Metamorfosi proteiforme La metamorfosi nelle arti e nelle scienze
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trasformazione di Lucio in asino appare chiaramente come una punizione, un’“imbestiamento” che<br />
simboleggia la degradazione di Lucio, prono ai piaceri del sesso e schiavo della sua insana curiositas<br />
verso la magia: l’animale in cui si trasforma è l’asino, animale “basso” e simbolo del Male e della<br />
carnalità.<br />
Infatti, nel capitolo 24 del III libro, Apuleio dice che la schiava<br />
Fotide, conosciuta da Lucio presso la casa dell’amico Milone, la<br />
cui moglie Panfile aveva la fama di essere una maga, decide di<br />
rubare alla padrona una “polvere magica” per donarla a Lucio.<br />
Panfile però prende un unguento sbagliato e non appena Lucio si<br />
massaggia le membra con essa “plane pili mei crassantur in setas<br />
et cutis tenella duratur in corium et de spinae meae termino<br />
grandis cauda procedit. Iam facies enormis et os prolixum et<br />
nares hiantes et labiae pendulae; sic et aures inmodicis<br />
horripilantant auctibus.”<br />
Dopo molte fatiche e avversità, però, grazie all’intervento della<br />
dea Iside, Lucio (XI, 13) ritornerà alle fattezze umane per poi<br />
essere pronto all’iniziazione ai culti misterici della stessa dea.<br />
Infatti non appena l’ asino mangia la corona di rose, “squalens pilus defluit, cutis crassa tenuatur,<br />
pedes sunt, sed in erecta porriguntur officia, cervix procera cohibetur, os et caput rutundatur, aures<br />
enormes repetunt pristinam parvitatem, dentes saxei redeunt ad humanam minutiem et, quae me<br />
potissimum cruciabat ante, cauda nusquam (comparuit)!<br />
1.3 Dante e Pier della Vigna<br />
<strong>La</strong> tematica della <strong>metamorfosi</strong> non si esaurisce certo con la fine del mondo classico, ma continua a<br />
permeare di sé l’intera letteratura medievale, assumendo nuovi significati riguardo al mutato contesto<br />
culturale.<br />
All’interno della Commedia, nell’ambito della “concezione figurale” di cui parla Erich Auerbach,<br />
Dante (7) appare convinto che la realtà terrena sia soltanto una pallida prefigurazione della vera vita,<br />
che si compie e si svela nell’Aldilà, scoprendo la reale natura di ogni singolo essere. Per questo<br />
motivo Dante assegna ai suicidi, che disprezzarono in vita il proprio corpo tanto ad arrivare a<br />
distruggerlo, la pena di vedersi trasformati in arbusti secchi e contorti, degradati quindi a una forma<br />
subumana e grottesca. Così accade anche a Pier della Vigna, suicida perché calunniato alla corte di<br />
Federico di Svevia:<br />
D. ALIGHIERI, Inferno XIII 31-44<br />
Allor porsi la mano un poco avante,<br />
e colsi un ramicel da un gran pruno;<br />
e ’l tronco suo gridò: “Perché mi<br />
schiante?”.<br />
Da che fu fatto poi di sangue bruno,<br />
ricominciò a dir: “Perché mi scerpi?<br />
Non hai tu spirto di pietade alcuno?<br />
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:<br />
ben dovrebb’essere la tua man più pia,<br />
se state fossimo anime di sterpi.<br />
Come d’un stizzo verde ch’arso sia<br />
da l’un de capi, che da l’altro geme<br />
e cigola per vento che va via,<br />
sì de la scheggia rotta usciva insieme<br />
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