Untitled - Comune di Reggio Emilia
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EMIGRANTI IN RISAIA<br />
"Io andavo a lavorare in risaia. Partivamo in tante, per le risaie <strong>di</strong> Novara e Vercelli. Ci si andava in treno merci e noi là lavoravamo come mon<strong>di</strong>ne.<br />
Dovevamo mondare dalle erbacce le piantagioni <strong>di</strong> riso che crescevano nell'acqua. Nell’acqua c’erano le bestie che ti mangiavano le gambe e<br />
anche le bisce d’acqua che però non facevano niente. C'erano anche tantissime zanzare che pungevano, provocando gonfiori e infezioni. Il lavoro<br />
era molto faticoso: si stava sempre chinate con la schiena curva che faceva male. Ci mettevamo un cappello <strong>di</strong> paglia molto largo per proteggerci<br />
dai riflessi del sole."<br />
"Per non sentire la fatica del lavoro, cantavamo... lavoravamo a file <strong>di</strong> trenta, eravamo sempre gobbe a raccogliere il riso e camminavamo scalze<br />
all’in<strong>di</strong>etro nell'acqua."<br />
"Era duro, il lavoro nelle risaie. Si lavorava anche quando pioveva. Aqua dedsòuver, aqua dedsòta! Alla sera andavamo a riposarci in un capannone,<br />
dormivamo sdraiate per terra sopra un po’ <strong>di</strong> paglia. Solo l’ultimo anno <strong>di</strong> lavoro avevamo una bran<strong>di</strong>na. Nel poco tempo libero a <strong>di</strong>sposizione,<br />
alla sera, prima d’andare a dormire, giocavamo a carte o facevamo un po’ <strong>di</strong> chiacchiere fra noi. Il cibo era sempre lo stesso: riso e fagioli… anche<br />
in questo caso, qualche miglioria è arrivata solo l’ultimo anno: si mangiava un po’ <strong>di</strong> carne in umido con delle patate alla domenica sera."<br />
“Con i risparmi <strong>di</strong> cinquanta giorni <strong>di</strong> lavoro in risaia ho comprato una bicicletta. Ci tenevo tanto e poi mi fu rubata. Quando scoprii che era il<br />
marito <strong>di</strong> una mia amica, ci rimasi molto male. Anche se sono passati tanti anni, se ci penso mi viene ancora rabbia.”<br />
“Tante donne andavano in risaia a quei tempi. Io no, però sono andata via da casa anch’io… perché io sono forte. Ne ho passate <strong>di</strong> quelle…<br />
A me non mi ammazza neanche la depressione! Da ragazza sono rimasta incinta, era una vergogna e non potevo partorire a <strong>Reggio</strong> perché si<br />
sarebbe saputo in giro. Allora mi hanno messo su un treno per andare a partorire a Roma. Anche lì però era troppo vicino a <strong>Reggio</strong>, allora mi<br />
hanno caricato su una tradotta militare e mi hanno portato a Napoli. Lì, finalmente, ho partorito mio figlio. Nessuno l’ha mai saputo… adesso<br />
lo posso raccontare.”<br />
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