso avviso – ad un
meditato sorriso condito di nostalgia, per quella spontaneità di pensiero non più proponibile
al giorno d'oggi. In ogni caso sarai costretto/a ad osservare una vetrina di genuine ma
impudiche turbolenze, che potrebbero infastidire la tua visione del mondo. Eppure, tutto ciò
che andrai a leggere, qualora tu decidessi di farlo, non è altro che il frutto di una
stratificazione comunicativa riveniente da una quanto mai ironica filosofia dell’esistere dei
nostri bisavoli cataldiani. Il loro impudico dileggio sfocia sempre in verità ancestrali. Il mio
vissuto nella Città vecchia e nel Borgo mi ha portato alla convinzione che essi sbagliassero di
rado nel cogliere nel segno, quando analizzavano e definivano in maniera genuinamente
canzonatoria il modo di agire dei compaesani di quartiere, la loro realtà in genere e, non
ultime, le manchevolezze personali. La quotidianità affrontata dai nostri conterranei
predecessori, qualunque fosse la loro estrazione sociale - è bene sottolinearlo - ha così
prodotto perle di saggezza tramandateci senza false ipocrisie dai soli del loro tempo. Oggi
tutto questo è parte costitutiva di un patrimonio inalienabile della cultura nostrana da
difendere e preservare con religiosa devozione. La forza sanguigna del verbo dialettale che ci
appartiene conosce bene il sentiero che porta al respiro del prossimo! Se le motivazioni
addotte, e non le discolpe, sia ben chiaro, ti risultano difficili da giustificare o quanto meno
t’inducono alla perplessità, se consideri il linguaggio lubrico sconveniente in ogni caso, allora,
ti prego, non andare oltre questo muro di sbarramento. Lasciamoci qui, con una cordiale
stretta di mano e … Bbòna sòrta a ttéje … cu ddìgghia cacà' turnìse e vvèngere 'na sisàlle! 2
L'autore.
'U Sckìfe 3
Foto di Enrico Vetrò
2 "Buona fortuna a te … che tu possa cacare soldi e realizzare una vincita alla Sisal". (Gruppo "Sport Italia Società A
Responsabilità Limitata", operante a tutto'oggi nel settore gioco e nei relativi servizi di pagamento. Per i Tarentini, sin dal 1946, anno
dell'inaugurazione della schedina, sinonimo di Totocalcio e di almeno due colonne da giocare ogni sabato). Turnìse, pl. di turnése.
Dal Latino Touronensis (di Tours, Francia). Denario d'argento coniato in Francia, nell'XI secolo.
3 Dal longobardo "skif"= "barca". Tipica imbarcazione a remi tarentina per la pesca nelle acque di Mar Grande e di Mar Piccolo.

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• Zzúmbe ’u cetrúle e vvè ’ngúle a ll’ortoláne= Salta il cetriolo è va nel deretano
dell’ortolano.(Un evento negativo inaspettato o causato dalla inavvedutezza degli altri, ci
colpisce nostro malgrado).
• Zzòcchele pe’ ’nna vònghele e zzòchele pe’ ’nna fáve= Prostituta per una vongola e
prostituta per una fava.(Di donna che avanti negli anni si è trovata da giovane in uno stato
di grande prosperità derivatale dal mercimonio del suo corpo. Ed ora deve accontentarsi di
vendersi per pochi spiccioli pur di sopravvivere).
• Và’ ccáche a mmáre ca te zúmbene le ’nzèddere ’ngúle = Vai a defecare a mare così ti
saltano le gocce nelle chiappe.(Non bisogna stuzzicare il cane che dorme e lasciare una
certa situazione nel suo momentaneo stato di quiete). Intendi altresì che ogni azione
comporta una inevitabile conseguenza.
• ’U càzze nnò vvóle cùscete e ppinzíere= Il pene non vuole preoccupazioni e pensieri.
(Osservazione appropriata dei nostri saggi bisnonni, che trova un preciso riscontro biologico
per quanto attiene ai rapporti intimi di coppia. Infatti, è ben risaputo a livello scientifico che
i tarli delle angustie e delle preoccupazioni inibiscono la sfera sessuale di un individuo).
• Ùsckete ’u cúle! Ben ti sta!
• Quidde mànge sàndere e ccáche diàvule=Quello mangia santi e va di corpo diavoli.
(Tralasciando il significato diretto del modismo, che si addice a piccoli e grandi effetti
rivenienti da problematiche viscerali, l’espressione sta ad indicare un individuo
ineluttabilmente malvagio. Pur circondato da persone oneste, egli non può cambiare la sua
naturale inclinazione).
• Nnò jé vavesciáte, t’ù pué’ mangiá’=Non è sbavazzato, puoi mangiartelo. (Le nostre
nonne non gettavano mai cibo. Gli avanzi di qualche giorno si ripresentavano alla famiglia
con questo detto. Se capitava loro di gettare del pane duro ammuffito nella spazzatura –
quindi inservibile – prima lo baciavano e poi accompagnavano l'atto facendosi il segno della
croce).
• Tréte C sò’ bbrùtte pe’ le vìcchie: cadúte, catàrre e ccacarèdde=Tre C sono nocive per i
vecchi: cadute, catarro e cacarella. Peddènne, abbáde a 'u nònne e a' nonònne ca tìene.
(Pertanto, fa attenzione al nonno e alla nonna che tieni).
Il ponte di Pietra
Foto di Enrico Vetrò

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• Sòrde (arc. di sòlde) s’u bangóne e ppìzze ind’ô peccióne = Denaro contante alla cassa (per
il pagamento della merce scelta) e membro in vulva. (Ad indicare che qualunque tipo di
merce selezionata è acquistabile solo per contanti). La componente fortemente sessuale del
modismo sembrerebbe racchiudere una coerente connessione con il fatto che giovani e adulti
squattrinati della Taranto delle maisons de tolérance (i bordelli divennero “servizio di
Stato”con Camillo Benso, Conte di Cavour il 15 febbraio 1870 e furono aboliti con la legge
Lina Merlin n. 75 del 20 febbraio 1958) non di rado tentavano di ottenere prestazioni
sessuali a credito. Le argute tenutarie dei casini cataldiani, che evidentemente non
transigevano sotto questo aspetto, ribadivano con la colorita espressione l’unica e tassativa
condizione per avere accesso alla stanza di una prostituta prescelta e disponibile al
momento.
“Quando le case erano aperte”
(articolo del 22.9.2008 in: http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2008/09/22/prostituzione_legge_merlin.html)
• ’Mbáre a ’u cúle quànne stè súle, ca quànne stè accumbagnáte stè bbuéne ’mbaráte=
Ammaestra il deretano quando stai da solo, in modo che quando ti trovi in compagnia esso
si comporti in maniera educata. (Intendi: bisogna abituare se stessi a sapersi controllare e
frenarsi anche quando non ve ne sia necessità, per trovarsi in seguito bene qualora se ne
presenti l'esigenza).
• Quànne vúne téne furtúne, le fiurísce púre ’u príse quànne cáche=Quando uno è
fortunato gli fiorisce persino il vaso da notte in cui egli fa la popò. (Sorta bbòna a ttéje e a
chìdde accùme a ttéje).
• ’Ngú’!=In culo! (Esclamazione corale dei monellacci del vasto fiondata con veemenza
all'indirizzo di qualcuno/a. Essa si faceva precedere dal nome ben scandito della vittima di
turno. Non di rado all'ingiuria ripetuta tre volte seguiva una micidiale pernacchia alla
Eduardo De Filippo (Cfr.: L'oro di Napoli, film del regista Vittorio De Sica del 1954).
"Ciccì'! Ngù!/ Ciccì'! Ngù!/ Ciccì'! Ngù! /Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr! (Ciccì' =
diminutivo-vezzeggiativo di Ciccìllo, equivalente di Franchìno. Nella nostra parlata Cìcce =
Franco).
• Pìrde ’nnande a ppìrde avéne ’u cacatòrie= Peto [pìrde = pì r(ré)de = pe’ rréte = dal di
dietro!] dopo peto viene la defecazione.(La tempesta è sempre annunciata dai tuoni. Intendi:

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di un imminente accadimento spiacevole, in genere, ci sono sempre piccole ma persistenti
avvisaglie).
• Quànde 'cchiú' ssacrestáne stònne, tande 'cchiú' llàmbe stònne stutáte=Quanti più
sagrestani ci sono (in una chiesa), tante più lampade rimangono spente. (Più sono le
persone di una fabbrica, e più sono possibili inefficienze e disservizi).
• Quànne a’ fèmene ’u cúle le balle, ci nnò jé buttáne, poche ’nge mànghe!= Quando alla
donna balla il didietro, se non è puttana, ci manca poco. (L’ancheggiare troppo accentuato
di una donna portava i nostri nonni e bisnonni a tale convinzione. Tu come la pensi?).
• Ne uè ’nguèrpe!=Ne vuoi in corpo! (Il modismo a latere sta ad indicare persona molto
smaliziata ed esperta nell’affrontare la vita. Suona quasi come un complimento. Rivolto ad
una donna sta a significare che ella non sia una santa. Anzi si allude al fatto che abbia avuto
molte relazioni amorose).
• Nnò tte fedá’ de ci téne do’ pertòsere ô nase=Non ti fidare di chi ha due narici.(Tutti
abbiamo due narici, quindi …)
• Mànge òsckere, cuèccele e javatúne e accundíende ’a bbiònde, ’a rosse e ’a
bbrúne=Mangia ostriche, murici e javatòni e soddisfi la bionda, la rossa e la bruna. (Gli
afrodisiaci dei pescatori e dei terragni).
• Le còrne de le pezzíende sònene de núce, le còrne de le signúre de vammáce= Le corna
dei pezzenti producono il rumore indiscreto delle noci che si schiacciano, le corna dei
signori producono il rumore della bambagia.(La vergogna dei miserabili è subito sciorinata
ai sette venti, quella dei ricchi e dei potenti risulta blindata nella più assoluta riservatezza).
• L’óme pe’ natúre d’a fèmene tremènde ’u cúle, ’a fèmene pe’ ddefètte uàrde sèmbe ’a
brachètte=L’uomo per sua natura della donna guarda il posteriore, la donna per difetto
guarda sempre la brachetta. (È di un uomo o di una donna la authorship del detto?!).
• L’amóre síne, ma sò’ bbóne pure le casckavèddere=L’amore sì, ma sono buone anche le
susine.(Casckavèddere, plurale di caskavèdde - una varietà di susina diffusa nel nostro
Meridione. Sta per denaro. Come dire: Ben venga l’amore, purché accompagnato da una
florida condizione economica).
• Fèmene ca suspíre ind’ô líette te stè ttíre= Donna che sospira nel letto ti tira … (il segnale
di un "voglia" da soddisfare a tutti i costi, "'u cìgghie", dal latino acileum=aculeum.
Tarantinismo inteso prima come aculeo/pungiglione, poi come prurigine - l'atto che
comporta il grattarsi - e per estensione "prurito", ovvero, desiderio irrefrenabile di fare
all'amore).
• Fìgghia méje, sì’ ’ccussíj’ bbruttafàtte, ca ce te véte ’a mòrte ’mbàcce, se vóte da l’ôtra
vànne e sse gràtte le cugghiúne=Figlia mia, sei così brutta, che se ti vede la morte in
faccia, si gira dall’altra parte e si gratta i testicoli. [Le donne dell’Isola erano solite
scambiarsi "complimenti" come questi quando litigavano tra loro,’a frustaría (modismo
equivalente a una serie di colpi di frusta). Dopo i lanci di sconcezze verbali in pubblico, dati
e ricevuti come tanti colpi di frusta, non di rado si passava a vie di fatto: mazzáte a mmurè
(mazzate da morire, ossia, botte da orbi)].
• Tùtte le fèmene à tènene sòtte, ci à téne sáne e cci à téne ròtte; uè, uagnú, no’ ve
’nzeppáte ’a crèste, ca stóche a ppàrle d’a sottovèste! = Tutte le donne ce l'hanno sotto,
chi ce l'ha sana e chi ce l'ha rotta. Ehi, ragazzi, non alzate la cresta, sto parlando della
sottoveste. (I giovincelli, come tanti galletti di cortile rustico, mostravano e mostrano
immediatamente interesse per ciò che direttamente o meno abbia a che fare con il sesso).
• Jidde jé ’nnu squaraquìgghie= Egli è un tipo tutto melenso ed inchini. [Secondo Nicola
Gigante, (op. cit. in bibliografia, pag. 817), il lessema deriva dal napoletano "squaraquigliare" =
"liquefarsi d'amore", che porta all'idea di persona falsa e ipocrita).
• Jidde éte a ccòme ’a rásce. A ccòme à vvué’ à ffáče= Egli è come la razza. La puoi
cucinare come vuoi. (Intendi: si fa facilmente persuadere; oppure è persona mite che del
prossimo accetta il buono e il cattivo).

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• Jè ccùme ô cáne d’a vucciaríje, chíjene de sànghe e mmuèrte de fáme= È come il cane
della macelleria, pieno di sangue e morto di fame. (Essere tutto apparenza e non possedere
nulla di concreto che possa addurre benefici a sé e tantomeno agli altri).
• Dópe tré’ ddíe avéne ’a fáme, dòpe tré’ ttrònere avéne l’àcque e ddópe tré’ ppìrde (
lessema, quest'ultimo, che è sincope di pe' rrète= per dietro. A detta degli esperti la parola
sembra derivare dal greco perdo = crepitìo emesso dal ventre) avéne ’a mmèrde= Dopo tre
giorni viene la fame, dopo tre tuoni viene la pioggia e dopo tre peti viene la cacca. (La
regola del tre era ed è fatalmente sacra per i Tarentini!).
• Cúle rútte e ttrènda carríne de péne=Il detto allude alla legge che non sempre si rivela
uguale per tutti. Risale al regno di Federico II Hohenstaufen, durante il cui regno l’adulterio
prevedeva pene durissime e umilianti per la donna; per contro, l’uomo se la cavava sempre
con un’ammenda di pochi carlini (monete Federiciane).
• Ci téne fìgghie màsckele cu nno’ díče cornúte, ci téne fìgghie fèmene cu nno’ díče
buttáne= Chi ha figli maschi, che non esprima un giudizio di "cornuto" verso chichessia,
chi ha figlie femmine, che non pronunci la parola "puttana" nei confronti di chiunque. Mai
criticare situazioni negative del prossimo nelle quali anche noi potremmo incappare un
giorno nostro malgrado.
• Ci t’avéne ’u spijúle gràttete ’ngúle = Se ti viene il desiderio grattati il sedere. (Le donne
gravide di un tempo dovevano adempiere a questa azione scaramantica per evitare che
l’impossibilità economica di soddisfare un improvviso attacco di golosità potesse causare
qualche antiestetica conseguenza sul corpo del nascituro, ’a vògghie = la voglia).
• Ci ’a mugghiére téne tuerte jé ’u maríte ca cèrche scúse=Se la moglie ha torto è il marito
che chiede scusa. (Amore cortese di comodo! La moglie a casa si rivela sempre
indispensabile collaboratrice per il bene della famiglia. Vale la pena, dunque, chiudere un
occhio su un suo eventuale peccato veniale o biasimevole comportamento).
• Ce a llúglie nnò tt’hé ’cchiáte l’avvendúre, o ssì’ ccremóne o ssì’ ’nnu cacatúre= Se a
luglio non hai trovato l’avventura, o sei stupido o sei un cesso buono a nulla. (E bravi i
nostri nonni! Anche questo è cultura …)
• Ce le cuèrne jévene gradúne, se ’nghianáve a Ddíje patrúne = Se le corna fossero
gradoni, si salirebbe sino a Dio il padrone. (I tradimenti coniugali famosi e non … sono
stati, sono e saranno sempre irrimediabilmente troppi e persistenti).
• Camíne c’u zìppere ’ngúle = Nel camminare assume una postura rigida come se fosse
impalato. (L'altezzosità e l'arroganza di un individuo si annunciano anche attraverso tale
postura).
• De San Víte ogni fíche vóle maríte=Nella celebrazione di S. Vito (15 Giugno) ogni vulva
vuole marito (Il calore di metà giugno conferisce alle rappresentanti del sesso femminile una
rivoluzione ormonale inarrestabile).
• A llavà ’a cape ô ciùccie se pèrde tíjembe, àcque e ssapóne= A lavare la testa all’asino si
perde tempo acqua e sapone. (Intendi: non vale la pena cercare di convincere qualcuno in
merito ad un punto di vista personale e veritiero).
• Addò tráse ’nu dìscete tráse ’nu càzze=Dove entra un dito entra un pene. (Detto
pittoresco che fa riferimento ad individui intrusi e approfittatori, che operano prima con
discrezione e poi in maniera sempre più invasiva ai danni delle persone prese a bersaglio).
• A jaddíne fáče l’uéve e ô jàdde l’ùscke ’u cúle=La gallina fa l’uovo e al gallo brucia il di
dietro.(C'è chi finge di patire danni che, per converso, altri hanno duramente subìto).
• A Ccùme sciáme? Túmene-túmene sènze le scàgghie. E Ttuje? A cumbòrme stáve, a
cumbòrme stóche=Come andiamo? Così così (lett.: legumi-legumi senza il baccello). E tu?
Conforme/normale stavo, conforme/normale sto. (Intendi: non è cambiato nulla dall’ultima
volta che ci siamo visti). Una classica conversazione! Molte anziane dell’isola si salutavano
e dialogavano così. Qualche attempato della Città vecchia, molto avanti negli anni, ancora
oggi si esprime in questo modo. Provare per credere.

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• ’U màsckele afflítte s’aggàrbe ind’ô líjette, ’a fèmene bbóne s’aggàrbe c’u ’a lióne= Il
maschio sconsolato trova conforto nel riposo a letto, la donna bella e desiderabile, nella
stessa condizione, cerca giovamento in un uomo generosamente dotato da madre natura.
(Ogni commento è superfluo).
• ’U cúle ca de cacáre nnò jé cundènde, arríve ’u tíembe ca cacáre nnò ppote = Il sedere
che non è contento del suo defecare, giunge il tempo che non potrà andare di corpo.(Chi
non è contento del proprio stato e si lamenta, un giorno potrebbe lamentarsi davvero).
• ’A segnuríne alegànda-alegànde, cu ’u surríse s’avàsce ’a mutànde, cu ’nu vase s’à
ffáče vedè, cu ’na lisciáte s’à ffáče mettè = La signorina molto elegante con un sorriso si
abbassa la mutandina, con un bacio se la fa vedere, con una carezza fa sesso.(Le nostre
bisnonne e nonne la pensavano così! Intendi: Accade spesso che il falso perbenismo
ostentato da una donna abituata a frequentare certi ambienti alto borghesi sia smascherato da
una calcolata “arrendevolezza”, pur d’ottenere benefici consistenti e duraturi).
• ’A mmèrde de sott’a’ néve no’ se véte=La cacca sotto la neve non si vede. (Intendi: Non
farti abbagliare dal candore mellifluo con cui certa gente spesso si propone. Da loro possono
giungerci sorprese inimmaginabili che attestano il contrario).
• ’A fèmene jé a ccom’a ’u carvóne: stutáte te tènge, appezzecáte te cóce=La donna è
come il carbone: spento ti tinge, acceso ti cuoce. (Le donne, sanno tenerci in pugno! Altro
che fragilità!).
• ’A salute d’a zíte, ’a salute d’u zíte, fìgghie màsckele a’ prìma bòtte. Alla salute della
sposa, alla salute dello sposo, figlio maschio al primo atto d’amore (bòtte=colpo). [Augurio
schietto e genuino pronunciato inevitabilmente più volte (vèppete dópe vèppete = bevuta
dopo bevuta) dagli invitati di un pranzo nuziale)].
• ’A pìsce vàgne ’u líette e ’u cúle l’abbúscke= La piscia bagna il letto e il culo le prende.
(Spesso un individuo è accusato di aver commesso un’azione cattiva chi è in rapporti stretti
con il suo vero autore).
• ’A cap’allerte e ’u cúle appuzzetúne= La testa dritta e il culo a punta. (Dicesi di persona
che ostenta superbia persino nella postura).
• À cchiuvúte mmèrde e à ’nzeváte a ttùtte= È piovuta cacca e ha sporcato tutti. (Il male
causato da un individuo compromette tutta la comunità). Una variante praticamente simile
recita: À cchiuvúte mmèrde e háve ’nzeteláte (bagnato) a ttùtte.
• Jé mègghie èssere curnúte ca fèsse. ’U curnúte no’ tútte ù canòscene, ma ’u fèsse ù
canòscene tútte=È meglio essere cornuti che stupidi. Il cornuto è ignoto a molti, mai lo
stupido è di pubblico dominio. (La stupidità era ed è, io credo, ritenuta difetto ben più grave
rispetto al tradimento coniugale).
• Ácque ’mmòcche e ssìghere ’ngúle=Acqua in bocca e sigaro nel deretano= Certi segreti
devono rimanere assolutamente dentro e nulla deve mai trapelare da noi (intendi: nemmeno
una flatulenza perché … il sigaro acceso segnalerebbe la cosa emettendo fumo).
• Ácque e ’nzaláte, jé tutte ’na pisciáte= La terapia dell’acqua ci fa eliminare le scorie
azotate.
• Jé cchiú ffòrte ’u píle de fíche ca ’na zóche de bastemíjende= È più forte un pelo di vulva
che una fune di bastimento. (La forza della passione amorosa si rivela più che mai
travolgente).
• Vatelàcchie e vvatetróve, no’ jé ssàzzie ci no’ ù próve. Vatetróve e vvatelàcchie, màje ù
próve ci è’ rràcchie=Provare per credere, provare per credere, non è da considerarsi
appagata colei che non abbia avuto un rapporto sessuale. Provare per accertarlo, provare
per accertarlo, mai avrà un rapporto intimo colei che è racchia. (Ogni commento
risulterebbe superfluo).
• Te fáče l’amíche da ’nanze e dda réte te ’mbréne ’a ’sèrve= Ti fa l’amico di fronte e da
dietro ti mette incinta la domestica. (Intendi: davanti ti loda e da dietro ti calunnia).

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• Quand’ànne téne ’u crestiáne? Á fatte ’a pelúscene 'nnànde = Quanti anni ha il tizio?
Ha fatto la ragnatela avanti. [Persona molto avanti negli anni. (Pelúscene=ragnatela)].
• Á ’rreváte ’a fíche ’mmáne a lle uagnúne= (Fíche=vulva). Azioni e imprese importanti da
intraprendere, che necessitano forza e maturità di pensiero, sono condotte da giovanissimi
che non hanno ancora titolo a compierle. Compiti delicati, insomma, in mano a persone
inesperte.
• Á ppèrse le vuéve e vvé ’cchiànne le còrne=Ha perso i buoi e va trovando le corna (Ha
commesso atti disonorevoli ed ora effettua dei tentativi più o meno leciti per riabilitarsi agli
occhi del prossimo).
• Lillíne à devendáte probbie ’na pízza mòsce (oppure mòrta)=Lillino è diventato proprio
un pene flaccido (intendi: lento nell’agire e nel comprendere).
• Mèttere ’a panéche= strangolare, soffocare (premendo verso la gola con il pollice e
l’indice. Per traslato significa mettere alle strette qualcuno, costringerlo a non avere altra
scelta che fare ciò che gli viene imposto).
• Máre (arc. di mále) a cci accàppe ijndr’a ’ngannáte de ’na zurlére= Male a chi incappa
nella rete/sulla bocca di una donna pettegola, attaccabrighe e sudiciona (’ngannáte= rete
particolare per la cattura dei cefali composta da molti sacchetti, anch'essi di rete. I pescatori in cerchio, agitano il mare con i remi,
impauriscono i cefali, che per sfuggire alla cattura saltano nei sacchetti).
• Jé ’nu càzze ’mbernacchiáte=È un pene impupazzato (Non vale proprio nulla, incapace).
• A lle ggiúvene ’a fèsse e a lle víecchie ’a mèsse= (Ai giovani la vulva, ai vecchi la messa.
Mah! Sarà vero?! Si direbbe il contrario, stando all'altrettanto popolare A le vìcchie le pròre
- più arcaico di "le pròte"- 'u cuvèrchie - Ai vecchi prude il coperchio). Per il primo dei
detti intendi: L'arco della vita dispensa il dovuto ad ogni età. Per converso, "coperchio" sta
per attributo sessuale maschile.
• Ccè ppuèrte sotte?/ Pòrte 'u canale de l'acquedòtte./ Ccè ppuèrte sotte?/ Pòrte 'a pène
d'u giuvenòtte../ Ccè ppuèrte 'mbìette? Nò ssò mmènne, so saijètte! (Il popolino decanta
le lodi di un'avvenente fanciulla di Taranto attraverso domande retoriche: Che porti sotto?
Porto il canale dell'acquedotto/ Che porti sotto?Porto il tormento del giovanotto. Che porti
in petto? Non sono seni, sono folgori!).
• A cce se còrche cu lle uagnùne, 'a matìne s'àcchie cacáte.= (A) chi si corica coi
giovincelli, la mattina si trova imbrattato della (loro) cacca. Intendi: non prendere sul serio
l'innocente inesperienza dei ragazzi.
• A cce téne 'u cùle affettáte, no' ppò' cacà' quanne vóle.= (A) chi tiene il (proprio)
deretano dato in fitto non può defecare quando vuole. Tradotto: evita il più possibile di
contrarre impegni che potrebbero limitare la libertà di quelle azioni a cui tieni in maniera
particolare.
• Quànne squàgghie ’a néve pàrene le strònzere.= Quando la neve si scioglie si vedono gli
stronzi (Le delusioni inevitabili riservate ai creduloni che prestano fede alle apparenze).
• Càrne fáče càrne e amicìzie fáče còrne=La carne produce carne, mentre l’amicizia
produce corna. (Evidente qui la consonanza càrne/còrne ).
• Càzze parènde= Parente alla lontana.
• Jè stritte de pìjtte, no' t'à ffatte maje 'nu rijàle bbuène.= È stretto di petto, non ti ha fatto
mai un regalo buono. (In animo suo molto accorto nello spendere per gli altri).
• Truéne de cúle, burràšche de mmèrde= Tuoni di deretano burrasca di cacca. Gli eventi
funesti sono perlopiù preceduti da chiari e inequivocabili segni e indizi negativi.
• Lavàrse ’a vòcche= Lavarsi la bocca (criticare negativamente).
• Ci ammìdie jéve cùgghie, tutte scèvene cu ’nu canìestre nnànde= se l’invidia fosse ernia,
tutti andrebbero con un canestro davanti.
• ’U mése de lúglie jé cchiú fucúse e lle fèmene so’ cchiú furiúse, se spògghiene tutte
d’ogne pèzze e ffànne crepà l’ôme stuèzz’a stuèzze= il mese di Luglio è più focoso e le
donne sono più smaniose, si spogliano tutte d’ogni indumento e fanno crepare l’uomo un
po’ per volta.

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• Doppe tré’ ddíe avéne ’a fáme, doppe tré’ trònere avéne l’acque e doppe tré’ ppìrde
avéne ’a mmèrde= Dopo tre giorni viene la fame, dopo tre tuoni viene la pioggia e dopo
tre peti viene la cacca. (La regola del tre era ed è fatalmente sacra per i Tarantini!).
Taranto - Ponte girevole - foto di Massimo Vetrò
• Jé ccúme ’a cóta spelàte de ’na zòcchela vècchie=è come la coda spelacchiata di un
vecchio topo di chiavica . (Detto di donna navigata o di consumata meretrice).
• Fáre 'u pìrde 'cchiù' ggruèsse d'u cúle=Fare la scorreggia più grossa del culo. (Fare il
passo più lungo della gamba).
• Dìsse Piétre de le núce, no te mangià cucúzze ca te cáche= disse Pietro venditore di noci,
non mangiare zucchine, altrimenti ti verrà la diarrea (volendo imbonire il cliente allo scopo
di fargli acquistare il suo prodotto).
• L’hagghie chiaváte ’nu càzze ’ngúle= Glielo messo al quel posto. (Gli ho fatto uno
scherzetto che se lo ricorderà a lungo).
• Jé ’nnu típe ciuccìgne=è un tipo ciuccìgno. (Persona con un pene molto voluminoso, come
quello di un ciuccio. Sta per tipo da rispettare).
• Mèttere ’a mìcce ’ngúle a’ zòcchele=Mettere la miccia nell’ano del topo. (Gettare benzina
sul fuoco con proditorie allusioni e/o affermazioni, per indurre l'interlocutore/gli
interlocutori a scatenare reazioni rabbiose nei confronti di coloro che si ha interesse a colpire
senza farlo in prima persona … 'ngiuciáre=riempire le orecchie di qualcuno per scopi
illeciti).
• Se n'avéne càzze-càzze= Se ne viene tomo-tomo. (Modismo fortunatissimo di sfogo: mo' se
n'avéne jìdde càzze-càzze pe' ffà l'avucáte de le càuse pèrse=Ora se ne viene lui tomotomo
per fare l'avvocato delle cause perse).
• Jé scundamìende de peccáte=È sconto di peccato. (Dicesi di marito che ha una moglie
bruttona o parente di uno scorfano. L'espressione è di solito preceduta da: Ccè
scòrfene/ràcchie ca éte 'a mugghiére … Che scorfano/ racchia che è la moglie … ).

di Mar Piccolo
Máre de
gnìndre //
Máre
d’ìndre=(Mare di
dentro)
Primo seno di
Mar Piccolo
Máre
Másce 4
11
Tàrde d’ô Satèllete
4 Mar Grande. "Másce": dal latino "Majus"(Più grande, Maggiore).
’U ’Mbóre (Che sta “ fuori”)
Secondo seno

12
• Mètterse ’a fàcce ìnd’a mmèrde=Mettersi il viso nella cacca. (Provare un senso di profonda
vergogna. L’espressione è usata per rimproverare qualcuno che ha commesso un’azione
riprovevole: Míttete ’a facce ind’a mmerde pe’ qquidde ch’hè ffatte! Vergognati per quello
che hai fatto!).
• N'hè frìtte vùrpe … E mmò' pe' 'nna seccetèdde vuè cu ccànge l'uègghie a' frezzóle=Ne
hai fritti di polpi … E ora per una seppiolina vuoi cambiare l'olio alla padella per friggere.
(Critica feroce indirizzata soprattutto nei confronti di certe affascinanti rappresentanti
"navigate" del gentil sesso. Mostrarsi creature ingenue e moralmente integre in particolari
circostanze tendeva a guadagnarsi l'attenzione e la solidarietà di quanti erano in grado di
fornire loro l'aiuto e la protezione di cui necessitavano. Intendi pure: ne hai combinate di
tutti i colori … ed ora vuoi dare da vedere che sei un santerello/una santerella, come se ti
accingessi a fare questo per la prima volta?!).
• Nnò mmànge pe’ nnò cacá’ =Non mangia per non liberarsi l’intestino. (Egli/ ella è molto
avaro/a, eccessivamente parsimonioso/a).
• Pe’ ssij’ le càche ’a mòschele =Non sia mai che una mosca abbia a fargli un microscopico
servizietto (sull’abito o sulla sua camicia bianca.). (In senso figurato: commento di biasimo
su persona che ostenta un atteggiamento di altezzoso distacco nei confronti del prossimo. In
senso fisico: commento di disapprovazione su un individuo curato nell’aspetto, che indossa
abiti eleganti. Costui sembra tenere ad ambedue le cose quasi a livello maniacale, e fa di
tutto per conservare il suo stato perfetto il più a lungo possibile. Nei rapporti con il prossimo
rinforza l’atteggiamento porgendosi con voce e modi di fare affettati).
• Téne ’na canna puttáne.=Tiene un esofago/una gola puttano/a = È estremamente goloso.
(Notare: il lemma “puttáne”. Esso si usa in qualunque accezione tranne che nel senso di
“prostituta”. In questo caso la bilabiale "p" diventa "b". Si ha quindi il termine “buttáne”,
con il quale túne t’ìnghie ’a vòcche! [tu ti riempi la bocca (e ti soddisfi con l'enunciato)].
Taranto - Municipio e Mar Grande visti dal Castello Aragonese

13
" 'A vite è come 'na nùvele de passagge, è 'nu fúme ca
totte 'na vóte se ne vè' c'u vìente e sparìsce.
De bbòtte, quanne méne te l'aspìette a scè' pigghiáme a
qquìdde paìse e a ccì s'ha vviste s'ha vvìste."
Peddènne abbáde a ttéje, 'u mè', e stàtte bbuéne
bbuéne! 5
5 La vita è come una nuvola di passaggio, è un fumo che tutto in una volta se ne va col vento e si dilegua.
All'improvviso, quando meno te lo aspetti, l'andiamo a prendere a quel paese e chi sé visto s'è visto. Perciò, abbi
cura di te, maestro, [nell'accezione di "egregio signore"] e (cerca) di stare benissimo. [L'equivalente dialettale di
chiusura è utilizzato anche come forma enfatica di saluto allorché ci si congeda da qualcuno]. Da: Giovanni Acquaviva
(a cura di) - Il teatro popolare tarantino, vol. II, pag. 276, op. cit. in bibliografia. La chiusura e i saluti, per contro, sono
dello scrivente.

14
Móne ca puè angóre refiatáre, vvíde cu t’abbuggechésce ’u
stòmeche e ’u cannanóce cu …
ddo’ purpètte e …
arméne ’na bračióle de cavádde … 6
Ce po’ le bračióle sònde c’u fíle de cuttóne e nnóne c’u le stecchìne jé megghie angóre!
6 "Ora che puoi ancora respirare, bada a sistemare stomaco e gola con … due polpette ("due" sta per "un piatto",
"diverse") e almeno un involtino di cavallo … Se poi gli involtini sono (tenuti chiusi) col filo di cotone e non con gli
stecchini è ancora meglio!"

E ddópe … allícchete le múse e
’mbalzamíescete ’u stòmeche cu ttòtta 'sta gràzzie de Dìje!
“Alla cozza Tarantina”
Elogio
Ci l’òsckere è ’a reggíne de ’stù mare
tu sì dáme de corte attúrne o’ tróne,
ch’appíse a le vendìje de pruvuláre,
’ttaccáte a’ zóche spànne ’nu festóne.
Te véche a frútte, apèrte a mènza scorze
O fatte a’ puppetègne o ’na ’mpepáte
(magáre accumbagnáte da scamòrze),
cu ’ríse e le patáne o gratenáte,
’mbuttíte o’ fúrne, frítte, jindr’o
’resòtte,
cu ’u tubbettíne e ’na bicchieráte
de Premetìve d’a cchiù mègghia votte.
Ca mò, tu, cozza nostra tarandíne,
cu ’nu mmiènze lemóne, allattemáte,
puè’ scére ’nnande pure a ’na reggíne!
Claudio De Cuia – poesia inedita donatami il 9.3.2009.
****
Vendìje = Funi d’erba palustre legati ai pali delle cozze poco sotto la
superficie del mare.
Pruvuláre = penzolo di ostriche o cozze. Insieme di frutti di mare pendenti.
15

16
Farrésce ’u sole cu ’a malinguníje / c’a’ díje allísce cu ss’à pórte víje …/ nò vvéde l’ore
’u pònde nuèstre bèlle / de durmè ’mbràzze ô máre cu lle stèlle … / Te ’ndurtegghiésce
’u scuròrie de ’ngánde / pèrle c’a stòria nòstre a nnu’ ’nge cánde. (e.v.) 7
Taranto, Mar Piccolo, alla fine dell'ottocento nei disegni del pittore inglese Charles William Wyllie (1853-1923)
"The Picturesque Mediterranean', Volume 3, published by Cassell and Co. Ltd., 1880s-90s (engraving)"
7 "Si dà da fare il sole con la malinconia/che il giorno accarezza per portarsela via … /non vede l'ora il ponte nostro
bello/di dormire in braccio al mare con le stelle … / L'oscurità t'avvolge d'incanto/ perla che la nostra storia ci
narri".

17
Cumbá’,
mandenìmene
pulíte!
"Compare, manteniamoci pulìti". Doppio significato del lemma cataldiano "pulìte". Esso sta
tanto per "onesti e senza macchia", quanto per "ineccepibili dal punto di vista igienico".

18
Ami il dialetto di Taranto?!
Dimostralo!
Come?!
Rispetta soprattutto la sua corretta
trascrizione ortografica!!!
L'importanza dell'afèresi e dell'apocope (detta anche troncamento), nella parlata Cataldiana. 8
La trascrizione della lettera "a", per esempio, in base a criteri rigidamente ortografici, comporta
sostanziali differenze interpretative nell'ambito del dialetto nostrano. Analizziamole:
1. 'A Befáne = La Befana (Articolo determinativo)
2. À purtáte 'na pùpe = Ha portato una bambola (Presente indicativo dell'ausiliare avere)
3. A ttùtte = A tutti (Preposizione semplice)
4. e A' piccènne = e Alla piccina (Preposizione articolata)
5. e llóre À tènene angòre = ed essi La tengono ancòra (pronome personale
complemento oggetto)
'A Befáne à purtáte 'na pùpe a ttùtte e a' piccènne, e llóre à tènene angòre.
Peddènne, uagnù, no' sciàte screvènne fessarìe ind'a lènga Tarandìne … ce nóne … jè
mmègghie ca ve facìte 'na bella zùppe de cuggiùne varvarùle. Armène v'avìte 'nghiùte 'a
vèndra vòstre, ca jéte a ccùme a 'u pùzze de San Patrìzzie! (Pertanto, ragazzi, non andate scrivendo
castronerie nella lingua tarantina … diversamente … è meglio che vi facciate una zuppa di gobioni con la barba. Almeno vi siete
riempiti la pancia, che è come il pozzo di San Patrizio).
8 Afèresi: togliere una lettera o una sillaba in principio di parola. Apocope: togliere una lettera o una sillaba in fine di
parola.

19
B i b l i o g r a f i a e s s e n z i a l e
• Giovanni Acquaviva (a cura di) - Il teatro popolare tarantino – Congedo
Editore, Caloria Napoli, 1976, vol. I, collana IL FOLKLORE E LA VITA, a
cura di Mario Congedo e Michele Paone.
• Giovanni Acquaviva (a cura di) - Il teatro popolare tarantino – Congedo
Editore, Caloria Napoli, 1976, vol. II, collana IL FOLKLORE E LA VITA, a
cura di Mario Congedo e Michele Paone.
• Giuseppe Cassano - Ràdeche vecchie (Proverbi motti frasi indovinelli dialettali
credenze e giochi popolari tarantini) - Mandese Editore, Taranto, 1982.
• Nicola Gigante - Dizionario della Parlata Tarantina (Storico Critico
Etimologico) – Mandese Editore, Taranto, 2002.
• Claudio De Cuia - Vocali e consonanti nel dialetto tarantino ed elementi di
grammatica - Mandese Editore, Taranto, 2003.
• Claudio De Cuia -'U Briviarie d'a nonne - Scorpione Editrice, Taranto, 2005.
• Cosimo Acquaviva - Taranto … Tarantina - contributo allo studio delle
tradizioni popolari - edizioni Archita, Taranto, 2005, terza edizione.
• Enzo Risolvo - Storie e Culacchie de Storie - Scorpione Editrice, Taranto,
2006.
• Franco Brevini, “Le parole perdute, Dialetti e poesia nel nostro secolo”,
Torino, Einaudi, 1990
• Claudio De Cuia - Insultorio - Edit@, Casa Editrice & Libraria, Taranto,
2010.

U
20
Riflessione Riflessione Riflessione letteraria
letteraria
terminata terminata a a Taranto
Taranto
in in in data
data
10 10 Gennaio Gennaio Gennaio 2013 2013
2013
“Disclaimer”
Legge 22 aprile 1941 n. 633.
E successivo consolidamento del testo in data 9
Febbraio 2008.
Il presente lavoro appartiene all'autore Enrico
Vetrò. Esso non può essere replicato neanche
parzialmente senza il suo consenso. Il resto del
materiale pubblicato, dove non indicato
espressamente, è copyright dei rispettivi legittimi
proprietari, e ha il solo scopo di
recensione/divulgazione. Lo scrivente è a
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